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DIALOGO CON SILVANA VALENTINIS
SUL CRISTIANESIMO NEL TEMPO E FUORI DEL TEMPO
I.
28 aprile 2016
Silvana Valentinis (dopo aver letto la mia Lettera sulla testimonianza cristiana del 1991) – Non so se la mia è una domanda importuna, ma sei ancora cristiano come lo eri certamente all’epoca di questo tuo scritto di tanti anni fa?
Dario Chioli – Il cristianesimo è una delle lingue dello spirito. Né è possibile per me rinnegare alcuna forma dello spirito. Io ho sempre parlato più “lingue” contemporaneamente. Nel 1976 cominciavo i miei studi sugli Shivasutra, nel 1986 scrivevo dei rapporti tra ermetismo e tantrismo (Di alcune corrispondenze ermetiche e tantriche del mito di Atena). Sempre varie vie si sono intersecate nel mio percorso…
S. V. – Che lo spirito si sia sempre manifestato nei diversi popoli assumendo forme culturalmente diverse, questo non fatico a pensarlo, tuttavia mi trovo a scontrarmi con l’evento del l’incarnazione di un Dio, mettiamola così, come qualcosa che non era mai avvenuto prima né dopo, come se lo Spirito davvero avesse un disegno di avvicinamento alla specie umana, avesse cioè una storia che procede, e non soltanto si ripete indefinitamente nelle varie forme.
D. Ch. – Io direi questo: le realtà spirituali sono sempre uniche e irripetibili. Ciò che ne connota l’esperienza è lo stupore. Dove stupore manca non c’è realtà. Ciò che peraltro ci induce in errore è la nostra predisposizione a ragionare sempre in termini di spaziotempo, mentre l’eterno, che solo è reale, non è nello spaziotempo ma lo include. Quanto dovremmo abbandonare è la convinzione che la ragione dialettica possa rappresentare per sé una realtà, mentre è solo uno strumento per scoprirla. Il Cristo morto sulla croce che poi risorge è un simbolo talmente potente da soverchiare ogni interpretazione. E come ogni simbolo, è assolutamente reale, più vero dei due termini che pare logicamente congiungere. È più vivo che interpretabile...
S. V. – Sì mi sembra credibile questa cosa che lo spaziotempo e la ragione che ne può dar conto sono contenuti nella vera realtà e costituiscono anzi, aggiungerei io, la sua “caduta” nella materialità dove tutto è simbolo in fondo di qualcosa che non percepiamo, però nel cristianesimo (non so se in altre religioni) si parla più volte di fine dei tempi e di era messianica come se l’umanità avesse un fine, e ogni singolo uomo avesse il fine di trasformare il suo corpo materiale in un corpo di gloria, intendo dire che questa scissione fra Eterno e temporale, per un cristiano, è destinata a risolversi. Ora è chiaro che noi non possiamo con la nostra mente rappresentarci questo evento però secondo me la storicità in questo senso rimane.
D. Ch. – La storicità è rispetto all’eterno un po’ come la proiezione bidimensionale di un solido. Non c’è vera contraddizione: la storia è sviluppata dalle funzioni della mente comune (memoria e aspettativa), mentre la percezione “geometrica”, “sintetica”, attiene a quello che è stato chiamato “flos mentis” o “apex mentis” o che so, per es. nella qabbalà, “yechidà”. La rivelazione cristiana è un unicum, come lo è il Buddhismo, o l’Islàm. La sua Incarnazione non ha nulla a che vedere con le idee sugli avatàr in India; è tutt’altra cosa. Le teorie indù raccontano la storia ciclica della mente, mentre in Gesù si esprime l’atto squisitamente “iniziatico” della morte al tempo e della nascita nell’eterno presente. Difficile descrivere una cosa del genere; si può solo avvicinarla per intuito, nei momenti in cui tutto il quotidiano perde di senso e sgorga la speranza di qualcosa di infinitamente lontano eppur vicino.
II.
19 ottobre 2016
S. V. – Rileggendo quanto ci siamo scritti, insisto che tu hai una visione “orientale" del rapporto spirito-materia, cioè mi pare in certo senso statica, eppure, come le stelle hanno un lentissimo corso di esistenza, anche il divino, che col suo fiat lux ha creato il tempo, si è immesso nel tempo...
Inoltre in merito al richiamo che fai contro l'attitudine della mente a ridurre l'indicibile ai propri limiti, quando scrivi che la morte e resurrezione del Cristo rappresenta il rito iniziatico della morte al tempo e la nascita nell'eterno, parti con un giudizio che è già un'interpretazione mentale, affiliabile peraltro a schemi esoterici di tipo orientale.
Voglio dire che non è facile sfuggire alla razionalità…
D. Ch. – Certamente non è facile, e ogni affermazione metafisica ha un suo difetto d’origine nella constatazione che la nostra mente è fisicamente incarnata nel nostro corpo. In effetti le affermazioni non possono essere di per sé verità assoluta, però possono essere fattori di stupore, e quindi strumento di verità. Ora, lo stupore è quanto di meno statico esista…
Circa la visione “orientale”, penso che tu abbia ragione. Ma in effetti anche il cristianesimo è “orientale”, e l’idea iniziatica vi era originariamente presente nel battesimo e negli altri sacramenti. È solo nel corso dei secoli che questi sono divenuti delle mere consuetudini spesso prive di significato effettivo. Si è da più parti variamente suggerito che “orientale” è tutto quanto porta alle regioni della nascita del sole interiore (ex oriente lux), e su questo non ho niente da contraddire. Ma ancora una volta, niente è meno statico di questo sole…
S. V. – Il cristianesimo nel corso dei secoli ha subito la discesa sempre più evidente nel materialismo, come se gli uomini più evoluti, in senso occidentale, avessero perso qualcosa per guadagnarne un'altra, destinata secondo me alla catastrofe, perché fondata su basi irreali, ovvero prive di spirito, ma io ritengo che la soluzione non sia tornare indietro, sarebbe come augurarsi che Adamo perdesse la libertà per tornare nel grembo di Dio come alunno perenne dei mondi spirituali. Ci deve essere qualcosa di più grandioso nel progetto per l'Uomo. Quanto allo stupore, che immagino sia il mistero, cui costantemente approdi nel tuo libro Il santo filosofo, mi piace. È come un arrivare ai confini della mente e presentire che oltre c'è la vera realtà e che noi viviamo in un mondo di ombre, ma il Cristo ha detto di sé “io sono la Via”.
D. Ch. – Esatto. Scrive Clemente Alessandrino, riecheggiando gli apocrifi vangeli degli Ebrei e di Tommaso, negli Stromati V, 14, 96.3: «Colui che cerca non cesserà [di cercare] finché non abbia trovato; quando avrà trovato sarà stupito; stupito regnerà; e giunto al regno, si riposerà». E del resto, tanto Platone che Vasugupta, la Grecia e l’India, concordano con lui nell’identificazione dello stupore come segno di conoscenza.
Per il resto tu esiti tra due punti di vista: in uno vedi nella deriva materialista qualcosa che porta alla catastrofe, nell’altro speri in un progetto grandioso per l’uomo. È d’altra parte difficile scegliere tra queste due alternative. L’una corrisponde alla visione secondo cui saremmo nell’età oscura; l’altra all’idea della finale trasmutazione di tutte le cose in una dimensione spirituale.
Io la metterei così: ambedue le prospettive ci appartengono; sta a noi accettare il disastro ovvero sperare l’insperabile. Donde due categorie che ben conoscerai: quella di coloro che tutta la vita si lagnano e prevedono disastri, trovando in ciò la propria soddisfazione; e quella dei pochi che percorrono le vie non battute alla ricerca di una moneta che non suoni falsa…
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