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DALLA MENTE ALLA... MENTE
Moderni saggi sul buddhismo Chan
come è stato compreso da Aliberth (Alberto Mengoni)
ARMONIA NELLA MENTE
Testi dell'incontro tenuto il 14/2/2000 presso il Centro Nirvana di Roma,
precedentemente pubblicati nel n° 29 di Nirvana News (luglio 2004) e ora rivisti
Quando la nostra mente è in armonia – eventualità peraltro rara – ce ne accorgiamo dal fatto che non oppone resistenza a nulla che sia in relazione con essa. Non reagisce, accetta di essere pervasa e impregnata di sensazioni derivanti da suoni, parole, rumori, percezioni visive, olfattive e tattili. Tutto ciò viene ad integrarsi in un aspetto unitario che ci dimostra e conferma che la mente ed i contenuti che la invadono sono della stessa natura.
Anche se la constatazione è possibile soltanto quando non è presente l'io discriminante che, capriccioso e volubile com'è, decide sempre di preferire una cosa o il suo opposto, accettando o rifiutando a suo piacimento.
Nella maggioranza dei casi, quando l'io è presente, la mente reagisce all'invasione di fenomeni esterni che essa non accetta opponendovisi, specialmente nel caso che arrivino per cause karmiche indesiderate. In questo caso nella mente subentra la disarmonia, che è appunto rifiuto e desiderio di respingere, di annullare ogni sensazione non voluta e non gradita.
Possiamo perciò riconoscere come, a seconda delle reazioni della mente, noi potremmo facilmente essere in pace o no, assaporare la situazione di armonia o subire la situazione di conflitto interno.
L'abile praticante Zen che abbia imparato a conoscere la sua mente ha, come effetto di questa pratica indagatrice, il suo osservare ed osservarsi, che tende a stabilizzare la mente in una condizione di perfetta armonia con ogni cosa.
Egli è consapevole che la sua mente – quindi egli stesso – per cause karmiche è sottoposta a contatti ed intromissioni spesso indesiderate, che però all'atto pratico non risultano sostanziali, perché si volatilizzano già mentre sono all'interno della mente e, in definitiva, non lasciano alcuna traccia permanente.
Così egli scopre che la mente, nella sua vera essenza, è uno spazio che si riempie e si svuota secondo le circostanze: è una sorta di vuoto, che però è in ogni momento riempibile di tutto.
L'energia di cui è composta la mente è l'energia stessa dell'universo, che ci permette di cogliere l'energia delle cose, composte dalla stessa energia della mente.
Se la mente non fosse pura energia, noi non saremmo consapevoli di nulla, né potremmo avere reazioni di sorta nei confronti di ciò che la invade e la penetra.
Non avremmo reazioni di gradimento né di rifiuto, perché quando in noi non c'è più l'energia della mente, siamo semplicemente morti.
Nello studio della mente, ci prepariamo a conoscere la natura dell'esistenza.
Diversamente da quando non praticavamo la meditazione, la nostra curiosità e il nostro interesse si rivolgono ora non più al mondo di fuori bensì soprattutto a quello, segreto e misterioso, che definiamo interiore.
Perciò la nostra partecipazione alla vita diventa una specie di partita a tennis: un trovarci ad essere di qua e di là, con uno scambio continuo e diretto tra l'esperienza vissuta e colui che la sperimenta.
Cominciamo a renderci conto che questo spazio vuoto della mente è la nostra stessa esistenza, è proprio la nostra persona che, non appena rinuncia alle difese precostituite dell'io, non ha più interesse ad opporre resistenza all'andirivieni delle cose.
Allo stesso tempo prendiamo coscienza che il karma non è altro che il dispiegamento obbligato degli eventi sequenziali di precedenti volontà e desideri della mente.
In ogni caso, se la mente non fosse questo spazio vuoto composto di energia trasmittente e ricevente, non sarebbe possibile neanche la sperimentazione del karma, che va infatti inteso come l'effetto della ricezione delle onde d'energia che sono state attivate.
Si può dire che la mente, creatrice e fruitrice di tutto ciò che le accade, è contenitore e percettore dei contenuti, i quali possono essere proprio per il fatto che essa è spazio ed energia.
Di conseguenza, prendendo all'inverso il discorso precedente, ci rendiamo conto che nulla potrebbe esistere senza una mente che l'accolga, nessuna cosa potrebbe mai manifestarsi all'esterno, se la mente non potesse averne esperienza.
Quindi, tutto ciò che esiste, è solamente mente, e come potrebbe la mente opporsi, rifiutare la mente, cioè se stessa?
Sarebbe come se lo spazio rifiutasse se stesso e non concedesse spazio allo spazio. Una cosa assurda, impensabile…
Allora cos'è la mente?
È la causa prima di tutto l'esistente, il primo autore dei sette giorni della creazione, l'essere e l'avere di tutti i fenomeni, l'io e gli oggetti dell'io, intesi come tutto ciò che sembra essere altro dall'io.
Bisogna capire bene questo, altrimenti lo studio della mente finisce per essere soltanto una mera e sterile operazione concettuale.
Come un computer collegato alla rete, la mente individuale è connessa a tutte le altre menti che, a loro volta, sono unificate e comprese nell'unica energia di questa specie di web metafisico.
Per il fatto che la mente è pura esistenza, essa ha la possibilità di manifestare e cogliere tutto ciò che esiste. Essendo in costante contatto con tutta l'energia vivente, ha la possibilità di pervadere ed essere pervasa da questa massa frammentata di altre menti.
Comprendendo questo, la domanda «Cos'è che esiste veramente?» parrebbe superata dalla consapevolezza della reciproca interdipendenza tra la mente ed i fenomeni.
È un po' come farsi la classica domanda se sia nato prima l'uovo o la gallina, alla quale non si può certo rispondere in modo concettuale.
In verità a queste domande che riguardano la realtà delle cose così come ora noi le percepiamo e le utilizziamo, non vi è risposta.
Non è possibile rispondere in termini scientifici, con un preciso diagramma che convalidi le teorie. Ogni nostra risposta, data senza esperienza diretta, è sbagliata o incompleta.
Le risposte non possono essere solo due, sì o no: le risposte concettuali possono essere migliaia e tutte saranno sicuramente non esatte.
Ogni nostra impressione momentanea, e quindi fugace e mutevole, è una risposta concettuale, perciò sbagliata.
L'unica risposta giusta è la conoscenza e la compiuta esperienza diretta del funzionamento mentale nella sua totalità. La conoscenza diretta non può essere assunta per ragionamento né può essere partecipata estraneamente con informazioni indirette.
Quando meditiamo, quando facciamo appunto spazio nella mente eliminando gli oggetti che l'avevano invasa durante la giornata, stiamo preparando l'occasione per l'esperienza diretta. Vediamo infatti che in realtà gli oggetti incamerati si mettono da parte da soli, spontaneamente, con la stessa facilità con cui erano entrati.
Nello spazio mentale, gli oggetti non ricoprono una dimensione fisica: essi sono soltanto pensieri. Perciò tutto quello che ci è successo durante la giornata in definitiva si trasforma, si polverizza, perchè è sempre stato soltanto pensiero.
Il nostro vivere tutti gli avvenimenti con l'ostinata idea dell'oggettività, fa sembrare questi pensieri cose reali, tuttavia durante la meditazione ci accorgiamo che essi possono sparire, almeno temporaneamente. E tutto si converte allora nuovamente in spazio vuoto, tutto ritorna ad essere energia che fluisce e rifluisce in e da questo spazio vuoto.
Questa è dunque la testimonianza diretta del reale svolgimento e funzionamento armonico della mente.
Le persone ordinarie da tempi senza inizio hanno perso di vista la natura della Realtà e non conoscono più la natura di base della mente, che sono la stessa identica cosa.
Fissandosi arbitrariamente sulle qualità apparenti di ogni tipo di oggetti, le persone non coltivano la consapevolezza della natura effimera di essi, facendo sorgere così nella loro mente-cuore pensieri di odio e di amore.
A causa di questi pensieri di odio ed amore, il recipiente mentale si incrina e perde energia vitale. È esattamente così che, nella mente, sorgono di conseguenza pensieri di nascita e morte. Essendovi l'idea di nascita e morte, nella mente delle persone compaiono tutte le forme di sofferenza. Questo sta a significare che l'iniziale armonia naturale della mente, a causa della facoltà indiscriminata di emettere pensieri non consapevoli da parte degli individui ordinari, si è trasformata in conflitto e disarmonia.
Ma allora qual è il sistema per far ritornare la mente alla sua funzione originaria? Qual è la Via per la restaurazione del Nirvâna? La meditazione Chan è sicuramente una di queste Vie, uno dei migliori sistemi per il reintegro dell'energia purificata nella mente degli esseri umani.
Essa è la Via per arrivare a comprendere che noi stessi, la nostra mente originaria sono già il Nirvâna!
Infatti nel Chan il lavoro di pulizia mentale richiede la sistematica eliminazione, per mezzo della vera comprensione, della errata attribuzione individuale di cui ci investiamo, cioè dell'io.
L'io è semplicemente uno strumento occasionale della nostra identità apparente, ed ha diritto di esistere e funzionare esclusivamente per questo scopo e non per condizionarci legandoci alla convinzione di essere realmente tale identità.
L'attaccamento all'io, che dovrebbe avere soltanto una funzione relativa e contingente, spinge la nostra mente a credersi una identità permanente e separata. Questa illusione pericolosa produce la nascita e la morte, l'amore e l'odio, il piacere ed il dolore, insomma la dualità nelle forme conosciute come bene e male.
Nel Sutra del Re della Mente si afferma che la vera quiddità – cioè il modo reale di esistenza di tutte le cose, ovvero la natura di Buddha – è sommersa inconsapevolmente nell'oceano samsarico delle cause e delle condizioni (il karma). Quindi la reale natura – cioè il modo reale di esistenza di tutti noi, di tutte le cose e dello spazio vuoto in sé – è immersa nel condizionamento illusorio della mente a credersi un io.
Infatti la natura della mente, a causa di tale condizionamento illusorio, viene obnubilata dai desideri egoistici di erudirsi, acquisire continue esperienze mondane, ottenere ripetuti benefici temporali. Non manifestando perciò volontà ed interesse per la vera conoscenza della realtà, vale a dire per la natura originaria ed autentica delle cose, questa mente, immersa nel condizionamento della percezione sensoriale e ballonzolando ora qui ora là, nella nascita e nella morte, non ha il potere di sfuggire a questi effetti del karma.
È necessario dunque sforzarsi per riesumare e preservare la natura fondamentale della mente, affinché i distruttivi pensieri arbitrari non sorgano, o non vengano alimentati.
In tal modo, gli atteggiamenti egoistici e possessivi diminuiranno fino a svanire e si potrà realizzare l'uguaglianza e l'unità tra la mente ordinaria e la mente originaria dei Buddha.
DOMANDA: Se la Natura di Buddha è una soltanto, come mai gli esseri illusi sono illusi e gli esseri illuminati non lo sono più? E perché quando un Buddha si risveglia alla vera Natura, egli vede ancora che la confusione e l'ignoranza delle persone ordinarie permangono?
RISPOSTA: Qui entriamo nel campo dell'inconcepibile, al di fuori della portata intellettiva delle persone comuni. Un Buddha saprebbe la risposta e, di conseguenza, non avrebbe generato la domanda. Ma, poiché questa domanda l'hai fatta tu che sei una persona ordinaria, la risposta è che la nostra mente è all'oscuro del dramma che divide la realtà della Natura-Buddha dall'illusione della mente ordinaria. Noi persone comuni, appartenendo alla realtà illusoria degli esseri comuni, facciamo domande senza conoscere le risposte, mentre se fossimo nella dimensione degli Esseri-Buddha sapremmo sicuramente la verità senza necessità di fare domande.
È come quando da bambini si gioca al teatrino: se si svolge il ruolo di un dottore, un soldato, un principe ecc. ci si sente realmente quel certo personaggio. Nel gioco si prende possesso di un preciso ruolo e si agisce di conseguenza. E così è in questo Gioco della vita in cui tutti noi, convinti di essere quelle persone comuni che hanno bisogno di fare domande per ottenere risposte, non abbiamo la capacità di risvegliare la nostra Mente-Buddha. La quale, per sua natura, non avrebbe bisogno di fare domande né di ricevere risposte.
L'illuminazione è realizzata per mezzo della conoscenza della mente. Se non conosciamo la nostra mente – e noi non la conosciamo perché ci perdiamo dietro alle conoscenze mondane esteriori – non possiamo avere né tempo né spazio, né volontà né interesse per la conoscenza interiore della mente.
Di conseguenza, non avendo la perfetta conoscenza della mente, noi non abbiamo l'illuminazione e, per questo fatto, sorgono le domande. È come il cane che si morde la coda. Bisogna quindi comprendere l'importanza del lavoro ostinato della meditazione per arrivare all'autoconsapevolezza.
Coloro che avrebbero la capacità di farlo e non lo fanno, sprecano vite su vite e costringono se stessi al ruolo di persone ordinarie. Si confondono nell'illusione, al pari dei miliardi di esseri che vagano senza meta nell'irreale gioco samsarico che chiamiamo vita, e in questo modo ritardano all'infinito la propria illuminazione.
La presa d'atto che la nostra coscienza vuole intraprendere un cammino spirituale, è un segno che il momento-chiave può essere prossimo. Una Via di Saggezza come il Chan può servire per stimolare la nostra illuminazione, per poter riaprire la nostra mente alla verità ed all'armonia originale, ciò che può essere fatto soltanto perseverando nello sviluppo dell'autocoscienza.
Qualsiasi altra strada, qualsiasi altra intenzione, qualsiasi altro scopo sono del tutto inutili e non portano da nessuna parte.
La confusione è causata dalla perdita di contatto con la nostra natura originaria. Tuttavia, se le condizioni si presentano e noi comprendiamo intuitivamente la verità segreta, possiamo farcela perché nulla è veramente definitivo.
Per questo motivo, il Sûtra di Vimalakîrti afferma che, in realtà, non vi è vera identità né alterità; che la Realtà non è mai nata e che non potrà mai estinguersi. La percezione del mondo così come viene interpretato, è solo una prova dell'ottenebramento della mente individuale, perché la Realtà è chiaramente qualcosa che è alla base del sorgere della nostra percezione del mondo così come ci appare. E da questa Base sostanziale possono sorgere tutte le apparenze e tutte le idee ma, ovviamente esse non sono la Realtà!
Dobbiamo cogliere la Realtà nella meditazione che è fatta di silenzio, di accettazione e di armonia con tutto ciò che esiste illusoriamente al pari della nostra stessa percezione. Allorché saranno svaniti tutti gli ostacoli coglieremo indubitabilmente la Realtà, ciò che semplicemente è di per sé, senza alcuna ingerenza né interferenza da parte dell'io.
Quando tutto va da sé, quando le cose vanno da sole, quella è la Realtà.
In questo modo possiamo comprendere l'estremismo dualistico di identità e alterità, che sembra inquinare tutto il nostro sapere. Accedendo finalmente al sapere non discriminante, comprendendo esattamente questo punto, la nostra meditazione autocosciente sulla mente, diventa la pratica del Nirvâna, l'ingresso diretto all'illuminazione, la sorgente della nostra Saggezza-Prajñâ.
L'essenza del Nirvâna è beatitudine tranquilla e armonia della mente, non vi è più nulla di individuale e di artefatto.
Non può essere la volontà dell'io, che intrufolandosi nella mente si augura una beatitudine forzata. Quando l'io si fa da parte allora c'è la beatitudine e l'armonia; se l'io rientra in campo, cercando di manipolare queste naturali qualità della mente, le rende artefatte.
Se l'io comprendesse il danno che produce alla mente dell'uomo, potrebbe dimostrarsi assai più utile funzionando come specchio della mente. In quel caso potremmo veramente chiamarlo «Sant'Io», mentre invece, a causa delle sofferenze che arreca dovremmo proprio chiamarlo «Demon-Io».
Sicuramente non è facile, per noi occidentali del tutto ignari del sottile tranello in cui la nostra cultura di autoesaltazione egoica ci intrappola, comprendere che il mondo è soltanto una proiezione della nostra mente. E soprattutto comprendere che più veniamo condizionati a credere nella apparente realtà esteriore, più i danni del nostro io separativo e individualista ci allontanano dalla spontanea armonia della mente.
Ecco perché la compassione dei Maestri e dei Patriarchi dell'India e della Cina, ha permesso e agevolato la venuta delle pratiche di meditazione qui in Occidente.
Parafrasando un notissimo koan del Chan, anche noi potremmo dire: «Perché il buon vecchio Saggio Bodhidharma è arrivato dall'Oriente?»
Lungi dal voler interpretare la pratica della meditazione come un artificioso bisogno spirituale, dobbiamo considerare che essa è una adeguata e necessaria risposta alle esigenze profonde delle nostre stesse menti, nella loro originaria natura trascendente.
La mente, nel suo profondo essere interiore, sente di essere vittima di allucinazioni interpretative da parte della personalità umana e del suo strutturato sistema socioculturale. Per questo motivo, dai più profondi recessi della sua originaria natura primordiale, essa ha fatto scaturire questo strumento.
La meditazione è lo strumento operativo per eccellenza, al fine di riposizionare nella mente la naturale e originaria direzione della consapevolezza: ritirandola dall'esterno e indirizzandola verso l'interno di se stessa.
Con la perfetta esecuzione della pratica meditativa del Chan, il reintegro dello stato di coscienza originario avverrà senza traumi né turbamenti e l'assorbimento nel senso di realtà continuerà anche col ritorno alla coscienza quotidiana ordinaria.
Questo rientro nell'ordinarietà non sarà più considerato allo stesso modo in cui veniva visto precedentemente, anzi presto entrerà a far parte di un unico stato di coscienza autoconsapevole, quasi una meditazione continua, anche nella vita di tutti i giorni. Tutto sarà ormai inglobato in una meditazione partecipativa e spassionata, in cui la mente "contenitore" e i suoi "contenuti" saranno sentiti come la stessa unica realtà esistente.
E mentre noi resteremo immobili nell'osservazione senza giudizio, lo stato di coscienza scaturito e mantenuto attraverso la meditazione prenderà la posizione di testimone distaccato, riportando così la mente alla sua naturale e originaria armonia.
Alberto Mengoni ha insegnato Chan nel Centro Nirvana di Roma. È morto il 14 giugno 2015.
Si faceva chiamare anche "Aliberth". Così mi scriveva il 6 gennaio 2005: «A volte mi firmo Aliberth, che è il nome che ho scelto come insegnante di Dharma, infatti se lo ripeti spesso consecutivamente esce fuori... Libertà, che è ciò che voglio esprimere».
Diresse dapprima il bollettino Nirvana News e poi il sito web del Centro Nirvana – www.centronirvana.it – che ora purtroppo non esiste più. Conteneva una gran quantità di testi interessanti, una parte dei quali si può ancora ritrovare all'indirizzo http://web.archive.org/web/*/centronirvana.it/*
D. Ch.
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