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DIALOGO CON LIVIO BORRIELLO
SUL VEGETARIANESIMO, SULL'ASTROLOGIA, SULLA FILOSOFIA,
SULLA PAROLA, SULLA LOGICA, SU DIO
12/9/2004
Caro Dario, ho visto il tuo bel sito, pieno di cose interessanti (ci sono arrivato, pensa un po', via Melchisedec), anche se a volte un po' dispersivo - non ricordo se questa strategia l'hai teorizzata nelle tue regole per l' insuccesso - ma naturalmente, come è proprio dell'essere umano, sono sollecitato al commento solo sul punto dove mi trovo più in disaccordo, ovvero su questa faccenda del vegetariano, dove mi pare tu faccia troppo sensibilismo. Nemmeno tu mi hai chiarito un punto che mi ha sempre lasciato perplesso nella scelta dei vegetariani: tu parli in tutto il sito di ricerca di valori profondi e assoluti, ma mi spieghi quale distinzione radicale e assoluta è possibile fra un coniglio e una lattuga, fra un vitello rubato a una vacca e il miele rubato alle api? A me pare che, a essere conseguenti, dovremmo tutti morire di fame. O in alternativa mangiare tutto ciò che ci dà voluttà mangiare, da animali quali siamo. Ed è questo forse il vero modo di rispettare gli animali, quelli muti.
Questo è tutto.
Ciao
Livio Borriello
13/9/2004
Caro Livio, a rigore, se espandi il tuo ragionamento, puoi anche mangiare carne umana...
E bada che non sto affatto scherzando, mi ricordo uno strano libro di Tobias Schneebaum che parlava di certe forme di antropofagia di guerra in Amazzonia, in cui c'era un certo sapore di arcaica verità.
La mia scelta vegetariana non si basa su un ragionamento conclusivo, me ne rendo conto, ma non so se esista per qualunque cosa un ragionamento conclusivo.
Io dico solo questo: nei miei pochi rapporti di cittadino con gli animali, ho notato in loro una sensibilità non troppo dissimile dall'umana, mentre - forse per mia carenza, non l'escludo - quest'impressione non ho avuto con la lattuga... Uccidere un animale sarebbe dunque per me una cosa assai sgradevole (non che non potrei - potrei anche uccidere un uomo se fosse davvero necessario), come uccidere un lontano parente. Preferisco non farlo, e detesto l'idea di delegare altri in ciò che io non voglio fare. E del resto ora come ora anche il solo odore della carne cotta o cruda mi dà fastidio; cibarmene proprio non m'attira.
Non ho mai preteso di imporre la mia sensibilità a nessuno; penso tuttavia che, al di là della scelta non violenta, sarebbe assolutamente utile riscoprire, indagare e rispettare la natura, senza sminuirne le ricchezze.
La sensibilità animale mi pare essere spesso più intensa di quella, nevrotica e degradata, dell'uomo.
Personalmente ho un temperamento che tende al mistico: la sensazione di provare amore per qualcuno mi risulta essere utilissima per la mia crescita e anche per la sottigliezza della mia percezione, e ciò è incompatibile con l'uccidere. Quanto all'insalata ecc., certo l'ideale sarebbe potere muoversi senza uccidere nulla, ma ahimè non è dato (ci provano i giainisti in India, ma con sistemi davvero troppo complicati).
Da un punto di vista "naturale" hai ragione tu, uccidere è parte della natura. Ma da un punto di vista "mistico" (a qualcuno questo termine non piace, ma in realtà basta capirsi, uno vale l'altro) uccidere è come porsi una benda sugli occhi, una gravezza che ostacola la comprensione del cuore.
Ti ringrazio del tuo messaggio, e spero che le mie considerazioni su Melchisedec ti abbiano interessato.
Quanto alla dispersività del sito, se trovi una formula migliore che non obblighi l'internauta a passare per più indici, sarò felice di adottarla.
Se poi vuoi continuare il dibattito, sono a tua disposizione.
Un caro saluto
Dario Chioli
13/9/2004
Grazie della bella lettera.
Messa così, sono d'accordo, anche se qualche punto mi continua a suonare assai poco rigoroso e convincente (l'ideale sarebbe muoversi senza uccidere nessuno? ma un ideale essenzialmente irrealizzabile, lo direbbe anche Kierkeegard, è un mezzo ideale, ovvero non lo è affatto - è magari un'ideologia). Ma vedi che nel sito usi tonalità diverse, parli di percorso necessario ecc.
Anch'io come te mi sento "diciamo mistico", che è diverso da sentirsi "mistico". Comunque per ora ho sempre mangiato carne con gusto - anche se non escludo che potrei cambiare, se si accentuasse quella sensibilità specifica appunto alla somiglianza coll'animale (sarebbe una patologia, un'ipersensibilità, ma una di quelle patologie che costituiscono il nostro essere civili).
Potrei peraltro cambiare anche in senso opposto e nutrirmi di carne umana, non lo escludo in assoluto.
Riguardo alla dispersività, io intendevo in realtà un'altra cosa, ovvero che tu scrivi delle belle cose, ma scrivi molto o troppo, e il materiale forse risulta inutilizzabile - visto che ciascuno di noi ha un magazzino o una sporta mnemonica o temporale limitata, e insomma si ha bisogno di prendere dall'altro formule, sintesi - come gli scongiuri o i promemoria da cui è nata forse la letteratura - non possiamo prendere l'altro in blocco.
La faccenda di Melchisedec - roba da best-seller - sì mi era piaciuta (altrimenti non avrei cliccato il sito, io cercavo notizie su Dionigi Areopagita) e anche il resto.
Ciao
Livio
14/9/2004
Un ideale essenzialmente irrealizzabile... non è un po' come cercare l'araba fenice? Hai letto il Pellegrinaggio in Oriente di Hesse? Tutti i personaggi sono in viaggio, un unico viaggio, ma ognuno con un suo obiettivo diverso. E nel mito conta veramente l'obiettivo, o non conta più che altro il viaggio? Difficile rispondere.
Vedi, non credo ad una risposta razionale. La ragione è lo stratega, non la finalità - la finalità è oltre i limiti che la ragione può discernere. Mi sembra che essa possa portare di là, ma non più decifrare. Come un'intensa emozione cancella lo stato d'animo precedente, così la contemplazione sopraffà la consuetudine mentale.
Quindi in definitiva la risposta mia può essere questa: venti giorni fa ho visto una mucca in Istria condotta all'abbeveratoio, e il suo volto era così arcaico, così originario... ho avuto quasi un tuffo al cuore. Non è per sentimentalismo; ci ho visto qualcosa che uno sguardo affrettato non può vedere. E questo qualcosa non mi può consentire di distruggerlo. Una visione. Non si può contestare una visione.
Quanto al fatto che io scriva troppo, può ben essere. Del resto sono assai incline all'understatement, e talvolta pertanto semideliberatamente trascuro la forma.
Ma infine, se fossi perfetto, come farei a migliorare?
Un caro saluto
Dario
14/9/2004
Io però avevo posto l'accento - il corsivo - su essenzialmente. Ovvero mi sembra - mi sembrerebbe - un ideale irrealizzabile nell'essenza, nel punto più profondo ed alto delle cose, ovvero nella sfera ideale. Mi sembra in sostanza (sempre col beneficio dell'inventario esperienziale) superficiale, poiché non rispetta la natura profonda e essenziale delle cose - che sono e esistono nel reciproco rapporto, nel reciproco conflitto, meglio: nella reciproca diversità, che suppone un disallineamento con ciascun'altra. Il fatto stesso di essere presuppone un luogo, dunque uno spazio, e dunque la sottrazione di un luogo possibile all'altro: è già una violenza. Puoi dire: noi siamo in fondo tutti nello stesso punto, ed è vero: ma allora lo siamo ancora anche quando i miei denti stanno addentando la carne dell'altro, e io sto amando e rispettando l'altro anche quando l'ho disfatto e digerito in me.
È bella questa descrizione del volto arcaico della mucca (è la capra semita di Saba, in cui peraltro si querela ogni altra vita) ma credo che da questo rispetto profondo possa conseguire anche il gesto (sacro) della consumazione.
Di fatto sulla carne la mia posizione è: cerco di non mangiarla come un prodotto raccolto al supermercato, la mangio raramente, come un premio, un'assimilazione della sostanza - come se abbia comportato la fatica della caccia e un lungo rituale che abbia elaborato la violenza del gesto.
Sono inoltre contrario alle attuali forme di allevamento e macellazione.
Mi viene infine in mente che il fascino della mucca deriva anche da un'altra cosa: la mucca vive in un altro tempo, in un altro ritmo.
Ciao
Livio
14/9/2004
Grazie di avermi ricordato Saba.
Un celebre inno gnostico recita «mangiamo e siamo mangiati», certamente capisco che si possa rispettare uccidendo e anche percependo la sofferenza della vittima. Ma non è il modo di ragionare corrente, e manifesta anche una certa incongruenza allorché comunque il manzo o il pollo che mangi non viene probabilmente se non da quegli allevamenti abominevoli che giustamente avversi, avversabili non tanto perché vi si uccide, bensì perché vi si tortura senza alcun rispetto, torturando al contempo la propria umanità che meriterebbe di congiungersi a maggior nobiltà e sensibilità.
Ma poi, via, non intendo fermare un dialogo su un solo particolare. Tutto ciò è molto soggettivo, dipende anche da come è trascorsa la propria vita, e si potrebbe discutere all'infinito. Del resto nessuno più di me si irrita alla presenza di quei vegetariani fanatici che altro non vedono oltre la propria dieta.
Altro tempo, altro ritmo (ti cito): questo comunque bisogna ritrovare.
Ciao
Dario
15/9/2004
Sì, sostanzialmente non mi sembra che le nostre posizioni siano troppo lontane, siamo solo in situazioni diverse.
A proposito di Saba: da dove scrivi? Mi sembra di capire dall'oriente nordico.
E io secondo te?
Ciao
Livio
16/9/2004
Non del nordico oriente sono bensì dell'occidente, ovvero di Torino, mentre tu dovresti essere il giornalista irpino Livio Borriello - http://www.maggiesfarm.it/talking227.htm : «Sono Livio Borriello, che ha curato e tradotto il volume Alpi editori su Syd Barrett» - di cui quattro scritti si trovano su http://www.zibaldoni.it/archivio/index_titoli.htm - a meno che questi non sia un tuo omonimo... (ho cercato oggi, potenza di Internet, dopo che mi hai chiesto d'indovinare).
Se sei colui, fammelo sapere. Mi sembra probabile, visto che in uno dei suddetti scritti (Poi tutti assieme andiamo a indignarci...) si cita la pagina di Defoe su Robinson e i cannibali... [...]
Ciao
Dario
19/9/2004
Sì, sono tutte mie le cose disomogenee che hai trovato in rete. Sono comunque cose più giornalistiche, in realtà sono molti anni, dopo aver fatto più che altro un po' di critica letteraria, che mi sono concentrato su ricerche più personali. Ti allego la prefazione a una specie di libro (in parte pubblicato su www.zibaldoni.it, e che ora mi devo decidere a stampare da qualche parte) in cui dico cose che più ti possono riguardare e che attengono anche ai problemi che abbiamo discusso. [...]
Ciao
Un Livio in un mattino supergrigio
19/9/2004
[...] Dalla tua premessa mi pare di capire che il tuo libro dovrebbe essere una specie di diario di viaggio tra le risonanze interiori di luoghi e tempi della vita; però il tutto non mi è chiarissimo. [...] D'altra parte alcune tue espressioni sono particolarmente interessanti, per es.:
- «quel corpo che è una zona, un ispessimento della nostra presenza nel mondo»
- «esplorare quegli spazi della realtà accessibili ad un io indipendentemente dalla sua storia personale, dai suoi geni e dal suo particolare assetto ormonale - ovvero da tutto ciò che costituisce una psiche e una personalità»
- «in un certo senso, è vero d'altra parte che non si scrive per altro che per diffondere la propria semenza psichica nel mondo»
- «gli oggetti potrebbero apparire per attimi illuminati da bagliori provenienti da spazi extralinguistici, baluginare ai bordi della corporeità, trasformarsi in non oggetti, dissolvere i loro caratteri accidentali»
- «un capitolo un po' autistico, che forse può essere compreso solo da chi abbia già pensato pensieri simili e abbia frequentato simili luoghi linguistici» (mi vengono in mente i miei colloqui con un amico fisico...). [...]
Non capisco in realtà fino a che punto il nostro approccio si assomigli. Io forse sono più "medioevale" di te, molto poco interessato al "pensiero" moderno e per niente alle "sperimentazioni letterarie".
Tuttavia «l'idea che la passione - intendendo con questo termine in senso ampio ogni sentire che agisca in un senso centrifugo, che faccia pressione sull'io verso l'esterno - ci espone all'ignoto» è interessante, e senz'altro converge con l'interpretazione "provvidenziale" degli eventi, esterni e interni, sociali e psichici, quale io metodologicamente accetto.
Però io tendo a sostenere energicamente che serve la "grazia", ovvero un "libero dono dello spirito" per poter andare da qualche parte, filosoficamente, con un po' di speranza. Il disvelarsi di Dio nell'anima trasforma l'interpretazione della vita. Tieni tuttavia conto che sto attualmente lavorando a un mio libro su Juan de la Cruz... [...]
Un saluto
Dario
25/9/2004
Effettivamente il nostro approccio si assomiglia in modo molto vago. Sospetto che il maggior punto in comune possa essere una certa inconcludenza pratica, che con un po' di abilità si può spacciare per misticismo. Io spaccio per misticismo anche il mio spirito ipercritico, distruttivo, denegativo - lo spaccio per l'afflato di Savonarola - invece è magari semplice aggressività oppure il misticismo è tutto questo, avere un rapporto con la realtà in qualche modo lacerato, inefficace.
Ma vengo più al merito, e alle tue molte osservazioni su cui non è possibile rispondere estesamente, ma solo troppo in sintesi.
[...] Sulla questione del libro che parla da solo: io credo che questo sia totalmente illusorio. Noi non potremmo percepire nemmeno un colore, nemmeno la frase «il cane abbaia», se non avessimo ben ficcato in testa un rigidissimo schema interpretativo... Se a Dio si arriva, si arriva attraversando questo schema, o lacerandolo... ma proprio a tal fine è meglio esserne coscienti, che non scontarlo passivamente. Peraltro questa è un'idea acquisita dall'arte moderna (che spesso anzi conclude che conti più la presentazione o anche il titolo del contenuto... perché no? anche questa antischematicità è misticismo), di cui tu ti disinteressi... poi verrò a questo punto del medievale e del moderno... qui è il nodo delle differenze fra me e te, credo. Si capisce bene che tu hai un approccio e uno spirito che per comodità possiamo definire così, medievali, e a me sta bene, ovvero apprezzo, per il non molto che ne ho letto, le tue minuziose ricerche, il tuo cabalismo. Io sono piuttosto negato per le lingue [...] ma ho trovato affascinante ad esempio che tu abbia riportato tutti i testi originari su Melchisedec ecc.
Credo anch'io alla necessità della parola, ma forse in senso diverso. Credo che la parola sia la nostra essenza (in ciò si riallacciano l'antico e il moderno, la Genesi-il cabalismo-e-Giovanni e l'ermeneutica-Wittgenstein-Lévinas) e credo che scavando in una parola si possa arrivare in fondo alle cose, ma non credo certo ad es. che Dio possa avere qualche rapporto "particolare" con le parole della Bibbia.
Dove non sono affatto d'accordo con te è sul tuo disinteresse per il pensiero moderno, che peraltro credo dipenda anche da fatti casuali. Sei infatti assai più logico e mentale di quanto possa sembrare, e basta a dimostrarlo l'eccellente senso dell'humour, che mi sembra una delle tue armi linguistiche più efficaci.
Ma d'altronde quel che chiami il pensiero moderno è tutt'altro che riduzionista e positivista, è anzi in genere un modo più intelligente e rigoroso di puntare dove punta il misticismo - e non parlo solo dei principi di Heisenberg e della quantistica che convergono con le teorie buddhiste - ma di Lévinas, di Derrida, di Wittgenstein, di quegli autori che hanno smontato tutto il nostro sentire passando per la strada più difficile, quella che non passa per il delirio new age [...] ma per quel linguaggio che è la nostra essenza costitutiva.
Io poi ho seri dubbi che il vero misticismo oggigiorno possa aver a che fare troppo con la lettura di antichi testi mistici. È una cosa affascinante, ripeto, la amo anch'io, ma infine è quello il gioco intellettuale. Invece chi sente totalmente e misticamente in questo istante e in questo luogo che è il presente, non può non sentire anche le teorie di Einstein, non può non sentire la musica rock, i film porno o la poesia beat, tutto ciò insomma che fa avvertire l'insufficienza della realtà e premere verso un punto esterno indefinibile.
Kierkegaard liquidava la questione osservando che ogni testo religioso è necessariamente un'approssimazione, e dunque non può concernere il bisogno della beatitudine infinita. Forse, per me, ciò non toglie che questi testi si possano attraversare per andare oltre, che spesso offrano degli spazi, degli anditi, degli interstizi più ampi a questo scopo di molti testi letterari ecc. - ma non credo proprio che si possa ridurre ad essi l'essere mistici.
Sono andato a leggere qualche altra cosa sul tuo sito, ed ho trovato varie altre cose interessanti. davvero ottimo ad es. il testo sull'astrologia, e te lo dico da competente essendo nel giro da anni. [...]
Anche il testo sull'esistenza di Dio era bello. Juan de la Cruz è uno di quei non moltissimi mistici che ancora non ho incrociato per nulla. Le poesie che ho letto sul tuo sito mi paiono ben tradotte ma in sé forse troppo letterarie.
A presto. Ciao
Livio
25/9/2004
Interessante che possiamo avere in comune l'inconcludenza pratica! E non sei neanche un Acquario... anche se sei sempre Arioso... [...]
Una precisazione: quando dico che non m'interessa il "pensiero" moderno, metto tale parola "pensiero" appunto tra virgolette, il che significa che non intendo affatto mettere dentro tali virgolette né Einstein né la ricerca scientifica, che hanno indubbiamente diritto a rientrare nel pensiero senza virgolette e che m'interessano, pur coi limiti dovuti alla mia formazione umanistica. Io sono curioso di tutto.
Né del tutto detesto i filosofi; per esempio amavo sia Giorgio Colli che, un po' meno, Furio Jesi. Ma devo avere o portare sfiga perché sono morti relativamente giovani tutt'e due...
Dovessi scrivere una storia della filosofia moderna secondo il mio punto di vista, comunque, ci metterei Buber, Scholem, Corbin, Guénon, Nasr e, di quelli normalmente presenti nei libri di testo (ahi quanto male), Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche, e poi probabilmente gente come Jung, Popper, Lorenz, Santillana, Needham (autore di una imponente storia della scienza cinese), un sacco d'altra gente che le accademie filosofiche disdegnano, e anche altri come Gandhi, Tolstoj, Marx (quello che è derivato da lui non è precisamente il mio punto di vista, ma questo non significa che fosse un fesso). Non si può senza essere deficienti pensare che il cervello moderno sia accordato con quello degli assertori del pensiero debole o della morte di Dio. Sono perfettamente d'accordo che non si possano trascurare Einstein o la quantistica o la considerazione che esistono i computer e che il mondo è diverso da quello di mio nonno.
Se invece mi parlano di Vattimo, Bobbio e altri così, oppure di Hegel e di Heidegger, mi viene una noja con sei j.
Quanto a Lévinas, Wittgenstein, Derrida ecc. non so, non mi interessano così tanto, ho letto qualcosa di Lévinas, un libretto sui colori di Wittgenstein (boh) e non ho letto Derrida. [...]
Non so quanto sia affine la nostra percezione del significato del termine "mistica". Per me si tratta di qualcosa di essenzialmente pragmatico, legato a filo doppio all'etica personale per ragioni di causa-effetto (se inganni te stesso o altri, di fatto ostruisci il tuo cammino), e impercorribile per me senza un buon supporto razionale (mistica=labirinto; ragione=filo d'Arianna).
Mi ha fatto particolarmente piacere che tu abbia apprezzato il mio testo sull'astrologia, che fu composto come una specie di sunto finale di un periodo di ricerche sull'argomento.
Ciao
Dario
1/10/2004
Dici bene a legare l'inconcludenza all'Acquario, che è proprio il segno che ci accomuna. [...]
I filosofi che citi nel primo gruppone invero non li conosco - magari ne leggerò qualcuno se mi capita sottomano - sui noti che citi sono più o meno d'accordo, Vattimo so bene che a Torino incombe, ma direi che nessuno lo considera un grande pensatore, è certo una buona testa, uno studioso, una persona che a me piace, ma non credo abbia dischiuso nuovi mondi a nessuno, Heidegger credo che lo sottovaluti, ma è questione di gusti. Quello di cui sono certo è che sottovaluti almeno Wittgenstein e Lévinas fra i filosofi davvero moderni, ovvero che hanno determinato il pensare del dopoguerra. Wittgenstein passa per positivista, ma per le menti più accorte è un mistico nel senso in cui lo si può essere oggi, sapendo non solo che e=mc2, ma ad es. che la psiche ha la struttura di un linguaggio (Lacan) o che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo (Wittgenstein). Wittgenstein definisce la sua filosofia uno sbattere incessantemente contro le pareti del linguaggio - ovvero contro i nostri limiti - e questo è per me il modo di essere mistici oggi (le osservazioni sui colori sono sue cose marginali rispetto al Tractatus o alle Ricerche Filosofiche ecc, ma possono rendere l'idea dell'operazione se uno entra nel suo codice... a proposito: non ti pare fuori luogo usare in questi ambiti il termine «noioso»? Come pensi che giudicherebbe una discotecara la ricerca su Melchisedec? «Noioso» è di regola un linguaggio di cui non abbiamo appreso il codice, con cui non risuoniamo.
Ancora più vivamente ti suggerirei di leggere Lévinas, un filosofo potente e insieme suggestivo, profondamente pervaso dello spirito ebraico, e che credo abbia teorizzato nel modo più icastico e definitivo il legame fra etica e religione, a cui tu - come peraltro anch'io - ti dici sensibile. Lévinas vede il sorgere dell'etica nella richiesta di responsabilità che nasce dal volto dell'altro, e ha scritto splendide pagine su ciò che rappresenta questo volto, che è l'immagine più piena dell'alterità e in definitiva di quell'assolutamente altro che è Dio (ciò soprattutto in Totalità e infinito).
Il testo di astrologia è una bella sintesi con molti spunti profondi, le idee sul trauma ecc. [...]. Mi piacerebbe che fosse più conosciuto. Non è tanto vero però che l'astrologia ci azzecchi tanto poco: ci sono pochissimi astrologi intelligenti e intuitivi, fra cui André Barbault, che riescono a fare ottime previsioni, e anch'io facendo analisi "al buio" spesso indovino cose sorprendenti.
Ciao
Livio
4/10/2004
Mah... inconcludente o no, chi lo sa? Lo saprò forse alla fine della vita.[...]
Dagli astrologi aspetto sempre una previsione incontrovertibilmente precisa e "ante factum", o che ammettano chiaramente di non saperle fare; a far previsioni dubbie o successive agli eventi sono tutti capaci.
Sui filosofi rimango della mia opinione. Io non credo affatto alla filosofia come ricerca puramente intellettualistica. La filosofia è per me ancella della mistica, e la mistica è quella dei maestri ben noti, i Santi, i Sufi, gli Yogi, quelli di gran livello per intenderci, non uno come Heidegger che è così lungimirante da associarsi al nazismo, anche se poi cambia idea, del che gli do atto...
Tuttavia non ho mai detto di non stimare Lévinas, semplicemente lo conosco poco.
Quanto al fatto che il mio Melchisedec possa essere noioso per una discotecara, ne sono conscio, ma via, non tutto pari è...
Il nostro relativo dissenso sta forse in quel tuo "mistico nel senso in cui lo si può essere oggi": per me non vi è ragione di pensare che questo senso sia diverso oggi da ieri. Sub specie aeternitatis non vi è, appunto, tempo, e la cosa è ben chiara ai ricercatori che ti ho citato, Buber, Corbin, Guénon, Nasr, ma molti altri - tutti assertori della Sophia Perennis - potrei aggiungerne, nessuno dei quali comparirà mai, probabilmente, in un manuale di storia della filosofia, fatti tutti da impotenti privi del "flos mentis" per altri impotenti altrettanto ciechi.
Francamente poi, supporre che la psiche abbia la struttura del linguaggio, mi sembra un bel modo di tagliarsi gli attributi da solo... nel senso che se così si crede, così diventa, ma se così non si crede, non è affatto così... Ovvero: se per capire hai deciso di pietrificarti nel noto invece che approfondire l'ignoto, sei padrone, irrigidirai tutto e ti sembrerà d'aver capito, ma avrai solo mummificato quanto era infinitamente vivo e sfuggente.
Capirai da ciò che non sono affatto un assertore del pensiero debole...
Un caro saluto
Dario
7/10/2004
[...] Il primo dei pochi pezzi che ho pubblicato su Linguaggio Astrale [...] s'intitolava Il falso oroscopo di Charlie Chaplin, e vi dimostravo appunto che partendo da un oroscopo fasullo e casuale riuscivo a ritrovarvi esattamente il carattere e la vita di Chaplin. Dunque mi inviti a nozze, quando esigi rigore dalle previsioni ecc., però ti posso dire ad es. che Barbault - studiando gli aspetti fra Sole Giove e Venere, e con un'analisi plausibile e avveduta - indicò due date (con un paio di giorni di tolleranza) per la fine del conflitto in Kuwait e ci indovinò... e se questo è un caso aneddotico (ed è vero che la previsione è la parte più fallace dell'astrologia, io non ne faccio mai), esistono le amplissime statistiche di Gauquelin, che io stesso ho verificato con ricerche su varie centinaia di casi, ottenendo le stesse curve.
I veri mistici... Heidegger e il nazismo, certo... anche per me è assai importante la verifica delle parole nelle vite... e tuttavia che ne sappiamo della vera vita o dei veri sentimenti di San Paolo o di chi scrisse la Bibbia... e poi si può scrivere giustamente che 2+2 fa 4, o che si amano le mele, e poi per passione sostenere che fa 5 e per interesse comprare le pere... insomma il problema si pone ma non basta a liquidare il pensiero di Heidegger.
Di Guénon (mi pare islamizzato) e di Buber, almeno qualche articolo avrò letto, ma o non mi ha colpito o non so che... attendo comunque di farmi un'idea...
Individui invece bene le differenze fra le nostre posizioni nella mia idea del misticismo diciamo così aggiornato.
Io non parlo ovviamente dell'essere mistici oggi nel senso berlusconiano, per cui la Bibbia va riscritta con attori alla moda e morali più elastiche...
Qui mi pare si replichi la questione sul vegetariano: per me mistico è accettare anche l'aggressività dell'animale che sono, e nello stesso modo mistico è per me comprendere in quel che sento anche la mia razionalità. Se io guardo gli occhi della mia amata o vedo il culo di una passante, se esisto intensamente in quell'istante al punto da estasiarmi e uscire da me, io sono certo in quel momento che sia una forza misteriosa - flos mentis o amore o le virtù soprannaturali di quella donna - a procurarmi quel sentire. Ma se sono un mistico nel senso che intendo io, ho il coraggio etico, la cultura contemporanea e la lucidità di fare uno sforzo sul mio sentire e, includendovi anche la razionalità, di capire quali meccanismi riproduttivi, quali interessi della mia psiche, quale insieme di segni superficiali (armonia fisica, segnali di fitness, caratteri psichici che mi rassicurano), quali semiologie sommuovano i miei bassi o sublimi sentimenti.
Nello stesso modo, se sento Dio, io devo sapere, è un mio dovere etico e infine mistico (usiamo il termine come va) che tutto ciò che costituisce il mio io è un effetto di linguaggio. Non si tratta di castrarsi, come non è castrarsi chiedere attendibilità alle previsioni astrologiche, ma di un modo di andare in direzione dell'autenticità e anzi di sentire più intensamente. Senza lingua non sapremmo di esistere, non saremmo uomini, non crederemmo a Dio.
Senza linguaggio, senza codici, non percepiremmo nemmeno i colori, perché quell'indeterminata, mistica e unitaria sensazione di giallo che proviamo quando vediamo il giallo, altro non è che la decodifica di un sistema di segni - il sistema differenziale dei coni e bastoncelli di neuroni ecc. - che con un altro codice interpretativo percepiremmo diversamente (il daltonico) o ignoreremmo (il verme). E che altro siamo noi se non questa somma di colori sentimenti estasi pensieri ecc. tutti linguistici?
Allora, dici tu, questo è riduzionismo. No, perché all'uomo razionale, nella coscienza della fallacia di ogni sensazione (anche Hitler decise di sterminare gli ebrei mosso da sensazioni profonde e dottrine teosofiche che a lui sembravano nobili... ma che come tutte le sensazioni e le tesi irrazionaliste erano inverificabili) non resta altro che la constatazione razionale che non ha potuto capire tutto, che c'è ancora tutto da spiegare oltre ciò che sente e pensa, che può solo sbattere (ma senza mai arrendersi) sulle pareti del linguaggio, come faceva Wittgenstein. Mistico è vedere il mondo come un tutto limitato, diceva questi, e così io credo che al vero mistico contemporaneo non sia dato che fermarsi prima di questo limite, consapevole che l'Altro, se è davvero divino, non può essere presuntuosamente accessibile a noi umani. Peraltro di che è fatto il tuo misticismo praticamente? Di testi, di parole, né può essere altrimenti per l'uomo.
O credi all'anima divisa dal linguaggio? Ma sarebbe una visione ingenua, non c'è anima senza linguaggio, e intendo per linguaggio ogni nostro codice percettivo.
«Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere» diceva Wittgenstein, che è come dire che tutti i testi mistici sono una panzana o un'approssimazione (Kierkegaard), e che il vero mistico può solo parlare razionalmente ma nel contempo avvertire (in maniera magari viscerale, potente come lo pseudo-Dionigi o le mistiche medievali) l'insufficienza di ciò che dice.
Insomma io credo al sentimento mistico che parte dall'oggi e dal qui perché ho una rigorosa coscienza della limitatezza umana di ogni cosa che sento. E prova della limitatezza di quel che tu, il sufi o io sentiamo è il fatto che questo sentire non sia condiviso da tutti (né mi pare un buon esito questa tua meritocrazia del flos, con le accuse di impotenza ai disgraziati che ne sono privi), bensì è sentito solo dal punto del mondo in cui siamo io, tu o il sufi.
O in altri termini, se ogni sentire parte da un qui ed ora, non c'è sentire sub specie aeternitatis, ma solo un procedere per visibilia ad invisibilia, come diceva Ildegarda, che è una mistica che amo.
Sono stato lungo, forse non sempre chiaro, ma credo che qualcosa qua e là si intraveda.
Ciao
Livio
7/10/2004
[...] Barbault, le previsioni... io in teoria accetto quasi tutto... m'è parso di far interpretazioni previsioni azzeccate pure io stesso, in passato...
Gauquelin bisognerebbe verificarlo bene, non ho mai capito però fino in fondo il senso astrologico delle sue statistiche, se ben ricordo basate su singoli aspetti unici avulsi dal contesto. Se tu dici che ne hai verificato le statistiche, mi piacerebbe sapere in dettaglio cosa hai ottenuto e soprattutto come.
Sul misticismo lascerei trapassare la discussione, perché le parole finiscono per confondere.
Io non divido l'anima dal linguaggio, ma bisogna capirsi su cos'è il linguaggio. Il linguaggio ha varie profondità, non è mica sempre allo stesso livello. Io trovo assai corretta l'analisi tradizionale indù che parla di quattro stati della parola associati ai quattro stati di coscienza, ovvero la veglia associata alla parola formulata, il sogno a quella pensata, il sonno profondo al suo aspetto germinale, e il quarto stato al suo aspetto atemporale. O suppergiù. Niente schemi piatti. Una tridimensionalità più il Quarto. Che non sono poi che un'altra versione dei quattro sensi dell'esegesi medievale: letterale, allegorico, morale, anagogico.
Guénon è fondamentale per chi si occupa di esoterismo, Buber lo è per chi si occupa di mistica ebraica (i suoi studi eruditi sono un po' noiosi ma quelli chassidici interessantissimi).
Ciao
Dario
10/10/2004
Caro Dario, in verità non mi piace tanto questo modo di gettare la spugna piuttosto new age, per cui a un certo punto di ogni discussione, vista la mala parata, ovvero l'impossibilità di sostenersi su ciò di cui si è convinti, si afferma che le parole confondono. Se è così, chiudi il sito, dove ce ne sono una caterva che dovrei dunque giudicare un tentativo di buggerare il prossimo. Se le parole sono una cosa seria, lo sono sempre, e così le persone che le pronunciano.
L'aspetto atemporale della parola? a me sembra un flatus vocis.
Io vorrei che tu fossi col tuo flos mentis così esigente come lo sei verso gli astrologi. Fra questi sono molti quelli che, alle tue obiezioni, risponderebbero che le parole confondono, le statistiche banalizzano, l'astrologia è una mantica e bisogna sentire il simbolo e altre sciocchezze. Io non lo faccio mai, cerco di andare oltre con rigore.
A tal proposito, per un'idea precisa sugli studi di Gauquelin, bisognerebbe vedere i grafici e le tabelle. Ce ne sono su vari testi di Armenia edizioni (L'astrologia di fronte alla scienza ecc,) ma anche, se non erro, su Astrologia e psicanalisi di Barbault ed altri forse anche in rete. [...]
Comunque il più classico è lo studio su 40.000 sportivi di successo, in cui si dimostra che nel loro oroscopo natale Marte (insieme a Giove) è con grande frequenza appena culminato o appena sorto, in una zona che corrisponde più o meno a casa IX e casa XII dell'astrologia, e con picchi opposti secondari in III e in VI. Uno studio ripetuto, mi pare, su 20.000 casi nuovi diede la stessa curva, e statistiche ripetute su politici, attori, scrittori ecc. relativamente ad altri pianeti ribadirono la stessa curva. Io ho condotto uno studio su circa 500 scrittori (ma con un campione più denso, più selettivo), testando pianeti diversi da quelli di Gauquelin, con risultati più o meno simili (maggiore accentuazione della casa III legata al linguaggio). Questo studio su Mercurio e la scrittura uscì su Linguaggio Astrale. Altri piccoli studi e conteggi mi hanno confernato la realtà effettuale della curva. Insomma per me nell'astrologia c'è qualcosa che funziona e non si sa perché funziona.
Ciao
Livio
10/10/2004
Caro Livio, non è questione di gettare la spugna, è che appunto, secondo quanto tu stesso dici, a te l'aspetto atemporale della parola "sembra un flatus vocis". Ovvero: come si fa a confrontarsi su basi così diverse? Io ho una formazione mistico-esoterica, ho scritto libri sulla Qabbalà, sul Padre Nostro, sul Giubileo, da decine d'anni ne vado scrivendo uno sul Tantra, sto finendone uno su san Juan de la Cruz, sul sito vi sono centinaia di articoli su argomenti simili ecc. ecc.
Ho letto tre o più volte quasi tutte le decine di opere di Guénon, altrettante volte Gurdjieff, tutto quanto ho trovato su Ramakrishna, centinaia o migliaia di opere esoteriche e/o mistiche, ho cercato informazioni in merito per trentacinque anni in parecchie lingue, mentre ho elaborato negli anni una pressoché totale sfiducia nella filosofia moderna, e sono scarsamente adatto a cambiare idea, perché mi sembra, fatta qualche eccezione, assolutamente "intellettualistica" ed impotente ad affrontare il "problema" della morte, nonché povera di qualunque reale simbologia che sia davvero in grado di ricollegare (sym + bolos) la creatura all'origine atemporale.
Se devo confrontarmi sul tema della parola, io ci devo mettere in mezzo per forza l'idea/esperienza del Logos, che temporale non è, l'immaginazione creatrice di Corbin o Jung, che lo è ma in modo ben anomalo, la magia, il sogno, mentre le opere degli epistemologi, degli psicologi e dei filosofi moderni mi fanno l'effetto di una carta velina assolutamente bidimensionale.
E poi non posso non basarmi sul fatto che a dodici anni ho iniziato a scrivere poesia, e che la percezione della Shakti (la si chiami Madonna Intelligenza, o la donna interiore, o Maria Vergine, non cambia molto...) per me è un fatto - nella poesia in primo luogo manifestatosi - e non un'ipotesi. Vi sono percezioni sottili e anche fisiche che o uno le ha vissute o pensa che siano balle.
Ho passato periodi in cui pregavo in arabo, altri in cui pregavo in latino, o in sanscrito, o in ebraico, mentre negli ultimi anni prego solo col silenzio, verso la tenebra dell'intelletto, perché le forme m'hanno manifestato la loro insufficienza, ovvero la loro intercambiabilità. Ora, quando uno se ne sta da anni a cercare di entrare con tutta la sua affettività e tutto il suo intelletto nella morte della parola pronunciata e pensata, a cercare di oltrepassarla, e di attingere il Logos con la sua sintesi acosmica (unico pensiero veramente "oggettivo" e contemporaneamente "soggettivo"), non puoi venirgli a dire che la parola atemporale è un flatus vocis...
Ovvero, non è che le parole mi confondano; vedo le mie parole come un tessuto magico, come il tappeto steso dove chi cammina può incrociare altro da ciò che attendeva. Ed è quest'altro che m'importa. E quest'altro ha effetti sensoriali e morali, non è star lì a parlare e leggere libri, ché allora è meglio vendere pomodori al mercato.
Io credo precisamente alle parole di chi alle parole non crede, di chi attingendo al Verbo non dà realtà propria ai sogni che ne derivano nel mondo. Perché, fuor dell'origine atemporale, tutto il resto più diventa chiaro più diventa onirico, fino a giungere al mondo dell'opinione di platonica memoria. Se dunque tu vuoi costringermi a entrare nel mondo dell'opinione a parlare delle implicazioni psicologiche della parola, io mi ritrarrò perché semplicemente non me ne frega niente, non attribuendo alla cosa alcun significato. La psiche sopravvive finché sopravvive il corpo; o si sviluppa qualcos'altro oppure tanto vale godere il più possibile e lasciar perdere ogni studio.
Questo non significa che io non abbia nessun rispetto per quanto fanno gli altri che la vivono diversamente; semplicemente per me risulta inconcludente. Io non sono in cerca di un cammino da percorrere; sono piuttosto in cerca dell'energia sufficiente a proseguirlo e magari concluderlo.
Lasciami citare da un libro di Paolo Lucarelli (Lettere musulmane - Riflessioni sull'Alchimia, chi parla è Dio): «Quando tu conosci la conoscenza che procede da me, io ti punisco se segui coloro che non sanno, e ti punisco anche se segui coloro che sanno».
Quanto all'astrologia, condivido che ci sia qualcosa che pare funzionare ma non si sa perché. Però su Gauquelin non so, bisognerebbe verificare le sue metodologie coi documenti originali; purtroppo la mia fiducia con gli "studiosi alternativi" è prossima allo zero, soprattutto per quanto riguarda la loro abilità nell'utilizzare le tecniche statistiche, cosa tutt'altro che semplice. Per es. un campione di 500 è in realtà piccolo, e bisogna vedere con che criterio lo hai selezionato. Con un campione così piccolo, comunque, per risultare significativa, la percentuale dei risultati dev'essere assai difforme dalla media, non basta una fluttuazione minima.
Ciao (scusa il tono un po' polemico, che del resto non è diversissimo dal tuo)
Dario
16/10/2004
Caro Dario, qui per me non si tratta di far polemiche o di aver torto o ragione, ma di vedere di capire qualcosa di più di quel che si è capito, di arrivare a un punto in cui possa dire: ok, questo modo di utilizzare le parole di Dario o mio è corretto, oppure non lo è - poiché è tanto evidente che noi non ci stiamo rapportando altrove che nel linguaggio, ché nemmeno ci conosciamo.
E certe asserzioni, se si formulano nel linguaggio, è appunto linguisticamente che vanno verificate.
Tu dici: ma le mie parole sono un tessuto magico ecc. - d'accordissimo - anche le mie, ma attenzione: le mie quando scrivo letterariamente, o, se vuoi, quando prego (poiché per me scrivere è anche un pregare), ovvero, potremmo dire, quando parlo con Dio (o con me stesso, o magari con l'amata che in quel momento diventa me stesso). Ma io posso pregare ripetendo mille volte la parola Om o Gloria o Salvami o meglio ancora tacendo come dici, ma non posso fare lo stesso quando parlo col prossimo, perché in tal caso il Livio o il Dario di turno mi darebbe del pazzo, o si sentirebbe raggirato.
Dunque quando non prego devo parlare correttamente (e ad es. avvalorare statisticamente quel che dico) e devo rispettare delle regole condivise, se sono una persona etica.
Detto questo, per me il problema è: è corretto dire che esiste un linguaggio atemporale? sono io che non colgo un aspetto che legittima l'espressione, o sei tu che sei approssimativo, come è facile esserlo quando non si vuole morire?
O in altri termini: se non ci incontriamo su un'asserzione comune, allora o c'è qualcosa che non percepisco bene io (un certo tipo di percezione olistica? un modo pubblico di usare le parole private?), o qualcosa che non vedi bene tu (la comune origine di percezione e parola?), e sarebbe bene allora guardar meglio.
Lo schema indù ha un suo fascino, ma per me è come una poesia di Leopardi che fa fiorire le viole a maggio. Di fatto non lo utilizzo socialmente, esattamente come, al mercato, quando compro le mele, non pretendo di pagarle che so, con un'intenzione o un pezzo di legno (e quanta divinità e sacralità e fatalità c'è nel gesto autentico di acquisto delle mele!)
Poiché che significa parola atemporale? non ti torna che qualunque parola ha una sua durata? ed anche qualunque silenzio? Tu puoi certo sprofondare nell'attimo fino a perdere il concetto del tempo. Ma non è questa una sensazione che può indurre anche una droga o la rabbia? Tu pensi allora a una specie di traccia, di spazio vuoto della parola archetipo, in cui di fatto la parola non c'è e non ha durata (non ha la materialità dei suoni). Che detta in altri termini è l'emozione che produce la parole, non la parola. Ma io ti dico che anche questa nasce dalla sottrazione della parola sonora, e che letta come la legge l'indù è un inganno, è maya. Io ti dico che se guardi bene, con coraggio, non puoi non vedere che questa sensazione archetipa che avverti nasce in una struttura linguistica, nasce nel sedimento millenario delle culture, nasce nel momento infantile in cui hai cominciato a separare il sé dal non sé, ad avere un'idea (ovvero uno schema linguistico-percettivo) del mondo (riflette su questa cosa non solo tutta la filosofia moderna ma, per dire, anche il cinema... penso ora a Il ragazzo selvaggio di Truffaut, e al Caspar Hauser di Herzog). Prima di questo momento, se non eri nulla, se non avevi un io, e nemmeno un luogo in cui collocare il tuo io, se manco esistevi ma soltanto c'era qualcosa, se non era sorto ancora il soggetto, che parola atemporale ci poteva essere? o a che pro chiamarla parola, se con la parola nulla condivide? C'era solo continuo, caos, c'era solo il non-ancora.
Se è così cambia qualcosa? Sì, cambia il modo di parlare, di comunicare, che per me si ritrova più rigorosamente in molti filosofi, che non è vero che non affrontino il problema dell'eternità o della felicità, ma piuttosto ne parlano con più pudore, supponendo dietro il loro linguaggio più rigoroso la parte di indicibile che è nel problema (almeno alcuni di loro).
Ho cercato invano nel web testi di Guénon (anche sul tuo sito, dove ho notato fra l'altro del materiale su Omar Khayyam che voglio andare a leggere). Per ora ho trovato solo l'oroscopo - dovrò comprare qualcosa.
Sulle statistiche: sì, ma se la stessa curva si ripete, anche pochi casi sono significativi, è infinitesima la probabilità che 500 casi (e gli studi medici e farmaceutici si fanno su un campione assai inferiore) vadano a capitare proprio dove me li aspetto. Gauquelin peraltro non era un astrologo, era partito da altre aspettative (alla fine si è suicidato, ma non so perché).
Concludendo, è indubbio che così la discussione rischia di diventare inesauribile, ma io vorrei arrivare, magari più sinteticamente, a qualche punto.
Ciao
Livio
23/10/2004
Caro Livio, quando si dice a uno che non vuole morire, è difficile dargli torto...
Che poi tutto derivi da lì io non lo credo, ma è ben improbabile che si riesca a dimostrartelo.
Quanto al modo di usare le parole, mi pare, te l'ho già detto, eminentemente soggettivo, ed è a mezzo di esperienze comuni che mi sembra ci si possa capire, non certo per una oggettività concettuale che mi pare del tutto fantasmatica. Il carpentiere capisce bene il carpentiere in quanto carpentiere, il professore capisce bene il professore in quanto professore.
Non capisco poi bene la divisione che fai tra linguaggio comune e linguaggio letterario. Sullo stile, può darsi, ma sul contenuto non può esservi differenza, a parità di argomento e circostanza.
Potremmo inoltre dire che c'è una mistica della parola ma anche una parola atemporale. La prima ben si vede nella profluvie di simboli dogmi e riti delle varie tradizioni, e nei miliardi di opere scritte e pensate. La seconda è forse solo come un attimo di silenzio, ma senza questo attimo tutto il resto non significa che in apparenza. E questo attimo, attingibile nel deserto interiore, luogo preciso dove l'uomo si spoglia di tutte le sue vesti, è di utilità essenzialmente pratica, in quanto è la base di ogni sicurezza. La forza interiore (o fede se vuoi) non ha infatti alcuna possibilità di resistenza di fronte alla considerazione della morte finché è legata alle forme, mentre perdura se da tali forme è slegata.
Non penso poi che lo schema indù sia inutilizzabile, se è riconosciuto e vissuto, mentre certo lo è se è solo pensato o immaginato.
Tu parli della durata della parola e anche del silenzio. Ora, a me tale durata pare relativa. In particolare, a riguardo del silenzio di cui io parlo, tale durata non è nel senso del procedere bensì nel senso del penetrare. Ecco, tanto più dura quanto più va a fondo, mentre la dimensione temporale è inessenziale. Direi che il silenzio dei mistici è una densità, è quella che gli gnostici forse in parte intuivano incarnando gli eoni temporali come dèmoni.
Il paradosso apparente è dunque che, mentre tu parli del silenzio come traccia della parola, a me pare che tale traccia sia appunto la reperibile ed esperibile fonte della parola. Che poi tale fonte non sia l'emozione è per me chiaro in virtù del fatto che l'esperienza di essa può realizzarsi all'interno di qualsiasi stato d'animo ed emotivo, cosa questa peraltro tutt'altro che chiara nelle espressioni dei mistici stessi, che pure van sempre dicendo dell'onnipresenza di Dio...
Ora, tu chiedi: questa cosa silenziosa perché chiamarla parola? La si chiama parola perché è la ragion d'essere, l'entelechia di tutte le parole pensate e pronunciate.
Il concetto di maya indù è assai complesso, e gli indù stessi troppo spesso dimenticano che se maya è spesso illusoria, essa è però anche l'insondabile energia divina, che si fa illusione solo per chi non la comprende. E qualcuno ricorderebbe, a torto o a ragione, che Maia è la madre di Ermes e Maya la madre del Buddha.
Mi rendo tuttavia conto che il modo in cui ciascuno di noi espone i suoi punti di vista derivano, come tu dici, dalla stratificazione di innumerevoli esperienze precedenti. È questo che rende difficile comprendersi. Però se uno crede davvero di non avere in sé nulla di autonomo, nulla che possa da tale stratificazione innalzarsi libero, allora come può parlare supponendo di dire qualcosa?
Ciao
Dario
PS. I testi di Guénon in rete non li trovi perché c'è ancora il copyright; trovi solo qualcosa (poco) in spagnolo.
Sulle statistiche, quel che dici mi pare esatto, basta che tu sia sicuro che i criteri che hai utilizzato siano corretti (non conta se quelli delle case farmaceutiche sono balle). Se così è, dovresti fare un lavoro di ordinamento: stabilire un protocollo di ricerca chiaro e univoco, ed esporre i dati che hai raccolto coerentemente con quel protocollo. Ovvero: esporre uno schema sintetico di tutti gli obiettivi che ti sei prefisso e analizzare ogni caso sotto tutti questi aspetti, con relative conseguenze statistiche. A questo punto, se ti riesce, la cosa si farebbe alquanto interessante. Ma saresti forse il primo a cui riesce.
30/10/2004
Tu sei convinto di non morire... è possibile che non morirai, ma ti posso assicurare che morirà - non per portare iella - la forma e la sostanza del tuo corpo, e nel caso migliore è una tragica perdita - la mia muore istante per istante invecchiando, e ne soffro.
Sicuramente sulla necessità di chiamare parola questa ragion d'essere delle parole c'è una divergenza. I criminali sono la ragione d'essere dei poliziotti, ma non li chiamo poliziotti.
Altra divergenza è quella della stratificazione. Io penso che quel che aggiungiamo al mondo, è semplicemente il nostro corpo - la materia che si è prodotta in un utero e che prima non c'era, o non era organizzata.
L'anima penso che sia collettiva. Che sia solo prodotto e sostanza di quella stratificazione, a me sembra una concezione più rigorosa, così come a me sembra fantasmatica, più che l'oggettività concettuale, l'esperienza comune di cui tu parli: non esiste nessuna esperienza comune, ogni corpo è unico e irripetibile e due corpi diversi non possono avere la stessa esperienza - sempre a essere rigorosi. Il concetto è invece per definizione oggettivo: lo è perché così ci accordiamo noi, quello intendiamo per oggettivo.
Il lavoro che dici sugli astri lo ha fatto Gauquelin, come credo appaia a chi lo guardi con intelligenza e senza prevenzioni - io ho solo applicato mi pare con buoni esiti i suoi risultati.
Ciao
Livio
31/10/2004
Caro Livio, "oggettivo" e "rigoroso" sono termini alquanto soggettivi, come risulta chiaro riguardo al primo termine quando tu dici:
«per definizione oggettivo: lo è perché così ci accordiamo noi, quello intendiamo per oggettivo».
Quanto poi al non morire, è chiaro che il mio organismo è legato ad un breve istante spaziotemporale. Non è questo il problema.
Che poi l'anima sia o no semplicemente il prodotto di una stratificazione, credi tu d'essere in grado di convincermene o che io possa convincerti del contrario? Che ogni fattore psichico e mentale abbia una sua controparte biochimica e viceversa non dimostra affatto che siano la stessa cosa. Anzi, io sono anche disposto ad ammettere che psiche mente e biologia possano essere press'a poco la stessa cosa, in quanto non pongo l'autonomia né nella mente né nella psiche, fenomeni ambedue transitori.
Quanto alla ragion d'essere delle parole che tu dici non potersi chiamare parola, che dire? Io ho dalla mia l'abitudine di migliaia - forse più - d'anni in tutte le lingue sacre del mondo, e non ci rinuncerò perché tu la pensi diversamente. Quanto al fatto che tu non possa chiamare poliziotto la ragion d'essere del criminale, pensaci meglio: sei così sicuro che si possa dividere così semplicemente il divieto dalla sua infrazione? Per altro verso diresti che non fa parte della linguistica il paradigma o la radice verbale, solo perché non sono mai usati come parole distinte?
E torniamo daccapo a dove eravamo diverse email fa: io proponevo di dare un taglio alla discussione in quanto non si poteva arrivare ad un accordo partendo da premesse così diverse, tu hai insistito, e siamo ancora al punto di prima...
Passati una buona Festa di Ognissanti.
Ciao
Dario
31/10/2004
Che dirti, sarà effettivamente come dici, ma io non trovo affatto soddisfacente che appena si arriva ai nodi di una discussione ci si accorga che si parte da presupposti diversi e non si può continuare. Meglio era allora non cominciare.
Magari ti manderò qualche mio testo che ha a che fare col tema in sensi diversi
Ciao
Livio
PS: per me esiste l'oggettivo proprio perché arbitrario: io stabilisco insieme a te che 2+2=4, e sono convinto che è una balla di comodo; ma se domani, nelle stesse ragionevoli condizioni (cioè quelle umane, quelle in cui a te come a me non piace un cazzotto in faccia) tu dici che fa 5, non sei oggettivo. Tu puoi dire: a me il cazzotto può piacere: ma così mi autorizzi a dire che hai torto o qualunque cosa voglia dire (o anche fare, ad es. tirare cazzotti che di fatto ti spiacerebbero... non parlo personalmente, ovviamente). Insomma a me pare che noi stiamo di fatto in un posto e non si può ciurlare nel manico, almeno quando ci si rapporta a un altro, che ha diritto a essere un altro, e che è accessibile solo attraverso un accordo fatto tutto di relatività (il mistico come lo intendi, insomma, lo si può fare solo in silenzio e nella propria solitudine, e coscienti che ogni accordo basato su comuni punti di vista o premesse, è illusorio).
PS del PS: ahimè, non ho resistito a continuare al discussione...
31/10/2004
Vedi, è proprio il metodo che è diverso. Prendiamo una delle tue prime affermazioni:
«per me esiste l'oggettivo proprio perché arbitrario: io stabilisco insieme a te che 2+2=4, e sono convinto che è una balla di comodo; ma se domani, nelle stesse ragionevoli condizioni (cioè quelle umane, quelle in cui a te come a me non piace un cazzotto in faccia) tu dici che fa 5, non sei oggettivo»
Ora:
1) che per te esista l'oggettivo proprio perché arbitrario, per me non ha senso logico;
2) non siamo noi che stabiliamo che 2+2 fa 4, e non è una balla di comodo, bensì è una cosa che si chiama aritmetica che troviamo bell'e fatta, e se noi usiamo il suo linguaggio cambiandone il senso è come se giocassimo a scacchi barando;
3) se io dico che 2+2 fa 5 dico una stupidaggine, a meno che non spieghi in quale particolare senso voglia dirlo. Dato che l'aritmetica è venuta prima di me, sta a me spiegare perché dico una cosa che utilizza il suo linguaggio ma è con essa in contraddizione.
Insomma: io nego a qualunque razionalista il diritto di pretendere che il suo punto di vista sia quello a cui ci si deve rapportare. Il razionalismo arriva in un'età ben tarda dell'umanità, e vuole reggersi in piedi in modo autocontraddittorio, negando il passato con gli strumenti del passato. Non sta logicamente in piedi. L'origine del linguaggio e dell'umanità è metafisica. La logica è un riflesso della divina armonia. L'anima è il filo d'Arianna nel labirinto. Trovare Dio è uccidere il minotauro dell'io. Chi si muove senza filo d'Arianna si perde perché viene divorato dall'io.
Trecento filosofi moderni non valgono una pagina di Tommaso d'Aquino.
Questo tanto per essere concilianti ;-))
Dario (nato non per nulla il 28/1, giorno di san Tommaso d'Aquino...)
16/11/2004
Eh, questa sui filosofi e S. Tommaso (peraltro mio antenato, Landolfo come la blasonata famiglia di mia madre) l'hai sparata un po' pesante... io con 300 santommasi ci farei al massimo una purea teologica per l'istituto di scienze religiose del rione. Ed ecco perché.
Se invece di S. Tommaso avessi letto le Ricerche sui fondamenti della matematica di Wittgenstein, sapresti che la matematica è una pratica, che 2+2 non fa 4, ma ha sempre fatto 4, e ad esempio da domani mattina un diavoletto potrebbe far duplicare una mela ogni volta che l'andiamo a sommare, e così farebbe sempre 5. Nella quantistica d'altronde il risultato è indecidibile, e lo stesso per un essere che non abbia neuroni a sufficienza. Allora tu potresti dire: se è così anche il cazzotto può essere piacevole. Infatti, può esserlo, ma con una probabilità infinitesima, e la logica è la scienza delle alte probabilità, per cui possiamo fidarci a fare 2+2=4.
Ma vengo al nocciolo: la logica è metafisica, è un riflesso della divina armonia.
Qua in un certo senso hai ragione. Io ammetto benissimo che c'è un punto inaccessibile al principio di tutto, e questo punto lo possiamo chiamare anche Dio (io trovo il termine ormai compromesso).
Ma il problema è ammettere che questa emanazione si applica in un punto assai anteriore alla logica, che è invece una nostra convenzione. Dio fa che esista la logica, non che funzioni come funziona - altrimenti non esisterebbe il male e l'errore.
Tu ragioni come un tale che, ignorando che esistano altre lingue, ad es. una in cui la parola cane indichi il gatto, affermasse: il cane abbaia, lo emana Dio. Verrebbe un altro che parla quell'altra lingua a dire: ti sbagli, il cane miagola.
Avrebbero ragione entrambi, dipende da quale convenzione adottiamo.
È da ciò che nascono tutte le incomprensioni degli uomini, dal conflitto arabo-israeliano in giù.
Poiché anche la logica è effetto di un sistema percettivo, un insieme di neuroni ecc. come avviene per il colore ecc. e non si potrebbe sorreggere senza un corpo (e una realtà) che la sostiene.
Scritto questo piuttosto a caldo, mi è sembrato però di dover riflettere un po' meglio su questo punto che come ti ho detto mi sembrava centrale, e ho provato a fare quella salutare e periodica operazione di rimettere un po' in discussione tutti i miei punti di vista più profondi, e riguardare con sguardo nuovo.
Per come l'hai messa nell'ultima, si contrapponevano infatti due posizioni semplici, fondamentali e in qualche modo indimostrabili entrambe, ovvero: tu dici che esiste una logica obiettiva, e che è emanazione di Dio, io dico che la logica la facciamo noi (che dunque siamo artefici anche del linguaggio, che perciò non mi sembra poter essere atemporale ecc.). Ora non c'è dubbio che la tua posizione (che ora mi è più chiara, e anche più coerente col resto delle tue posizioni... che dunque per fortuna non sono viziate di deliri soggettivistici new age, mi pare) appare più pulita, e soddisfacente per molti versi. Infatti, nonostante Wittgenstein, io non posso dimostrare che la logica non esista, perché 2+2 per ora ha sempre fatto 4.
Dal punto di vista pratico la tua posizione è più soddisfacente, e da quello teorico non è criticabile (è solo discutibile).
Tuttavia, avendo atteso altre illuminazioni in questi giorni, non mi sembra di potervi aderire, per questa semplice ragione: che per i miei gusti, così si sposta solo il problema. Perché, per come sono fatto io, una volta postulato o sentito Dio, a me viene da chiedermi: ma di cosa è emanazione Dio?
Insomma, ammetto in parte la tua posizione (e in qualche modo, anche quello di parlare di parola atemporale), ma preferisco quell'incertezza, quell'apertura sia intellettuale che emotiva (quel flos mentis, perché no) che è nel mio rifiuto di chiamare qualcosa Dio, e di delegare alla sua esistenza una serie di problemi che non so risolvere, ed anzi so che forse non risolverò mai.
Ciao
Livio
17/11/2004
Certo che, a partir dal diavoletto, la matematica può diventare qualsiasi sorta di pratica...
Dato però che del diavoletto non c'è alcun bisogno, la matematica non è affatto una pratica, tant'è che non c'è in natura alcuna matematica. La matematica pare essere il limite delle leggi naturali, mai raggiunto, in quanto la natura naturata è per sé meno reale della natura naturans. Il diavoletto è un escamotage, un simbolo del chaos che alla matematica (kosmos) è del tutto opposto, e che tu hai messo lì per fare confusione. Può anche darsi che abbia a che fare coi quark, ma certo non ha a che vedere con la matematica.
Quanto all'esempio del cane che in qualche lingua potrebbe significare gatto, sottovaluti un aspetto fondamentale: il contesto. Non succederà che una lingua sia uguale all'altra salvo per una singola parola come per es. cane; succederà invece che diversi saranno i termini anche per abbaiare, miagolare, le copule, i toni, la sintassi, le mille altre parole con cui s'esprime il senso, la mimica di chi parla ecc. ecc. E tutto ciò non dipende affatto da una convenzione più o meno erudita, bensì dalla storia, ovvero dall'incarnazione storica della Parola eterna. Il linguaggio è naturato dalla parola naturante. Wittgenstein non ha mai creato una lingua e chi invece ci ha provato - vedi esperanto, latino sine flexione, volapük ecc. - ha fatto in fondo nel tempo una figura meschina.
Comunque il problema di fondo rimane a mio avviso che tu vuoi chiamare Dio quello che ti pare un'ipotesi, un concetto, o addirittura l'effetto di qualche neurone. Io chiamo Dio quanto vien perseguito nell'insondabile inabissarsi dell'anima nel profondo del proprio essere. Logicamente lo si potrebbe definire limite dell'anima, come la matematica limite della natura, ma a me non piace molto un approccio simile, soprattutto perché lo trovo inutile. Dio infatti si svela come intensità, amore, affetto, nell'abbandono di sé, nella consapevolezza e accettazione della morte dell'io. Qualunque parola venga detta non sarà che una simulazione se coteste esperienze non sono reali. Non è parlando d'amore che si ama, e non è parlando di Dio che ci s'india. L'abbandono di sé invera le condizioni necessarie allo sbocciare del flos mentis, e quando esso si apre le analisi e i concetti appaiono meno reali di quanto si sta vivendo, sostanzialmente illusori in un palcoscenico - il mondo profano - di fittizia continuità. Il tessuto dell'anima è quantico, se vogliamo: di vetta in vetta, di picco in picco, una memoria nuova, collegata non dalla continuità ma dall'intensità, che sostituisce la colla psicologica apparentemente continua del mondo profano.
Cosa poi in questa circostanza vadano facendo i neuroni, può interessarmi quanto sapere cosa sta facendo la mia immagine nello specchio allorché gli do la schiena...
Ens realissimum (Dio) per speculum (l'organismo psico-storico, tra cui anche i neuroni) in aenigmate (la vita come viene decrittata): suum cuique.
Ciao
Dario
PS. Complimenti per le tue ascendenze tomasiane. Non sottovalutarle troppo. Però considerando le 3000 pagine fitte a due colonne della sola Summa Theologiae, 300 Tommasi sarebbero effettivamente tanti...
21/11/2004
Mah, che dirti, mi sembra che una volta chiarite meglio le posizioni, non ci sia effettivamente molto da decidere. Tu postuli questo Dio (certo, è un inabissarsi ecc. ma per me questo inabissarsi è invece ancora un inabissarsi), e fai una serie di deduzioni a partire da questo postulato a volte anche ottime (mi è piaciuta la definizione dell'anima come tessuto discontinuo) ma che io ritengo scarsamente utilizzabili ai miei fini, e a partire dalla mia posizione.
Aggiungo qualche osservazione.
Mi sembra, ad es., che per quanto io non possa affermare che Dio non esiste (almeno in quanto Dio), di fatto a creare problemi in Palestina (questione che hai glissato) sono più quelli che credono alla emanazione divina e alla parola atemporale che quelli come me. Certo, tutto sta nel come si vive la fede, ma c'è da pensarci su.
Su Wittgenstein, non ridurre il suo pensiero a trucchetti intellettuali. Ti ricordo che Wittgenstein è considerato da molti, per me forse a ragione, la mente più sottile e acuta che abbia pensato negli ultimi 100 anni (una vera emanazione divina!), che ha pensato e vissuto con grandissimo rigore: nato miliardario, regalò tutto ai fratelli - per non corrompere i poveri - visse anni in una capanna in Norvegia, poi fece il maestro elementare in Austria, e intanto affrontava con ascetica tenacia tutti i più ardui problemi dell'uomo, quelli religiosi inclusi. Bertrand Russell disse che passare una giornata con Wittgenstein era massacrante, ma le ultime parole di questi prima di morire furono: sono stato felice.
Sull'arbitrarietà delle lingue...beh, dal Cratilo di Platone al fonosimbolismo di Jakobson la questione è dibattutissima, meglio non avventurarsi...
A presto
Livio
PS. Mi verrebbe da suggerirti che questo epistolario lo potresti mettere in rete... qualcuno ne potrebbe trarre frutto... o magari schierarsi.
PS2. Eppure tante volte, ad es. stanotte, un qualche qualsiasi dio vorrei davvero che esistesse...(e secondo Caproni, mi pare, questo desiderio Lo produce).
21/11/2004
Caro Livio, vedo che infine sei giunto anche tu a constatare quest'impasse a cui s'arriva a un certo punto. C'è poco da fare, i punti di vista derivano dalla storia e dalle scelte personali.
Di Wittgenstein io so ben poco in realtà e pertanto può darsi che sia molto diverso da quello che m'è parso.
Di mettere l'epistolario in rete per la verità m'era già venuto in mente. Se a te va bene, prima o poi lo farò [...].
Ciao
Dario
PS. Chiudi bene la porta, perché non entri Quello Lì che ti dà fastidio...
23/11/2004
Mah, insomma, io spero che più che di impasse si tratti di fruttuoso e chiaro riconoscimento dell'altro... peraltro qualcosa che è venuto fuori durante lo scambio l'ho già utilizzata in altri miei testi. [...]
La faccenda della porta l'ho capita fino a un certo punto.
Ciao
Livio
24/11/2004
Quella della porta era una battuta che si riferiva al tuo "PS2" del 21/11 in cui auspicavi che esistesse "un qualche qualsiasi dio"...
Certamente anch'io ritengo fruttuoso il nostro scambio epistolare, è servito anche a me per chiarire talune argomentazioni.
Appena ce la farò, costruirò questa pagina e te la darò in visione. [...]
Un caro saluto
Dario
27/11/2004
Dio non credo proprio mi dia fastidio, anzi mi farebbe molto comodo, come a tutti. Senza un Dio ho gli stessi obblighi di un credente, ma in più devo capire io quali siano. [...]
Livio
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