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DIALOGO CON GLI INTERNAUTI
AFORISMI DA UN CARTEGGIO CON CLAUDIO RONCO
10/1/2003
Ho conosciuto persone coltissime che erano preda predata della propria cultura, più schiavi degli ignoranti. In effetti ben sai che la cultura non basta, se non c'è umanità e apertura, etica e generosità.
In ogni via esiste uno spirito di quella specifica via che cerca di allontanare coloro che non hanno strada o che ne hanno molte, uno spirito di sopraffazione, abbinato al segreto della strada, spirito che è la prova da superare per mantenere la propria libertà dalla via pur camminando nella via. Troppi poi s'affezionano tanto alla strada da non volerla in alcun modo abbandonare e rifiutano in tal modo colui che eccede ogni strada...
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12/1/2003
A Claudio che mi ha mandato considerazioni sulla radice ebraica SPR e sulla simbologia delle corde da violoncello fatte di budello di montone.
Le tue considerazioni sulla radice SPR sono chiarissime e così pure quelle sul budello di montone, al cui senso mistico comunque non voglio consentire perché per la stessa ragione per cui sono vegetariano rifiuto di concepire il dolore inflitto all'agnello come atto che loda Dio.
Qualcosa di simile ma per me molto più accettabile è il gcod tibetano, in cui il meditante contempla se stesso in situazione analoga a quella dell'agnello sacrificale, squartato dalle divinità infuriate, raggiungendo in tale contemplazione la consapevolezza della propria incorporeità. Eguale sotto questo aspetto è per me il significato del Cristo, dal corpo slogato e contorto sulla croce. L'agnello invece non sa nulla e a chi non sa nulla non voglio infliggere la morte, perché se la mia conoscenza si fa distruzione allora si addenseranno quelle stesse potenze del giudizio che impedirebbero la creazione del mondo se non fossero accantonate, e allora si romperebbero i vasi e nascerebbero le qelippòth che imprigionano le scintille divine.
Pongo dunque limiti alle vie delle mie esegesi e questi limiti sono quelli della mia kawwanà. Del resto condivido l'affermazione di Gurdjieff secondo cui il sacrificio di sangue è cosa derivante da gente di mente oscura e cuore contorto. Che compaia nella Bibbia non è fondamentale, sia perché vi compare come pratica dell'umanità decaduta, non certo prima, sia perché in tale situazione di decadenza può avere un senso reindirizzare il male peggiore a un male minore. Abramo accetta di sacrificare Isacco e lo farebbe se non fosse fermato, ma ciò non ha mai implicato per nessun esegeta, credo, la legittimità del sacrificio umano, nonostante che questo non venga affatto condannato (c'è un sostituto, non l'abolizione del sacrificio, con un passaggio ben noto agli etnologi). E comunque nella Bibbia sta anche scritto "Misericordia voglio, non sacrifici".
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I commenti sono relativi all'istante e alla persona, e non si possono irrigidire in una fittizia immortalità. Sempre i sapienti hanno dato risposte a qualcuno in un certo momento. Quel che accade dopo è un'altra storia. Si può usare la registrazione del commento di questo o quel maestro, purché si sappia che tale registrazione non è il commento originario. Il commento azzeccato è l'angelo dell'istante, viene e subito va, e ne rimane solo che t'ha aperto una porta. Perciò ogni commento scritto è come il ritratto del commento originario, e se ti parla è un altro angelo dell'istante che ti parla. Sicché ad un solo commento scritto possono essere collegate innumerevoli verità vissute. Ma al commento scritto può aderire anche ogni qelippà, e pertanto quel che conta in fondo è sempre e solo la kawwanà.
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Circa il tuo "Le Jugement des jugés", devo dirti che l'ho trovato molto interessante, ricco di umanità, e m'ha colpito il paragone che fai tra Talmùd e musica barocca. Quanto al carcere, che descrivi, vi vedo un'ottima figura delle qelippòth, dove abita gente che con una buona musica potrebbe percepire la possibilità delle sefiròth. Sempre che quello che debbono essere in futuro lo permetta (per parafrasare Ouaknin).
Credo del resto che questo fosse anche il senso del tuo parlarne.
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13/1/2003
Mi interessa molto quello che mi dici del tuo studio del Talmùd. Chiariscimi, se puoi, l'interpretazione ebraica della circoncisione. Capisci benissimo che non sottovaluto affatto la Torà e neppure il Talmùd, ma è una vita che cerco una ragione "essenziale" per la circoncisione e sul perché a Dio dovrebbe importare qualcosa, nonché sull'impostazione patriarcale (propria anche dell'Islàm e di un certo numero di altre popolazioni) per cui alla donna sembra non competere nulla di analogo e quindi essere ritenuta per consuetudine subordinata ontologicamente al maschio (neppure deve studiare). Non essendo d'origine ebraica, non posso accettare per me stesso una risposta del tipo "è così e basta" (del resto non l'accetto neppure nel cristianesimo, sicché sono fuori da ogni gruppo). Ciò non vuol dire che non capisca come si possa far strada mistica o mistico-sociale (quasi "militare") di un "ordine" accettato come tale, ma dato che la mia via s'è rivelata negli anni una cosa molto particolare e personale, e è consistita finora più nello svincolarsi che nell'aderire, tale risposta non mi soddisfa del tutto.
Devo dirti che mi viene quasi da pensare ad una sorta di ironia di Dio, quasi abbia detto a quei nomadi selvatici del tempo di Abramo (ma potrebbe fare lo stesso oggi, il selvaggiume è persin cresciuto): se proprio volete squartare qualcuno o qualcosa per me, squartatevi il sesso o, se troppo vi costa, perlomeno circoncidetelo; in questo modo soffrirete voi e i vostri figli e non tenderete trappole a vittime umane che non desidero. Un evento insomma simile a quello per cui agli ebrei fu concesso di sostituire, a proprio danno, ai giudici un re.
Non voglio, credimi, essere irriverente. Devo dirti anche che, a mettermici, potrei forse inventarmi un volume pieno di possibili letture allegoriche e simboliche della circoncisione. Non sono queste a farmi problema. La simbologia e il coinvolgimento emotivo possibile mi sono comprensibili e attingibili. È l'aspetto storico che non mi è chiaro. La risposta al "perché" di un bambino non ebreo. Peshàt è il fatto che milioni di bambini ebrei sono circoncisi, rèmez è p. es. la circoncisione del cuore, ma su deràsh e sod che dire? Se la circoncisione è "segno" (cfr. il sanscrito linga che vuol dire sia membro virile che segno, caratteristica) dell'appartenenza alla tradizione ebraica, quali sono l'interpretazione e il mistero che differenziano la circoncisione ebraica da quella delle altre culture patriarcali asiatiche semitiche e africane? O che ad esse l'unificano differenziandole tutte per es. dal cristianesimo?
Varrebbe la pena di considerare a tal proposito anche il pensiero dei Dogon (peraltro estremamente complesso) che pone nell'asportazione del clitoride l'equivalente femminile della circoncisione sostenendo che prepuzio e clitoride sono nel maschio e nella femmina rispettivamente un resto di femminilità e un resto di virilità, dimodoché la loro ablazione servirebbe a divenire integralmente maschio e femmina. È la spiegazione più "simmetrica" e retoricamente chiara (per quanto non supportata da prove) che io abbia finora trovato. Ma per me che ho in testa il mito dell'Androgine, non è poi così invitante rendere irreversibile la dualità.
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15/1/2003
Rilettomi per tuo merito Romani 2,25-29 (finito questo messaggio andrò a guardare anche il greco), debbo dire che condivido pienamente quanto vi è scritto; se così non fosse mi sarei fatto ebreo. Quanto al povero Paolo, non so che t'ha fatto. Forse ce l'hai con lui perché senza di lui l'edificio della chiesa di Roma sarebbe monco; tuttavia non si può risolvere tutto così semplicisticamente. La psicologia del convertito non è il massimo, e il procedere di uno che prima di seguire il Cristo lo perseguita uccidendone i discepoli non mi è vicinissimo, tuttavia questo non viene negato da Paolo, e pertanto non può essergliene fatta ulteriore colpa. È chiaro che senza Paolo, il cristianesimo "sarebbe" (tra virgolette perché non poteva essere) una setta ebraica, ma non si possono perciò ritenere miliardi di cristiani, tra cui molti giusti, vittime di una congiura satanica. Né si può ritenere Dio così terribile da permettere una cosa del genere.
Non è questa la sede però per risolvere il plurimillenario problema dell'esegesi paolina; mi colpisce tuttavia che Paolo sia il bersaglio preferito tanto di tutti i settari neognostici e new age quanto, pare, degli ebrei (mi sembra di ricordare alcune storie talmudiche su di lui - e del resto su tutti gli altri apostoli e Gesù stesso - alquanto diffamanti).
Che dire? È chiaro che la storia del cristianesimo è segnata di pagine orrende, del resto anche Spinoza e molti altri ebrei "scomunicati" ebbero a lamentarsi, e se le dimensioni dell'oppressione esercitata non sono paragonabili, questo dipende senz'altro dalle dimensioni in genere del popolo. Non mi sembra che anche oggi gli integralisti (non parlo di terroristi) ebrei siano migliori di quelli cristiani o di quelli islamici o indù.
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16/1/2003
Ho letto le Toledòth Yeshu nell'edizione che citi, come ben dici "sempre rifiutate dalle autorità rabbiniche, soprattutto per la loro estrema pericolosità, rispetto alle già difficilissime relazioni con le autorità cristiane o islamiche", il che significa che la tendenza (ovvero il desiderio) è di prenderle per buone.
Quanto a Paolo, forse non serve discutere, a meno di non voler fare qualche bella discussione alla Peppone/Don Camillo epperò non saprei bene in che ruolo mettermi. Magari sarebbe divertente, anche se risolvere duemila anni di dilemmi in poche battute è ben difficile.
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Mi pare che molto della prigione consista nel non voler vedere come la luminosità celeste traluca anche nell'opaca melma terrestre, nel fissarsi con l'idea di "prigione". La gente a forza di credersi del tutto mortale quasi lo diventa, e dimentica le proprie capacità, anzi neppure vede i contesti in cui applicarle.
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17/1/2003
Per quanto capisca benissimo il desiderio di parlar male di Gesù da parte di chi era oppresso nel di lui nome, come tu dici, quella su Yeshu` ha Notzrì è tuttavia una maldicenza, derivando come puoi vedere dal libro di Riccardo Di Segni, da una trascrizione del nome Gesù YShW che non regge, in quanto la corretta è YShW` (con la `ayin), come mi conferma la traduzione ebraica del Nuovo Testamento di Delitzsch e come è del resto il nome biblico. Troppo comodo saltare una lettera (ma anche la H dell'articolo in "ha Notzrì") per far valere il nome 666. Nelle Toledòth peraltro ricorre addirittura una versione "Yezush" (testo ebraico a p. 94) che veramente è un po' troppo. Ce n'è anche una YShY (p. 35) che altro non è che il nome Iesse/Isai.
Tale maldicenza fa il paio con l'abitudine pseudoesoterica pseudocristiana di far derivare il nome di Gesù dall'inserzione di una S nel Tetragramma (IHSVH), dimenticandosi ancora una volta che la lettera finale di Gesù in ebraico è una `ayin, non una hé. Povera `ayin, così ricca e così evanescente tra gli europei!
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Mi ricordo un sacco di leggende sul Messia che vive nascosto, pronto ad apparire appena, anche per un solo istante, tutti gli ebrei si volgeranno alla preghiera. Il che puntualmente non accade mai. È chiaro che poi stabilire quale sia il vero senso di questo racconto è cosa discutibile. Sembra quasi che si alluda al fatto che una certa categoria di persone (la dinastia davidica, re nascosti sotto le vesti del pastore?) potrebbero manifestare il Messia, qualora ve ne fossero le condizioni.
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18/1/2003
Per quanto io guardi a destra a sinistra in centro o in alto o in basso, il nome di Gesù Nazareno non fa 666 secondo nessuna versione filologicamente passabile.
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Non ho niente da ridire sulla descrizione che fai dei rapporti tra cristiani ed ebrei nel Rinascimento, mi pare tutto corretto, anche che certe cose siano state dissimulate. Ma che una cosa sia dissimulata non significa né che sia fondamentale né che sia vera, e insomma non mi appartiene affatto credere a ciò che ignoro se non nel senso mistico, ma allora c'è una più fondamentale sapienza del cuore a supportare l'ignoranza della mente.
Egualmente sono perfettamente d'accordo che la Scrittura non è data una volta per tutte e che la sua interpretazione è infinitamente variabile.
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Non puoi pretendere di talmudizzarmi oltre un certo limite, io ho passato questi ultimi mesi concentrato su Juan de la Cruz, ed ho una perenne attenzione verso tutte le tradizioni spirituali che mi capitano a tiro. Se è vero che l'Unico concede una dimora in cui stare, è però anche vero che tale dimora è perfettamente ignota a coloro che non ne sono i dimoranti. Pertanto concedi anche a me di invitarti a "casa mia" per poter condividere alcune cose e brindare (con vino rosso) alla salute di tutti noi.
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19/1/2003
A Claudio che mi chiedeva di scrivere poesie per le 24 sezioni di una sua opera.
Per i testi, va bene, devo riflettere ed elaborare. Elasticizzare la mente, sì, non è né facile né difficile, dipende dalla volontà di Hashem, come diresti tu.
Il ventiquattro comunque è un bel numero, ha quattro sabati di preghiera nascosti, uno per ogni lettera del Tetragramma, che fa 26, che più 24 fa 50 che è il numero delle porte della sapienza e del Pesce (Nun) di Giona e di Cristo.
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19/1/2003
Caro Claudio, certamente non intendevo dire - mentirei - di conoscere approfonditamente tutte le tradizioni che citavi. Probabilmente in senso stretto non ne conosco neppure una. Il mio "conoscere" era detto - in un messaggio - nel senso che ne avevo già sentito, o letto, ma anche che già mi erano risonate dentro, che avevo interiormente meditato sul Messia latente in una oscura taverna di una città qualsiasi del mio composto umano, che avevo percepito la vastità di trasformazione relativa alla ventitreesima lettera o al fuoco bianco, ma anche a immagini relative all'endogenesi in altre tradizioni, perché, tra l'altro, l'apparizione del segreto messianico elimina il contrasto tra i giusti di ogni nazione e religione. Se poi ciò che in me ha risonato sia almeno in minima parte quello di cui parlano Mosè Cordovero o Luria non saprei dire, ma tu sai dire che non è così?
Inoltre quando incontri una persona, non ti ci vuole perlopiù molto a capire se t'è congeniale, e così succede anche con le vecchie tradizioni, a chi come me sia abituato a percorrerle in varie lingue e contesti culturali. È chiaro che ci si perde molto, a usare parecchie lingue, ma altro ci si guadagna. Inoltre, come già ti ho detto, non amo affatto fissare i significati dei simboli o dei racconti, sono perfettamente persuaso, come te, che è una forma di idolatria. Ma quando parlavo della gimàtriyya del nome Gesù, esplicitamente facevo riferimento all'aspetto storico-filologico. Tu sai benissimo poi che la gimàtriyya va sostenuta da un'intenzione pura, altrimenti può portare anche ai peggiori spropositi. È possibile con debiti accorgimenti e accostamenti far appartenere il 666 a qualunque personaggio. Anche la Bibbia del resto riporta esempi di etimologia deformante, ad esempio la trasformazione di Ba`al Zebul in Ba`al Zebub per trasformare una divinità di popoli nemici nel signore delle mosche, se non ricordo male. Quello di Yeshu Notzrì senza `ayin mi sembra un caso analogo però fuori del contesto biblico.
Comunque è vero che io mi permetto delle libertà interpretative che forse molti, a chiederglielo, non mi concederebbero. Ma io non glielo chiedo. Io mi rivolgo solo a colui che milioni e miliardi d'anni fa era il Medesimo, che scomparse tutte le tradizioni sarà il Medesimo, che sempre in ogni istante è il Medesimo, che Unico è all'origine del mio cammino, che Unico è il destinatario del mio ringraziamento, che Unico è colui che splende all'interno del dolore e della gioia, che Unico è prima e dopo e dentro ogni testo e ogni parola, di cui è invero in ultimo l'Unico significato. E non m'interessa in effetti chiarire s'io debba chiamare questo tantra o tasawwuf o qabbalà o cristianesimo.
Forse infatti che la lingua dello spirito è una lingua di lettere scritte? O piuttosto parla anche attraverso le lettere scritte? E forse che il fuoco bianco è solo nelle pagine di carta della Torà, o piuttosto non pervade già ora e già da sempre tutti gl'innumerevoli universi? E la Torà non è forse essa stessa in ultimo il segreto intimo di ogni essere, non è dunque - come tu stesso dici in altro modo - una convergenza di innumerabili significati che concorrono alla lode di Dio mediante le più disparate vie?
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21/1/2003
Grosso modo del tuo messaggio sul Pardés ho visto che è interessante e che mi evidenzi un contrasto tra i due piani che vado spesso scambiando, il logico-scientifico e l'interiore-spirituale. Può ben essere, anche se amo pensare che ognuno dei due piani faccia gioco all'altro. Ma è vero che talvolta uno dei due predomina a sproposito. Del resto faccio quel che posso, e Dio è più grande comunque. Sarà o non sarà colpa mia se non ho trovato mai qualcuno che m'insegnasse qualcosa di utile senza volermi prima convertire a qualcosa di inutile? Chi lo sa? Io mi apro a ciò che non so, il resto dipende da Qualcun altro.
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22/1/2003
Margaret Murray, campata cent'anni e morta nel 1963, fu in origine un'egittologa che successivamente si diede allo studio della stregoneria pubblicando The Witch-cult in Western Europe (1921, trad. it. Tattilo, Roma, 1974), The God of the Witches (1933, trad. it. Ubaldini, Roma, 1972) e The Divine King in England (che non ho e non ho letto). È soprattutto a lei che si deve l'idea della persistenza di una tradizione "sciamanica" nell'Europa malamente cristianizzata, dai primi secoli fino ad oggi, soprattutto tra le classi non dominanti ma con rilevanti eccezioni, che seguiva un calendario di cacciatori con grandi feste chiamate "sabba" e meno grandi da lei chiamate "esbat" con un termine usato la prima volta da Estebène de Cambrue (1567). A suo avviso in essa si praticava il sacrificio del "re divino" o di un suo sostituto (quali sarebbero stati per es. Thomas Beckett, Giovanna d'Arco, Gilles de Rais). Molte cose che dice sono opinabili, ma che il paganesimo, proprio nella sua etimologia di tradizione rurale, perdurasse anche quando re e nobili si "convertivano" al cristianesimo, pare indubitabile. Sennonché gli studi della Murray sono poi stati utilizzati dai peggiori ciarlatani, come era prevedibile, senza sua colpa. Dai suoi testi non si ricavano lumi spirituali, ma da essi nascono molte curiosità e molti dubbi sulle certezze spacciate per acquisite.
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22/1/2003
Un passo sui nomi delle streghe da Le streghe nell'Europa occidentale di Margaret Alice Murray (nata il 13 luglio 1863 e morta il 13 novembre 1963, e 13 è il numero della coven per eccellenza. Curioso no?):
«Poiché i nomi delle streghe di Guernsey sono particolari, le seguenti osservazioni riguardano solo le streghe scozzesi ed inglesi.
«Dagli elenchi dei nomi delle streghe emergono diversi fatti. Anzitutto mancano nomi di derivazione sassone come Gertrude, Edith e Hilda. I nomi di persona del Vecchio Testamento sono pochissimi e non vale la pena parlarne. I nomi puritani come Temperance sono rari. Quasi tutti i nomi appartengono a otto gruppi principali con le diverse variazioni regionali. 1. Ann (Annis, Agnes, Annabel); 2. Alice (Alison); 3. Christian (Christen, Christine); 4. Elizabeth (Elspet, Isobel, Bessie); 5. Ellen (Elinor, Helen); 6. Joan (Jane, Janet, Jonet); 7. Margaret (Marget, Meg, Marjorie); 8. Marion (Mary)».
E la Murray seguita spiegando come tali nomi siano quasi tutti di origine precristiana.
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25/1/2003
Carissimo Claudio, ho visto la tua pagina su Lilith e mi è parsa riuscita. Il tema, per quanto "nero", è sicuramente affascinante, e poi Lilith ha sicuramente aspetti di Kali. Si direbbe che in tale figura sia stato relegato un aspetto femminile attraente ma un po' spiacevole per i patriarchi... Il che non esclude che possa effettivamente generare paurose ossessioni.
Fabre d'Olivet lo conosco, ho un suo libro pubblicato postumo (La Vraie Maçonnerie et la Céleste Culture) e la "Cosmogonia mosaica secondo la traduzione di Fabre d'Olivet" in appendice alla vecchia traduzione del Sefer Yetzirà di Savino Savini, mentre non ho mai acquistato l'originale de La Langue hébraïque restituée perché costava troppo, l'Histoire philosophique du genre humain perché tutte le volte che l'ho vista ci ho rinunciato (come Martinès de Pasqually, il cui Traité sur la réintegration des êtres sempre mi lagno di non possedere ma quando lo trovo sempre son preso da una noia indicibile), quello su Pitagora non so perché, e neppure quello sulla musica - mi pare che ce ne sia uno - non so perché (ma forse l'avevo scorso e non mi sembrava significativo).
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Ho letto il saggio di Rav Nosson Slifkin (Fruit and Vegetables, Man and Animals), che come impianto generale è interessante. Tuttavia non condivido affatto la sua pretesa di aver capito come sente un animale; tale pretesa mi sembra assolutamente in lui ingiustificata. Sembra credere che gli animali siano senza "hidden depths" ed incapaci di "perform acts of genuinely altruistic nature". Ora, a parte la facile ironia che si potrebbe fare sull'altruismo dell'umanità nei confronti della madre terra e dei suoi figli e opere, tuttavia io sono abbonato da anni al Monitore del Regno della Giustizia, opuscoletto di un semisconosciuto gruppo protestante parente lontano (molto meno irritante) dei Testimoni di Geova, e ci sono abbonato per l'unica ragione che è il solo giornale religioso che si occupi costantemente degli animali. Ora non vi è numero che non riporti, tratti dalle più disparate fonti (adeguatamente citate), esempi di altruismo e generosità animale. L'atteggiamento espresso da Rav N.S. in merito è probabilmente tradizionale dal suo punto di vista ma ciò nonostante completamente cieco. Chiunque abbia animali domestici, sarebbe in grado di rigettarlo in base ai fondamenti della propria esperienza.
Questa cecità mi irrita profondamente per il fatto che è assolutamente la medesima con cui razze dominanti hanno schiacciato le dominate, ritenendole dei non uomini (ne dovrebbe ben sapere qualcosa un ebreo!). E il linguaggio animale sotto questo aspetto non è poi così diverso dal parlare una lingua "impura" o "barbara". È sempre impuro e barbaro ciò che non si conosce, e prima che il Von Frisch dimostrasse che le api comunicavano con la danza, i loro volteggi saranno stati ritenuti, immagino, insignificanti esempi di un inesistente estetismo della natura o dell'irragionevolezza animale... e così via... Insomma, credere che qualcuno non abbia sentimenti è una cosa molto utile se te lo vuoi mangiare.
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Conosci questa poesia di Nietzsche? Molte volte ne ho cantato il testo tedesco, naturalmente non so spiegarti come perché non so scrivere musica.
VENEDIG
An den Brücke stand
jüngst ich in brauner Nacht.
Fernher kam Gesang:
goldener Tropfen quoll's
über die zitternde Flache weg.
Goldeln, Lichter, Musik --
trunken schwamm's in die Dämmrung hinaus...
Meine Seele, ein Saitenspiel,
sang sich, unsichtbar berührt,
heimlich ein Gondellied dazu,
zitternd vor bunter Seligkeit.
-- Hörte jemand ihr zu?...
Nella traduzione di Giulio Cogni:
VENEZIA
Sopra il ponte stavo,
solo, nella bruna notte.
Veniva un canto lontano:
una gocciola d'oro fioriva
sul trepido piano dell'onde.
Gondole, luci, musica --
ebbre a nuoto via verso il crepuscolo vasto...
La mia anima, orchestra d'arpe,
cantava, nell'intimo tocca,
segreto un canto di gondole,
tremando di voluttà.
-- L'ascoltava forse alcuno?...
Mi ha sempre toccato la vicenda di Nietzsche, anima sensibilissima e detestatore di ogni nazionalismo (ha pagine al vetriolo su Bismarck), che ha avuto la iella d'una sorella nazista che gli ha appiccicato una fama che per quanto immotivata tarda a perdersi.
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1/2/2003
La Langue di Fabre d'Olivet adesso ce l'ho lì, stampata da Internet, grossa e invadente. Ho subito visto che lui associa l'ebraico all'egizio e pretende di vedervi le tracce di sette vocali. Sai per caso dirmi se la pretesa di F. d'O. di vedere originarie vocali in cheth e `ayin abbia una sia pur minima base da qualche parte? Se non altro ho finalmente capito da dove arrivano certe fantasiose ricostruzioni occultistiche dell'alfabeto ebraico. Pensa che ho talvolta visto associata alla `ayin persino la "gn" di gnomo... e non avevo mai capito come facessero ad associare la "o" ad una gutturale... finora. Sembra che qui salti fuori una certa propensione europea ma forse più specificamente francese a pensare che fuor di Francia nulla esista e che i suoni che il francese non possiede siano non suoni.
Leggevo anche tempo addietro una prefazione a Papus di Saint-Yves d'Alveydre che col suo Archeomètre e la sua lingua primordiale Vattan, credeva di avere la chiave di tutto e diceva una cosa del genere: "Je n'ai, en effet, accepté que sous bénéfice d'inventaire les livres de la Cabale juive..." diffondendosi poi nella spiegazione di una doppia etimologia del termine, una con la Qof e l'altra da Ca-Ba-La e ti risparmio il seguito... Mah...
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2/2/2003
Mi hai chiesto: Ti sei per caso avvicinato a tutto quell'enorme movimento di soldi e di fantasie intorno alla possibilità di leggere la Torah col computer per trovarvi profezie del tipo "Rabin sarà assassinato"?
No grazie, c'è un limite alle fesserie che sono disposto ad ascoltare, dopo un certo numero di profeti sopravvissuti al disastro da loro preannunciato, che bisognerebbe sopprimere per far sì che si realizzino almeno per ciò che li riguarda...
Quanto all'idea di mettere Fabre d'Olivet in bagno, forse è un po' esagerata, in fondo è un documento storico e lui ci credeva, e poi prima devo capire cosa c'è scritto. M'intriga la mentalità degli esoteristi dell'epoca sua, un misto di infanzia e presunzione con qualche vampa di genio.
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La molla disperazione fa sempre scattare in me la molla religione ignota del dio ignoto, e non dura neppure la frazione di un istante. Invece posso trovare senza problemi la sofferenza e la delusione, ma giammai le tratteggerò senza rimedi. Sono un fanatico del lieto fine, come non può non esserlo chi fa i conti con una vita e un amore che si prolungano oltre il corpo fisico. Spesso mi chiedono se ci credo davvero, o se mi forzo a credere; ma è una domanda qelippotica che vorrebbe ingabbiare, non esiste una risposta se non nel vivere stesso, non esiste luce se non nella percezione della luce.
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3/2/2003
Caro Claudio, scrivi: Prova a fare una visitina a un ospedale per anziani.
D'accordo, è una battuta ad effetto, e sembra richiamare Giobbe e i suoi amici che tutto spiegano senza conoscere alcunché (io tra quelli). Ma dato che l'altrui vicenda non è mai la nostra, non è così semplice. E in fin dei conti Giobbe infine uscì con successo dall'oscurità; non vi è segnale biblico che la disperazione sia per l'homo religiosus giustificata dai fatti, anche se è accettabile in certe circostanze.
Bambini torturati e vecchi con l'Alzheimer, certo. Tuttavia capisco perfettamente il vecchio insegnamento cattolico che la disperazione sia un peccato contro lo Spirito. Lo è perché rinforza il male ed esagera il proprio personale significato. Il male induce un'atmosfera greve di chiusura, chi vi cede vi si concede. Se tu paragoni le tue vicende a tutto il male del mondo, puoi anche suicidarti. Ma se cerchi un senso alla tua vita, non puoi paragonarti a tutto il male del mondo. Tutto il male del mondo è del resto una cosa che non percepisci, tu percepisci solo un cumulo di informazioni di varia fonte, che ti vengono versate addosso trascurando ogni cosa buona di questo mondo. Il tuo satana vuol farti credere che non v'è altro, così o ti sottometti o ti fai sua vittima.
Ma per la stessa ragione per cui era ipocrita e fasullo il tentativo di giudicare Giobbe, così è anche ipocrita e vuoto il giudicare impotente Dio che è la disperazione. Avrahàm è il prototipo del sofferente totale ma non disperato: consente a sacrificare il figlio, in totale cecità. Non succede, ma non succede perché l'avrebbe fatto. In disperata fede, se vogliamo. Ma può la fede essere disperata? Non c'è in essa qualcosa che fa sperare nell'ignoto e pertanto nell'inatteso? che anzi fa dell'improbabile il segno più luminoso della maestà divina?
Non è possibile neanche immaginare di condannare l'altrui disperazione, ma questo non significa che si debba rinunciare a vedere ciò che disperazione non è. Vecchi che muoiono tranquilli, esseri che hanno svolto il proprio compito, credenti che preferiscono la morte al cedimento, madri che quasi si annullano per i propri figli, e una quantità di dati maestosi e luminosi, chiari e amorosi. Uomini liberi. Perché vedere soltanto un mondo di morte dove c'è anche la vita?
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18/4/2003
Non si può mica avere tutto... suvvia! Bisogna stornare da noi l'invidia, il malocchio degli schiavi della terra. Incamminarsi sul sentiero segreto o prosperare dilatandosi nel mondo terreno... Aut aut, almeno finché non si riesca ad avere ambedue, ma ben pochi ci sono riusciti e chissà se ne han poi goduto veramente.
Quien sabe. Tutto è decifrazione o non è.
E il sentiero di ciò che non è, è inaccessibile a coloro che si riversano nelle cose del mondo.
[testi di Dario Chioli estratti da un carteggio con Claudio Ronco]
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