Paul Carus

IL VANGELO DEL BUDDHA


 

Estratto da INTERNET- www.sacred-texts.com/

A cura del CENTRO NIRVANA - Roma

 

  

 

“IL VANGELO” del  BUDDHA

di Paul Carus (The Open Court Publishing Company,  Chicago) [1894] 

(Tratto da INTERNET - http://www.sacred-texts.com/bud/index.htm)

(Traduzione di Aliberth Meng (Alberto Mengoni, Roma, 2006)

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PREFAZIONE

Questo libretto non avrebbe bisogno di nessuna prefazione per coloro che hanno familiarità con i testi sacri del buddhismo, che è stato reso accessibile al mondo Occidentale dall'infaticabile ed industrioso zelo di studiosi come Beal, Bigandet, Buehler, Burnouf, Childers, Alexander Xoma, Rhys Davids, Dutoit, Eitel, Fausboell, Foucaux, Francke, Edmund Hardy, Spence Hardy, Hodgson, Charles R. Lanmann, F. Max MueUer, Karl Eugen Neumann, 01denberg, Pischel, Schiefner, Senart, Seidenstuecker, Bhikkhu Nyanatiloka, D. M. Strong, Henri Clarke Warren, Wasselijew, Weber, Windisch, Wintemitz, ecc.

Per coloro che non hanno familiarità col soggetto, si può dichiarare che la maggior parte dei suoi contenuti deriva dall'antico Canone buddhista. I più importanti passaggi delle traduzioni sono stati letteralmente copiati dai testi originali. Alcuni sono stati tradotti un pò liberamente per renderli più comprensibili alla presente generazione; altri sono stati riordinati; ed altri ancora sono stati un po' abbreviati. Oltre ai tre capitoli introduttivi ed ai tre finali, solo pochi altri sono delle aggiunte puramente originali che, tuttavia, non sono né meri abbellimenti letterari né deviazioni dalle dottrine buddhiste. Ovunque il compilatore ha ammesso una qualche modernizzazione, egli lo ha fatto con la dovuta considerazione e sempre nello spirito di un legittimo sviluppo. Aggiunte e modifiche contengono nient'altro che idee con cui, da qualche parte, si possono scoprire i prototipi fra le tradizioni del buddhismo, e sono state introdotte come chiarimenti dei suoi principali princìpi.

La prova più evidente che questo libro caratterizza lo spirito del buddhismo si può trovare nel corretto benvenuto che esso ha ricevuto in tutto il mondo buddhista. Esso è stato anche ufficialmente presentato nelle scuole e nei templi buddhisti del Giappone e di Ceylon. Subito dopo l'arrivo della prima edizione del 1894, il Rev. Shaku Soyen, un eminente abate buddhista di Kamakura in Giappone, ne fece fare una traduzione in Giapponese da Teitaro Suzuki, e poco dopo ne fu fatta una in Cinese da Mr. O'Hara di Otzu, ingegnoso editore di un periodico buddhista, che sfortunatamente nel frattempo aveva incontrato una prematura morte. Nel 1895 la Open Court Publishing Company pubblicò un'edizione Tedesca a cura di E. F. L.

Gauss, a cui fece seguito una traduzione in Francese del Dott. L. Milloue, ammini-stratore del Museo Guimet, di Parigi. Il Dott. Federigo Rodriguez ha tradotto il libro in Spagnolo e Felix Orth in Olandese. E' stato poi accordato il diritto di tradurre il libro in Russo, Ceco, Italiano, ed anche in Siamese ed altre lingue Orientali, ma di quest'ultime gli editori hanno avuto soltanto una versione in lingua Urdu, un dialetto dell'India Orientale.

Il buddhismo, come il Cristianesimo, è diviso in numerose "nétte, e non di rado la maggior parte di queste "nétte si aggrappa ai loro dogmi settari come se fossero le caratteristiche principali e indispensabili della loro religione. Il presente libro non segue nessuna delle dottrine settarie, ma prende una posizione ideale in cui come su un terreno comune possono stare tutti i veri buddhisti. Così la principale e origi-nale caratteristica di questo Vangelo di Buddha è il suo adattamento in una forma sistematica e armoniosa. Considerando la gran massa dei vari dettagli del Canone buddhista, esso deve comunque venir considerato una semplice compilazione, e lo scopo del compilatore è stato quello di trattare il suo materiale nello stesso modo in cui egli ritiene che l'autore del Quarto Vangelo del Nuovo Testamento avesse utilizzato i resoconti della vita di Gesù di Nazareth. Egli si è avventurato nel presentare i dati della vita del Buddha alla luce della loro importanza religiosa e filosofica ed ha eliminato la maggior parte degli adornamenti apocrifi, in special modo quelli in cui abbondano le tradizioni Settentrionali, benché egli non ritenesse saggio contrarre la forma che preserva le meraviglie che appaiono nelle antiche registrazioni, allorché la sua morale sembrò giustificarne la menzione; egli eliminò soltanto l'esuberanza di quelle deliziose meraviglie che si correlavano con le cose più incredibili, apparentemente messe lì per impressionare, mentre in effetti potevano solamente stancare (I miracoli hanno smesso di essere un test religioso; eppure la credenza nei poteri miracolosi del Maestro è ancora testimone del santo timore riverenziale dei primi discepoli e riflette il loro religioso entusiasmo).

Affinché l'idea fondamentale delle dottrine del Buddha non venga malinterpretata, il lettore è messo in guardia nel prendere il termine "sé" nel senso con cui il Buddha lo usa. Il "sé" traduce il termine 'atman' che perfino nel Canone buddhista può essere, ed è stato capito,  in un senso in cui il Buddha non avrebbe mai fatto nessuna obiezione. Il Buddha nega l'esistenza di un "sé" come era stato capito comunemente ai suoi tempi; egli non nega la mentalità dell'uomo, la sua costituzione spirituale, l'importanza della sua personalità, in una parola: la sua anima. Ma nega la misteriosa ego-entità, l'atman, nel senso di una qualche sorta di anima-nomade, che da alcune scuole era ritenuto risiedesse dietro o ­all’interno del corpo umano e dell'attività psichica, come un distinto 'essere', una sorta di 'cosa-in-sé', ed un agente metafisico assunto come un'anima eterna.

Il buddhismo è monistico. Esso ritiene che l'anima dell'uomo quando muore non consista di queste due cose, cioè il 'sé' (atman) e la mente o pensieri (manas), ma

che vi sia una sola realtà, la nostra mente-pensieri (manas), ed è questo manas che costituisce lo spirito. I pensieri dell'uomo, in qualche modo, sono il 'suo sé', e questi non sono l'atman, e nessun "sé" supplementare e separato vi sta dietro.

Di conseguenza, la traduzione di atman con "anima", che implicherebbe il fatto che il Buddha avesse negato l'esistenza dell'anima, è estremamente fuorviante. buddhisti rappresentativi, di scuole e paesi diversi, riconoscono la correttezza della visione qui espressa, e noi enfatizziamo specialmente l'assenso dei buddhisti delle Scuole Meridionali, perché loro hanno preservato più fedelmente la tradizione e sono stati molto puntigliosi nell'asserzione dei punti dottrinali.

"Il buddhista", Organo della Chiesa Meridionale di buddhismo, scrive in una revisione de Il Vangelo di Buddha:

"La caratteristica preminente dell'opera è la sua presa di un soggetto così difficile e l'enunciazione chiara della dottrina del più sconcertante problema dell'atman, come insegnato nel buddhismo. Così come abbiamo esaminato noi la questione del/' atman dai testi del Canone Meridionale, la visione presa dal Dott. Paul Carus è accurata, e noi riteniamo giusto pensare che essa non è contraria alla dottrina del buddhismo Settentrionale. "

Questa superstizione dell'atman, così comune non solo in India, ma in tutto il mondo, corrisponde all'abituale 'egotismo' dell'uomo nella vita pratica. Entrambi sono illusioni che scaturiscono dalla stessa radice che è la vanità della mondanità che incita l'uomo a credere che lo scopo della vita risieda nel suo 'sé'. Il Buddha propose di eliminare completamente ogni pensiero di se stesso, così che non porti più frutti. Quindi, il Nirvana è uno stato ideale in cui l'anima di un uomo, dopo essere stata purificata da ogni egoismo, odio e concupiscenza, è divenuta la dimora della verità, insegnandogli a diffidare degli allettamenti del piacere ed a confinare tutte le sue energie nel fare attenzione ai doveri della vita.

La dottrina del Buddha non è negativista. Investigare sulla natura dello spirito del-l'uomo dimostra che, benché non vi sia alcun atman o 'ego-entità', la vera 'essenza' dell'uomo consiste nel suo karma, i suoi atti o azioni, che rimane intatto alla morte e continua a vivere. Così, negando l'esistenza di ciò che appare come la nostra anima e per la cui distruzione alla morte noi tremiamo, il Buddha invero apre all'umanità la porta dell'immortalità (poiché la esprime egli-stesso); e qui vi sono le basi della sua morale nonché del conforto, come pure l'entusiasmo che offre la sua religione. Chiunque non veda l'aspetto positivo del buddhismo, non sarà in grado di capire come essa possa esercitare una simile potente influenza su milioni e milioni di persone.

Il presente libro non è destinato a contribuire alla soluzione di problemi storici. Il compilatore ha studiato il suo soggetto nelle migliori circostanze che poteva, ma qui egli non intende offrire una produzione scientifica. Né questo libro vuol essere un tentativo di rendere popolari le scritture religiose buddhiste, né di presentarle in

una qualche forma poetica. Se questo "Vangelo del Buddha" potrà aiutare le persone a comprendere meglio il buddhismo, e se nel suo semplice stile potrà entusiasmare il lettore con la grandiosità poetica della personalità del Buddha, questi effetti dovranno essere considerati come collaterali; il suo scopo principale resta ben più profondo. Il presente libro è stato scritto per permettere al lettore di pensare ai problemi religiosi di oggi. Esso è il quadro di un leader religioso del passato, con l’idea di farlo vivere nel presente e divenire un fattore di formazione del futuro.

È un fatto straordinario che due delle più grandi religioni del mondo, Cristianesimo e buddhismo, presentino così molte impressionanti coincidenze nella base filosofica

come pure nelle loro implicazioni etiche di fede, sebbene i loro metodi di renderle in dogmi sistematici siano radicalmente diversi; ed è difficile capire il perché queste concordanze abbiano dovuto provocare tanta animosità, invece di creare sentimenti di amicizia e di buona-volontà. Perché i Cristiani non dovrebbero dire ciò che dice il Prof. F. Max Mueller:

"Se in certe opere buddhiste io trovo dottrine identiche al Cristianesimo, anziché essere spaventato, mi sento assai contento, perché certamente la verità non è meno vera, quando è creduta dalla maggior parte della razza umana. "

Il problema principale sorge da una errata concezione del Cristianesimo. Ci sono molti Cristiani che presumono che solo il Cristianesimo sia in possesso della verità e che l'uomo non potrebbe, nel naturale modo della sua evoluzione morale, aver ottenuto quella più nobile concezione di vita che unisce la pratica di una buona­volontà universale sia verso gli amici che i nemici. Questa visione ristretta del Cristianesimo è semplicemente confutata proprio dall'esistenza del buddhismo. Non dovremmo forse anche aggiungere che la presunta lamentevole esclusività che prevale in molte chiese Cristiane, non è basata sugli insegnamenti Scritturali, ma su errate metafisiche?

Tutte le essenziali verità morali del Cristianesimo, in special modo il principio di amore universale, cioè lo sradicamento dell'odio è secondo la nostra opinione profondamente radicato nella natura delle cose e non è, come spesso si presume, in contraddizione con l'ordine cosmico del mondo. Inoltre, alcune dottrine sulla costituzione dell'esistenza sono state formulate dalla chiesa con certi simboli, e poiché questi simboli contengono contraddizioni ed entrano in conflitto con la scienza, le classi colte si sono via via allontanate dalla religione. Ora, il buddhismo è una religione che non parla di una qualche rivelazione soprannaturale, e proclama dottrine che non richiedono altro argomento che il "venire a vedere". Il Buddha basa la sua religione solamente sulla verità dimostrabile, sulla conoscenza della natura delle cose da parte dell’uomo. Così, noi confidiamo che un paragone del Cristianesimo con il buddhismo sarà di grande aiuto per distinguere in entrambe le religioni l'essenziale dal fortuito, l'eterno dal transitorio, la verità dalla allegoria, in cui essa ha trovato la sua espressione simbolica. Noi siamo ansiosi di presentare una necessità che si discrimini tra il simbolo ed il suo significato, tra il dogma e la religione, tra le teorie metafisiche e le asserzioni di fatto, e infine tra le formule artificiali e la verità eterna. E questo è lo spirito con cui noi proponiamo questo libro al pubblico, con la speranza che esso possa aiutare a sviluppare nel Cristianesimo, non meno che nel buddhismo, la religione della verità cosmica.

La forza, come la debolezza del buddhismo originario, risiede nel suo carattere filosofico che rese idoneo il pensatore, ma non le masse, a capire la dispensazione della legge morale che pervade il mondo. Così, il buddhismo originario è stato chiamato dai buddhisti stessi la piccola navicella della salvezza, o Hinayana; perché esso è comparabile ad una piccola barca su cui un uomo può attraversare il fiume della mondanità, per poter approdare alla riva del Nirvana.

Seguendo lo spirito di una propaganda da missionari, così naturale per uomini religiosi che siano seri nelle loro convinzioni, i successivi buddhisti, resero popolari le dottrine del Buddha e le resero accessibili alle moltitudini. E vero che essi ammisero molte nozioni mitiche ed anche fantastiche, tuttavia riuscirono a portare la sua verità morale a casa di persone che potevano capire, anche se in un modo incompleto, il significato filosofico della religione del Buddha. Essi costruirono una più grande nave di salvezza, il Mahayana, come essi lo chiamarono, in cui le genti potessero trovare dimora ed essere portate in salvo. Anche se il Mahayana ha indiscutibilmente i suoi limiti, non deve essere condannato tout-court, perché il suo scopo è assai utile. Senza considerarlo la tappa finale dello sviluppo religioso delle nazioni in cui oggi prevale, dobbiamo concedere che esso fu il risultato di un adattamento alle loro condizioni e ha contribuito molto ad istruirle. Il Mahayana è un passo avanti nel modo in cui una filosofia si trasforma in una religione, e fa sì che dottrine, pur predicate ed espresse negativamente, si trasformino in proposte positive.

Lungi dal rifiutare il religioso zelo che nel buddhismo generò il Mahayana, ancor meno possiamo unirci al coro di quelli che denunciano il Cristianesimo in base ai suoi dogmi ed ingredienti mitologici. Il Cristianesimo certamente ha avuto ed ancora ha una grande missione nell'evoluzione dell'umanità. Esso è riuscito a impregnare con una religione di carità e misericordia le nazioni più potenti del mondo, alle cui necessità spirituali si è specialmente adattato. Ed estende le benedizioni di buona­volontà universale, col minimo possibile di antagonismo e naturale egoismo, che non si è fortemente sviluppato nei popoli Occidentali. Il Cristianesimo è la religione dell'amore reso facile. Questo è il suo vantaggio che, tuttavia, non è privo di inconvenienti. Il Cristianesimo insegna la carità senza però disperdere l'illusione dell'ego; e in questo senso, può superare anche il Mahayana; dato che alle necessità delle moltitudini esso è ancor più adatto della grande nave che fu adatta a portare quelli che vi si imbarcano; Il Cristianesimo è paragonabile ad un grande ponte, un Mahasetu, su cui anche un bambino che non ha ancora la comprensione della sua vera natura può attraversare il fiume dell'egoismo e della vanità mondana.­

Un parallelo delle molte impressionanti concordanze tra Cristianesimo e buddhismo potrebbe dimostrarsi fatale alle concezioni settarie di entrambi le religioni, ma alla fine potrà aiutare a maturare la nostra intuizione nel loro vero significato. Esso potrà rivelare una fede più nobile che aspira ad essere la religione cosmica della verità universale. Vogliamo sperare che questo Vangelo del Buddha possa servire sia ai buddhisti che ai Cristiani, come aiuto per penetrare ulteriormente nello spirito della loro fede, come pure per vedere la sua piena altezza, lunghezza e larghezza. Al di sopra di ogni Hinayana, Mahayana e Mahasetu, c’è la Religione della Verità.

Paul Carus- LaSalle, Illinois, Stati Uniti. 1894

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IL DISCEPOLO PARLA 

Siate contenti delle liete notizie! Il nostro Signore Buddha ha trovato la radice di ogni male; egli ci ha mostrato la Via della salvezza. Il Buddha disperde le illusioni della nostra mente e ci riscatta dal terrore della morte. 

Il nostro Signore Buddha reca conforto alle persone stanche e piene di dolore; restaura la pace in coloro che sono affranti sotto il peso della vita. Egli dona il coraggio ai deboli, allorché essi diventano disposti ad aprirsi alla speranza ed alla fiducia in sé. Voi che soffrite per le tribolazioni della vita, voi che dovete lottare e sopportare, voi che desiderate una vita di verità, allietatevi con le buone notizie! C'è il balsamo per chi è ferito, e c’è il pane per chi ha fame. C’è acqua per chi ha sete, e c'è speranza per chi è disperato. C'è luce per coloro che sono nell’oscurità, e ci sono inesauribili benedizioni per i giusti. 

Guarite le vostre piaghe, voi che siete feriti, e riempitevi di cibo, voi che siete affamati. Riposatevi, voi che siete stanchi, ed estinguete la vostra sete, o voi che l’avete. Ammiri la luce, chi siede nell’oscurità; e sia pieno di buon umore, chi si sente abbandonato. Abbia fiducia nella verità, chi ama la verità, perché il regno della rettitudine è fondato su questa terra. L'oscurità dell’errore è dispersa dalla luce della verità. Noi possiamo vedere la nostra Via e tenere passi fermi e certi. Il nostro Signore Buddha ha rivelato la verità. La verità guarisce le nostre malattie e ci riscatta dalla perdizione; la verità ci fortifica nella vita e nella morte; soltanto la verità può vincere i malanni dell’errore. Siate lieti per le buone notizie! 

 

(Conclusione) SAMSARA E NIRVANA 

Guardatevi intorno e contemplate la vita! Tutto è transitorio e niente dura. Ci sono nascita e morte, crescita e decadimento; c’è l’unione e la separazione. La gloria del mondo è come un fiore: è in piena fioritura al mattino e si affievolisce pian piano al calore del giorno. 

Dovunque voi guardiate, c'è un correre ed un lottare, ed una ansiosa ricerca del piacere. C'è un cercar di sfuggire il panico da dolore e morte, e ardenti sono le fiamme del desiderio che brucia. Il mondo è una Fiera delle Vanità, pieno di mutamenti e trasformazioni. Tutto è Samsara, la turbinosa Ruota dell’Esistenza. 

Ma non c’è niente di permanente nel mondo? Nel tumulto universale, non c’è alcun luogo di riposo dove il nostro cuore agitato possa trovare la pace? Non c'è niente di eterno? Oh, se noi potessimo avere la cessazione dall’ansia, e se i nostri ardenti desideri fossero estinti! Quando diverrà tranquilla e composta la mente? 

Il nostro Signore Buddha fu addolorato dalle sofferenze della vita. Egli potè vedere la vanità della felicità mondana e cercò la salvezza nella sola cosa che non potrà mai affievolirsi o perire, ma esisterà per sempre. 

O voi che bramate ardentemente la vita, dovete imparare che l'immortalità è nascosta nella transitorietà. Voi che desiderate la felicità senza rammaricarvi nel rimorso, cercate di condurre una vita di rettitudine. Voi che desiderate ricchezza, cercate di ottenere tesori che sono eterni. La verità è ricchezza, e la vera felicità è una vita nella verità. 

Tutti coloro che si uniscono dovranno di nuovo sciogliersi, ma le verità che come leggi di natura determinano tutte le unioni e separazioni, quelle sì durano per sempre. I corpi precipitano nella polvere, ma le verità della mente non saranno mai distrutte. 

La verità non conosce né nascita né morte; non ha nessun inizio e nessuna fine. Benvenuta sia la verità. La verità è la parte immortale della mente. Stabilite perciò la verità nella vostra mente, perché la verità è l'immagine dell'eterno; essa ritrae l'immutabile; rivela l'eterno; la verità dà ai mortali il vantaggio dell'immortalità. 

Il Buddha ha proclamato la verità; lasciate che la verità del Buddha dimori nei vostri cuori. Estinguete in voi stessi ogni desiderio che sia contro la verità del Buddha, e nella perfezione della vostra crescita spirituale diventerete simili a lui. Ciò che nel vostro cuore non può o non vuole svilupparsi nel Buddha dovrà perire, perché è non-reale ed è mera illusione; quella è la fonte del vostro errore; è la causa del vostro disagio. 

Voi otterrete l'immortalità riempiendo la vostra mente con la verità. Perciò, cercate di divenire vasi appropriati per ricevere le parole del Maestro. Purificatevi dal male e santificate le vostre vite. Non c'è nessun altro modo di giungere alla verità. 

Imparate a distinguere tra il ‘sé’ e la Verità. Il ‘Sé’ è la causa dell'egoismo e la fonte del male; la verità tende al ‘non-sé’; è universale e porta alla giustizia e alla rettitudine. Il ‘sé’, che a quelli che amano loro stessi sembra come il loro essere, non è eterno, imperituro, durevole. Non cercate il vostro ‘sé’, ma cercate la verità. 

Se noi liberiamo le nostre anime dal nostro piccolo ‘sé’, non desiderando alcun male agli altri, e diventando puri e chiari come un diamante di cristallo che riflette la luce della verità, ecco che un radiante quadro apparirà in noi rispecchiando le cose come esse sono, senza la mescolanza di desideri ardenti, senza la distorsione di erronea illusione e senza l'agitazione di attaccamenti e ansie. 

Eppure voi amate il sé e non abbandonerete l’amor proprio. Quindi se pure è così, ma poi, in realtà, voi dovreste imparare a distinguere tra il falso sé ed il vero ‘Sé’. L'ego con tutto il suo egotismo è il falso sé. Esso è un'illusione irreale ed una deteriorabile formazione. Soltanto colui che identifica il suo vero Sé con la verità raggiungerà il Nirvana; e colui che è entrato nel Nirvana ha raggiunto la Buddhità; egli ha acquisito il sommo bene; è divenuto eterno ed immortale. 

Tutte le cose composte verranno di nuovo dissolte, i mondi saranno distrutti e le nostre individualità disperse; ma solo le parole del Buddha resteranno per sempre. 

L'estinzione del ‘sé’ è la salvezza; l'annientamento del ‘sé’ è la sola condizione per l’Illuminazione; l’eliminazione del ‘sé’ è il Nirvana. Felice è colui che ha smesso di vivere per il piacere e riposa nella verità. Invero la sua calma e la tranquillità di mente sono la beatitudine suprema. 

Prendiamo dunque il nostro rifugio nel Buddha, perché egli ha trovato l'eterno nel transitorio. Prendiamo il nostro rifugio in ciò che è l'immutabile nei mutamenti dell’esistenza. Prendiamo il nostro rifugio nella verità stabilita dall’Illuminazione del Buddha (il Dharma). Prendiamo il nostro rifugio nella comunità di quelli che cercano la verità e si sforzano di vivere nella verità (il Sangha). 

 

LA VERITÀ CHE REDIME 

Tutte le cose del mondo, ed i suoi abitanti, sono soggetti a cambiamento. Essi sono combinazioni di elementi che esistevano già prima, e tutte le creature viventi sono ciò che è stato creato dalle loro azioni passate; perché la legge di causa e di effetto è uniforme e senza eccezioni. 

Ma nelle cose che cambiano c’è una legge costante, e quando la legge è vista vi è la verità. La verità giace nascosta nel Samsara, come quel qualcosa che pur nel suo mutare, è permanente. La verità desidera apparire; la verità si sforza di conoscersi; la verità brama di divenire consapevole. 

C'è verità nella pietra, perché la pietra è qui; e nessun potere al mondo, né dio, né uomini, né nessun demone, possono distruggere la sua esistenza. Ma la pietra non ha coscienza. C'è verità nella pianta, e la sua vita si può espandere; la pianta cresce e fiorisce, e genera frutti. La sua bellezza è meravigliosa, ma essa non ha coscienza. C'è verità in un animale; esso si muove all’intorno e percepisce i suoi dintorni; distingue ed impara a scegliere. In lui vi è coscienza, ma non è ancora la coscienza della Verità. È solamente una piccola coscienza di sé. 

La coscienza di sé offusca gli occhi della mente e gli nasconde la verità. Essa è l'origine dell’errore, è la fonte dell’illusione, è il germe della malvagità. Il ‘sé’ genera l'egoismo. Non vi è nessun male che non fluisca dal sé. Non c’è nessuna cosa sbagliata se non ciò che è fatto asserendo il proprio ‘sé’. Il ‘sé’ è l'inizio di ogni odio, dell'iniquità e la calunnia, dell'impudenza e l'indecenza, del furto e delle rapine, delle oppressioni e spargimenti di sangue. Il ‘sé’ è Mara, il tentatore, il malvagio, il creatore del male. Il ‘sé’ adesca con i piaceri. Il ‘sé’ promette il paradiso delle fate. Il ‘sé’ è il velo di Maya, l'incantatore. Ma i piaceri del ‘sé’ non sono reali, i suoi paradisi sono un labirinto di strade verso la miseria, e la sua evanescente bellezza accende le fiamme di desideri che non possono essere mai soddisfatti. 

Chi ci libererà dal potere del ‘sé’? Chi ci salverà dalla miseria? Chi ci riporterà ad una vita di beatitudine? 

C'è dolore nel mondo Samsarico; ci sono molti disagi e dolore. Ma più grande di ogni dolore è la beatitudine della verità. La verità dà la pace alla mente bramosa; essa sottomette l’errore; estingue le fiamme dei desideri; conduce al Nirvana. Benedetto è colui che ha trovato la pace del Nirvana. Egli sarà a suo agio nelle lotte e tribolazioni della vita; sarà aldisopra di ogni cambiamento; aldisopra di nascita e morte; egli non resterà soggetto agli influssi negativi della vita. 

Benedetto è colui che ha trovato l’illuminazione. Egli vincerà, anche se può essere ferito; sarà glorioso e felice, anche se può soffrire; sarà potente e forte, anche se può stancarsi sotto il carico del suo lavoro; egli sarà immortale, anche se morirà. L'essenza del suo essere è purezza e bontà. 

Benedetto è colui che ha raggiunto il sacro Stato di Buddha, perché egli è adatto a lavorare per la salvezza dei suoi amici, gli esseri. La verità ha preso dimora in lui. La perfetta saggezza illuminerà la sua comprensione, e la rettitudine incarnerà lo scopo di tutte le sue azioni. La verità è un potere vivente perché è invincibile, indistruttibile e positiva! Fate operare la verità nella vostra mente, e diffondetela tra l’umanità, perché solo la verità è ciò che redime dal male e dalla sofferenza. Il Buddha ha trovato la verità e la verità è stata proclamata dal Buddha! Benedetto sia il Buddha!    

  

L’ILLUMINAZIONE 

C'era in Kapilavatthu un re Shakya, forte di mentalità e riverito da tutti gli uomini, un discendente degli 'Okkaka’, che si faceva chiamare Gotama, ed il suo nome era Suddhodana, o Puro-Riso. Sua moglie Mayadevi era bella come il giglio d'acqua - e pura nella mente come il fiore-di-loto. Come una Regina del Cielo, lei visse sulla terra, non corrotta dal desiderio, e totalmente immacolata. 

Il Re, suo marito, la onorò nella sua santità, e lo spirito della verità, glorioso e forte nella sua saggezza come un elefante bianco, discese su di lei. Quando lei seppe che l'ora della maternità era vicina, chiese al re di mandarla a casa sua dai suoi genitori; e Suddhodana, ansioso per sua moglie e il bambino che lei portava, accordò volentieri alla sua richiesta. 

A Lumbini, vi è un bel boschetto, e quando Mayadevi passò attraverso di esso gli alberi erano pieni di fiori fragranti e molti uccelli stavano gorgheggiando sui loro rami. La Regina, desiderando di andare a spasso attraverso gli ombrosi vialetti, lasciò il suo baldacchino dorato e, quando giunse al gigante albero di Sala, nel mezzo del boschetto, sentì che la sua ora era venuta. Lei si sorresse ad un ramo. I suoi attendenti appesero una tenda davanti a lei e si ritirarono. Quando le arrivò il dolore del travaglio, quattro angeli puri-di-mente del grande Brahma sostennero una rete dorata per ricevere il bambino che uscì dal lato destro di lei, come il sole che sorge brillante e perfetto. 

Gli angeli di Brahma presero il bambino e mettendolo davanti alla madre dissero: "Allietati, O Regina, da Te è nato un figlio potente!". 

Ai suoi piedi c’era una anziana donna che implorava il cielo di benedire il bambino. Tutti i mondi furono avvampati da una forte luce. I ciechi riottennero la vista, con il desiderio di vedere la prossima gloria del Signore; i sordo-muti parlarono tra di loro dei buoni auspici che indicavano che vi era stata la nascita del Buddha. Le persone curve ritornarono diritte; gli zoppi camminarono. Tutti i prigionieri furono liberati dalle loro catene ed i fuochi di tutti gli inferni furono estinti. 

Non c’era nessuna nube nel cielo e i ruscelli inquinati ridivennero puri e chiari, mentre musica celestiale attraversava l'aria e gli angeli si allietavano di gioia e gaiezza. Con imparziale gioia altruistica, essi erano lieti per il bene della legge, perché era l’ora di ottenere la liberazione per la creazione, sommersa nell'oceano del dolore. Le urla delle bestie feroci furono fatte tacere; tutti gli esseri malevoli ottennero un cuore amorevole, e la pace regnò sulla terra. Solo il perfido Mara, ne fu addolorato e non si allietò. 

I re Naga, desiderando mostrare sinceramente il loro rispetto per l’eccellentissima legge, poiché essi avevano già onorato i precedenti Buddha, andarono allora a salutare il Gran Bodhisattva. Essi cosparsero di fronte a lui fiori di mandarino, allietandosi con gioia sincera per porgere il loro religioso omaggio. 

Il Re-padre, valutando il significato di questi segnali, ora era pieno di gioia ed ora dolentemente angosciato. La Regina-madre, vedendo il suo bimbo e la commozio-ne che la sua nascita aveva creato, sentì nel suo timoroso cuore i tormenti del dubbio. 

Ora, in un boschetto vicino Lumbini, vi era a quel tempo un Rishi, di nome Asita, che conduceva una vita da eremita. Lui era un bramano di dignitoso aspetto, famoso non solo per la sua saggezza ed erudizione, ma anche per la sua abilità nell'interpretazione dei segni. Così, il re lo invitò a vedere il bambino reale. 

Il veggente, vedendo il principe, pianse e sospirò profondamente. E quando il re vide le lacrime di Asita si allarmò e chiese: "Perché mai la vista di mio figlio ha provocato dolore in te?" 

Ma il cuore di Asita presto si allietò, e, sapendo che la mente del re era rimasta perplessa, si indirizzò a lui, dicendo: "Il re dovrebbe sentire grande gioia, come quando c’è la luna piena, perché egli ha generato un figlio meravigliosamente nobile. Io non adoro Brahma, ma io adoro questo bambino; e gli dèi nei templi discenderanno dai loro luoghi di onore per adorarlo. Bandisca quindi il Re ogni ansia e dubbio. Gli auspici spirituali manifestati indicano che il bambino ora nato porterà la liberazione al mondo intero". 

"Tenendo a mente che io stesso sono vecchio, in base a ciò io non sono riuscito a trattenere le lacrime; perché ora la mia fine sta venendo ed io non potrò vedere la gloria di questo bambino. Perché questo tuo figlio dominerà il mondo. Perché lui girerà la ruota dell’impero. Egli, o sarà un Re dei re che governerà tutti i paesi della terra, oppure diventerà un Buddha. Egli è nato per il bene di tutto ciò che è vivente. Il suo puro insegnamento sarà come la spiaggia che accoglie il naufrago. Il suo potere di meditazione sarà come un fresco laghetto; e tutte le creature che sono riarse con la siccità della concupiscenza potranno liberamente bere in esso. Egli farà sorgere la nube della sua misericordia sul fuoco della bramosia, così che la pioggia della legge (Dharma) possa estinguerlo. Egli aprirà i pesanti cancelli dello sconforto e dell’abbattimento, e darà liberazione a tutte le creature prese in trappola nelle maglie auto-intrecciate della follia e dell'ignoranza. Il Re della Legge è arrivato per liberare dalla schiavitù tutti i poveri, i miseri, gli indifesi". 

Quando i reali genitori sentirono le parole di Asita, si rallegrarono nei loro cuori e chiamarono il loro neonato infante Siddhartha, cioè "Colui che ha realizzato il suo scopo". 

E la regina disse a sua sorella, Prajapati: "Una madre che ha partorito un futuro Buddha non partorirà mai più un altro bambino. Io presto lascerò questo mondo, il Re mio marito, e Siddhartha, il mio bambino. Quando io sarò andata, sia tu una madre per lui." E Prajapati pianse e promise. 

Quando la Regina lasciò la vita, Prajapati prese con sé il giovane Siddhartha e lo allevò. E come la luce della luna che aumenta poco a poco, così il bambino reale giorno dopo giorno crebbe nella mente e nel corpo; veridicità ed amore presero dimora nel suo cuore. Quando fu passato un anno dalla morte di Mayadevi, il re Suddhodana fece di Prajapati la sua regina, e ci non fu mai più una matrigna migliore di lei. 

 

I VINCOLI DELLA VITA 

Quando Siddhartha arrivò alla gioventù, suo padre desiderò vederlo sposato, e così spedì ordini a tutto il suo parentado, comandandolo di portare le loro figlie principesse cosicché il principe potesse selezionare una di esse come sua moglie. 

Ma il parentado rispose: "Il principe è giovane e delicato; non ha ancora imparato nessuna scienza. Lui non sarebbe in grado di mantenere nostra figlia, e se vi fosse una guerra egli non sarebbe capace di affrontare il nemico." 

In effetti, il principe nella sua natura non era forte, ma malinconico. Amava stare sotto il grande albero-jambu nel giardino di suo padre, e, osservando i metodi del mondo, si dette alla meditazione. Così il principe disse a suo padre: "Invitiamo il nostro parentado affinché essi possano vedermi e possano mettere alla prova la mia forza." E suo padre fece come suo figlio aveva proposto. 

Quando il parentado venne, e la gente della città di Kapilavatthu si era radunata per esaminare la prodezza e l’erudizione del principe, egli si dimostrò virile in tutti gli esercizi sia di corpo che di mente, e non vi fu concorrente fra la gioventù e gli uomini dell’India che poteva superarlo in qualche prova, fisica o mentale. Egli rispose a tutte le domande dei saggi; ma quando lui a sua volta li interrogò, anche i più saggi fra loro furono fatti tacere. 

Poi Siddhartha si scelse una moglie. Lui selezionò la sua cugina Yasodhara, la gentile figlia del re di Koli. Dal loro matrimonio nacque un figlio che fu chiamato Rahula, che significa "vincolo" o "legame", e il Re Suddhodana, felice che un erede fosse nato a suo figlio, disse: "Il principe che ha generato un figlio, l'amerà come io amo il principe. Questo sarà un forte vincolo per legare agli interessi del mondo il cuore di Siddhartha, ed il regno dei Shakya rimarrà sotto lo scettro dei miei discendenti". 

Con scopi non-egoistici, ma in considerazione del suo bambino e di tutto il popolo, il principe Siddhartha attese ai suoi doveri religiosi, bagnando il suo corpo nel santo Gange e purificando il suo cuore nelle acque della Legge. Così come gli uomini desiderano dare felicità ai loro bambini, così egli desiderava donare la pace al mondo. 

 

LE TRE SVENTURE

Il palazzo che il re aveva dato al principe era risplendente con tutti i lussi dell'India; dato che il re era ansioso di vedere suo figlio felice. Tutte le visioni di dolore, ogni sofferenza, ed ogni conoscenza di disagi furono tenuti lontano da Siddhartha, perché il re desiderava che nessun problema doveva accostarglisi; egli non doveva sapere che nel mondo c'era il male. 

Ma come l'elefante incatenato che desidera ardentemente la selvaggia libertà della giungla, così il principe era ansioso di conoscere il mondo, e perciò chiese al re, suo padre, il permesso per poterlo fare. Suddhodana fece approntare un carro ornato di gioielli con quattro grandiosi cavalli, e ordinò che le strade dove sarebbe passato suo figlio fossero tutte adornate con fiori e festoni. 

Tutte le case della città furono decorate con tende e bandiere, e molti spettatori si sistemarono su entrambi i lati delle vie, aspettando con impazienza di veder passare l'erede al trono. Così Siddhartha arrivò con Channa, il suo auriga, ed attraversò le strade della città, in un territorio irrorato da bei ruscelletti e pieno di gradevoli alberi fioriti. 

Ad un tratto, sul margine della via, essi incontrarono un vecchio che camminava curvo, con un volto grinzoso e lo sguardo sofferente, e così il principe chiese all'auriga: "Chi è costui? La sua testa è bianca, i suoi occhi sono offuscati, ed il suo corpo è appassito. Può a malapena sostenersi con un bastone!" 

L'auriga, benché imbarazzato, osò proprio dirgli la verità. Perciò gli disse: "Questi sono i sintomi della vecchiaia. Questo stesso uomo una volta era un lattante, e poi un giovane spensierato; ma ora, che sono passati tanti anni, la sua bellezza è sfiorita e la sua forza vitale è scemata." 

Siddhartha fu fortemente colpito dalle parole dell'auriga, e lui sospirò pensando al dolore della vecchiaia. "Che gioia o piacere possono avere gli uomini", disse a se stesso, "se poi sanno che presto devono appassirsi e languire in questo modo!" 

E, mentre stavano continuando il cammino, ecco che un uomo ammalato apparve sul lato della strada, pieno di affanno, col corpo sfigurato, agitandosi e gemendo per il dolore. Il principe chiese al suo auriga: "Che genere di uomo è questo?"

E l'auriga rispose: "Questo uomo è ammalato. I quattro elementi del suo corpo sono confusi e in disordine. Noi siamo tutti soggetti a tali condizioni: il povero ed il ricco, l'ignorante ed il saggio, tutti gli esseri che hanno un corpo sono sottoposti alla stessa calamità".  E Siddhartha fu ancora più commosso. Tutti i piaceri gli apparvero inutili, ed egli aborrì le cosiddette gioie della vita. 

L'auriga spronò i cavalli per sfuggire da quella cupa visione, quando all’improvviso furono fermati nella loro corsa. Stavano passando quattro persone che portavano un cadavere; ed il principe, rabbrividendo alla vista di un corpo esanime, chiese all'auriga: "Cos’è che stanno portando? Ci sono banderuole e ghirlande di fiori; ma gli uomini che le seguono sono sommersi di dolore! " 

L'auriga rispose: "Questo è un uomo morto: il suo corpo è rigido; la sua vita è andata; i suoi pensieri ci sono ancora; la sua famiglia e gli amici che l'amarono ora portano il cadavere alla tomba." Ed il principe era pieno di timore riverenziale e terrore: "È questo l'unico uomo morto" chiese, "oppure il mondo contiene altri esempi?" 

Con il cuore oppresso l'auriga rispose: "In tutto il mondo avviene la stessa cosa. Colui che comincia la vita deve finirla. Non c'è scampo dalla morte." 

Col fiato sospeso e balbettando il principe esclamò: "O uomini del mondo! Come è fatale la vostra illusione! Inevitabilmente il vostro corpo si sbriciolerà in polvere, eppure voi vivete così distrattamente, così spensierati". L'auriga, osservando la profonda impressione che queste tristi visioni avevano fatto sul principe, rigirò i suoi cavalli e ritornò verso la città. 

Quando passarono dal palazzo della nobiltà, Kisa Gotami, una giovane principessa e nipote del re, vide Siddhartha in tutta la sua virilità e bellezza e, osservando la pensosità della sua espressione, disse: "Felice il padre che ti ha generato, felice la madre che ti ha allattato, felice la moglie che chiama marito questo così glorioso signore." 

Il principe, nel sentire questo saluto, disse: "Felici sono coloro che hanno trovato la liberazione. Desiderando invero la pace della mente, io cercherò la beatitudine del Nirvana." 

Kisa Gotami allora chiese: "Come si ottiene il Nirvana?" Il principe fece una pausa, ed a lui, la cui mente era estranea al male, venne questa risposta: "Quando il fuoco della concupiscenza è estinto, allora il Nirvana è raggiunto; quando i fuochi di odio ed illusione sono finiti, allora il Nirvana è ottenuto; quando i problemi della mente, che sorgono dalla cieca credulità, e tutti gli altri mali sono eliminati, allora il Nirvana è ottenuto!" 

Siddhartha le diede la sua collana di perle preziose per ricompensare la saggezza che lei gli aveva ispirato, ed essendo ritornati a casa prese a disdegnare i tesori del suo palazzo. 

Sua moglie dandogli il benvenuto lo implorò di dirle la causa del suo dolore. Lui le disse: "Io vedo dappertutto l'impressione del cambiamento; perciò, il mio cuore è oppresso. Gli uomini diventano vecchi, si ammalano, e muoiono. Ciò è abbastanza per togliere l'aroma ed il piacere della vita." 

Il re, suo padre, sentendo che il principe si era alienato dal piacere, fu fortemente sopraffatto dal dolore e fu come se una spada avesse trafitto il suo cuore. 

  

LA RINUNCIA DEL BODHISATTVA 

Era notte. Il principe non riusciva a riposare sul suo molle cuscino; egli si alzò ed andò fuori nel giardino. "Ahimè!" gemette, "tutto il mondo è pieno di oscurità ed ignoranza; non c'è nessuno che sappia come guarire i mali dell’esistenza". Egli, colmo di dolore, si mise a piangere. 

Siddhartha si sedette ai piedi del grande albero-jambu e si mise a pensare, riflet-tendo sulla vita e la morte, e sull’angoscia della malattia e della vecchiaia. Alla fine, concentrando la sua mente, divenne libero dalla confusione. Tutti gli infimi desideri svanirono dal suo cuore e una perfetta tranquillità venne su di lui. 

In questo stato di estasi lui vide col suo occhio mentale tutto il dolore e le miserie del mondo; vide le pene del piacere e l’inevitabile certezza della morte volteggiare su ogni essere; eppure gli uomini non sono risvegliati alla verità. Ed una profonda compassione prese a stringere il suo cuore. 

Mentre il principe stava ponderando sul problema del male sotto l'albero di jambu, con l'occhio della sua mente vide un’alta figura dignitosa dotata di calma maestà, e gli chiese: "Da dove vieni, tu, e che cosa vuoi?". 

In replica la visione disse: "Io sono un samana. Angosciato dal pensiero della vecchiaia, malattia, e morte, io ho lasciato la mia casa per cercare il sentiero della salvezza. Tutte le cose velocemente decadono; solamente la verità resiste per sempre. Tutto cambia, e non c'è permanenza; eppure le parole del Buddha sono immutabili. Io desidero ardentemente la felicità che non finisce; il tesoro che non perirà mai; la vita che non conosce nessun inizio e nessuna fine. Perciò, io ho distrutto ogni pensiero mondano. Io mi sono ritirato a vivere in solitudine in una valletta non frequentata; e, elemosinando il cibo, io mi dedico all’unica cosa che sia indispensabile. 

Siddhartha chiese: "Può mai essere ottenuta la pace in questo mondo pieno di agitazione? Io sono colpito dalla vacuità del piacere e sono stato disgustato dalla concupiscenza. Tutto mi opprime, e l’esistenza stessa mi sembra intollerabile." 

Il samana rispose: "Dove c’è calore, c'è anche la possibilità del freddo; le creature soggette al dolore possiedono la facoltà del piacere; l'origine del male indica che può essere sviluppato il bene. Perché queste cose sono correlate. Così dove c’è molta sofferenza, ci sarà molta beatitudine, se solo hai occhi aperti per vederla. Proprio come un uomo che è caduto in un mucchio di spazzatura dovrebbe cercare lì vicino un grande lago d’acqua pieno di fiori di loto: così anche tu cerca il grande lago immortale del Nirvana per toglier via le contaminazioni del male. Se tu non cerchi il lago, la colpa non è del lago. Cosippure, quando c'è una strada benedetta che conduce l'uomo che è stabile dal male alla salvezza del Nirvana, se la strada non è percorsa, la colpa non è della strada, ma della persona. E quando un uomo che è oppresso da malattia, essendovi un medico che può guarirlo, non si giova dell'aiuto del medico, la colpa non è del medico. Cosippure, quando un uomo oppresso dalla malattia del fare errori non cerca la guida spirituale per l’illuminazione, non vi è alcuna colpa da parte della guida che distrugge il male". 

Il principe ascoltò le nobili parole del suo visitatore e disse: "Tu hai portato buone notizie, perché ora io so che il mio scopo sarà realizzato. Mio padre mi consiglia di godere della vita ed intraprendere i doveri mondani, che porteranno onore a me ed alla nostra casata. Lui dice che io sono ancora troppo giovane, che il mio cuore pulsa troppo pienamente per poter fare una vita religiosa." 

La venerabile figura scosse la testa e rispose: "Tu dovresti sapere che nessuna età può essere inadeguata per cercare di fare una vita religiosa." 

Un brivido di gioia passò attraverso il cuore di Siddhartha. "Ora è tempo di cercare la religione", disse; "è giunto il tempo di sciogliere tutti i vincoli che mi impedirono di raggiungere la perfetta Illuminazione; ora è giunto il tempo di lasciare la casa e, conducendo una vita da mendicante, trovare il sentiero della liberazione." 

Il messaggero celeste ascoltò con la sua approvazione la decisione di Siddhartha. "Ora", egli aggiunse, "è davvero giunto per te il tempo di cercare la religione. Vai, o Siddhartha, e realizza il tuo scopo. Perché tu sei il Bodhisattva, il Buddha-eletto; e tu sei destinato ad illuminare il mondo. Perché tu sei il Tathagata, il grande Maestro, e tu realizzerai ogni rettitudine e sarai il Dharmaraja, il Re della verità. Tu sei il Bhagavat, il Beato, perché tu sei il chiamato per divenire il Redentore e il Salvatore del mondo. Realizza dunque la perfezione della Verità. Anche se sul tuo capo cadesse un fulmine, tu non produrresti mai agli allettamenti che ingannano gli uomini distogliendoli dal sentiero della verità. Come il sole segue il suo proprio corso in ogni stagione, e non ne segue mai un altro, così se tu non abbandoni il corretto sentiero della rettitudine, tu diventerai un Buddha. Persevera nella tua ricerca e troverai ciò che stai cercando. Persegui fermamente il tuo scopo e potrai ottenere il premio. Lotta sinceramente e lo conquisterai. La benedizione di tutte le divinità, di tutti i santi, di tutti coloro che cercano la luce è con te, e la saggezza paradisiaca guida i tuoi passi. Tu sarai il Buddha, nostro Signore e Maestro; tu illuminerai il mondo e salverai l’umanità dalla perdizione". 

Avendo così parlato, la visione svanì, ed il cuore di Siddhartha fu riempito di pace. Egli disse fra sé e sé: "Io mi sono svegliato alla verità e sono risoluto a realizzare il mio scopo. Io troncherò tutti i legami che mi vincolano al mondo, ed uscirò dalla mia casa per cercare la Via della salvezza. I Buddha sono esseri le cui parole non possono essere lasciate inascoltate: non c'è allontanamento dalla verità nel loro parlare. Perché come la caduta di una pietra gettata in aria, come la morte di un mortale, come l'aurora che spunta all’alba, come il ruggito del leone quando lascia la sua tana, come il parto di un bambino per una donna, come tutte queste cose sono sicure e certe, così la parola dei Buddha è sicura e non può fallire. Perciò è certo che io diverrò un Buddha." 

Il principe ritornò nella camera da letto di sua moglie a dare un ultimo sguardo di addio a coloro che aveva amato così intensamente, più di tutti i tesori della terra. Ebbe ancora una volta il desiderio di prendere l'infante nelle sue braccia e baciarlo con un bacio d’addio. Ma il bambino stava rannicchiato nelle braccia di sua madre, ed il principe non poteva sollevarlo senza svegliare entrambi. Così Siddhartha stette, osservando la sua bella moglie ed il suo adorato figlio, ed il suo cuore si riempì di dolore. Il dolore della divisione lo sopraffece potentemente. Anche se la sua mente era così tanto determinata, che nulla di bene o di male avrebbe potuto scuotere la sua decisione, le lacrime fluirono libere dai suoi occhi, e controllare il loro flusso era oltre il suo potere. Ma il principe, pur con il cuore lacerato, se ne andò via sopprimendo i suoi sentimenti ma non estinguendo la sua memoria. 

Il Bodhisattva montò sul suo nobile destriero Kanthaka, e mentre stava lasciando il palazzo, Mara che stava sulla porta lo fermò: "Non partire, o mio Signore", egli disse, "Fra sette giorni apparirà la ruota dell’impero, e farà di te il sovrano dei quattro continenti e delle duemila isole adiacenti. Perciò, resta, o mio Signore". 

Il Bodhisattva rispose: "Beh, io so che la ruota dell’impero mi apparirà; ma non è la sovranità che io desidero. Io diverrò un Buddha e farò in modo che tutto il mondo gridi per la gioia." 

Così Siddhartha, il principe, rinunciato al potere ed ai piaceri mondani abbandonò il suo regno, troncò tutti i legami, e se ne andò vagando senza una casa. Poi, egli cavalcò nella notte silenziosa, accompagnato solamente da Channa, il suo fedele auriga. L'oscurità si posò sulla terra, ma le stelle splendettero brillantissime nei cieli. 

  

RE BIMBISARA 

Siddhartha si era tagliato i lunghi capelli ondulati ed aveva scambiato il suo manto reale con un grezzo vestito color della terra. Avendo rispedito l'auriga Channa a casa, insieme col nobile destriero Kanthaka, con un messaggio per il Re Suddho-dana, che il principe aveva lasciato il mondo, il Bodhisattva si mise in cammino lungo la strada maestra con nella mano una ciotola da mendicante. 

Eppure la maestà della sua mente era malcelata sotto la povertà del suo aspetto. Il suo portamento eretto tradiva la sua nascita reale ed i suoi occhi irradiavano un fervido zelo per la verità. La bellezza della sua gioventù era trasfigurata di santità e circondava la sua testa come un alone. Tutte le persone che ebbero questa insolita visione lo guardavano con meraviglia. Quelli che erano in cammino si fermavano e si rigiravano per guardare ancora; e non ci fu nessuno che non gli rese omaggio. 

Essendo entrato nella città di Rajagraha, il principe andò di casa in casa silenzio-samente aspettando che le persone gli offrissero del cibo. Dovunque il Benedetto andasse, le persone gli diedero ciò che esse avevano; si prostravano di fronte a lui in umiltà ed erano colme di gratitudine quando lui acconsentiva di avvicinarsi alle loro case. Giovani e vecchi si commuovevano e dicevano: "Questo è un nobile muni…! Avvicinarsi a lui dà beatitudine. Che grande gioia per noi!" 

E il Re Bimbisara, venendo a sapere la commozione della città, chiese la causa di ciò, e quando seppe le notizie, spedì uno dei suoi attendenti ad osservare lo straniero. Avendo sentito che il muni doveva essere un Sakya di nobile famiglia, e che si era ritirato sulla riva di un fiume che scorreva nel bosco per mangiare il cibo nella sua ciotola, il re fu mosso nel suo cuore; egli indossò il suo manto reale, si mise la sua corona d’oro in testa ed uscì insieme ai suoi saggi consiglieri anziani,  per incontrare il suo misterioso ospite. 

Il re trovò il muni della stirpe Sakya seduto sotto un albero. Contemplando la calma della sua faccia e la gentilezza del suo comportamento, Bimbisara lo salutò con riverenza e disse: "O Samana, le tue mani sono idonee per tenere le redini di un impero e non per tenere la ciotola di un mendicante. Io sono dispiaciuto di vederti sprecare la tua gioventù. Credendo che tu sia di discendenza reale, io ti invito ad unirti a me nel governo del mio paese e condividere il mio potere regale.

Il desiderio per il potere è appropriato per una mente nobile, e la ricchezza non dovrebbe essere disprezzata. Diventare ricco e lasciare la religione non è un vero guadagno. Ma colui che li possiede tutti e tre, potere, ricchezza, e religione, e se li gode con discrezione e saggezza, io chiamerei lui un grande maestro". 

Il grande Sakyamuni alzò gli occhi e rispose: "Tu sei famoso, O Re, per essere liberale e religioso, e le tue parole sono saggie. Un tipo di uomo che fa buon uso della ricchezza si dice giustamente che possieda un gran tesoro; ma l'avaro che ammassa la sua ricchezza non ne avrà profitto. La carità è ricca perché ritorna; la carità è la più grande ricchezza, perché sebbene fa donare, non porta pentimento. 

"Io ho eliminato tutti i legami perché cerco la liberazione. Come sarebbe possibile per me ritornare al mondo? Colui che cerca la verità religiosa, che è il più elevato di tutti i tesori, deve lasciarsi dietro tutto ciò che lo concerne o trarre via da tutto la sua attenzione, ed essere teso su quell’unica meta. Egli deve liberare la sua anima dalla bramosia e dalla concupiscenza, ed anche dal desiderio per il potere. 

"Se si indulge nella concupiscenza anche solo un pò, la bramosia crescerà come un bambino. Se si maneggia il potere mondano, si sarà oberati da preoccupazioni. Il frutto della santità è meglio della sovranità sulla terra, meglio che vivere in cielo, meglio che comandare su tutti i mondi. Il Bodhisattva che ha riconosciuto la natura illusoria della ricchezza non prenderà più veleno come cibo. Un pesce che è sfuggito alla pesca desidererà ancora l’amo, o un uccello scappato amerà la rete? Un coniglio liberato dalla bocca del serpente vorrà ritornare ad essere divorato? Un uomo che si è scottato la mano con una torcia, riprenderà la torcia dopo che lui l'aveva lasciata cadere in terra? Un cieco che ha recuperato la vista desidererà di nuovo rovinare i suoi occhi? 

"L’ammalato che soffre con la febbre cerca una medicina rinfrescante. Potremmo mai consigliarlo di bere qualcosa che faccia aumentare la febbre? Potremmo mai estinguere un fuoco gettando combustibile su di esso? 

"Io ti prego di non compatirmi. Piuttosto compatisci quelli che sono oppressi con le incombenze della regalità e le preoccupazioni di una grossa ricchezza. Loro se le godono tremando d’angoscia e paura, perché sono continuamente minacciati dalla perrdita di quei vantaggi sul cui possesso hanno messo i loro cuori, e quando essi muoiono non potranno portarsi dietro né il loro oro né il diadema regale. 

"Il mio cuore non agogna per nessun profitto volgare, così io ho lasciato la mia eredità regale e ho preferito essere libero dai carichi della vita. Perciò, non tentare di impigliarmi in nuove relazioni e doveri, non impedirmi di completare il lavoro che ho cominciato. Mi dispiace lasciarti. Ma io mi recherò dai saggi che potranno insegnarmi la religione e così potrò trovare il sentiero per poter sfuggire il male. 

"Possa il tuo paese godere di pace e prosperità, e possa la saggezza spargersi sui tuoi domini come la luce del sole a mezzogiorno. Possa il tuo potere regale essere forte e possa la rettitudine essere lo scettro in mano tua". 

Il re, congiungendo le sue mani con riverenza, si prosternò di fronte a Sakyamuni e disse: "Possa tu ottenere ciò che stai cercando, e quando tu lo hai l'ottenuto, ritorna, ti prego, e ricevimi come tuo discepolo!". Il Bodhisattva si separò dal re in amicizia e buona grazia, e nel suo cuore si propose di accordare la sua richiesta. 

 

LA RICERCA DEL BODHISATTVA 

Alara ed Uddaka erano rinomati come insegnanti fra i Brahmani, ed in quel tempo non c’era nessuno che li superava nell'erudizione e nella conoscenza filosofica. Il Bodhisattva andò da loro e si sedette ai loro piedi. Egli ascoltò le loro dottrine sull'atman, o sé, che è l'ego della mente e l’agente di tutte le azioni. Egli imparò le loro visioni sulla trasmigrazione dell’anima e sulla legge del karma; come le anime dei cattivi uomini dovevano soffrire essendo rinate in uomini di bassa casta, in animali o negli inferni, mentre quelli che si erano purificati con libagioni, con sacrifici e con l’auto-mortificazione diventavano Re, Brahmani, o deva, come pure potevano elevarsi sempre più in alto nei livelli di esistenza. Egli studiò le loro magie, gli incantesimi, le offerte ed i metodi con cui essi avevano raggiunto la liberazione dell'ego dall’esistenza materiale negli stati di estasi. 

Alara disse: "Qual è il sé che percepisce le azioni delle cinque radici della mente, cioè la vista, il tatto, l’odorato, il gusto, e l’udito? Cos’è ciò che è attivo nelle due modalità del moto, nelle mani e nei piedi? Il problema dell'anima appare nelle espressioni 'Io dico', 'Io so e percepisco', 'Io vengo', e 'Io vado' o 'Io starò qui'. La vostra anima non è il vostro corpo; non è la vostra vista, né i vostri orecchi, non il vostro naso, non il tatto, né la lingua, né esso è la vostra mente. L'Io è quello che sente il contatto nel vostro corpo. L'Io è colui che sente l’odore nel naso, l'assaggiatore nella lingua, il veggente nell'occhio, l’uditore nell'orecchio, ed il pensatore nella mente. L'Io muove le vostre mani ed i vostri piedi. L'Io è la vostra anima. Dubitare nell'esistenza dell'anima è irreligioso, e se non si discerne questa verità non c’è nessuna via di salvezza. La speculazione profonda coinvolgerà facilmente la mente; essa porta confusione e miscredenza; ma una purificazione dell'anima porta alla via di fuga. La vera liberazione è raggiunta allontanandosi dalla folla e conducendo la vita di un eremita, dipendendo completamente dalle elemosine per il  sostentamento e cibo. Mettendo via ogni desiderio e chiaramente riconoscendo la non-esistenza della materia, noi giungiamo ad un stato di vuoto perfetto. Qui noi troviamo la condizione della vita non-materiale. Come l’erba munja quando è liberata dal suo baccello corneo, come una spada quando è estratta dal suo fodero, o come l'uccello selvatico scappato dalla sua prigione, così l'ego che si libera da tutti i limiti, trova la perfetta liberazione. Questa è la vera liberazione, ma solamente quelli che avranno una fede profonda impareranno." 

Il Bodhisattva non trovò soddisfacenti questi insegnamenti. Lui rispose: "Le persone sono in schiavitù, perché non hanno ancora rimosso l'idea dell'ego. Le cose e la loro qualità sono diverse nel nostro pensiero, ma non nella realtà. Nel nostro pensiero il calore è diverso dal fuoco, ma in realtà non si può rimuovere il calore dal fuoco. Tu dici che si può rimuovere le qualità e si può lasciare la cosa, ma se tu porti la tua teoria all’estremo, troverai che non è così. 

"L’uomo non è forse un organismo composto di molti aggregati? Non siamo noi un composto di vari attributi? L’uomo consiste di forma materiale, di sensazione, di pensiero, di tendenze e, in ultimo, di comprensione. Ciò che gli uomini chiamano l'ego, quando essi dicono 'Io sono', non è un'entità che sta dietro agli attributi; origina dalla loro co-operazione. C'è la mente; ci sono sensazioni e pensiero, e c'è la verità; e la verità è la mente quando cammina nel sentiero della rettitudine. Ma non c'è un’ ego-anima separata, aldifuori o dietro al pensiero dell’uomo. Colui che crede che l'ego sia un essere distinto non ha una corretta concezione. La stessa ricerca di un atman è sbagliata; è un approccio sbagliato e vi condurrà in una direzione falsa. 

"Quanta confusione di pensiero viene dal nostro interesse per il ‘sé’, e dalla nostra vanità quando si pensa 'Io sono così grande', o 'Io ho fatto questo meraviglioso atto?' Il pensiero del vostro ego sta tra la vostra natura razionale e la verità; lo si bandisca, e poi si vedranno le cose così come esse sono. Chi pensa correttamente si libererà dell'ignoranza ed acquisirà la saggezza. Le idee 'Io sono' e 'Io sarò' o 'Io non sarò' non arrivano ad un chiaro pensatore. 

"Inoltre, se il nostro ego rimane, come possiamo ottenere la vera liberazione? Se l'ego dovrà rinascere in qualcuno dei tre mondi, sia esso l’inferno, la terra o anche in cielo, noi rincontreremo ancora e ancora lo stesso inevitabile destino di dolore. Noi rimarremo concatenati alla ruota dell'individualità e saremo implicati nel male e nell’egoismo. Ogni unione è soggetta alla separazione, e noi non potremo mai sfuggire la nascita, la malattia, la vecchiaia, e la morte. Questa è forse una fuga liberatoria finale?" 

Uddaka disse: "Considera l'unità delle cose. Le cose non sono le loro parti, eppure esse esistono. Le membra e gli organi del tuo corpo non sono il tuo ego, ma il tuo ego possiede tutte queste parti. Cos’è, per esempio, il Gange? Forse che la sabbia è il Gange? O l’acqua è il Gange? Il Gange è la riva di destra? O il Gange è la riva sinistra? Oppure il Gange è la riva più lontana? Il Gange è un possente fiume e possiede tutte queste qualità. Esattamente così è il nostro ego." 

Ma il Bodhisattva rispose: "Non è così, signore! Se noi rimuoviamo l'acqua, la sabbia, la riva di qua, quella di là, e le rive più lontane, dove possiamo più trovare il Gange? Allo stesso modo, io osservo le attività dell’uomo nella loro armoniosa unione, ma non c'è alcuna base per un ego aldifuori delle sue parti." 

Tuttavia, il saggio bramano insistè sull'esistenza dell'ego, dicendo: "L'ego è ciò che agisce nei nostri atti. Come può esservi karma senza un sé come suo agente? Non vediamo forse intorno a noi gli effetti del karma? Cosa fa sì che gli uomini siano diversi in carattere, ceto, possedimenti, destino? È il loro karma, e il karma include meriti e demeriti. La trasmigrazione stessa dell'anima è soggetta al suo karma. Noi ereditiamo dalle precedenti esistenze gli effetti negativi delle nostre cattive azioni e gli effetti positivi dei nostri buoni atti. Se non fosse così, come potremmo essere diversi? ' 

Il Tathagata meditò profondamente sui problemi della trasmigrazione e del karma, e trovò la verità che soggiace in essi. Così, poi disse: "La dottrina del karma è innegabile, ma la teoria dell'ego non ha fondamento. Come tutto in natura, la vita dell’uomo è soggetta alla legge di causa ed effetto. Il presente raccoglie quello che il passato ha seminato, ed il futuro è il prodotto del presente. Ma non c'è nessuna evidenza dell'esistenza di un'ego-essere immutabile, di un sé che rimane sempre lo stesso ed emigra da un corpo all’altro. Si, c’è la rinascita, ma non c’è affatto la trasmigrazione. 

"Questa mia individualità non è forse una mera combinazione, materiale come pure mentale? Non è forse composta di qualità che sono venute ad essere a causa di un'evoluzione graduale? In questo organismo, le cinque radici dei sensi che percepiscono provengono da antenati archetipi che compirono queste funzioni. Le idee che io penso, in parte vennero a me da altri che le pensarono, ed in parte sorgono da combinazioni di idee nella mia propria mente. Quelli che hanno usato gli stessi organi di senso, e hanno pensato le stesse idee, prima che fui composto io in questa mia individualità, sono le mie esistenze precedenti; loro sono i miei antenati, tanto quanto il mio 'Io’ di ieri è il padre dell'Io di oggi, ed il karma dei miei atti passati ha effetto sul destino della mia esistenza presente. 

"Ammesso che vi sia un atman che compie le azioni dei sensi, allora se la porta della vista fosse lacerata, e l'occhio strappato fuori, l’atman dovrebbe essere capace di sbirciare attraverso la più grande apertura e vedere le forme dei suoi dintorni meglio e più chiaramente di prima. Dovrebbe essere capace di sentire meglio i suoni se gli orecchi fossero strappati via; meglio gli odori se il naso fosse tagliato via; assaggiare meglio se la lingua fosse tutta estratta; e poi dovrebbe sentirsi bene anche se il corpo fosse distrutto. 

"Io osservo la conservazione e la trasmissione del carattere; Io percepisco la verità del karma, ma non vedo nessun atman di cui la tua dottrina crea l’agente dei tuoi atti. C'è la rinascita ma non la trasmigrazione di un sé. Perché questo atman, questo sé, questo ego, quando si dice 'Io dico' o 'Io voglio' è un'illusione. Se questo sé fosse una realtà, come potrebbe esservi una fuga dall’egoismo? Il terrore dell’inferno sarebbe infinito, e nessuna liberazione potrebbe mai essere accordata. I mali dell’esistenza non sarebbero dovuti alla nostra ignoranza e al nostro agire-sbagliato, ma costituirebbero la vera natura del nostro essere." 

Poi il Bodhisattva andò dai preti che facevano sacrifici nei templi. Ma la mente gentile del Sakyamuni fu offesa dalla crudeltà non necessaria compiuta sugli altari degli dèi. Egli disse: "Solamente l’ignoranza può permettere che questi uomini preparino riunioni ed enormi feste per fare sacrifici. Sarebbe meglio riverire la verità che non tentare di placare gli dèi versando sangue. Che amore può mai avere un uomo che crede che la distruzione della vita possa fare ammenda per le sue cattive azioni? Un male nuovo può mai espiare i mali vecchi? E può mai la macellazione di una vittima innocente purificare gli atti malvagi dell’umanità? Questo è praticare la religione con la negligenza di una condotta morale. Dunque, purificate i vostri cuori e cessate di uccidere; questa è la vera religione. I rituali non hanno efficacia; le preghiere sono ripetizioni inutili e vane; e gli incantesimi non hanno il potere di risparmiarvi. Ma l’abbandonare bramosia e concupiscenza, il divenire liberi dalle cattive passioni e il rinunciare ad ogni odio e malevolenza, questi sì che sono il corretto sacrificio e la vera adorazione."  

 

URUVELA, LUOGO DI MORTIFICAZIONE 

Il Bodhisattva andò poi alla ricerca di un sistema migliore ed arrivò ad una casetta di cinque bhikkhu nella giungla di Uruvela; e quando il Benedetto vide il modo di vivere di quei cinque uomini, con i loro sensi virtuosamente sotto controllo, le loro passioni soggiogate, e praticando l'austera autodisciplina, egli ammirò molto la loro serietà e si unì a loro. Con santo zelo ed un cuore forte, Sakyamuni si dette al pensiero meditativo e ad una rigida mortificazione del corpo. Se i cinque bhikkhu erano severi, Sakyamuni fu ancora più severo, e così essi lo riverirono, benché più giovane, come  loro maestro. 

Così il Bodhisattva per sei anni continuò pazientemente a torturarsi, sopprimendo le necessità naturali. Egli addestrò il suo corpo ed esercitò la sua mente nei modi di vita della più rigida ascesi. Alla fine, ogni giorno mangiava soltanto un chicco di canapa, cercando di superare l'oceano della nascita e morte e di arrivare alla riva della liberazione. 

E quando il Bodhisattva si era sfamato, ecco che si avvicinò Mara, il Maligno, che gli disse: "Tu sei emaciato dai digiuni, e la morte è vicina. Cosa ha di buono il tuo esercizio? Degnati di vivere, e sii in grado di fare un buon lavoro". Ma Sakyamuni replicò: "O tu, amico degli indolenti, tu malvagio; per quale scopo sei venuto? Lascia che la mia carne si consumi, se poi la mia mente diviene più tranquilla e l’attenzione è più costante. Che vita c’è in questo mondo? Per me è meglio una morte in battaglia piuttosto che dover vivere vinto." 

E Mara si ritirò, dicendo: "Per sette anni io ho seguito da vicino il Benedetto, ma non ho nessun difetto nel Tathagata." 

Il Bodhisattva era magro ed emaciato, e il suo corpo era come un albero avvizzito; ma la fama della sua santità si sparse nei paesi circostanti, e le persone venivano da grandi distanze per vederlo e ricevere la sua benedizione. Tuttavia, il Beato non era soddisfatto. Non trovando la vera saggezza che cercava, lui arrivò perciò alla conclusione che la mortificazione non avrebbe estinto il desiderio, e neanche la contemplazione estatica avrebbe  permesso l’illuminazione. 

Sedutosi ai piedi di un albero-jambu, egli considerò lo stato della sua mente ed il frutto della sua mortificazione. Il suo corpo era divenuto più debole, eppure i suoi digiuni non l'avevano fatto avanzare nella ricerca per la salvezza, e perciò quando  vide che quello non era il sentiero corretto, egli si propose di abbandonarlo. Così andò a bagnarsi nel fiume Neranjara, e quando cercò di uscire dall'acqua, egli si rese conto di non farcela a causa della sua debolezza. Allora scorgendo il ramo di un albero e facendo presa su di esso, riuscì a sollevarsi e uscì dal fiume. Ma mentre faceva ritorno alla sua dimora, lui barcollò e cadde giù come morto. 

C'era un capo-mandriano che viveva vicino al boschetto, la cui figlia maggiore si chiamava Nanda; e a Nanda accadde di passare nel boschetto dove il Benedetto era svenuto, e inchinandosi davanti a lui gli offrì riso e latte e lui accettò il regalo. Quando egli si fu rifocillato di riso e latte e le sue membra furono rinfrescate, la sua mente divenne di nuovo chiara, egli fu abbastanza forte per avere la suprema illuminazione. 

Dopo questo avvenimento, il Bodhisattva prese di nuovo del cibo. I suoi discepoli, essendo stati presenti alla scena, ed osservando il cambiamento nel suo modo di vivere furono colti da sospetto. Essi temettero che lo zelo religioso di Siddhartha si fosse indebolito e che colui che essi avevano riverito finora come loro Maestro fosse divenuto dimentico del suo scopo più alto. 

Quando il Bodhisattva vide che i bhikkhu lo abbandonavano, si sentì dispiaciuto per la loro mancanza di fiducia, e fu consapevole della solitudine della sua vita. Sopprimendo il suo dolore, egli andò vagando da solo, e i suoi discepoli dissero, "Siddhartha ci lascia per cercare una dimora più piacevole."  

  

MARA, IL MALIGNO

Il Beato diresse i suoi passi verso quel benedetto Albero-Bodhi sotto la cui ombra egli realizzò il fine della sua ricerca. Appena si mise in cammino, la terra fu scossa ed una luce brillante trasfigurò il mondo. Quando si sedette, i cieli echeggiarono con gioia e tutti gli esseri viventi furono riempiti di buon umore. Soltanto Mara, signore dei cinque desideri, portatore di morte e nemico della verità, ne fu addolorato e non si allietò. Con le sue tre figlie, Tanha, Raga ed Arati, le tentatrici, e col suo seguito di demoni malvagi, egli si recò nel luogo dove sedeva il grande Samana. Ma Sakyamuni non lo considerò affatto. Infuriato, Mara emise minacce che dovevano ispirare paura e sollevò un turbine così che i cieli furono oscurati e l'oceano ruggì e tremò. Ma il Benedetto che stava sotto l’albero-Bodhi rimase calmo e tranquillo e non si spaventò. L’Illuminato sapeva che nessun danno poteva succedergli. 

Le tre figlie di Mara tentarono in tutti i modi il Bodhisattva, ma lui non diede loro retta, e quando Mara vide che esse non potevano far accendere il desiderio nel cuore del vittorioso samana, ordinò che tutti i cattivi spiriti al suo comando lo attaccassero per intimidire il grande muni. Ma il Benedetto li guardò come se uno guardasse i giochi innocui dei bambini. Tutto il feroce odio dei cattivi spiriti non fu di alcun profitto. Le fiamme dell’inferno divennero brezze salubri di profumo, ed i fulmini adirati furono cambiati in petali di fior-di-loto. 

Quando Mara vide questo, fuggì via col suo esercito dall’albero-Bodhi, mentre dal cielo cadeva una pioggia di fiori paradisiaci, e si sentirono le voci di spiriti buoni: "Guardate il Grande Muni! Il suo cuore è immobile e senza odio. L’esercito di Mara il Maligno non ha prevalso contro di Lui. Egli è puro e saggio, amorevole e pieno di misericordia. Come i raggi del sole illuminano l'oscurità del mondo, così colui che persevera nella sua ricerca troverà la verità e la verità lo illuminerà." 

 

L’ILLUMINAZIONE

Il Bodhisattva, avendo messo Mara in fuga, si dette alla meditazione. Tutti i disagi del mondo, i mali prodotti dalle cattive azioni e le sofferenze che ne derivano, passarono davanti al suo occhio mentale, e lui così pensò: 

"Certamente se le creature viventi potessero vedere i risultati di tutte le loro cattive azioni, se ne allontanerebbero via con disgusto. Ma l’egoismo le acceca, ed esse si aggrappano ai loro disgustosi desideri. Gli esseri bramano il piacere per se stessi e perciò provocano il dolore agli altri; quando la morte distrugge la loro individualità, essi non trovano pace; la loro sete per l’esistenza persiste ed il loro egoismo riappare nelle nuove nascite. Così continuano a muoversi in circolo e non possono trovare scampo dall'inferno delle loro proprie azioni. E come i loro piaceri sono vuoti, così sono vani i loro sforzi! Vuoti come un albero cavo e senza contenuti come una bolla di sapone. Il mondo è pieno di mali e dolore, perché è pieno di concupiscenza. Gli esseri umani sbandano perché pensano che l’inganno sia migliore della verità. Piuttosto che la verità, essi preferiscono seguire l’errore che è piacevole all'inizio, ma alla fine causa ansietà, tribolazione, e miseria". 

Ed il Bodhisattva cominciò ad esporre il Dharma. Il Dharma è la verità. Il Dharma è la sacra legge. Il Dharma è religione. Solo il Dharma può liberarci dall’errore, dal male e dal dolore. 

Ponderando sull'origine di nascita e morte, l’Illuminato riconobbe che l'ignoranza era la radice di ogni male; e questi sono i legami nello sviluppo della vita, chiamati i dodici nidana: All’inizio c’è un’ esistenza cieca e senza conoscenza; ed in questo mare di ignoranza vi sono formazioni stimolanti ed organizzanti. Da queste formazioni stimolanti ed organizzanti, sorge la consapevolezza di sé o i sentimenti. I sentimenti danno origine ad organismi che vivono come esseri individuali. Questi organismi sviluppano i sei campi, cioè i cinque sensi e la mente. Questi sei campi entrano in contatto con le cose. Il contatto genera la sensazione. La sensazione crea la sete di essere individualizzati. La sete di essere crea una divisone dalle cose. La divisione produce lo sviluppo e la continuazione del ‘sé’. Il ‘Sé’ si riproduce nella nuova rinascita. Le rinascite del ‘sé’ sono la causa della sofferenza, vecchiaia, malattia, e morte. E queste producono angoscia, ansia, e disperazione. 

La causa di ogni dolore stà proprio in ogni inizio; essa è nascosta nell'ignoranza dalla quale sorge la vita. Rimuovete l'ignoranza e distruggerete i desideri sbagliati che nascono dall'ignoranza; distrutti questi desideri, verrà prosciugata la errata percezione che sorge da essi. Distrutta la percezione sbagliata, vi sarà la fine dell’errore di voler essere individualizzati. Distrutto l’errore di voler essere indivi- dualizzati, scompariranno le illusioni dei sei campi. Distrutte le illusioni, il contatto con le cose cesserà di generare equivoci. Distrutto l’equivoco, avrete eliminato la sete. Distrutta la sete, sarete finalmente liberi da ogni falsa separazione. Rimossa la separazione, verrà distrutto l'egoismo del ‘sé’. Se l'egoismo del ‘sé’ è distrutto non vi sarà più nascita, vecchiaia, malattia, e morte, e così si eliminerà ogni tipo di sofferenza. 

L’Illuminato vide le Quattro Nobili Verità che indicano il sentiero che conduce al Nirvana o l'estinzione del ‘sé’: La prima nobile verità è l'esistenza del dolore. La seconda nobile verità è la causa della sofferenza. La terza nobile verità è la cessazione del dolore. La quarta nobile verità è l’Ottuplice Sentiero che conduce alla cessazione del dolore.  Questo è il Dharma. Questa è la verità. Questa è religione. E l’Illuminato dichiarò questa strofa: 

 

"Attraverso molte nascite io cercai invano 

Il Costruttore di questa Casa del Dolore. 

Ora, Costruttore, alla fine sei stato individuato, 

E da questa Casa io finalmente sono liberato; 

Io distruggerò tutte le travi, il tetto ed il muro, 

E dimorerò nella Pace che c’è al di là di tutto!". 

 

C'è il ‘sé’ e c'è la verità. Dove è il ‘sé’, non è la verità. Dove è la verità, non c’è il ‘sé’. Il ‘sé’ è l'errore fugace del samsara; è la separatezza individuale e quel tipo di egoismo che genera invidia ed odio. Il ‘sé’ è l’ardente brama per il piacere e la concupiscenza verso la vanità. La verità è la comprensione corretta delle cose; è il permanente ed eterno, il vero in ogni esistenza, la beatitudine della rettitudine. 

L'esistenza del ‘sé’ è un'illusione, e non c’è niente di sbagliato in questo mondo, nessun vizio, nessun male, se non i flussi provenienti dall'asserire il proprio sé. Il conseguimento della verità è possibile solamente quando il ‘sé’ è riconosciuto come un'illusione. La rettitudine si può praticare solamente quando noi abbiamo liberato la nostra mente dalle passioni dell'ego. La pace perfetta può dimorare solamente dove ogni vanità è scomparsa. 

Benedetto è colui che ha compreso il Dharma. Benedetto è colui che non reca più danno ai suoi simili. Benedetto è colui che supera il male ed è libero da passione. Colui che ha vinto ogni egoismo e vanità è arrivato alla suprema beatitudine. Egli è divenuto il Buddha, il Perfetto. 

  

I PRIMI CONVERTITI 

Il Benedetto rimase in solitudine sette volte sette giorni, godendosi la beatitudine dell'emancipazione. Nel frattempo, Tapussa e Bhallika, due mercanti che stavano viaggiando sulla vicina strada, quando videro il grande samana, maestoso e pieno di pace, si avvicinarono rispettosamente e gli offrirono le loro torte di riso e miele. Questo era il primo cibo che l'Illuminato mangiava dopo aver ottenuto lo stato di Buddha. Ed il Buddha, indirizzandoli, indicò loro il Sentiero della salvezza. I due mercanti, vedendo la santità del conquistatore di Mara, si prostrarono in riverenza e dissero: "Noi prendiamo il nostro rifugio, o Signore, nel Beato e nel Dharma". Così Tapussa e Bhallika furono i primi che divennero seguaci del Buddha e loro erano discepoli laici. 

  

LA RICHIESTA DI BRAHMA 

Il Benedetto, che aveva ottenuto la Buddhità rimanendo sotto l'albero del pastore di Nigrodha sulle rive del fiume Neranjara, pronunciò questa solenne espressione: 

 

"Chi segue la chiamata della verità immutabile, 

E’ sicuro come il sentiero in questo bosco!

Ed è benedetto, per essere gentile e buono, 

E per come pratica il riserbo in tutte le cose! 

Ed è leggero, poiché è libero da passione, 

E poiché lascia andare tutte le gioie sensuali! 

Eppure la sua beatitudine più grande sarà 

Quando avrà represso l'orgoglio del suo 'Io'!” 

 

"Io ho riconosciuto la verità più profonda che è sublime e dona la pace, ma è difficile da comprendere; poiché la maggior parte degli uomini si muove in una sfera di interessi mondani e trova la loro delizia nei desideri mondani. Gli esseri comuni, cioè i mondani, non capiranno la dottrina, perché essi provano la felicità soltanto nel proprio ‘sé’, e la beatitudine che c’è in una resa completa alla verità non è comprensibile ad essi. Essi chiameranno rassegnazione ciò che per la mente illuminata è la gioia più pura. Essi vedranno come annichilimento lo stato in cui colui che si è perfezionato vi trova l'immortalità. Essi considerano come morte la condizione in cui il conquistatore del ‘sé’ sa che è la vita eterna. La verità rimane nascosta per chi è nella schiavitù dell’odio e del desiderio. Il Nirvana rimane misterioso e incomprensibile alla persona volgare la cui mente è oscurata dagli interessi mondani. Se io predico la dottrina e l’umanità non la comprende, ciò mi comporta soltanto fatica e preoccupazione". 

Mara, il Malvagio, nel sentire le parole del Buddha Beato, si avvicinò e gli disse: “Salute a Te, o Santo. Tu hai raggiunto la beatitudine più alta, ed è ora che Tu entri nel Nirvana finale". 

Allora Brahma Sahampati discese dai Cieli e, avendo venerato il Benedetto, disse: "Ahimè! il mondo dovrà perire, se il Beato, il Tathagata, dovesse decidere di non insegnare il Dharma. Sii misericordioso verso quelli che lottano; abbi compassione per i sofferenti; compatisci le creature che sono disperatamente impigliate nella trappola del dolore. Vi sono esseri che sono quasi liberi dalla polvere della mondanità. Se essi non sentono predicare la dottrina, saranno persi. Ma se essi la sentono, vi crederanno e si salveranno!" 

Il Benedetto, pieno di compassione, con l'occhio del Buddha reputò tutti gli esseri senzienti, e vide fra loro esseri le cui menti erano solo appena ricoperte dalla polvere della mondanità e che erano facilmente ben disponibili a farsi istruire. Egli vide che alcuni erano consapevoli dei pericoli della concupiscenza e del male. Ed il Benedetto disse a Brahma Sahampati: "Spalancata sia la porta dell'immortalità a tutti quelli che hanno orecchie per sentire. Essi potranno ricevere il Dharma con fede." 

Allora il Benedetto si rivolse a Mara, dicendo: "Io non passerò nel Nirvana finale, O Malvagio, finché vi saranno non solo fratelli e sorelle di un Ordine, ma anche discepoli laici di entrambi i sessi, che non siano diventati veri ascoltatori saggi, ben addestrati, pronti e colti, versati nelle scritture, che adempiano tutti i doveri maggiori e minori, retti nella vita, che camminino secondo i precetti - finché essi, avendo così imparato la dottrina, non saranno capaci di dare informazioni agli altri coinvolgendoli, predicando, rendendola nota, stabilendola, offrendola, spiegandola minutamente, e chiarendola - fino a che essi, quando altri avviano vane dottrine, non saranno in grado di vincerli e confutarli, e così diffondere all'esterno la verità taumaturgica. Io non morirò fino a quando la religione pura della verità non sarà divenuta riuscita, prospera, assai estesa, e resa popolare in tutta la sua piena estensione -in una parola, finché non sarà stato proclamato il bene fra gli uomini!" 

Allora Brahma Sahampati capì che il Benedetto aveva accordato alla sua richiesta e avrebbe predicato la dottrina. 

 

FONDARE IL REGNO - UPAKA VEDE IL BUDDHA 

Ora il Benedetto pensò: "A chi predicherò prima la dottrina? I miei vecchi maestri sono morti. Essi avrebbero ricevuto con gioia la buona notizia. Ma i miei cinque discepoli sono ancora vivi. Io andrò da loro, e ad essi proclamerò prima il vangelo di liberazione". 

In quel periodo, i cinque bhikkhu risiedevano nel Parco dei Cervi a Benares, ed il Benedetto si alzò e viaggiò verso la loro dimora, non pensando alla loro scortesia nell'averlo abbandonato quella volta, quando aveva avuto maggiormente bisogno del loro aiuto e comprensione, ma memore solo dei servizi che essi gli avevano tributato, e compatendoli per l’austerità che praticavano invano. 

Upaka, un giovane bramano Jaina, vecchia conoscenza di Siddhartha, vide che il Benedetto era in viaggio per Benares e, stupito dalla maestà e dalla gioia sublime del suo aspetto, gli disse: "La tua espressione, amico mio, è proprio serena; i tuoi occhi sono brillanti ed indicano purezza e beatitudine." 

Il Buddha Beato rispose: "Dall'estinzione del ‘sé’, io ho ottenuto la liberazione. Il mio corpo è stato reso casto, la mia mente è libera dal desiderio, e la verità più profonda ha preso dimora nel mio cuore. Io ho ottenuto il Nirvana, e questa è la ragione per cui la mia espressione è serena ed i miei occhi sono brillanti. Io ora desidero fondare il regno della verità quì sulla terra, dare luce a tutti coloro che sono avvolti nell’oscurità ed aprire la porta dello stato senza-morte". 

Upaka rispose: "Allora, amico, tu stai dichiarando di essere Jina, il conquistatore del mondo, l' unico assoluto e l’unico santo!". 

Il Benedetto disse: "Jina sono tutti quelli che hanno conquistato il proprio sé e le passioni del ‘sé’; sono Vittoriosi solo coloro che controllano le loro menti e si astengono dal male. Per questo, Upaka, io sono il Jina." 

Upaka scosse la testa. "Venerabile Gotama" lui disse, "questa è la tua Via!", e prendendo un'altra strada, lui andò via. 

  

IL SERMONE A BENARES 

Nel vedere l’arrivo del loro vecchio maestro, i cinque bhikku si misero d'accordo fra di essi di non salutarlo, né indirizzarsi a lui come un maestro, ma chiamandolo solo con il suo nome. "Perché", così essi dissero, "lui ha rotto il suo voto e ha abbandonato la santità. Lui non è un bhikkhu, ma Gotama, e Gotama è diventato un uomo che vive nell’abbondanza ed appaga i piaceri della sua mondanità." Ma quando il Benedetto si avvicinò in maniera dignitosa, essi involontariamente si alzarono dai loro posti e lo salutarono, nonostante la loro decisione. Anche se poi lo chiamarono con il suo nome e lo apostrofarono come "amico Gotama." 

Allorché ebbero così ricevuto il Benedetto, egli disse: "Non chiamate il Tathagata con il suo nome, né apostrofatelo come 'amico', perché egli è il Buddha, il Santo. Il Buddha guarda con un cuore ugualmente gentile tutti gli esseri viventi, e perciò essi lo chiamano 'Padre'. Mancare di rispetto ad un padre è sbagliato; ed è male disprezzarlo". Il Buddha continuò: "Il Tathagata non cerca salvezza nell’austerità, ma per la stessa ragione, egli non si appaga in piaceri mondani, né vive in una qualche abbondanza. Il Tathagata ha trovato il sentiero di mezzo". 

"Vi sono due estremi, o bhikkhu, che gli uomini che hanno rinunciato al mondo non devono seguire – da una parte, l’abituale pratica dell’auto-indulgenza che è indegna, vana e adeguata solamente per la mente mondana e dall'altra parte, la abituale pratica dell’auto-mortificazione, che è dolorosa, inutile e senza profitto". 

"Né astenendosi da carne e pesce, né andando in giro nudi, né radendosi la testa, né portando i capelli lunghi e intrecciati, né vestendo una grezza tunica, né coprendosi di fango, né facendo sacrifici ad Agni, potrà purificare un uomo che non è libero dall’illusione. Leggere i Veda, fare offerte ai preti o sacrifici agli dèi, o l’auto-mortificazione con caldo o freddo, e altre penitenze simili, che sono state compiute allo scopo di ottenere l'immortalità, tutti questi non purificano l'uomo che non è libero dall’illusione. Rabbia, ubriachezza, ostinatezza, fanatismo, falsità, invidia, auto-elogio, sminuire gli altri, arroganza, e intenzioni malvagie, costituisce la sporcizia; non certo il mangiare carne". 

"O bhikkhu, dal Tathagata è stato scoperto un sentiero mediano che evita i due estremi – esso è un sentiero che apre gli occhi e dà comprensione, che conduce alla pace della mente, alla saggezza più alta, alla piena Illuminazione, al Nirvana! Cos’è, o bhikkhu, questo sentiero mediano scoperto dal Tathagata, che evita questi due estremi, - questo sentiero che apre gli occhi e dà comprensione, che conduce alla pace della mente, alla saggezza più alta, alla piena Illuminazione, al Nirvana? O bhikkhu, lasciate che io ve lo insegni, il sentiero mediano che tiene a distanza entrambi gli estremi. Soffrendo, il devoto emaciato produce nella sua mente confusione e pensieri malati. La mortificazione non contribuisce nemmeno alla conoscenza mondana; tanto meno ad un trionfo sui sensi!" 

"Colui che riempie la sua lampada con acqua non disperderà l'oscurità, e colui che tenta di accendere un fuoco con legno marcio non ci riuscirà. E come può uno essere libero dal proprio sé conducendo una vita disgraziata, se nemmeno riesce ad estinguere il fuoco della concupiscenza, se ancora agogna ai piaceri mondani o paradisiaci? Ma colui in cui il ‘sé’ si è estinto, egli è libero da concupiscenza; egli non desidererà più piaceri né mondani né paradisiaci, e la soddisfazione delle sue necessità naturali non lo contaminerà. Però, gli si consenta di essere moderato, gli si permetta di mangiare e bere secondo i bisogni del suo corpo". 

"La sensualità è snervante; l'uomo auto-indulgente è schiavo delle sue passioni, e la ricerca del piacere è degradante e volgare. Ma soddisfare le necessità della vita non è un male. Tenere il corpo in buona salute è un dovere, perché altrimenti noi non saremmo in grado di stabilizzare la luce della saggezza, e mantenere forte e chiara la nostra mente. L’acqua circonda il fiore del loto, ma non bagna i suoi petali. Questo è il sentiero mediano, o bhikkhu, che mantiene a distanza entrambi gli estremi". Ed il Benedetto gentilmente parlò ai suoi discepoli, compatendoli per i loro errori e, indicando l'inutilità dei loro sforzi, sciolse il gelo della malevolenza che aveva raffreddato i loro cuori con il gentile calore della sua persuasione. 

Così, il Benedetto fece in modo che ora la ruota della legge rotolasse meglio, e cominciando a predicare ai cinque bhikkhu, aprì loro la porta dell'immortalità, mostrando la beatitudine del Nirvana. 

Il Buddha disse: "I raggi della ruota sono le regole della pura condotta: la giustizia è l'uniformità della loro lunghezza; la saggezza è la camera d’aria; la modestia e la riflessione sono i mozzi in cui è fissato l'immobile asse della verità. Colui che della sofferenza riconosce l'esistenza, la sua causa, il suo rimedio e la sua cessazione, ha approfondito le quattro nobili verità. Egli camminerà nel corretto sentiero. 

"Le corrette visioni saranno la torcia che illumina la sua strada. Le corrette aspira-zioni saranno la sua guida. La corretta parola sarà la sua dimora lungo la strada. Il suo portamento sarà diritto, perché è il corretto comportamento. Il sano ristoro sarà il corretto modo di mantenere il suo sostentamento. Il corretto sforzo sarà il suo stesso incedere e camminare: Il corretto pensare sarà il suo respirare; e la corretta contemplazione gli darà la pace che seguirà le sue tracce. 

"Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla sofferenza: la nascita è accompagnata da dolore, invecchiare è doloroso, la malattia è dolorosa, la morte è dolorosa. L’unione con lo sgradevole è dolorosa, dolorosa è la separazione dal piacevole; e anche ogni desiderio insoddisfatto, è doloroso. In breve, le condizioni fisiche che si generano dall'attaccamento sono dolorose. Quindi, bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla sofferenza. 

"Ora, bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo all'origine della sofferenza: Essa, invero, è quell'ardente bramosia che causa il rinnovo di esistenza, accompagnata da godimento sensuale, che cerca la soddisfazione ora qui, ora là, la brama per la gratificazione delle passioni, la brama per una vita futura, e la brama per la felicità in questa vita. Quindi, bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo all'origine della sofferenza. 

"Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo la distruzione della sofferenza: Essa, invero, è la distruzione di questa sete in cui non rimane nessuna passione; è il mettere da parte, l'essere liberi dal dimorare mai più in questa sete. Quindi, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla distruzione della sofferenza. 

"Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla Via che conduce alla distruzione del dolore. Invero, esso è questo nobile ottuplice sentiero; cioè: Retta Visione, Retta aspirazione; Retta Parola; Retto Comportamento; Retto Modo di Sostentarsi; Retto Sforzo; Retto Pensare; e Retta Contemplazione. Quindi questa, o bhikkhu, è la nobile verità riguardo alla distruzione del dolore. 

"Attraverso la pratica della bontà, io ho raggiunto la liberazione di cuore, e così io mi sono assicurato di non ritornare mai più nelle nuove rinascite. Io ho raggiunto il Nirvana, qui ed ora". 

Quando il Beato ebbe così sistemata la ruota del reale carro della Verità per farla ben rotolare, un'estasi fece fremere tutti gli universi. I deva lasciarono le loro dimore celesti per venire ad ascoltare la dolcezza della verità; i santi che si erano separati dalla vita si accalcarono intorno al grande insegnante per ricevere la lieta novella; perfino gli animali della terra sentirono la beatitudine che c’era nelle parole del Tathagata: e tutte le creature, le schiere di esseri senzienti, dèi, uomini, e animali, ascoltando il messaggio di liberazione, lo ricevettero e lo capirono nella loro propria lingua. 

E quando la dottrina fu proposta, il più vecchio fra i cinque bhikkhu, il venerabile Kondanna comprese la verità col suo occhio della mente, e disse: "Invero, nostro Signore Buddha, tu hai trovato la verità!" Poi anche gli altri bhikkhu, si unirono a lui ed esclamarono: "Invero, tu sei il Buddha, tu hai trovato la verità!" 

E i deva, i santi e tutti i buon spiriti delle generazioni passate, che avevano ascoltato il sermone del Tathagata, ricevettero gioiosamente la dottrina e tutti gridarono: "Invero, il Beato ha fondato il Regno della rettitudine. Il Benedetto ha commosso la terra; Egli ha permesso che la ruota della Verità possa rotolare, come mai più nessuno nell'universo, sia esso dio o uomo, potrà essere in grado di girare di nuovo. Il Regno della Verità sarà predicato in tutta la terra; si espanderà e la rettitudine, la buona-volontà, e la pace, regneranno fra l’umanità." 

  

IL SANGHA, O LA COMUNITÀ 

Avendo indicato ai cinque bhikkhu la verità, il Buddha disse: "Un uomo che sta da solo, dopo aver deciso di rispettare la verità, può essere debole e può scivolare di nuovo nei suoi vecchi modi. Perciò, se si sta insieme, ci si assisterà l'un l'altro, e ci si fortificherà sforzandosi l'un l'altro. Siate come dei fratelli; uniti nell’amore, uniti nella santità, ed uniti nel vostro zelo per la verità. Diffondete la verità e predicate la dottrina in tutti i paesi del mondo, così che alla fine tutte le creature viventi siano cittadine del regno della rettitudine. Questa è la santa fratellanza; questa è la chiesa, la congregazione dei santi del Buddha; questo è il Sangha che stabilisce una comunione fra tutti quelli che hanno preso il loro rifugio nel Buddha." 

Kondanna fu il primo discepolo del Buddha che aveva capito totalmente la dottrina del Beato, e il Tathagata vedendo nel suo cuore disse: "Veramente, Kondanna ha capito la verità." Perciò il venerabile Kondanna fu chiamato "Annata-Kondanna" che significa, "Kondanna, che ha compreso la dottrina." Dopodiché il venerabile Kondanna parlò al Buddha e disse: "Signore, permettici di ricevere l'ordinazione dal Benedetto". E il Buddha disse: "Venite, o bhikkhu! Benedetta sia la dottrina. Siate accorti nel condurre una vita santa per l'estinzione della sofferenza." 

Poi Kondanna e gli altri bhikkhu declamarono per tre volte questi solenni voti:

"Al Buddha io guarderò con fede: Egli, il Perfetto è santo e supremo. Il Buddha porta a noi istruzione, saggezza, e salvezza; Egli è il Benedetto, che conosce la legge dell’essere; Egli è il Signore del mondo, che aggioga gli uomini come buoi, il Maestro di dèi ed umani, il Buddha Supremo. Perciò, io avrò fede nel Buddha. 

"Al Dharma io guarderò con fede: ben-predicata dal Supremo è la dottrina del Dharma. Essa è stata rivelata così come è divenuta visibile; il Dharma è aldilà del tempo e spazio. Il Dharma non è basato su dicerie, esso significa 'Vieni e vedi'; la dottrina del buon vivere è riconosciuta dai saggi nei loro propri cuori. Perciò, io avrò fede nella dottrina del Dharma. 

"Al Sangha io guarderò con fede; il Sangha del Buddha, ovvero la comunità dei discepoli, ci istruisce su come condurre una vita di rettitudine; il Sangha del Buddha ci insegna come esercitare onestà e giustizia; il Sangha del Buddha ci mostra come praticare la verità. Esso è una fratellanza che vive nella gentilezza e nella carità, ed i loro santi sono degni di riverenza. La comunità dei discepoli del Buddha è fondata come una santa fratellanza in cui uomini si legano insieme per insegnare a comportarsi con rettitudine e a fare il bene. Perciò, io avrò fede nella comunità del Sangha". 

Il Vangelo del Beato crebbe di giorno in giorno, e molta gente venne ad ascoltarlo ed a richiedere l'ordinazione per condurre da allora una vita santa per estinguere la sofferenza. E il Beato, vedendo che era impossibile ammettere tutti coloro che volevano sentire la verità e ricevere l'ordinazione, dal totale dei suoi discepoli ne scelse alcuni per andare a predicare il Dharma, dicendo loro: 

"Il Dharma e le regole del Vinaya, proclamati dal Tathagata, risplendono quando sono esposti, e non quando sono celati. Ma non lasciate che questa dottrina, così eccellente e così piena di verità, cada nelle mani di chi è indegno di essa, laddove sia disprezzata e contestata, trattata vergognosamente, ridicolizzata e censurata. Io ora vi accordo, o bhikkhu, questo permesso. D'ora innanzi, conferite nei diversi paesi l'ordinazione a quelli che sono ansiosi di riceverla, quando li trovate degni. 

"Ora andate, o bhikkhu, per il beneficio dei molti, per il benessere dell’umanità, pieni di compassione per il mondo. Predicate la dottrina che è gloriosa all'inizio, gloriosa nel mezzo, e gloriosa alla fine, nello spirito come pure nella lettera. Ci sono esseri i cui occhi sono appena coperti con la polvere, ma se ad essi non è predicata la dottrina, non possono raggiungere la salvezza. Proclamate loro una vita di santità. Essi capiranno la dottrina e l'accetteranno." 

E così, quando il tempo era buono, divenne un costume stabilito per i monaci di andar fuori a predicare il Dharma, ma nella stagione piovosa essi tornavano di nuovo insieme e si riunivano al loro Maestro, per ascoltare le esortazioni del Tathagata. 

  

YASA, IL GIOVANE DI BENARES 

A quel tempo c'era in Benares un nobile giovane, di nome Yasa, figlio di un ricco mercante. Turbato nella sua mente a causa delle sofferenze del mondo, egli di notte si alzò dal letto e segretamente scappò dal Beato. Il Beato vide da lontano Yasa che stava arrivando. Yasa si avvicinò ed esclamò: "Ahimè, che angoscia! Che tribolazioni!" 

Il Beato disse a Yasa: "Qui non c’è nessuna angoscia; nessuna tribolazione. Vieni da me ed io ti insegnerò la verità, e la verità disperderà i tuoi dolori." 

Quando Yasa, il giovane nobile, sentì che lì non vi era né angoscia, né tribolazioni, né dolore, il suo cuore ne fu confortato. Egli si recò nel luogo dove stava il Beato, e si sedette vicino a lui. Allora il Beato predicò sulla carità e la moralità. Lui spiegò la vanità del pensiero "io sono"; i pericoli del desiderio, e la necessità di evitare il male nella vita per camminare sul sentiero della liberazione. 

Invece del disgusto verso il mondo, Yasa sentì il rinfrescante flusso della saggezza santa e, avendo ottenuto il puro ed immacolato occhio della verità, guardò la sua persona, riccamente adornata con perle e pietre preziose, ed il suo cuore ne ebbe vergogna. 

Il Tathagata, conoscendo i suoi pensieri intimi, disse: "Anche una persona ornata con gioielli ha un cuore che può sopraffarre i sensi. La forma esteriore non è una religione né colpisce la mente. Così il corpo di un samana può essere abbigliato da asceta, e magari la sua mente è immersa nella mondanità. Un uomo che dimora solitario nei boschi e però desidera ancora le vanità mondane, è un mondano, mentre un uomo vestito con indumenti mondani può far volare in alto il suo cuore con pensieri celestiali. Non c'è nessuna distinzione tra il laico e l'eremita, allorché entrambi hanno bandito il pensiero del ‘sé’". 

Vedendo che Yasa era pronto per entrare sul sentiero, il Beato subito gli disse: "Seguimi!" E Yasa si unì al Sangha, ed avendo indossato la tonaca da bhikkhu, ricevette l'ordinazione. 

Mentre il Beato e Yasa stavano discutendo sulla dottrina, il padre di Yasa passò di lì alla ricerca di suo figlio; e nel passare, lui chiese al Beato: "Prego, Signore, hai visto Yasa, mio figlio?" 

Il Buddha disse al padre di Yasa: "Entra pure, signore, tu potrai vedere tuo figlio"; ed il padre di Yasa divenne pieno di gioia ed entrò. Lui si sedette vicino al figlio, ma i suoi occhi erano tesi e non lo riconobbe; ed il Signore cominciò a predicare. Ed il padre di Yasa, comprendendo la dottrina del Beato, disse: "Gloriosa è la verità, o Signore! Il Buddha, il Santo, il nostro Maestro rimette a posto ciò che è stato rovesciato; egli rivela quello che è stato nascosto; egli indica la strada al vagabondo che è si è perso; accende una lampada nell'oscurità, così che tutti coloro che hanno occhi per vedere possono discernere le cose che li circondano. Io prendo rifugio nel Buddha, il nostro Signore: Io prendo rifugio nel Dharma, la dottrina da lui rivelata: Io prendo rifugio nel Sangha, la fratellanza che lui ha fondato. Possa il Beato ricevermi da oggi, e finché dura la mia vita, come un discepolo laico che ha preso rifugio in lui." Il padre di Yasa fu la prima persona che divenne il primo discepolo laico del Buddha, pronunciando la triplice formula della presa di rifugio. 

Quando il ricco mercante ebbe preso rifugio nel Buddha, i suoi occhi si aprirono e vide suo figlio che sedeva al suo fianco nella tunica da bhikkhu. "Yasa, figlio mio", egli disse, "tua madre è affranta di dolore e si lamenta continuamente. Ritorna a casa e riporta tua madre alla vita." 

Allora Yasa guardò il Benedetto, il quale disse: "Yasa dovrebbe ritornare al mondo e godere i piaceri di una vita mondana come faceva prima?". Il padre di Yasa rispose: "Se mio figlio Yasa trova vantaggio nello stare con te, gli permetterò di restare. Lui è stato liberato dalla schiavitù della mondanità." 

Allorché il Beato ebbe consolato i loro cuori con parole di verità e rettitudine, il padre di Yasa disse: "O Signore, può il Beato acconsentire di prendere il suo pasto insieme con me e con Yasa, come suo compagno?" Il Beato, avendo donato le sue vesti, prese la sua ciotola delle elemosine ed andò con Yasa alla casa del ricco mercante. Quando loro furono arrivati là, la madre ed anche la prima moglie di Yasa salutarono il Beato e si sedettero vicino a lui. 

Poi il Beato predicò, e le donne avendo capito la sua dottrina, esclamarono: "Gloriosa è la verità, o Signore! Noi prendiamo rifugio nel Buddha, nostro Signore. Noi prendiamo rifugio nel Dharma, la dottrina da lui rivelata. Noi prendiamo rifugio nel Sangha, la fratellanza che è stata fondata da lui. Possa il Beato riceverci da oggi in avanti, finché dura la nostra vita, come discepoli laici che hanno preso rifugio in lui." La madre e la moglie di Yasa, il nobile giovane di Benares, furono le prime donne che divennero discepoli laici e presero il loro rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. 

Ora, c'erano quattro amici di Yasa che appartenevano alle famiglie ricche di Benares. I loro nomi erano Vimala, Subahu, Punnaji, e Gavampati. Quando gli amici di Yasa sentirono che Yasa si era tagliato i capelli ed aveva indossato la tunica da bhikkhu per rinunciare al mondo ed andare in giro come un senza-casa, pensarono: "Di sicuro, quella che è una nobile rinuncia del mondo non può essere una dottrina comune!". 

E così essi andarono a trovare Yasa, e Yasa li indirizzò dal Beato, dicendo: "Possa il Beato impartire esortazione ed istruzione a questi miei quattro amici". Ed il Beato predicò loro, e gli amici di Yasa accettarono la dottrina e presero rifugio nel Buddha, nel Dharma, e nel Sangha. 

 

KASSAPA, L’ADORATORE  DEL FUOCO

A quel tempo vivevano in Uruvela i Jatila, bramani eremiti coi capelli intrecciati che adoravano il fuoco e tenevano un drago che emanava fiamme; e Kassapa era il loro capo. Kassapa era famoso in tutta l’India, ed il suo nome era onorato come uno degli uomini più saggi sulla terra ed un'autorità nella religione. Allora il Beato andò da Kassapa di Uruvela, il Jatila, e disse: "Lasciami passare una notte nella stanza dove tenete il vostro fuoco sacro." 

Kassapa, vedendo il Benedetto nella sua maestà e bellezza, pensò di lui: "Questo è un grande muni ed un nobile Maestro. Se dovesse stare tutta la notte nella sala dove è tenuto il fuoco sacro, il serpente lo morderà e lui morrà." Perciò disse: "Io non ho obiezioni sul fatto che tu passi la notte nella sala dove è tenuto il fuoco sacro, ma là ci vive il serpente e lui ti ucciderà. A me dispiacerebbe molto vederti morire." 

Ma il Buddha insistè, e Kassapa lo ammise nella sala dove era tenuto il fuoco sacro. Ed il Beato si sedette con il corpo eretto, circondandosi di attenzione. Di notte venne il dragone, eruttando il suo bruciante veleno con fiammate rabbiose, e riempendo l'aria con un odor di vapore ardente, ma non riuscì a fargli nessun danno, ed il fuoco si consumò, mentre l’onorato nel Mondo rimase composto. Ed il demonio velenoso si adirò così tanto che morì nella sua rabbia. Quando Kassapa vide la luce che proveniva dalla stanza disse: "Ahimè, che disastro! Invero, l'aura del grande Gotama Sakyamuni è bella, ma il serpente lo distruggerà." 

La mattina dopo, il Beato mostrò a Kassapa il corpo morto del demonio, dicendo: "Il suo fuoco è stato vinto dal mio fuoco." E Kassapa pensò di lui. "Sakyamuni è davvero un grande samana e possiede alti poteri, ma lui non è santo come me." 

In quei giorni vi era una festa, e Kassapa pensò: "Qui verrà gente da tutte le parti del paese e vedranno il grande Sakyamuni. Quando lui parlerà, essi crederanno in lui e mi abbandoneranno." E così ebbe invidia. Quando il giorno della festa arrivò, il Beato si ritirò e non venne da Kassapa. E Kassapa andò dal Buddha la mattina seguente e disse: "Perché il grande Sakyamuni non venne?" 

Il Tathagata rispose: "Non hai tu pensato, O Kassapa, che sarebbe meglio che io non fossi venuto alla festa?" Kassapa ne fu stupito e pensò: "Sakyamuni è grande davvero; lui può leggere i miei pensieri più segreti, ma lui non è santo come me." 

Il Beato disse ancora a Kassapa: "Tu vedi la verità, ma non la accetti a causa dell'invidia che dimora nel tuo cuore. L’invidia è forse santità? L'invidia è l'ultimo residuo di ‘sé’ che è rimasto nella tua mente. Tu non sei santo, o Kassapa; tu non sei ancora entrato nel sentiero". E Kassapa infine abbandonò la sua resistenza. La sua invidia scomparve, e, prostrandosi davanti al Benedetto, gli disse: "Signore, Maestro, permettimi di ricevere l'ordinazione dalle tue mani". 

Ed il Beato disse: "Tu, Kassapa, sei il capo dei Jatila. Vai, dunque, e prima informa loro della tua intenzione, e lascia che essi facciano come pensavi di fare tu". Allora Kassapa andò dai Jatila e disse loro: "Io sono desideroso di condurre una vita religiosa sotto la direzione del grande Sakyamuni che è il Buddha Illuminato. Voi fate pure come meglio credete." 

I Jatila risposero: "Anche noi abbiamo concepito una profonda devozione per il grande Sakyamuni, e se tu vuoi unirti al suo Sangha, noi faremo altrettanto." Ora, i Jatila di Uruvela gettarono nel fiume i loro paramenti di adorazione del fuoco ed andarono tutti dal Beato. 

Nadi Kassapa e Gaya Kassapa, fratelli del grande Kassapa Uruvela, uomini potenti e capitribù, stavano dimorando lungo il fiume, quando videro passare sul fiume gli strumenti usati nell’adorazione del fuoco e dissero: "Dev’essere accaduto qualcosa a nostro fratello". E arrivarono con la loro gente ad Uruvela. Sentendo poi quello che era accaduto, anch’essi andarono dal Buddha. 

Il Beato, vedendo che i Jatila di Nadi e di Gaya, che avevano praticato austerità severe e adoravano il fuoco, ora erano venuti da lui, fece un sermone sul fuoco, e disse: "O Jatila, tutto quanto sta bruciando. L'occhio sta bruciando, tutti i sensi ed i pensieri stanno bruciando. Essi bruciano col fuoco della concupiscenza. C'è la rabbia, c'è l’odio, c'è l’ignoranza, e finché il fuoco trova cose così infiammabili con le quali può alimentarsi, più a lungo brucierà e più ci saranno nascita e morte, vecchiaia, pene, angoscia, sofferenza, disperazione, e dolore. Un discepolo del Dharma, ciò considerando, vedrà le quattro nobili verità e percorrerà l’ottuplice sentiero della santità. Egli diverrà accorto del suo occhio, accorto di tutti i suoi sensi, accorto dei suoi pensieri. Egli si libererà dalle passioni e dall'egoismo, e così diverrà libero e otterrà lo stato benedetto del Nirvana." 

Ed i Jatila si allietarono e presero rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha. 

  

IL SERMONE A RAJAGRAHA 

Il Benedetto avendo dimorato per qualche tempo in Uruvela andò a Rajagraha, accompagnato da numerosi bhikkhu che prima erano stati Jatila. Andò con lui il grande Kassapa, capo dei Jatila e in precedenza adoratore del fuoco. 

Quando il Re Magadha, Seniya Bimbisara, sentì dell'arrivo di Gotama Sakyamuni, di cui le persone dicevano, "Egli è il Santo, il Buddha Beato, che guida gli uomini così come un conducente tiene a freno le giovenche, il maestro del sacro e del profano", andò fuori circondato dai suoi consiglieri e generali e venne al boschetto dove stava il Benedetto. Là essi videro il Beato in compagnia di Kassapa, il grande maestro religioso dei Jatila, ne furono stupiti e pensarono: "Il grande Sakyamuni si è messo sotto la direzione spirituale di Kassapa, o è Kassapa che è divenuto un discepolo di Gotama?" 

Il Tathagata, leggendo i pensieri delle persone, disse a Kassapa: "Che tipo di conoscenza hai tu guadagnato, O Kassapa, e che cosa ti ha indotto a rinunciare al fuoco sacro ed alle tue austere penitenze?" 

Kassapa disse: "Il vantaggio che avevo avuto dall'adorare il fuoco era la continuità  nella ruota dell'individualità con tutte le sue pene e vanità. Questo servizio io l’ho gettato via e, invece di continuare con penitenze e sacrifici, sono andato in ricerca del supremo Nirvana. Siccome io ho visto la luce della verità, io ho abbandonato l’adorazione del fuoco." 

Il Buddha, percependo che l’intera assemblea era come un vaso, pronta per ricevere la dottrina, così parlò al re Bimbisara: "Colui che conosce la natura del ‘sé’ e capisce come agiscono i sensi, non ha spazio per l'egoismo, e così otterrà la pace infinita. Il mondo sostiene il pensiero del ‘sé’, e da questo sorge il falso modo di apprendere. Alcuni dicono che il ‘sé’ resiste dopo la morte, altri dicono che perisce. Sbagliano entrambi ed il loro errore è assai doloroso. Perché se essi dicono che il ‘sé’ è deperibile, anche il frutto per il quale essi si sforzano dovrà perire, e nel contempo non ci sarà futuro. Sarebbe indifferente sia fare il bene che il male. Questo tipo di salvezza dall'egoismo è senza meriti. 

"E, d'altra parte, quando altri dicono che il ‘sé’ non perirà, allora in mezzo ad ogni vita e morte non c’è che un’unica identità imperitura e non-nata. Se tale è il loro ‘sé’, allora esso sarebbe perfetto e non può più essere perfezionato dalle azioni. Il ‘sé’ permanente e imperituro non potrebbe mai essere cambiato. Il ‘sé’ sarebbe il Signore e padrone, e non ci sarebbe utilità nel perfezionare ciò che è perfetto; salvezza e scopi morali non sarebbero necessari. 

"Ma ora noi vediamo i segni della gioia e del dolore. Dov’è la costanza? Se non c'è alcun permanente ‘sé’ che fa i nostri atti, allora non c'è nessun ‘sé’; non c'è alcun attore dietro le nostre azioni, nessun percettore dietro le nostre percezioni, nessun padrone dietro i nostri atti. 

"Ora seguitemi, ed ascoltate: I sensi incontrano l'oggetto e dal loro contatto nasce la sensazione. Da ciò ne risulta il ricordo, o memoria. Così, come il potere del sole attraverso una lente causa il sorgere del fuoco, così attraverso la cognizione nata dal senso e l’oggetto, ha origine la mente e con essa l'ego, il pensiero di ‘sé’, che alcuni maestri bramani chiamano il Signore. Il germoglio sorge dal seme; il seme non è il germoglio; sono entrambi né gli stessi né una cosa sola, ma successive fasi in una continua crescita. Così è la nascita della vita animata. 

"Voi che siete schiavi del ‘sé’ e vi affaticate al suo servizio da mattina a sera, voi che vivete nella continua paura di nascita, vecchiaia, malattia, e morte, siate lieti di ricevere la buona novella che il vostro crudele padrone non esiste. Il ‘sé’ è un errore, un'illusione, un sogno. Aprite i vostri occhi e risvegliatevi. Vedete le cose come realmente sono e ne sarete confortati. Colui che si è risvegliato non avrà più paura degli incubi. Colui che ha riconosciuto la natura della corda, che sembrava essere un serpente, cesserà di tremare. 

"Colui che ha scoperto che non c'è alcun ‘sé’ abbandonerà tutte le concupiscenze e i desideri dell'egotismo. Il sentirsi separati dalle cose, la brama e la sensualità, ereditati dalle precedenti esistenze, sono le cause delle nostre miserie e vanità del mondo. Sottomettete l’avida tendenza dell'egoismo, ed arriverete a quello stato di calma mentale che porta perfetta pace, bontà, e saggezza." 

Ed il Buddha emise un forte respiro con questa solenne espressione: 

 

"Non ingannatevi, non disprezzatevi l'un l'altro, dovunque. 

“Non siate adirati, e non portate con voi segreti risentimenti; 

“Come una madre che rischia la vita e controlla il suo bimbo, 

“Così altrettanto illimitato, mite e gentile, sia il vostro amore per tutti. 

"Anzi, siate amorevoli e benevolenti a destra come a sinistra,

“Perché tutti, prima o dopo, senza ostacoli e senza restrizioni, 

“Siano inevitabilmente liberati dall'invidia e dall’odio; 

“Stando in piedi, camminando, stando seduti o distesi, 

“Per sempre ricordate: La migliore regola di vita da osservare 

“E’ quella di essere sempre assai amorosi e gentili con tutti!”. 

 

"Le offerte che fate sono grandi, la fondazione di vihara (monasteri) è meritoria, le meditazioni e gli esercizi religiosi pacificano il cuore, la comprensione della verità conduce al Nirvana, ma più grande di tutte queste azioni è la bontà. Così come la luce della luna è sedici volte più forte della luce di tutte le stelle, così la bontà è sedici volte più efficace, nel liberare il cuore, di tutti gli altri compimenti religiosi presi insieme. Questo stato di cuore è il meglio che c’è nel mondo. Che un uomo rimanga fermo e costante in se stesso mentre è sveglio, sia stando in piedi, camminando, sedendo, o giacendo giù." 

Quando l’Illuminato ebbe finito il suo sermone, il re di Magadha disse al Beato: "In passato, o Signore, quando ero un principe, avevo cinque desideri. Io mi ero augurato di poter essere eletto come re. Questo era il mio primo augurio, ed è stato adempiuto. Inoltre, io desiderai che il Santo Buddha, il Perfetto, apparisse sulla terra mentre io governavo e che egli potesse venire nel mio regno. Ed anche questo mio secondo desiderio è stato adempiuto. Inoltre io desiderai: Possa io offrire a lui i miei omaggi. Questo era il mio terzo augurio ed ora anch’esso è adempiuto. Il quarto augurio era che il Beato predicasse a me la dottrina, ed ora anche questo è stato adempiuto. 

"Tuttavia, il più grande augurio era il quinto desiderio: Che io possa comprendere la dottrina del Beato. Ed anche questo augurio ora è stato adempiuto. Glorioso Signore! Ancor più gloriosa è la verità predicata dal Tathagata! Il Buddha, nostro Signore, rimette a posto ciò che era stato rovesciato; egli rivela ciò che era celato; indica la via al viaggiatore che aveva perso la strada; accende nell'oscurità una luce così che quelli che hanno occhi per vedere possano vedere. Io prendo il mio rifugio nel Buddha. Io prendo il mio rifugio nel Dharma. Io prendo il mio rifugio nel Sangha." 

Il Tathagata, con l'esercizio della sua virtù e saggezza, mostrò il suo spirituale ed illimitato potere. Egli soggiogò ed armonizzò tutte le menti. Fece in modo che essi vedessero e accettassero la verità, e i semi della virtù furono visti in tutto il regno. 

  

IL REGALO DEL RE 

Il re Seniya Bimbisara, avendo preso il suo rifugio nel Buddha, invitò il Tathagata al suo palazzo, dicendo: "Vorrebbe il Beato acconsentire di prendere domani il suo pasto insieme con me e con la fraternità di bhikkhu?". La mattina seguente il re annunciò al Beato che era ora di prendere il cibo: "Tu sei il mio più benvenuto ospite, O Signore del mondo, vieni; il pasto è pronto!". 

Il Beato avendo indossato le sue vesti, prese la sua ciotola delle elemosine e, insieme con un gran numero di bhikkhu, entrò nella città di Rajagraha. Sakka, il re dei Deva, avendo assunto l'aspetto di un giovane bramano, camminava davanti e così disse: "Colui che insegna l’autocontrollo con quelli che hanno imparato l’auto-controllo; il redentore con quelli che ha redento; il Beato con quelli a cui ha dato la pace, stanno entrando in Rajagaha. Onore al Buddha, il nostro Signore! Onore al suo nome e benedizioni a tutti coloro che prendono rifugio in lui." Sakka intonò poi questa strofa: 

“Benedetto è il luogo dove cammina il Buddha, 

“E benedette le orecchie che sentono i suoi discorsi; 

“Benedetti i suoi discepoli, perché essi sono 

“I testimoni della sua verità sia vicino che lontano. 

"Se tutti potessero sentire questa verità così buona, 

“Allora tutte le menti degli uomini avrebbero un ricco cibo, 

“E forte crescerebbe la fratellanza tra gli uomini!” 

 

Quando il Beato ebbe finito il suo pasto, pulì la sua ciotola e le sue mani, ed il re si sedette vicino a lui, pensando: 

"Dove posso trovare un luogo per farci vivere il Beato, non troppo lontano e non troppo vicino dalla città, appropriato per andare e venire, facilmente accessibile a tutte le persone che vogliano vederlo, un luogo che non sia troppo frequentato di giorno e non esposto al rumore di notte, salubre e ben-adatto per una vita di ritiro? Vi sarebbe il mio piacevole giardino, il boschetto di bambù Veluvana, che può adempiere a tutte queste condizioni. Lo proporrò al Sangha, alla cui testa c’è il Buddha." 

Il re offrì il suo giardino alla fratellanza monastica, dicendo: "Che il Beato accetti il mio regalo." Allora il Beato, avendo silenziosamente dimostrato il suo beneplacito ed essendone allietato, dedicò al Re di Magadha un discorso religioso, si alzò dal suo posto ed andò via. 

  

SARIPUTTA E MOGGALLANA 

A quel tempo, Sariputta e Moggallana, due Brahmani capi dei seguaci di Sanjaya, conducevano una vita religiosa. Essi si erano ripromessi l'un l'altro: "Colui che otterrà prima il Nirvana lo dirà all'altro". 

Sariputta, vedendo il venerabile Assaji implorare per l’elemosina, dignitoso nel comportamento e tenendo modestamente i suoi occhi in terra, esclamò: "Invero, questo samana è entrato nel retto sentiero; Io gli chiederò con che nome lui si è ritirato dal mondo e quale dottrina professa." Così interpellato da Sariputta, Assaji rispose: "Io sono un seguace del Buddha, il Beato, ma poiché sono solo un novizio posso dirti solamente la sostanza della dottrina." Sariputta disse: "Dimmi, venerabile monaco; è proprio la sostanza che io voglio." Ed Assaji recitò la seguente strofa: 

“Niente che noi cerchiamo di toccare o vedere 

“Può davvero rappresentare l'Eternità. 

“Tutto si guasta e muore: quindi cerchiamo di trovare 

“La Verità eterna all'interno della mente." 

 

Avendo sentito questa stanza, Sariputta ottenne il puro ed immacolato occhio della verità e disse: "Ora io vedo chiaramente, ciò che è soggetto a originazione è anche soggetto alla cessazione. Se questa è la dottrina, io ho raggiunto lo stato di entrare nel Nirvana, che finora mi era rimasto ignoto". Sariputta andò quindi da Moggallana e glielo disse, ed entrambi allora dissero: "Dovremo andare dal Beato, così che lui, il Beato, possa essere il nostro insegnante."  

Quando il Buddha vide da lontano Sariputta e Moggallana che venivano, disse ai suoi discepoli, "Questi due monaci sono estremamente di lieto auspicio." Quando i due amici ebbero preso rifugio nel Buddha, Dharma e Sangha, il Beato disse agli altri suoi discepoli: "Sariputta, come figlio primogenito di un monarca che domina il mondo, è idoneo ad assistere il re come suo seguace principale per far rotolare la Ruota della Legge." 

Ora la gente del luogo era imbronciata. Vedendo che molti giovani distinti del regno di Magadha stavano conducendo una vita religiosa sotto la direzione del Beato, essi si arrabbiarono: "Gotama Sakyamuni incita i padri a lasciare le loro mogli e così provoca l’estinzione delle famiglie". Quando videro i bhikkhu, essi li ingiuriarono, dicendo: "Il grande Sakyamuni è venuto a Rajagraha per soggiogare le menti degli uomini. Quali saranno i prossimi ad essere deviati da lui?" 

I bhikkhu lo raccontarono al Beato, e il Beato disse: "Questo mormorìo, o bhikkhu, non durerà per molto. durerà sette giorni. Se essi vi ingiuriano, rispondete loro con queste parole: "Il Tathagata spinge gli uomini predicando la verità. Chi avrà il coraggio di mormorare al saggio? Chi biasimerà il virtuoso? Chi mai condannerà l’autocontrollo, la rettitudine, e la gentilezza?". Ed il Beato proclamò: 

 

"Non commettete alcun errore, ma fate solo il bene, 

"E fate in modo che il vostro cuore possa essere puro. 

"Questa è la dottrina che il Buddha insegna, 

"E questa dottrina durerà per l’eternità!" 

 

 

ANATHAPINDIKA, L'UOMO DI RICCHEZZA 

Vi era, a quel tempo, un tale Anathapindika, uomo di una ricchezza smisurata, che venne a visitare Rajagraha. Essendo di tendenza caritatevole, egli era chiamato "Benefattore di orfani e amico dei poveri". Sentendo che il Buddha era in città e stava nel vicino boschetto di bambù, egli stabilì che quella stessa notte avrebbe dovuto incontrare il Beato. 

E il Beato vide subito la qualità genuina del cuore di Anathapindika e lo salutò con parole di religioso conforto. Essi si sedettero insieme, ed Anathapindika ascoltò la dolcezza della verità predicata dal Beato. Il Buddha disse: "L’angosciante e irre-quieta natura del mondo, è ciò che io dichiaro essere alla radice del dolore. Raggiungete quella calma di mente che si trova nella pace dell'immortalità. Il ‘sé’ non è altro che una somma di qualità composite, ed il suo mondo è vuoto come una fantasia. 

"Chi è che plasma le nostre vite? È Isvara, il creatore personale? Se Isvara è il creatore, tutte le cose viventi dovrebbero silenziosamente essere sottoposte al potere del loro creatore. Esse sarebbero come vasi formati dalla mano del vasaio; e se fosse così, come sarebbe possibile praticare la virtù? Se il mondo fosse stato fatto da Isvara non dovrebbe esservi nessun dolore, o calamità, o male; perché azioni pure ed impure dovrebbero venire da lui. Se non è così, dovrebbe esservi un'altra causa oltre a lui, e lui non sarebbe auto-esistente. Perciò, vedi, il pensiero di Isvara è sconfitto e superato. 

"Inoltre, si dice che ci ha creati l'Assoluto. Ma ciò che è assoluto non può essere una causa. Tutte le cose intorno a noi vengono da una causa, come la pianta che viene dal seme; ma come può essere similmente l'Assoluto la causa di tutte le cose? Se le pervade, allora certamente, non le fa. 

"Ancora, si dice che il Sé sia il creatore. Ma se il creatore è il ‘sé’, perché non ha fatto solo le cose piacevoli? Le cause di gioia e dolore sono vere e palpabili. Come possono essere state fatte dal ‘sé’? 

"Ancora, se noi riteniamo che non vi sia un creatore, e che il nostro destino è così com’è, e non c'è causazione, che scopo ci sarebbe nel plasmare le nostre vite ed adattare i mezzi per un fine? Perciò, noi dichiariamo che tutte le cose che esistono non sono senza-causa. Tuttavia, il creatore non è né Isvara, né l'Assoluto, né il ‘sé’, né il caso senza una causa, ma sono i nostri atti che producono risultati buoni e cattivi secondo la legge della causazione. 

"Abbandoniamo dunque l'eresia di adorare Isvara e di pregarlo; e finiamola col perderci invano in speculazioni o inutili sottigliezze; smettiamola di cedere al ‘sé’ e ad ogni egoismo, e poiché tutte le cose sono fissate dalla causazione, pratichiamo il bene così che buono possa essere il risultato delle nostre azioni." 

E Anathapindika disse: "Io vedo che tu sei il Buddha, il Beato, il Tathagata, ed io desidero aprire la mia intera mente. Ascolta le mie parole e consigliami quello che io dovrò fare. La mia vita è piena di lavoro, ed avendo acquisito grande ricchezza, sono circondato da preoccupazioni. Eppure il mio lavoro mi piace, e mi ci applico con molta diligenza. Molte persone lavorano per me e dipendono dal successo delle mie imprese. 

"Ora, io ho sentito i tuoi discepoli lodare la beatitudine dell'essere eremiti e per contro denunciare l'agitazione del mondo. 'Il Santo', essi dicono, 'ha abbandonato il suo regno e la sua eredità, e ha trovato il sentiero della rettitudine, mettendo così un esempio per tutto il mondo su come raggiungere il Nirvana'. Il mio cuore agogna di fare ciò che è corretto e di essere una benedizione per i miei. Perciò, ti chiedo, devo abbandonare la mia ricchezza, la mia casa, e le mie imprese commerciali e, come te, andare in giro senza-casa per raggiungere la beatitudine di una vita religiosa?" 

Ed il Buddha rispose: "La beatitudine di una vita religiosa è ottenibile da chiunque percorra l’ottuplice nobile sentiero. Colui che si separa dalla ricchezza, più che gettarla via, non deve permettere al suo cuore di esserne avvelenato; ma colui che non si separa dalla ricchezza, e possedendo la ricchezza, la usa rettamente, sarà una benedizione per i suoi cari. Non è la vita, o la ricchezza ed il potere, che rendono schiavi gli uomini, ma il separarsi dalla vita, dalla ricchezza e dal potere. I bhikkhu che si ritirano dal mondo per fare una vita di comodo non avranno alcun guadagno, perché una vita indolente è abominevole, e la mancanza di energia sarà disprezzata. Il Dharma del Tathagata non costringe l’uomo ad andare in giro senza-casa o a dimettersi dal mondo, a meno che egli non si senta chiamato per fare così; ma il Dharma del Tathagata richiede ad ogni uomo di liberare se stesso totalmente dall'illusione del ‘sé’, purificare il suo cuore, abbandonare la sua sete per il piacere e condurre una vita di rettitudine. E qualunque uomo lo faccia, sia che rimanga nel mondo come artigiano, mercante, ed ufficiale del re, o che si ritiri dal mondo e si dedichi ad una vita di meditazione religiosa, dovrà far in modo di dedicarsi con tutto il cuore al proprio compito, facendo in modo di essere diligente ed energico. Egli dovrà essere come il fiore del loto che, pur crescendo nell'acqua, ne resta immune ed intatto, sia che lotti nella vita senza alimentare invidia o odio, o sia che nel mondo viva una vita senza un ‘sé’ ma piena di verità; allora di sicuro la gioia, la pace, e la beatitudine dimoreranno nelle loro menti". 

  

IL SERMONE SULLA CARITÀ 

Alle parole del Beato Anathapindika si allietò e disse: "Io dimoro a Savatthi, la capitale del Kosala, una terra ricca nel produrre e godere la pace. Pasenadi è il re del paese, ed il suo nome è rinomato fra il nostro popolo ed i nostri vicini. Ora io desidero fondarvi un vihara (monastero) che sarà un luogo di devozione religiosa per il tuo Sangha, ed io ti prego gentilmente di accettarlo." 

Il Buddha lesse nel cuore del benefattore; e comprendendo che la causa movente della sua offerta era la carità altruistica, accettando il regalo, il Beato gli disse: "L'uomo caritatevole è amato da tutti; la sua amicizia è estremamente apprezzata; quando muore il suo cuore è in pace e pieno di gioia, perché non ha rimpianti; egli riceve l’apertura del fiore della sua ricompensa e il frutto che matura da esso. E’ duro da capire che offrendo il nostro cibo, noi troviamo più forza, dando vestiti agli altri noi ne guadagniamo in bellezza, e donando dimore di purezza e verità, noi acquisiamo i più grandi tesori. 

“Vi è un tempo adeguato ed un modo appropriato nella carità; proprio come un vigoroso guerriero che va a combattere, così è l'uomo che è capace di dare. Egli è come un abile guerriero, un forte campione e saggio nell’azione. Compassionevole e amorevole, egli dona con rispetto e bandisce ogni odio, invidia, e rabbia. 

"L'uomo caritatevole ha trovato il sentiero della salvezza. Egli è come l'uomo che pianta un alberello, assicurandosi con ciò l'ombra, i fiori, e la frutta negli anni a venire. Cosippure è il risultato della carità, ed anche così è la gioia di chi aiuta coloro che hanno bisogno di assistenza; così è il grande Nirvana. Noi giungiamo al sentiero immortale solamente con continui atti di gentilezza e poi perfezionando le nostre anime con la compassione e la carità." 

Anathapindika invitò Sariputta ad accompagnarlo nel suo ritorno a Kosala, e ad aiutarlo nello scegliere un luogo piacevole per il vihara. 

  

JETAVANA, IL VIHARA 

Anathapindika, l'amico dei bisognosi e sostenitore di orfani, essendo ritornato a casa, vide il giardino dell’erede reale, Jeta, coi suoi boschetti verdi e ruscelletti limpidi e pensò: "Questo è un luogo molto appropriato per fare un vihara per il Sangha del Beato". Egli andò così dal principe e chiese il permesso di comprare la terra. Il principe non era incline a vendere il giardino, poiché lo teneva molto in considerazione. Egli in principio rifiutò ma alla fine disse, "Se puoi coprirlo d’oro, allora, e per nessun altro prezzo, tu lo avrai!". Anathapindika si allietò e cominciò a disseminare il suo oro; ma Jeta disse: "Risparmiati il cruccio, perché ho deciso di non venderlo". Ma Anathapindika insistè. Così essi se lo contesero finché ricorsero al magistrato. 

Nel frattempo le persone cominciarono a parlare dell’insolito procedimento, ed il principe, sentendo più dettagli e sapendo che Anathapindika non solo era molto ricco ma anche retto e sincero, indagò nei suoi piani. Nel sentire il nome del Buddha, il principe divenne ansioso di partecipare alla fondazione e accettò solo la metà dell'oro, dicendo: "La terra è tua, ma gli alberi sono miei. Io darò gli alberi come mia parte di questa offerta al Buddha." 

Allora Anathapindika si prese la terra e Jeta gli alberi, e loro li offrirono a Sariputta in fede per il Buddha. Dopo che furono gettate le fondamenta, essi cominciarono a costruire la sala che fu fatta alta nelle dovute proporzioni secondo le indicazioni suggerite dal Buddha; e fu meravigliosamente decorata con adatti intagli. Questo vihara fu chiamato Jetavana, e il benefattore invitò il Signore Buddha a venire a Savatthi per ricevere la donazione. Ed il Beato lasciò Kapilavatthu e venne a stare a Savatthi.  

Mentre il Beato stava entrando in Jetavana, Anathapindika sparse fiori e bruciò incenso, e come segno di offerta versò acqua da una caraffa dorata, dicendo, "Questo vihara qui a Jetavana io offro per l'uso della fratellanza in tutto il mondo." Il Beato ricevette il dono e rispose: "Possa ogni cattiva influenza essere superata; possa l'offerta promuovere il regno della rettitudine ed essere una benedizione permanente per l’umanità in generale, a tutto il paese di Kosala, e specialmente anche al donatore."  

Allora il re Pasenadi, sentendo che era venuto il Buddha, andò con il suo reale seguito al Jetavana-vihara e con mani giunte salutò il Beato, dicendo: "'Beato è il mio regno indegno ed oscuro che ha incontrato una così grande fortuna. Perché come potranno accadere calamità e pericoli in presenza del Signore del mondo, il Dharmaraja, il Re della Verità. Ora che io ho visto la tua espressione sacra, lascia che io partecipi delle acque rinfrescanti dei tuoi insegnamenti. Il profitto mondano è fugace e deteriorabile, ma quello religioso è eterno ed inesauribile. Un uomo mondano, benché re, è pieno di guai, ma un uomo comune che sia santo ha pace nella mente." 

Conoscendo la tendenza del cuore del re, oppresso dall'avidità e dall’amore per il piacere, il Buddha colse l'occasione e disse: "Anche coloro che, per il loro cattivo karma, sono nati in una bassa condizione, quando vedono un uomo virtuoso, sentono riverenza per lui. Quanto più lo deve un re indipendente, in base ai meriti acquisiti in esistenze precedenti, che quando incontra un Buddha, sente riverenza per lui. Ed ora io espongo brevemente la legge, e che il Maharaja ascolti e pesi le mie parole, e tenga conto di ciò che dico!" 

"I nostri atti, buoni o cattivi, ci seguono continuamente come ombre. Ciò di cui abbiamo più bisogno è un cuore amorevole! Considerail tuo popolo come uomini che fanno un unico figlio. Non opprimerli, non distruggerli; mantieni nel dovuto conto ogni membro del tuo corpo, abbandona l’ingiusta dottrina e cammina nel retto sentiero. Non esaltare te stesso calpestando gli altri, ma confortali ed aiutali nella sofferenza. Non valutare la tua dignità regale, e non ascoltare le subdole parole degli adulatori. 

Non è necessario costringersi all’austerità, ma medita sul Buddha e pesa la sua retta legge. Noi siamo rinchiusi da tutti i lati da rocce, che sono nascita, vecchiaia, malattia, e morte, e solo valutando e praticando la vera legge possiamo sfuggire questa montagna di dolore. Perciò, che vantaggio c’è nel praticare l’iniquità?" 

"Tutti coloro che sono saggi rifiutano i piaceri del corpo. Essi aborriscono la concupiscenza e cercano di promuovere la loro esistenza spirituale. Quando un albero sta bruciando con feroci fiamme, come possono radunarvisi gli uccelli? La verità non può indulgere dove vive la passione. Colui che non sa questo, benché possa essere un uomo dotto e lodato dagli altri come un saggio, è oscurato dalla ignoranza. A chi ha questa conoscenza spunta la vera saggezza, ed egli si terrà lontano dalla brama per il piacere. Per avere questo stato di mente, la sola cosa indispensabile è la saggezza. Trascurare la saggezza condurrà al fallimento della vita. Gli insegnamenti di tutte le religioni dovrebbero concentrarsi su questa cosa, perché senza la saggezza non c’è la ragione". 

"Questa verità non è soltanto per l'eremita; essa riguarda similmente ogni essere umano, prete e laico. Non c'è distinzione tra il monaco che ha preso i voti, e l'uomo del mondo che vive con la sua famiglia. Ci sono eremiti che cadono nella perdizione, e ci sono umili padroni di casa che salgono al rango di rishi. Cercare il piacere è un pericolo comune a tutti; trascina via il mondo. Colui che è coinvolto nei suoi gorghi non trova scampo. Se la saggezza è una valida barca, la riflessione è il timone. La religione ti chiama per superare gli assalti di Mara, il nemico". 

"Siccome è impossibile sfuggire il risultato dei nostri atti, facciamo opere di bene. Proteggiamo i nostri pensieri per non fare alcun male, perché come noi seminiamo così poi raccogliamo. Ci sono vie dalla luce all'oscurità e dall'oscurità alla luce. Ci sono anche vie che vanno dall'oscurità fino all'oscurità più profonda, e dalla luce lieve fino alla luce più brillante. L’uomo saggio userà la luce che ha per ottenerne ancora più luce. Egli avanzerà continuamente nella conoscenza della verità". 

"Mostra la tua vera superiorità con una condotta virtuosa e con l'esercizio della ragione; medita profondamente sulla vanità delle cose terrene, e comprendi la mutevolezza della vita. Eleva la mente, e cerca la sincera fede con un fermo proposito; non trasgredire le regole del comportamento regale, e lascia che la tua felicità non dipenda dalle cose esterne, ma dalla tua propria mente. Così avrai un buon nome per lunghi secoli e ti assicurerai il favore del Tathagata."  Il re ascoltò con riverenza e ricordò tutte le parole del Buddha nel suo cuore.

 

LE TRE CARATTERISTICHE E L’INCREATO 

Quando il Buddha stava al Veluvana, il boschetto di bambù a Rajagraha, così egli si indirizzò ai fratelli: "O monaci, se il Buddha sorge o se il Buddha non sorge, resta un fatto, e la ferma e necessaria costituzione di essere che tutte le forma-zioni sono transitorie. Un Buddha scopre e padroneggia questo fatto, e quando lui lo ha scoperto e dominato, egli annuncia, rivela, proclama, dischiude, spiega minutamente e chiarisce che tutte le formazioni sono transitorie. 

"O monaci, se il Buddha sorge,  o se il Buddha non sorge, resta un fatto, ed una ferma e necessaria costituzione di essere, che tutte le formazioni sono sofferenza. Un Buddha scopre e padroneggia questo fatto, e quando lui lo ha scoperto e dominato, egli annuncia, rivela, proclama, dischiude, spiega minutamente e chiarisce che tutte le formazioni sono sofferenza. 

"O monaci, se il Buddha sorge,  o se il Buddha non sorge, resta un fatto, ed una ferma e necessaria costituzione di essere, che tutte le formazioni sono prive di un ‘sé’. Un Buddha scopre e padroneggia questo fatto, e quando lui lo ha scoperto e dominato, egli annuncia, rivela, proclama, dischiude, spiega minutamente e chiarisce che tutte le formazioni sono prive di un ‘sé’. 

E in un'altra occasione il Beato dimorava a Savatthi nel Jetavana, il giardino di Anathapindika. Allora il Beato ammaestrò, risvegliò, stimolò ed allietò i monaci con un discorso religioso sul soggetto del Nirvana. E questi monaci, afferrando il significato, pensandolo, ed accettando nei loro cuori l’intera dottrina, ascoltarono attentamente. Ma c'era un fratello che aveva dei dubbi nel suo cuore. Egli si alzò e giungendo le mani fece la richiesta: "Posso avere il permesso di fare una domanda?" Quando il permesso gli fu accordato egli disse come segue: 

"Il Buddha insegna che tutte le conformazioni sono transitorie, che tutte le conformazioni sono soggette a dolore e che tutte le conformazioni sono prive di un ‘sé’. Allora come può essere il Nirvana uno stato di beatitudine eterna?"- 

Ed il Beato, in occasione di questa connessione, espresse questa solenne dichiara-zione: “O monaci, vi è uno stato in cui non c’è nessuna terra, né acqua, né calore, né aria; nessuna infinità di spazio, né infinità di coscienza, né inesistenza, né percezione né non-percezione; né questo mondo né quell’altro mondo, né sole né luna. È l'Increato. O monaci, esso è ciò che io chiamo né venire né andare né restare; non è né morte né nascita. E’ senza stabilità, senza cambiamento; ed è l'eterno che mai origina e mai passa via. Là vi è la fine del dolore. 

"È duro realizzare l'essenziale, la verità non è percepita facilmente; il desiderio è dominato da colui che sa, ed a colui che vede correttamente che tutte le cose sono nulla. O monaci, c’è un non-nato, non-originato, non-creato, non-formato. Se non ci fosse, o monaci, questo non-nato, non-originato, non-creato, non-formato, non ci sarebbe scampo dal mondo del nato, originato, creato, formato. Siccome, o monaci, c'è un non-nato, non-originato, non-creato e non-formato, perciò c’è scampo dal nato, originato, creato, formato." 

 

IL BUDDHA VA DA SUO PADRE

Il nome del Buddha divenne famoso in tutta l’India e Suddhodana, suo padre, gli mandò a dire: "Io sto diventando vecchio e prima di morire vorrei vedere mio figlio. Altri hanno avuto il beneficio della sua dottrina, ma non suo padre né i suoi parenti." Ed il messaggero disse: "O Tathagata onorato dal mondo, il tuo genitore spera nel tuo arrivo, come il giglio desidera ardentemente il sorgere del sole." 

Il Beato acconsentì alla richiesta di suo padre e si recò a Kapilavatthu. Presto la notizia si sparse nel paese natio del Buddha: "Il Principe Siddhartha che lasciò la sua casa in vagabondaggio per ottenere l’illuminazione, avendo realizzato il suo scopo, sta facendo ritorno!". 

Suddhodana andò fuori coi parenti e con i suoi ministri per incontrare il principe. Quando il re da lontano vide Siddhartha, suo figlio, fu colpito dalla sua bellezza e dignità, e si allietò nel cuore, ma la sua bocca non trovò parole da esprimere. Questi, era davvero suo figlio; quelle erano le fattezze di Siddhartha. Oh, il grande samana, com’era vicino al suo cuore, eppure che distanza c’era tra loro! Quel nobile muni non era più suo figlio Siddhartha; egli era il Buddha, il Beato, il Santo, il Signore della verità ed il Maestro dell’umanità. Il re Suddhodana, in considera-zione della dignità religiosa di suo figlio, discese dal carro e, dopo averlo salutato, disse: "E’ da sette anni che non ti vedevo. Come ho ardentemente desiderato questo momento!" 

Poi, Sakyamuni si sedette di fronte a suo padre, ed il re con impazienza guardava fisso suo figlio. Egli desiderava chiamarlo con il suo nome, ma non volle sfidarlo. "Siddhartha", si disse silenziosamente dentro il suo cuore, "Siddhartha, sei tornato dal tuo vecchio padre e sei di nuovo suo figlio!" Egli provò quasi a esprimerlo, ma vedendo la determinazione di suo figlio, soppresse i suoi sentimenti, e fu oppresso dalla desolazione. Così il re sedette faccia a faccia con suo figlio, allietandosi nella sua tristezza e triste nella sua allegrezza. Benché fosse orgoglioso di lui, tuttavia il suo orgoglio svaniva all'idea che il suo grande figlio non sarebbe stato mai più il suo erede. "Io vorrei offrirti il mio regno" disse il re, "ma se lo facessi, tu non ne terresti alcun conto". 

E il Buddha disse: "Io so che il cuore del re è pieno di amore e che a causa di suo figlio egli sente un profondo dolore. Ma se l’amore che lo lega al figlio che perse, potesse abbracciare con uguale gentilezza tutti gli esseri, egli ne riceverebbe in cambio uno più grande di Siddhartha; riceverebbe il Buddha, il Maestro di verità, il predicatore della rettitudine, e la pace del Nirvana entrerebbe nel suo cuore." 

Suddhodana tremò di gioia quando sentì queste melodiose parole di suo figlio, il Buddha, e giungendo le mani, esclamò con le lacrime agli occhi: "Meraviglioso è questo cambio! Il dolore opprimente è andato via. Prima, il mio cuore addolorato era pesante, ma ora io raccolgo il frutto della tua grande rinuncia. E’ stato giusto che, mosso dalla tua forte comprensione, tu abbia rifiutato i piaceri del potere reale e realizzato il tuo nobile scopo nella devozione religiosa. Ora che tu hai trovato il sentiero, tu puoi predicare la legge dell'immortalità a tutti coloro che desiderano la liberazione." Ciò detto, il re ritornò al palazzo, mentre il Buddha rimase nel boschetto di fronte alla città. 

  

YASODHARA, LA PRIMA MOGLIE 

Il mattino dopo, il Buddha prese la sua ciotola e uscì per elemosinare il suo cibo. E la notizia si sparse all'esterno: "Il Principe Siddhartha sta andando di casa in casa per ricevere elemosine nella città in cui egli cavalcava su un carro accompagnato dal suo seguito. Il suo vestito è color ocra rossa, e in mano tiene una ciotola fatta di terra". 

Nel sentire la strana diceria, il re andò rapidamente fuori e quando incontrò il suo figlio esclamò: "Perché mi disonori così? Non sai che io posso provvedere di cibo facilmente per te e i tuoi bhikkhu?" Ed il Buddha rispose: "È l’uso del mio ceto." 

Ma il re disse: "Come può essere ciò? Tu discendesti da re, e nessuno di essi implorò mai per il cibo." 

"O grande re", aggiunse il Buddha "Tu e ed il tuo ceto possono pretendere di discendere da re; ma la mia discendenza è dagli antichi Buddha. Essi, questuando il loro cibo, vissero di elemosine." Il re non replicò, ed il Beato continuò: "O Re, è usanza, quando uno ha trovato un ignoto tesoro, che egli faccia offerta del gioiello più prezioso a suo padre. Quindi, permettimi di aprire questo mio tesoro, che è il Dharma, ed accetta da me questa gemma": Ed il Beato recitò la seguente stanza: 

"Svegliati dai sogni e dalle illusioni, 

E rimani con la mente aperta e sveglia. 

Cerca solo la Verità, perché dove tu la trovi, 

Là vi troverai anche la Pace!" 

Allora il re condusse il principe nel palazzo, ed i ministri e tutti i membri della famiglia reale lo salutarono con grande riverenza, ma sua moglie Yasodhara, la madre di Rahula, non si fece vedere. Il re la mandò a chiamare, ma lei rispose: "Di sicuro, se io merito un qualche riguardo, Siddhartha verrà qui a vedermi". 

Il Beato, avendo salutato tutti i suoi parenti ed amici, chiese: "Dov’è Yasodhara?" E venendo informato che lei aveva rifiutato di venire, lui subito si alzò ed andò ai suoi appartamenti. 

"Io sono libero", disse il Beato ai suoi discepoli, Sariputta e Moggallana, che inten-devano accompagnarlo alla camera della principessa; "tuttavia, la principessa non è ancora libera. Non avendomi visto per molto tempo, lei è assai addolorata. Fino a ché il suo dolore non avrà avuto il suo corso, il suo cuore soffrirà. Se lei dovesse toccare il Tathagata, il Santo, voi non dovete impedirglielo." 

Yasodhara sedeva nella sua stanza, vestita di indumenti umili e coi capelli tagliati. Quando il Principe Siddhartha fu entrato, lei, per il suo grande affetto, fu come un vaso traboccante incapace di contenere il suo amore. Dimenticando che l'uomo che lei amava era il Buddha, il Signore del mondo, il predicatore della verità, lei lo cinse stringendosi ai suoi piedi e pianse amaramente. 

Ricordando, comunque, che era presente Suddhodana, lei si sentì vergognosa, e si rialzò, mettendosi riverentemente a sedere ad una certa distanza. 

Il re scusò la principessa, dicendo: "Questo deriva dal suo profondo affetto, ed è più di un'emozione temporanea. In questi sette anni in cui essa perse suo marito, allorché sentì che Siddhartha si era raso il capo, lei fece altrettanto; quando seppe che egli aveva abbandonato l'uso di profumi ed ornamenti, anche lei rifiutò il loro uso. Come suo marito, lei cominciò a mangiare da una ciotola di terra e solo nei momenti adatti. Come lui, essa abbandonò i letti alti con splendide coperture, e quando altri principi la chiesero in sposa, lei rispose che era ancora la sua sposa. Perciò, accordale il tuo perdono". 

E il Beato parlò gentilmente a Yasodhara, dicendole dei suoi grandi meriti ereditati dalle vite precedenti. Invero lei era stata sempre di grande aiuto per lui. La sua purezza, la sua gentilezza e la sua devozione erano state inestimabili per il Bodhi-sattva, poiché egli aspirava a raggiungere l’illuminazione, lo scopo più alto per un essere umano. E lei era stata così santa da desiderare di divenire la moglie di un Buddha. Questo, quindi, era il suo karma, il risultato di grandi meriti. Anche se il suo dolore è inenarrabile, la coscienza della gloria che circonda la sua eredità spirituale, sviluppata grazie al suo nobile atteggiamento durante la vita, sarà un balsamo che trasformerà miracolosamente tutti i suoi dolori in una gioia paradi-siaca". 

  

RAHULA, IL FIGLIO 

Molte persone in Kapilavatthu credettero nel Tathagata e presero rifugio nella sua dottrina, fra loro il fratellastro di Nanda Sidhattha, il figlio di Prajapati; Devadatta, suo cugino e cognato; Upali il barbiere; e Anuruddha il filosofo. Alcuni anni più tardi anche Ananda, un altro cugino del Beato, si unì al Sangha. 

Ananda era assai vicino al cuore del Beato; egli fu il suo discepolo più adorato, profondo in comprensione e gentile in spirito. Ed Ananda rimase sempre vicino al Beato, Maestro di verità, finché la morte li divise. 

Nel settimo giorno dopo l'arrivo del Buddha in Kapilavatthu, Yasodhara vestì il figlio Rahula, dell’età di sette anni, in tutto lo splendore di un principe e gli disse: "Questo santo uomo, il cui aspetto è così glorioso da sembrare il grande Brahma, è tuo padre. Egli possiede quattro grandi tesori che io non ho ancora visto. Vai da lui e imploralo di fartene avere il possesso, perché il figlio dovrebbe ereditare la proprietà di suo padre". 

Rahula rispose: "Io non conosco altro padre che il re. Chi è mio padre?". Allora, la principessa prese il ragazzo nelle sue braccia e dalla finestra indicò a lui il Buddha che stava chiedendo il cibo presso il palazzo. 

Rahula andò allora dal Buddha, e guardandolo in faccia senza paura e con molto affetto disse: "Padre mio!". E standogli vicino, aggiunse: "O Samana, la tua ombra è pari ad un luogo di beatitudine!" 

Quando il Tathagata ebbe finito il suo pasto, diede le benedizioni ed andò via dal palazzo, ma Rahula lo seguì e chiese l’eredità a suo padre. Nessuno ostacolò il ragazzo, e neppure il Beato stesso lo fece. 

Allora il Beato si rivolse a Sariputta, dicendo: "Mio figlio chiede la sua eredità. Io non posso dargli tesori deteriorabili che danno preoccupazioni e dolori, ma posso dargli l'eredità di una vita santa che è un tesoro che non perirà mai." 

Indirizzandosi con serietà a Rahula, il Beato disse: "Io non possiedo oro, argento e gioielli. Ma se tu desideri ricevere i tesori spirituali, e sei forte abbastanza per portarli e tenerli con te, io ti darò le quattro verità che ti insegneranno l’ottuplice sentiero della rettitudine. Desideri dunque essere ammesso nel Sangha di coloro che dedicano la loro vita alla cultura del cuore cercando la più alta beatitudine raggiungibile?" 

Rahula rispose con fermezza: "Si lo desidero. Voglio unirmi al Sangha di Buddha." 

Quando il re sentì che Rahula si era unito alla fratellanza dei bhikkhu, ne fu assai addolorato. Lui aveva già perso Siddhartha e Nanda, i suoi figli, e Devadatta, suo nipote. Ma ora che anche il suo nipotino era stato preso, egli andò dal Beato e gli parlò. Ed il Beato promise che da allora in poi non avrebbe più ordinato nessun minore senza il beneplacito dei suoi genitori o custodi. 

  

LE REGOLE 

Prima che il Beato avesse raggiunto l’Illuminazione, l’auto-mortificazione era stata l’usanza fra coloro che cercavano sinceramente la salvezza. Essi consideravano come scopo di religione la liberazione dell'anima da tutte le necessità della vita e infine dal corpo stesso. Così, essi evitavano tutto quello che era un lusso in cibo, casa, ed abbigliamento, e vivevano nel bosco come animali. Alcuni andavano in giro nudi, mentre altri portavano stracci raccolti nei cimiteri o nelle pattumiere. 

Quando il Beato si ritirò dal mondo, riconobbe subito l'errore degli asceti nudi, e, considerando l'indecenza della loro abitudine, si vestì anch’egli di stracci. 

Avendo raggiunto l’Illuminazione e respinto tutte le mortificazioni non necessarie, il Beato ed i suoi bhikkhu continuarono per molto tempo a portare stracci raccolti nei cimiteri e negli scarichi di immondizie. Poi, accadde che i bhikkhu furono colpiti da malattie di ogni tipo, ed il Beato permise ed ordinò esplicitamente l'uso di medicine e, ogni qualvolta che ne ebbe bisogno, lui stesso fece uso di unguenti. Uno dei confratelli soffriva di un dolore al piede, ed il Beato ordinò che il bhikkhu portasse delle coperture per i piedi. 

Ora accadde che una malattia colpisse proprio il corpo del Beato, ed Ananda andò da Jivaka, il medico del re Bimbisara. E Jivaka, fedele credente nel Santo, somministrò al Beato medicine e bagni finché il corpo del Beato fu completamente ripristinato. 

A quel tempo, Pajjota, re di Ujjeni, stava soffrendo di ittero, e venne consultato Jivaka, il medico del re Bimbisara. Quando al Re Pajjota fu ripristinata la salute, egl spedì a Jivaka un abito della più eccellente stoffa. E Jivaka si disse: "Questo abito è fatto della migliore stoffa, e nessun altro è degno di riceverlo se non il Beato, il perfetto e santo Buddha, o il re di Magadha, Senija Bimbisara." 

Allora Jivaka prese quell’abito ed andò nel luogo dove stava il Beato; essendosi avvicinato, ed avendolo rispettosamente salutato, gli si sedette vicino e disse: "Signore, ho un piacere da chiedere al Beato". Il Buddha rispose: "I Tathagata, o Jivaka, non accordano piaceri prima di sapere quali essi sono." 

Jivaka disse: "O Signbore, questa è una richiesta corretta ed ineccepibile". 

"Allora, parla, Jivaka", disse il Beato. 

"Signore del mondo, il Beato usa soltanto vesti fatte di stracci presi da un cimitero o da immondezzai, e anche così fa la fratellanza di bhikkhu. Ora, Signore, è stato a me spedito da Re Pajjota, questo abito che è il meglio, il più eccellente, ed il più prezioso, ed il più nobile che si possa trovare. Signore del mondo, che il Beato accetti da me questo abito, e possa permettere al Sangha di portare abiti adatti". 

Il Beato accettò l'abito, e dopo avere esposto un discorso religioso, così si indirizzò ai bhikkhu: "D'ora innanzi tutti voi sarete liberi di portare sia stracci che abiti laici. Qualunque sia la vostra decisione, io l'approverò." 

Quando la gente di Rajagraha sentì che il Beato aveva permesso ai bhikkhu di portare vestiti ordinari, quelli che erano disposti a fare regali ne furono contenti. E a Rajagraha in un giorno molte migliaia di tonache furono offerte ai bhikkhu. 

  

SUDDHODANA RAGGIUNGE IL NIRVANA 

Quando Suddhodana divenne vecchio, cadde ammalato, e mandò a chiamare suo figlio per farlo venire e poterlo vedere ancora una volta prima di morire; e il Beato venne e rimase presso il letto dell'ammalato, e Suddhodana, avendo raggiunto l’Illuminazione, morì tra le braccia del Beato. 

Ed è detto che il Beato, per predicare il Dharma a sua madre Maya-devi, ascese al cielo e dimorò con i dèva. Avendo concluso la sua pia missione, poi egli ritornò sulla terra e ancora andò convertendo quelli che ascoltavano i suoi insegnamenti. 

  

DONNE NEL SANGHA 

Yasodhara aveva fatto per tre volte richiesta al Buddha affinché venisse ammessa al Sangha, ma il suo desiderio non era stato accordato. Ora Prajapati, la matrigna che allevò il Beato, in compagnia di Yasodhara e molte altre donne, andò dal Tathagata ad implorarlo perché le lasciasse sinceramente prendere i voti e fossero ordinate come discepoli. 

Il Beato, prevedendo il pericolo che si celava nell'ammettere le donne al Sangha, ammonì che se la buona religione doveva di sicuro durare almeno mille anni, se vi si univano le donne, sarebbe decaduta dopo soli cinquecento anni; ma osservando lo zelo di Prajapati e Yasodhara di voler fare una vita religiosa, non potè resistere più e alla fine assentì per ammetterle come suoi discepoli. 

Allora il venerabile Ananda così si indirizzò al Beato: "Venerabile Signore, le donne sono competenti, se dalla vita di famiglia si ritirano allo stato senza casa, sotto la dottrina e disciplina annunciata dal Tathagata, per ottenere la conversione, per raggiungere la liberazione da una pesante ripetizione di rinascite, per raggiungere la santità?"

Il Beato dichiarò: "Le donne sono competenti, Ananda, se dalla vita di famiglia si ritirano allo stato senza casa, sotto dottrina e disciplina annunciata dal Tathagata, ad ottenere la conversione, raggiungere la liberazione da una pesante ripetizione di rinascite, e raggiungere la santità. Considera, Ananda, che gran benefattrice sia stata Prajapati. Lei fu la sorella della madre del Beato, e come una madre lo allevò ed allattò, educò il Beato dopo la morte di sua madre. Quindi, Ananda, anche le donne possono ritirarsi dalla vita di famiglia allo stato senza casa, sotto la dottrina e disciplina annunciata dal Tathagata." 

Prajapati fu la prima donna che diventò un discepolo del Buddha e ricevette l'ordinazione come bhikkhuni (monaca). 

  

SULLA CONDOTTA VERSO LE DONNE 

I bhikkhu vennero dal Beato e gli chiesero: "O Tathagata, Signor nostro, quale condotta verso le donne tu prescrivi al samana che ha lasciato il mondo?" 

Il Beato disse: "State attenti a come guardate una donna. Se vedete una donna, fate come se i vostri occhi non la vedessero, e cercate di non parlarle. Se, dopo tutto, dovete proprio parlare con lei, dovete farlo con un cuore puro, e dovreste pensare, 'Io sono un samana che vive in questo mondo peccaminoso come la foglia immacolata del loto, non sporcato dal fango in cui cresce.' 

"Se la donna è più vecchia di voi, consideratela vostra madre, se più giovane, come vostra sorella, se molto più giovane, come vostra figlia. Il samana che guarda una donna come una donna, o la tocca come una donna, ha rotto il suo voto e non è più un discepolo del Tathagata. Il potere della lussuria è grande per gli uomini, e sarà pure temuto; prendete quindi l'arco della seria perseveranza, e le acute freccie della saggezza. Riparate le vostre teste con l'elmo del retto pensiero, e lottate con fermo proposito contro i cinque desideri. La concupiscenza oscura il cuore di un uomo, quando è confuso con la bellezza della donna, la sua mente è stordita. 

"Molto meglio sarebbe estrarsi fuori con ferri incandescenti entrambi gli occhi, che lasciarvi prendere dai pensieri sensuali, o reputare la forma di una donna con desideri lussuriosi. Meglio cadere nella bocca di una feroce tigre, o sotto il coltello acuto del carnefice, che stare insieme con una donna ed eccitarsi con pensieri concupiscenti. 

"Una donna del mondo è ansiosa di esibire la sua forma e la sua bellezza, sia mentre cammina, stando in piedi, sedendo, o dormendo. Perfino quando è raffi-gurata in un ritratto, lei desidera incantare col fascino della sua bellezza, e così rubare agli uomini la costanza del loro cuore. Allora, come potete proteggervi? Considerando le sue lacrime ed i suoi sorrisi come nemici, la sua forma ricurva, le sue braccia tese, e i suoi capelli sciolti come strumenti progettati per intrappolare il cuore dell’uomo. Perciò, io vi dico, frenate il cuore, non dategli nessuna licenza di sfrenarsi." 

  

VISAKHA ED I SUOI REGALI 

Visakha, una ricca donna di Savatthi che aveva molti bambini e nipoti, aveva fatto dono all'ordine del Pubbarama, o Giardino Orientale, e nel Kosala Settentrionale fu la prima a diventare una matrona delle sorelle laiche. 

Quando il Beato stava a Savatthi, Visakha salì al luogo dov’era il Beato, e gli offrì un invito per venire a pranzo nella sua casa, che il Beato accettò volentieri. Ma, durante la notte e per tutta la mattina seguente cadde una forte pioggia; e tutti i bhikkhu si tolsero le loro tonache per tenerle asciutte e così la pioggia bagnò i loro corpi. 

Il giorno dopo, quando il Beato ebbe finito il suo pasto, lei si sedette al suo fianco e così parlò: "Otto sono i benefici, o Signore, che io imploro dal Beato." 

Il Beato disse: "I Tathagata, o Visakha, non accordano piaceri finché non sanno quali essi sono." Visakha rispose: "O Signore, confacenti ed ineccepibili sono i benefici che io chiedo." 

Avendo ricevuto il permesso per rendere note le sue richieste, Visakha disse: "Per tutta la mia vita, O Signore, io desidero dare al Sangha i mantelli per la stagione piovosa, cibo per i bhikkhu che arrivano, cibo per i bhikkhu in partenza, cibo per gli ammalati, cibo per quelli che assistono gli ammalati, medicine per gli ammalati ed un continuo approvvigionamento di latte di riso per il Sangha, e accappatoi per le sorelle bhikkhuni."

Allora il Buddha disse: "O Visakha, qual è la circostanza che tu hai in mente nel chiedere questi otto benefici al Tathagata?" 

Visakha rispose: "Io diedi l’ordine, Signore, alla mia domestica dicendole, 'Vai, ed annuncia alla fratellanza che il pasto è pronto.' E la domestica andò, ma quando arrivò al vihara, lei osservò che i bhikkhu si erano tolti i loro vestiti perché stava piovendo, e lei pensò: 'Questi non sono bhikkhu, ma asceti nudi che lasciano che piova su di loro’. Quindi lei ritornò da me e riportò di conseguenza il fatto, ed io dovetti rispedirla una seconda volta. O Signore, la nudità è impura e rivoltante. Fu questa circostanza, Signore, che io avevo in mente nel desiderare, per tutta la durata della mia vita, di fornire il Sangha di indumenti speciali da usare nella stagione piovosa". 

"Quanto al mio secondo desiderio, Signore, un bhikkhu che arriva, non essendo capace di prendere le strade dirette e non conoscendo il luogo dove egli si può procurare il cibo, nel suo cammino viene a stancarsi per cercare elemosine. Fu questa circostanza, Signore, che io avevo in mente nel desiderare per tutta la durata della mia vita di fornire al Sangha cibo per i bhikkhu che arrivano. In terzo luogo, Signore, un bhikkhu in partenza dovendo cercare l’elemosina, può essere rimasto dietro, o può arrivare troppo tardi al luogo in cui desidera andare, e sarà stanco quando si rimetterà sulla strada. 

"Come quarta cosa, Signore, se un bhikkhu malato non ottiene cibo appropriato, la sua malattia può peggiorare, e lui può morire. Quinto, Signore, un bhikkhu che sta assistendo l'ammalato perderà la sua opportunità di andare a cercare cibo per sé. Sesto, Signore, se un bhikkhu malato non ottiene medicine appropriate, la sua malattia può peggiorare, e lui può morire. 

"Settimo, Signore, avendo io sentito che il Beato ha lodato il latte di riso, dato che dà prontezza di mente e disperde la fame e la sete; è salubre come nutrimento per il sano, e come una medicina per l'ammalato. Perciò io desidero per tutta la durata della mia vita fornire al Sangha un continuo rifornimento di latte di riso. 

"E infine, Signore, le sorelle bhikkhuni hanno l'abitudine di bagnarsi nel fiume Achiravati, nude e nello stesso luogo delle cortigiane. E le cortigiane, Signore, mettono in ridicolo le bhikkhuni, dicendo, 'Che c’è di bello, sorelle, nel mantenere la vostra castità ora che voi siete giovani? Quando sarete vecchie, mantenete pure la castità; così voi otterrete sia il piacere mondano che la consolazione religiosa.' O Signore, impura è la nudità per una donna, disgustosa e rivoltante. Queste sono le circostanze, Signore, che io avevo in mente." 

Il Beato disse: "Ma quale era il vantaggio che tu avevi in mente per te, O Visakha, nel chiedere gli otto benefici al Tathagatha?" 

Visakha rispose: "O Signore, a Savatthi verranno per visitare il Beato dei Bhikkhu che hanno passato le stagioni piovose nei vari luoghi. E nel venire dal Beato essi chiederanno, dicendo: 'Tale e tale bhikkhu, Signore, è morto. Qual’è, ora, il suo destino?' Allora il Beato spiegherà che lui ha raggiunto il frutto della conversione; che lui ha raggiunto lo stato di Arahat, o è entrato nel Nirvana, a seconda del caso. Ed io, salendo da loro, chiederò, "Era quel fratello, Signori, uno di quelli che in precedenza erano stati a Savatthi?' Se mi si risponde, ‘Si, egli in precedenza è stato a Savatthi’ io allora arriverò alla conclusione che, certamente, quel fratello aveva goduto dei mantelli per la stagione piovosa, o del cibo per il bhikkhu che arriva, o del cibo per il bhikkhu in partenza, o del cibo per l'ammalato, o del cibo per quelli che assistono l'ammalato, o della medicina per l'ammalato, o almeno del continuo approvvigionamento di latte di riso'. 

"Allora la contentezza sprizzerà dentro di me; così allietata, la gioia verrà a me; e così rallegrata tutta la mia mente sarà in pace. Essendo così in pace, io sperimen-terò un felice sentimento di contentezza; ed in quella beatitudine il mio cuore sarà in pace. Questo per me sarà un esercizio del mio senso morale, un esercizio dei miei poteri morali, un esercizio dei sette tipi di saggezza! Questo, Signore, era il vantaggio che avevo in mente per me nel chiedere quegli otto benefici al Beato”.

Il Beato disse: "Bene, bene, Visakha. Tu hai fatto bene a chiedere questi otto piaceri al Tathagata con tali vantaggi in vista. La carità data a coloro che ne sono degni è come un buon seme seminato su un buon terreno che produrrà un'abbon-danza di frutti. Mentre l’elemosina fatta a coloro che sono ancora sotto la tirannia delle passioni sono come un seme depositato in un cattivo suolo. Le passioni di colui che riceve l’elemosine, in qualche modo, soffocano lo sviluppo dei meriti."

Ed il Beato diede questa strofa a Visakha come ringraziamento: 

"O nobile donna con una corretta vita, 

"Discepola del Beato, tu hai donato 

"Copiosamente con purezza di cuore. 

"In te sprizzerà la gioia, si allevierà il dolore, 

"E veramente i tuoi doni saranno una benedizione 

"Tanto per le altre persone quanto per te". 

  

L'UPOSATHA E IL PRATIMOKSHA 

Quando Seniya Bimbisara, il re di Magadha, fu avanzato negli anni, si ritirò dal mondo e condusse una vita religiosa. Lui osservò che in Rajagraha vi erano delle "nétte Brahmaniche che ritenevano certi giorni sacri, e le persone andavano alle loro riunioni ed ascoltavano i loro sermoni. Sentendo la necessità di tenere giorni regolari per il ritiro dai lavori mondani e per l’istruzione religiosa, il re andò dal Beato e disse: "I Parivrajaka, che appartengono alla scuola Titthiya, prosperano e guadagnano aderenti perché si intrattengono ogni otto giorni, ed anche il quattor-dicesimo o quindicesimo giorno di ogni mese. Non sarebbe consigliabile anche per i reverendi fratelli del Sangha fare assemblee in giorni debitamente nominati per quello scopo?" 

Il Beato allora dette ordine ai bhikkhu di riunirsi nell'ottavo giorno ed anche nel quattordicesimo o quindicesimo giorno di ogni mezzo-mese, e di dedicare questi giorni agli esercizi religiosi. 

Un bhikkhu debitamente nominato avrebbe dovuto indirizzare la congregazione ed esporre il Dharma. Egli doveva esortare le persone a percorrere l’ottuplice sentiero della rettitudine; doveva confortarle nelle vicissitudini della vita e allietarle con la beatitudine dei frutti delle buone azioni. In questo modo i confratelli dovrebbero tenere l'Uposatha. Ora i bhikkhu, in obbedienza alla regola dettata dal Beato, nel giorno stabilito si radunarono nel vihara e le persone vi si recarono per sentire il Dharma, ma esse furono grandemente deluse, perché i bhikkhu rimasero in silenzio e non rilasciarono alcun insegnamento. 

Quando il Beato sentì questo, ordinò ai bhikkhu di recitare il Pratimoksha che è una cerimonia per sgravare la coscienza; e comandò loro di confessarsi per la loro trasgressione così come per ricevere l'assoluzione dell'ordine. Semmai vi fosse una colpa, dovrebbe essere confessata dal bhikkhu che la ricorda e desidera purificarsi  perché una colpa quando è stata confessata, peserà di meno per lui. 

Ed il Beato disse: "Il Pratimoksha deve essere recitato così: un competente e venerabile bhikkhu faccia la seguente proclamazione al Sangha: ‘Possa il Sangha ascoltarmi; Oggi è l’Uposatha, l'ottavo, o il quattordicesimo o quindicesimo giorno di metà-mese. Se il Sangha è pronto, che il Sangha tenga il servizio di Uposatha e reciti il Pratimoksha. Io reciterò il Pratimoksha'. Ed i bhikkhu risponderanno: 'Noi lo sentiremo bene e concentreremo bene le nostre menti su di esso, tutti noi.' Poi il bhikkhu officiante continuerà: 'Colui che ha commesso un'offesa lo confessi; se non c'è offesa, che tutti rimangano silenziosi; dal loro essere silenziosi io capirò che i reverendi fratelli sono liberi da offese. Come una sola persona a cui è stata fatta una domanda risponde, così anche se di fronte ad una riunione come questa una domanda viene solennemente proclamata tre volte, una risposta è attesa: se un bhikkhu, dopo una triplice proclamazione non confessa un'offesa esistente che lui ricorda, egli commetterà una falsità intenzionale. Ora, reverendi fratelli, una falsità intenzionale è stata dichiarata dal Beato come un impedimento. Perciò, se un'offesa è stata commessa da un bhikkhu che lo ricorda e desidera divenire puro, l'offesa dovrebbe essere confessata dal bhikkhu; e quando è stata confessata, essa è debitamente trattata'." 

  

LO SCISMA 

Mentre il Beato dimorava a Kosambi, un certo bhikkhu fu accusato di aver commesso un'offesa, e, siccome lui rifiutò di ammetterlo, la fratellanza pronunciò contro lui la frase di espulsione. 

Ora, quel bhikkhu era un erudito. Lui conosceva il Dharma, aveva studiato le regole dell'ordine, ed era saggio, dotto, intelligente, modesto, coscienzioso, e pronto per sottoporsi alla disciplina. Egli andò fra i bhikkhu suoi compagni e amici, dicendo: "Qui non c’è stata nessuna offesa, amici; questa non è ragione per una frase di espulsione. Io sono innocente. Il verdetto è improprio e nullo. Perciò io mi considero ancora come membro dell'ordine. Che i venerabili fratelli mi assistano nel mantenere il mio diritto." 

Allora, quelli che parteggiavano col fratello espulso andarono dal bhikkhu che aveva pronunciato la frase, dicendo: "Questa non è offesa"; mentre il bhikkhu che aveva pronunciato la frase rispose: "Questa è un'offesa". Così sorsero alterchi e dispute, ed il Sangha fu diviso in due parti, che si ingiuriavano e si calunniavano l'un l'altra. 

Tutti questi eventi furono riportati al Beato. Allora il Beato si recò nel luogo in cui erano i bhikkhu che avevano pronunciato la frase di espulsione, e disse loro: "Non pensiate, o bhikkhu, di pronunciare l’espulsione contro un bhikkhu, qualunque siano i fatti del caso, semplicemente dicendo: 'Accade a noi che è così, e perciò noi siamo lieti di procedere così contro nostro fratello'. Che quei bhikkhu che frivolamente pronunciano una frase contro un fratello che conosce il Dharma e le regole dell'ordine, e che è dotto, saggio, intelligente, modesto, coscienzioso, e pronto per sottoporsi alla disciplina, stiano nel timore riverenziale di provocare divisioni. Essi non devono pronunciare una frase di espulsione contro un fratello solo perché lui rifiuta di riconoscere la sua offesa." 

Poi il Beato si alzò ed andò dai fratelli che parteggiavano col fratello espulso e disse loro: "Non pensiate, o bhikkhu, che se voi avete recato offesa, voi non abbiate bisogno di fare ammenda, soltanto pensando: 'Noi siamo senza offesa.' Quando un bhikkhu ha commesso un'offesa che lui non considera offesa, mentre la fratellanza lo considera colpevole, egli dovrebbe invece pensare: 'Questi fratelli conoscono il Dharma e le regole dell'ordine; loro sono dotti, saggi, intelligenti, modesti, coscienziosi, e pronti per sottoporsi alla disciplina; è impossibile che essi possano agire sul mio conto con egoismo o malevolenza o inganno o paura'. Che egli abbia il timore riverenziale di provocare divisioni, e piuttosto riconosca la sua offesa in base all'autorità dei suoi fratelli." 

Tuttavia, entrambe le parti continuarono a tenere Uposatha, e a compiere gli atti ufficiali indipendentemente l'una dall'altra; e quando questi fatti furono riferiti al Beato, lui stabilì che le riunioni di Uposatha e l’effettuazione di atti ufficiali erano legali, ineccepibili, e valide per entrambe le parti. Perciò lui disse: "I bhikkhu che parteggiano con il fratello espulso formano una diversa comunione da quelli che pronunciarono la frase. Vi sono venerabili fratelli in ambo le fazioni. Poiché essi non sono d'accordo, permetto loro di tenere Uposatha e compiere separatamente gli atti ufficiali". 

Ed il Beato rampognò i bhikkhu litigiosi, dicendo loro: "Il frastuono è la voce che fanno i mondani; ma come possono essere biasimati essi quando sorgono divisioni anche nel Sangha? L’odio non è placato in quelli che pensano: 'Lui mi ha offeso, lui mi ha ingiuriato, lui mi ha ferito.' Perché non dall’odio, l’odio è placato. L’odio, è placato dal non-odio. Questa è una legge eterna. 

Ci sono alcuni che non conosco la necessità dell’auto-controllo; se essi sono litigio-si noi possiamo scusare il loro comportamento. Ma quelli che lo sanno meglio, dovrebbero imparare a vivere in concordia. Se un uomo trova un amico saggio che vive rettamente ed è costante nel suo carattere, egli può vivere con lui, superando tutti i pericoli, felice e consapevole. 

"Ma se lui non trova un amico che vive rettamente e che sia costante nel suo carattere, è meglio che piuttosto cammini da solo, come un re che lascia dietro di sé il suo impero e le preoccupazioni del governo, per condurre una vita di ritiro come un elefante solitario nella foresta. Con gli stolti non c’è compagnia. Piuttosto che vivere con uomini che sono egoisti, vani, litigiosi, ed ostinati, è meglio che un uomo viva da solo." 

Ed il Beato pensò tra sé e sé: "Non è affato un compito facile istruire questi sciocchi caparbi ed infatuati". Poi, si alzò dal suo posto e se ne andò. 

  

IL RISTABILIMENTO DELLA CONCORDIA 

Mentre la disputa tra le parti non era ancora stabilita, il Beato lasciò Kosambi e, vagando di luogo in luogo alla fine egli giunse a Savatthi. Durante l'assenza del Beato le dispute peggiorarono, tanto che i devoti laici di Kosambi ne furono disturbati e presero a dire: "Questi monaci litigiosi sono un grande fastidio, e por-teranno la sfortuna su di noi. Preoccupato dai loro alterchi il Beato se n’è andato, e ha scelto un'altra dimora per la sua residenza. Perciò noi non saluteremo più i bhikkhu, né li sosterremo. Essi non son degni di portare le vesti gialle, perciò o dovranno propiziarsi il Beato, o ritornare nel mondo." 

Ed i bhikkhu di Kosambi, allorché non furono più onorati né più sostenuti dai devoti laici, cominciarono a pentirsi e dissero: "Andiamo dal Beato e facciamogli risolvere questa questione del nostro disaccordo." Entrambe le fazioni andarono dal Beato a Savatthi. Ed il venerabile Sariputta, avendo sentito del loro arrivo, si recò dal Beato e gli disse: "Questi bisticcioni, contendenti e litigiosi bhikkhu di Kosambi, gli autori dei dissensi, sono venuti a Savatthi. Come devo comportarmi, o Signore, verso quei bhikkhu?". 

"Non biasimarli, Sariputta" disse il Beato, "Perché le parole aspre non servono come rimedio, e non sono piacevoli per nessuno. Per dimora, assegna ad ogni fazione luoghi separati e trattali con imparziale giustizia. Ascolta pazientemente entrambe le parti. Solo colui che soppesa entrambi i lati è chiamato un muni. Quando le due fazioni hanno presentato il loro caso, lascia che il Sangha giunga ad un accordo e dichiari il ristabilimento della concordia." 

Prajapati, la matrona, chiese consiglio al Beato, ed il Beato disse: "Che entrambe le parti godano i regali dei membri laici, sia vestiario che cibo, a seconda del loro bisogno, e che nessuno riceva preferenze rispetto a qualcun altro." 

Il venerabile Upali, essendosi avvicinato al Beato, chiese riguardo al ristabilimento della pace nel Sangha: "Per evitare ulteriori dispute, Signore," disse lui, "Sarebbe corretto che il Sangha dichiarasse la restaurazione della concordia senza indagare sul problema della disputa?" 

Il Beato disse:"Se il Sangha dichiarasse il ristabilimento della concordia senza aver indagato nella questione, la dichiarazione non sarebbe giusta né legale. Ci sono due modi di ristabilire la concordia; uno è nella lettera, e l'altro è nello spirito e nella lettera. Se il Sangha dichiarasse il ristabilimento della concordia senza aver indagato nella questione, la pace sarebbe conclusa solamente nella lettera. Ma se il Sangha, avendo indagato nella questione ed essendo andato al fondo di essa decide di dichiarare il ristabilimento della concordia, la pace è conclusa nello spirito ed anche nella lettera. Soltanto la concordia riattivata nello spirito e nella lettera è corretta e legale". 

Ed il Beato, indirizzandosi ai bhikkhu, raccontò loro la storia del Principe Dighavu, il quale visse molto a lungo. Egli disse: "Nei tempi antichi, a Benares viveva un potente re il cui nome era Brahmadatta di Kasi; egli entrò in guerra contro Dighiti,  un re di Kosala, perché lui pensava che il regno di Kosala era piccolo e Dighiti non sarebbe stato in grado di resistere al suo esercito". E Dighiti, visto che resistere contro il grande esercito del re di Kasi era impossibile, abbandonò il suo piccolo regno lasciandolo nelle mani di Brahmadatta; avendo vagato in lungo e in largo, alla fine egli giunse a Benares, e visse là fuori di città con la sua consorte nella casa di un vasaio. 

"La regina gli dette un figlio, che essi chiamarono Dighavu. Quando Dighavu fu cresciuto, il re pensò: 'Il Re Brahmadatta ci ha fatto un gran danno, e di sicuro lui si aspetta la nostra vendetta; perciò cercherà di ucciderci. Se riuscisse a trovarci, egli ci ucciderà tutti e tre'. E così mandò via suo figlio, e Dighavu che aveva ricevuto una buona istruzione da suo padre, la applicò con diligenza per imparare tutte le arti, diventando molto abile e saggio. 

"A quel tempo, il barbiere del Re Dighiti dimorava a Benares, e lui vide il suo re, ed essendo di natura avida, lo tradì vendendolo al re Brahmadatta. Quando il re di Kasi, Brahmadatta, sentì che il fuggitivo re di Kosala e la sua regina, sotto falso nome stavano vivendo una quieta vita nella casa di un vasaio, ordinò che essi fossero catturati e uccisi; e lo sceriffo a cui fu dato l'ordine catturò Re Dighiti e lo condusse al luogo di esecuzione. 

"Mentre il re prigioniero veniva condotto attraverso le strade di Benares, vide suo figlio che era ritornato per far visita ai suoi genitori, e preoccupato di non tradire la presenza di suo figlio, benché ansioso di comunicargli il suo ultimo consiglio, egli gridò: 'O Dighavu, figlio mio! Non cercare di sapere, ma non essere neppure miope, perché l’odio non è placato dall’odio; l’odio è placato solo dal non-odio!'. 

"Il re e regina di Kosala furono giustiziati, ma il loro figlio Dighavu comprò un vino molto forte e fece ubriacare le guardie. Quando arrivò la notte lui pose i corpi dei suoi genitori su una pira funebre e li fece ardere con tutti gli onori e riti religiosi. Quando il Re Brahmadatta lo seppe, ne fu impaurito, perché pensò che Dighavu, il figlio di Re Dighiti, era un giovane saggio e si sarebbe vendicato per la morte dei suoi genitori. Con un'occasione favorevole, costui lo avrebbe senz’altro ucciso'. 

"Il giovane Dighavu andò nella foresta per piangere tutto il suo dolore. Poi lui asciugò le sue lacrime e ritornò a Benares. Sentendo che servivano assistenti nella stalla degli elefanti reali, lui si offrì per dare i suoi servigi e fu preso dal padrone degli elefanti. Ed accadde che il re, sentendo nella notte una dolce voce che con il liuto cantava una bella canzone, fu allietato nel suo cuore. Ed avendo chiesto fra i suoi attendenti chi fosse il cantante, gli fu detto che il padrone degli elefanti aveva al suo servizio un giovane di grandi meriti, adorato da tutti i suoi colleghi. Essi dissero che lui era avvezzo a cantare col liuto, e che doveva esser stato lui il cantante che aveva allietato il cuore del re.' 

"Il re chiamò il giovane davanti a sé e, essendo molto compiaciuto con Dighavu, gli diede lavoro al castello reale. Osservando come il giovane agisse saggiamente, come fosse modesto eppure preciso nel suo lavoro, il re ben presto gli diede una posizione di fiducia. Ora avvenne che il re andando a caccia si separò dal suo seguito, ed il giovane Dighavu rimase da solo con lui. Il re, stanco e distolto dalla caccia, posò la sua testa nel grembo del giovane Dighavu e si addormentò. 

"Dighavu pensò: 'Le persone potranno pure perdonare il gran male che hanno ricevuto, ma non si sentiranno mai a loro agio per il male che hanno sofferto. Esse perseguiteranno le loro vittime ad una fine amara. Questo Re Brahmadatta ci ha fatto un grande danno; egli ci ha rubato il nostro regno ed ha ucciso mio padre e mia madre. Lui ora è in mio potere’. Così pensando sguainò la sua spada. Poi Dighavu pensò alle ultime parole di suo padre. 'Non cercare di sapere, ma non essere neppure miope, perché l’odio non è placato dall’odio; l’odio è placato solo dal non-odio!' - Pensando così, lui mise di nuovo la sua spada nel fodero. 

"Il re finito il suo sonno si svegliò agitato, e quando il giovane chiese, 'Perché sei tu spaventato, o mio Re?' lui rispose: 'Il mio sonno è sempre senza riposo perché io spesso sogno che il giovane Dighavu stia venendo da me con la sua spada. Mentre ero qui con la mia testa appoggiata sul tuo grembo, io ebbi di nuovo quel terribile sogno; e mi sono svegliato pieno di terrore ed allarme'. Allora il giovane, posando la sua mano sinistra sulla testa del re indifeso e con la spada nella sua mano destra, disse: 'Io sono Dighavu, il figlio di Re Dighiti, a cui tu hai rubato il regno ed ucciso insieme con la sua regina, mia madre. So bene che l’uomo può superare l'odio conservato a causa del male ricevuto, molto più facilmente di quello per il male che ha fatto, e così non posso aspettarmi che tu avresti avuto pietà per me; ma io ora ho un'opportunità per la vendetta’. 

"Il re vedendo che era alla mercé del giovane Dighavu unì le sue mani e disse: ‘O mio caro Dighavu, accordami la vita. Se tu mi lasci vivo, io ti sarò per sempre grato.' E Dighavu disse, senza amarezza o malavoglia: 'Come posso accordarti la vita, O Re, se la mia vita è messa in pericolo da te? Io non voglio reclamare la tua vita. Sei tu, O Re, che devi accordarmi la mia vita!" 

"E il re disse: 'Bene, mio caro Dighavu, allora tu accordami la mia vita, ed io ti accorderò la tua'. Così, Re Brahmadatta di Kasi e il giovane Dighavu accordarono l'un l'altro la propria vita e si presero la mano l'un l'altro e giurarono di non fare più danno l'uno all'altro. 

"Poi Re Brahmadatta di Kasi disse al giovane Dighavu: 'Perché tuo padre nell’ora della sua morte ti disse: ‘Non cercare di sapere, ma non essere neppure miope, perché l’odio non è placato dall’odio; l’odio è placato solo dal non-odio!' "- cosa voleva dire tuo padre con ciò?' 

"Il giovane rispose: 'O re, quando mio padre nell'ora della sua morte disse: 'Non cercare di sapere", lui voleva dire, Non lasciarti prendere dall’odio. E quando mio padre disse ‘Non essere miope", lui voleva dire, non aver fretta di andar fuori con i tuoi amici. E quando lui disse, ‘Perché non con l’odio, l’odio è placato; l’odio è placato solo col non-odio’, lui intendeva questo: ‘Tu, o Re, hai ucciso mio padre e mia madre, e se io dovessi spogliarti della tua vita, poi i tuoi parenti a turno reclamerebbero la mia vita; e i miei parenti di nuovo spoglierebbero le loro vite. Così dall’odio, l’odio non sarebbe placato. Ma ora, O re, tu mi accordasti la mia vita, ed io ti ho accordato la tua; così l’odio è stato placato dal non-odio!' 

"Allora Re Brahmadatta di Kasi pensò: 'Come è saggio il giovane Dighavu, poiché lui ha capito la piena estensione del significato di ciò che suo padre disse in modo conciso'. Ed il re gli restituì così il regno di suo padre e gli diede in matrimonio sua figlia." 

Avendo finito la storia, il Beato disse: "Fratelli, voi siete i miei figli legali nella fede, generata dalle parole della mia bocca. I figli non dovrebbero calpestare sotto i piedi i consigli dati loro dal padre; d'ora innanzi fate in modo di seguire le mie ammonizioni. Allora i bhikkhu si riunirono in conferenza; essi poi discussero le loro diversità con reciproca buona volontà, e la concordia del Sangha fu ristabilita. 

  

I BHIKKHU RIMPROVERATI 

Una volta, accadde che il Beato camminava sù e giù all’aperto e senza scarpe. Quando gli anziani videro che il Beato camminava scalzo, misero via le loro scarpe e fecero la stessa cosa. Ma i novizi non tennero conto dell'esempio degli anziani e tennero le scarpe ai loro piedi. 

Qualcuno del fratelli osservò il comportamento irriverente dei novizi e lo disse al Beato; ed il Beato rimproverò i novizi e disse: "Se i fratelli, addirittura mentre io sto ancora vivendo, mostrano così poco rispetto e cortesia l'un verso l'altro, cosa faranno quando io sarò trapassato?" 

Il Beato era pieno di ansia per il bene della verità; così continuò: "Perfino i laici, o bhikkhu, che si muovono nel mondo impegnandosi nell'arte manuale che può loro procurare di che vivere, saranno rispettosi, affettuosi, ed ospitali verso i loro insegnanti. Perciò voi, o bhikkhu, fate in modo che la vostra luce risplenda, voi che avete lasciato il mondo e dedicato la vostra intera vita alla religione ed alla disciplina religiosa, potete osservare le regole della decenza, siate rispettosi, affettuosi, ed ospitali verso i vostri insegnanti e superiori, o quelli riconosciuti come vostri insegnanti e superiori. Il vostro comportamento, o bhikkhu, non produce la conversione di coloro che devono essere convertiti né all'aumento del numero dei fedeli. O bhikkhu, tutto ciò serve a respingere coloro che devono essere convertiti e ad alienarli. Io vi esorto ad essere più premurosi in futuro, più ragionevoli e rispettosi". 

  

LA GELOSIA DI DEVADATTA 

Quando Devadatta, figlio di Suprabuddha e di un fratello di Yasodhara, e perciò cognato del Beato, divenne un suo discepolo, aveva la speranza di raggiungere gli stessi onori e riconoscimenti di Siddhartha Gotama. Restando deluso nelle sue ambizioni, concepì nel suo cuore odio e gelosia e, tentando di superare in virtù il Perfetto, egli trovò difetti nelle sue regole e lo biasimò come troppo clemente. 

Devadatta andò a Rajagraha e ottenne l'ascolto di Ajatasattu, il figlio del Re Bimbisara. Ed Ajatasattu costruì un nuovo vihara per Devadatta, e fondò una "nétta i cui discepoli furono impegnati con regole severe e auto-mortificazione. 

Ben presto, il Beato stesso venne a Rajagraha e rimase un po’ al Veluvana-vihara. Devadatta chiamò il Beato, chiedendogli di sanzionare le sue regole con più severità, con cui potersi procurare una più grande santità. "Il corpo", lui disse, "consiste di trenta-due parti e non ha attributi divini. È concepito nel peccato e nato nella corruzione. I suoi attributi sono la predisposizione al dolore e la dissoluzione, perciò è impermanente. È il ricettacolo del karma, che è la causa delle nostre precedenti esistenze; è il luogo di dimora del peccato e delle malattie ed i suoi organi emettono continuamente disgustose secrezioni. La sua fine è la morte e la sua mèta il cimitero. Tale essendo la condizione del corpo, è d'uopo trattarlo come una carcassa piena di abominevoli sozzure e vestirlo solamente di stracci raccolti dai cimiteri o dai mucchi di immondizia". 

Il Beato disse: "Invero, il corpo è pieno di impurità e la sua fine è l’ossario, perché è impermanente e destinato ad essere dissolto nei suoi elementi. Ma essendo il ricettacolo del karma, sta in nostro potere farne un vaso di verità e non di male. Non è bene indulgere nei piaceri del corpo, ma nemmeno è bene trascurare le nostre necessità fisiche ed ammucchiare sozzura sulle impurità. La lampada che non è pulita e non è piena di petrolio si spegnerà, ed un corpo che è arruffato, sporco, ed indebolito dalle penitenze non sarà un appropriato ricettacolo per la luce della verità. Fate attenzione al vostro corpo ed alle sue necessità, così come trattereste una ferita di cui vi preoccupate, pur senza amarlo. Regole più severe non serviranno a condurre i discepoli sul sentiero mediano, che io ho insegnato. Certamente, nessuno può essere prevenuto dal tenere regole più severe, se vede l'utilità di farlo, ma non si dovrebbe imporle a nessuno, perché esse non sono necessarie." 

Così il Tathagata rifiutò la proposta di Devadatta; e Devadatta lasciò il Buddha ed andò nel vihara sparlando male del sentiero di salvezza del Signore, come troppo clemente ed insieme insufficiente. Quando il Beato seppe gli intrighi di Devadatta, disse: "Fra gli uomini non c’è nessuno che non sia biasimato. La gente biasima sia chi siede silenzioso e sia chi parla, essi poi biasimano anche colui che predica il sentiero mediano." 

Devadatta istigò Ajatasattu ad andare contro il il re suo padre, Bimbisara, così che il principe non fosse più soggetto a lui. Bimbisara fu imprigionato da suo figlio in una torre, dove morì, lasciando il suo regno di Magadha al figlio Ajatasattu. 

Il nuovo re ascoltò i cattivi consigli di Devadatta, e diede ordini di reclamare la vita del Tathagata. Tuttavia, gli assassini mandati per uccidere il Signore, non poterono compiere la loro cattiva azione perché si convertirono appena lo videro ed ascoltarono la sua predica. La roccia lanciata in giù da un precipizio sopra il grande Maestro si divise in due, e i due pezzi passarono da entrambi i lati senza fare alcun danno. Nalagiri, l'elefante selvaggio lasciato sciolto al fine di uccidere il Signore, in sua presenza divenne gentile; ed Ajatasattu, patendo grandemente i tormenti della sua coscienza, andò dal Beato e cercò la pace dalla sua angoscia. 

Il Beato ricevette gentilmente Ajatasattu e gli insegnò il metodo della salvezza; ma Devadatta tentò ancora di diventare fondatore di una sua propria scuola religiosa. Però, Devadatta non riuscì nei suoi piani e fu abbandonato da molti dei suoi discepoli, precipitò ammalato, e poi si pentì. Egli implorò quelli che erano rimasti con lui di portare il suo letto dal Buddha, dicendo: "Figli miei, portatemi da lui; sebbene io sia stato cattivo con lui, sono sempre suo cognato. Grazie alla nostra relazione il Buddha mi salverà". E loro eseguirono, anche se di malavoglia. 

Devadatta era impaziente di vedere il Beato sorgere vicino al suo letto, ma poi i suoi corrieri se ne lavarono le mani. Poi i suoi piedi presero fuoco sotto di lui; egli sprofondò in terra; e, cantando un inno sul Buddha, morì. 

 

NOME E FORMA 

In una occasione, il Beato entrò nella sala dell’assemblea ed i fratelli interruppero la loro conversazione. Quando l’ebbero salutato a mani giunte, essi si sedettero e rimasero composti. Allora il Beato disse: "Le vostre menti sono infiammate da un intenso interesse; quale era il tema della vostra discussione?" 

Sariputta si alzò e parlò: "Maestro Onorato dal Mondo, era la natura della propria esistenza come uomini. Noi stavamo tentando di afferrare la mistura del nostro proprio essere, che è stato chiamato ‘Nome e Forma’. Ogni essere umano consiste di formazioni, e ci sono tre gruppi che non sono corporei. Essi sono la sensazione, la percezione, e le predisposizioni o tendenze; tutte e tre costituiscono la mente o coscienza, essendo comprese sotto il termine ‘Nome’. E vi sono quattro elementi, l'elemento terra, l'elemento acqua, l'elemento fuoco, e l'elemento aria, e questi quattro elementi costituiscono la forma fisica o corporea dell’uomo, essendo tenuti insieme di modo che questa macchina si muova come un burattino. Come questo ‘nome e forma’ resiste e come può vivere?" 

Il Beato rispose: "La vita è istantanea e chi vive sta già morendo. Proprio come una ruota rotolante del carro rotola solo in un certo punto del cerchio, e quando rimane ferma resta solamente in un certo punto; precisamente allo stesso modo, la vita di un essere vivente dura soltanto per il tempo di un solo pensiero. E’ detto che appena quel pensiero è cessato anche l'essere cessa. Com’è stato inoltre detto: 'L'essere di un momento di pensiero passato ha vissuto, ma non vive più, né vivrà. L'essere di un momento di pensiero futuro vivrà, ma non ha vissuto, né vive. L'essere del momento di pensiero presente vive, ma non ha vissuto, né vivrà' 

"Riguardo a ‘Nome e Forma’, noi dobbiamo capire come interagiscono. Il Nome non ha suo proprio potere, né può seguire il suo proprio impulso, come mangiare o bere, o emettere suoni, o fare un movimento. Anche la Forma è senza il potere e non può seguire il suo proprio impulso. Non ha nessun desiderio di mangiare, o bere, o emettere suoni, o fare un movimento. Ma la Forma lo esegue, quando è sostenuta dal Nome, e il Nome quando è sostenuto dalla Forma. Quando il Nome ha un desiderio di mangiare, o bere, o emettere suoni, o fare un movimento, allora la Forma mangia, beve, emette suoni, e fa un qualche movimento. 

"È come se due uomini, uno cieco dalla nascita e l'altro zoppo, fossero desiderosi di viaggiare, e l’uomo cieco dalla nascita dicesse allo zoppo: 'Guarda! Io sono in grado di usare le mie gambe, ma non ho occhi con cui vedere i luoghi ruvidi e quelli lisci nella strada'. E lo zoppo dicesse all'uomo cieco dalla nascita: 'Guarda! Io sono capace di usare i miei occhi, ma non ho gambe con cui andare avanti ed indietro'. E l’uomo cieco dalla nascita, assai lieto e contento facesse salire lo zoppo sulle sue spalle. E lo zoppo seduto sulle spalle dell'uomo cieco dalla nascita lo guidasse, dicendo, 'Lascia la sinistra e vai sulla destra; lasci la destra e vai sulla sinistra!'. 

"Qui l’uomo cieco dalla nascita è debole, senza il suo proprio potere, e non può andare da nessuna parte di sua propria volontà o forza. Anche lo zoppo è debole e senza il suo proprio potere, e non può andare da nessuna parte di sua propria volontà o forza. Eppure, quando si sostengono mutuamente l'un l'altro, per loro non è impossibile andare da qualunque parte. Precisamente allo stesso modo, il Nome è senza il suo proprio potere, e non può saltare su di sua propria forza, né compiere questa o quell'azione. Anche la Forma è senza il suo proprio potere, e non può saltare su di sua propria forza, né compiere questa o quell'azione. Eppure quando si sostengono mutuamente l'un l'altra, per loro non è impossibile saltare su e proseguire. 

“Non c'è nessuna materia che esiste per produrre Nome e Forma; e quando Nome e Forma cessano, non vanno in nessun posto nello spazio. Dopo che Nome e Forma sono cessati, essi non esistono più in nessun luogo, nulla più dei cumuli di materia musicale. Quando si suona un liuto, non c'è nessun precedente accumulo di suono; e quando la musica cessa non va in nessun luogo nello spazio. Quando la musica è cessata, non esiste nessun luogo in cui poterla immagazzinare. Essen-do stata non-esistente prima, essa entrò in esistenza grazie alla dura struttura del liuto ed alla bravura del suonatore; e come è entrata in esistenza così svanisce. Allo stesso modo, tutti gli elementi dell’essere, corporei e non-corporei entrano in esistenza dopo essere stati non-esistenti in precedenza; ed essendo entrati nella esistenza, prima o dopo svaniscono. 

Non c'è un ‘sé’ che risiede in Nome e Forma, ma la cooperazione delle formazioni produce ciò che le persone chiamano ‘un uomo’. Proprio come la parola 'il carro' non è che una maniera di esprimere le assi, le ruote, il corpo del carro e gli altri costituenti, nella loro corretta combinazione, così un essere vivente è l’apparenza degli aggregati insieme coi quattro elementi, nel modo in cui essi si sono riuniti in un'unità. Non c'è nessun ‘sé’ nella carrozza e nessun ‘sé’ nell’uomo. O Bhikkhu, questa dottrina è sicura ed è una verità eterna, che non c'è nessun ‘sé’ aldifuori delle sue parti. Questo nostro ‘sé’, che è ciò costituisce Nome e Forma, è una combinazione degli aggregati con i quattro elementi, ma non c'è l’entità di un ego, nessun ‘sé’ in se stesso. 

"Benché possa sembrare paradossale: C'è un sentiero su cui camminare, c’è un cammino che viene fatto, ma non c'è un viaggiatore. Ci sono atti che vengono fatti, ma non c'è chi li fa. C'è un soffiare dell'aria, ma non c'è nessun vento che soffia. Il pensiero del ‘sé’ è un errore e tutte le esistenze sono vuote come l'albero di piantaggine, e vuote come bolle d’acqua. 

"Perciò, o bhikkhu, poiché non vi è nessun ‘sé’, non c'è trasmigrazione di un ‘sé’; ma ci sono le azioni e l'effetto continuato delle azioni. C'è la rinascita di un karma; c'è la reincarnazione. Questa rinascita, questa reincarnazione, questa riapparizione delle formazioni è continua e costante, e dipende dalla legge di causa ed effetto. Proprio come un sigillo è impresso sulla cera che riproduce le configurazioni della sua struttura, così i pensieri degli uomini, i loro caratteri, le loro aspirazioni sono impresse su altri esseri, in un continuo trasferimento, e continuano il loro karma, e le buone azioni continueranno nelle benedizioni, mentre quelle cattive avranno continuità nelle maledizioni. 

“Qui non c'è un’entità che emigra, nessun ‘sé’ è trasferito da un luogo ad un altro; ma qui c'è una voce che è emessa e il suo eco che ritorna. Il maestro pronuncia una strofa ed il discepolo che attentamente ascolta l'istruzione del suo insegnante, ripete la strofa. Così la strofa è rinata nella mente del discepolo. Il corpo è un composto di organi deteriorabili. È soggetto al decadimento; e noi dovremmo prenderci cura di esso come una ferita o un dolore; dovremmo fare attenzione alle sue necessità senza esserne legati, e senza doverlo necessariamente adorare. Il corpo è come una macchina, in esso non c'è nessun ‘sé’ che lo fa camminare o agire, ma sono i pensieri che, come l’elemento del vento, fanno sì che la macchina lavori. Il corpo si muove proprio come un carro. Perciò è detto: 

"Come le navi sono spinte dal vento che soffia sulle vele, 

"Come le frecce volano da un arco con la corda metallica, 

"Così, quando la forza del pensiero lo dirige, 

"Il corpo, mettendosi in moto, prosegue l’andare. 

"Proprio come macchine che sono mosse da corde, 

"Così sono i meccanismi e le cavità del corpo; 

"Obbedienti allo stimolo potente della mente, 

"I nostri muscoli e le nostre membra si muovono. 

"Qui non c’è nessun ‘sé’ o ‘Io’ indipendente, 

"Ma molte forze mobili riunite insieme; 

"Il nostro carro è maneggiato dalla mente, 

"Ed il nostro karma, sono i cavalli di questo carro". 

"Solo colui che all’improvviso abbandona ogni pensiero di ego, potrà sfuggire le trappole del Male ed è fuori della portata di Mara. Così il tentatore che promette il piacere dice: 

"Finché a quelle cose chiamate ‘Io’ ed 'il mio', 

"Il vostro cuore affamato ancora si aggrappa - 

"Tutte le mie trappole voi non potrete sfuggire”. 

"Il fedele discepolo risponde: niente ‘io’ e niente ‘mio’, 

"La mente non è il ‘sé’! Così Mara, io dico a te, 

"Il mio sentiero tu non potrai mai scovare! ". 

"Eliminate l'errore del ‘sé’ e non aggrappatevi ai possessi che sono transitori, ma compite atti che sono buoni, perché le buone azioni danno frutti e il vostro karma continua negli atti. 

"Poiché, allora, o bhikkhu, non c'è nessun ‘sé’, non ci può essere un ‘dopo la vita’ del ‘sé’. Perciò abbandonate ogni pensiero del ‘sé’. Ma poiché ci sono gli atti e poiché gli atti hanno una continuità, siate accurati coi vostri atti. Tutti gli esseri hanno il karma come loro origine: essi sono eredi del loro karma; essi sono nati dal loro karma; il loro karma è il loro genitore; il loro karma è il loro rifugio; è il karma che destina gli esseri alla meschinità o alla grandezza. 

"In vita con le ultime doglie, assalito dalla morte,

"Per far finire tutte le tue gioie e i tuoi dolori, 

"Cos’è che possiedi, qual è il tuo compenso? 

"Cosa ti resterà, quando sarai andato via da qui? 

"Che cos’è che, come un'ombra, sempre ti segue 

"E anche nell’Aldilà sarà la tua sola eredità? 

"Sono solo i tuoi atti, sia buoni che cattivi; 

"Niente altro può essere, dopo la tua morte. 

"I tuoi atti sono la tua unica ricompensa; 

"Essi sono i tuoi possessi, quando andrai via da qui; 

"Essi sono la tua ombra, che sempre ti segue 

"E anche nell’Aldilà sarà la tua sola eredità. 

"Allora, lascia tutto qui e compi buone azioni, 

"Per il futuro benessere, metti da parte un tesoro; 

"C’è da raccogliere una messe di semi nobili, 

"Che è una beatitudine che aumenta sempre". 

  

  

LA META 

Il Beato così si rivolse ai bhikkhu: "E’ attraverso la non-comprensione delle quattro nobili verità, o bhikkhu, che noi dovremmo vagare a lungo nel faticoso sentiero del samsara, voi ed io. 

"Attraverso il contatto il pensiero è nato dalla sensazione, ed è rinato da una riproduzione della sua forma. Cominciando dalle forme più semplici, la mente si eleva e cade secondo le azioni, ma le aspirazioni di un Bodhisattva perseguono il retto sentiero della saggezza e della rettitudine, finché raggiungono la perfetta Illuminazione nel Buddha. 

"Tutte le creature sono quelle che sono, attraverso il karma dei loro atti fatti nelle esistenze precedenti ed in quella presente. 

"La natura razionale dell’uomo è una scintilla di vera luce; è il primo passo sulla Via diretta verso l'alto. Ma nuove rinascite sono richieste per assicurare un'ascesa verso la vetta dell’esistenza, l’Illuminazione di cuore e mente, in cui è ottenuta l’incommensurabile luce della comprensione morale, che è la fonte di ogni virtù. Avendo raggiunto questa rinascita più elevata, io ho trovato la verità e vi ho insegnato il nobile sentiero che conduce alla Città della Pace. Io vi ho mostrato la Via verso il lago di ambrosia che lava via ogni desiderio malvagio. Io vi ho dato la rinfrescante bevanda chiamata ‘percezione della verità’, e colui che la beve diviene libero da eccitazioni, passioni e azioni sbagliate. 

"Molti dèi invidiano la beatitudine di colui che è sfuggito dai flussi delle passioni e ha scalato le scogliere del Nirvana. Il cui cuore è libero da tutte le illusioni e purificato da ogni contaminazione. Egli è come il loto che cresce nell'acqua, anche se neppure una goccia di acqua aderisce ai suoi petali. L'uomo che cammina sul nobile sentiero vive nel mondo, eppure il suo cuore non è contaminato da desideri mondani. 

"Colui che non vede le quattro nobili verità, che non capisce le tre caratteristiche e che non è radicato nell'Increato, ha ancora un lungo sentiero da attraversare con ripetute nascite attraverso il deserto dell'ignoranza, coi suoi miraggi illusori, ed attraverso la palude del male. Ma ora che voi avete ottenuto la comprensione, la causa di ulteriori migrazioni e aberrazioni è rimossa. La meta è raggiunta. La bramosia dell'egoismo è distrutta, la verità è ottenuta. Questa è vera liberazione; questa è la salvezza; questo è il paradiso e la beatitudine di una vita immortale." 

 

MIRACOLI PROIBITI 

Jotikkha, figlio di Subhadra, era un capofamiglia che viveva in Rajagraha. Avendo ricevuto una preziosa ciotola di sandalo decorata con gioielli, egli eresse un lungo palo davanti alla sua casa e mise la ciotola sulla cima con questa leggenda: ‘Se un samana dovesse prendere questa ciotola senza usare una scala o un bastone con un gancio, o senza scalare il palo, bensì con un potere magico, egli riceverà come ricompensa qualunque cosa desidera’. 

La gente si rivolse al Beato, piena di meraviglia e dicendo con parole di encomio: "Grande è il Tathagata. I suoi discepoli compiono miracoli. Kassapa, il discepolo del Buddha vide la ciotola sul palo di Jotikkha e, protendendo la sua mano, lui la prese giù, trasportandola trionfante al vihara". 

Allorché il Beato seppe ciò che era accaduto, andò da Kassapa e, rompendo la ciotola in pezzi, proibì ai suoi discepoli di compiere miracoli di alcun genere. 

Poco dopo questo fatto, in una delle stagioni piovose successe che molti bhikkhu stavano nel territorio di Vajji durante una carestia. Ed uno dei bhikkhu propose ai suoi fratelli che essi avrebbero dovuto lodarsi l'un l'altro davanti ai padroni di casa del villaggio, dicendo: "Questo bhikkhu è un santo; lui ha visto visioni celestiali; e quel bhikkhu possiede doni soprannaturali; lui può operare miracoli." E gli abitanti di un villaggio dissero: "È una fortuna per noi, che tali santi stiano passando con noi la stagione piovosa." E così fecero volentieri abbondanti offerte, ed i bhikkhu prosperarono e non patirono la carestia. 

Quando il Beato lo seppe, disse ad Ananda di riunire i bhikkhu, e poi chiese loro: "Ditemi, o bhikkhu, quand’è che un bhikkhu cessa di essere un bhikkhu?" 

E Sariputta rispose: "Un discepolo ordinato non deve commettere atti impudici. Il discepolo che commette un atto impudico non è più un discepolo del Sakyamuni. Ancora, un discepolo ordinato non deve prendere nulla se non quello che gli viene dato. Il discepolo che da solo prende, sia pure poco, non è più un discepolo del Sakyamuni. E un discepolo ordinato non deve, di proposito e infine malignamente, spogliare della vita alcuna creatura innocua, neanche un lombrico o una formica. Il discepolo che di proposito e malignamente spoglia qualche creatura innocua della sua vita non è più un discepolo del Sakyamuni. Queste sono le tre grandi proibizioni".

Ed il Beato indirizzandosi ai bhikkhu, disse: "C'è un'altra grande proibizione che io vi dichiaro: Un discepolo ordinato non deve vantarsi di alcun potere sovrumano. Il discepolo che si vanta di un potere sovrumano, con intenzione malvagia e bramosa, sia di visioni celestiali o miracoli, non è più un discepolo di Sakyamuni. Io vi proibisco, o bhikkhu, di applicare incantesimi o suppliche perché sono inutili, e perché la legge del karma governa tutte le cose. Colui che tenta di compiere miracoli non ha capito la dottrina del Tathagata." 

  

LA VANITÀ DELLA MONDANITÀ 

C'era un poeta che aveva acquisito il puro occhio della verità. Egli credeva nella dottrina del Buddha, che gli dava la pace della mente e il conforto nei momenti di afflizione. Accadde che un'epidemia spazzò via il paese dove lui viveva, così che molti morirono, e tutte le persone erano terrorizzate. Alcuni tremavano di paura, e temendo per il loro destino, erano tormentati con tutti gli orrori della morte, prima ancora di morire, mentre altri presero ad essere allegri, gridando rumorosamente, "Godiamoci l’oggi, perché non sappiamo se domani vivremo"; tuttavia la loro allegria non era di una genuina contentezza, ma una mera finzione e affettazione. 

Durante la pestilenza, il poeta buddhista viveva come al solito, imperturbabile e calmo, fra tutti questi uomini e donne mondani che tremavano di ansia, aiutando dovunque poteva, confortando gli ammalati, calmando i loro dolori con medicine e consolazione religiosa. Ed un uomo venne da lui e disse: 

"Il mio cuore è nervoso ed agitato, perché io vedo morire le persone. Io non sono ansioso per gli altri, ma tremo per me. Aiutami; guariscimi dalla mia paura." 

Il poeta rispose: "L’aiuto c’è per chi ha compassione per gli altri, ma non c'è aiuto per te, finché tu sei così attaccato solo a te stesso. Duri momenti aspettano gli esseri umani per insegnar loro rettitudine e carità. Come puoi tu testimoniare queste tristi visioni intorno a te ed essere ancora così pieno di egoismo? Come puoi vedere i tuoi fratelli, sorelle, ed amici soffrire, e non dimenticare la piccola brama concupiscente del tuo proprio cuore?" Cogliendo la disperazione nella mente dell'uomo che cercava il suo piacere, il poeta buddhista compose questo canto e lo insegnò al fratelli nel vihara: 

"Finché non prenderete rifugio nel Buddha e non troverete la pace nel Nirvana, 

"La vostra vita non è nient’altro che vanità, vuota e desolata. 

"Guardare al mondo è inutile, e godere della vita è vano. 

"Il mondo, incluso l’uomo, è come un fantasma,

"E la speranza nel paradiso è come un miraggio. 

"Il mondano cerca i piaceri, ingrassandosi come un uccello ingabbiato, 

"Ma i santi buddhisti volano su nel sole come la selvatica gru. 

"L'uccello nella stia ha cibo, ma sarà presto bollito nella pentola; 

"Nessuno si interessa della selvatica gru, ma i cieli e la terra sono suoi. 

"I tempi sono duri ed insegnano una lezione alla gente;

"Eppure, le persone ancora non ne tengono conto...!"

Il poeta così disse, e compose un altro poema sulla vanità della mondanità: 

"È bene riformarsi, ed è bene esortare le persone a riformarsi. 

"Le cose del mondo prima o dopo saranno tutte spazzate via. 

"Lasciate che gli altri siano tutti occupati a seppellirsi con cura. 

"La mia mente totalmente imperturbabile resterà sempre pura. 

"Essi agognano i piaceri ma non trovano la soddisfazione; 

"Desiderano le ricchezze e non possono averne mai abbastanza. 

"Essi sono come dei burattini tenuti su da una cordicella. 

"Quando la corda si rompe vengono giù con un gran botto. 

"Nel dominio della morte, non vi è né grande né piccolo; 

"Non ha valore né l’oro né l’argento, e nemmeno gioielli preziosi. 

"Nessuna distinzione è fatta tra chi è il più alto e chi è il più basso. 

"E ogni giorno, i morti sono seppelliti sotto le fragranti zolle erbose. 

"Guarda il sole che scompare dietro alle colline occidentali. 

"Anche tu dovrai giacere giù per restarvi, ma presto il gallo annuncerà il mattino. 

"Perciò, riformati oggi e non aspettare che sia troppo tardi 

"Non dire che è presto, perché il tempo passa rapidamente. 

"È bene riformarsi, ed è bene esortare le persone a riformarsi. 

"È bene condurre una retta vita e prendere rifugio nel nome del Buddha. 

"I tuoi meriti possono giungere fino al cielo, la ricchezza può essere immensa - 

"Ma tutto è invano, a meno che non raggiungerai la pace del Nirvana." 

  

SEGRETEZZA E PROPAGANDA 

Il Buddha disse: "Tre cose, o discepoli, sono caratterizzate dalla segretezza: le faccende amorose, la saggezza dei preti, e tutte le aberrazioni dal sentiero della verità. O discepoli, le donne innamorate cercano la segretezza ed evitano la pubblicità; O discepoli, i preti che dichiarano di essere in possesso di rivelazioni speciali, cercano la segretezza ed evitano la pubblicità; tutti quelli che deviano dal sentiero della verità, o discepoli, cercano la segretezza ed evitano la pubblicità. 

"Tre cose, o discepoli, sono quelle che splendono davanti al mondo e non possono essere nascoste. Quali sono? La luna, o discepoli, illumina il mondo e non può essere nascosta; il sole, o discepoli, illumina il mondo e non può essere nascosto; e la verità proclamata dal Tathagata illumina il mondo e non può essere nascosta. Queste tre cose, o discepoli, illuminano il mondo e non possono essere nascoste. Riguardo ad esse, non può esservi segretezza". 

  

L'ANNIENTAMENTO DELLA SOFFERENZA 

Disse il Buddha: "Cos’è, amici miei, che è male? Uccidere è male; rubare è male; alimentare una passione sessuale è male; mentire è male; calunniare è male; l'abuso è male; il pettegolezzo è male; l'invidia è male; l’odio è male; aggrapparsi alle false dottrine è male; tutte queste cose, o miei amici, sono il male. 

"E qual’è, amici miei, la radice del male? Il desiderio è la radice del male; l’odio è la radice del male; l’illusione è la radice del male; queste tre cose sono la radice del male. 

"E, tuttavia, cos’è bene? Astenersi dall'uccidere è bene; astenersi dal furto è bene; astenersi dalla sensualità è bene; astenersi dalla falsità è bene; astenersi dalle calunnie è bene; eliminare la scortesia è bene; abbandonare il pettegolezzo è bene; sopprimere l’invidia è bene; eliminare l’odio è bene; l'obbedienza alla verità è bene; tutte queste cose sono il bene. 

"E qual’è, amici miei, la radice del bene? Libertà da desiderio è la radice del bene; libertà dall’odio, e libertà dalla illusione; queste tre cose, amici miei, sono la radice del bene. 

"E, tuttavia, o fratelli, cos’è la sofferenza? Qual’ è l'origine della sofferenza? Qual’è l'annientamento della sofferenza? La nascita è sofferenza; la vecchiaia è sofferen-za; la malattia è sofferenza; la morte è sofferenza; il dolore e l’angoscia sono sofferenza; l'afflizione e la disperazione sono sofferenza; essere uniti con cose che non piacciono è sofferenza; la perdita di ciò che noi amiamo ed il fallimento nel raggiungere ciò che è bramato, è sofferenza; tutte queste cose, o fratelli, sono sofferenza. 

"E qual’è, o fratelli, l’origine della sofferenza? È la concupiscenza, la passione, e la sete per l’esistenza, il desiderare ovunque il piacere che conduce ad una rinascita continua dell’io, è la sensualità, il desiderio, l'egoismo; tutte queste cose, o fratelli, sono l'origine della sofferenza. 

"E qual’è l'annientamento della sofferenza? E’ il radicale e totale annientamento di questa sete, e l'abbandono, il rilascio, la liberazione dalle passioni che, o fratelli, è l'annientamento della sofferenza. 

"E qual è, o fratelli, il sentiero che conduce all'annientamento della sofferenza? È il santo Ottuplice Sentiero che conduce all'annientamento della sofferenza, il quale consiste di corretta visione, corretta intenzione, corretto parlare, corretta azione, corretto modo di vivere, corretto pensiero, corretto sforzo, e corretta meditazione. 

"E quindi, o amici, come un giovane nobile riconosce così la sofferenza e l'origine della sofferenza, così egli riconosce l'annientamento della sofferenza, e percorre il sentiero che conduce all'annientamento della sofferenza, abbandonando in modo radicale la passione, soggiogando la collera, annullando la vana presunzione di un "Io-sono", eliminando l'ignoranza, e raggiungendo l’Illuminazione, così egli farà anche finire ogni sofferenza in questa vita." 

  

EVITARE I DIECI MALI 

Il Buddha disse: "Evitando i dieci mali, tutte le azioni degli esseri viventi diventano buone mentre, a causa dei dieci mali, esse diventano malvagie. Ci sono tre azioni malvagie del corpo, quattro della parola e tre della mente. 

"Le azioni malvagie del corpo sono, assassinio, furto, e adulterio; quelle della parola, menzogna, calunnia, insulti, e discorsi inutili; quelle della mente, bramosia, odio, ed errore. 

"Io vi esorto ad evitare i dieci mali: 1. non uccidere, ma abbiate riguardo per la vita. 2. non rubare; voi non dovete rubare, ma aiutare tutti ad essere padroni del frutto del proprio lavoro. 3. astenersi dalla non-purezza, e condurre una vita nella castità. 4. non mentire, ma essere veritieri. Dite la verità con discrezione, senza paura e con un cuore amorevole. 5. non parlate male degli altri, neanche voi. Non cavillate, ma cercate i lati buoni dei vostri simili, così da poterli difendere con sincerità contro i loro nemici. 6. non giurate a sproposito, ma parlate con decenza e dignità. 7. non sprecate il vostro tempo con pettegolezzi, ma parlate a proposito o restate in silenzio. 8. non abbiate desideri, né invidia, ma siate lieti alle fortune di altre persone. 9. purificate il vostro cuore dalla malevolenza e non intrattenete  odio, neanche contro i vostri nemici; ma abbracciate tutti gli esseri viventi con gentilezza. 10. Liberate la vostra mente dall'ignoranza e siate ansiosi di imparare la verità, specialmente nella sola cosa che è indispensabile affinché non dobbiate precipitare in preda allo scetticismo o agli errori. Siate indifferenti allo scetticismo agli ed errori, altrimenti essi vi condurranno fuori strada, così che  non troverete più il nobile sentiero che conduce alla vita eterna". 

  

LA MISSIONE DEL PREDICATORE 

Il Beato disse ai suoi discepoli: "Quando io sarò trapassato via e non potrò più parlarvi né edificare le vostre menti con discorsi religiosi, selezionate fra di voi gli uomini di buona famiglia e di istruzione per predicare la verità al mio posto. E fate in modo che quegli uomini siano investiti con gli abiti del Tathagata, permettete loro di entrare nella dimora del Tathagata, ed occupare il pulpito del Tathagata. 

"L’abito del Tathagata è sublime indulgenza e pazienza. La dimora del Tathagata è la carità e l’amore per tutti gli esseri. Il pulpito del Tathagata è la comprensione della buona legge nel suo significato astratto così come nella sua particolare applicazione.

"Il predicatore deve proporre la verità con una mente impavida. Egli deve avere il potere di persuasione radicato nella virtù e nella severa fedeltà ai suoi voti. Il predicatore deve tenere un atteggiamento corretto e deve essere stabile nel suo corso. Non deve adulare la sua vanità cercando la compagnia dei potenti, né deve essere in società con persone frivole ed immorali. Quando è sotto tentazione, egli dovrebbe continuamente pensare al Buddha e così potrà vincerla. Il predicatore deve ricevere con benevolenza tutti coloro che vengono a sentire la dottrina, ed il suo sermone deve essere senza invidia o superbia. Il predicatore non deve essere incline a criticare gli altri, o biasimare gli altri predicatori; non deve scandalizzare, né propagare parole amare. Egli non deve menzionare per nome gli altri discepoli per vituperarli o per rinfacciare il loro comportamento. 

"Vestito con un abito decente, di colore morbido, con modi adatti, egli deve salire il pulpito con una mente libera da biasimo ed in pace col mondo intero. Lui non deve trovare piacere in dispute e contese né prendere parte in controversie, come pure mostrare la superiorità del suo talento, ma deve essere calmo e composto. Nessun sentimento ostile dovrà mai risiedere nel suo cuore, ed egli non dovrà mai abbandonare la disposizione di carità verso tutti gli esseri. Suo solo scopo deve essere che tutti gli esseri diventino dei Buddha. Che il predicatore si applichi con zelo al suo lavoro, e i Tathagata mostreranno a lui il corpo della santa legge nella sua gloria trascendente. Egli dal Tathagata sarà onorato come un benedetto. Il Tathagata benedirà il predicatore ed anche quelli che riverentemente lo ascoltano e gioiosamente accettano la dottrina. 

"Tutti quelli che ricevono la verità troveranno l’Illuminazione perfetta. E, invero, il potere della dottrina è tale che anche con la lettura di una sola stanza, o recitandola, copiandola, e ricordando una sola frase della buona legge, le persone possono essere convertite alla verità e possono essere introdotte nel sentiero della rettitudine che conduce alla liberazione dal male. Le creature che sono scosse da impure passioni, quando ascoltano la ‘voce’, saranno purificate. Gli ignoranti che sono infatuati con le follie del mondo, ponderando sulla profondità della dottrina, otterranno la saggezza. Quelli che agiscono sotto l'impulso di odio ed ira, quando prendono rifugio nel Buddha, saranno pieni di benevolenza ed amore. 

"Un predicatore deve essere pieno di energia, e di gioiosa speranza, non deve mai stancarsi e mai disperare del successo finale. Un predicatore deve essere come un uomo alla ricerca di acqua che scava un pozzo in un territorio arido. Finché vede che la sabbia è asciutta e bianca, lui sa che l'acqua è ancora lontana. Ma che egli non si agiti né rinunci al suo compito, come se fosse senza speranza. Il suo lavoro di rimuovere la sabbia asciutta deve essere fatto, così che lui possa scavare ancor più in profondità nel terreno. E spesso, più profondamente egli dovrà scavare, più pura, più refrigerante e rinfrescante sarà l'acqua. Quando, dopo un po' di tempo che scava, egli vede che la sabbia diventa umida, lo prende come un fatto che l'acqua è vicina. Così finché le persone non ascoltano le parole della verità, il predicatore sa che deve scavare sempre più in profondità nei loro cuori; ma quando cominceranno a tener conto delle sue parole, egli capisce che esse rag-giungeranno presto l’Illuminazione. 

"Nelle vostre mani, O uomini di buona famiglia ed istruzione che avete fatto il voto di predicare le parole del Tathagata, il Beato trasferisce, infonde e affida la buona legge della verità. Ricevete dunque la buona legge della verità, mantenetela, leggetela e rileggetela, approfonditela, propagatela, e predicatela a tutti gli esseri in tutti i quadranti dell'universo. 

"Il Tathagata non è avido, né meschino, ed è disposto ad impartire la conoscenza perfetta del Buddha a tutti coloro che sono pronti e disposti a riceverla. Voi siete come Lui. Imitatelo e seguite il suo esempio generosamente dando, mostrando, e offrendo la verità. Raggruppate intorno a voi gli ascoltatori che amano ascoltare le benigne e confortanti parole della legge; stimolate gli increduli ad accettare la verità e riempiteli di delizia e gioia. Svegliateli, spronateli, ed elevateli sempre più in alto affinché vedano davanti ad essi la verità in tutto il suo splendore e gloria infinita." 

Quando il Beato ebbe così parlato, i discepoli dissero: "O Tu, che ci allieti con la tua gentilezza, che ha la sua origine nella compassione, Tu, la grande nuvola di buone qualità e di mente benevola, Tu che spegni il fuoco che brucia gli esseri viventi, tu che ci inondi di nettare, la dolce pioggia della legge! Noi, o Signore, faremo quello che il Tathagata comanda. Noi compieremo il suo volere; il Signore, ci troverà obbedienti alle sue parole." 

E questo voto dei discepoli echeggiò attraverso l'universo, e come un'eco esso è ritornato da tutti i Bodhisattva che saranno e verranno a predicare la buona legge della Verità alle generazioni future. 

Ed il Beato disse: "Il Tathagata è simile ad un re potente che domina il suo regno con rettitudine, ma essendo attaccato da nemici invidiosi va fuori ad intraprendere la guerra contro i suoi nemici. Quando il re vede i suoi soldati lottare, è entusiasta per il loro coraggio e darà loro doni di ogni tipo. Voi siete i soldati del Tathagata, mentre Mara, il Maligno, è il nemico che deve essere vinto. E perciò il Tathagata darà ai suoi soldati la città del Nirvana, la grande capitale della buona legge. E quando il nemico sarà vinto, il Dharma-raja, il grande re della verità, donerà a tutti i suoi discepoli la corona più preziosa, con il gioiello che porta la perfetta illuminazione, la suprema saggezza, e la pace imperturbabile". 

  

L'INSEGNANTE 

Questo è il Dhammapada, il sentiero della religione perseguito da quelli che sono i seguaci del Buddha: Esseri che derivano il loro carattere dalla mente; essi sono menti-messe in ordine, menti-prodotte. La Mente è la fonte sia della beatitudine che della corruzione. Il male è creato da se stessi; e a causa di se stessi si soffre; da se stessi poi il male è non fatto; da se stessi ci si purifica. La purezza e la non-purezza appartengono a se stessi, nessuno può purificare un altro. Voi stessi dovete fare lo sforzo. I Tathagata sono soltanto predicatori. Il meditante che entra nella Via è liberato dalla schiavitù di Mara. Colui che non si sveglia quando è ora di alzarsi; Colui che, sebbene giovane e forte, è pieno di accidia; Colui la cui volontà ed i pensieri sono deboli; questi esseri pigri ed inattivi non troveranno mai la Via per l’Illuminazione. 

Se un uomo ci tiene a se stesso, che si osservi attentamente; la verità protegge chi protegge se stesso. Se un uomo fa su di sé ciò che lui insegna agli altri, allora, essendosi sottomesso, lui può soggiogare gli altri; il proprio ‘sé’ è davvero difficile da sottomettere. Se degli uomini conquistano in battaglia mille volte mille uomini, e se un altro conquista se stesso, quest’ultimo è il più grande dei conquistatori. E’ da sciocchi, sia laici che membri del clero, pensare “Questo è fatto da me. Gli altri possono essere soggetti a me. In questa o quell'operazione, una parte preminente dovrebbe essere giocata da me". Gli sciocchi non si curano del dovere che deve essere compiuto o dello scopo a cui arrivare, ma pensano solo a se stessi. Ogni cosa non è altro che un piedistallo per la loro vanità. 

E’ facile fare cattive azioni, ed atti che fanno male a noi stessi; ciò che dà benefici e benessere, quello è molto difficile. Se una cosa dev’essere fatta, lasciate che un uomo la faccia, che la attacchi con vigore! Fra non molto, ahimè! questo corpo giacerà sulla terra, disprezzato, senza poter capire, come un inutile tronco; eppure la nostra mente resisterà e sarà ancora in grado di emettere pensieri, e produrrà azione. I pensieri buoni produrranno buone azioni, e i pensieri cattivi produrranno le cattive azioni. 

La serietà è il sentiero dell'immortalità, l'avventatezza il sentiero della morte. Quelli che sono seri e motivati non muoiono; quelli che sono avventati sono come se fossero già morti. Quelli che immaginano di trovare la verità nella falsità, e vedono la falsità nella verità, non arriveranno mai alla verità, ma seguiranno i loro vani desideri. Coloro che conoscono la verità come verità, e la falsità come falsità, arriveranno alla verità, e seguiranno i loro desideri veri e puri. Come la pioggia che penetra attraverso il tetto di paglia di una casa malandata, tutte le passioni penetreranno in una mente non-riflessiva. Come la pioggia che non penetra in una casa ben coperta, così le passioni non penetreranno in una mente che sa ben riflettere. Lasciate scorrere l'acqua ovunque a lei piaccia; gli arcieri scoccano le frecce; gli spaccalegna spezzano i tronchi d’albero; le persone sagge forgiano se stesse; i saggi non esitano tra biasimo ed encomio. Avendo ascoltato la legge, essi divengono sereni, come un lago profondo, liscio, e però immobile. 

Se un uomo parla o agisce con un cattivo pensiero, il dolore lo segue, proprio come la ruota segue l’orma del bue che trascina il carro. Una cattiva azione è meglio non farla, perché dopo un uomo si pentirà di essa; è meglio fare una buona azione, perché avendola fatta non ci si pentirà. Se un uomo commette il male non gli si permetta di farlo ancora; non lo si faccia deliziare del suo male; poiché la conseguenza del male è il dolore. Se un uomo fa quello che è bene, gli si permetta di farlo di nuovo; gli si permetta di dilettarsi in esso; poiché la felicità è la conseguenza del bene. 

Nessun uomo pensi mai che il male non sia grave, dicendo in cuor suo, "a me non me ne verrà nulla". Come dalla continua caduta di goccie d’acqua alla fine una pentola è riempita, così lo sciocco diventa ripieno di male, anche se lo raggruppa poco a poco. E che nessun uomo pensi in modo leggero al bene, dicendo in cuor suo, "a me, non ne verrà nulla". Come dalla continua caduta di gocce d’acqua alla fine una pentola è riempita, così il saggio diventa pieno di bene, anche se egli lo raggruppa poco a poco. 

Colui che vive solamente per il piacere, con i suoi sensi incontrollati, smodato nel suo cibo, debole nei suoi ozi, certamente Mara il tentatore vorrà abbatterlo, come il vento getta giù un debole albero. Colui che vive senza cercare piaceri, con i suoi sensi ben controllati, moderato nel cibo, fedele e forte, certamente lui Mara non potrà abbatterlo, come il vento che tenta di gettar giù una montagna rocciosa. 

Lo stolto che è consapevole della sua stoltezza, è almeno un pò saggio. Ma lo stolto che si pensa saggio, lui sì è davvero uno stolto. A colui che fa il male, il male sembra dolce come il miele; costui lo reputa così piacevole finché non ne sopporta il frutto; ma quando il frutto arriva a maturazione, allora lui lo reputa come male. E così l’uomo buono reputa la bontà del Dharma come un peso ed un male finché non ne ricava il frutto; ma quando il frutto arriva a maturarsi, allora lui può vederne la bontà. 

Una persona che odia può fare un gran danno a chi odia, o un nemico ad un altro nemico; ma una mente diretta verso il male farà il più gran danno a se stessa. Una madre, un padre, o qualunque altro parente potrà fare molto bene; ma una mente diretta verso il bene farà il miglior bene a se stessa. Colui la cui malvagità è assai grande precipita in quello stato in cui il suo nemico gli augura di essere. Egli è il nemico più grande di se stesso. Come un serpente che distrugge la vita di un albero su cui trova appoggio. 

Non dirigete i vostri pensieri su ciò che sembra dar piacere, affinché quando state bruciando non dobbiate poi gridare, "Che dolore!". Il malvagio brucia a causa dei suoi propri atti, come se fosse bruciato dal fuoco. I piaceri distruggono gli stolti; lo stolto per la sua sete di piaceri si distrugge come se lui stesso fosse il suo proprio nemico. I campi sono danneggiati da uragani ed erbacce; l’umanità è danneggiata dalle passioni, dall’odio, dalla vanità e dalla concupiscenza. Che mai nessun uomo prenda in considerazione se una cosa è piacevole o sgradevole. Amore del piacere genera dolore e il timore del dolore causa la paura; colui che è libero dall'amore per il piacere e dal timore per il dolore non conoscerà né il dolore né la paura. 

Colui che si dà alla vanità, e non si dà alla meditazione, dimenticando il vero scopo della vita ed attaccandosi ai piaceri, in futuro invidierà chi si è applicato alla meditazione. Le colpe degli altri sono facilmente notate, ma quelle proprie sono difficili da percepire. Un uomo considera le colpe del suo vicino di casa come una cosa seria, ma nasconde la sua propria colpa, come un baro nasconde l’inganno con il dado falso. Se un uomo guarda alle colpe degli altri, ed è sempre incline a sentirsi offeso, le sue proprie passioni cresceranno, e sarà ben lontano dalla distruzione delle sue passioni. Non sulle malvagità altrui, non sui loro peccati di commissione od omissione, ma solo sui suoi propri misfatti e negligenze, che un saggio dovrebbe essere preoccupato. Le buone persone risplendono da lontano, come le montagne piene di neve; invece, le persone malvagie sono celate, come le frecce scagliate di notte. 

Se un uomo provocando il dolore ad altri, si augura di ottenere piacere per sé - lui imprigionato nei vincoli dell'egoismo, non sarà mai libero dall’odio. Che ogni uomo superi la rabbia con l’amore, che vinca il male con il bene; che si liberi dall’avidità con la generosità, dalla menzogna con la verità! Perché l’odio non cessa mai con altro odio; l’odio cessa solo con il non-odio, questa è una vecchia regola. 

Dite sempre la verità, non create irritazione; donate, se vi viene chiesto; con questi tre passaggi diventerete divini. Che il saggio si sbarazzi da solo delle sue stesse impurità, come un fabbro che spazza via le impurezze dell’argento, una alla volta, poco per volta. 

Guidate gli altri, non con violenza ma con rettitudine ed equità. Colui che possiede la virtù e l'intelligenza, che è giusto, dice la verità, e fa ciò di cui si interessa, sarà tenuto in considerazione dal mondo. Come l'ape che raccoglie il nettare e se ne va senza distruggere il fiore, o il suo colore o l’odore, così un saggio dimora nella comunità. 

Se un viaggiatore non incontra qualcuno che è migliore di sé, o almeno suo uguale, è fermamente meglio che faccia il suo viaggio da solo; la compagnia con gli stolti non è consigliata. Lunga è la notte per colui che rimane sveglio; lungo è un miglio per colui che è stanco; lunga è la vita per lo stolto che non conosce la vera religione. E’ meglio un sol giorno di vita di un uomo che vede la suprema verità, che vivere cento anni senza vedere la verità suprema. 

Alcuni formano il loro Dharma in modo arbitrario e lo fabbricano artificialmente; essi avanzano speculazioni complesse ed immaginano che l’esito sia raggiungibile solo dall'accettazione delle loro teorie; eppure la verità non è che una sola; non ci sono verità diverse nel mondo. Avendo riflettuto sulle varie teorie, ci siamo messi a giocare con chi ha eliminato ogni peccato. Ma saremo noi in grado di procedere insieme con lui? 

Il migliore dei metodi è l’Ottuplice Sentiero. Questo è il sentiero. Non ce n’è un altro che conduca alla purificazione dell'intelligenza. Seguite questo sentiero! Ogni altra cosa è la falsità di Mara, il tentatore. Se voi seguite questo sentiero, farete cessare il vostro dolore! Dice il Tathagata, "Il sentiero fu da me predicato, quando io ho compreso la rimozione della spina che c’era nella carne". 

"Non solo dall’erudizione, non solo da voti e disciplina, io ho ottenuto la felicità della liberazione, che nessun mondano può conoscere. O Bhikkhu, non siate così fiduciosi finché non avrete raggiunto l'estinzione della sete. L'estinzione dei cattivi desideri è la suprema e più alta religione. 

Il dono della religione sopravanza tutti i doni; la dolcezza della religione supera ogni dolcezza; la delizia che si prova nella religione non ha pari di tutte le delizie; l'estinzione della sete supera ogni dolore. Pochi sono gli uomini che attraversano il fiume e giungono alla meta nell’aldilà. Le grandi moltitudini camminano in su ed in giù sulla riva; ma non c'è più sofferenza solo per chi ha finito il suo viaggio. 

Come il giglio che cresce pieno di dolce profumo e si diletta anche su un mucchio di spazzatura, così il discepolo del Buddha veramente illuminato risplende per la sua saggezza fra coloro che sono come spazzatura, fra le persone che camminano nell’oscurità. Poi, possiamo pure vivere felicemente, non odiando più quelli che ci odiano! Dimoriamo in mezzo agli uomini che ci odiano, restando liberi dall’odio! 

Allora, che si viva pure felicemente, liberi da ogni afflizione in mezzo agli afflitti! Che si dimori pure tra gli uomini che sono addolorati, liberi dal dolore! Allora, che si viva pure felicemente, liberi dall'avidità fra gli avidi! Che si dimori tra gli uomini che sono avidi, restando liberi dall'avidità! 

Il sole brilla di giorno, la luna risplende di notte, il guerriero è scintillante nella sua armatura, i pensatori sono luminosi nella loro meditazione; ma fra tutti, il più splendente, con il suo risplendere di giorno e di notte, è il Buddha, il Risvegliato, il Santo Benedetto e Beato. 

  

I DUE BRAHMANI  

Una volta, il Beato stava viaggiando attraverso il Kosala, quando arrivò al villaggio Brahmano che si chiamava Manasakata. Ivi giunto, egli stette in un boschetto di mango. E due giovani Brahmani di scuole diverse vennero da lui. Uno si chiamava Vasettha e l'altro Bharadvaja. E Vasettha disse al Beato: 

"Noi stiamo disputando circa il vero sentiero. Io dico che il giusto sentiero che conduce all’unione con Brahma è quello che è stato annunciato dal Brahmano Pokkharasati, mentre il mio amico dice che il giusto sentiero (che conduce all’unione con Brahma) è quello che è stato annunciato dal Brahmano Tarukkha. Ora, o Samana, poiché tu hai un’alta reputazione, e sapendo che tu sei chiamato l'Illuminato, il Maestro di uomini e dèi, il Buddha Beato, noi siamo venuti da te a chiedere, ma questi sentieri vanno tutti verso la salvezza? Tutt’intorno al nostro villaggio vi sono molte strade, ed ognuna porta a Manasakata. È così anche coi Sentieri dei saggi? Tutti i Sentieri vanno verso la salvezza, e tutti loro conducono all'unione con Brahma?" 

Allora il Beato propose queste domande ai due Brahmani: "Voi pensate che tutti i Sentieri siano corretti?". Entrambi risposero: "Sì, Gotama, noi pensiamo di sì". 

"Ma ditemi", continuò il Buddha, "qualcuno dei Brahmani, versato nei Veda, ha mai visto Brahma faccia a faccia?" "No, signore!" fu la replica. 

"Ma, allora", disse il Beato, "nessun insegnante dei Brahmani, versato nei Veda, ha mai visto Brahma faccia a faccia?". I due Brahmani dissero: "No, signore". 

"Ma, allora", disse il Beato, "qualcuno degli autori dei Veda ha mai visto Brahma faccia a faccia?". Di nuovo i due Brahmani risposero di no ed esclamarono: "Come potrebbe qualcuno vedere o comprendere il Brahman (l’Assoluto), se i mortali non possono comprendere l’immortale!". Ed il Beato allora propose un'illustrazione, dicendo: 

"È come se un uomo, per salire su un castello, volesse fare una scalinata nel punto in cui si incontrano quattro strade. E se le persone dovessero chiedergli: ‘O amico, dov’è questo castello su cui devi salire, per cui stai facendo questa scala? Sai tu se esso è ad est, o a sud, o ad ovest, o a nord? Se è alto, o basso, o di media taglia?' E se, così interrogato, egli dovesse rispondere, 'Io non lo so!'. E le persone dovessero ancora dire a lui, 'Ma, allora, mio buon amico, perché tu fai una scala per salire in un qualche cosa - prendendola per un castello – che tu non conosci e che nessuno ha visto?'. E se, così interrogato, egli dovesse rispondere, ‘Questo è precisamente ciò che faccio; anzi, io so che non posso saperlo!'. Cosa pensereste di lui? Non direste che il discorso di quell'uomo sarebbe un discorso da stolti?" 

"In verità, Gotama, è un discorso da sciocchi!" dissero i due Brahmani. Il Beato continuò: "Allora i Brahmani dovrebbero dire, 'Noi ti mostriamo il metodo per l'unione con ciò che non sappiamo e con ciò che non abbiamo mai visto’. Essendo questa la sostanza del Brahman, non ne consegue che il vostro scopo è vano?" 

"Si, ne consegue!", rispose Bharadvaja. 

Disse il Beato: "Quindi è impossibile che Brahmani versati nei tre Veda dovrebbero essere capaci di mostrare il metodo verso uno stato di unione con quello che loro né sanno e né hanno mai visto. Proprio come quando una fila di uomini ciechi si attacca uno all'altro. Non vede il primo, né possono vedere quelli nel mezzo, e né gli ultimi possono vedere. Eppure, mi pare che il discorso dei Brahmani versati nei tre Veda non sia che un cieco discorso; è ridicolo, consiste di mere parole, ed è una vana e vuota cosa". Il Beato continuò: "Ora supponete che un uomo dovesse venire qui alla riva del fiume e, avendo un po' di affari sull'altro lato, dovesse volerlo attraversare. Supponete che egli pregando invochi che l'altra riva del fiume possa venire da lui su questo lato, la riva verrebbe grazie al suo pregare?" 

"Certamente no, Gotama." 

"Eppure questo è il metodo dei Brahmani. Essi omettono la pratica di quelle qualità che realmente fanno di un uomo un Brahmano, e dicono, 'Indra, noi facciamo appello a te; Soma, noi facciamo appello a te; Varuna, noi facciamo appello a te; Brahma, noi facciamo appello a te!'. Invero, non è possibile che questi Brahmani, grazie alle loro invocazioni, preghiere, e richieste, dopo la loro morte siano uniti con il Brahman!". 

"Ora, ditemi", continuò il Buddha, "cosa dicono i Brahmani di Brahma? E’ la sua mente piena di concupiscenza?" E quando i Brahmani negarono questo, il Buddha chiese: "E’ la mente di Brahma piena di malevolenza, accidia, o orgoglio?" 

"No, signore!" fu la replica. "Egli è l'opposto di tutto questo!" 

Ed il Buddha proseguì: "Ma i Brahmani sono liberi da questi vizi?" "No, signore!" disse Vasettha.  Allora il Santo disse: "I Brahmani si aggrappano alle cinque cose che portano alla mondanità e producono le tentazioni dei sensi; essi sono impi-gliati nei cinque ostacoli, concupiscenza, malevolenza, accidia, orgoglio, e dubbio. Come possono essere uniti a ciò che è totalmente diverso dalla loro natura? Perciò la triplice saggezza dei Brahmani è come un deserto senza acqua, una giungla inesplorata, ed una desolazione senza speranza." 

Quando il Buddha ebbe così parlato, uno dei Brahmani disse: "Noi abbiamo detto, Gotama, che il Sakyamuni conosce il sentiero per l'unione con il Brahman". 

Ed il Beato disse: "Cosa pensate, O Brahmani, di un uomo nato e cresciuto in Manasakata? Avrebbe dubbi sulla via più diretta da questo bosco a Manasakata?" 

"Certamente no, Gotama." 

"Cosìppure", rispose il Buddha, "il Tathagata conosce il giusto sentiero che porta all'unione con il Brahman. Egli lo sa, come uno che sia nato nel mondo di Brahma o che vi sia entrato. Non può esservi alcun dubbio nel Tathagata." 

Disse il più giovane dei due Brahmani: "Se tu conosci la Via, mostrala a noi." 

E il Buddha disse: "Il Tathagata vede faccia a faccia l'universo e comprende la sua natura. Egli proclama la verità sia nella lettera che nello spirito, e la sua dottrina è gloriosa nella sua origine, gloriosa nel suo progresso, gloriosa nel suo completa-mento. Il Tathagata rivela la suprema vita nella sua purezza e perfezione. Egli può mostrarvi il metodo a ciò che è contrario ai cinque grandi ostacoli. Il Tathagata fa sì che la sua mente pervada i quattro angoli del mondo con pensieri di amore. E così l’intero e vasto mondo, sopra, sotto, intorno, e dappertutto, continuerà ad essere riempito con amore di vasta portata, maturo, grande, ed oltre misura. Proprio come un possente trombettiere si fa sentire --e ciò senza difficoltà--in tutti i quattro angoli della terra; cosippure è la venuta del Tathagata: non c’è nessuna creatura vivente che il Tathagata lasci da parte, ma egli con mente libera ne ha riguardo e per tutti sente un amore profondo. 

"Questo è il segno che un uomo segue il sentiero giusto: la sua delizia è l’onestà, e vede il pericolo in tutte quelle cose che dovrebbe evitare. Egli si addestra agli ordini della moralità, si circonda di santità in azioni e parole; sostiene la sua vita con mezzi abbastanza puri; la sua condotta è buona, ed è guardingo nella porta dei suoi sensi; attento e calmo, egli è comunque felice. Colui che cammina con ferma determinazione nell'Ottuplice nobile sentiero è sicuro di arrivare al Nirvana. Il Tathagata protegge con ansia i suoi bambini e con amorosa cura li aiuta a vedere la luce. 

"Quando una gallina ha adeguatamente covato otto o dieci o dodici uova, nel suo cuore sorge l'augurio, 'Oh, che i miei piccoli pulcini possano rompere ed aprire il guscio dell’uovo coi loro artigli, o coi loro becchi, e venire alla luce in sicurezza!'. Eppure, quei pulcini sono sicuri di rompere il guscio dell'uovo- e venire alla luce in perfetta sicurezza. Cosippure, un fratello che con ferma determinazione percorre il nobile Sentiero è altresì sicuro di arrivare alla luce, è sicuro di ottenere la suprema saggezza, sicuro di raggiungere la suprema beatitudine dell’Illuminazione." 

  

PROTEGGERE I SEI QUADRANTI DEL MONDO

Una volta, mentre il Beato si trovava nel boschetto di bambù vicino Rajagraha, incontrò sulla sua strada Sigala, un capofamiglia che, giungendo le sue mani, si rivolse ai quattro lati del mondo, allo zenit di sopra, e al nadir di sotto. Il Beato, sapendo che ciò veniva fatto secondo la tradizionale superstizione religiosa per distogliere il male, chiese a Sigala: "Perché fai queste strane cerimonie?" 

E Sigala in replica disse: "Perché pensi che sia strano che io protegga la mia casa contro le influenze dei demoni? O Gotama Sakyamuni, che le persone chiamano il Tathagata ed il Buddha Beato, io so che saresti felice di dirmi che gli incantesimi non sono di alcun profitto e non possiedono il potere di salvarmi. Ma ascoltami e sappi, che nel compiere questo rito, io onoro, riverisco, e mantengo sacra fede alle parole di mio padre." 

Allora il Tathagata disse: "Tu fai bene, O Sigala, a onorare, riverire, e tenere sacre le parole di tuo padre; ed è tuo dovere di proteggere la tua casa, tua moglie, i tuoi bambini, ed i bambini dei tuoi bambini contro le malefiche influenze degli spiriti maligni. Io non vedo difetti nel fare il rito di tuo padre. Ma trovo che tu non hai capito la cerimonia. Lascia che il Tathagata ti parli come un padre spirituale, perché egli ti ama non meno di quanto lo facessero i tuoi genitori, e ti spieghi il significato delle sei direzioni". 

"Proteggere la tua casa con strane cerimonie non è sufficiente; devi proteggerla con buone azioni. Rivolgiti ad Est per i tuoi genitori, a Sud per i tuoi insegnanti, ad Ovest per tua moglie e i tuoi figli, a Nord per i tuoi amici e regola lo Zenit sopra di te per le tue relazioni religiose, ed il Nadir sotto di te per i tuoi servitori. Questa è la religione che tuo padre voleva che tu avessi, e fare così la cerimonia ti ricorderà i tuoi doveri". 

E Sigala guardò il Beato con riverenza, come suo padre, e disse: "Davvero, o Gotama, tu sei il Buddha, il Beato, il Santo Maestro. Io non sapevo ciò che stavo facendo, ma ora lo so, grazie a te. Tu mi hai rivelato la verità che mi era rimasta nascosta, come uno che porta una lampada nell'oscurità. Io prendo il mio rifugio nell'Insegnante Illuminato, nella verità che illumina, e nella comunità di fratelli a cui è stata insegnata la verità!". 

  

LA DOMANDA DI SIMHA RIGUARDO ALL'ANNIENTAMENTO 

A quel tempo, molti distinti cittadini erano seduti in assemblea nella sala del municipio e parlavano in molti modi encomiando il Buddha, il Dharma e il Sangha. Il generale-in-capo Simha, discepolo della setta di Niggantha, era seduto fra loro. E Simha pensò: "Invero, il Beato deve essere il Buddha, il Santo. Voglio andare a trovarlo!" 

Quindi, il generale Simha si recò nel luogo dove stava il capo dei Niggantha, Nataputta; e essendosi avvicinato, gli disse: "Signore, desidero visitare il samana Gotama". Nataputta disse: "Perché tu, Simha, che credi nel risultato delle azioni secondo il loro merito morale, dovresti andare a trovare il samana Gotama che nega il risultato delle azioni? Il samana Gotama, O Simha, nega il risultato delle azioni; lui insegna la dottrina della non-azione; ed in questa dottrina lui addestra i suoi discepoli." 

Allora il desiderio di andare a visitare il Beato, che era sorto in Simha il generale, diminuì. Però, sentendo ancora l'encomio del Buddha, del Dharma e del Sangha, Simha una seconda volta chiese al capo dei Niggantha; e di nuovo Nataputta lo persuase a non andare. 

Quando una terza volta il generale sentì alcuni distinti uomini celebrare i meriti del Buddha, Dharma, e Sangha, Simha pensò: "Veramente il samana Gotama deve essere il Santo Buddha. E chi sono i Niggantha per me, se non mi danno il loro beneplacito? Io senza chiedere il loro permesso andrò a trovare il Beato, il Buddha Santo."

Così Simha, il generale, andò dal Beato e gli disse: "Io ho sentito, Signore, che il samana Gotama nega il risultato delle azioni; lui insegna la dottrina di non-azione, dicendo che le azioni degli esseri senzienti non ricevono la loro ricompensa, dato che lui insegna l'annientamento e la vacuità di tutte le cose; ed in questa dottrina lui addestra i suoi discepoli. Tu insegni l’eliminazione dell'anima e la distruzione dell’essere umano, forse? Prego, dimmi, Signore, se quelli che dicono ciò dicono la verità, o testimoniano il falso contro il Beato, facendo passare un Dharma impuro come il tuo Dharma?" 

Il Beato disse "C’è un modo, Simha, in cui chi dice così, sta davvero parlando di me; d'altra parte, Simha, c'è un modo in cui anche chi dice l'opposto sta davvero parlando di me. Ascoltami, e te lo dirò: Io insegno, Simha, il non-fare di tali azioni quando sono ingiuste, o in atti, o in parole, o con pensieri; Io insegno il non-causare tutte quelle condizioni di cuore che sono malvagie e non buone. Pur-tuttavia, Simha, io insegno a fare quelle azioni quando sono rette, in atti, in parole e in pensieri; Io insegno il causare tutte quelle condizioni di cuore che sono buone e non malvagie. Io insegno, Simha, che tutte le condizioni di cuore che sono male e non bene, le azioni ingiuste con atti, parole e pensieri, devono essere eliminate. Colui che si è liberato, Simha, da tutte quelle condizioni di cuore che sono male e non bene, colui che le ha distrutte come un albero di palma che è stato sradicato, così che non possa crescere di nuovo, un tale uomo ha realizzato lo sradicamento del ‘sé’. 

"Io proclamo, Simha, l'annientamento dell'egoismo, della concupiscenza, della malevolenza, dell’illusione. Però, io non proclamo l'annientamento dell'indulgenza, dell’amore, della carità e della verità. Io ritengo spregevoli, Simha, le azioni non giuste, sia che siano compiute per mezzo di atti, parole, o pensieri; ma io ritengo lodevoli le virtù e la rettitudine." 

Simha disse: "Nella mia mente si cela ancora un dubbio, che concerne la dottrina del Beato. Il Beato acconsentirà a far piazza pulita di questa nuvola, così che io possa capire il Dharma come il Beato l'insegna?" 

Il Tathagata dette il suo beneplacito, e Simha continuò: "Io sono un soldato, o Beato, e sono stato nominato dal re per rafforzare le sue leggi ed intraprendere le sue guerre. Il Tathagata, che insegna la gentilezza senza fine e la compassione verso tutti i sofferenti, permette la punizione dei criminali? e inoltre, il Tathagata dichiara forse che è sbagliato per andare in guerra per la protezione delle nostre case, le nostre mogli, i nostri bambini, e la nostra proprietà? Il Tathagata insegna la dottrina di un’ auto-resa completa, quindi io dovrei soffrire per il male di chi fa quello che gli pare e sottomettermi a chi minaccia di prendere con violenza ciò che è di mia proprietà? Non è che il Tathagata sostiene che ogni conflitto, inclusa una guerra intrapresa per una causa giusta, dovrebbe essere impedito?" 

Il Buddha rispose: "Colui che merita punizione deve essere punito, e colui che è degno di favori deve essere favorito. Però, al tempo stesso, si insegna a non fare danno ad alcun essere vivente, ma essere pieni di amore e gentilezza. Queste ingiunzioni non sono contraddittorie, perché chiunque debba essere punito per i crimini che ha commesso, soffre del suo danno non attraverso la malevolenza del giudice, ma in base al suo malfatto. I suoi propri atti hanno portato su di lui il danno che l'esecutore della legge infligge. Quando un magistrato punisce, non lo faccia con odio, portato nel suo cuore, però un assassino quand’è messo a morte, dovrebbe considerare che questo è il frutto delle sue proprie azioni. Appena lui capirà che la punizione purificherà la sua anima, lui non si lamenterà più del suo fato, ma si allieterà per questo". 

Il Beato continuò: "Il Tathagata insegna che ogni guerra in cui un uomo tenta di uccidere un suo fratello è lamentevole, ma non insegna che coloro che vanno in guerra per una giusta causa, dopo aver esaurito tutti i mezzi per preservare la pace, siano biasimevoli. Si deve biasimare chi è la causa della guerra. Il Tathagata insegna una completa resa di sé, ma lui non insegna alcuna resa verso quei poteri che sono malvagi, siano essi umani, o dèi, o elementi della natura. Deve esservi lotta, perché ogni vita è una lotta di qualche tipo. Ma, colui che lotta dovrebbe star attento affinché egli non lotti nell'interesse di se stesso, contro la verità e la rettitudine. 

"Colui che lotta nel suo proprio interesse, così che lui stesso possa essere grande e potente, o ricco e famoso, non avrà una ricompensa, ma colui che lotta per la rettitudine e la verità, avrà una grande ricompensa, perché perfino la sua sconfitta sarà una vittoria. Il ‘sé’ non è un vaso appropriato per ricevere nessun grande successo; esso è piccolo e fragile, ed i suoi contenuti saranno presto riversati per il beneficio, e forse anche per la maledizione, di altri. La verità, invece, è grande abbastanza per ricevere i desideri e le aspirazioni di tutti i ‘sé’ e quando questi scoppiano come bolle di sapone, i loro contenuti saranno preservati, e nella verità essi condurranno ad una vita eterna. 

"Colui che va in battaglia, O Simha, anche se è per una giusta causa, deve essere preparato ad essere ucciso dai suoi nemici, perché quello è il destino dei guerrieri; e se il suo fato dovesse raggiungerlo, lui non ha alcuna ragione di lagnarsi. Ma colui che ne esce vittorioso dovrebbe ricordare l'impermanenza delle cose terrene. Il suo successo può essere grande, ma mai esso è così grande che la ruota della fortuna non possa ancora girare e abbatterlo nella polvere. Tuttavia, se egli si modera e, estinguendo ogni odio nel suo cuore, rialza il suo avversario caduto giù e gli dice, ‘Vieni, ora, facciamo pace e sentiamo di essere fratelli’, egli otterrà una vittoria che non sarà solo un successo transitorio, perché i suoi frutti rimarranno per sempre. Grande è il successo totale, O Simha, ma colui che ha conquistato se stesso è il più grande vincitore. 

"La dottrina della conquista di sé, O Simha, non è insegnata per distruggere le anime degli uomini, ma per preservarli. Colui che ha conquistato se stesso è più preparato per vivere, per avere successo, e ottenere le vittorie, che non colui che è schiavo di se stesso. Colui la cui mente è libera dall'illusione del ‘sé’, resterà in piedi e non cadrà, in quella battaglia che è la vita. Colui le cui intenzioni sono la rettitudine e la giustizia, non troverà il fallimento, ma avrà successo nelle sue imprese ed il suo successo durerà a lungo. Colui che nel suo cuore genera amore per la verità vivrà e non morirà, perché avrà bevuto l'acqua dell'immortalità. Perciò, o generale, lotta pure con coraggio; e combatti con vigore la tua lotta, ma sii un soldato della verità ed il Tathagata ti benedirà!". 

Quando il Beato ebbe così parlato, Simha, il generale, disse: "O Signore glorioso, glorioso Signore! Tu mi hai rivelato la verità. Grande è la dottrina del Beato. Tu, davvero, sei il Buddha, il Tathagata, il Santo. Tu sei il Maestro dell’umanità. Tu ci mostri la strada della salvezza, perché questa è davvero la vera liberazione. Colui che ti segue non fallirà di trovare la luce per illuminare il suo sentiero. Egli troverà beatitudine e pace. Io prendo rifugio, Signore, nel Beato e nella sua dottrina, e nella sua confraternita. Possa il Beato ricevermi da questo giorno in avanti finché dura la mia vita come un discepolo che ha preso rifugio in lui." 

Il Beato disse: "O Simha, prima considera ciò che fai. Sarebbe bene che persone di rango come te non facessero niente senza la dovuta considerazione." 

La fede di Simha nel Beato aumentò, e quindi rispose: "Signore, vi furono altri insegnanti che vollero farmi loro discepolo, essi avrebbero portato le loro bandiere attraverso l’intera città di Vesali gridando: ‘Simha il generale è diventato nostro discepolo!’. Per la seconda volta, Signore, io prendo il mio rifugio nel Beato, e nel Dharma, e nel Sangha; possa il Beato ricevermi da questo giorno in avanti mentre dura la mia vita come un discepolo che ha preso il suo rifugio in lui!". 

Il Beato disse: "Per molto tempo, Simha, in casa tua sono state date offerte ai Niggantha. Tu dovresti quindi anche in futuro ritenere giusto di dar loro del cibo allorché essi vengono da te ad elemosinare in pellegrinaggio". Ed il cuore di Simha fu riempito di gioia. Lui disse: "O Signore, io ho sentito dire: 'Il samana Gotama dice: Solo a me ed a nessun altro siano fatte offerte. Dovrebbe ricevere offerte solo chi è devoto a me, e non i devoti di nessun altro!' Ma ora il Beato mi esorta a dare anche ai Niggantha. Bene, Signore, abbiamo visto chi ha ragione. Perciò, o Signore, per la terza volta, io prendo il mio rifugio nel Beato, e nel suo Dharma, e nella sua fraternità-sangha." 

  

OGNI ESISTENZA È SPIRITUALE 

C'era fra il seguito di Simha un ufficiale che aveva sentito i discorsi del Beato, e che aveva ancora qualche dubbio nel suo cuore. Quest’uomo andò dal Beato e disse: "Si dice, Signore, che il samana Gotama neghi l'esistenza dell'anima. Quelli che parlano così dicono la verità, o dicono il falso contro il Beato?" 

Ed il Beato disse: "Da un lato quelli che dicono così stanno veramente parlando di me; d'altro canto, quelli che parlano così non dicono davvero ciò che io dico. Il Tathagata insegna che non c'è alcun ‘sé’. Colui che dice che l'anima è il suo ‘sé’ e che il ‘sé’ è il pensatore dei nostri pensieri e l'attore dei nostri atti, insegna una dottrina sbagliata che conduce a confusione e oscurità. D'altra parte il Tathagata insegna che esiste la mente. Colui che comprende la mente al posto dell’anima, e dice che quella mente esiste, insegna la verità che conduce alla chiarezza ed alla Illuminazione". 

Disse l'ufficiale: "Allora il Tathagata sostiene che due cose esistono? ciò che noi percepiamo coi nostri sensi e ciò che è mentale?" 

Il Beato disse: "Io ti dico che la tua mente è spirituale, ma anche la percezione dei sensi non è priva di spiritualità. La bodhi (Illuminazione) è eterna e domina ogni esistenza come la buona legge che guida tutti gli esseri nella loro ricerca per la verità. Essa cambia la natura bruta in mente, e non c'è nessun essere che non possa essere trasformato in un contenitore della verità." 

  

IDENTITÀ E NON-IDENTITÀ 

Kutadanta, il capo dei Brahmani nel villaggio di Danamati, essendosi avvicinato rispettosamente al Beato, lo salutò e disse: "Io ho sentito, o Samana, che tu sei il Buddha, il Santo, l’Onnisciente, il Signore del mondo. Ma se tu fossi il Buddha, non dovresti entrare come un Re, in tutta la tua gloria e potere?". Il Beato disse: "I tuoi occhi sono aperti. Se l'occhio della tua mente non fosse offuscato tu saresti in grado di vedere la gloria ed il potere della verità." 

Kutadanta disse: "Mostrami la verità ed io la vedrò. Però la tua dottrina è senza consistenza. Starebbe in piedi se fosse stabile; ma siccome non lo è, passerà via." Il Beato rispose: "La verità non passerà mai via!" 

Kutadanta disse: "Io ho sentito che tu insegni la Legge, eppure rifiuti la religione. I tuoi discepoli disprezzano i riti e si rifiutano di immolare vittime, ma il riverire gli dèi può essere mostrato solamente con i sacrifici. La vera natura della religione consiste in adorazione e sacrifici". Il Buddha disse: "Ancor più dell'immolazione di giovenche è il sacrificio di se stessi. Colui che offre agli dèi i suoi cattivi desideri vedrà l'inutilità di macellare animali sull'altare. Il sangue non ha alcun potere purificante, solo lo sradicamento della concupiscenza renderà il cuore puro. Ancor più che adorare gli dèi, è migliore l'obbedienza alle leggi della rettitudine." 

Kutadanta, essendo di disposizione religiosa e preoccupato per il suo destino dopo la morte, aveva sacrificato innumerevoli vittime. Ora egli capì la follia di riparare con il sangue. Tuttavia, non ancora soddisfatto dagli insegnamenti del Tathagata, Kutadanta continuò: "Tu, Maestro, credi che gli esseri rinascano; che essi vadano da un corpo all’altro nell'evolversi delle vite; e che soggetti alla legge del karma tutti noi dobbiamo raccogliere ciò che seminiamo. E tuttavia tu insegni la non-esistenza dell'anima! I tuoi discepoli lodano l’assoluta auto-estinzione come la più alta beatitudine del Nirvana. Se io sono soltanto una combinazione dei sankhara (le tendenze), la mia esistenza cesserà quando io muoio. Se io sono soltanto un composto, dove posso andare alla risoluzione del corpo, delle sensazioni e idee, e dei desideri?" 

Il Beato disse: "O Brahmano, tu sei serio e religioso. Tu sei seriamente interessato alla tua anima. Eppure il tuo operare è vano perché ti manca la sola cosa che è indispensabile. C'è la rinascita del carattere, ma nessuna trasmigrazione di un sé. Le tue forme-pensiero riappaiono, ma non c'è alcuna ego-entità che si trasferisca. La strofa emessa da un insegnante rinasce nel discepolo che ne ripete le parole. 

"Solo a causa di ignoranza ed illusione gli uomini indulgono nel sogno che le loro anime siano entità separate ed auto-esistenti. Il tuo cuore, o Brahmano, è tuttora  attaccato al sé; tu sei preoccupato per il Cielo, però in cielo cerchi i piaceri del ‘sé’, e così non puoi vedere la beatitudine e l'immortalità della verità. 

"Io dico a te: Il Beato non è venuto ad insegnare la morte, ma a insegnare la vita, e tu non discerni la natura del vivere e morire. Questo corpo verrà dissolto e nessun sacrificio potrà salvarlo. Perciò, cerca tu la vita che è della mente. Dove c’è il ‘sé’, non può esserci la verità; anzi, se arriva la verità, il ‘sé’ scomparirà. Perciò, lascia che la tua mente resti nella verità; propaga la verità, mettici tutta la tua volontà, e falla espandere. Nella verità tu vivrai per sempre. Il ‘sé’ è la morte e la verità è la vita. Attaccarsi al ‘sé’ è un perpetuo morire, mentre muoversi verso la verità significa sperimentare il Nirvana, che è la vita eterna". 

Allora Kutadanta disse: "O venerabile Maestro, dov’è il Nirvana?" "Il Nirvana è ovunque sono rispettati i precetti! " rispose il Beato. 

"Se ti capisco bene" ribatté il Brahmano, "il Nirvana non è un luogo, e l’essere in nessun luogo è senza realtà? " "Tu non mi hai capito correttamente", disse il Beato, "Ora ascoltami e rispondi a queste domande: Dove dimora il vento?" 

"In nessun luogo", fu la replica. 

Il Buddha ribatté: "Allora, signore, forse che il vento non esiste?" Kutadanta non replicò; ed il Beato chiese di nuovo: "Rispondimi, O Brahmano, dove dimora la saggezza? La saggezza è forse una località?" 

"La saggezza non ha nessun luogo assegnato come dimora" rispose Kutadanta. Disse il Beato: "Allora tu vorresti dire che non esiste la saggezza, né illuminazione, né rettitudine, e nessuna salvezza, perché il Nirvana non è una località? Come un forte e potente vento che passa sul mondo nel calore del giorno, così il Tathagata viene a soffiare sulle menti dell’umanità con l'alito del suo amore, così fresco, così dolce, così calmo, così delicato; e quelli tormentati dalla febbre alleviano la loro sofferenza e si allietano con la rinfrescante brezza." 

Kutadanta disse: "O Signore, sento che tu stai proclamando una grande dottrina, ma io non posso capirla. Permettimi di chiederti ancora: Dimmi, Signore, se non c'è l’atman [l'anima], come ci può essere immortalità? L'attività della mente passa, ed i nostri pensieri sono andati, dopo che noi abbiamo pensato". 

Il Buddha rispose: "Il nostro pensare è andato, ma i nostri pensieri continuano. Il ragionamento cessa, ma la conoscenza resta".

Kutadanta disse: "Come? Ragionamento e conoscenza non sono la stessa cosa?" 

Il Beato spiegò la distinzione con una illustrazione: "È come quando un uomo, durante la notte, vuole spedire una lettera e, dopo aver chiamato il suo domestico per farsi accendere una lampada, scrive la lettera. Poi, quando ciò è stato fatto, lui spegne la lampada. Ma benché abbia finito di scrivere e la luce sia stata spenta la lettera è ancora là. Così il ragionamento cessa ma la conoscenza rimane; e allo stesso modo l'attività mentale cessa, ma l’esperienza, la saggezza, e tutti i frutti delle nostre azioni continuano." 

Kutadanta continuò: "O Signore, ti prego di dirmi, se i sankhara sono dissolti, dov’è l'identità di me stesso (cioè, del mio sé)? Se i miei pensieri sono propagati, e se il mio spirito emigra, i miei pensieri cessano di essere i miei pensieri e il mio spirito cessa di essere la mia anima. Ti prego, o Signore, illustrami, dimmi, dove è l'identità del mio sé?" 

Il Beato disse: "Supponi che un uomo accenda una lampada; essa arderebbe durante la notte?" "Sì, è probabile che sia così", fu la replica. 

"Allora, la fiamma che brucia nel primo quarto della notte è la stessa del secondo quarto?" Kutadanta esitò. Lui pensava che la fiamma fosse la stessa, ma temendo le complicazioni di un ignoto significato, e cercando di essere più esatto, rispose: "No, non è la stessa". 

"Allora", continuò il Beato, "ci sono due fiamme, una nel primo quarto e l'altra nel secondo quarto." "No, signore", disse Kutadanta. "In un senso non è la stessa fiamma, ma in un altro senso è la stessa fiamma. Brucia lo stesso tipo di petrolio, emette lo stesso tipo di luce, e serve allo stesso scopo." 

"Molto bene" disse il Buddha, "e tu chiameresti quelle fiamme come la stessa che aveva bruciato ieri e che ora sta bruciando nella stessa lampada, riempita con lo stesso tipo di petrolio, mentre illumina la stessa stanza?" "Esse potrebbero essersi estinte durante il giorno", suggerì Kutadanta. 

Disse il Beato: "Supponi che la fiamma del primo quarto si sia estinta durante il secondo quarto, la chiameresti la stessa se ardesse di nuovo nel terzo quarto?" Kutadanta rispose: "In un senso essa è una fiamma diversa, in un altro non lo è". 

Il Tathagata chiese di nuovo: "Il tempo che è passato durante l'estinzione della fiamma ha qualcosa a che fare con la sua identità o non-identità?" "No, signore", disse il Brahmano, "non ha niente a che fare. Vi è una differenza ed una identità, sia se passassero molti anni o soltanto un secondo, ed anche se nel frattempo la lampada è stata estinta o no". 

"Bene, allora noi siamo d'accordo che la fiamma di oggi è in un certo senso la stessa della fiamma di ieri, e in un altro senso essa è diversa ad ogni momento. Inoltre, le fiamme dello stesso tipo, illuminando con uguale potere lo stesso tipo di stanze, sono in un certo senso le stesse." "Sì, signore", rispose Kutadanta. 

Il Beato continuò: "Ora, supponi che vi sia un uomo che sente come te-stesso, pensa come te-stesso, ed agisce come te-stesso, è o no lo stesso uomo, cioè te?" "No, signore", replicò Kutadanta. 

Il Buddha disse: "Allora tu neghi che la stessa logica che va bene per te-stesso, vada bene anche per le cose del mondo?". Kutadanta si concentrò e lentamente aggiunse: "No, non lo nego. Le stessa logica va bene per tutto; ma c'è una parti-colarità circa il mio ‘sé’ che lo rende insieme diverso da ogni altra cosa ed anche dagli altri ‘sé’. Potrà pur esservi un altro uomo che può sentire precisamente come me, pensare come me, e comportarsi come me; anche se avesse il mio stesso nome e lo stesso tipo di proprietà, egli non sarebbe mai me-stesso". 

"Vero, Kutadanta" rispose il Buddha, "lui non sarebbe mai te-stesso. Ora, dimmi, la persona che va a scuola, è la stessa persona quando ha finito la sua istruzione o è un altra? E quando uno commette un crimine, è lui che viene punito con il tagli di mani e piedi o è un altro?" "No, sono gli stessi!" fu la replica. 

"Allora l'identità è costituita soltanto dalla continuità?" chiese il Tathagata. "Non solo dalla continuità" disse Kutadanta, "ma anche e principalmente dalla identità del carattere." 

"Molto bene" concluse il Buddha, "allora concordi che le persone possono essere le stesse, nello stesso modo come due fiamme dello stesso tipo sono considerate le stesse; e tu devi riconoscere che, in questo senso, un altro uomo con lo stesso carattere e prodotto dallo stesso karma è lo stesso come sei tu". "Si, è così", disse il Brahmano. 

Il Buddha continuò: "E solo in questo stesso senso, tu sei lo stesso oggi come ieri. La tua natura non è costituita dalla materia di cui consiste il tuo corpo, ma dai tuoi sankhara (semi causali), le forme del corpo, sensazioni, e pensieri. La persona è la combinazione di questi sankhara. Ovunque essi sono, ci sei tu. Dovunque essi vadano, tu sarai. Così tu in un certo senso potrai riconoscervi un'identità di te-stesso, ed in un altro senso una differenza. Ma colui che non riconosce l'identità dovrebbe negare ogni identità, e dovrebbe dire che l'interrogante non è più la stessa persona che un minuto dopo riceve la risposta. Ora prova a considerare la continuazione della tua personalità che è preservata nel tuo karma. La chiamerai morte e annientamento, o vita e continuazione della vita?" 

"Io la chiamo vita e continuazione di vita" aggiunse Kutadanta, "perché essa è la continuazione della mia esistenza, ma io non mi preoccupo troppo per questo tipo di continuazione. Tutto ciò di cui mi preoccupo è la continuazione del ‘sé’ nell’altro senso, che fa di ogni uomo, identico a me o no, una persona totalmente diversa." 

"Bene" disse il Buddha. "Questo è ciò che tu desideri e questo è l’attaccamento al ‘sé’. Questo è il tuo errore. Tutte le cose composte sono transitorie: esse crescono e poi decadono. Tutte le cose composte sono soggette al dolore: tutti saranno prima o poi separati da ciò che amano e uniti a ciò che aborriscono. Tutte le cose composte sono prive di un ‘sé’, un atman, un ego". 

"Come mai è così?" chiese Kutadanta. "Allora, dov’è il tuo ‘sé’?" chiese il Buddha. E poiché Kutadanta non replicò, egli continuò: "Il tuo ‘sé’ a cui tu sei attaccato è un mutamento continuo. Anni fa tu eri un piccolo bambino; poi, tu divenisti un ragazzo; poi un giovane, ed ora, tu sei un uomo. C'è una qualche identità del bambino nell'uomo? C'è un'identità solo in un certo senso. Invero, c'è più identità tra le fiamme della lampada del primo e terzo quarto della notte, perfino se la lampada si fosse spenta durante il secondo quarto. Ora qual’ è il tuo vero ‘sé’, quello di ieri, quello di oggi, o quello di domani, per la cui preservazione tu reclami tanto?" Kutadanta fu sconcertato. "O Signore del mondo" lui disse, "ora io vedo il mio errore, ma io sono ancora confuso." 

Il Tathagata continuò: "È da un processo di evoluzione che i sankhara (tendenze) vengono ad essere. Non c'è nessun sankhara che sia venuto in essere senza un graduale divenire. I tuoi sankhara sono il prodotto dei tuoi atti nelle precedenti esistenze. La combinazione dei tuoi sankhara è il tuo ‘sé’. Ovunque essi sono stati impressi, là il tuo ‘sé’ emigra. Tu continui a vivere nei tuoi sankhara e raccoglierai nelle esistenze future il raccolto seminato ora e in passato." 

"Veramente, O Signore" aggiunse Kutadanta, "questa non è un’ equa retribuzione. Io non posso conoscere la giustezza che altri dopo me raccoglieranno quello che io sto seminando ora". 

Il Beato aspettò un momento e poi rispose: "Allora ogni insegnamento è invano? Tu non capisci che quegli altri sono te, il tuo ‘sé’. Tu, te-stesso raccoglierai ciò che tu hai seminato, e non altri. Pensa ad un uomo che è maleducato e bisognoso, e soffre la disgrazia della sua condizione. Da ragazzo lui era accidioso ed indolente, e crescendo non aveva imparato un'arte per guadagnarsi la vita. Vorresti dire che il suo disagio non è il prodotto della sua propria azione, perché l'adulto non è più la stessa persona che era il ragazzo?"

"Io ti dico: Non nei cieli, non in mezzo al mare, nemmeno se tu ti nascondi nelle fenditure delle montagne, tu troverai un luogo ove poter evadere il frutto delle tue cattive azioni. Allo stesso tempo, tu sarai sicuro di ricevere le benedizioni delle tue buone azioni. All'uomo che sta viaggiando da molto tempo e che ritorna a casa in sicurezza, lo attendono il benvenuto del parentado, amici e conoscenti. E così, i frutti delle sue buone opere offriranno il benvenuto per chi ha percorso il sentiero della rettitudine, quando lui passerà dalla vita presente a quella futura." 

Kutadanta disse: "Io ho fede nella gloria e nell’eccellenza della tua dottrina. Il mio occhio non può ancora sopportarne la luce; ma io ora capisco che non c'è alcun ‘sé’, e la verità comincia ad albeggiare su di me. I sacrifici non possono salvare, e le invocazioni sono inutili chiacchiere. Ma come troverò il sentiero alla vita eterna? Io conosco tutti i Veda a memoria e non vi ho trovato la verità." 

Il Buddha disse: "Istruirsi è buona cosa; ma non serve molto. La vera saggezza può essere acquisita solamente con la pratica. Pratica la verità che tuo fratello è lo stesso che te. Percorri il nobile sentiero della rettitudine e capirai che mentre nel ‘sé’ c'è la morte, nella verità c'è l’immortalità!" 

Kutadanta disse: "Voglio prendere il mio rifugio nel Beato, nel Dharma e nella fratellanza del Sangha. Accettami dunque come tuo discepolo e fammi partecipare della beatitudine dell'immortalità." 

 

IL BUDDHA ONNIPRESENT E

Ed il Beato così si rivolse ai confratelli: "Solamente quelli che non credono, mi chiamano Gotama, ma voi chiamatemi il Buddha, il Beato, il Maestro. Ciò è giusto, perché io in questa vita sono entrato nel Nirvana, mentre la vita di Gotama è stata estinta. Il ‘sé’ è scomparso e la verità ha preso la sua dimora in me. Questo mio corpo è il corpo di Gotama e a tempo debito sarà dissolto, e dopo la sua soluzione nessuno, né Dio, né uomo, vedrà ancora di nuovo Gotama. Ma la verità rimane e il Buddha non morirà; il Buddha continuerà vivere nel corpo santo della Legge. 

"L'estinzione del Beato sarà il suo passar via, in cui non resta nulla che potrebbe tendere alla formazione di un altro ‘sé’. E neppure sarà possibile indicare il Beato dicendo che egli è qui o là. Ma sarà come una fiamma in un grande corpo di fuoco ardente. Quella fiamma si è spenta; è svanita e non si può dire che sia qui o là. Nel corpo del Dharma, tuttavia il Beato potrà essere indicato; perché il Dharma è stato predicato dal Beato. 

"Voi siete i miei figli, io sono vostro padre; tramite me siete stati liberati dalle vostre sofferenze. Io stesso, avendo raggiunto l’altra sponda, aiuto gli altri ad attraversare la corrente; Io stesso, avendo ottenuto la salvezza, per gli altri sono un Redentore; essendo stato confortato, io conforto gli altri e li guido nel luogo del rifugio. Io riempirò di gioia tutti gli esseri che languono; darò la felicità a tutti quelli che stanno morendo d'angoscia; Io estenderò a loro soccorso e liberazione. 

"Io nacqui nel mondo come il Re della Verità per la salvezza del mondo. La verità è il soggetto su cui io medito. La pratica a cui io mi dedico è la verità. Il tema dei miei discorsi è la verità. I miei pensieri sono sempre nella verità. Ecco perché il mio ‘sé’ è diventato la verità. Chiunque comprende la verità vedrà il Beato, perché la verità è stata predicata dal Beato. 

  

UN’UNICA ESSENZA, UN’UNICA LEGGE, UN SOLO SCOPO 

Il Tathagata si rivolse poi al venerabile Kassapa, per disperdere l'incertezza e il dubbio dalla sua mente e gli disse: "Tutte le cose sono fatte di un’unica essenza, eppure le cose sono differenti a seconda delle forme che esse assumono sotto diverse impressioni. Nel modo come si formano, così esse agiscono, e come loro agiscono così esse sono. Kassapa, è come se un vasaio facesse vasi diversi dalla stessa creta. Alcuni di questi vasi servono per contenere zucchero, altri il riso, altri la cagliata e il latte; altri ancora sono contenitori di impurità. Non c'è diversità nella creta usata; la diversità dei vasi è solamente a causa della foggia data dal vasaio che li plasma per i vari usi che le circostanze possono richiedere. 

"E poiché tutte le cose originano da un'unica essenza, così esse si sviluppano secondo un’unica legge e sono destinate ad un unico scopo che è il Nirvana. Il Nirvana ti giungerà, Kassapa, quando tu lo avrai completamente capito, e quando vivrai secondo la tua comprensione, che tutte le cose sono di un'unica essenza e che non c'è che una sola legge. Quindi, non c’è che un unico Nirvana, come pure non c’è che un’unica verità, e non due o tre. 

"Ed il Tathagata è lo stesso per tutti gli esseri, differente nel suo atteggiamento solamente perché tutti gli esseri sono diversi. Il Tathagata allieta il mondo intero come una nuvola che versa la sua pioggia senza distinzione. Egli ha gli stessi sentimenti per il grande come per il piccolo, per il saggio come per l'ignorante, per il nobile come per l'immorale. La grande nuvola piena di pioggia giunge sopra questo vasto universo ricoprendo tutti i paesi e gli oceani per versar ovunque giù la sua pioggia, su tutte le foreste, alberi di varia specie, famiglie di piante ed erbe con diversi nomi, che crescono sulla terra, sulle colline, sulle montagne o nelle valli. Allora, Kassapa, le foreste, gli arbusti, le erbe, e gli alberi selvatici suggono l'acqua emessa da quella grande nuvola che è tutta di un'unica essenza ed è stata versata giù in abbondanza; e tutti questi, secondo la loro natura, acquisiranno un proporzionato sviluppo, crescendo, fiorendo e producendo i loro frutti di stagione. Radicati nello stesso terreno, tutte quelle famiglie di piante e germinazioni si sono animate grazie all’acqua composta della stessa essenza. 

"Tuttavia, O Kassapa, il Tathagata conosce la legge la cui essenza è la salvezza, e il cui scopo è la pace del Nirvana. Egli è lo stesso per tutti, tuttavia conoscendo i requisiti di ogni singolo essere, egli non si rivela a tutti nello stesso modo. Egli non impartisce subito la pienezza dell’onniscienza a loro, ma è attento alla disposizione dei vari esseri." 

  

LA LEZIONE DATA A RAHULA 

Prima che Rahula, il figlio di Gotama Siddhartha e Yasodhara, giungesse alla Illu-minazione della vera saggezza, la sua condotta non era sempre contrassegnata da un amore per la verità, perciò il Beato lo spedì ad un lontano vihara al fine di governare la sua mente e frenare la sua lingua. Dopo un po' di tempo il Beato si recò nel luogo, e Rahula fu riempito di gioia. 

Il Beato ordinò al ragazzo di portargli un bacino di acqua e lavare i suoi piedi, e Rahula obbedì. Quando Rahula ebbe lavato i piedi del Tathagata, il Beato chiese: "Ora l'acqua è appropriata per essere bevuta?" 

"No, mio Signore" rispose il ragazzo, "l'acqua è contaminata". Allora il Beato disse: "Ora considera il tuo caso. Anche se tu sei mio figlio, ed il nipote di un re, anche se tu sei un samana che ha volontariamente abbandonato tutto, tu sei incapace di proteggere la tua lingua dalla falsità, e così tu contamini la tua mente". E quando l'acqua fu gettata via, il Beato chiese di nuovo: "Questo vaso è ora appropriato per contenere acqua da bere? " 

"No, mio Signore" rispose Rahula, "anche il vaso è diventato sporco". Ed il Beato disse: "Ora considera il tuo caso. Anche se tu indossi il vestito giallo, tu sei adatto per qualche alto scopo se poi sei diventato sporco come questo vaso?" Allora il Beato, sollevando la bacinella vuota e facendola girare chiese: "Non hai paura che questa cada e si rompa?" "No, mio Signore" rispose Rahula, "è un oggetto di poco valore, la sua perdita non ammonterà a molto." 

"Ora considera il tuo caso", disse il Beato. "Anche tu stai girando in infiniti gorghi di trasmigrazione, e poiché il tuo corpo è fatto della stessa sostanza come le altre cose materiali che si sbricioleranno in polvere, non c'è alcuna perdita se si rompe. Colui che si è dato alle falsità verbali è un oggetto di disprezzo per i saggi". 

Rahula fu pieno di vergogna, ed il Beato si rivolse a lui ancora una volta: "Ascolta, e io ti dirò una parabola: C'era un re che aveva un elefante molto potente, capace di affrontare cinquecento elefanti normali. Andando in guerra, l'elefante fu armato con acute spade sulle zanne, con falci sulle spalle, lance sulle gambe, ed una palla di ferro sulla sua coda. Il padrone dell'elefante era contento nel vedere la creatura nobile così ben equipaggiata e, sapendo però che una leggera ferita di freccia nel tronco sarebbe stata fatale, aveva insegnato all'elefante di tenere ben protetto il suo tronco. Ma durante la battaglia, l'elefante tirò in avanti il tronco per afferrare una spada. Il suo padrone si spaventò e si consultò col re, ed essi decisero che l'elefante non era più adatto per essere usato in battaglia". 

"O Rahula! se gli uomini solo frenassero le loro lingue tutto andrebbe bene! Sii come l'elefante da guerra che si protegge il tronco contro la freccia che potrebbe colpirlo nel centro. Per amore della verità l’uomo sincero rifugge dall'iniquità. Come l'elefante ben soggiogato e quieto che permette al re di montare sul suo dorso, così l’uomo che rispetta la rettitudine dimorerà fedelmente per tutta la sua vita".

Rahula sentendo queste parole fu riempito di profondo dolore; mai più egli diede altre occasioni per far lamentare suo padre, e da quel momento santificò la sua vita con seri e sinceri esercizi. 

  

IL SERMONE SULL’ INGIURIA 

Il Beato osservava i modi della società e aveva notato quanto disagio venisse dalla malignità e dalle sciocche offese fatte soltanto per gratificare la vanità e l'orgoglio egoista. E il Buddha disse: "Se un uomo stupidamente mi fa del male, io lo dovrò ricambiare con la protezione del mio amore generoso; più male mi tratta, più bene io gli vorrò; a me verrà sempre la fragranza della bontà, e l'aria dannosa del male andrà da lui". 

Uno sciocco venendo a sapere che il Buddha osservava il principio del grande amore che ricambia il male con il bene, venne e lo ingiuriò. Il Buddha rimase in silenzio, compatendo la sua follia. Quando l'uomo ebbe finito di ingiuriarlo, il Buddha gli chiese, dicendo: "Figlio, se un uomo declinasse di accettare un dono fatto a lui, a chi apparterrebbe questo dono?" E lo sciocco rispose: "In quel caso apparterrebbe all'uomo che glielo aveva offerto". 

"Figlio mio" disse il Buddha, "tu hai inveito contro di me, ma io declino d’accettare le tue ingiurie, e ti chiedo di tenertele per te-stesso. Per te non sarà una fonte di disagio? Come l'eco appartiene al suono, e l'ombra alla sostanza, così il disagio raggiungerà inevitabilmente chi fa il male " 

Lo stolto non replicò, e il Buddha continuò: "Un uomo malvagio che rimprovera un virtuoso è come uno che guarda in su e sputa al cielo; lo sputo non sporca il cielo, ma ritorna giù e insudicia la sua propria persona. Il calunniatore è come uno che lancia cenere ad un altro quando il vento è contrario; la cenere non fa che tornare su colui che la gettò. Gli uomini virtuosi non possono essere danneggiati ed il disagio che gli altri vorrebbero infliggergli ritorna su di essi".

Lo stolto ingiuriatore se ne andò via vergognoso, ma poi ritornò e prese rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha. 

 

IL BUDDHA REPLICA AL DEVA 

In un certo giorno, allorché il Beato dimorava nel giardino di Anathapindika, a Jetavana, un deva celeste giunse a lui nella forma di un Brahmano, avendo una espressione luminosa e con indumenti bianchi come la neve. Il deva fece delle domande alle quali il Beato rispose. 

Il deva disse: "Quale è la spada più aguzza? Quale è il veleno più mortale? Quale è il fuoco più ardente? Quale è la notte più scura?". Il Beato rispose: "Una parola detta in collera è la spada più aguzza; la bramosia è il veleno più mortale; la passione è il fuoco più ardente; l'ignoranza è la notte più scura." 

Il deva disse: "Chi ottiene il più grande beneficio? Chi perde di più? Quale è l’armatura più invulnerabile? Quale è la migliore arma?". Il Beato rispose: "Ottiene il più grande beneficio chi dona agli altri, e perde di più chi avidamente riceve senza gratitudine. La pazienza è l’armatura invulnerabile; la saggezza è la migliore arma." 

Il deva disse: "Chi è il ladro più pericoloso? Quale è il tesoro più prezioso? Chi ha più successo nel portare via con violenza non solo sulla terra, ma anche in cielo? Quale è il tesoro più sicuro da trovare?". Il Beato rispose: "Il pensar male è il ladro più pericoloso; la virtù è il tesoro più prezioso. La mente prende possesso di tutto non solo sulla terra, ma anche in cielo, e l'immortalità è il tesoro più sicuro da trovare!" 

Il deva disse: "Cos’è più attraente? Cosa più disgustoso? Quale è il dolore più orribile? Quale è il più grande godimento?". Il Beato rispose: "Il bene è attraente; il male è disgustoso. Una cattiva coscienza è il dolore che dà più tormento; e la liberazione è l'estasi della beatitudine." 

Il deva chiese: "Cosa provoca la rovina nel mondo? Cosa distrugge le amicizie? Quale è la febbre più violenta? Chi è il più buon medico?". Il Beato rispose: "La ignoranza provoca rovina nel mondo. L'invidia e l’egoismo distruggono le amicizie. L’odio, è la febbre più violenta, ed il Buddha è il più buon medico." 

Il deva allora disse: "Ora io ho solamente un dubbio da risolvere; ti prego, chiari-scimelo via: Cos’è quella cosa che né il fuoco può bruciare, né l'umidità corrodere, né il vento spazzar via, ma è in grado di riformare il mondo intero?". Il Beato rispose: "La Benedizione! Né il fuoco, né l'acqua, né il vento possono distruggere la benedizione di un buon atto, e le benedizioni riformano il mondo intero." 

Il deva, avendo ascoltato le parole del Beato, fu eccitato e colmo di gioia. Così, unendo le sue mani, si prostrò di fronte a lui in atto di riverenza, e all’improvviso scomparve dalla presenza del Buddha. 

 

PAROLE DI ISTRUZIONE 

I bhikkhu (monaci) vennero dal Beato, e avendolo salutato con mani giunte, loro dissero: "O Maestro, tu sei onnivedente, noi tutti desideriamo imparare; le nostre orecchie sono pronte per ascoltare, tu sei incomparabile, sei il nostro insegnante. Elimina i nostri dubbi, istruiscici sul sacro Dharma, O tu di grande comprensione; parla in mezzo a noi, O tu vedi tutto, come il Signore degli dèi dai mille occhi. Noi chiederemo al Muni di grande comprensione, che ha attraversato il flusso ed è andato all'altra sponda, che è Beato e con mente ferma: Come può un bhikkhu andare rettamente per il mondo, dopo aver abbandonato la sua casa ed eliminato il desiderio?" 

Il Buddha disse: "Che il bhikkhu soggioghi la sua passione per i piaceri umani e celestiali poi, avendo vinto l’esistenza, egli sarà padrone del Dharma. Uno così andrà rettamente per il mondo. Colui che ha eliminato la concupiscenza e che è libero dall’orgoglio, costui ha superato tutti i modi della passione, è soggiogato, perfettamente felice, e con mente ferma. Uno così andrà rettamente per il mondo. Pieno di fede è colui che è in possesso di conoscenza, e vede la via che conduce al Nirvana; colui che non è di parte; che è puro e virtuoso, e ha rimosso il velo dai suoi occhi. Uno così andrà rettamente per il mondo." 

I bhikkhu dissero: "Certamente, O Bhagavan, è così: qualunque bhikkhu che viva in questo modo, assoggettato ed avendo superato tutti gli obblighi, uno così andrà rettamente per il mondo." 

Il Beato disse: "Tutto ciò che sarà fatto da colui chi aspira a ottenere la tranquillità del Nirvana lo renderà capace e retto, coscienzioso e gentile, e non orgoglioso. Che il piacere di un uomo sia il Dharma, che si diletti nel Dharma, che stia sempre nel Dharma, che faccia sempre domande sul Dharma, che non sollevi nessuna disputa che possa inquinare il Dharma, e che passi tutto il suo tempo ponderando sulle benedette verità del Dharma". 

"Un tesoro gettato in una buca profonda non porta alcun profitto e può essere facilmente perso. Il vero tesoro che è riposto tramite la carità e la compassione, la temperanza, l’autocontrollo, gli atti meritori, è nascosto al sicuro e non può essere perso. Esso non è mai guadagnato derubando o offendendo gli altri, e nessun ladro potrà mai rubarlo. Un uomo, quando muore, deve abbandonare la ricchezza fugace del mondo, ma questo tesoro di atti virtuosi egli li porta con sé. Perciò, che il saggio faccia le buoni azioni; queste sì, sono un tesoro che non può essere mai perso". 

Allora i bhikkhu lodarono la saggezza del Tathagata: "Tu sei andato oltre il dolore; tu sei santo, O Illuminato, noi ti consideriamo uno che ha distrutto le sue passioni. Tu sei glorioso, ragionevole, e di grande comprensione. O tu che hai eliminato il dolore, tu ci hai fatto oltrepassare il nostro dubbio. Poiché tu hai veduto la nostra brama e ci hai portato fuori dal dubbio, Noi ti adoriamo, o Muni, che hai ottenuto il più alto bene nelle vie della saggezza. I dubbi che noi avevamo prima, tu li hai eliminati, O tu che vedi tutto chiaramente; tu pensi in grande e sei perfettamente illuminato, per te non c'è alcun ostacolo. Tutti i tuoi problemi sono stati dispersi ed eliminati; tu sei calmo, assoggettato, fermo, veritiero. 

Noi ti veneriamo, O nobile saggio, noi ti adoriamo, O migliore tra gli esseri; nel mondo di uomini e dèi non vi è nessuno uguale a te. Tu sei il Buddha, tu sei il Maestro, tu sei il Muni che ha conquistato Mara; dopo aver eliminato il desiderio tu hai attraversato il flusso e porterai questa generazione all'altra sponda." 

  

AMITABHA, LA LUCE SCONFINATA 

Uno dei discepoli si avvicinò al Beato con un cuore tremante e la mente piena di dubbi. Egli chiese al Beato: "O Buddha, nostro Signore e Maestro, in che modo possiamo rinunciare ai piaceri del mondo, se tu ci hai proibito di operare miracoli e ottenere il soprannaturale? Amitabha non è forse l’infinita luce della rivelazione, sorgente di innumerevoli miracoli?" 

Ed il Beato, vedendo l'ansia di una mente che cerca la verità, disse: "O Savaka, tu sei novizio fra i novizi, e stai nuotando sulla superficie del samsara. Quanto tempo ti ci vorrà per capire la verità? Tu non hai capito le parole del Tathagata. La legge del karma è infrangibile, e le suppliche non hanno effetto, perché esse sono vuote parole." 

Il discepolo disse: "Allora tu dici che non ci sono cose miracolose e meravigliose?" 

Il Beato rispose: "Non è un cosa meravigliosa, misteriosa e miracolosa al mondo, che un uomo che commette il male possa divenire un santo raggiungendo la vera Illuminazione in cui lui troverà il sentiero della verità ed abbandonerà la cattiva strada dell'egoismo? Il bhikkhu che rinuncia ai piaceri transitori del mondo per la beatitudine eterna della santità, compie l'unico miracolo che può veramente essere chiamato un miracolo. Un uomo santo cambia la maledizione del karma in benedizione. Ma il desiderio di compiere i miracoli sorge o dalla bramosia o dalla vanità. Il mendicante non pensa: "Le persone dovrebbero salutarmi"; chi, sebbene disprezzato dal mondo, non cerca che nessuno sia malevolente verso di lui. Per quel mendicante auspici, meteore, sogni, segni e miracoli sono cose senza valore; egli è libero da ogni loro malanno. Amitabha, la luce sconfinata, è la fonte della virtù, della saggezza, della Buddhità. Gli atti di maghi e creatori-di-miracoli sono frodi, e cosa c’è di più meraviglioso, più misterioso, più miracoloso di Amitabha?" 

"Ma, Maestro" continuò il savaka "la promessa della terra felice è un discorso vano ed un mito?" 

"Cos’è questa promessa?" chiese il Buddha; ed il discepolo rispose: "C'è nell'ovest un paradiso chiamato la ‘Terra Pura’, squisitamente adornata con oro, argento e gemme preziose. Vi sono puri ruscelli con sabbie dorate, circondati da passeggiate piacevoli e coperti con grandi fiori di loto. Vi si sente musica gioiosa, e una pioggia di fiori cade giù tre volte al giorno. Là vi sono uccelli che cantano, le cui note armoniose proclamano lodi alla religione, e nelle menti di coloro che ascoltano i loro dolci suoni, sorge il ricordo del Buddha, del Dharma e del Sangha. Nessuna cattiva nascita è possibile là, ed anche il nome dell’inferno è ignoto. Tutti coloro che ferventemente e con una mente pia ripeteranno le parole ‘Amitabha Buddha’ saranno trasportati alla regione felice di questa Terra Pura, e quando la morte passerà da vicino, il Buddha, in compagnia di santi seguaci, sarà di fronte a loro, e vi sarà una perfetta tranquillità." 

"In verità" disse il Buddha, "tale paradiso felice c'è. Ma il luogo è spirituale ed è accessibile soltanto per coloro che sono spirituali. Tu dicesti che si trova ad ovest. Cioè, che lo si cerca dove risiede colui che illumina il mondo. Il sole sprofonderà e ci lascerà in assoluta oscurità, le ombre della notte scenderanno su di noi, e Mara, il maligno, seppellirà i nostri corpi nella tomba. Ciononostante, il tramonto non è l’estinzione, e dove noi immaginiamo di vedere l'estinzione, vi è una luce illimitata e una vita inesauribile." 

"Ora capisco" disse il savaka, “che la storia del Paradiso Occidentale non è vera letteralmente." 

"La tua descrizione del paradiso" continuò il Buddha, "è bella; però è insufficiente e rende poca giustizia alla gloria della Terra Pura. I mondani possono parlare di essa soltanto in un modo mondano; essi usano similitudini e parole mondane. Ma la Terra Pura, in cui la vita è pura, è più bella di quanto tu possa immaginare o dire. Comunque, la ripetizione del nome ‘Amitabha Buddha’ è meritorio solo per chi lo ripeta con una devota attitudine mentale, che possa purificare il suo cuore e possa intonarlo nel farlo operare in rettitudine. Egli soltanto può raggiungere la terra felice, in cui lo spirito è riempito con l’infinita luce della verità. Egli soltanto può vivere e inspirare l'atmosfera spirituale del Paradiso Occidentale, colui che ha raggiunto l’Illuminazione. Io però ti dico che il Tathagata vive nella terra pura dell’ eterna beatitudine perfino ora, mentre è ancora nel corpo. Il Tathagata predica la legge del Dharma a te ed al mondo intero, così che tu e i tuoi fratelli possiate raggiungere la stessa pace, la stessa felicità." 

Il discepolo disse: "O Signore, insegnami le meditazioni a cui devo dedicarmi per far sì che la mia mente entri nel paradiso della Terra Pura". 

Disse il Buddha: "Ci sono cinque meditazioni. La prima è la meditazione di amore in cui devi accordare il tuo cuore così che tu possa desiderare il benessere di tutti gli esseri, inclusa la felicità dei tuoi nemici. 

"La seconda è la meditazione di compassione in cui tu pensi a tutti gli esseri che sono in angoscia, vividamente rappresentandoti con l’immaginazione i loro dolori e ansie, come pure risvegliando una profonda compassione per essi nel tuo cuore. 

"La terza è la meditazione della gioia in cui tu desideri la prosperità degli altri e gioisci per la loro felicità. 

"La quarta è la meditazione sull’impurità in cui tu consideri le cattive conseguenze della corruzione, gli effetti del male e degli errori. Come è spesso banale il piacere del momento e come sono fatali le sue conseguenze! 

"La quinta è la meditazione sulla serenità in cui ti poni aldisopra di amore e odio, tirannia e schiavitù, ricchezza e povertà, e consideri il tuo proprio fato con calma imparziale e perfetta tranquillità. 

"Un vero seguace del Tathagata non basa la sua fede su austerità o rituali, ma rinunciando all'idea del ‘sé’ si affida con tutto il cuore ad Amitabha, che è la luce sconfinata della verità." 

Il Beato dopo avere spiegato la sua dottrina di Amitabha, l’incommensurabile luce che rende un Buddha chi la riceve, guardò nel cuore del suo discepolo e ancora vi vide dei dubbi ed ansie. E il Beato disse: "Chiedimi, figlio mio, le domande che pesano sul tuo animo". 

Il discepolo disse: "Può un umile monaco, santificando se stesso, acquisire il talento della saggezza sovrannaturale chiamata ‘Abhina’ ed i poteri sovrannaturali chiamati Siddhi? Mostrami il Siddhi-pada, il sentiero alla suprema saggezza. Aprimi il Jhana che è il mezzo per acquisire il samadhi, la fissità di mente che rapisce l'animo. Ed il Beato disse: "Quali sono gli Abhina?" 

Il discepolo rispose: "Ci sono sei Abhina: L'occhio celestiale; l'orecchio celestiale; il corpo di volontà o il potere di trasformazione; la conoscenza del destino delle precedenti incarnazioni, come pure il conoscere i precedenti stati di esistenza; la facoltà di leggere i pensieri degli altri; e la conoscenza di comprendere la finalità del flusso della vita." 

Ed il Beato replicò: "Queste sono cose meravigliose; ma invero, ogni uomo può ottenerle. Considera le potenzialità della tua propria mente; tu sei nato a circa duecento leghe da qui, eppure col tuo pensiero, con un viaggio immediato al tuo luogo natio, tu puoi ricordare i dettagli della casa di tuo padre. Forse che tu, con l’occhio della tua mente, non puoi vedere le radici di quell'albero che è scosso dal vento, senza che esso venga sradicato? Il raccoglitore di erbe, quando vuole, non vede forse con la sua visione mentale qualunque pianta con le sue radici, il suo gambo, i suoi frutti, foglie ed anche gli usi a cui può essere applicata? Un uomo che capisce le lingue non ricorda forse ogni volta nella sua mente ogni parola che gli serve, sapendo il suo esatto significato ed importanza? E ancor più il Tathagata capisce la natura delle cose; poiché egli guarda nei cuori degli uomini, legge i loro pensieri, conosce l'evoluzione degli esseri e prevede le loro fini". 

Il discepolo disse: "Allora il Tathagata insegna che gli uomini per mezzo del Jhana possono ottenere la beatitudine di Abhina". Ed il Beato, in replica, chiese: "Quali sono i Jhana attraverso cui un uomo giunge ad Abhina?" 

Il discepolo rispose: "Ci sono quattro Jhana. Il primo Jhana è l’isolamento in cui deve liberare la sua mente dalla sensualità; il secondo Jhana è una tranquillità di mente piena di gioia e contentezza; il terzo Jhana è prendere piacere nelle cose spirituali; il quarto Jhana è un stato di perfetta purezza e pace in cui la mente è aldisopra di felicità e dolore." 

"Bene, figlio mio" aggiunse il Beato. "Sii sobrio ed abbandona le pratiche sbagliate che servono solamente a vanificare la mente." Il discepolo disse: "Abbi pazienza con me, O Beato, perché io ho fede, ma non capisco e sto cercando la verità. O Benedetto, O Tathagata, mio Signore e Maestro, insegnami il Siddhipada!" 

Il Beato disse: "Ci sono quattro modi con cui si acquisiscono i Siddhi: 1) Impedire alle cattive qualità di sorgere. 2) Eliminare le cattive qualità che sono già sorte. 3) Produrre la bontà che ancora non esiste. 4) Aumentare la bontà che già esiste. - Cerca con sincerità, e persevera nella ricerca. Alla fine tu troverai la verità!" 

 

L'INSEGNANTE INCOGNITO 

Il Beato disse ad Ananda: "Ci sono vari tipi di assemblee, O Ananda; assemblee di nobili, di Brahmani di laici-capifamiglia, di bhikkhu e di altri esseri. Quando io ero solito entrare in una assemblea, prima di sedermi, cercavo sempre di essere in sintonia con i colori del mio uditorio, e con un tono di voce simile al loro. Parlavo nella loro lingua e poi con discorsi religiosi io li istruivo, li stimolavo e li allietavo. 

"La mia dottrina è come l'oceano, poiché ha le stesse otto meravigliose qualità. Sia l'oceano che la mia dottrina diventano gradualmente più profondi. Entrambi conservano la loro identità in mezzo a tutti i cambiamenti. Entrambi riversano cadaveri sulla riva asciutta. Come i grandi fiumi, quando entrano nel grande mare principale, perdono i loro nomi e da allora sono considerati come oceano, così gli individui di qualunque casta, avendo rinunciato al proprio lignaggio ed essendo entrati nel Sangha, diventano fratelli e sono tutti considerati figli di Sakyamuni. L'oceano è la mèta di tutti i fiumi e della pioggia che cade dalle nubi, eppure esso non è mai tracimato e mai svuotato: così il Dharma è abbracciato da molti milioni di persone, ma non aumenta né decresce. Come il grande oceano ha solamente un unico gusto, il gusto di sale, così la mia dottrina ha solamente un unico sapore, il sapore dell'emancipazione. Sia l'oceano che il Dharma, sono pieni di gemme e perle, e gioielli, ed entrambi si dimostrano un luogo di dimora per potenti esseri. Queste sono le otto qualità meravigliose per cui ho detto che la mia dottrina assomiglia all'oceano. 

"La mia dottrina è pura e non fa discriminazione fra nobile ed ignobile, ricco e povero. La mia dottrina è come l’acqua che ripulisce tutti senza distinzione. La mia dottrina è come un fuoco che consuma tutte le cose che esistono tra cielo e terra, grandi e piccole. La mia dottrina è come il vasto Cielo, perché in essa c’è spazio, un’ampia stanza per il ricevimento di tutti, uomini e donne, ragazzi e ragazze, per i potenti ed i modesti. 

"Ma quando io parlai, essi non mi riconobbero e dissero, 'Chi può mai essere costui che parla così, un uomo o un dio?'. Poi, avendoli istruiti, stimolati, e allietati con discorsi religiosi, io potrei svanire via. Ma loro non mi riconoscerebbero, anche quando io fossi svanito via!". 

  

PARABOLE E STORIE 

Il Beato pensò: "Io ho insegnato la verità che è eccellente all'inizio, eccellente nel mezzo, ed eccellente alla fine; è gloriosa nello spirito e gloriosa nella lettera. Ma per quanto sia semplice, le persone non possono capirla. Io devo parlar loro nel loro proprio linguaggio. Io devo adattare i miei pensieri ai loro pensieri. Loro sono come bambini, ed amano sentir storie. Perciò, io racconterò storie per spiegare la gloria del Dharma. Se essi non possono comprendere la verità negli argomenti astratti ai quali io sono arrivato, ciononostante essi possono arrivare a capirla, se viene loro illustrata con parabole". 

  

  

IL SOLDINO DELLA VEDOVA, ED I TRE MERCANTI 

C'era una volta una vedova sola che era molto bisognosa, ed essendo andata su in montagna lei vide degli eremiti che tenevano una riunione religiosa. Allora la donna si riempì di gioia, e recitando preghiere, disse: "Bene, bravi, santi preti! ma mentre altri offrono cose preziose, come i prodotti delle profondità dell’oceano, io non ho niente da dare!" Avendo così parlato e avendo invano cercato essa stessa qualcosa da offrire, ella si ricordò che tempo prima aveva trovato due monete in una discarica, così le prese e subito le offrì come regalo di carità ai preti. 

Il superiore dei preti, un santo che poteva leggere nel cuore degli uomini, mentre snobbava i ricchi regali degli altri, vide però la profonda fede nel cuore di questa povera vedova, e desiderando giustamente valorizzare il suo merito religioso, le rivolse un canto a voce piena. Egli sollevò la sua mano destra e disse, "Reverendi preti aspettate!", dopodiché procedette: 

"I poveri soldini di questa vedova sono più preziosi per ogni scopo,

"Più di tutti i tesori degli oceani e della ricchezza della vasta terra. 

"Come un atto di pura devozione, ella ha fatto un atto davvero pio; 

"Lei ha raggiunto la salvezza, essendo libera dall'avidità egoista." 

La donna fu potentemente fortificata nella sua mente da questo pensiero, e disse, "E’ proprio come dice l'Insegnante: ciò che ho fatto io è come se un uomo ricco avesse abbandonato tutta la sua ricchezza." 

E l'Insegnante disse: "Fare buone azioni è come accumulare tesori", e poi espose questa verità in una parabola: "Tre mercanti si misero in viaggio, ognuno con le sue ricchezze; uno di loro guadagnò molto avendo venduto tutta la sua ricchezza, il secondo ritornò con la tutta sua ricchezza intatta, ed il terzo ritornò a casa dopo avere perso tutta la sua ricchezza. Ciò che accade nella vita ordinaria si applica anche alla religione". 

"La ricchezza è lo stato al quale un uomo è giunto, il guadagno è il Paradiso; la perdita della ricchezza significa che un uomo rinascerà in uno stato inferiore, come abitante degli inferni o come animale. Queste sono le strade che si aprono al peccatore. 

"Colui che ritorna con la sua ricchezza, è come uno che rinasce di nuovo come un uomo. Coloro che grazie all'esercizio delle varie virtù diventano dei pii capifamiglia rinasceranno di nuovo come uomini, perché tutti gli esseri raccoglieranno il frutto delle loro azioni. Ma colui che aumenterà la sua ricchezza è come uno che pratica le virtù più eminenti. Il virtuoso, uomo eccellente, arrivato in Cielo raggiunge il glorioso stato degli dèi." 

  

L'UOMO NATO CIECO 

C'era un uomo nato cieco, che diceva: "Io non credo in un mondo di luce e di apparenze. Non ci sono colori brillanti né oscurità. Non c'è nessun sole, nessuna luna, niente stelle. Nessuno ha mai testimoniato a me queste cose". I suoi amici lo contestavano, ma lui restava aggrappato alla sua opinione: "Ciò che voi dite di vedere" obiettava, "sono solo illusioni. Se i colori esistessero davvero io dovrei essere in grado di toccarli. Essi non hanno sostanza e quindi non sono veri. Tutto ciò che è vero ha un peso, ma io non sento peso dove voi vedete i colori." 

Fu chiamato un medico per visitare l'uomo cieco. Egli mescolò quattro elementi, e quando li applicò sulla cataratta dell'uomo cieco la patina grigia si sciolse, ed i suoi occhi riacquistarono la facoltà della vista.

Allo stesso modo, il Tathagata è il medico, la cataratta è l'illusione del pensiero "io sono", ed i quattro elementi sono le Quattro Nobili Verità. 

  

IL FIGLIO PERDUTO 

C'era il figlio di un capofamiglia che andò via in una lontana contrada, e mentre il padre accumulò una ricchezza incommensurabile, il figlio diventò miserevolmente povero. E mentre il figlio girava cercando cibo e vestiario, gli accadde di ripassare per il paese dove viveva suo padre. Il padre vide il figlio nella sua miseria, poiché si era abbrutito a causa della povertà, e ordinò che i suoi servitori lo chiamassero. Quando il figlio vide il luogo in cui fu condotto, pensò, "Io ho dovuto mettere in sospetto un uomo potente, e lui mi getterà in prigione". Pieno di apprensione, egli fuggì prima di aver visto suo padre. 

Allora il padre mandò dei messaggeri, dopodiché suo figlio fu ripreso e riportato da lui, nonostante i suoi lamenti. Quindi il padre ordinò che i suoi servi trattassero dolcemente suo figlio, e nominò un operatore del rango ed istruzione di suo figlio per assumere il giovane come aiutante in una tenuta. Ed il figlio fu felice della sua nuova situazione. Dalla finestra del palazzo il padre guardava il suo ragazzo, e quando vide che lui era onesto ed industrioso, lo promosse sempre più in alto. 

Dopo un po' di tempo, egli fece chiamare suo figlio e insieme tutti i suoi servitori, e rese noto ad essi il segreto. Allora l'uomo povero fu molto contento e pieno di gioia nell’incontrare suo padre.

Solo così, poco a poco, le menti degli uomini devono essere addestrate per le verità più alte. 

  

IL PESCE STORDITO 

C'era un bhikkhu che aveva grande difficoltà nel tenere sotto controllo i suoi sensi e le passioni; quindi, avendo deciso di lasciare l'Ordine, andò dal Beato per chiedergli lo scioglimento dai voti. Il Beato allora disse al bhikkhu: "Fai attenzione, figlio mio, affinché tu non cada preda alle passioni del tuo cuore fuorviato. Perché io vedo che nelle precedenti esistenze, tu hai molto sofferto per le cattive conse-guenze della concupiscenza, ed a meno che tu non impari a sottomettere il tuo desiderio sensuale, in questa vita tu sarai rovinato a causa della tua follia". 

"Ascolta la storia di un'altra tua esistenza, come pesce. Si poteva vedere il pesce nuotare nel fiume, mentre giocava bramoso con una pesciolina, sua moglie. Lei, muovendosi davanti, all’improvviso percepì le maglie di una rete, e scivolandole intorno scampò il pericolo; ma lui, accecato dall’amore, si avventò con impazienza su di lei e precipitò diritto nella bocca della rete. Il pescatore tirò su la rete, ed il pesce che si lamentava amaramente del suo triste fato dicendo, 'questo è davvero l’amaro frutto della mia follia', sarebbe certamente morto se non fosse passato di lì un Bodhisattva che, capendo la lingua del pesce, ebbe pietà di lui. Egli comprò la povera creatura e gli disse: 'O mio buon pesce, se oggi non ti avessi visto, tu avresti perso la tua vita. Io ti salverò, ma d'ora innanzi evita la concupiscenza.' Con queste parole, lui gettò il pesce nell'acqua." 

"Fai del tuo meglio per la grazia del tempo che ti è concesso in questa esistenza presente, e temi il dardo della passione poiché, se tu non proteggi i tuoi sensi, ti condurrà alla distruzione." 

  

LA CRUDELE GRU BEFFATA 

Un sarto che normalmente cuciva le vesti ai confratelli era solito ingannare i suoi clienti, e così si gloriava di essere più intelligente degli altri uomini. Ma una volta, nel trattare un'importante affare con un estraneo, trovò uno più bravo di lui nel modo di ingannare, e soffrì di una pesante perdita. 

Il Beato disse: "Questo non è un incidente isolato nel destino del sarto avido; in altre incarnazioni egli soffrì di perdite simili, e alla fine tentando di imbrogliare gli altri, si rovinò. Questa stessa avida persona visse molte generazioni fa come gru vicino ad uno stagno, e quando arrivò la stagione asciutta disse ai pesci con una voce gentile: ‘Non siete preoccupati per il vostro futuro? In questo stagno ora c'è poca acqua ed ancor meno cibo. Cosa farete quando con questa siccità tutto lo stagno dovrebbe diventare asciutto?' 'Sì, davvero' dissero i pesci ‘cosa dovremmo fare?' La gru rispose: 'Io conosco un grande e vasto lago che non diventa mai asciutto. Non volete che vi porti là, con me, nel mio becco?'. Dato che i pesci cominciavano a diffidare dell'onestà della gru, essa propose di portare uno di loro al lago per vederlo; ed una grande carpa alla fine nell'interesse degli altri decise di correre il rischio, e la gru la portò ad un bel lago, e la riportò indietro in sicurezza. Allora ogni dubbio svanì, ed i pesci ebbero fiducia nella gru, ed ora la gru li prese uno alla volta dallo stagno e li divorò posandosi su un grande albero. 

Nello stagno c'era anche un'aragosta, e quando la gru volle mangiare anche lei, le disse: 'Io ho portato via tutti i pesci e li ho messi in un grande e vasto lago. Vieni, dunque, ti ci porterò anche a te!' 'Ma per portarmi, come puoi tenermi tanto a lungo?' chiese l'aragosta. 'Io ti terrò stretta col mio becco’, disse la gru. 'Se mi porti in quel modo tu potresti lasciarmi precipitare. Io non verrò con te!' rispose l'aragosta. 'Non avere paura' aggiunse la gru, 'Io, dal principio alla fine, ti terrò ben stretta'. 

"Allora l'aragosta pensò: 'Se questa gru una volta tenne stretto un pesce, di sicuro mai gli permise di arrivare al lago! Ora se davvero dovesse portarmi al lago ciò sarebbe splendido; ma se non lo fa, allora io taglierò la sua gola e la ucciderò!' Così disse alla gru: 'Guarda qui, amico, tu non sarai capace di tenermi abbastanza stretto; ma noi aragoste abbiamo una presa famosa. Se tu mi lasci prendere te sul tuo collo rotondo coi miei artigli, io sarò contento di venire con te.' 

"La gru non capì che l'aragosta stava cercando di superarla in astuzia, e accettò. Quindi l'aragosta fece presa sul suo collo, coi suoi artigli sicuri come un paio di pinze da fabbro ferraio, e gridò: 'Pronti, via!'. La gru si alzò e le mostrò il lago, e poi si diresse verso il grande albero. ‘Ehi!' urlò l'aragosta, "Il lago stà lì, ma perché tu mi porti in quest’altro luogo?'. La gru rispose: 'Cosa pensi’? Suppongo che tu pensi che io sono il tuo schiavo, che ti deve portare dove ti piace di più! Ora tira fuori i tuoi occhi e guarda quel mucchio di lische di pesce alla base di quell’albero. Proprio come ho mangiato quei pesci, uno alla volta, proprio così ora io divorerò anche te!' 

"'Ah! quei pesci furono mangiati a causa della loro stupidità’, rispose l'aragosta, 'ma io non lascerò che tu mi uccida. Al contrario, sei tu che io distruggerò. Perché tu, nella tua follia, non hai capito che io ti ho beffato. Se io muoio, noi moriremo insieme; perché io ti taglierò la testa e la farò precipitare in terra!'. Così dicendo, l’aragosta coi suoi artigli diede un pizzicotto sul collo della gru come avvertimento. 

"Allora, ansimando, con lacrime che venivan giù dai suoi occhi, e tremando per la paura di morire, la gru implorò l'aragosta, dicendo: 'Mio Signore! Effettivamente io non intendevo mangiarti. Salva la mia vita!' 'Molto bene! scendi giù e mettimi nel lago' rispose l'aragosta. E la gru tornò indietro e scese giù verso il lago, mettendo l'aragosta sulla sua riva. Poi l'aragosta tagliò il collo della gru cosi bene, come uno taglierebbe un gambo di loto con un coltello, e poi entrò in acqua!" 

Quando il Maestro ebbe finito questo racconto, aggiunse: "E non soltanto ora quest’uomo fu beffato in questo modo, ma anche in altre esistenze, dai suoi stessi intrighi!" 

  

QUATTRO TIPI DI MERITO 

C'era un uomo ricco che era solito invitare a casa sua tutti i Brahmani del circon-dario e, dando loro ricchi regali, offriva grandi sacrifici agli dèi. 

Ma il Beato disse: "Se un uomo ogni mese ripete mille sacrifici e fà infinite offerte, non è uguale a colui che, anche solo per un momento, fissa la sua mente sulla verità". Il Buddha continuò: "Ci sono quattro tipi di offerte: primo, quando i regali sono grandi ed il merito è piccolo; in secondo luogo, quando i regali sono piccoli ed il merito piccolo; in terzo luogo, quando i regali sono piccoli ed il merito è grande; e infine, quando i regali sono grandi ed anche il merito è grande. 

"Il primo è il caso dell'uomo illuso che toglie la vita allo scopo di far sacrifici agli dei, accompagnandoli con gozzoviglie e banchetti. Qui i regali sono grandi, ma il merito è davvero piccolo. Poi, i regali sono piccoli ed anche il merito è piccolo, quando per bramosia e un cuore perfido un uomo si tiene una parte di ciò che lui intendeva offrire. 

"Il merito è grande mentre il regalo è piccolo, invece, quando un uomo fa la sua offerta con amore e con un desiderio di svilupparsi in saggezza ed in gentilezza. Ed infine, il regalo è grande ed il merito è grande, quando un uomo ricco, con un spirito altruista e con la saggezza di un Buddha, fà donazioni e fonda istituzioni per il bene dell’umanità e per illuminare le menti dei suoi simili ed amministrare le loro necessità." 

  

LA LUCE DEL MONDO 

C'era un certo Brahmano in Kosambi, ben versato nei Veda ma attaccabrighe. Poiché non trovava nessuno che gli fosse pari nei dibattiti, lui portava una torcia accesa in mano, e quando chiedevano la ragione di questa sua strana condotta, lui rispondeva: "Il mondo è così oscuro che io porto questa torcia per illuminarlo, più distante che posso". Un samana che sedeva nella piazza del mercato sentì queste parole e disse: "Amico mio, se i tuoi occhi sono ciechi alla vista della luce onnipresente del giorno, non chiamare buio il mondo. La tua torcia non aggiunge niente alla gloria del sole e la tua intenzione di illuminare le menti degli altri è tanto futile quanto arrogante". Ed allora il Brahmano chiese: "Dove è il sole di cui stai parlando?" Ed il samana rispose: "La saggezza del Tathagata è il sole della mente. La sua luminosità è gloriosa giorno e notte, e colui la cui fede è forte non sarà mai privo di luce sul sentiero per il Nirvana, in cui otterrà beatitudine eterna!" 

 

VIVERE NEL LUSSO

Mentre il Buddha stava predicando la sua dottrina per la conversione del mondo nelle vicinanze di Savatthi, un uomo assai ricco che soffriva di molte indisposizioni venne da lui con mani giunte e disse: "O Buddha, onorato dal Mondo, perdonami per la mia mancanza di rispetto nel non salutarti come dovrei (cioè inchinandomi a terra) ma io patisco di forte obesità, eccessiva sonnolenza, e altri dolori, così che non posso muovermi senza sentire sofferenza". 

Il Tathagata, vedendo i lussi con cui l'uomo era circondato, gli chiese: "Non hai tu un desiderio di sapere la causa delle tue indisposizioni?" E quando il ricco uomo espresse la sua volontà di voler sapere, il Beato disse: "Ci sono cinque cose che producono le condizioni di cui tu ti lamenti: opulente cene, amore per il sonno, brama per il piacere, assenza di riflessione, e di una virtuosa e sana occupazione. Esercita dunque l’autocontrollo sui tuoi pasti, e applicati ad attività che possano utilizzare la tua abilità e renderti utile ai tuoi simili. Seguendo questi miei consigli tu potrai prolungare la tua vita". 

Il ricco uomo ricordò le parole del Buddha e, avendo recuperato dopo qualche tempo la leggerezza del suo corpo e la giovanile agilità, ritornò dall’onorato nel Mondo, arrivando a piedi senza cavalli né attendenti, gli disse: "Maestro, tu hai guarito le mie indisposizioni fisiche; ora io vengo a richiedere l’Illuminazione della mia mente." 

Ed il Beato disse: "Il mondano nutre il suo corpo, ma l'uomo saggio nutre la sua mente. Colui che indulge nella soddisfazione dei suoi appetiti attiva la sua propria distruzione; ma colui che procede nel sentiero avrà sia la salvezza dal male e sia un prolungamento della vita." 

  

LA COMUNICAZIONE DELLA BEATITUDINE 

Annabhara, lo schiavo di Sumana, avendo appena tagliato l'erba nel prato, vide un samana con la sua ciotola che elemosinava il cibo. Posando a terra il suo fascio di fieno, egli corse verso la casa e ritornò con del riso che era stato offerto a lui come suo proprio cibo. Il samana mangiò il riso e lo allietò con parole di conforto religioso. 

La figlia di Sumana che da una finestra aveva osservato la scena esclamò: "Bene! Annabhara! Molto bene!" Sumana, che aveva udito queste parole, le chiese che cosa volesse dire, e venendo informato sulla devozione di Annabhara e le parole di conforto che lui aveva ricevuto dal samana, andò dal suo schiavo e gli offrì del denaro per dividere la beatitudine della sua offerta. Annabhara gli disse: "O mio signore, prima permettetemi di chiederlo al venerabile uomo". Ed avvicinandosi al samana, gli disse: "Il mio padrone mi ha chiesto di dividere con lui la beatitudine dell'offerta di riso che io feci a te. È corretto che io dovrei dividerla con lui?" 

Il samana rispose con una parabola. Egli disse: "In un villaggio di cento case una sola luce era accesa. Poi, arrivò un vicino con la sua lampada e da quella l'accese; e allo stesso modo la luce fu propagata da casa in casa e la luminosità di tutto il villaggio fu incrementata. Così anche la luce del Dharma può essere diffusa senza deprimere chi la propaga. Fai che anche la beatitudine della tua offerta sia diffusa. Condividila". 

Annabhara allora ritornò alla casa del suo padrone e gli disse: "Io ti offro, o mio signore, una condivisione della beatitudine della mia offerta. Degnati dunque di accettarla". Sumana l'accettò ed offrì una somma di denaro al suo schiavo, ma Annabhara rispose: "No, mio signore; così sembrerebbe come se io ti vendessi la mia azione, se io accetto il tuo denaro. La beatitudine non può essere venduta; Io imploro che tu possa accettarla come un dono". Il padrone rispose: "Fratello Annabhara, da oggi in poi tu sei libero. Vivrai con me come mio amico ed accetta questo presente come un pegno del mio rispetto." 

  

LO SCIOCCO DISATTENTO 

C'era un ricco Brahmano, ben avanti negli anni che, immemore dell'impermanenza delle cose terrene e prospettando una vita lunga, si era costruito una gran casa. Il Buddha si chiedeva perché un uomo così prossimo alla morte aveva costruito una magione con così tanti appartamenti, e inviò Ananda dal ricco Brahmano affinché gli predicasse le Quattro Nobili Verità e l’Ottuplice Sentiero della salvezza. Ivi giunto, il Brahmano mostrò ad Ananda la sua casa e gli spiegò lo scopo delle sue numerose camere, ma lui non prestò attenzione all'istruzione degli insegnamenti del Buddha. Ananda disse: "Gli sciocchi hanno l’abitudine di dire, 'io ho ricchezza e figli'. Colui che dice così non è padrone neanche di se stesso; come può dire di aver il possesso di figli, ricchezza, case e servitù? Le preoccupazioni dei mondani sono invero molte, ma essi non sanno niente dei cambiamenti del futuro." 

Ananda era appena andato via, quando il vecchio uomo fu colpito da apoplessia e morì. Saputo ciò, il Buddha disse, per l'istruzione di coloro che erano pronti: "Uno sciocco, anche se vive in compagnia del saggio, non comprende niente della vera dottrina, come un cucchiaio che non sente il sapore della zuppa. Egli pensa solo a se stesso, ed immemore del consiglio di buoni consiglieri, non è per nulla in grado di potersi  liberare. 

  

SALVATAGGIO NEL DESERTO 

C'era un discepolo del Beato, pieno di energia e di zelo per la verità che, avendo fatto un voto per completare una meditazione in solitudine, cadde in un momento di debolezza. Egli pensò: "Il Maestro ha detto che vi sono diversi tipi di uomini; Io devo appartenere alla classe più bassa e temo che per me in questa rinascita non ci sarà né sentiero né risultato. Che scopo ha una vita da eremita se neanche con uno sforzo continuo posso ottenere l'insight meditativo a cui mi sono dedicato?". E così egli lasciò la solitudine e ritornò al Jetavana. 

Quando i fratelli lo videro, gli dissero: "Tu hai sbagliato, O fratello, nel rinunciare, dopo aver fatto un voto, al tentativo di eseguirlo"; e essi lo portarono dal Maestro. Quando il Beato li vide, disse: "Vedo, O mendicanti, che avete portato qui questo fratello contro la sua volontà. Cosa ha fatto?" 

"Signore, questo fratello aveva fatto i voti di santificare la fede, ma poi ha abban-donato lo sforzo di voler portare a termine lo scopo come membro dell'ordine, ed è ritornato da noi." Allora il Maestro disse a lui: "È vero che tu hai rinunciato al tentativo?" - "È vero, O Beato!" fu la replica. 

Il Maestro disse: "Questa tua vita attuale è un tempo della grazia. Se tu ora non riesci a giungere allo stato di felicità tu dovrai soffrire per il rimorso nelle esistenze future. Com’è, fratello, che ti sei dimostrato così irresoluto? Poiché, nei primi stati dell’esistenza tu eri pieno di determinazione. Con la tua sola energia, uomini e buoi con cinquecento carri trovarono l’acqua nel deserto sabbioso, e furono salvi. Com’è che tu ora rinunci?". Con queste poche parole il confratello riattivò la sua decisione. Ma gli altri implorarono il Beato, dicendo: "Signore! Dicci come questo avvenne". 

"Ascoltate, allora, O mendicanti!" disse il Beato; ed avendo eccitato così la loro attenzione, egli rese manifesta una cosa celata fin dalla nascita.

“Una volta, mentre Brahmadatta stava regnando in Kasi, il Bodhisattva nacque nella famiglia di un mercante; e quando lui crebbe, andò per affari con un seguito di cinquecento carri. Un giorno, egli giunse ad un deserto sabbioso che era vasto molte leghe. La sabbia in quel deserto era così fina che quando veniva presa nel pugno chiuso non poteva essere trattenuta nella mano. Dopo che il sole fu sorto, essa divenne calda come un mucchio di tizzoni ardenti, così che nessun uomo poteva camminarci sopra. Perciò, quelli che dovevano viaggiarci sopra presero su legname, acqua, olio, e riso nei loro carri, e viaggiarono di notte. Ed allo spuntar del giorno essi formarono un accampamento e montarono un tendone aldisopra di esso e, prendendo presto i loro pasti, passarono il giorno giacendo all'ombra. Al tramonto essi cenarono, e quando la terra diventò fresca aggiogarono i loro buoi e ripartirono. Il tragitto era come un viaggio per mare: dovette esser scelta una guida nel deserto, che portò la carovana all'altro lato grazie alla sua conoscenza delle stelle. 

"Così il mercante della nostra storia attraversò il deserto. E quando ebbe superato cinquantanove leghe lui pensò, ‘Ora, in non più d’una notte usciremo dal deserto’, e dopo la cena egli diresse i carri al giogo, e così li sciolse. La guida, che aveva sistemato i cuscini sul primo carro, scese giù per guardare le stelle e orizzontarsi dove guidare gli uomini. Ma, esausto dalla mancanza di riposo durante la lunga marcia, egli si addormentò e non si accorse che i buoi erano tornati indietro ed avevano preso la stessa strada da cui erano venuti. I buoi andarono avanti per tutta la notte. Verso l’alba la guida si svegliò e, osservando le stelle, esclamò: "Fermate i carri, fermate i carri!". Il giorno stava giungendo alla fine quando essi si fermarono e misero i carri in fila. Allora qualcuno gridò: "Ma questo è proprio l’accampamento che abbiamo lasciato ieri! Non abbiamo più che poca legna e la nostra acqua è finita! Siamo persi!" E slegando i buoi e mettendoli al riparo essi si sdraiarono scoraggiati, ognuno sotto il suo carro. 

Ma il Bodhisattva pensò, "Se mi scoraggio anch’io, periranno tutti, e camminò all’intorno mentre il giorno era ancora fresco. Vedendo un ciuffo di erba kusha, lui pensò: "Questo sarebbe potuto crescere solo stando a bagno nell'acqua, che deve stare al di sotto". E così fece portare una vanga e fece scavare in quella macchia. Essi scavarono sessanta cubiti di profondità. Quando, arrivati così in fondo, la vanga degli sterratori colpì una pietra; appena colpita, tutti si abbandonarono alla disperazione. Ma il Bodhisattva pensò, "deve esservi acqua sotto quella pietra", e scendendo nel pozzo egli raggiunse la pietra, e chinandosi vi applicò sopra il suo orecchio esaminandone il suono. Egli sentì il suono di acqua che gorgogliava, e quando risalì chiamò il suo attendente. "Caro il mio giovane, se tu ora ci deludi, noi siamo tutti perduti. Non ti scoraggiare. Prendi questo martello di ferro, vai giù nella buca, e dai alla pietra un buon colpo." 

Il giovane obbedì, e benché tutti fossero nella disperazione, egli andò giù pieno di determinazione e colpì la pietra. La pietra si divise in due e precipitò sotto, così che liberò la via verso il torrente, e l’acqua che sgorgò dalle profondità fino all'orlo del pozzo era uguale in altezza ad un albero di palma. E tutti bevvero l'acqua, e si bagnarono in essa. Poi cucinarono il riso e lo mangiarono, ed alimentarono i loro buoi. E quando il sole calò, loro misero una bandiera nel pozzo, ed andarono verso il luogo destinato. Là loro vendettero la loro merce ad un buon profitto e poi fecero ritorno alla loro casa, e quando morirono essi trapassarono in accordo ai loro atti. Ed il Bodhisattva fece offerte e altri atti virtuosi, ed anche lui trapassò via in conformità dei suoi atti". 

Dopo che il Maestro ebbe raccontato la storia, la ricollegò dicendo in conclusione, "Nella carovana, il Bodhisattva era il futuro Buddha; mentre l’attendente che in quel momento non si disperò, ma ruppe la pietra e diede l’acqua a tutti, era questo nostro confratello senza perseveranza; e gli altri uomini erano tutti gli attuali compagni del Buddha." 

  

IL SEMINATORE 

Bharadvaja, un ricco coltivatore Brahmano, stava celebrando il suo ringraziamento per il raccolto, quando arrivò il Beato con la sua ciotola per l’elemosina, cercando il cibo. Alcune delle persone gli prestarono riverenza, ma il Brahmano era adirato e disse: "O Samana, sarebbe stato meglio per te andare a lavorare, piuttosto che implorare. Io aro e semino, ed avendo arato e seminato, io mangio. Se tu facessi lo stesso, anche tu potresti avere qualcosa da mangiare!" 

Il Tathagata gli rispose dicendo: "O Brahmano, anch’io aro e semino, ed avendo arato e seminato, io mangio". "Tu dichiari di essere un agricoltore?" ribattè il Brahmano. "E allora, dove sono i tuoi buoi? Dove sono i semi e l'aratro?" 

Il Beato disse: "La fede è il seme che io semino: le opere buone sono la pioggia che lo fertilizza; la saggezza e la modestia sono l'aratro; la mia mente è la guida per le redini; Io tengo il manico della buona-legge; la serietà è il pungolo che io uso, e l'applicazione è il mio tiro di buoi. Questa aratura è fatta per distruggere le erbacce dell’illusione. Il raccolto che produce è l’immortale frutto del Nirvana, e così tutte le sofferenze finiscono". Allora il Brahmano versò del latte di riso in una ciotola dorata e l’offrì al Beato, dicendo: "Che il Maestro dell’umanità condivida il  latte di riso, perché il venerabile Gotama sta arando ciò che porta a noi il frutto dell'immortalità." 

  

L'ESULE 

Quando il Beato dimorava nel Jetavana a Savatthi, andò fuori con la sua ciotola per elemosinare il cibo e si avvicinò alla casa di un prete Brahmano, mentre il fuoco di un'offerta stava ardendo sull'altare. E il prete disse rudemente: "Stai indietro, o sbarbatello; stai indietro, O samana disgraziato; tu sei un esule." 

Il Beato rispose: "Chi è un esule? Un esule è l'uomo che è adirato e porta odio; l'uomo che è malvagio ed ipocrita, che abbraccia l’errore ed è pieno di falsità. Colui che è un provocatore ed è avido, abbia cattivi desideri, è invidioso, maligno, spudorato, e senza tema di commettere il male, costui può essere noto come un esule. Non la nascita rende uno un esule, non la nascita rende uno un Brahmano; ma con le azioni uno diviene un esule, e con le azioni uno diviene un Brahmano." 

  

LA DONNA AL POZZO 

Ananda, il discepolo favorito del Buddha, essendo stato mandato dal Signore per una missione, passò da un pozzo vicino ad un villaggio, e vedendo Pakati, una ragazza della casta Matanga, le chiese un po’ d’acqua da bere. Pakati disse: "O Brahmano, io sono troppo umile e misera per darti da bere, non chiedermi alcun servizio affinché la tua santità non sia contaminata, perché io sono di bassa casta" Ed Ananda rispose: "Io non cerco una casta, ma solo acqua"; ed il cuore della ragazza Matanga sussultò gioiosamente e lei diede da bere ad Ananda. 

Ananda la ringraziò ed andò via; ma lei lo seguì a distanza. Avendo sentito che Ananda era un discepolo di Gotama Sakyamuni, la ragazza si rivolse al Beato e disse piangendo: "O Signore, aiutami e permettimi di vivere nel luogo dove il tuo discepolo Ananda dimora, così che io possa vederlo ed essere da lui ammaestrata, perché io amo Ananda." Il Beato comprese le emozioni del suo cuore e le disse: "Pakati, il tuo cuore è pieno di amore, ma tu non comprendi i tuoi propri senti-menti. Non è Ananda che tu ami, ma la sua gentilezza. Accetta, quindi, questa gentilezza che tu hai visto praticare verso di te, e nell'umiltà della tua situazione praticala verso gli altri. Invero, vi è un grande merito nella generosità di un re quando lui è gentile verso un schiavo; ma vi è un più grande merito nello schiavo quando ignora le ingiustizie che egli soffre e mantiene la gentilezza e benevolenza verso tutta l’umanità. Egli cesserà di odiare i suoi oppressori, ed anche quando non avrà il potere di resistere alla loro usurpazione, guarderà con compassione la loro arroganza e il loro portamento altezzoso. 

"Tu, Pakati, sei benedetta perché sebbene sei una Matanga tu sarai un modello per uomini e donne nobili. Tu sei di bassa casta, ma un Brahmano può imparare una lezione da te. Non deviare dal sentiero della giustizia e rettitudine, e tu potrai offuscare la gloria reale di una regina sul trono." 

  

IL CONCILIATORE 

Si narra che due regni erano in procinto di farsi guerra per il possesso di un certo argine che era disputato tra di loro. Ed il Buddha, vedendo i re ed i loro eserciti pronti a lottare, chiese loro di dirgli la causa delle loro dispute. Avendo sentito le rimostranze di entrambi, egli disse: 

"Capisco che l'argine ha un suo valore per alcuni della vostra gente; ma avrebbe un qualche valore intrinseco, a parte il suo servire ai vostri uomini?" 

"Non ha alcun valore intrinseco" fu la replica. 

Il Tathagata continuò: "Ora, quando voi andrete a combattervi, non è sicuro che molti dei vostri uomini saranno uccisi e che anche voi stessi, o re, siete a rischio di perdere le vostre vite?" E loro dissero: "Si, è sicuro che molti saranno uccisi e le nostre proprie vite saranno messe in pericolo." 

Il Buddha disse: "Il sangue degli uomini, tuttavia, ha meno valore intrinseco di un tumulo di terra?" "No", dissero i re, "Le vite degli uomini e soprattutto le vite dei re, non ha prezzo!" Allora il Beato concluse: "E voi le curate andando a rischiare ciò che non ha prezzo contro ciò che non ha alcun valore intrinseco? "-

La collera dei due monarchi diminuì, e loro vennero ad un accordo pacifico.

  

IL CANE AFFAMATO 

C'era un grande re che opprimeva la sua gente ed era odiato dai suoi sudditi; eppure quando il Tathagata arrivò nel suo regno, il re ebbe un gran desiderio di vederlo. Quindi lui andò nel luogo in cui stava il Beato e gli chiese: "O Sakyamuni, potresti insegnare una lezione al re che possa divertire la sua mente e allo stesso tempo essergli di utilità?" 

Ed il Beato disse: "Ti racconterò la parabola del cane affamato: ‘C'era un tiranno malvagio; ed il Dio Indra, assumendo la forma di un cacciatore, venne sulla terra insieme al demone Matali, quest’ultimo in forma di un cane di taglia enorme. Cacciatore e cane entrarono nel palazzo, ed il cane ululava così fortemente che gli edifici reali erano scossi dal suono fino alle fondamenta. Il tiranno ebbe un certo timore riverenziale e fece portare il cacciatore davanti al suo trono chiedendogli la causa del terribile abbaiare del cane. Il cacciatore disse, "Il cane ha fame", ed allora il re spaventato ordinò cibo per lui. Tutto il cibo preparato per il banchetto reale scomparve rapidamente nelle mascelle del cane, ed ancora lui ululava con un funesto significato. Gli fu dato più cibo, e tutte le case e i negozi reali furono svuotati, ma invano. Allora il tiranno disperato chiese: 'Ma c’è nulla che soddisfi la fame di quella enorme bestia?' ‘Nulla’, rispose il cacciatore, ‘nulla salvo la carne di tutti i suoi nemici'. 'E quali sono i suoi nemici?' chiese ansiosamente il tiranno. Il cacciatore rispose: 'Il cane ululerà finché nel regno c’è gente che ha fame, i suoi nemici sono quelli che praticano l'ingiustizia ed opprimono i poveri". L'oppressore della gente, ricordando i suoi cattivi atti, fu preso dal rimorso, e per la prima volta in vita sua cominciò ad ascoltare gli insegnamenti sulle virtù del Dharma". 

Avendo finito la sua storia, il Beato si rivolse al re che era impallidito, e gli disse: "Il Tathagata può far sviluppare gli orecchi spirituali dei potenti, e quando tu, o gran re, udrai un cane abbaiare, penserai agli insegnamenti del Buddha e potrai ancora imparare a pacificare il mostro." 

  

IL DESPOTA GUARITO

Al re Brahmadatta accadde di vedere una bella donna, moglie di un mercante Brahmano e, concependo una passione per lei, ordinò che un prezioso gioiello fosse lasciato segretamente cadere nella carrozza del mercante. Il gioiello fu dato per perso, fu cercato, e fu trovato. Il mercante fu arrestato con l’accusa di rubare, ed il re finse di ascoltare con grande attenzione la difesa, e con un rammarico apparente ordinò che il mercante fosse condannato a morte, mentre sua moglie fu consegnata all’ harem reale. 

Brahmadatta assistette di persona all'esecuzione, perché egli era avvezzo a tali spettacoli che gli davano piacere, ma quando il condannato guardò con profonda compassione il suo infame giudice, un bagliore della saggezza del Buddha accese la mente del re oscurata di passione; e mentre il carnefice sollevò la spada per il colpo fatale, Brahmadatta sentì l'effetto nella sua propria mente, e immaginò di vedere se stesso sul blocco. "Fermati, carnefice!" gridò Brahmadatta, "tu stai ucci-dendo il re!". Ma era tardi! Il carnefice aveva già fatto l'azione sanguinaria. Il re cadde in un deliquio, e quando si svegliò su di se era avvenuto un cambiamento. Lui aveva cessato di essere il despota crudele e d'ora innanzi avrebbe condotto una vita di santità e rettitudine. La gente disse che il carattere del Brahmano era stato impresso nella sua mente. 

O voi che commettete assassini e furti! L’errore dell’auto-inganno copre i vostri occhi. Se poteste vedere le cose così come esse sono, e non come appaiono, voi non infliggereste più danni e dolori al vostro proprio vero ‘Sé’. Non vedete che voi dovrete fare ammenda per i vostri cattivi atti, perché quello che voi seminate voi dovrete raccogliere. 

  

VASAVADATTA, LA CORTIGIANA 

C'era in Mathura una cortigiana chiamata Vasavadatta. A lei accadde di vedere Upagutta, uno dei discepoli del Buddha, un giovane alto e bello e lei si innamorò disperatamente di lui. Così inviò un invito al giovane, ma lui rispose: "Non è ancora arrivato il momento perché Upagutta visiti Vasavadatta". La cortigiana fu stupita della replica, e lei gli rispedì un altro invito, dicendo: "Vasavadatta, da Upagutta desidera amore, non oro". Ma Upagutta fece la stessa enigmatica replica e non venne. 

Alcuni mesi più tardi Vasavadatta stava avendo un intrigo amoroso col capo degli artigiani. Ma nel frattempo un ricco mercante arrivò a Mathura, e si innamorò di Vasavadatta. Vedendo la sua ricchezza, e temendo la gelosia del suo innamorato attuale, lei ne escogitò la morte, e fece nascondere il suo corpo in una discarica. Dopo che il capo degli artigiani fu scomparso, i suoi parenti ed amici lo cercarono e trovarono il suo corpo. Vasavadatta fu trascinata da un giudice, e condannata ad avere tagliati orecchi, naso, mani e piedi, e poi abbandonata in un cimitero. Vasavadatta era stata una ragazza appassionata, ma gentile con i suoi servitori, ed uno dei suoi domestici la seguì, e preso d’amore per la sua padrona la soccorse nella sua agonia, e scacciò via i corvi. 

Ora era arrivato il tempo in cui Upagutta decise di visitare Vasavadatta. Quando lui venne, la povera donna ordinò al suo domestico di raccogliere una stoffa per nascondervi sotto i suoi arti troncati; lui la salutò gentilmente, ma lei disse con irritazione: "Una volta questo corpo era fragrante come il loto, ed io ti offrii il mio amore. In quei giorni io ero ricoperta di perle e eccellente mussola. Ora io sono stata lacerata dal carnefice e ricoperta di lordura e sangue e tu vieni!". 

"Sorella", disse il giovane, "non è per il mio piacere che io mi avvicino a te. È per ripristinarti una bellezza più nobile del fascino che tu hai perso. Io ho visto con i miei occhi il Tathagata camminare su questa terra ed insegnare agli uomini la sua dottrina meravigliosa. Ma tu non avresti potuto ascoltare le parole della rettitudine mentre eri circondata dalle tentazioni e mentre eri sotto l'incantesimo di passioni e desideri per i piaceri mondani. Tu non avresti potuto ascoltare gli insegnamenti del Tathagata, perché il tuo cuore era caparbio, e riponevi la tua fiducia soltanto sull'adesione al tuo fascino transitorio. Il fascino di una bella forma è infido, e porta rapidamente in tentazioni che si sono dimostrate troppo forti per te. Ma c'è una bellezza che non si affievolisce, e se tu volessi ascoltare la dottrina del nostro Signore, il Buddha, scoprirai quella pace che tu avresti voluto trovare in un mondo di piaceri peccaminosi senza tregua." 

Vasavadatta si calmò ed una felicità spirituale placò le torture del suo dolore fisico; perché dove c’è molta sofferenza c'è anche una grande beatitudine. Avendo preso rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha, lei morì in pia sottomissione alla punizione del suo crimine. 

  

LA FESTA DI MATRIMONIO IN JAMBUNADA 

C'era un uomo in Jambunada che si doveva sposare il giorno seguente, e che pensò, "Vorrei che il Buddha, il Beato, fosse presente al matrimonio". Ed il Beato, passando presso casa sua lo incontrò, e quando lesse il silenzioso desiderio nel cuore dello sposo, acconsentì ad entrare. Quando il Beato apparve col seguito dei suoi molti bhikkhu, l'ospite i cui mezzi erano limitati, li ricevette come meglio poté, dicendo: "Mangia, mio Signore, tu e tutta la tua congrega, a tuo piacimento". 

Mentre i santi uomini mangiavano, i cibi e le bevande non diminuivano, e l'ospite pensò: "Come è meraviglioso ciò! Io avrei voluto avere questa abbondanza per tutti i miei parenti ed amici. Così li avrei invitati tutti". Allorché questo pensiero fu nella mente dell'oste, tutti i suoi parenti ed amici entrarono nella casa; e benché la sala nella casa fosse piccola c'era in essa posto per tutti. Essi si sedettero in tavola e mangiarono, e ce n'era abbastanza per tutti. Il Beato fu lieto di vedere così tanti ospiti pieni di buon umore e lui li stimolò e li allietò con parole di verità, proclamando la beatitudine della rettitudine: 

"La più grande felicità che un uomo mortale può immaginare è il legame del matrimonio, che allaccia insieme due cuori amorosi. Ma c'è una felicità ancora più grande: è l'abbraccio con la verità. La morte separerà marito e moglie, ma la morte non colpirà mai chi ha sposato la verità. Perciò ci si sposi alla verità e si viva in santo matrimonio con la verità. Il marito che ama la moglie e desidera una unione che sia eterna deve essere a lei fedele così come se fosse la verità stessa, e lei potrà contare su di lui e lo riverirà e lo consolerà. E la moglie che ama suo marito e desidera un'unione che sia eterna, deve essere a lui fedele come se fosse la verità stessa; e lui riporrà la sua fiducia in lei, e provvederà a lei. Invero, io vi dico, i loro figli diverranno come i genitori e saranno testimoni della loro felicità. Che nessun uomo resti single, che ognuno sia sposato alla verità in santo amore. E quando Mara, il distruttore, verrà a separare le forme visibili del vostro essere, voi continuerete a vivere nella verità, e parteciperete della vita eterna, perché la verità è immortale." 

Non vi fu nessuno fra gli ospiti che non fu rafforzato nello spirito e non riconobbe la bellezza di una vita di rettitudine; e tutti presero rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha. 

  

ALLA RICERCA DI UN LADRO 

Avendo mandato in giro i suoi discepoli, il Beato vagò di paese in paese finché lui giunse ad Uruvela. Sul cammino, si sedette in un boschetto a riposare, e avvenne che in quello stesso boschetto c’era una festa di trenta amici che si divertivano con le loro mogli; e mentre loro stavano divertendosi, alcuni dei loro beni furono rubati. Allora l’intera comitiva andò alla ricerca del ladro e, incontrando il Beato seduto sotto un albero, lo salutarono e dissero: "Prego, Signore, hai visto per caso il ladro passare da qui coi nostri beni?" 

E il Beato disse: "Cos’è meglio per voi, andare alla ricerca del ladro o cercare voi stessi?" E i giovani commossi dissero: "In cerca di noi stessi!" 

"Bene, allora" disse il Beato, "sedetevi qui ed io vi predicherò la verità". E tutta la comitiva si sedette e con impazienza ascoltò le parole del Beato. Avendo capito la verità, essi lasciarono andare la ricerca del ladro, lodarono la dottrina e presero rifugio nel Buddha. 

  

NEL REAME DI YAMARAJA 

C'era un Brahmano, uomo religioso ma basato sui suoi attaccamenti e senza la saggezza profonda. Egli aveva un figlio di grandi speranze che, a sette anni, fu colpito da una fatale malattia e morì. Lo sfortunato padre non era capace di con-trollarsi; si gettò sul cadavere e se ne stette là come un morto. Vennero i parenti e seppellirono il bambino morto e quando il padre si riprese, era così smodato nel suo dolore che si comportò da persona alienata. Egli non lasciò più spazio alle lacrime, ma andò alla ricerca della residenza di Yamaraja, il re della morte, per implorarlo umilmente che al suo bambino fosse permesso di ritornare alla vita. 

Essendo arrivato ad un grande tempio Brahmano il triste padre officiò a certi riti religiosi e poi cadde addormentato. Mentre vagava nel suo sogno, arrivò ad un profondo valico di montagna ove incontrò numerosi samana che avevano ottenuto la saggezza suprema. "Gentili signori" lui disse, "chi può dirmi dove è la residenza di Yamaraja?" E loro chiesero a lui, "Buon amico, perché lo vorresti sapere?". Ed allora lui raccontò loro la sua triste storia e spiegò le sue intenzioni. Compatendo la sua auto-illusione, i samana dissero: "Nessun uomo mortale può arrivare al luogo dove regna Yama, ma a circa quattrocento miglia ad ovest c’è una grande città dove vivono molti spiriti buoni; ogni ottavo giorno del mese Yama visita il luogo, e là tu potresti vedere chi è il Re della Morte e chiedergli un bonus". 

Il Brahmano si rallegrò alla notizia, e andò alla città e la trovò come gli avevano detto i samana. Egli fu ammesso alla temuta presenza di Yama, il Re della Morte che, sentendo la sua richiesta, gli disse: "Tuo figlio ora vive nel giardino orientale dove sta giocando; vai là e chiedigli di seguirti". Il padre felice, disse: "Com’e che mio figlio, pur senza aver compiuto opere buone, ora sta vivendo in paradiso?" Yamaraja rispose: "Lui ha ottenuto la felicità celestiale, non per aver compiuto buone azioni, ma perché lui morì nella fede e in amore al Signore, e Maestro, il Buddha più glorioso. Il Buddha ha detto, 'Il cuore di amore e fede è vasto come un'ombra benefica che si diffonde dal mondo degli uomini al mondo degli dèi'. Questa gloriosa espressione è come il sigillo di un re su un editto reale." 

Il padre felice si affrettò verso il luogo e vide il suo adorato bambino che giocava con altri bambini, tutti trasfigurati nella pace dell'esistenza felice di una vita para-disiaca. Lui corse dal suo ragazzo e pianse con lacrime che scorrevano giù dalle sue guance: "Figlio mio, figlio mio, non ti ricordi di tuo padre, che ti proteggeva con amorosa cura e ti badava durante la tua malattia? Ritorna a casa con me nella terra dei viventi". Ma il ragazzo, lottando per ritornare dai suoi compagni di gioco, lo rimproverò per usare espressioni così strane, come padre e figlio. "Nella mia attuale condizione" lui disse, "io non conosco tali parole, perché io sono libero dalla illusione". 

Quindi, il Brahmano ripartì, e quando si svegliò dal suo sogno, lui pensò al Beato, Maestro dell’umanità, il grande Buddha, e decise di andare da lui, mettere a nudo il suo dolore, e cercare consolazione. Essendo arrivato al Jetavana, il Brahmano raccontò la sua storia e di come il suo ragazzo aveva rifiutato di riconoscerlo e di ritornare a casa con lui. 

E l’Onorato nel Mondo disse: "Veramente, tu sei illuso. Quando un uomo muore, il corpo è dissolto nei suoi elementi, ma lo spirito non viene messo nella tomba. Esso raggiunge uno stato più alto di vita in cui tutti i termini relativi come ‘padre, figlio, moglie, madre’ sono senza scopo, come se fossero una cosa del passato, proprio come un ospite che lascia il suo vecchio alloggio. La maggior parte degli uomini si preoccupa di ciò che passa via; ma la fine della vita viene rapidamente come un torrente di fuoco che in un momento spazza via il transitorio. Essi sono come un uomo cieco messo a guardare una lampada che brucia. Un uomo saggio, capendo la fugacità delle relazioni mondane, distrugge la causa della sofferenza, e scappa dal bollente vortice del dolore. La saggezza religiosa eleva l’uomo al di sopra dei piaceri e dei dolori del mondo e gli dà la pace eterna".

Il Brahmano chiese il permesso del Beato per entrare nella comunità dei suoi bhikkhu, come pure per acquisire quella saggezza paradisiaca, che solo può dare conforto ad un cuore afflitto. 

  

IL SEME DI SENAPE

C'era una volta un uomo ricco che improvvisamente trovò il suo oro trasformato in cenere; così egli si ammalò e rifiutò completamente di mangiare. Un suo amico, sentendo della malattia, andò a trovare l'uomo ricco e seppe la causa del suo dolore. E l'amico disse: "Tu non hai fatto buon uso della tua ricchezza. Poiché quando l’hai accumulata essa non era certo migliore della cenere. Ora ascolta il mio consiglio. Metti per terra delle stuoie; accatastaci su queste ceneri, e fingi di voler commerciare con esse". L’uomo ricco fece come gli aveva detto il suo amico, e quando i suoi vicini di casa gli chiesero, "Perché vendi le ceneri?" lui disse: "Io offro in vendita i miei beni". 

Dopo qualche tempo una giovane ragazza, di nome Kisa Gotami, orfana e molto povera, passò di lì, e vedendo l'uomo ricco nel bazar, disse: "Mio signore, perché hai ammucchiato così oro ed argento, forse per venderli?" E l’uomo ricco disse: "Per favore, puoi darmi quell’oro ed argento?" E Kisa Gotami prese una manciata di ceneri, ed ecco! Esse si trasformarono di nuovo in oro. Considerando che Kisa Gotami aveva l'occhio mentale della conoscenza spirituale e vedeva il vero valore delle cose, l’uomo ricco la diede in matrimonio a suo figlio, il quale disse: "Per tanti altri, l’oro non è migliore delle ceneri, ma per Kisa Gotami le ceneri divennero oro puro." 

Poi, Kisa Gotami ebbe un unico figlio, che morì. Nel suo dolore, lei portò il bimbo morto da tutti i suoi vicini, chiedendo loro delle medicine, e le persone dissero: "Lei è impazzita. Il ragazzo è morto". In seguito, Kisa Gotami incontrò un uomo che alla sua richiesta rispose: "Io non posso darti medicine per il tuo bambino, ma conosco un medico che può." La ragazza disse: "Prego, signore, dimmi, chi è?" E l’uomo rispose: "Vai da Sakyamuni, il Buddha." 

Kisa Gotami andò dal Buddha e pianse: "Signore, e Maestro, dammi la medicina che guarirà il mio ragazzo." Il Buddha rispose: "Si, però prima devi portarmi una manciata di semi di senape". E quando la ragazza promise di procurarglieli con gioia, il Buddha aggiunse: "I semi di senape devono essere presi da una casa dove nessuno abbia perso un figlio, un marito, genitore, o amico". Allora la povera Kisa Gotami andò di casa in casa, e le persone la compatirono e dissero: "Ecco il seme di senape; prendilo!" Ma quando lei chiese: "Vi è morto un figlio o figlia, un padre o madre, nella vostra famiglia?" Loro risposero: "Ahimè i viventi sono pochi, ma i morti ce ne sono stati molti. Tu ci fai ricordare il nostro più profondo dolore." E non c'era casa in cui non vi fosse morta una persona cara. 

Kisa Gotami divenne stanca e senza speranza, e si sedette al margine, guardando le luci della città, come esse scintillavano e poi di nuovo si spegnevano. Alla fine, l'oscurità della notte regnò dappertutto. E lei considerò il destino degli uomini, in cui le loro vite scintillano e poi si estinguono. E pensò: "Come sono stata egoista nel mio dolore! La morte è comune per tutti; in questa valle di lacrime però c’è un sentiero che conduce all’immortalità chi ha eliminato ogni egoismo." 

Mettendo da parte l'egoismo del suo attaccamento per il suo bimbo, Kisa Gotami aveva seppellito il corpo morto nella foresta. Ritornando dal Buddha, prese rifugio in lui e trovò conforto nel Dharma, che è un balsamo che placa tutti i dolori dei nostri cuori agitati. 

Il Buddha le disse: "In questo mondo, la vita dei mortali è breve, agitata e congiunta con il dolore. Perché qui non vi è alcun modo per cui quelli che sono nati possano evitare di morire; dopo essere giunti alla vecchiaia c’è la morte; di tale natura sono gli esseri viventi. Come i frutti maturi che presto sono in procinto di cadere, così i mortali allorché nascono sono sempre in pericolo di morte. Come tutti i vasi di terra fatti dal vasaio finiscono con l'essere rotti, così è la vita dei mortali. Giovani ed adulti, sia coloro che sono sciocchi sia coloro che sono saggi, tutti ricadono nel potere della morte; tutti sono soggetti alla morte. 

"Di coloro che sono catturati dalla morte e dipartono dalla vita, un padre non può mai salvare suo figlio, né i parenti i loro congiunti. Mentre i parenti sono in attesa e stanno profondamente lamentandosi, uno alla volta i mortali vengono portati via, come buoi che sono condotti al macello. Così, mentre il mondo è afflitto con morte e decadimento, i saggi non si addolorano, conoscendo i termini del mondo. In ogni modo, le persone pensano che una cosa passerà, e spesso essa è diversa quando accade, e grande è la delusione; vedi, tali sono le regole del mondo. 

"Non con il piangere né con l'addolorarsi, uno potrà ottenere la pace della mente; al contrario, il suo dolore sarà più grande ed il suo corpo soffrirà. Egli si ammalerà e diventerà pallido, però chi è morto non sarà salvato dai suoi lamenti. Le persone passano via, ed il loro destino dopo la morte sarà in conformità dei loro atti. Se un uomo vive cent’anni, o anche di più, alla fine lui sarà comunque diviso dall’unione con i suoi parenti, e lascerà la vita di questo mondo. Colui che cerca la pace, non deve estrarre la freccia dei lamenti, lagnanze, e dolore. Colui che ha rinfoderato la freccia ed è stato composto otterrà la pace della mente; colui che ha superato ogni dolore diverrà libero dal dolore, e sarà Beato." 

  

CAMMINANDO SULL'ACQUA 

A sud di Savatthi vi è un grande fiume, sulle cui rive c’è un piccolo villaggio di cinquecento case. Così, pensando alla salvezza delle persone, l’onorato dal Mondo decise di andare al villaggio e predicare la dottrina. Essendo arrivato alla sponda, si sedette sotto un albero, e gli abitanti del villaggio vedendo la gloria del suo aspetto, si avvicinarono con riverenza; ma quando lui cominciò a predicare, essi dubitarono e non lo credettero. 

Quando il Buddha onorato dal mondo aveva lasciato Savatthi, Sariputta sentì il desiderio di vedere il Signore, e sentirlo predicare. Venendo al fiume dove l'acqua era profonda e la corrente forte, egli pensò: "Questa corrente non mi impedirà. Io andrò e vedrò il Beato", e avanzò sull'acqua che sotto i suoi piedi era ferma come una lastra di granito. Quando arrivò a metà del fiume, in cui le onde erano alte, il cuore di Sariputta si perse, e lui cominciò ad affondare. Ma ritrovando la sua fede e rinnovando il suo sforzo mentale, lui procedè come prima ed arrivò all'altra riva. 

Le persone del villaggio furono stupite nel vedere Sariputta, e chiesero come lui poteva aver attraversato il fiume, in un punto in cui non c'erano né un ponte né un traghetto. Sariputta rispose: "Io ho vissuto nell’ignoranza finché non ho sentito la voce del Buddha. Siccome io ero ansioso di sentire la dottrina della salvezza, io attraversai il fiume e camminai sulle sue acque agitate, perché io avevo la fede. La fede, null’altro, mi permise di fare così, ed ora io sono qui nella beatitudine della presenza del mio Maestro".  

L’Onorato dal Mondo soggiunse: "Sariputta, tu hai parlato bene. Solo una fede come la tua può salvare il mondo dalla voragine della migrazione e può abilitare gli uomini per arrivare sani e salvi all'altra sponda." Ed il Beato esortò gli abitanti del villaggio alla necessità di andare sempre avanti nel superamento del dolore e di eliminare tutti gli impedimenti come pure di andar oltre il fiume della mondanità e di raggiungere la liberazione dalla morte. Ascoltando le parole del Tathagata, gli abitanti del villaggio furono riempiti di gioia e, adesso sì, credendo nella dottrina del Beato, abbracciarono le cinque regole e presero rifugio nel suo nome. 

  

IL BHIKKHU AMMALATO 

Un vecchio bhikkhu di arcigna tendenza era afflitto da una malattia disgustosa, la cui vista ed odore erano nausebondi, così che nessuno voleva venirgli vicino, né lo aiutava nella sua angoscia. E accadde che l’Onorato nel Mondo arrivò al vihara in cui stava lo sfortunato uomo; sapendo il fatto, egli ordinò di preparare dell’acqua calda ed andò nella stanza dell'ammalato per mitigare le piaghe del paziente con le sue proprie mani, dicendo ai suoi discepoli: 

"Il Tathagata è entrato nel mondo per aiutare i poveri, soccorrere gli indifesi, curare coloro che sono nell’afflizione fisica, sia seguaci del Dharma che increduli, dare la vista ai ciechi ed illuminare le menti degli illusi, difendere i diritti degli orfani come pure degli anziani, e nel far così dare un esempio agli altri. Questo è il completamento del suo lavoro, e così egli raggiunge il grande scopo della vita, come i fiumi che si annullano nell'oceano." 

L’Onorato nel Mondo ogni giorno presenziò al bhikkhu ammalato finché egli stette in quel luogo. Ed il governatore della città venne dal Buddha a fargli riverenza ed avendo sentito del servizio che il Signore faceva nel vihara, chiese al Beato notizie sull'esistenza precedente del monaco ammalato, e il Buddha disse: 

"In tempi passati vi era un malvagio re che estorceva ai suoi sudditi tutto ciò che poteva trovare; e lui ordinò ad uno dei suoi ufficiali di colpire con frusta un uomo eminente. L'ufficiale, che non pensava al dolore che infliggeva agli altri, obbedì; ma quando la vittima della collera del re lo implorò di aver misericordia, lui sentì compassione e lo colpì con delicatezza usando leggermente la frusta su di lui. Ora, il re rinacque come Devadatta, che fu abbandonato da tutti i suoi seguaci perché loro non erano più disposti a sostenere la sua cattiveria, mentre lui morì misero e pieno di pentimento. L'ufficiale è questo bhikkhu ammalato che avendo spesso offeso i suoi confratelli nel vihara, è stato lasciato senza assistenza nella sua angoscia. Comunque, l'uomo eminente che fu colpito ingiustamente e che implorò la sua misericordia era il Bodhisattva; lui è rinato come Tathagata. Ora è la volta del Tathagata di aiutare l'ufficiale disgraziato che ebbe misericordia di lui." 

E l’Onorato nel Mondo ripetè questi versi: "Colui che infligge il dolore sul gentile, o falsamente accusa l'innocente, erediterà una delle dieci grandi calamità. Ma colui che ha imparato a soffrire con pazienza sarà purificato e sarà lo strumento eletto per il sollievo dalla sofferenza." 

Il bhikkhu ammalato nel sentire queste parole si girò verso il Buddha, confessò il suo cattivo temperamento naturale e si pentì, e con il cuore purificato dall’errore riverì il Signore. 

  

L'ELEFANTE PAZIENTE 

Mentre il Beato risiedeva nel Jetavana, c'era un capofamiglia che viveva a Savatthi conosciuto da tutti i suoi vicini come paziente e gentile, ma i suoi parenti erano malvagi e tramavano di derubarlo. Un giorno essi vennero dal parente benestante e con delle minacce si portarono via una parte cospicua della sua proprietà. Egli non li denunciò, né si lamentò, ma tollerò con grande pazienza il male che aveva sofferto. I vicini meravigliati cominciarono a parlare di questo caso, e le dicerie giunsero alle orecchie dei confratelli nel monastero Jetavana. Mentre questi discutevano l'avvenimento nella sala di riunione, arrivò il Beato il quale chiese quale fosse il tema della conversazione. E loro glielo dissero. 

Allora il Beato disse: "Verrà il tempo quando i malvagi parenti troveranno la loro punizione. O Fratelli, questa non è la prima volta che questo avvenimento ebbe luogo; è già accaduto prima", e raccontò loro una storia vecchia come il mondo: "Una volta, quando Brahmadatta era Re di Benares, il Bodhisattva nacque come elefante nella regione dell’Himalaya. Lui crebbe forte e grande, e vagò sulle colline e montagne, le vette e le caverne delle tortuose foreste nelle valli. Una volta che lui vagava vide un piacevole albero, e standovi sotto, prese il suo cibo. Allora delle scimmie impertinenti scesero giù dall'albero, e saltando sull'elefante, l’insultarono e lo tormentano grandemente; provocandolo gli presero le zanne, gli tirarono la coda divertendosi, procurandogli molto fastidio. Il Bodhisattva, essendo pieno di pazienza, gentilezza e misericordia, non dava conto di tutta questa loro cattiva condotta, e le scimmie la ripetevano ancora e ancora. 

"Un giorno, lo spirito che viveva proprio lì, stando nel tronco dell'albero, volle dire all'elefante, 'Mio caro elefante, perché sopporti l'impudenza di queste scimmie?' E gli pose la domanda in un distico, come segue: 

"'Perché pazientemente tu sopporti ogni capriccio 

"Che queste scimmie dannose ed egoiste sfogano?' 

"Il Bodhisattva rispose, ‘O Spirito dell’albero, se io non fossi capace di sopportare il cattivo trattamento di queste scimmie senza offendere la loro nascita, lignaggio e persone, come potrei percorrere l'Ottuplice Nobile Sentiero? Queste scimmie farebbero le stesse cose ad altri, ritenendoli come me. Se lo fanno a qualche altro elefante vagabondo, quello le castigherebbe davvero, ed io sarei liberato sia dalla loro seccatura che dalla colpa di aver fatto danno ad altri'. Questo egli lo disse ripetendo un'altra strofa: 

"Se esse tratteranno qualcun altro come me, 

"Costui le distruggerà; ed io sarò libero.’

"Alcuni giorni dopo, il Bodhisattva andò altrove, ed un altro elefante, una bestia selvaggia, arrivò e se ne stette in quel luogo. Le scimmie malvagie pensando che lui fosse come il vecchio elefante, salirono sulla sua schiena e fecero come prima. L'elefante vagabondo afferrò le scimmie con la proboscide, le gettò a terra, le azzannò con le zanne e le calpestò come carne tritata sotto i suoi piedi." 

Quando il Maestro ebbe finito questo insegnamento, dichiarò il vero, identificando le nascite, dicendo: "A quel tempo, le dannose scimmie erano i parenti malvagi del buon uomo, l'elefante vagabondo era quello che poi li castigherà, ma l'elefante nobile e virtuoso era il Tathagata stesso in una sua incarnazione precedente". 

Dopo questo discorso uno dei confratelli si alzò e chiese il permesso di fare una domanda e quando il permesso fu accordato, lui disse: "Io ho sentito la dottrina che il male verrebbe ripagato con il male, e chi fa il male, dovendo poi soffrire, dovrebbe controllarsi, perché se ciò non fosse fatto il male aumenterebbe ed il bene scomparirebbe. Cosa dobbiamo fare?" Il Beato disse: "Nulla, io vi dirò che voi lascerete il mondo e adotterete questa gloriosa fede di accantonare l'egoismo, voi non ripagherete il male con il male, né l’odio con l’odio. Non dovete pensare che si possa distruggere il male ripagando il male con il male, perché così il male aumenterà. Lasciate i malvagi al loro destino ed i loro cattivi atti prima o poi, in un modo o nell’altro, procureranno la loro stessa punizione!".

Ed il Tathagata ripetè queste strofe: 

"Chi danneggia l'uomo che non fa danno, 

"O colpisce colui che non lo colpisce, 

"Prima o poi incorrerà in una punizione

"Che la sua propria cattiveria generò, - 

"Uno dei malanni più gravi nella vita, 

"O una malattia temuta e disgustosa, 

"O una vecchiaia triste, o perdita di memoria, 

"O un dolore disgraziato che non cesserà, 

"O una guerra, un disastro, perdita di ricchezza; 

"O nella sua propria famiglia, egli potrà 

"Veder morire una persona che gli è cara, 

"E poi, alla fine, egli rinascerà negli inferni!." 

  

  

DISCORSI DEGLI ULTIMI GIORNI 

Una volta, quando il Beato si trovava su un monte chiamato Picco dell'Avvoltoio, vicino Rajagraha, Ajatasattu re di Magadha, che regnava al posto di Bimbisara, progettò un attacco contro i Vajji, e lui disse a Vassakara, il suo primo ministro: "Io sradicherò i Vajji, per quanto essi siano potenti. Io distruggerò i Vajji; Io li porterò alla rovina! Ora vieni, O Brahmano, e va dal Beato; a mio nome chiedigli della sua salute, e digli il mio scopo. Tieni presente con molta attenzione ciò che il Beato dirà, e ripetimelo, perché il Buddha non dice niente che sia falso." 

Quando Vassakara, il primo ministro, ebbe salutato il Beato e consegnato la sua comunicazione, il Venerabile Ananda stava dietro al Beato e gli faceva vento, ed il Beato gli disse: "Hai mai sentito, Ananda, che i Vajji tengano frequenti e affollate assemblee pubbliche?" Egli rispose, "Si, Signore, io così ho sentito." 

Il Beato disse, "Ananda, finché i Vajji tengono queste affollate e frequenti riunioni pubbliche, essi potrebbero aspettarsi non di decadere, ma semmai di prosperare. Finché essi si incontrano insieme in concordia, finché essi onorano i loro anziani, finché essi rispettano le donne, finché essi restano religiosi, compiendo tutti i riti corretti, finché essi mantengono una giusta protezione, difesa e sostegno ai santi, i Vajjis possono aspettarsi non di declinare, ma di prosperare!". Allora il Beato si rivolse a Vassakara e disse: "O Brahmano, quando stavo a Vesali, io ho insegnato ai Vajji queste regole di buon comportamento, i quali finché resteranno così ben istruiti, finché si manterranno nel sentiero corretto, finché essi vivranno secondo i precetti della rettitudine, noi potremmo aspettarci che essi non degenerino, ma prosperino". 

Appena il messaggero del re se ne fu andato, il Beato radunò nella sala dei servizi tutti i confratelli che erano nei dintorni di Rajagraha, e si rivolse loro dicendo: "Io vi insegnerò, O bhikkhu, le regole di buon comportamento di una comunità. Ascoltatemi bene, ed io parlerò. 

"Finché, O bhikkhu, i fratelli tengono frequenti e affollate riunioni, incontrandosi in concordia, alzandosi in concordia, e in concordia facendo attenzione agli affari del Sangha; finché, O bhikkhu, essi non rifiutano ciò che l'esperienza ha provato che sia bene, e non fanno niente che non sia stato attentamente esaminato prima; finché gli anziani praticano la giustizia; finché i fratelli li stimano, li riveriscono, e li sostengono, e credono alle loro parole; finché i fratelli non sono sotto l'influenza della bramosia, ma si dilettano nelle opere religiose, così che uomini  buoni e santi verranno da loro e dimoreranno in quiete fra di loro; finché i fratelli non saranno nauseati dell'accidia e dell'ozio; finché i fratelli eserciteranno loro nella settuplice suprema saggezza delle attività mentali, che sono ricerca della verità, energia, autocontrollo, gioia, modestia, seria contemplazione, ed equanimità di mente, così a lungo il Sangha si può aspettare di prosperare. Perciò, O bhikkhu, siate pieni di fede, modesti nel cuore, impauriti dal peccato, ansiosi di imparare, forti nella energia, attivi nella mente, e colmi di saggezza. 

  

LA FEDE DI SARIPUTTA 

Il Beato procedeva verso Nalanda in compagnia di molti confratelli; e lì giunto, si fermò in un boschetto di manghi. Ora il Venerabile Sariputta venne dove stava il Beato, e avendolo salutato, si sedette rispettosamente al suo lato, e disse: "O mio Signore! tale è la fede che io ho nel Beato, che io credo non ci sia mai stato, né mai ci sarà, qualcun altro che sia più grande o più saggio del Beato, il che è come dire che egli è la suprema saggezza!" 

Il Beato rispose: "Grandi e balde sono le parole uscite dalla tua bocca, Sariputta: invero, tu sei andato in estasi! Di certo, poi, tu sapevi di tutti i Beati che nei lunghi secoli del passato sono stati santi Buddha?" "Ma non come te, O Signore!", disse ancora Sariputta. 

Ed il Signore continuò: "Allora tu hai percepito anche tutti i Beati che nei lunghi secoli futuri saranno santi Buddha?" "Si, ma non come te, O Signore!" 

"Ma poi almeno, O Sariputta, tu mi conosci come il santo Buddha che vive ora, e hai penetrato la mia mente!" "No, questo no, O Signore!" 

"E allora, Sariputta, vedi che tu non conosci i cuori dei santi Buddha del passato, né di quelli del futuro. Perché, dunque, le tue parole sono così grandi e balde? Perché sei andato così in estasi?" 

"O Signore! Io non ho la conoscenza dei cuori di tutti i Buddha che vi sono stati, vi  sono ora, e sono da venire. Io conosco solamente il lignaggio della fede. Proprio come un re, Signore, che ha una città di confine, forte nelle sue fondamenta, forte nei suoi bastioni, e con una sola porta; e il re può avere là un sorvegliante, intelligente, esperto e saggio, per fermare tutti gli estranei ed ammettere solo gli amici. E controllando chiunque si avvicini alla città, egli può non essere capace di conoscere tutte le giunture e le crepe che vi sono nei bastioni di quella città, come pure sapere dove una creatura piccola come un gatto potrebbe uscire. Va bene. Però, tutti gli esseri viventi di taglia più grande che entrano o escono dalla città, devono passare attraverso quella porta. E’ solo così, O Signore, che io conosco il lignaggio della fede. Io so che i santi Buddha del passato, eliminando ogni brama e concupiscenza, malevolenza, accidia, orgoglio, e dubbi, ben conoscendo tutti i difetti mentali che rendono deboli gli uomini, ben addestrando le loro menti nei quattro tipi di attività mentale, esercitandosi totalmente nella settuplice suprema saggezza, ottennero la piena fruizione dell’Illuminazione. Ed anche so che i santi Buddha del futuro faranno lo stesso. Ed io so che il Beato, il santo Buddha di oggi, ora così ha fatto". 

"Grande è la tua fede, O Sariputta" rispose il Beato, "ma stai attento che sia ben radicata!". 

  

LA VISITA A PATALIPUTTA 

Quando il Beato si trovava a Nalanda, decise con comodo di andare a Pataliputta, la città di frontiera di Magadha; e quando i discepoli sentirono del suo arrivo a Pataliputta, essi lo invitarono al loro rifugio nel villaggio. Ed il Beato si vestì, prese la sua ciotola ed andò con i fratelli nella loro casa. Là lui si lavò i piedi, entrò nella sala, e si sedette contro il pilastro centrale, con il viso verso l'est. Anche i fratelli si lavarono i piedi, entrarono nella sala, e presero posto tutt’intorno al Beato, contro il muro occidentale difronte all'est. E i devoti laici di Pataliputta, avendo anch’essi lavato i loro piedi, entrarono nella sala, e si sedettero di fronte al Beato contro il muro orientale, rivolti verso ovest. 

Poi il Beato si rivolse verso i discepoli laici di Pataliputta, e disse: "O capifamiglia, cinque sono le punizioni del peccatore, a causa della sua mancanza di rettitudine. In primis, il peccatore privo di rettitudine precipita in una grande povertà per colpa dell'accidia; secondo, la sua cattiva reputazione è divulgata all'esterno; in terzo luogo, qualunque compagnia frequenti, sia di Brahmani, nobili, samana o capifamiglia, egli vi entra timidamente e confusamente; quarto, è pieno di ansia e paure quando lui muore; e in ultimo, alla dissoluzione del corpo dopo la morte, la sua mente rimane in uno stato di infelicità. Dovunque il suo karma prosegua, là egli avrà sofferenze e dolore. Questa, o capifamiglia, è la quintuplice perdita di chi fa il male!  

"E cinque, O capifamiglia, sono i vantaggi di chi fa il bene attraverso la sua pratica della rettitudine. In primo luogo, chi fa il bene, forte nella rettitudine, acquisisce proprietà attraverso il suo darsi da fare; secondo, i suoi buoni rapporti sono estesi all'esterno; in terzo luogo, qualunque compagnia frequenti, sia Brahmani, nobili, capifamiglia o membri dell'ordine, egli vi entra con fiducia e padronanza di sé; quarto, egli muore senza ansia e paure; e infine, nella dissoluzione del corpo dopo la morte, la sua mente rimane in un stato felice. Dovunque il suo karma continui, ci saranno beatitudine paradisiaca e pace. Questo, o capifamiglia, è il quintuplice guadagno di chi fa il bene".

Quando il Beato durante la notte ebbe dato questi insegnamenti ai discepoli, avendoli incitati, stimolati, e allietati con esempi religiosi, lui li congedò, dicendo, "La notte è ormai passata, O capifamiglia. È ora per voi di fare ciò che ritenete il più adatto." 

"Sia fatta la tua volontà, Signore!" risposero i discepoli di Pataliputta, e alzandosi dai loro posti, si inchinarono al Beato, e dandogli la mano destra nel passargli accanto, essi partirono da lì. 

Mentre il Beato stava a Pataliputta, il re di Magadha inviò un messaggero al governatore di Pataliputta per elevare fortificazioni per la sicurezza della città. Il Beato, nel vedere coloro che lavoravano, predisse la futura grandezza del luogo, dicendo: "Gli uomini che costruiscono la fortezza agiscono come se loro avessero consultato i poteri più alti. Perché questa città di Pataliputta sarà un luogo di dimora di uomini interessanti ed un centro per lo scambio di qualsiasi tipo di beni. Ma tre pericoli pendono su Pataliputta, quello del fuoco, quello dell’acqua, e quello del dissenso." 

Quando il governatore seppe della profezia sul futuro di Pataliputta, si allietò molto e chiamò la porta della città, che il Buddha aveva superato verso il fiume Gange, "La Porta di Gotama". Nel frattempo le persone che vivevano sulle rive del Gange arrivarono in gran quantità per riverire il Signore del mondo; e molta gente gli chiese di farle l'onore di salire sulle loro barche. Ma il Beato in considerazione del numero di barche e della loro bellezza non volle mostrare alcuna parzialità, con l’accettare l'invito di uno per offendere tutti gli altri. Egli attraversò perciò il fiume senza nessuna barca, significando con ciò che le zattere dell'ascetismo e le gondole fastose delle cerimonie religiose non erano abbastanza affidabili per superare le tempeste del samsara, mentre il Tathagata può camminare a piedi asciutti sull'oceano della mondanità. E come la Porta della città era stata chiamata con il nome del Tathagata, così questo guado del fiume fu chiamato dalla gente "Il Passaggio Gotama". 

  

LO SPECCHIO DELLA VERITÀ 

Il Beato procedeva verso il villaggio Nadika con un gran seguito di confratelli e là giunto, egli si fermò nella Sala di Mattoni. E il Venerabile Ananda andò dal Beato e menzionandogli i nomi dei fratelli e sorelle che erano morti, chiese ansiosamente del loro destino dopo la morte, se loro erano rinati come animali o negli inferni, o come fantasmi, o in un qualche luogo di dolore. 

Il Beato rispose ad Ananda dicendo: "Coloro che sono morti dopo aver completa-mente distrutto i tre vincoli di concupiscenza, bramosia e egoistico attaccamento all’esistenza, non avranno bisogno di temere lo stato dopo la morte. Per essi non vi sarà rinascita in uno stato di sofferenza; la loro mente non avrà un continuum di karma come cattive azioni o peccati, ma sarà sicura della salvezza finale. 

"Quando essi muoiono, nulla rimarrà di loro se non i loro buoni pensieri, le loro rette azioni, e la beatitudine che proviene dalla verità e dalla rettitudine. Come i fiumi emissari che alla fine devono confluire nel distante fiume principale, così le loro menti rinasceranno in più alti stati di esistenza e continueranno ad essere spinte verso la loro ultima mèta, che è l'oceano della verità, la pace eterna del Nirvana. Gli uomini, o Ananda, sono ansiosi e preoccupati per la loro morte ed il loro destino dopo la morte; ma considera che non è del tutto strano che un essere umano debba morire. Tuttavia, che tu voglia sapere di essi, e avendo sentito la verità, essere ancora ansioso riguardo ai morti, questo è faticoso per il Beato. Io, perciò, voglio insegnarti lo specchio della verità e lasciare che il discepolo fedele la ripeta: 

"Per me, l’inferno è distrutto, ed anche la rinascita come animale, o un fantasma, o in qualsiasi luogo di dolore. Io sono convertito; Io non sono più responsabile per rinascere in uno stato di sofferenza, e sono sicuro della salvezza finale.' 

"Cos’è, allora, questo specchio della verità, o Ananda? Esso è la coscienza, che in questo mondo il discepolo eletto possiede con la fede nel Buddha, credendo che il Beato sia il Santo, Colui che è Pienamente-Illuminato, saggio, onesto, felice, il supremo Conoscitore del mondo, Colui che tiene a freno i caparbi cuori degli uomini, l'Insegnante di dèi ed uomini, il Buddha Beato. Inoltre, esso è la coscienza che il discepolo possiede con la fede nella verità del Dharma, credendo che la verità sia stata proclamata dal Beato, per il beneficio del mondo, che non passa mai via, con un benvenuto a tutti, che conduce alla salvezza che il saggio otterrà attraverso la verità, ognuno con i suoi propri sforzi. 

"E, infine, esso è la coscienza che il discepolo possiede con la fede nell'ordine del Sangha, credendo nell'efficacia di un'unione fra quegli uomini e donne che sono ansiosi di percorrere l’Ottuplice Nobile Sentiero; credendo in questa chiesa retta, onesta e giusta del Buddha, dimorando nella legge, essendo degno di onore, di ospitalità, di doni e di riverenza; di essere il supremo terreno di merito per il mondo; amante del bene, di essere in possesso delle virtù, di virtù immacolate, incorrotte, intatte, e senza macchia, virtù che fanno gli uomini veramente liberi, virtù che sono lodate dai saggi e non sono macchiate da desideri di scopi egoisti, sia ora che in una vita futura, o dalla credenza nell'efficacia di atti esterni, e che portano ad un elevato e santo pensiero. Questo è lo specchio della verità che insegna il modo più diretto per l’Illuminazione, che è la mèta comune di tutte le creature viventi. Colui che possiede lo specchio della verità è libero da paura; egli troverà conforto nelle tribolazioni della vita, e la sua vita sarà una benedizione per tutte le creature individuali". 

 

LA CORTIGIANA AMBAPALI 

Dopodiché il Beato si diresse a Vesali con un gran seguito di confratelli, e si fermò nel boschetto della cortigiana Ambapali. Egli disse ai fratelli: "O bhikkhu, che ogni fratello, mentre è nel mondo, sia attento e riflessivo. Che sia capace di superare il dolore che sorge dai desideri del corpo, dalla brama delle sensazioni e dagli errori dei ragionamenti errati. Qualunque cosa facciate, agite sempre in piena presenza mentale. Siate riflessivi nel mangiare e nel bere, camminando o stando in piedi, dormendo o essendo svegli, parlando o stando in silenzio". 

Quando la cortigiana Ambapali seppe che il Beato stava nel suo bosco di manghi, fu molto contenta ed volle andare da lui in carrozza, almeno finché la strada era praticabile. Quindi, scese e a piedi procedette verso il luogo dove era il Beato. Poi si sedette rispettosamente su un lato ai suoi piedi. Ella appariva come una donna prudente che sapeva compiere i suoi doveri religiosi, in un vestito semplice senza ornamenti, seppur bello da vedere. Il Beato pensò: "Questa donna si muove in ambienti mondani ed è una favorita di re e principi; eppure è calma e composta di cuore. Anche se giovane, ricca e circondata da piaceri, lei è riflessiva e costante. Ciò, è davvero raro nel mondo. Le donne, come regola, non sono molto sagge e sono profondamente immerse nella vanità; ma lei, anche se vive nel lusso, ha acquisito la saggezza di un maestro, sente compassione e pietà, ed è in grado di conoscere la verità nella sua interezza." 

Quando lei si fu seduta, il Beato la istruì, la stimolò e l'allietò con il Dharma. Come lei ascoltò la legge, il suo volto si illuminò di delizia. Poi lei si alzò e disse al Beato: "Il Beato mi farà l'onore di prendere il suo pasto, insieme con i fratelli, a casa mia domani?" Ed il Beato, con il silenzio, diede il suo beneplacito. 

Ora, i Licchavi, una ricca famiglia di rango principesco, che avevano saputo che il Beato era a Vesali e stava nel boschetto di Ambapali, montarono sulle loro magni-fiche carrozze, e arrivarono col loro seguito al luogo dove era il Beato. I Licchavi erano vestiti splendidamente con brillanti colori e decorati con preziosi gioielli. Ed Ambapali guidò la sua carrozza contro il giovane Licchavi, asse contro asse, ruota contro ruota, ed il Licchavi disse ad Ambapali, la cortigiana: "Come mai, Ambapali, stai venendo così contro di noi?" 

"Signori miei" disse lei, "io ho appena invitato il Beato ed i suoi fratelli per il loro pasto di domani". Ed i principi replicarono: "Ambapali! Dai la possibilità di questo pasto a noi per centomila monete" 

"Signori miei, anche se mi offriste tutta Vesali col territorio, io non perderei mai un così grande onore!" 

Allora i Licchavi proseguirono fino al boschetto di Ambapali. Quando il Beato vide in distanza i Licchavi che si avvicinavano, si rivolse ai fratelli, e disse: "O Fratelli, coloro di voi che non hanno mai visto gli dèi, osservino la carovana dei Licchavi, perché essi sono vestiti splendidamente, come immortali." 

E quando questi giunsero nel punto in cui la strada non era più praticabile per i carri, i Licchavi smontarono ed andarono a piedi verso il luogo dove era il Beato, sedendosi poi rispettosamente al suo fianco. E quando si furono seduti, il Beato li istruì, li stimolò e li allietò con il Dharma. Poi essi si rivolsero al Beato e dissero: "Il Beato ci farà l'onore di prendere domani il suo pasto, insieme con i suoi fratelli, al nostro palazzo?" 

"O Licchavi", disse il Beato, "io ho già promesso di cenare domani con Ambapali, la cortigiana". Allora i Licchavi, esprimendo la loro approvazione per le parole del Beato, si alzarono dai loro posti e si prostrarono di fronte al Beato e, dandogli la loro mano destra nel passare, partirono da lì; ma quando essi arrivarono a casa, alzarono le mani, dicendo: "Una donna mondana ci ha superati; noi siamo stati scalzati da una frivola ragazza!" 

Durante la notte, la cortigiana Ambapali, fece preparare in casa sua riso dolce e torte, e il giorno dopo mandò un messaggero dal Beato, a dirgli, "Signore, l'ora è venuta, ed il pasto è pronto!" Ed il Beato di mattina presto si vestì, prese la sua ciotola, ed andò con i fratelli al luogo dove era l'abitazione di Ambapali; e quando vi giunsero furono fatti sedere sui posti preparati per loro. Ambapali, la cortigiana, sistemò in ordine il riso dolce e torte, col Buddha in testa, ed aspettò finché essi non rifiutarono di prenderne più. 

Quando il Beato ebbe finito il pasto, la cortigiana fece portare un basso sgabello, si sedette al suo fianco e, rivolgendosi al Beato, disse: "Signore, io offro questa casa all'ordine di bhikkhu di cui il Buddha è il capo." Ed il Beato accettò il dono; e dopo averla istruita, risvegliata, e allietata con il Dharma, lui si alzò dal suo posto e partì da lì. 

 

L'ADDIO DEL BUDDHA 

Il Beato era rimasto nel boschetto di Ambapali finché ne ebbe desiderio, allorché lui andò poi a Beluva, vicino Vesali. Là, il Beato si rivolse ai fratelli, e disse: "O Mendicanti, prendete dimora qui intorno a Vesali per la stagione piovosa, ognuno nel luogo dove i suoi amici e compagni possano vivere vicini. Io nella stagione piovosa starò qui a Beluva." 

Quando il Beato se ne stava là nella stagione piovosa, su di lui arrivò una malattia atroce e gli vennero acuti dolori fin quasi a morirne. Ma il Beato, attento e calmo, sopportò le sue indisposizioni senza lamentarsi. Poi, al Beato arrivò questo pensiero: "Non sarebbe giusto andarmene dalla vita senza rivolgermi ai miei discepoli, senza prendere commiato dall'ordine. Con un grande sforzo di volontà, ora soggiogherò questa malattia, e mi manterrò in vita finché arriverà il tempo assegnato". Ed il Beato, con un grande sforzo di volontà, soggiogò la malattia, e si mantenne in vita fino a momento in cui egli aveva deciso che sarebbe venuto. E la malattia diminuì. 

E così il Beato cominciò a recuperare; e quando lui si fu completamente rimesso dalla malattia, uscì dal monastero, e si sedette su una sedia fuori all'aria aperta. E il Venerabile Ananda, accompagnato da molti altri discepoli, si avvicinò dove era il Beato, lo salutò, e sedendosi rispettosamente su un lato, disse: "Signore, io ho visto come il Beato fosse in salute, ed ho visto come il Beato dovette poi soffrire. E sebbene alla vista della malattia del Beato il mio corpo divenisse debole come un verme, e per me l'orizzonte divenisse fioco, e le mie facoltà non fossero più chiare, tuttavia io ebbi un po’ di conforto pensando che il Beato non avrebbe potuto lasciare l’esistenza, almeno finché non avesse lasciato istruzioni su come mantenere l'ordine." 

Il Beato, riguardo all'ordine, si rivolse ad Ananda dicendo: "Cosa, poi Ananda, l'ordine si aspetta da me? Io ho predicato la verità senza fare alcuna distinzione tra dottrina nascosta o rivelata; perché il Tathagata, nel rispetto della verità, non ha il pugno chiuso di un maestro che tiene delle cose nascoste. 

"Di sicuro, Ananda, ci sarà qualcuno che alimenta il pensiero, "Sarò io colui che condurrà il Sangha', o, 'L'ordine dipenderà da me!', e costui dovrebbe depositare le istruzioni senza questioni riguardo all'ordine. Ora, Ananda, il Tathagata non pensa chi possa essere colui che dovrebbe condurre la fratellanza, o se c’è chi crede che l'ordine debba dipendere da lui. Perché, poi, i Tathagata dovrebbero lasciare istruzioni di qualche genere riguardo all'ordine? 

"Io ora sono diventato vecchio, O Ananda, e pieno di anni; il mio viaggio sta per finire, io sono giunto alla fine dei miei giorni, e sto arrivando agli ottanta anni. Proprio come un carro disfatto non può essere mosso per fare lunghi viaggi senza difficoltà, così il corpo del Tathagata può continuare ad andare soltanto con molte cure supplementari. O Ananda, è solo quando il Tathagata, cessando di prestare attenzione a qualunque cosa esterna, si immerge in quella debita meditazione di cuore in cui non è interessato ad alcun oggetto fisico, è solo allora che il corpo del Tathagata si trova a suo agio. 

"Perciò, O Ananda, siate luci a voi stessi. Contate su di voi stessi, e non fate alcun affidamento sull’aiuto esterno. Tenete stretta la verità come una lampada. Cercate la salvezza solo nella verità. Non cercate appoggio in nessuno se non in voi stessi. 

"E come, Ananda, un fratello può essere una lampada per sé, contare solamente su se stesso e non su alcun aiuto esterno, tenendo stretta la verità come la sua propria lampada e cercando la salvezza solo nella verità, non cercando appoggio in nessun altro se non in se stesso? Ecco, O Ananda, quando un fratello indulge nel corpo, osserva il corpo così che lui, essendo strenuo, riflessivo, ed attento, possa, stando nel mondo, superare il dolore che sorge dall’attaccamento al corpo. Mentre è soggetto alle sensazioni dovrà continuare a osservare le sensazioni, così che lui, essendo strenuo, riflessivo, ed attento, stando nel mondo, superi il dolore che sorge dalle sensazioni. E cosippure, quando lui pensa o ragiona, o sente, ben osservi i suoi pensieri, così che essendo strenuo, riflessivo ed attento, lui può, stando nel mondo, superare il dolore che sorge dall’attaccamento al pensiero, alle idee, ai ragionamenti, o alle sensazioni. 

"Quelli che, sia ora che dopo la mia morte, saranno luci per se stessi, contando solo su se stessi e non facendo affidamento su alcun aiuto esterno, ma tenendo stretta la verità come loro lampada, e cercando la loro salvezza solo nella verità, e non cercando appoggio in nessun altro se non in loro-stessi, sono essi, Ananda, tra i miei bhikkhu, quelli che raggiungeranno la suprema altezza! Ma essi devono essere ansiosi di imparare." 

  

IL BUDDHA ANNUNCIA LA SUA MORTE 

Il Tathagata disse ad Ananda: "O Ananda, in passato Mara il Maligno si avvicinò tre volte al santo Buddha per tentarlo. Ed oggi, Ananda, egli è venuto di nuovo nel luogo dove stavo, e, standomi davanti, mi apostrofò con le stesse parole come fece quando io stavo sotto l'albero del pastore di Nigrodha sulla riva del Fiume di Neranjara: 'Salute a te, o Santo. Tu hai raggiunto la suprema beatitudine ed è ora per te di entrare nel Nirvana finale'. - E quando Mara ebbe così parlato, Ananda, io gli risposi e dissi: 'Sta tranquillo, O malvagio; l’estinzione finale del Tathagata avverrà fra non molto". 

Il venerabile Ananda si rivolse al Beato e disse: "O Signore Benedetto, degnati di rimanere con noi, per il bene e la felicità delle masse, per compassione verso il mondo, per il benessere di tutta l’umanità!" Il Beato replicò: "Basta ora, Ananda, non implorare il Tathagata!" 

E ancora, una seconda volta, il venerabile Ananda implorò il Beato con le stesse parole. E ricevette dal Beato la stessa replica. E di nuovo, una terza volta, Ananda implorò il Beato per continuare a vivere; ed il Beato disse: "Hai fede, Ananda?" Ananda disse: "Certo che ce l’ho, mio Signore!" 

Il Beato, vedendo le palpebre tremanti di Ananda, lesse il profondo dolore nel cuore del suo adorato discepolo, e di nuovo gli chiese: "Hai davvero fede, tu, o Ananda?" E Ananda disse: "Io ho fede, o mio Signore." 

Allora il Beato continuò: "Se tu, Ananda, hai fede nella saggezza del Tathagata perché, allora, Ananda, hai insistito con il Tathagata fino a tre volte? Non ti ho io dichiarato in precedenza che è nella vera natura di tutte le cose composte che esse devono dissolversi ancora? Noi dobbiamo separarci da tutte le cose prossime e a noi care, e dobbiamo lasciarle. Allora, Ananda, come può essere possibile per me rimanere, se tutto quello che è nato, o entrato in essere, ed organizzato, contiene dentro di sé l’obbligo inerente della dissoluzione? Dunque, come può essere possibile poi che questo mio corpo non dovrebbe dissolversi? Una simile condizione non può sussistere! Questa esistenza mortale, O Ananda, a cui bisogna rinunciare, è stata lasciata andare, gettata via, rifiutata, ed abbandonata anche dal Tathagata." 

E il Beato disse inoltre ad Ananda: "Ora vai, Ananda, e fai radunare nella Sala di Servizio quei fratelli che risiedono nei dintorni di Vesali." 

Poi il Beato si diresse verso la Sala di Servizio, e si sedette sul cuscino di stuoia approntato per lui. E quando si fu seduto, il Beato si rivolse ai confratelli, e disse: "O Fratelli, coloro ai quali la verità è stata resa nota, essendo voi stessi diventati totalmente maestri di verità, praticatela, meditate su di essa, e diffondetela tutto intorno, così che il puro Dharma possa durare molto e perpetuarsi, perché possa continuare per il bene e la felicità delle masse, per pietà verso il mondo, e per il benessere di tutti gli esseri viventi! L'astrologia e lo studio delle stelle, il prevedere eventi fortunati o sfortunati in base a dei segnali, il pronosticare il bene o il male, tutte queste cose sono vietate. Colui che lascia che il suo cuore cerchi di sfogarsi senza limiti, non raggiungerà il Nirvana; perciò, noi dobbiamo tenere il cuore sotto controllo, evitare eccitamenti mondani e cercare la tranquillità di mente. Mangiate il vostro cibo per soddisfare la fame, e bevete per soddisfare la sete. Si soddisfino le necessità della vita, come la farfalla che centellina il fiore, senza distruggere la sua fragranza o la sua struttura. Non è attraverso la comprensione delle quattro nobili verità, O fratelli, che noi per così tanto tempo eravamo andati fuori strada e vagando in questo triste sentiero di trasmigrazioni, voi ed io, finché non abbiamo trovato la verità. Praticate le meditazioni serie che io vi ho insegnato. Continuate la grande lotta contro il peccato. Camminate stabilmente nelle vie della santità. Siate forti nei poteri morali. Lasciate che gli organi del vostro senso spirituale siano rapidi e diretti. Quando le sette modalità della saggezza illumineranno la vostra mente, voi troverete l’Ottuplice Nobile Sentiero che conduce al Nirvana. 

"Vedete, O fratelli, l’estinzione finale del Tathagata avrà luogo fra non molto. Ora io vi esorto, dicendo: ‘Tutte le cose composte devono invecchiare e poi dissolversi di nuovo. Cercate dunque Ciò che è permanente, e lavorate per la vostra salvezza con molta diligenza." 

  

CHUNDA, IL FABBRO 

Il Beato andò a Pava. Quando Chunda, il fabbro, sentì che il Beato era venuto a Pava e stava nel boschetto di manghi, egli andò dal Buddha e rispettosamente lo invitò con i suoi confratelli a prendere il loro pasto a casa sua. E Chunda preparò torte di riso ed un piatto di carne di verro essiccato. 

Quando il Beato ebbe mangiato il cibo preparato da Chunda, gli venne un acuto dolore, finché non giunse anche un’atroce malattia mortale. Ma il Beato, attento, consapevole e calmo, la sopportò senza lamentarsene. Ed il Beato si rivolse al Venerabile l'Ananda, dicendo: "Vieni, Ananda, andiamo insieme a Kusinara." 

Durante il cammino, il Beato si stancò, e mettendosi da un lato della strada ai piedi di un albero, disse: "Ti prego, Ananda, piegami il manto e stendilo fuori per me. Io sono stanco, Ananda, e devo riposare un pò!" "Sarà fatto, Signore!" disse il venerabile Ananda; e stese fuori il mantello piegato in quattro. Il Beato si sedette, e quando si fu seduto apostrofò così il venerabile Ananda: "Portami dell'acqua, ti prego, Ananda. Io ho sete, Ananda, e berrei volentieri." 

Dopo che egli ebbe così detto, il venerabile Ananda disse al Beato: "Ma, Signore, proprio ora cinquecento carri sono passati attraverso il ruscello e hanno mescolato l'acqua; ma Signore, c’è un fiume non lontano da qui. La sua acqua è chiara e piacevole, fresca e trasparente, ed è facile arrivare fin lì. il Beato potrà bere acqua e rinfrescare le sue membra". 

Il Beato apostrofò una seconda volta il venerabile Ananda, dicendo: "Portami dell'acqua, ti prego, Ananda. Io ho sete, Ananda, e berrei volentieri." 

Ed una seconda volta il venerabile Ananda rtispose: "Su, andiamo al fiume!" 

Allora il Beato si rivolse al venerabile Ananda per la terza volta, e disse: "Portami dell'acqua, ti prego, Ananda. Io ho sete, Ananda, e berrei volentieri." "Sarà fatto, Signore!" disse Ananda obbedendo al Beato; e, prendendo una ciotola, andò giù verso il ruscello. Ed ecco! Le acque del ruscelletto che, scombussolate dalle ruote, erano diventate fangose, quando il venerabile Ananda arrivò ad esse, fluivano in modo chiaro e brillante, e libere da ogni torbidezza. E egli pensò: "Che meraviglia! Com’è meraviglioso e grande il potere del Tathagata!" 

Ananda portò l'acqua nella ciotola al Signore, dicendo: "Che il Beato prenda la ciotola e beva felice l'acqua. Che il Maestro di uomini e dèi estingua la sua sete". Allora il Beato bevve l'acqua. 

Ora, in quel momento, un uomo di bassa casta, un giovane Malla discepolo di Alara Kalama, chiamato Pukkusa, stava passando lungo la strada alta da Kusinara a Pava. Pukkusa, il giovane Malla, vide il Beato seduto ai piedi di un albero. Nel vederlo, egli salì sul luogo dove era il Beato, e quando fu ivi giunto, salutò il Beato e si sedette rispettosamente al suo lato. Allora il Beato istruì, stimolò ed allietò Pukkusa, il giovane Malla, con un discorso religioso. 

Risvegliato ed allietato dalle parole del Beato, Pukkusa, il giovane Malla, si rivolse ad un uomo che stava casualmente passando di là, e disse: "Buon uomo, ti prego, procurami due mantelli di stoffa di oro brunito e pronti per l’uso." 

"Così sia, signore!" disse quell'uomo obbedendo a Pukkusa, il giovane Malla; e lui portò due mantelli di stoffa di oro brunito e pronti per l’uso. 

Pukkusa, il giovane Malla, presentò al Beato i due mantelli di stoffa di oro brunito e pronti per l’uso, dicendo: "Signore, questi due mantelli di stoffa di oro brunito sono pronti per l’uso. Che il Beato mi mostri il favore di accettarli dalle mie mani!" 

Il Beato disse: "Pukkusa, vesti me con uno, ed Ananda con l'altro". Ed il corpo del Tathagata apparve risplendere come una fiamma, ed era bello oltre ogni dire. 

Il venerabile Ananda disse al Beato: "Com’è meravigliosa questa cosa, Signore, e com’è sorprendente che il colore della pelle del Beato possa essere così chiara, così brillante! Quando io misi questo mantello di stoffa di oro brunito sul corpo del Beato, ecco! sembrò come se esso avesse perso il suo splendore!" 

Il Beato disse: "Vi sono due occasioni in cui l'aspetto di un Tathagata diventa in modo sorprendente chiaro e brillante. La notte in cui il Tathagata raggiunge il supremo e perfetto ‘insight’, Ananda, e quando alla fine egli trapasserà nel finale assoluto trapasso che non lascia rimanere nulla della sua esistenza terrena". 

Ed il Beato si rivolse al venerabile Ananda, e disse: "Ora, Ananda, può accadere che qualcuno potrebbe riversare del rimorso a Chunda, il fabbro, dicendo: 'È colpa tua, Chunda, ed è male per te, che il Tathagata è morto, dopo aver mangiato il suo ultimo pasto da te!'. Un tale rimorso gettato in Chunda il fabbro, dovrebbe essere controllato, Ananda, dicendo: 'È buon per te, Chunda, e guadagno per te, che il Tathagata sia morto, dopo aver mangiato il suo ultimo pasto da te. Dalla stessa bocca del Beato, O Chunda, io ho sentito, dalla sua propria bocca, io ho sentito dire, "Queste due offerte di cibo sono di ugual frutto e di profitto assai più grande di qualunque altro: le offerte di cibo che un Tathagata accetta quando egli ha raggiunto la perfetta Illuminazione e quando egli trapassa nell’assoluto e finale passaggio in cui nulla resta della sua esistenza terrena - queste due offerte di cibo sono di uguale frutto e di uguale profitto, e di assai più grande frutto e assai più grande profitto che qualunque altro. Su Chunda, il fabbro, è stato posto un karma che ridonda di lunghezza della vita, ridonda di una buona nascita, ridonda di una buona fortuna, ridonda di una buona fama e ridonda di una eredità celeste e di un grande potere". "Proprio così, Ananda, si dovrebbe controllare di non far avere alcun rimorso in Chunda, il fabbro." 

Poi il Beato, percependo che la sua morte era vicina, emise queste parole: "Colui che dona avrà il vero guadagno. Colui che si sottomette sarà libero, perché egli cesserà di essere schiavo delle passioni. L’uomo retto elimina il male; e con lo sradicare concupiscenza, amarezza, ed illusione, si giunge al Nirvana." 

  

METTEYYA (MAITREYA)

Il Beato, con una gran seguito di confratelli, si diresse nella sala del boschetto di Malla, l'Upavattana di Kusinara, sull'altro lato del fiume Hirannavati, e quando vi fu giunto, egli si rivolse al venerabile Ananda, e disse: "Ti prego, o Ananda, tieni pronto per me il divano con la testa a nord, tra gli alberi gemelli di sala. Io sono stanco, Ananda, e desidero giacere giù." 

"Sarà fatto così, Signore!" disse il venerabile Ananda, e quindi posò giù un divano con la testa verso nord, tra gli alberi gemelli di sala. Ed il Beato vi si distese, ed egli era attento e calmo. 

Ora, in quella stagione, gli alberi gemelli di sala erano pieni di fiori; e dai cieli si diffusero canzoni paradisiache, come forma di riverenza verso il successore degli antichi Buddha. Ed Ananda era pieno di meraviglia che il Beato fosse onorato così. Ma il Beato disse: "Non da tali eventi, Ananda, il Tathagata è rettamente onorato, ritenuto sacro, o riverito. Ma chi onora, sacralizza, e riverisce il Tathagata con il più degno omaggio è esattamente l'uomo devoto che sempre adempie i maggiori e minori doveri camminando secondo i precetti. Perciò, O Ananda, siate costanti nell'adempimento dei doveri maggiori e minori, e camminate secondo i precetti; così, Ananda, voi onorerete il Maestro!" 

Allora il venerabile Ananda stette nel vihara, e appoggiandosi contro il montante della porta, pianse al pensiero: "Ahimè! Io resto nient’altro che uno studente, uno che deve ancora lavorare per la sua propria perfezione. Ed il Maestro sta quasi per andarsene da me - chi mai sarà più così gentile!" 

Ora, il Beato chiamò i fratelli, e disse: "Dov’è Ananda, O fratelli?" Uno dei fratelli andò a chiamare Ananda. E Ananda venne e disse al Beato: "La profonda oscurità regnava per mancanza di saggezza; tutto il mondo delle creature senzienti stava brancolando a causa della mancanza di luce; poi il Tathagata accese la lampada della saggezza, ed ora essa sarà di nuovo estinta, prima che egli l'abbia rivelata". 

Il Beato disse al venerabile Ananda, appena egli si fu seduto al suo fianco: "Basta, Ananda! Non essere tu stesso agitato; non piangere! In precedenti occasioni, non ti avevo già detto che è nella stessa natura di tutte le cose a noi care, il doverle lasciare e che noi dobbiamo separarci da esse? L'uomo sciocco concepisce l'idea di un 'sé', l'uomo saggio vede che  non c'è alcuna base su cui costruire l'idea di un 'sé', così egli ha una concezione corretta del mondo e giustamente conclude che tutte le cose composte, ammassate con sofferenza, saranno di nuovo dissolte, ma solo la verità rimarrà. Perché dovrei preservare questo corpo di carne, quando solo l’eccellente corpo della legge resterà? Io ho risolto; avendo concluso il mio scopo e atteso al lavoro stabilito, io cerco il riposo! Per molto tempo, Ananda, tu mi sei stato molto vicino con pensieri ed atti di tale amore oltre ogni misura. Tu hai agito bene, Ananda! Sii serio nello sforzo ed anche tu presto sarai libero dal male, dalla sensualità, dall'egoismo, dall’illusione e dall'ignoranza!" 

Ananda, frenando le sue lacrime, disse al Beato: "Chi c'insegnerà quando tu sarai andato?" 

Ed il Beato rispose: "Io non sono il primo Buddha che venne sulla terra, né io sarò l'ultimo. Nel tempo dovuto, un altro Buddha sorgerà nel mondo, un Santo, Uno estremamente Illuminato, dotato di saggia condotta, di lieto auspicio, che conosce l'universo, un incomparabile leader di uomini, un Maestro di angeli e mortali. Lui vi rivelerà le stesse verità eterne che vi ho insegnato io. Lui predicherà la religione, nello spirito e nella lettera gloriosa nella sua origine, gloriosa nel punto più alto, e gloriosa alla mèta. Lui proclamerà una vita religiosa, totalmente pura e perfetta; come io ora proclamo!" 

Ananda disse: "Come lo sapremo?" Il Beato disse: "Lui sarà noto come Metteyya (Maitreya) che vuol dire 'Colui il cui nome è gentilezza'." 

  

L’ENTRATA NEL NIRVANA 

Allora tutti i Malla, coi loro giovani ragazzi e fanciulle e le loro mogli, essendosi addolorati, tristi e con il cuore afflitto, andarono all'Upavattana, il boschetto dei Malla, e vollero vedere il Beato per partecipare della beatitudine che invade quelli che sono in presenza del Santo. 

Il Beato si rivolse loro e disse: "Cercando la Via, dovrete esercitarvi e sforzarvi con diligenza. Non è sufficiente aver visto Me procedere come io vi ho ordinato; liberatevi voi stessi dall’aggrovigliata rete del dolore. Procedete nel sentiero con un costante scopo. Un uomo ammalato può essere guarito dal salutare potere di una medicina, e si sarà sbarazzato di tutte le sue indisposizioni senza vedere il medico. Colui che non fa ciò che io ho comandato, mi vede invano. Di per sé, ciò non porta profitto; mentre colui che vive lontano da dove sono io e però procede rettamente nel sentiero mi è sempre vicino. Un uomo può vivermi accanto, ma se è disobbediente, è come se fosse lontanissimo da me. Coloro che però rispettano il Dharma godranno sempre la beatitudine della presenza del Tathagata". 

Quindi, il mendicante Subhadda andò al boschetto dei Malla e disse al venerabile Ananda: "Io ho udito da alcuni miei amici mendicanti che negli anni furono colpiti profondamente da insegnanti di grande esperienza: 'Talvolta, e assai raramente, un Tathagata appare nel mondo, il Buddha santo.' Ora si dice che oggi nell'ultimo quarto della notte, avverrà il trapasso finale del samana Gotama. La mia mente è piena di incertezza, eppure io ho fede e fiducia nel samana Gotama che egli è capace di presentare la verità, così che io possa sbarazzarmi dei miei dubbi. Mi sia dunque permesso di vedere il samana Gotama!" 

Allorché ebbe così sentito, il venerabile Ananda rispose al mendicante Subhadda: "Basta! amico Subhadda. Non agitare il Tathagata. Il Beato è stanco". Ora il Beato per caso udì questa conversazione tra il venerabile Ananda ed il mendicante Subhadda. Ed il Beato chiamò il venerabile Ananda, e gli disse: "Ananda! Non devi tener fuori Subhadda. A Subhadda può essere permesso di vedere il Tathagata. Qualsiasi cosa Subhadda mi chieda, lo chiederà per un desiderio di conoscenza, e non per importunarmi, e qualsiasi cosa io possa dire in risposta alle sue domande egli rapidamente capirà". 

Allora il venerabile Ananda disse: "Vieni avanti, amico Subhadda; poiché il Beato ti dà il permesso". 

Quando il Beato ebbe istruito Subhadda, egli lo risvegliò e l'allietò con parole di conforto e saggezza, e Subhadda disse al Beato: "O mio Signore glorioso, Signore glorioso! Come sono eccellenti le tue parole, molto eccellenti! Esse rimettono a posto ciò che era rovesciato, esse rivelano ciò che era nascosto. Esse indicano la corretta via al vagabondo che si era disperso. Esse portano una luce nell'oscurità così che quelli che hanno occhi per vedere possano vedere. Quindi, Signore, la verità è stata resa nota a me dal Beato ed io prendo il mio rifugio nel Beato (il Buddha), nella Verità (il Dharma) e nell'Ordine (il Sangha). Che il Beato possa accettarmi come discepolo e vero credente, d’ora in avanti finché la vita dura". 

E Subhadda, il mendicante disse al venerabile Ananda: "Grande è il tuo vantaggio, amico Ananda, grande è la tua buona sorte di cui per così molti anni tu sei stato irrorato come discepolo in questa fratellanza, nelle mani dello stesso Maestro!" 

Ora il Beato si rivolse al venerabile Ananda, e disse: "Potrebbe essere, Ananda, che in alcuni di voi possa sorgere il pensiero ‘La parola del Maestro è finita, noi non abbiamo più l’insegnante!'. Ma non è così, che voi dovreste considerarlo. È vero, Ananda, che io non potrò più ottenere un corpo, perché ogni dolore futuro ora è finito per sempre. Ma benché questo corpo sarà dissolto, il Tathagata resta. La verità e le regole dell'ordine che io ho esposto e ho stabilito per voi tutti, dopo che io sarò andato via, siano esse di maestro a voi. Quando me ne sarò andato, Ananda, fai in modo che, casomai, l'ordine abolisca tutti i precetti minori." 

Poi il Beato si rivolse ai confratelli, e disse: "Nella mente di un fratello potrebbero esservi dei dubbi o incertezze sul Buddha, la verità, o il sentiero. Però, non dovete rimproverarvi col pensiero, 'Noi non lo chiedemmo al Beato, allorché eravamo davanti a lui.' Perciò ora chiedete, o fratelli, chiedete liberamente." 

I fratelli rimasero silenziosi. Allora il venerabile Ananda disse al Beato: "Invero, io credo che in tutta questa assemblea dei fratelli, non vi sia fratello che abbia alcun dubbio o incertezza riguardo al Buddha, alla verità, o al sentiero!" 

Ed il Beato disse: "È grazie alla tua pienezza di fede che tu hai parlato, Ananda! Ma, Ananda, il Tathagata sa per certo che in tutta questa assemblea dei fratelli non c’è un fratello che abbia alcun dubbio o incertezza riguardo al Buddha, alla verità, o al sentiero! Perché, Ananda, anche il più ritardato di tutti questi fratelli è stato convertito, e si è assicurato la salvezza finale." 

Poi il Beato si rivolse ai confratelli, e disse: "Se voi ora conoscete il Dharma come la causa di ogni sofferenza ed il sentiero della salvezza, O discepoli, allora potrete dire: 'Noi rispettiamo il Maestro, e parliamo così per riverenza verso il Maestro?'." I fratelli risposero: "Noi non potremmo, O Signore!". 

Ed il Santo continuò: "Di quegli esseri che vivono nell’ignoranza, muti e confinati in un guscio, io ho prima rotto il guscio dell'ignoranza e, solo nell'universo, ho ottenuto il supremo Stato di Buddha universale. Così, O discepoli, io sono il più vecchio, il più nobile degli esseri. Ma ciò di cui voi parlate, O discepoli, è o non è ciò che voi stessi avete visto, voi stessi conosciuto, voi stessi compreso?". Ananda ed i fratelli dissero: "Si, Signore, lo è!". 

Ancora una volta il Beato cominciò a parlare: "Ora vedete, fratelli" egli disse, "Io vi esorto, mentre dico, 'Il decadimento è inerente in tutte le cose composte, ma la verità rimarrà per sempre. Operate per la vostra salvezza con diligenza!". Questa fu l'ultima parola del Tathagata. Poi il Tathagata precipitò in una meditazione profonda, ed essendo passato attraverso i quattro jhana, entrò nel Nirvana.  

Quando il Beato entrò nel Nirvana, nel momento del suo trapasso dall’esistenza, si sentì un terremoto possente, terribile e ispiratore di un timore reverenziale: con lampi e tuoni che balenarono nel cielo, e quei confratelli che non erano ancora liberi dalle passioni protesero le braccia e piansero, altri caddero precipitosamente a terra, angosciati dal pensiero: "Il Beato è morto troppo presto! Troppo presto ha abbandonato l’esistenza! Troppo presto la Luce del mondo è scomparsa!". 

Poi il venerabile Anuruddha esortò i fratelli e disse: "Basta, fratelli miei! Non piangete, né dovete lamentarvi! Non ci ha il Beato in precedenza dichiarato che è nella vera natura di tutte le cose, a noi vicine e care, che noi dobbiamo separarci da esse e lasciarle, poiché tutto ciò che è nato, portato in essere, ed organizzato, contiene dentro di sé l’inerente necessità della dissoluzione? Come può essere poi possibile che il corpo del Tathagata non si dovrebbe dissolvere? Tale condizione non può esistere! Coloro che sono liberi dalle passioni sopporteranno la perdita, calmi e responsabili, consapevoli della verità che Lui ci ha insegnato!" 

Il venerabile Anuruddha e il venerabile Ananda passarono il resto della notte in religiosa compostezza. Poi il venerabile Anuruddha disse al venerabile Ananda: "Ora vai, fratello Ananda, ed informa i Malla di Kusinara dicendo loro, 'Il Beato è deceduto: quindi fate qualunque cosa vi sembri adatta!'." E quando i Malla ebbero sentito queste parole si addolorarono, e furono tristi ed afflitti nel cuore. 

Poi i Malla di Kusinara diedero ordini ai loro attendenti, dicendo, "Radunate tutti insieme in Kusinara profumi e ghirlande, e tutta la musica!" Ed i Malla di Kusinara presero profumi e ghirlande, tutti gli strumenti musicali, e cinquecento indumenti, ed andarono nel boschetto dove era disteso il corpo del Beato. Là essi passarono il giorno nel rendere onore e riverenza ai resti del Beato, con ghirlande e profumi, e con inni e musica, e facendo canopi con gli indumenti, e preparando ghirlande decorative da appendervi sopra. Poi bruciarono i resti del Beato, così come essi avrebbero fatto con il corpo di un Re dei re. 

Quando la pira funebre fu accesa, il sole e la luna cessarono di splendere e si ritrassero, i  pacifici ruscelli si gonfiarono come torrenti impetuosi, la terra tremò, e le robuste foreste furono scosse come foglie tremolanti, mentre fiori e foglie caddero fuori tempo sulla terra, come pioggia, così che ogni abitante di Kusinara fu coperto fino ai ginocchi con fiori di mandara che piovevano in giù dal cielo. 

Quando le cerimonie funebri furono terminate, Devaputta disse alle moltitudini che si erano assemblate intorno alla pira: "Vedete, fratelli, i resti terreni del Beato sono stati dissolti, ma la verità che lui ci ha insegnato vive nelle nostre menti e ci purifica da tutti gli errori. Perciò, andate nel mondo, compassionevoli e pieni di misericordia come il nostro grande Maestro e predicate a tutti gli esseri viventi le quattro nobili verità e l’Ottuplice sentiero della rettitudine, così che ogni essere umano possa ottenere la salvezza finale, prendendo rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha." 

Quando il Beato fu entrato nel Nirvana ed i Malla ne ebbero bruciato il corpo con cerimonie che indicavano come egli fosse il più grande Re dei re, ambasciatori vennero da tutti quegli imperi che al tempo avevano abbracciato la sua dottrina, per chiedere una parte delle reliquie; e le reliquie furono divise in otto parti, ed otto dagoba (o stupa) furono eretti per la loro conservazione. Un dagoba fu eretto dai Malla, e altri sette dai sette Re di quei paesi i cui abitanti avevano preso rifugio nel Buddha. 

  

 

CONCLUSIONE 

Quando il Beato fu trapassato nel Nirvana, i discepoli vennero e si consultarono su cosa fare per mantenere il Dharma puro ed incorrotto da eresie. 

Upali si alzò, dicendo: "Il nostro gran Maestro era solito dire ai fratelli: 'O bhikkhu! dopo il mio ingresso finale nel Nirvana voi dovrete riverire e rispettare la Legge. Considerate la Legge (il Dharma) come vostro Maestro. La Legge è come una luce che risplende nell'oscurità, e che indica la Via; essa è anche simile ad un gioiello prezioso, per guadagnare il quale voi dovrete evitare qualunque problema, ed esser pronti a sopportare qualunque sacrificio; inoltre, dovreste averne bisogno per le vostre stesse vite. Rispettate il Dharma che io vi ho rivelato; seguitelo attentamente e fate come se fosse in nessun modo diverso da me.' Tali erano le parole del Beato. Di conseguenza, la Legge che il Buddha ci ha lasciato come una preziosa eredità, ora è divenuta il corpo visibile del Tathagata. Quindi, riveriamola e ritieniamola sacra. Perciò, a che serve erigere dagoba per le reliquie, se poi noi trascuriamo lo spirito degli insegnamenti del Maestro?" 

Allora Anuruddha si alzò e disse: "Teniamo presente che Gotama Siddhartha ha rivelato a noi la verità. Egli era il Santo, il Perfetto ed il Beato, perché la verità eterna era dentro di lui. Il Tathagata ci ha insegnato che la verità esisteva prima ancora che lui nacque in questo mondo, ed esisterà anche dopo che lui è entrato nel Nirvana. Il Tathagata disse: 'La verità è onnipresente ed eterna, dotata di innumerevoli eccellenze, oltre la natura umana, ed è ineffabile nella sua santità.' 

"Ora, teniamo presente che il Buddha non è questa o quella legge che ci sono state rivelate nel Dharma, ma la intera verità, la verità che è eterna, onnipresente, immutabile, e più eccellente. Molte regolamentazioni del Sangha sono provvisorie; esse furono prescritte perché erano adatte per l'occasione ed erano necessarie per la transitoria emergenza. Tuttavia, la verità non è provvisoria. La verità non è arbitraria né è una questione di opinione, ma può essere investigata, e coloro che sinceramente ricercheranno la verità, la troveranno. La verità è nascosta al cieco, ma colui che ha l'occhio mentale vede la verità. La verità è l'essenza del Buddha, e la verità rimarrà l'ultima essenza. Ossequiamo perciò la verità; indaghiamo nella verità, affermiamola, e infine rispettiamola! Perché la verità è il Buddha, il nostro Maestro, il nostro Insegnante." 

Poi si alzò Kassapa e disse: "Invero, tu hai parlato bene, O fratello Anuruddha. Non c’è alcun conflitto di opinione sul significato della nostra religione. Perché il Beato possiede le tre personalità e ognuna di esse è di uguale importanza per noi. C'è il Dharma-Kaya. C'è il Nirmana-Kaya. C'è il Sambhoga-Kaya. Il Buddha è la verità eccellente, eterna, onnipresente, ed immutabile: questo è il Sambhoga-Kaya che è uno stato di beatitudine perfetta. Il Buddha è l'insegnante amorevole che assume la forma degli esseri a cui egli insegna: questo è il Nirmana-Kaya, il suo corpo di apparizione. Il Buddha è il benedetto dispensatore del Dharma; Egli è lo spirito del Sangha e ci lasciò il significato degli ordini nella sua sacra parola, il Dharma: questo è il Dharma-Kaya, il corpo più eccellente della Legge. 

"Se il Buddha a noi non fosse apparso come Gotama Sakyamuni, come avremmo potuto ricevere le sacre tradizioni della Sua dottrina? E se le generazioni future non ne preservassero le sacre tradizioni nel Sangha, come potrebbero conoscere qualcosa del grande Sakyamuni? Né noi né altri potrebbero conoscere qualcosa della verità più eccellente, che è eterna, onnipresente, ed immutabile. Dunque, la si mantenga sacra e si riveriscano le tradizioni; manteniamo sacra la memoria di Gotama Sakyamuni, così che tutte le persone possano trovare la verità!" 

Poi i fratelli decisero di convenire ad un sinodo per istituire le dottrine del Beato, inserirvi le sacre scritture e stabilire un canone che doveva servire come una fonte di istruzione per le generazioni future. 

 

Nastro 4:             F I N E