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DIALOGO DI STORIA, INTERPRETAZIONE, RICERCA

Dario Chioli & Dario Lodi

   

   

Il 19 dicembre 2011 inviai Una riflessione sul Natale agli amici del mio sito, tra cui Dario Lodi. Di qui iniziò uno scambio di riflessioni e discussioni che forse potranno risultare di qualche interesse.

Dario Lodi è da anni presidente dell’Associazione Culturale Amici delle Arti di Vignate (Milano) e direttore responsabile della rivista "Logos". È autore di saggi, racconti, poesie.

Dario Chioli, 25/4/2012


Dario Lodi, 19/12/2011 (riferendosi a Una riflessione sul Natale)

Sarebbe bello che la tua riflessione avesse un seguito. Invece da millenni queste sono solo parole. Ma, appunto, speriamo!


Dario Chioli, 19/12/2011

Beh, non sono sempre soltanto parole, qualcuno scappa, ogni tanto, alla visione generale... Certo, se l'idea venisse considerata come maggiormente probabile, se la si ritenesse meno fuori del mondo, parecchio potrebbe cambiare, ma quanto pesano, sulla mente e sulla percezione, le stoltezze più insensate! quasi a sembrare più reali delle percezioni reali...


Dario Lodi, 19/12/2011

L'idea c'è da sempre e qualcosa è migliorato nel tempo. Poco, però. Tutto, anzi, è stato accantonato dalla rivoluzione industriale, dalla vittoria del materialismo, come se il bene garantisse l'immortalità. Troppo lontani, oggi, dalla fede nel suo senso più vero (non nei dogmi religiosi, insomma). La purezza del sentire è diventata un panettone. Ben vengano le tue parole! Ma come applicare tanta simpatica enfasi alla realtà? Intanto, ci sono: non è poco!


Dario Chioli, 19/12/2011

Ma il materialismo non ha vinto, non può vincere, è un'illusione che abbia vinto, perché l'uomo muore sempre e, nonostante tutti i giovanilismi del mondo, lo sa benissimo. È che le parole sono inflazionate, deteriorate. Perciò c'è il problema di distinguere tra quelle che non sono che ripetizione di vecchi modelli, prive di vita, e quelle che vengono da una riformulazione vissuta. Non è facile, ma molto giova l'intuizione pura e semplice.

Insomma non è neanche così difficile. La difficoltà sta piuttosto nell'eccessiva timidezza spirituale causata in noi da una pseudociviltà dell'illusione. Ad ogni modo, tanti auguri, e che il panettone – quello vero – sia buono...


Dario Lodi, 19/12/2011

Come idealista ostinato sono d'accordo. Come realista obbligato devo un po' dissentire (anche se la sostanza della tua disamina è perfetta): domina il materialismo: basta vedere la globalizzazione selvaggia. L'uomo continua a perdere la testa. L'ubriacatura produttiva non è finita. Nel fondo, poi, siamo ancora immaturi psicologicamente per realizzare l'eutopia (attenzione, non utopia). Ecco spiegata (perdona la presunzione) l'enfasi in certe frasi edificanti. Essendo troppo enfatiche, per ragioni comprensibili e condivisibili, rischiano di essere controproducenti. Troppo zucchero e il panettone diventa indigesto.


Dario Chioli, 19/12/2011

Sì, dell'enfasi non si può fare del tutto a meno, ma se si esagera risulta, come dici tu, controproducente. E comunque non c'è una misura valida per chiunque, ognuno ha la sua soglia di tolleranza. Non solo, ma la soglia di tolleranza cambia per ciascuno col trascorrere della vita.

Eutopia è un bel nome, esprime molte cose sinteticamente, indica – come dire? – qualcosa di ben composto, un luogo fermo e sereno. Auguro ai vari Darii in giro per il mondo di giungere in Eutopia e starci, così anche il mondo migliorerà, perlomeno per chi ha occhi per vederlo. Auguro anche un panettone dolcificato al punto giusto.


Dario Lodi, 20/12/2011

È vero, ma questo ciascuno dovrebbe tenere conto di un punto di riferimento: l'esperienza passata. Siamo sulle spalle di giganti. Se giustifichiamo ogni soglia, facciamo del qualunquismo.

È come per l'arte: a me piace quel che magari a te non piace. Ma poi il gusto va argomentato. Non contano le opinioni, contano i concetti. E i secondi sanno non essere soltanto parole. È una questione di sensibilità e di cultura. Allora l'enfasi dovrebbe essere aborrita, in quanto è qualcosa di pesantemente barocco comunque, con pericolo di fuori tema, fuori giri. Leggere D'Annunzio o leggere Montale non è la stessa cosa. Ma non è questione della mia sensibilità personale: nel mentre leggo Montale, mi viene in soccorso la sensibilità storica, alla quale io porto, eventualmente, il mio modesto contributo. Montale (tranne quello anziano) è costruttivo. D'Annunzio è pirotecnico, finiti i botti rimane pochissimo. Se piace per altro, per qualcosa di serio, è un grido d'allarme.

Con tutto questo, non è che si debba annichilire di fronte ai giganti, ma rispettarli sì: per cui, prima di emettere un parere, tocca pensarci bene. L'enfasi, invece, consente di non pensarci affatto, ma di pescare qua è là, fra reminiscenze. Certo, quando si trasformano in sostanza (rimanendo fra i poeti, come nel caso della Szymborska), è tutta un'altra musica.

Il guaio è che il materialismo ci ha portato anche una convinzione prometeica che ci illude di essere perfetti dopo qualche anno di scuola nozionistica, impositiva. Diventiamo impositivi a nostra volta. Saccenti. Ma la cultura, quella vera, è una cosa molto seria, faticosa giorno per giorno (ma ancora di più piacevole): chi ha voglia di impegnarsi? Chi preferisce cercare di dire invece di citare, a vario titolo?

Meglio un panettone senza zucchero.

(Eutopia, ovviamente, non è cosa mia: è dei Greci, antichi è chiaro. Ci hanno ricavato utopia).


Dario Chioli, 20/12/2011

Per la verità, di quelli che ho visto, a me piacciono pochi versi di D'Annunzio e pochi versi di Montale. Preferisco Quasimodo, Sbarbaro, un sacco di stranieri, lo Stilnovo e Petrarca...

Ma in fondo di ciò m'interessa poco. Come poco m'interessa il concetto, nel senso che serve a poco se non è puro strumento dell'intuizione spirituale. Ma bisogna vedere quali sono i parametri di riferimento. Dalla vita alla morte, poi qualcos'altro, e nel mentre della vita il prefigurarsi di questo qualcos'altro: questi i parametri che mi interessano, e il resto – letteratura filosofia religione – solo se hanno a che vedere con questo. Chi parte per un viaggio è agevolato se ha la capacità di scegliere bene i bagagli. Se vuole portarsi addietro troppi bauli, non combinerà molto. Anche i panettoni, è meglio mangiarne un paio buoni che dieci mediocri. Mangiarne due buoni è gustare, mangiarne dieci cattivi è compulsivo.

Quanto al materialismo, regge solo sul piano superficiale, perde qualunque significato appena si affonda un po'. Non è che si debba contestarlo; semplicemente non esiste.

Questo tanto per buttar lì qualche sasso a smuovere acque, non che c'entri così direttamente con quel che dicevi tu.

Buon viaggio in Eutopia.


Dario Lodi, 20/12/2011

Per farmi capire meglio ti allego un mio scritto, La rivoluzione cristiana, pubblicato da Prospettiva editrice.


Dario Chioli, 21/12/2011

Ho letto le 90 pagine de La rivoluzione cristiana, apprezzando la capacità di sintesi che vi hai dimostrato e in particolare la conclusione sull'uomo «chiamato a vivere il mondo in maniera diretta, responsabilmente». Detto ciò, penso sarai consapevole che quasi ognuna delle tue affermazioni potrebbe essere contestata e rovesciata, e che molte tue affermazioni sono assai schematiche. Ma lo scopo tuo era evidentemente quello espresso nella conclusione. Sta bene.

Scendendo un po' nei particolari, la tua è una visione sostanzialmente "umanistica", che di per sé, quanto ai suoi intenti, non trovo erronea, purché la si integri in un'ottica spirituale, senza la quale il rischio è che si proietti solo la propria storia di crescita personale sulla storia del mondo.

Interessanti le considerazioni sul protestantesimo e sulle dinamiche di fondazione delle entità sociali in genere. Invece le tue considerazioni sulle tradizioni religiose le trovo troppo schematiche. Non puoi ridurre a formule così scarne migliaia e migliaia di anni di tradizioni ed esperienze spirituali.

Anche sulla bontà degli anglosassoni rispetto agli ispanici in America c'è di che discutere: interi popoli furono sterminati tramite genocidio negli Stati Uniti, in Canada gli inglesi usarono la peste, nelle praterie si sterminarono i bisonti per affamare gli indiani, e le riserve erano le zone più aspre e infruttuose di tutte. Gli spagnoli per converso si incrociarono con le principesse indie, e furono le borghesie meticce ad opprimere in molti casi gli indios molto più che non gli spagnoli. Ma è storia passata, e le cose si possono vedere in tanti modi, a secondo dei dati che trascegli.

Interessanti i passi su Roma e il ruolo di mantenimento della Chiesa, forse tra le cose che più ho apprezzato.

Insomma ho letto il testo con piacere, pur non essendo gli studi storici la cosa che di per sé più mi coinvolgono. Soprattutto per il fatto che a mio avviso anche nella storia va cercata la dimensione del significato spirituale. Per esempio è indubbio che alla storia della Chiesa di Cristo (ma il discorso vale anche per le altre tradizioni) s'interseca in certo modo quella di una sorta di chiesa dell'Anticristo, che è fondamentalmente la dimensione spirituale degli ipocriti (il terribile problema degli ipocriti è noto a tutti, si esprimono contro di essi con parole di fuoco sia il Talmùd che il Corano che i Vangeli che i testi buddhisti). Gli eventi presi isolatamente, senza attenzione a questa prospettiva, non possono a mio avviso che condurre a risultati di dubbio significato.

Ti ringrazio della lettura e spero che le mie critiche non ti irritino.


Dario Lodi, 21/12/2011

Credo ci sia qualcosa di eroico nella tua impresa. E non mi ero sbagliato: la tua sensibilità è al calor bianco. "Sento" giuste le tue note, i tuoi richiami, le tue precisazioni: non è per niente piaggeria. Mio scopo precipuo era quello di dimostrare che la figura cristiana è al centro dell'evoluzione umana. Anche la componente spirituale – hai ragione, determinante (ma la parte "sulfurea" s'è trasformata in morale assoluta e in responsabilità precisa per l'uomo, responsabilità per sé e per il mondo) – la componente spirituale, dicevo, è una chiave di questa evoluzione. Altro discorso sarebbe concentrarsi sulla spiritualità e tentare di comprendere (o sentire sino in fondo, o quasi) il suo elemento metafisico: cose su cui fior di filosofi si sono rotti la testa. Figurati un Dario qualsiasi! Dunque, poiché la preoccupazione mia era quella indicata – e francamente mi pareva originale – ecco spiegato l'andamento a tambur battente per raggiungere lo scopo, neanche ben enucleato, in definitiva. Troppo difficile? Tesi balorda? Mah, qualcosa per un eventuale seguito doveva evidentemente rimanere. Scrivere un testo definitivo è impossibile, assurdo ed ingiusto. Le tue critiche mi fanno piacere (ripeto, non è piaggeria) così come mi fa piacere aver scatenato tue considerazioni a largo raggio. Dunque, il testo a qualcosa serve.

Mi spiegherai meglio, se lo vorrai, l'elemento spirituale al quale alludi con tanta intensità. Io ho certamente una maggiore propensione storica, ma amo la storia contestualizzata. Avrai notato, per quanto riguarda i richiami umanistici e rinascimentali, l'accenno all'ermetismo: una cosa che non si trova nei testi storici e artistici canonici.

Infine, sull'argomento si potrebbe scrivere un volume di almeno 5000 pagine, pur sintetizzando al massimo. Chiamandosi Mommsen o Gregorovius, invece, almeno 5 volumi da 5000 pagine sempre. Ma si rischierebbe di andare fuori tema. In fondo, la mia tesi potrebbe essere ulteriormente riassunta, contenuta in 50 paginette.


Dario Chioli, 21/12/2011

Ho letto ancora qualcosa di tuo su "Logos". Bello il tuo articolo su Montanelli, belle le tue recensioni dei dipinti, ma non era meglio vedere anche l'immagine? Interessante anche il testo su don Bosco.

Ho notato sì il tuo accenno all'ermetismo, e a Marsilio Ficino, e l'ho apprezzato, come molte altre cose del tuo testo. In realtà le sintesi hanno il loro ruolo, soprattutto danno una chiave di lettura, che come tale non può che essere imperfetta ma permette di entrare nella ricerca. Neppure Mommsen o Gregorovius o Pirenne hanno potuto far di più, ci sono troppi limiti, la mancanza di dati sulle classi illetterate, la propensione dei testimoni a dare testimonianze interessate e a sbagliarsi, ma soprattutto la insormontabile ignoranza circa le finalità intime di qualunque personaggio della storia.

Sulla tua visione del cristianesimo come richiamo alla responsabilità, non ho da obiettare. Mi pare un modo corretto di muovercisi.

L'elemento spirituale che mi chiedi di chiarire, consiste soprattutto in questo: ci sono i fatti storici, nella maggior parte peraltro non così sicuri, che danno il paesaggio, in un certo senso; ma gli attori hanno dei moventi o subiscono delle coazioni, che poche volte possono o sanno o vogliono esprimere a chiare lettere. Tali moventi o coazioni sono ancora discernibili, con qualche fatica, da parte dei personaggi, se compiono una autoispezione psicologica. Ma dietro il quadro psicologico vi è ancora un altro tessuto di moventi, che hanno poco a che vedere col mondo fisico. Li si discerne solo "per gusto". Ciò che accende, e ciò che spegne. Ciò che vivifica, e ciò che deprime. Ciò che illumina, e ciò che confonde.

E quindi bisogna guardare dietro la confusione della psiche per trovare i moventi di tale confusione, ovvero contemplare nella lucidità l'origine divina di tale lucidità.

Il mondo moderno è pieno di molte confusioni, e in ciò dimostra moventi "diabolici" ben evidenti, e questo sia detto al di là di ogni appartenenza religiosa.

Tali moventi non furono tuttavia meno presenti in passato, e hanno sempre alloggiato benissimo nella psiche degli "ipocriti", così difficili da discernere ad uno sguardo non addestrato, e spesso neppure identificabili con persone singole, piuttosto con aspetti più o meno apparenti del loro stare nel mondo. Insomma dove c'è psicosi e divisione, il movente è qualcosa di corrispondente (satanico direbbe un appartenente alle tradizioni abramiche, magia illusoria direbbe un indiano, eccesso yin o eccesso yang direbbe forse un cinese), dove invece c'è armonia, il movente, o meglio la manifestazione, è divina.

Non mi illudo che queste ragioni possano illuminare più di tanto; ma applicandole, si passa a cercare l'ordito dei moventi che trapelano nella trama degli eventi, e la cosa riserva non indifferenti sorprese, anche se alla fine obbliga quasi sempre a sospendere il giudizio perché si giunge alle motivazioni intime dei personaggi, le quali non ci sono accessibili.

Ti faccio un esempio: prendiamo il caso dei Protocolli dei Savi di Sion, questo falso confezionato probabilmente dall'Okhrana, il servizio segreto zarista. Cosa possiamo dire della sua storia, che ci ammaestra su quanto sia difficile giungere ad una risposta storica davvero chiara?

Primo, c'è la confezione del testo, operazione che sembrerebbe essere stata fatta a tavolino in completa malafede.

Secondo, Sergej Nilus, slavofilo tradizionalista iperortodosso a cui si deve anche la scoperta di un eccezionale testo su san Serafino di Sarov, pubblica il testo, in un'ottica cristiano-apocalittica, a modo suo in buona fede. Ora, che dire di questa buona fede? Il testo veniva utile, coincideva con la sua visione apocalittica, e questo aveva del mistico, ma, sopraffatto dall'interesse della tesi, non valutò la fonte, e questo fu diabolico. Per interesse mistico non considerò gli effetti antisemiti concreti, che poi ne derivarono.

Terzo, il testo viene tradotto e comincia a venire utilizzato. A questo punto, alcuni si accorgono che ci sono in esso delle cose interessanti sulle dinamiche del mondo moderno. Nonostante ne sia palesata l'inautenticità, alcuni vi trovano delle risposte, e perciò trascurano magari i tratti e le applicazioni terribili del testo. Ora, il fatto che le dinamiche descritte nei Protocolli abbiano talvolta del verosimile, lo si può interpretare come una componente di verità, ma è diabolico che tale verità venga utilizzata a fini distruttivi. Così facendo, il progetto "diabolico" si mostra chiaramente: svalutare certe tesi critiche sul regno di Mammona prima ancora che qualche studioso serio le formuli. Attribuendole ad un falso, e poi al nazismo, d'ora innanzi sarà sospetto chiunque le faccia sue.

Quindi: 1) il demone Mammona (chiamiamolo pure così) rafforza il suo dominio sul mondo; 2) per evitare che ci si ricordi che «non si può servire a Dio e a Mammona», fa in modo di rendere inaccettabile alle persone ragionevoli la propria esistenza, facendo sì che questa sia affermata da uno o più falsi antisemiti, nonché in seguito dalle varie forme di fascismo; 3) il discorso su Mammona diventa "politicamente scorretto" e non si può più farlo senza essere tacciati di oltranzismo.

Da un punto di vista storico ordinario, ci si limiterebbe a narrare le ipotesi sull'origine del testo senza prendere in considerazione quanto esso abbia inciso spiritualmente, perché lo storico moderno non è addestrato a sondare tali aspetti.

Non so se quanto qui detto ha in qualche modo risposto alla tua domanda.


Dario Lodi, 21/12/2011

Ho letto e riletto. L'argomento è ostico perché va a smuovere l'inconoscibile, razionalmente parlando. Io penso che noi abbiamo un approccio istintivo alla realtà, affiancato da un approccio razionale. Il secondo è molto più giovane: ecco perché il primo, costituito da lunghe esperienze precarie, continua a prevalere. Vado a braccio. A questo punto tocca chiedersi: la ragione è un prolungamento dell'istinto oppure è una cosa a parte? Se è un prolungamento dell'istinto, come il mondo attuale sembra dimostrare, siamo fritti: l'uomo non è granché. Se è una cosa a parte, abbiamo la speranza di capirci qualcosa e di agire di conseguenza, per il meglio intendo rispetto alla costruzione del materialismo che, infatti, ci pesa sullo stomaco.

L'evoluzione della razionalità (una evoluzione ancora frenata dal pesante bagaglio precedente e attualizzato con il pragmatismo) consente tuttavia di apprezzare quella tu chiami componente spirituale ed essenziale dell'uomo.

Per me, lo spirito è sentire la vita, l'esistenza (due cose diverse), afferrarne il linguaggio pur senza saperlo decodificare (in realtà viene decodificato dal sentimento). Tu dici (mi sembra): il sentimento spinge da una parte, la realtà spinge da un'altra. Quella del sentimento è la parte giusta, ma la realtà è più forte (per il momento, aggiungo io).

In un contesto del genere, se parlo di qualcosa rischio seriamente un discorso utilitaristico: cioè non dico la verità, dico quello che mi conviene, sia in cattiva che in buona fede. L'importante, insomma, è che ciò che dico stia in equilibrio: se sono bravo lo farò pendere verso la verità. Quindi racconto le cose secondo la convenienza generale, quella dei vincitori, con qualcosa di obiettivo in più. Se sono ancora più bravo dirò che i vincitori sono in realtà eroi del fare, non del pensare. Avendo una visione divina del mondo (cosa che non ha niente a che vedere con le genuflessioni) arriverò a concepire un'armonia possibile che la realtà, basata sulla disarmonia per appetiti individualistici, non pratica e non praticherebbe mai, perdurando il cieco individualismo.

Da qui, credo, la tua disaffezione verso le panoramiche storiche in quanto parziali e superficiali (è vero, in genere). E da qui le discussioni infinite e generali sui distinguo: un furore sofistico che gli specialismi alimentano senza pietà. Si tende puntualmente a parlare di addobbi dell'oggetto, non dell'oggetto. E questo perché non si è attrezzati ad approfondire, né ci si vuole dotare di strumenti adatti: la cultura non serve a questo mondo, serve solo quella strumentale, meccanica, di rapida applicazione, e pazienza per le conseguenze: si ritiene siano sempre e solo gli altri a pagarle.

Così si tradisce la sensazione di globalità del sistema, una sensazione reperibile nel concetto di umanità anziché di uomo. Il concetto di umanità coinvolge quello di sintonia con l'esistenza generale, con l'esistenza tout court. Ritorniamo allo spirito (ce l'ho fatta finalmente), alla sua nobiltà, e benediciamo la ragione che per lo meno ce lo fa ammirare. Consapevolezza razionale del tutto è altra cosa: ci danna l'anima se pretendiamo chissà che, se abbiamo fretta di conquistarla. Temo che, essendo un divenire, il tutto ci scapperà sempre, sarà sempre un poco più avanti. Solo lo spirito, in effetti, può conquistarlo.

Chiaramente questo è un discorso aperto ed estremamente difficile da articolare. Bisogna prima di tutto mettersi d'accordo sul linguaggio da assumere, non mettersi a gridare (neanche metaforicamente). Il tema è più importante di chi lo tratta: questo non viene mai preso in considerazione.

Sicuramente riparleremo di questo grosso sasso che hai gettato nello stagno (te ne ringrazio sinceramente).


Dario Chioli, 21/12/2011

Qualche appunto su quanto scritto da te nell'ultimo tuo messaggio.

Secondo me è importante separare il sentimento di realtà dal sentimento di consuetudine. Ovvero: sono lo spirito e la sua visione ad essere reali, non l'ipnosi di massa e le sue conseguenze.

Inoltre, è importante tenere per consigliera la morte (Castaneda questo lo espresse bene): tutto ciò che la morte distrugge non ha gran valore, bisogna indagare con tutti i sensi disponibili – anche con quelli poco noti e magari anche con qualcuno da integrare – su cosa possa attraversare questa porta della morte. Gli stupori, le improvvise illuminazioni, gli affetti che sciolgono l'anima, in realtà cristallizzano qualcosa come un'identità alternativa a quella comunemente intesa, identità che è importante evidenziare in se stessi e rispettare profondamente.

In terzo luogo, tutta la diabolicità a cui accennavo in quanto presente nei fenomeni storici sta soprattutto di qua da questa porta, perché è legata alla confusione di questo mondo.

Quarto punto: il tentativo coatto di spiegare tutto non può che portare a non spiegare niente, perché costringe a muoversi su un piano in cui la spiegazione non esiste. È come un incubo in cui ci si muove sempre in tondo, l'unico modo di uscirne è svegliarsi.

Quinto punto: il concetto di umanità è per molti un succedaneo fittizio della vera e propria parentela che ci lega a tutti gli altri esseri. Sostituendo un concetto all'esperienza diretta, si può apparire molto comunicativi mentre in realtà si sta chiusi in un proprio guscio e si costringono anche gli altri a incastrarsi in altri gusci.

Sesto e ultimo punto: non ci si può accordare sul linguaggio, si può capirsi per condivisione. La comprensione spirituale è un fatto oggettivo, legato a una percezione diretta; non è una questione dialettica. Ma la difficoltà è minore di quel che non possa sembrare, perché ben pochi sono quelli che non hanno percezioni spirituali, se pur ve ne sono. La difficoltà sta nell'identificarle come tali, ed è più questione di affettività e apertura mentale che non di esattezza metodologica.

Sono conscio che butto altri sassi senza rispondere veramente. Ma questo so fare...


Dario Lodi, 21/12/2011

Ti leggerò su SuperZeko appena possibile. Per ora, fra i tanti tuoi sassi, ne prendo solo qualcuno.

Lo spirito e la sua visione sono reali, per te. Siamo d'accordo sull'ipnosi di massa: io la chiamo evoluzione lineare del mito materiale (risolvo tutto facendo, anzi rompendo senza aggiustare). Ostica è per me la comprensione di ciò che intendi veramente per spirito. Senza la ragione che lo spiega, o per lo meno lo rappresenta, lo spirito non esisterebbe. Non intendo la ragione pratica.

Tenere per consigliera la morte, mi pare un azzardo, per quanto poi raccomandi l'uso di tutte le nostre risorse (stimolando quelle che non usiamo abitualmente) per giustificare l'affermazione. Ma l'esperienza vitale personale è importante, per lo meno è un testimone da consegnare ai posteri proprio per migliorare la conoscenza delle cose, spirito incluso (ho tentato di definirlo, rozzamente lo so, nel mio precedente scritto).

È enorme la portata del tuo discorrere, implica supplementi concettuali assai stimolanti che, tra l'altro, non richiedono finalismi preordinati. Vedrai che faremo fatica a capirci, ma che ci proveremo a fondo. L'importante è allontanarsi da presunzioni (lo dico senza alcuna critica e il richiamo riguarda ovviamente entrambi) – sarà dura allontanarsi da presunzioni ignote – allontanarsi e sbrogliare serenamente la matassa. In quanto uomini, ho seri dubbi nella riuscita (almeno da parte mia), ma ho meno dubbi sulle energie che saranno messe nell'impresa. Magari arriveremo in America e diremo che sono le Indie. Va bene, andiamo a braccio: la cosa è più vera.

Attendo altri sassi.


Dario Lodi, 22/12/2011

Ho letto qualcosa su SuperZeko e ti comunico le mie prime impressioni.

Anzi, ce n'è una che predomina e che, secondo me, è determinante. Tutto ruota intorno alla trascendenza, alla fiducia nella fede. Nel tuo caso mi sembra si tratti di una fede fondamentalmente adogmatica. È qualcosa di archetipico, cioè di spirito originale, di sensibilità profonda che si chiede come affrontare la vita, l'esistenza e che tenta di risolvere (con la convinzione di poterlo fare) adottando una fiducia nell'ineffabile, ma percepibile (a certe condizioni).

Ci vedo una parentela con Kant (parlo in termini essenziali), con la differenza che Kant scindeva le cose umane da quelle divine mentre tu le apparenti, a patto di assumere un linguaggio non convenzionale, non tradizionale, non ordinario. È il linguaggio interiore che va a comunicare con un'idea di armonia (non avvertita come consolatoria) alla quale si deve partecipare attivamente: prima di tutto credendo in essa, quindi apprezzandola pienamente con il senso, diciamo, eletto, elevato (pur mantenendosi semplice).

Il fenomeno chiama in causa motivazioni sotterranee mai seriamente esplorate, se non, credo, nella filosofia orientale (penso al Buddha, al Mahavira, al Brahmanesimo). La traduzione di queste motivazioni è oggi superficiale e volgare. Perché si passi ad altro, e cioè alla loro giusta valorizzazione, occorre argomentare al meglio (ciò che oggi non accade) il senso di questa sensibilità ideale. Certo, si è ora costretti ad essere vaghi; allora, bisognerebbe riconoscere l'attuale limitazione speculativa: da questo riconoscimento, a mio avviso, si deve partire per superare i limiti e dare le risposte alle domande dirette e quelle indirette. Le seconde sono molto più intriganti, quanto più difficili ad essere soddisfatte.

Mi devi perdonare per la sinteticità. Leggendo, molto molto parzialmente le tue cose, avverto una tua sofferenza intellettuale, una tua delusione di fondo, un tuo sconforto: non perché ritiene utopistico ciò che dici, bensì perché vedi intorno a te un mondo incapace di capire per mancanza di volontà.

Lo so, ho fatto lo psicanalista, non me ne volere. Ma mi ha costretto il tuo calore espressivo, la reiterazione dei principi, la loro edulcorazione per timore di non evidenziarli abbastanza. Mi ha costretto la tua dolcezza, la tua pazienza, la tua passione per la vita con la V maiuscola. Poi ci sono esitazioni, ricorsi enigmatici, formule esoteriche, quasi un'involuzione, come un ripensare tutto quanto, rielaborarlo, limarlo, arricchirlo, viverlo intensamente, con una intensità spirituale straordinaria (nel senso di fuori dagli schemi abituali). Molto complessi i tuoi interventi. Ricchi di spunti non si sa quanto perseguibili. Intuizioni debordanti, proposte in nuce, affermazioni perentorie (mascherate), rivisitazioni, abbandoni in un'estasi privata.

Mi fermo per ora.


Dario Chioli, 23/12/2011

Ti sono grato di questa tua analisi invero piuttosto elogiativa. Direi che condivido tutto salvo i riferimenti a Kant, perché non sono mai riuscito a leggerlo (cioè non proprio: lessi il suo libro su Swedenborg, però ne ricordo ben poco).

Come psicanalista ci azzecchi abbastanza, salvo forse per una sfumatura: lo sconforto, al di là di come si configura, quando c'è, è più che altro verso me stesso, nella constatazione dei miei limiti. Un conto è vivere sprazzi di conoscenza, un'altra, ahimé, è farne la propria natura costante...

I ricorsi enigmatici, le formule esoteriche: vengono da una ricerca di mediazione, da un'interpretazione elaborata per accettare, per reinterpretare. Reti che pescano pensieri e li ricollegano, per causare sconcerto ai meccanismi mentali consueti. Forse questo più che altro.

Certo alcune motivazioni sono identificabili come orientali, o antiche, e non come moderne, non c'è dubbio. Il pensiero moderno come fattore puramente funzionale, astratto, non etico, non mi coinvolge affatto, non ci credo, credo anzi che svii.


Dario Lodi, 23/12/2011

L'elogio non è una forzatura. Meritevoli la passione e l'impegno, la sincerità, la spontaneità. Seguitando a fare lo psicanalista, mi sento di aggiungere che non è indispensabile aver letto un autore a fondo: un saggio (non ricordo più chi è) diceva che è bravo chi sente le cose, non chi sta lì a sentirsele raccontare.

Uno può aver letto poco di storia eppure averla capita più di uno storico (più di Montanelli è sicuro). Così il principio apicale di Kant, in termini volgari, è alla portata di tutti: l'uomo deve badare alla propria sfera di influenza e lasciare stare la divinità, al massimo vi si può inginocchiare davanti sventolando una comprensione relativa e secondaria.

Non è il tuo caso che, in parte, mi ricorda il pensiero del Buddha. Lasciamo stare le varie coreografie riguardo al personaggio indiano, andiamo al sodo. Contano, lo sai, i concetti non le parole. In quanto alla tua inadeguatezza, fonte di angosce sotterranee affrontate con serenità (ma quanto sforzo, persino inconscio!), ebbene è inadeguatezza generale alla quale qualsiasi uomo cerca di sottrarsi, ciascuno a suo modo. Chi non usa la testa e il cuore, va a soffrire di frustrazioni e di paure. L'uomo deve liberare tutto se stesso, tutta la propria potenzialità. Tu lo fai, mi sembra, attraverso una forza metaforizzata, sublimata. Il timore di non giungere al punto, ti fa reiterare i concetti di base e ti dà l'energia per formulare ipotesi che vuoi tesi. Ogni uomo si nasconde dove può. Il tuo nascondiglio è buono.

In quanto ai tempi che viviamo, sono sicuramente tempi di crisi, caratterizzati da un relativismo demoralizzante e demotivante: ma questo da un lato, dall'altro il relativismo spinge gli spiriti belli a guardare meglio dentro le cose. Sono convinto che, nonostante tutto – nonostante cioè la presunta pochezza umana, peraltro provata nei fatti, ma da contestualizzare – il futuro sarà meglio del passato. Lo so, un futuro lontano. Magari l'uomo non ci sarà neanche più: ma ci saranno le buone idee, vestiranno esseri migliori. Questo nel peggiore dei casi.

Amenità a parte, vale sempre e comunque la pena di spaccarsi la testa per capirci qualcosa. Altrimenti, sai che noia?!

Concludo con una impressione viva: sei semplice nelle tue complicazioni intellettuali e sentimentali e ami la complicazione a patto che prometta semplicità.

Non so quanto valgo come psicanalista, una figura che francamente non amo a causa dei molti cialtroni in circolazione: che ne faccia parte anch'io come dilettante?


Dario Chioli, 24/12/2011

Interessante che tu dica che il mio «nascondiglio è buono». O quando parli di «formulare ipotesi che vuoi tesi». In qualche misura è sicuramente vero. Ciò da cui partii è la poesia, che è atto creativo, di una cosa che prima non c'era e poi c'è. C'è al tempo stesso un "accettare" l'ispirazione e un "accettare" quanto si è creato, e poi una riflessione su tutto quanto. Un mondo alternativo. Ma ad un certo punto, ad aver fortuna, questo mondo alternativo comincia a sovrapporsi a quello di tutti i giorni, a comunicarci insieme. E allora cos'è vero? e cos'è falso? E non è forse vero che diventa sentiero ciò che ti è stato concesso di inventare come tale?

Alla fine a me pare che non sia tanto importante definire, quanto camminare. E più inattesa è la strada meglio è. E più è inattesa più diventa umana, perché se è vero che l'uomo è una sorta di piccolo sub-creatore, allora da questa sub-creazione non può essere assente l'umanità, l'amore, la dolcezza.

Ecco, lo so che il passaggio logico è carente, ma non lo è, come dire, il passaggio affettivo... Si salta da uno stupore all'altro, l'intermezzo di mediocrità conta solo nella misura in cui porta da uno stupore all'altro. Può forse avere realtà una logica che non sia densa quanto la vita?

Anche per considerazioni di questo genere, non posso non essere d'accordo con te nell'attendersi il meglio dal futuro. Una scelta forte permette di creare; una scelta debole, pusillanime, permette solo di ripetere coattivamente e attendere il disastro.

La tua considerazione sulla semplicità è eccellente, la condivido pienamente: la complicazione ha senso solo se ha una ragione estetica, quella di suscitare uno stupore che incrementi la vita, l'amore, la straordinarietà affettiva.

Non amo neanch'io gli psicanalisti a un tanto l'ora, ma questa forma di tua psicanalisi è altra cosa, la trovo stimolante.


Dario Lodi, 24/12/2011

Camminare è certo più importante che definire. Ma un indirizzo in mano bisogna averlo. Poi magari mi fermo in un altro posto e lo trovo eccellente. Ma, rieccoci, fermarsi non è affare da uomini. Bisogna poi rendersi conto che si riesce a camminare grazie a qualcuno che ha fatto le scarpe. Nostro compito è quello di lucidarle a dovere e magari di renderle più comode.

Citi la poesia: è, a mio avviso, la forma espressiva più difficile in assoluto. La poesia vuole massima semplicità, non vuole declamazione, non vuole enfasi, vuole concetti sublimati e partecipati al calor bianco. La poesia, sempre a mio avviso, è nell'animo umano, è in tutti gli uomini: beati coloro che riescono a tirare fuori qualcosa (ho scritto anch'io un paio di libri di poesie: asciutte, asciutte, quasi degli haiku, ma non ne sono orgoglioso). Essendo una cosa molto seria, bisogna stare attenti a non cadere nelle frasi fatte, a non creare parodie, a non perdersi in sdilinquimenti.

Passione sì, ma sotto l'egida dell'orgoglio e del decoro intellettuale. La razionalità, in questo caso, serve a limare le parole. Sono cose, lo so, che incontriamo, tutti i giorni, sono difficoltà che ci angustiano, ma guai a cadere nella trappola dell'autocommiserazione o credere di essere arrivati. Si è sempre in partenza e quasi mai si è attenti a cosa si mette in valigia.

Sono andato a ruota libera. Vado a leggere altre cose tue e ti dirò la mia impressione. Tu potrai, ovviamente, vendicarti. Dopo i reciproci complimenti, se sei d'accordo, quando ne avremo voglia (guai a fare le cose "a comando"), discuteremo sul vivo, possibilmente sul profondo. Uno scambio, fra gente perbene, che ha voglia, comunque, di diventarlo a tutti gli effetti, non può fare che bene in questo mondo piuttosto stupido e sicuramente arido (ma generalmente desideroso di ben altro).


Dario Chioli, 24/12/2011

Ho letto il tuo Dentro la storia. Come nel caso dell'altro libro, ne apprezzo la notevole capacità sintetica, però meno ancora ne condivido la sostanza. Ovvero, non è che tu dica o inanelli cose inesatte, è solo che le scegli a tuo modo, e come le tratteggi tu, a me manca quasi tutta la parte che interessa a me. La tua è una prospettiva storico-laica, centrata sostanzialmente sull'occidente e su un'idea di cultura riconosciuta (quella dei manuali) su cui personalmente ho molti dubbi.

Sottovaluti sicuramente gli apporti dell'oriente prima della Grecia. Infatti scrivi:
«Prima dei greci, la mente era usata per puri scopi di sopravvivenza».
Questa, da buon orientalista, non posso passartela: quasi tutta la conoscenza greca, spirituale e scientifica, viene dall'oriente o dall'Egitto, dove l'appresero i suoi celebrati filosofi; quello che cambia è solo, talvolta, il tipo di approccio che la rende più "moderna".

Scrivi anche: «La visione greca del mondo ha successo con le spedizioni di Alessandro Magno in Oriente: il successo militare trascina anche la filosofia, dà alla stessa robusta visibilità, esalta il pensiero greco».
Ecco, questo è vero, è da Alessandro che si può finalmente notare un influsso della cultura greco-ellenistica (già a sua volta imbevuta d'oriente) p. es. su certi aspetti della scienza indiana.

Ma poi, ancora: «armate macedoni, che invadono la Penisola per dilagare poi in quasi tutto l’Oriente, dove trovano una cultura incomparabilmente arretrata».
Anche questa non ti passo. Come potrebbe essere stato così, se è ben noto che Alessandro fu accusato proprio di aver assunto abitudini troppo persiane? L'oriente era arretrato come tecniche belliche ma non certo culturalmente.

E dopo l'epoca dei greci dal tuo quadro storico l'oriente sparisce completamente.

Ma per me non è questo il vero problema. Il problema è quello di cui t'ho già accennato: non c'è la dimensione metastorica, non è espressa la dimensione della lotta spirituale, come entri il divino nella storia, e quali scontri determini. Non m'importa nulla, ovviamente, dell'analisi sociologica. M'importano caso mai gli archetipi.

E da tale punto di vista ci sono tra l'altro forme d'arte (Francis Bacon, Andy Warhol) che proprio non mando giù.

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Tornando al tuo ultimo messaggio, tu dici che per incamminarsi ci vuole un indirizzo. In genere è vero, ma si può anche non prenderlo troppo sul serio ed accettare senza problemi le diversioni. Tra l'altro sono proprio le diversioni a consentire le scoperte più inattese. I progetti troppo chiari portano perlopiù a ben poco.


Dario Lodi, 24/12/2011

Grazie per le osservazioni. Temo che l'estrema sinteticità porti ad incomprensioni. Il taglio non tiene conto delle sfumature. Le sfumature alle quali alludo riguardano l'impostazione della tesi. Gli Orientali, ai quali dobbiamo quasi tutto, non praticavano il protagonismo. Non praticavano quello diretto. L'uomo greco è Prometeo, o in viaggio per esserlo. Non lo era né l'uomo egizio né quello persiano, né quello assiro, ecc.

Si tratta di capirsi. I Greci aggiungono alla spiritualità orientale una partecipazione personale, inventano il demiurgo (figura sconosciuta in Oriente, che al massimo concepiva degli intermediari). Alessandro porta laggiù la capacità speculativa umana, tutta umana (per quanto coronata di dei), sostanzialmente umana. Il Greco vuole sapere, l'Orientale vuole vivere l'esistenza in subordine al divino. Quale delle due sia la formula migliore dipende dalla visione del mondo: se metafisica, siamo con Buddha (per dire), se oggettiva siamo con Socrate (sempre per dire).

L'Occidente primeggia nel mondo, condizionandolo interamente: qualche seria ragione ci sarà. Per me è l'uomo occidentale che si è (parzialmente) emancipato, grazie alla figura di Cristo, metaforizzata, mentre quello orientale è rimasto al palo. Il discorso penso sia abbastanza nuovo e quindi di non facile ricezione (chiedendo perdono per l'immodestia). Di certo non si ferma alle formule, né alle specializzazioni o incrostazioni accademiche (utili come base di partenza, ma non sempre di arrivo).

In quanto alla direzione da prendere, in generale, sono d'accordo con te: è meglio non prenderla affatto. Ma io mi rifacevo ad un riferimento di massima, opportunamente aggirabile: altrimenti sarei in contraddizione con quello detto più sopra a proposito delle specializzazioni e incrostazioni accademiche.

Torniamo alla mia storia (storiella). Dal tuo punto di vista sei senz'altro nel giusto, in quanto difensore attento di una certa ortodossia che ti fa bene alla salute (il fascino spirituale, unico per quanto riguarda il pensiero orientale, anche se, ad esempio, occorre una gran pazienza per leggere le Upanishad, ma anche Ermete non scherza: il troppo esoterismo rischia di mandare il cervello in tilt: non mi sembra corretta, peraltro, la presenza di iniziati, quasi carbonari: sono preziosi reperti museali, ma il pensiero umano è andato oltre, mi sembra).

Dunque, la tua buona salute (che a me suona reale, sinceramente perseguita: l'iperuranicità non è cosa da poco, a ben vedere talvolta suona come rifugio dorato del tutto) e i miei tentativi di giungere ad averne un'altra altrettanto buona, respirando un'aria diversa. Vero che la metastoria ha condizionato parecchio: ma poi è stata inglobata nell'azione, a partire dal '600, dalla nascita della scienza moderna, guarda caso fiorita solo in Occidente, per lo meno (meno?) come speculazione fortunata.

Secondo me, tutto concorre a formare l'uomo, ad armarlo convenientemente per combattere contro il mondo. Lo spirito, il sentimento, sono la base di questa formazione, ma poi l'uomo si è evoluto e, appunto (in parte) si è emancipato. Pur con enfasi, oggi riesce ad analizzare (o presume di poterlo fare) persino la spiritualità. Tu stesso ne parli, con giusto rispetto, ma un tempo l'uomo non si immaginava neanche di poterne parlare. La cosa è complessa e aggrovigliata, specie se si staziona negli schemi, nella convenzionalità. Attenzione, magari sono convenzionale anch'io: non dico affatto di essere nel giusto.

Ad esempio, se tento di ragionare in termini temporali macroscopici, potrei forse arrivare a dire che oggi stiamo semplicemente vivendo il progresso di un'idea, relativa a determinati fenomeni, e potrei aggiungere che tuttavia questo progresso avrebbe potuto prendere un'altra piega se si fossero sviluppate altre idee. Cosa voglio dire? Voglio dire che, andando oltre noi stessi, tutto è relativo e che questo relativismo nasconde il pericolo della casualità (alla quale non credo): l'uomo è attrezzato per cancellare il timore casuale e tesaurizzare, quindi, il relativismo? Il concetto di assoluto si nasconde qui. L'opinione è stuzzicante e poggia sulle scoperte scientifiche, su tutte quella di Planck, che ha oltre un secolo e che ancora non è stata ben digerita (io non la conosco nel dettaglio, ma la conosco negli effetti filosofici, così come conosco la reazione filosofica alle teorie di Heisenberg e Gödel): ergo, tutto ciò in cui crediamo è frutto di un'eredità storicizzata, alla quale ci attacchiamo come fosse inesauribile. Non è così. Conseguenza: tocca pensare continuamente il mondo, rivederlo altrettanto di continuo.

Tutte queste considerazioni mi hanno portato a Dentro la Storia: troppa roba, ma niente di repertorio. Risultati discutibili? Meglio, così si può discutere. Certo è che essendo uno scritto estremamente sintetico, la rilettura con calma va fatta, lasciando a casa i preconcetti. Non è una difesa ad oltranza, il mio è solo un invito a giungere al "cuore" del testo, alla sua tesi di fondo. Di fondo. Contestualizzato, si possono vedere meglio i difetti, di fondo e di contorno.


Dario Chioli, 25/12/2011

Il problema per me non è sostituire uno schema con un altro.

Il problema si configura così: «Io morirò: cosa sopravvivrà di me alla mia morte? e quanto contano le cose di questo mondo relativamente a questa cosa che sopravvivrà alla mia morte?»

Quindi per me è reale solo ciò che avvicina alla cosa, e conoscenza è ciò che chiarisce come avvicinarsi alla cosa. Tutto il resto è fantasma.

Mi è capitato di analizzare negli anni tutto quanto ho trovato relativamente a certi personaggi o fatti storici. In nessun caso ho creduto di giungere alla decifrazione del fatto, al suo senso ultimo. Sempre giungevo a un punto in cui la risposta stava nell'indiscernibile motivazione intima del personaggio, inarrivabile a chiunque altro. E mi sono fatta l'idea che ciò valga per tutto. Il discorso storico che collega gli eventi in realtà crea fantasmi, e serve a poco perché non aiuta ad attraversare la morte. Comprendere la vita senza attraversare la morte è a mio avviso solo un altro fantasma. E dalla moltiplicazione dei fantasmi non derivano che fantasmi.

Io capisco il desiderio di porre il Cristo al centro della storia, se ciò serve ad attraversare la morte nella resurrezione di Cristo, se si vive questo come una via verso l'ignoto. Se no, non è che uno schema come gli altri. Quindi la questione per me non è la veridicità dello schema, ma l'utilità eventuale dello schema.

Formulerei la mia visione così: ogni essere è una manifestazione che potenzialmente sorge dalla creazione e si reca all'apocatastasi. Vero è il sentiero che lo conduce alla verità; sogno tutto il resto. Da questo punto di vista nessuna vera evoluzione generale, solo variazione, mutamento indefinito, andare e venire di tutte le cose, ma evoluzione solo per ciascun fenomeno in se stesso. Le cose tutte perfette per un verso; per altro verso tutte perfettibili. Quando il perfettibile si fa perfetto, questa è evoluzione. E da questo punto di vista nessuno mi convincerà che la lucidità del Buddha sia inferiore alla dialettica del peraltro stimabilissimo Tommaso d'Aquino, e tanto meno alle visioni provvisorie che oggi prendono spesso indegnamente il nome di filosofia.

Ho gran rispetto per la scienza moderna, e molto m'incuriosisce; ma può spiegare solo le concomitanze fisiche dello spirito, non lo spirito stesso, che è incorporeo.


Dario Lodi, 25/12/2011

Il problema sta nell'impostazione del discorso. È sempre questa maledetta o benedetta impostazione a far dannare. Poi ci sono i rispettivi luoghi di difesa e di attacco, come un mantenere la propria personalità a tutti i costi, ovvero dilatazione moderna dell'esaltazione del proprio essere (una legge naturale).

Se non accetteremo i rispettivi punti di vista di partenza, quelli rispettivamente più congeniali, non ci capiremo mai. Tu non ami la storia tradizionale perché congerie di fatti volgari, io amo la filosofia e la religione in quanto base di partenza di ogni fatto, ma non riconosco né all'una né all'altra valori risolutivi.

Perché? Stiamo alle vicende attuali, frutto di circa 10.000 anni di eventi (niente, ma qualcosa se ci stiamo sopra). L'evoluzione umana è stata, a mio avviso, molto lineare: s'è avuto il passaggio da una fame indomabile ad un (presunto o possibile) benessere per tutti. L'uomo si è battuto per la propria sopravvivenza. Religione e filosofia sono stati puntelli importanti di questa evoluzione, ma poi, sinora, sono stati sacrificati sull'altare del pragmatismo. Dimmi l'influenza religiosa e filosofica del '900: pari a zero o poco più. Un male? Ma sono d'accordo con te che è un male: è un male perché l'intelligenza e la sensibilità sono state sostanzialmente tradite dalla prevalenza di una speculazione pratica, eletta come speculazione tout court. Da qui la crisi, sotterranea, attuale: l'uomo è un pezzo di macchina e non gli sta bene. Non gli sta bene perché l'uomo è anche altro, anzi è soprattutto altro.

Tu, mi sembra, fai un discorso diverso, un discorso che non ha niente a che fare con la storia. Tu non parli di vita, ma di esistenza, quindi non concepisci le preoccupazioni immediate. In effetti, giri intorno al problema della morte e quindi della vita nel suo essere significato esistenziale, non vitale. Sei oltre, in un certo senso. In questo ambito, chiara la simpatia per il Buddha e per la spiritualità orientale (la faccio breve). Da un punto di vista spirituale, diciamo originale, nessun occidentale può competere con la profondità orientale (tanto meno San Tommaso) perché la spiritualità orientale non contempla la razionalità. Quest'ultima, fa inevitabilmente decadere la qualità spirituale: i due linguaggi non possono andare d'accordo, specie se la ragione pensa di... avere ragione.

La storia come la concepisco io ha inevitabilmente radici esistenziali, ma poi si sviluppa vitalmente per logiche quotidiane alle quali nessuno può sottrarsi. Giusto pensare alla vita e alla morte, ma nel frattempo qualcosa bisogna pur fare per sopravvivere e quindi poter pensare ai due estremi. Sta in questo secondo riflettere la chiave dell'evoluzione. È una chiave che gli anche gli orientali si sono messi ad usare da tempo. Vedi la Cina e l'India moderne. Producono, non pensano più. Tutto questo, ai miei poveri occhi, non è demoniaco, ma è logico alla luce dell'evoluzione materiale che s'è avuta in Occidente grazie alla scienza. La puoi discutere fin che vuoi, e fondamentalmente sono d'accordissimo con te (è un parasapere, ma questo lo sa anche la scienza, ecco perché ti ho citato Planck, il primo relativista moderno e quindi il primo assertore, con prove, dei limiti scientifici, lui scienziato) ma la scienza c'è ed ha portato benefici non indifferenti (io odio gli eccessi valutativi, ma non posso snobbarla).

La ricerca esistenziale è stata sospesa a favore di quella vitale. Non è stata cancellata. Anzi, proprio perché tanto vitalisti, la questione esistenza si è drammatizzata (vedi la rimozione della malattia e della morte). Ma tu arrivi al concetto di esistenza solo vivendo: facendo cioè esperienza di cosa sia vivere nei suoi molteplici aspetti. Se ragioni solo in termini spirituali, vivrai qualcosa di sublime, ma di etereo: invece sei fatto di spirito e di materia.

Entro questo ambito, non può esistere alcun testo storico che possa soddisfarti. Tu sei fatto per la filosofia, quella buona, e per la religione, quella tutto spirito. Ma l'uomo ha dimostrato di non essere solo filosofia e religione. Platone non c'è più da tempo.

Poi l'uomo ha fatto tante sciocchezze e s'è vestito di tante presunzioni: ma così è, tocca tenerne conto, tocca capire i motivi se si vogliono veramente rimuovere.

Impossibile ribattere alle tue argomentazioni sul mio libretto di storia. Siamo su piani diversi. Diciamo cose diverse. Mi limito solo a controbattere che per quanto riguarda la storia moderna l'Oriente non ha influito. Dici di Alessandro e della sua conversione persiana. Ma lo stesso avvenne con non pochi imperatori romani: furono fatti secondari e segni di decadenza, visioni arretrate basate sul culto della personalità, mentre i Greci mettevano sempre tutto in discussione, tiranni compresi. E così anche i Romani. L'Oriente, dopo le prime Crociate, cadde nella spirale turca e culturalmente sparì, mentre Cina e Giappone si isolarono per risvegliarsi dopo l'incontro con gli Europei. Il Giappone fu il primo a togliersi da un certo torpore, ma sempre a ruota dell'Occidente, con nulla di originale. L'India? Anche qui, il dorato impero Moghul, ripiegato su se stesso. Se tutti questi popoli hanno poi seguito gli schemi occidentali significa che qualcosa questi ultimi, pur nella loro volgarità, valevano, e valevano più del tran tran indigeno. Tu, pensando sempre alla superiorità dello spirito orientale, queste cose non le prendi in considerazione: secondo me, sbagli, seppur per nobili motivi. Un po' si deve scendere nell'arena perché, appunto, siamo anche fatti di materia. Questo non impedisce affatto di mantenere la propria personalità. Né si deve temere di poterla mettere a dura prova. Più elementi si hanno e meglio si può criticare.


Dario Chioli, 25/12/2011

Le rispettive posizioni sembrano ora abbastanza chiare. Molte cose che dici sono corrette, ma altre mi sembrano troppo riduttive, troppo standardizzate. Faccio un esempio. Tu scrivi: «Dimmi l'influenza religiosa e filosofica del '900: pari a zero o poco più». Ora, tu sembri aver ragione facendo caso ai fatti più macroscopici sul piano mediatico.

Però il '900 è in occidente epoca di enormi e continui pellegrinaggi (Lourdes, Fatima, Padre Pio, Medjugorje), vi prosegue una tendenza occultista sviluppatasi a partire dal più positivista dei secoli, il XIX, e vi si hanno sistemi politico-filosofici che cercano di sostituirsi al cristianesimo (nazismo, stalinismo) e non vi riescono.

Che non ci riescano vorrà pur dire qualcosa. Sembra che ora come ora abbia vinto la versione liberal-capitalista con il suo pseudocristianesimo ipocrita, ma bisogna attendere. Insomma, i fattori religiosi incidono eccome, sono l'ultima colla che tiene insieme la società per non sprofondare nella visione dell'homo homini lupus. I fattori religiosi si possono ora vedere come in negativo, come unico elemento che si mantiene sotto l'esaltazione dell'effimero. Perché la religiosità non patisce nella distruzione, anzi: essa è legata a filo doppio al sentimento dell'impermanenza ed all'attesa del passaggio attraverso la morte; nei momenti di crisi rimane come unico viatico possibile. Questa considerazione ha una validità assolutamente pragmatica. A che serve la tecnologia all'atto della morte?

Altro punto in cui non posso consentire è la tua svalutazione dell'oriente. Non vi è filosofo a mio avviso che abbia raggiunto la profondità pragmatica di pensiero di Laozi o di Nagarjuna, perlomeno quanto all'universalità. I due sono, se ben compresi, in grado di gettar luce, entro i limiti delle nostre umane capacità, in ogni fenomeno fisico, sociale, psichico o spirituale. È chiaro che in occidente si sono sviluppate una scienza e una tecnologia molto nuove rispetto al passato, e la cosa di per sé è positiva, ma non implica che si debba mettere in soffitta una prospettiva spirituale, caso mai tocca trovarne una non compromessa col mondo profano.

Una noterella: io non sono affatto convinto che i filosofi greci fossero buoni politici. I pitagorici e il loro modello sociale si fecero odiare e furono distrutti, e Platone, con la sua visione seminazista della società, riuscì per fortuna, al momento in cui provò ad attuarla, solo a farsi vendere schiavo. La sua vicenda ricorda un po' quella di Campanella, la cui "città del sole" era un altro esempio di oppressione totalitaria; e ben si vide nei regimi rivoluzionari (Robespierre, Lenin) che benessere e che pace subentrino quando governano i filosofi...


Dario Lodi, 25/12/2011

È davvero dura. Questa volta dipende dal grado del discorso. Lourdes, Fatima ecc. sono fenomeni secondari rispetto al sistema. Mi consentirai che c'è di mezzo un sacco di superstizione. La stessa Chiesa è cauta nel giudicare (poi tollera, ma per ragioni economiche). Sui fattori religiosi che incidono e che salvano dalla ferinità, dico anche nel mio modesto libro di storia, allorché dedico alcune pagine al Puritanesimo americano. I fattori religiosi, su un piano di serietà, non possono e non devono essere considerati negativi in quanto radice della nostra stessa essenza, dogmi a parte (spesso scadenti). Ma non possono neanche essere esaltati, pena un distacco dalla realtà che, ripeto, è sicuramente volgare (per storie pregresse), ma che c'è eccome. Insomma, non vince Padre Pio, vince la bomba americana, piaccia o non piaccia, e su questo fatto tocca appuntare la nostra attenzione, non per accettarlo – ci mancherebbe pure – ma per trovare la reazione migliore. La religione resiste, ripeto, nella sua purezza, e va fatta resistere, ma con argomentazioni adatte, non con voli pindarici o soluzioni esoteriche: sono finiti i tempi di Ermete ed anche Steiner sta poco bene.

La tecnologia all'atto della morte serve a non farti soffrire: chiamalo poco! Sarà volgare, ma è meglio che soffrire. Inoltre la tecnologia promette non miracoli – quella seria – ma continui miglioramenti. Sai a cosa serve una fede vaga all'atto della morte? Buddha si perde nel tutto: magnifico, ma è pur sempre un perdersi. Tu ad esempio non vuoi affatto perderti nella religione, ma ritrovarti grazie ad essa o meglio a ciò che rappresenta nel tuo immaginario.

Dissento su Laozi e Nagarjuna, vale a dire dissento sul loro pragmatismo: non è neanche lontanamente paragonabile al pragmatismo di un Gorgia, ad esempio. Parlo di pragmatismo. Laozi, Mahavira, il pensiero indiano, ripeto, è grande proprio perché manca di razionalità e quindi non è fondamentalmente pragmatico, così come intendiamo noi il pragmatismo. La dimostrazione la dai quando parli dei limiti che Laozi e Nagarjuna interpretano universalmente alla perfezione: ma l'uomo non si muove entro limiti, li vuole superare.

Di sghimbescio, potenzialmente, questi limiti l'Occidente li ha superati in quanto riesce proprio a parlare dei limiti stessi. Il pensiero orientale parla di limiti, non discute di essi: accetta, scusa, supinamente, a ben vedere. È un supinamente divino, sono d'accordo, ma è sempre qualcosa di tronco, di ridotto. A meno che non accetti l'annullamento e stai a braccia conserte di fronte alla sublimazione delle sublimazioni: poiché però parli di limiti umani, sarebbe bello capire cosa uno veramente capisce di questa supersublimazione (una cosa contro la quale qualsiasi pensatore, se onesto sino in fondo, ci ha picchiato la testa). Oppure se preferisci cosa sente veramente.

Parli dei pitagorici: guarda che era una setta esoterica, esclusiva, razzista. Altro che farsi odiare! Platone aveva una visione comunista non seminazista della società, ma ancora di più aristocratica. Ma io parlo di Platone filosofo, non di Platone uomo di stato (una forzatura dovuta alla saccenteria del personaggio). Il filosofo è legato alle pratiche religiose a doppio filo e alla spiritualità a triplo. Fu venduto schiavo (non se ne è certissimi) da uno più folle di lui. Non rientra nel nostro discorso questo Platone.

Nessuno, e quindi neanche i filosofi, possono governare. Non deve esistere alcuna forma dittatoriale. La democrazia è lentissima, ma è il sistema meno ingiusto. Noi oggi, però, seguitiamo a vivere in un'oligarchia e delle peggiori: quella strettamente finanziaria, altro che religione che resiste!

Lo dirai anche a me di certo: non si può prendere quel che conviene da un discorso complesso, articolato e... incasinato. Per me, di sicuro c'è che l'uomo è grandissima cosa quando pensa e poca cosa quando agisce. Il pensiero per fortuna non può essere cancellato, anzi ci tiene in piedi, tiene in piedi la nostra dignità, ma è ancora l'azione che prevale. "La lingua fa più effetto di una lama" è ancora di là da venire.

Se non ci rendiamo conto di questa semplice verità, faremo fatica a fare un passo in avanti. Resteremo nel nostro piccolo cerchio, sognando chissà che.

Vedi, oggi, più cibo per la mente o per il corpo?


Dario Chioli, 25/12/2011

Dissento totalmente su Laozi e Nagarjuna.

E non ho affatto parlato «dei limiti che Laozi e Nagarjuna interpretano universalmente alla perfezione». Ho parlato de «la profondità pragmatica di pensiero di Laozi o di Nagarjuna, perlomeno quanto all'universalità», che è cosa ben diversa.

Quanto ai pellegrinaggi, fenomeni che coinvolgono milioni di persone e operano migliaia di conversioni non possono essere ritenuti secondari. Il lato superstizioso c'è, ma non è che il corrispettivo della pseudoscienza che intasa la testa ignorante di molti progressisti, fumoso lascito di studi scolastici mal digeriti che propagandano il mito delle sorti progressive.

Dissento anche su Padre Pio, molto più importante lui della Bomba, ci mancherebbe. Dissento pure per la verità su Ermete: seguita ad essere il Nume del discorso, senza il quale il discorso non entra nel regno divino (o dei morti).

Insomma pare chiaro che a te paia sogno parte di ciò che a me pare agire assolutamente pragmatico. Dobbiamo accettare questa cosa, ma non possiamo cambiare prospettiva come si cambia di piatto. La domanda che io seguito a farti è: dopo la morte, che farne di tutto questo progresso scientifico e tecnologico?

Se tu rispondi che dopo la morte non c'è niente, il discorso è chiaramente chiuso, le prospettive sono troppo diverse. Se no, ti incombe l'onere di dare tu una risposta pragmatica alla domanda sul post-mortem, se sai darla diversa dalla mia.

PS - Dato che i fenomeni sono intricatissimi, mi pare di ricordare che proprio Puritani siano stati alcuni dei più maledetti razzisti che abbiano operato a danno degli indiani d'America, teorizzandone la non umanità.


Dario Lodi, 25/12/2011

Continuiamo a non capirci. Certo che Padre Pio è più importante della bomba, ma oggi vince la bomba. I milioni di pellegrini sono niente rispetto ai miliardi di consumatori folli. Ed è indubbio che in senso ideale Laozi e Nagarjuna siano imbattibili. Ma, appunto, in senso ideale. Se entri nello specifico e lo elevi a tutto, impossibile che tu prenda in considerazione la mia tesi. L'Oriente comunque è rimasto lì, in quella "prigione" dorata, il pensiero occidentale è andato oltre: male, in senso relativo, tutto quello che vuoi, ma si è messo in discussione. Basta leggere Wittgenstein o, meglio, Lyotard. Meno affascinanti di Ermete, ma, se permetti, più veri, per quanto limitati (anche perché è limitato il sapere dell'uomo).

Tu parli di morte: tema da poco! È da sempre che se ne parla! Però nella tua domanda io ci vedo la propria morte: in realtà, si muore perché altri vivano. La morte non distrugge l'idea, il sentimento. I posteri ne respirano e ne danno a loro volta: io la vedo così. Per te mi sembra un'angoscia esistenziale alla quale rispondi con qualcosa di meraviglioso, ma di vago.

Forse oltre questa magnifica vaghezza non si può andare. Ma permetti di dubitarne. Io certezze assolute non ne ho, di nessun genere. Ce ne fossero, il mondo si fermerebbe. Meglio così?


Dario Chioli, 26/12/2011

Al di là di tutte le obiezioni e contro-obiezioni possibili, seguita a essermi evidente che il contrasto è soprattutto nell'atteggiamento verso la morte.

Per chi la vede come la fine di tutto quello che lui è, essa appare come un telo nero con su scritta la parola fine e magari qualche commento insieme ai titoli di coda (la fama, i posteri ecc. ecc.). Per chi invece la vede come propria consigliera, essa spalanca universi di stupore e semplicità, certo non coordinati in una visione adatta alla mente del vivente, ma in qualche modo soprastanti ad essa.

Da questo punto di vista, i miliardi di consumatori come tali non sono assolutamente niente, mentre anche un solo pellegrino che sia davvero tale è un mondo a sé, irripetibile e denso di meraviglie. La Bomba poi non è che un modo del morire (in fondo a Dresda ne sono morti più che a Hiroshima), ed ha scarso significato. Colui che Dio volesse salvare, scamperebbe anche dalla Bomba.

Ha base biblica e poi compare nelle tradizioni ebraica ed islamica il racconto dei giusti su cui si regge il mondo. Non scordare che se il diluvio o la distruzione di Sodoma non furono scongiurati fu solo perché non si trovarono abbastanza giusti sulla terra. Questo può essere un mito, ma dice delle cose reali.

La quantità, la democrazia, non hanno alcun ruolo nel mondo dello spirito. Per la verità neanche nel mondo terreno, visto che a regnare sono sempre delle oligarchie.

Quanto tu parli di ideale e reale, io non ho reazioni psichiche. Per me non significa nulla. C'è solo il reale, un ideale diverso dal reale è solo un fantasma, ma questo fantasma non ha interesse alcuno.

Tu dici che talora ti perdi in Ermete. Ma è giusto perdersi in Ermete, è la cosa migliore che si può fare. Affidarsi allo spirito, insistendo, pur nella propria cecità, confidando che ci verrà in aiuto. Combattere all'oscuro, senza contezza di cosa succederà.

Sembra però che tu abbia questa necessità di identificare nel mondo certe dinamiche che a te paiono fondamentali, mentre a me paiono illusorie.

«Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte | Ingenerò la sorte». Ecco, in questi versi del Leopardi, l'unica ragione sociale e l'unica ragione individuale. La società si fonda solo sull'amore reciproco, l'individuo solo sulla luce che viene dalla consapevolezza della morte. Ogni cosa creata per altri fini è parte di una commedia che mistifica il reale, anche se talvolta ne escono cose perfettamente utilizzabili. La commedia si riformula ad ogni istante. Ma se dal mondo sparisse l'amore, la commedia finirebbe di colpo. Non c'è futuro per chi non dona niente.

La domanda rimane: cosa mantiene valore se gli si mette a fronte la morte? Si sa da sempre che parte della risposta sta nel modo di morire degli uomini. Per questo, poveri sussidi, c'erano le Ars moriendi (cristiane, buddhiste), quasi si potesse sostituire con un libro le evoluzioni della vita intera.

Quello che anche si capisce benissimo è che di fronte alla morte la scienza e la tecnologia moderne o antiche non contano nulla, se non nella misura in cui le si sia impiegate per far del bene.


Dario Lodi, 26/12/2011

In effetti siamo lontani. Mi trovi d'accordo però su molte affermazioni di fondo. Di fondo, però, cioè, ai miei occhi, poco fruibili realmente.

La spiritualità non fa parte del mondo moderno, ma neppure mai ha fatto realmente parte, mai ha inciso sulla realtà (tu rispondi, non me ne importa, qui si parla di ben altro). Rozzamente parlando, l'attaccamento spirituale ha, per me, la funzione di conforto, quando non di superstizione.

Solo 70 anni fa i nazisti massacravano gli ebrei, gli zingari ecc. Massacravano uomini: erano, i nazisti, figli di una terra evoluta, dove la religione aveva fatto la sua parte, con il ritorno alle ammonizioni bibliche (figlie dell'Oriente). Io rifletterei a lungo sulla storia, non come evento sostitutivo dell'evoluzione spirituale (alla quale ambisco), bensì come realizzazione del pensare e del fare umano. Persino del suo sentire, manipolato opportunamente (con cattivo opportunismo, cioè).

La spiritualità, purtroppo, secondo me, è una cosa a parte che ha bisogno di tempi lunghi, a patto che sia sfrondata degli esoterismi: questi ultimi erano ottimi un tempo, come preparazione alla sacralità e dunque al rispetto del linguaggio spirituale. Oggi, ripresi così com'erano e attualizzati senza cambiare una virgola, ai miei poveri occhi appaiono come reperti museali: utili, ma fondamentalmente sterili.

Ho un amico islamico che la pensa esattamente come te. Temo, ma è una impressione tutta mia, la caduta in una sorta di fanatismo per cui nulla è valido al di là della parola cantilenata, del non concetto, della reiterazione monodica, dell'insistenza mantrica, del pur splendido Om e via dicendo. Nessuno spazio alla vera partecipazione umana: solo l'umanesimo ne fu capace ed esso fu respinto dalla Chiesa.

Mi hai fatto venire voglia di riprendere in mano le Upanishad e altro, fra cui un volume di Schuré su I Grandi Iniziati. Ma non credo sarò mai un sacerdote di questi riti. Sono destinato a rimanere terra terra. Con le mie presunzioni razionali, non risolutive, non con le vostre, invece risolutive. Ma le mie presunzioni non vogliono arrivare a sostituire l'afflato spirituale, non vogliono prevalere su quel linguaggio oscuro e in qualche modo sopra le righe (appartenendo magari ad altre righe, come fai ben capire), vogliono solo comunicare lo stupore per tutto, quindi anche per quella meravigliosa invenzione ermetica, buddhista e via dicendo.

Ci risentiremo con più calma. Prendiamoci un po' di respiro. Almeno da parte mia. L'ineffabile un po' mi soffoca.


Dario Chioli, 26/12/2011

Non dovrebbe essere rovesciato, il discorso? Come poteva essere "evoluta" la terra di coloro che massacrarono milioni di uomini?

(Ma si potrebbero aggiungere i belgi di re Leopoldo, l'Italia che gasò gli Etiopici, i colonialisti di ogni nazione d'Europa e gli Americani).

Temo che la Germania sia andata decadendo dall'epoca di Goethe, e Hölderlin e Nietzsche ben ne prefigurarono la follia. Ma anche l'Europa che causa nel volgere di un secolo decine di milioni di morti non può essere definita evoluta. Ed è proprio l'impoverimento spirituale che l'ha resa di tal basso livello (che il nazismo sia una manifestazione anticristica è cosa evidente agli occhi di chiunque abbia la mia impostazione, anche per quel "Gott mit uns" sui cinturoni).

Ma sospendiamo pure il dibattito, hai ragione, si fa troppo lungo e si rischia di equivocare.

   

 

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