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SULLO TZIMTZÙM E SULLA TESHUVÀ

Franco Orlandi & Dario Chioli 

   

   

Franco Orlandi, 20/9/2009

Ho riletto, nel tuo Percorsi nella qabbalà, il capitolo "L'origine del mondo e le qelippòth".

Ti chiedo: secondo te, perché l'Infinito si è autolimitato? Cioè, perché Ensòf ha posto dei confini a se stesso?

Secondo, leggo a pag 49: 

«Infatti colui che per virtù d'intelligenza, cioè di Binà, ha compreso l'illusorietà dei fini della vita mortale e vuole pertanto passare da una vita che conduce alla morte ad una rinascita che conduca all'eternità, deve per questo tornare indietro, ripercorrendo il processo per cui è diventato ciò che è». 

Quando hai un attimo di tempo, puoi stendermi due righe di chiarimento?

   

Dario Chioli, 20/9/2009

Spiegarti perché l'Infinito... è un po' troppo per me e forse per chiunque... 

Posso però dirti questo: si dice infinito quanto non ha limite, quindi se questo infinito si autolimita, significa che trova un limite su qualche piano, ma significa anche che c'è qualcosa sopra di esso che si acquisisce con tale limite. 

Dall'infinito tramite il limite all'Innominabile: il Tao che può essere detto Tao non è l'eterno Tao... 

Così è anche per l'amore: sconvolge l'equilibrio unitario del saggio e lo divide in due: se stesso e l'amata. Però egli non raggiungerà la sapienza se non passa per tale sconvolgimento. 

Quindi forse la storia dello tzimtzùm significa proprio questo: rinunciare a ogni sorta di coerenza sistematica per inseguire il Mistero... 

Quanto al Ritorno, teshuvà, cos'è se non l'eliminazione di ogni menzogna, il riconoscimento dello stato reale delle cose? 

Chi è davvero innamorato del Mistero, s'avvinghia al Mistero e abbandona il resto; non ha più ragione di celarsi a se stesso dietro le mille maschere del suo quotidiano. 

Può pertanto guardare il cammino percorso, riconoscere i propri errori e le proprie illusioni, come cose che appartennero a ciò che era. 

Così facendo, si libera delle conseguenze del passato e dalle aspettative del futuro, e spicca il volo via dalla temporalità e dal momento impermanente verso l'eternità. 

Questo ha come ripercussione che perdona se stesso in quanto figlio del tempo, e con il figlio del tempo perdona tutti i suoi fratelli. 

Questo perdono è libertà dal giudizio, non lo si infligge e non lo si subisce, perché l'amore è verità e la verità rende liberi. 

Teshuvà è fermarsi sul limite dell'eterno, stare sul limite e vedere che il tempo se ne va, e a mano a mano che se ne va il nostro essere eterno si deterge dal mondo e sta in tutto il suo splendore.

   

 

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