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TEMPO, PREVISIONE E LIBERTÀ

Dario Chioli & Franco Orlandi  

   

   

Franco Orlandi, 28/5/2008

Ciao Dario. Ti pongo subito una questione che ha grande influenza in me.

Se qualche mistico con il dono della chiaroveggenza può "vedere" il futuro della persona che ha davanti tanto da circostanziare fatti e cose anche a distanza di anni, dove va a finire secondo te, o meglio a quale livello si pone la libertà dell'uomo?

Mi sono interessato molto, tempo addietro, alla vita di Padre Pio ed a quella di Gustavo Adolfo Rol e queste loro facoltà mi hanno molto condizionato perché tolgono forza e determinazione alla mia ricerca. Una profezia su di una persona ne condiziona altre mille al verificarsi di quell'evento.

Forse può sembrarti questa una questione capziosa ma io devo trovare pace. Anche perché una linea evolutiva verso un evento importante della vita sottilmente sottintende anche un percorso interiore che in questo modo pare già tracciato come quello di "congiungersi" all'evento stesso. Se le cose stanno così mi siedo e aspetto... il prossimo movimento che mi prende e mi porta via verso Samarcanda.   

  

Dario Chioli, 29/5/2008

Caro Franco, non è un problema da ridere quello che mi poni.

Intanto potrei dire che probabilmente per un caso in cui la previsione è azzeccata – e poi fino a che punto di precisione? – ce ne sono mille in cui nulla viene ricordato perché nulla succede. Ma questo non spiega comunque quei pochi casi.

Potrei anche dire che forse non è il caso di mettere Rol e Padre Pio sullo stesso piano. Ma anche questo non spiega. E allora?

Una delle risposte migliori che mi vengono in relazione al tempo è quella gnostica degli eòni, o perlomeno di quelli che io ho inteso come tali. Secondo quanto ho inteso, questi eòni sono esseri strani, non tridimensionali ma quadridimensionali, la loro quarta dimensione essendo il tempo. Sono esseri il cui corpo è costituito di spazio e tempo, intelligibili pertanto alla percezione sovrannaturale ma non alla naturale.

Qual è dunque il loro destino? Non certo quello di «divenire» qualcosa, bensì quello di «essere nel divenire del mondo». La visione può coglierli, ma solo «sub specie aeternitatis». Ognuno di noi, interrogandosi su se stesso e sprofondando in se stesso, levate le illudenti barriere della propria storia individuale separativa, può cogliere un barlume di parentela che lo unisce a questo o quell'eòne. E l'eòne poi è, a sua volta, una via, attraverso il divenire, all'Essere che cela in sé.

Pertanto il destino umano dovrebbe, per individuarvi un senso, esser definito come consistente nello spogliamento dei tratti storici individuali. La propria vita individuale psicofisica bisognerebbe vederla non altro che come una gran metafora spaziotemporale dell'identità spirituale eterna.

Metafora alquanto enigmatica. Ci competerebbe di passare dalla raffigurazione passiva di chi si vive come divenire alla raffigurazione attiva di chi adempie il proprio destino (dharma).

Nell'eòne lo spaziotempo è corpo, e l'eternità anima. Nell'adempimento e accettazione del corpo, cessa l'ostacolo: il fine eterno può essere perseguito. E il fine eterno non è un perseguire, che suppone il tempo, bensì lo splendere imperituro dell'eternità.

Alla fine si trova quel che c'era in principio. Anzi, alla fine della storia, la storia non risulta che ombra dell'essere.

Ma perché questa storia, quest'ombra, questa strana fantasmagoria? E dov'è la libertà?

La libertà non sta dentro lo spaziotempo, bensì nella strada che comincia con l'identificazione dello spaziotempo come corpo. Non sta nella dimensione psicofisica, bensì nell'eternità. E non può esservi libertà storica, perché la storia non sta a sé ma fa parte dell'eòne.

La libertà come scelta tra due strade non può supporsi se non nello spaziotempo, cioè nel corpo dell'eòne. L'anima dell'eòne è però al di là di ogni diade: la scelta, oggetto del divenire, vi è sostituita dall'intensità. E ciò che è intenso non accetta competitori.

Questo dunque è essere liberi: liberi da ogni esitazione, dubbio, ostacolo. Liberi da ogni schiavitù. Libertà come intensità.

Ora, vi è nella vita di tutti i giorni qualcosa che – enigmatico – echeggia e direttamente conduce a tale intensità, ed è l'amore. Sembra dunque che Dio, come nell'immagine della Sofia gnostica, percorra come Eros (amore) le vie del tempo per condurre all'eòne e da qui a Se stesso. E qui sembra giacere il senso della nostra storia: la storia di un «excessus mentis» di Dio (il creato come divino pensiero), di un enigma che non può sciogliersi in modo dialettico ma solo nel Logos che tutto lega a Sé senza diade.

Chi s'incammina, è guidato dalla passione per l'intensità. Potrebbe dunque farne a meno? Ebbene, in noi colui che cammina e colui che si ferma non sono lo stesso: quest'ultimo è ombra, l'altro vive. Quello che dubita o esita, sogna, ovvero pensa soggettivamente; quello che cammina, pensa oggettivamente. Perché il pensiero efficace è un membro dello spaziotempo, non un innocuo risonare.

Il nostro errore, dovuto all'ansietà dell'organismo psicofisico che per la sua natura inconscia non vuole dissolversi, sta nel vedere le nostre manifestazioni come un tutto unico chiamato «individuo». Ma non è così: in noi giacciono, usufruendo del corpo e della psiche, angeli e dèmoni, luci e ombre, mari e pantani: mondi su mondi. La nostra è una molteplicità in cui dobbiamo scovare l'Essere che la percorre: questo processo del trovarlo è esso stesso una scelta che ci porta alla trasformazione. Cercare il nostro eòne è divenire il nostro eòne.

Ma perché «dobbiamo»? Ebbene, dobbiamo perché siamo innamorati. C'è forse scelta per l'innamorato? La sua unica scelta è essere se stesso, la sua unica libertà sta nel vivere come tale.

Ora, che è successo a coloro che innamorati non sono? Identificandosi con quella parte del proprio spaziotempo che consiste solo di cumuli di scorie, sembrano man mano svanire. Confermandosi come individui, nascondono a se stessi gli eòni. Gli eòni infatti, quasi simboli realizzati, s'intersecano e fondono l'un l'altro, si sommano, non competono. L'individuo invece procede «ad excludendum». Per sopravvivere si chiude in un guscio (qelippà) che esclude gli altri.

Ma perché?

Forse perché l'ombra si addensa su coloro che spengono la luce. Se si è scelta la parte di spegnitore di lanterne, non si può evitare il buio della notte.

Essere liberi è resistere. Resistendo, l'ombra se ne va. Nel vuoto d'ombra, irrompe qualcosa che sembrava nascosto. Questo qualcosa – l'amore – è una risposta che toglie spessore a tutte le domande. In qualche modo si tratta di aprire una porta perché entri Sofia, che va a spasso per il mondo, misconosciuta.

Ora, per dirla alla taoista o alla sufi, la libertà comincia ad esserci solo per l'Uomo Vero, che è il primo stadio verso l'Uomo Trascendente. Tutto quanto viene prima può forse essere previsto, da Padre Pio o da Rol o da altri. Quanto viene dopo no, perché non vi può più sussistere la scissione tra previsore e previsione.

Dicono inoltre i sufi che ciascun uomo scelse o respinse Dio già nei lombi di Adamo. È la stessa cosa: qualcuno viene al mondo per inverarsi, qualcun altro passa come ombra; qualcuno ha riconosciuto l'eòne; qualcun altro non può che esserne strumento. Interrogarsi sulla propria libertà è dunque inutile: alla domanda si è già risposto.

Non c'è dunque libertà di essere liberi. I dubbi al proposito sono illusione e non vincolano il cammino che si è scelto, ci se ne renda conto o meno. Nel labirinto enigmatico della propria natura ognuno ha già scelto ciò in cui vuole riconoscersi. Qualche volta aspetterà il treno che passa e qualche altra camminerà...

Se non è chiaro, ci ho almeno provato...

   

Franco Orlandi, 2/6/2008

Grazie Dario per la complessa risposta che mi hai dato.

Rimane pur sempre il fatto che persone come Rol e Padre Pio, anche se sono personalità spirituali diverse, hanno "visto" nel futuro di alcune persone anche a distanza di anni. Ho letto, seguito interviste per parecchio tempo, e il problema rimane bello e buono. Anche tu nel tuo piccolo hai provato la veridicità di piccole profezie; piccole ma azzeccate, che persone in particolari stati di coscienza hanno sentenziato. La mia esperienza, cioè la mia vita, mi ha trasmesso questo: che la libertà probabilmente non sta nel cammino che segui (nelle scelte di vita pratiche), ma nella disposizione d'animo, nell'atteggiamento interiore. Cioè puoi scegliere entro i limiti della tua consapevolezza lo stato interiore del tuo mondo interno.

È questo un mio punto fermo? Assolutamente no! Le cose che ti devono accadere ti accadono! Necessariamente. Ma continueremo... o forse non è il caso perché in fondo non è un problema questo. Non è questo il problema.   

   

 

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