Sembra che lo Zen abbia avuto sempre la reputazione di essere decisamente iconoclasta. Alla lettera, alcuni seguaci della tradizione Zen (Cin. chan tsung) non solo mostrarono una marcata mancanza di rispetto per i segni esteriori del buddhismo, ma anche un velato disprezzo per gli stessi insegnamenti del Buddha, tanto da disapprovare apertamente i Sutra e gli Shastra (cioe, i trattati sui principi buddhisti). Tuttavia, alcuni comportamenti iconoclastici sono comprensibili alla luce del contesto storico dell'esegesi scritturale delle istituzioni buddhiste che la promossero. Si dovrebbe notare che nella storia del buddhismo Cinese fu messa grande enfasi sulla memorizzazione dei testi e sull’essere in grado di fare conferenze sui loro contenuti. E, come prevedibile, l’ideale del monaco-studioso era estremamente venerato dalle corti imperiali. Più specificamente, il monaco-studioso era venerato perché dimostrava una memoria prodigiosa oltre al suo possedere eccellenti qualità abili nel dibattimento. La storia ci dice che alcuni monaci-studiosi erano in grado di memorizzare una tale quantità di scritture e sutra buddhisti che per gli standard odierni sembrerebbe fuori dell’ordinario.
Durante la dinastia T'ang (618-906), ogni candidato che desiderava diventare un monaco buddhista era costretto a memorizzare un gran numero di Sutra, prima che gli fosse dato il certificato di ordinazione. Questo requisito si applicò a tutti i monaci buddhisti; anche a quelli che desideravano studiare lo Zen dopo il periodo della loro ordinazione. La plausibile ragione per questo requisito doveva trovarsi nella credenza, almeno durante questo periodo, che l'abilità di memorizzare una gran quantità di letteratura era un sicuro segno di un intelletto superiore. Tre requisiti erano richiesti per diventare un monaco buddhista di notevole e alto riconoscimento. Il discepolo, come prima cosa, doveva essere estremamente pio, egli doveva seguire strettamente il Vinaya, osservando tutta la regola monastica. In secondo luogo, doveva aver memorizzato un buon numero di Sutra e Shastra buddhisti. E, infine, doveva essere capace di comprendere e fare conferenze sui Sutra, dimostrando la propria abilità a chiarire argomenti intrattabili.
Benché in superficie fosse difficile biasimare il sistema dei monaci-studiosi, lo Zen provò ad essere ferocemente scettico su di essi. In Cina, con il sorgere dell’ideale Zen che non aveva interesse in "carta, pennelli e parole", si sviluppò e crebbe una tensione tra i monaci buddhisti che erano impegnati nelle pratiche letterarie (vale a dire, i monaci-studiosi) e quelli che erano interessati al misticismo. Bisogna ricordare che questo fenomeno non è nuovo negli studi comparati della religione.
La radicale posizione scettica del clero Zen contro l’ideale del monaco-studioso, fiorente nell’8° secolo, non era certamente né inaspettata né unica. Ma quel certo tipo di scetticismo portò con sé i semi della sua propria rovina, che poi sarebbe mutata nelle influenze della Pura Terra, nella dinastia Ming (1368-1644), in cui lo Zen sarebbe diventato pesantemente basato sulla fede.
Il filosofo tedesco Hegel notò che, con lo scetticismo, giunse "la disintegrazione della verità e, di conseguenza, di ogni contenuto, e quindi la perfetta negazione". Non sorprende che l’atteggiamento scettico dello Zen dovette confrontarsi presto con una crisi della fede, come se stesse sull’orlo del precipizio del nulla. Fu così che, quasi per necessità, emerse un nuovo Zen, il quale si basava sulla fede nelle pratiche religiose della Terra Pura. ---JJJ
Tratto da “THE ZENNIST” – Rivista interattiva, pubblicata sul WEB da ZENMAR- (www.darkzen.com - Mail thezennist@aol.com)