Potrei raccontarlo in mille modi diversi, non cambierebbe nulla.
Per la prima volta dall’inizio dei miei ricordi, le lettere scritte una dietro l’altra sul foglio perdono la loro essenza così sacra, e si riducono a una serie di segni impregnati solo da residui di finto altruismo (l’unico possibile a quanto pare, essendo tutti facenti parte dello stesso enorme corpo).
Potrei dare al tutto un certo tono di austerità e terrore, potrei farlo passare per qualcosa che non è, potrei perfino farlo diventare un trattato sulla capacità di essere felici e mantenere nel tempo i piedi saldi e l’anima libera.
Potrei, con un po’ di impegno (che non ho voglia di trovare), accalappiare gli occhi di chiunque passasse per caso o per causa da queste parti. Troverei esche per ogni amo.
Ma non servirebbe.
In ogni caso le mie parole sarebbero frustrate, frustate e messe in riga dalla consapevolezza assolutamente soggettiva degli sguardi che vi si poseranno sopra, sarebbe un po’ tradire me stessa (chi?) e ciò che è stato, ridurre a un sassolino nella scarpa il dolore e la liberazione di non possedere i piedi.
E se anche non dovesse accadere, se riuscissi con delle stupide parole a non sminuire l’essenza dell’equilibrio della materia nell’aria, sarebbero gli occhi di chi legge a fare il lavoro sporco, e ci sarebbe in più l’onere della sopportazione di ciò che alcuni credono un sentire sincero, ma che è solo voglia di piacere e ribrezzo della solitudine.
Non c’è nulla che faccia più paura al mondo di non trovare consensi. Almeno uno. E vale per tutti.
Cosa succederà se non piaccio a tutti gli occhi che mi vedono?Succederà davvero qualcosa?Cosa è successo?Cosa succede?Come stai?
Sto bene, ma non significa nulla. E’ solo una risposta registrata su un disco che continua a far tacere o a far urlare le coscienze paurose di decidere da sole, senza l'ausilio di un dittatore sensuale. Sto bene, sto male, ma che significa?Sono qua, come lo ero ieri, e come lo sarò domani.
Il vento è lo stesso di sempre, le paure marcite e putrefatte anche. Solo che adesso non contano più. Qualsiasi cosa vola via in un cielo da sempre pronto ad accogliere tutto ciò che è inutile.
E’ tutto finito?No, non ancora. Questa è una risposta che ho già trovato, quindi so riconoscerla (a differenza delle altre volte). Vedo ancora troppi fiumi scorrere e ancora con vergogna devo annotare sul diario di bordo una qualche specie di voglia di seguire una corrente piuttosto che un’altra. Come se ce ne fosse una giusta da seguire. Inoltre sono ancora qui a chiedermi se arriverà mai una fine, ed è decisamente improbabile chiederselo se la si vede. Cosa significa tutto ciò, che sto bene o che sto male?
La fine è un bene o un male?Io non ho più voglia di definirla, e non ho più voglia di cercare risposte, perché non esistono.
E’ difficile, questo si che lo so. E’ difficile riuscire a vedersi nel buio totale, ma ancora più difficile è smettere di immaginare qualcosa che anche se esistesse, al buio non si vedrebbe. E’ difficile smettere di credere a ciò che c’è quando la luce è accesa.
Eppure sono qua, non per incapacità di abbandonare la sfida e l’orgoglio, ma perché non posso fare altro. Sono qua perché non ci sono altri posti in cui essere. Sono qua semplicemente perché anche le difficoltà, come tutto il resto, sono solo un pensiero inutile.
Sarebbe bello poter trovare intorno i sorrisi di chi riesce ad amare questi enormi muri da scalare a mani nude, ma troppo spesso mi sono ritrovata e mi ritroverò a pensare che in fondo la mia vita è gestita semplicemente dai ritmi delle nuvole di fumo, e troppo spesso la fatica piace solo a chi soffre, e solo nei momenti in cui soffre. Io invece, voglio davvero essere felice. Voglio davvero vivere ogni paura con tutta la gioia di cui sono capace.
Il sollievo improvviso nel pensare ad occhi chiusi di essere in punto di morte, la caduta naturale di ogni barriera e di ogni ciambella di salvataggio, l’equilibrio totale con l’aria, che confonde i confini del corpo seduto e annichilito nei sensi dalla forza di quel cuscino di energia... posso davvero rinunciare a tanto per il capriccio di una bambina viziata che non ha mai dovuto provvedere a se stessa da sola?
Sai davvero cosa significa lavorare e soffrire?Sai davvero cosa significa mangiare solo dopo averlo meritato con il lavoro?
Il problema è ritrovarsi ancora a pensare, come se non sapessi che non porta a nulla, come se non sapessi che il problema di pensare è l’origine di ogni problema.
L’ antidoto all’illusione spinta dal desiderio di guardarsi in uno specchio e trovarci una faccia diversa dalla tua, che però contenga dietro agli occhi l’essenza della tua anima. C’è?Esiste?
Esiste, basta smettere di vedere facce.
Sarebbe bello poterlo raccontare.
Sarebbe bello poterlo raccontare senza fraintendimenti, ma non c’è nessuno ad ascoltare, perché nessuno crede di soffrire, o forse, guardando meglio, perché non c’è nessuno a raccontarlo.
Accadrà ciò che è sempre accaduto, e che da secoli fa sembrare tutto vero: si penserà all’interpretazione personale dei miei drammi, tutto sembrerà perfettamente normale, mentre in realtà la terra ha tremato e niente tornerà com’era prima, anche se tutto sembrerà uguale nell’aspetto.
Sembrerà tutto sprecato, o ci vorranno almeno dei secoli prima che si dia la giusta interpretazione, se c'è.
Si cercherà una giustificazione plausibile che renda tutto il più vicino possibile alla realtà del mondo, eppure i meno distratti continueranno a chiedersi cos’è che non torna, perché tutto dipenda così poco da ciò che succede fuori. Astrattismo dei sensi questo, il pensare a un fuori.
Stavolta non torno, o forse si, non posso esserne certa senza sentirmi stupida. Le certezze provano ancora ad impossessarsi di ciò che credono essere me, ma per fortuna non trovano nulla a cui aggrapparsi solidamente.
Posso solo permettermi di farmi notare che stavolta il desiderio di rimanere incastrata in un mondo piuttosto che in un altro, sovrasta quello di concedermi un po’ di sollievo, forse perché il sollievo è più doloroso del lavoro, a lungo andare.
E’ abbastanza forse, probabilmente, non so. Non ne vale davvero più la pena però.
Davvero, non proteggetemi più. Se davvero esiste un affetto umano, o qualcosa di simile a un amore verso gli altri, lasciate che la mia parte d’amore sia questa: sapere.
Magari nella completa solitudine, ma sapere.
Non è detto che debba esserci qualcosa da guardare per saper vedere.
Non nascondetemi ciò che è dietro ai miei occhi e non mi è concesso ancora di vedere da sola, oppure fatelo, non importa, tanto io non ho più altre scelte e comunque provvederò da sola.
Si mangia dopo averlo meritato lavorando.
Non ho altro da chiedere, altro da sperare, altro da volere.