Testimonianze

 

Questo è quanto

di Daria

 

 

Sembra impossibile conoscere di nuovo queste vecchie emozioni trascinate fin qui senza neanche accorgermene, dovevo essere una bambina l’ultima volta che la pancia faceva questi rumori profondi. Non ricordo più come fosse possibile conviverci.
Credo sia tempo di non avere più paura, o almeno di scovarne ancora un po’ prima di fermarmi nella convinzione rassicurante e temporanea di non averne più. Certo, fa paura.
Di certo non è più l’idea seppur sempre dolorosa di perdere qualcosa che non si è mai avuto e che non tornerà più, quella è una paura troppo ostentata e palesata per lasciarmi dubbi sul fatto che abbia qualche potere nascosto su di me. Probabilmente neanche quella di poter di nuovo cadere in un tranello della mente, ho già sperimentato troppe volte l’inevitabilità di questo problema per poterlo ancora temere senza guardarmi dall’alto in basso.
Le ipotesi si restringono, e nonostante l’erba alta che oscura la visuale, come un cecchino sdraiato fra i ramoscelli prendo la mira, e individuo alcuni dei probabili obiettivi.
Fa paura dover smettere di sapere ciò che si crede di sapere, non avere più scuse per poter tenere stretta la possibilità di cercare ancora qualcosa, così, per sapere cosa farne del tempo.
Fa paura, fa estremamente paura il primo passo verso la strada del non ritorno.
Fanno paura il sonno e la responsabilità.
Fa paura sapere di avere con sé tutto ciò che esiste (e bada bene, non solo tutto ciò che serve).
Fa paura ritrovarsi d’improvviso a calpestare tutti i propri principi e quelli altrui, come fossero escrementi secchi su un marciapiede, che una volta liberati del peso della scarpa che li ha schiacciati, sbattono di nuovo violenti al suolo.
Fa paura, e ogni volta in modo più mostruoso, ogni volta con una violenza più inaudita, gettare via qualcosa che serviva come chiodo per scalare la montagna, perché ogni volta che lo fai resti più solo con tutte quelle spine infilate nelle mani, e nessuna possibilità di andare oltre o tornare indietro.
Fa paura restare nudi davanti a ciò che decide per te, o guardare qualcuno nudo che pensa sia tu a decidere per lui (dipende da quale angolatura si è in grado di guardare la storia).
Ho paura, come tutti i miei compagni di viaggio, non fa eccezione neanche la mia pelle da questo gioco infernale. Ho paura di tutto ciò che non so, non distinguo, non metto a fuoco, ho estremamente paura della mia scarsa capacità di non convincermi di ciò che voglio. Però devo sapere, e questa è la mia eterna salvezza.
Devo sapere se ho davvero amato voi o me, e devo sapere se è voi che non ho amato abbastanza, o me. Oppure magari tutte e due le cose, o nessuna delle due. Devo sapere che qualsiasi sia la risposta giusta non cambia assolutamente nulla.
Ci provo costantemente ad avere paura nel presente, ma non ci riesco neanche sforzandomi. Se potessi esserlo ora sicuramente sarei in grado di cogliermi e di portarmi a casa per sistemarmi in un vaso con dell’acqua fresca, ma vengono tutte dal passato le paure, non ne trovo neanche una che sia in grado di auto generarsi proprio qui, davanti a me, incontro solo le figlie di qualcuno che ho già visto e già vissuto. Forse è vero, sono tutte figlie della paura della morte, ma qualsiasi sia il loro albero genealogico, devono pur avere una loro utilità, altrimenti non avrebbero ragion d’essere. E quella della morte a cosa serve se non esiste nulla che sia altrettanto inevitabile?Si ha davvero il diritto di temere qualcosa di inevitabile?E cos’è che mantiene in piedi l’utilità dell’esserne spaventati, se da migliaia di secoli continuiamo a trasmetterci questa informazione? Forse l’unica risposta possibile è che la morte ci offra silenziosamente la possibilità di non nascere di nuovo per tornare a temerla. Allora si che ha un senso averne paura.
In realtà, come al solito, l’unica soluzione possibile è arrendersi al fatto che non esistono soluzioni oggettive ed universali. La paura non esiste, e ciò che lo sembra non è altro che l’ignoranza del non saper riconoscere e classificare ciò che si ha davanti, ciò che arriva ai sensi come paura non può che essere l’enorme stupore di rimanere all’improvviso soli e sprovveduti davanti all’inevitabilità di ciò che è. In fondo non è solo la paura a mascherarsi da buon senso, ma è anche il contrario. E’ solo che quando qualcuno finge per proteggerci allora gli è concesso, mentre se finge al solo scopo di ingannarci diventa cattiveria. Ma dov’è la differenza se non nei punti di vista di chi agisce? E’ così da secoli, da millenni, e ancora non riusciamo a crederci.
Eppure esiste sicuramente in qualche luogo nascosto del presente, una posizione da cui davvero si riesca a distinguere con che cosa si ha a che fare, certo, deve essere necessariamente un punto che sia al di fuori sia di questo mondo, che di quello vero. Dev’essere una specie di stanza senza pavimento, un punto indistinto del cielo o di qualcosa di simile al cielo.
Mi viene da pensare che non si possa compiere altra scelta da quella di cambiare completamente rotta, l’obiettivo (se esiste) non può più essere superare una paura, o cento, o mille, o tutte. LA ricerca a questo punto verte necessariamente sull’individuazione del luogo-non luogo in cui è possibile captare e riconoscere senza giudizi e pregiudizi. Ovviamente tutto ciò presuppone l’assoluto distacco da qualsiasi aspettativa, o non si farà altro che continuare come al solito ad ottenere stupide illusioni (fossero anche illusioni che ci rendono felici).
Non male la prospettiva, no?Millenni passati a riempire spazi di tempo, per arrivare a proporsi di vuotare tutto. E senza ausili tecnici particolari. Spalare letame con la sola forza delle mani, per chissà quanti anni, quanti secoli, quante eternità. Perché volarci sopra non sarebbe affatto onesto pur sapendolo fare (e comunque io non ne sono capace), perché volandoci sopra si continuerebbe a vedere la distesa di morte che si sta evitando.
Una cosa però bisogna puntualizzarla per non cadere nelle grinfie pericolose dell’auto commiserazione che tanto ci allontana dal perdono e dall’amore: mentre si spala letame, non si ha bisogno della pietà di nessuno. Non lo dico certo con rabbia o con superbia, quale essere meschino non saprebbe apprezzare l’onesto sforzo di chi cerca disperatamente parole che non esistono per proteggere una realtà che sembra così vera?Quale cinico senza pietà riuscirebbe a non provare compassione di fronte a chi non ha il coraggio di sputare in faccia a chi ha di fronte la realtà nuda e cruda?Mi fa male il cuore al solo pensiero di dover loro rivelare l’inutilità del loro sforzo. Figuriamoci riuscire a divulgarne la pericolosità.
Non ho bisogno della pietà di nessuno per il semplice fatto che non temo nulla che sia anche solo lontanamente simile ad uno sputo in faccia, anzi, spesso solo uno sputo o uno schiaffo ti danno la possibilità di sbalordirti prima che lo faccia la paura. La paura nascosta dagli abbracci insicuri, dall’amore inventato, dal finto coraggio nel proteggerci dalla visione di noi stessi che sputiamo, questo si, lo temo.
Ed è così che qualsiasi forma vivente abbia paura di farmi soffrire, non mi lascia altra scelta che radunare tutte le mie cose ed andarmene via. Non la merito davvero la pietà, da una parte mi sembra davvero troppo poco rispetto a quello che mi spetta, dall’altra mi ritengo troppo fortunata per esserne degna.
Il che a guardarlo bene, da una spiegazione a tante paure.
D’improvviso mi sono ricordata il motivo per cui era così bello essere una dominatrice, la ragione che mi permetteva di amare così tanto la rabbia, a volte perfino più dell’amore: la rabbia ha la straordinaria capacità di lasciare che la verità esca potente e scrosciante dalle bocche di chi fino a un momento prima aveva paura di ferirti, la rabbia scatena meccanismi che l’amore neanche conosce (a meno che non sia talmente puro da vederli tutti senza lasciarsi prendere a calci). La rabbia mi ha spesso permesso di farmi sputare in faccia da chiunque, istintivamente. A volte ho davvero un forte desiderio di ritrovare quella molla che scattando risolveva ogni dubbio, ma è svanita nel nulla il giorno in cui ho smesso di aver paura di sputarmi in faccia da sola.
A cosa serve poi mi chiedo, non lasciarsi contagiare da questa cecità infettiva, se nessun altro occhio vede?
Forse serve solo ad impazzire, o forse a guarire.
Non posso ancora credere davvero a ciò che ho visto, ma soprattutto a ciò che non avuto l’onore di udire; ero ancora convinta che i mostri fossero un’invenzione dei bambini che hanno paura del buio o del silenzio, ma improvvisamente mi sono accorta che probabilmente il silenzio sempre più spesso rimane la cosa meno impregnata di paura che io possa ottenere.
Piango stremata all’idea della pena che ognuno di noi prova davanti a se stesso, ma non posso fare a meno di ridere pensando a chi realmente crede di poter attribuire quella pena al desiderio di proteggere chi ama, o qualsiasi altra cosa che non sia se stesso. Cercherò di prestarmi il meno possibile a questo giochino crudele e sconsiderato, ho abbastanza rispetto per tutto ciò che ho intorno, da non pensare che meriti più la mia pietà che il mio abbandono.
Vorrei sfidarvi, vi sfido davvero a guardare per un momento il mondo con i miei occhi. E’ tutto così dannatamente e incantevolmente intenso da qua, che a volte non riesco ad evitare di crederci. Sempre più raramente, per fortuna.
Dovrei e potrei arrabbiarmi con me stessa se ancora sentissi lo stimolo di farlo, ma come riuscirci se non guardando finalmente in faccia l’implacabile verità delle eccezioni?Se un’eccezione improvvisamente ne trova un’altra uguale a lei, si può ancora parlare di eccezione, o il numero due nasconde già in sé il senso di normalità, il senso di regola? Forse non merito la mia rabbia, forse non sono ancora così brava da saperne approfittare come dovrei. Forse per ora preferisco ancora soffrire, che se non è l’unica via verso la verità, sicuramente è la più diretta.
I bambini nella loro perfetta ingenuità, sanno. Essere adulti non è altro che fingere di essere qualcosa, i bambini sono, non fingono. E si arrabbiano quando hanno paura.
Di cosa avevo paura quando mi arrabbiavo con te?Di cosa?Non poteva paura della tua instabile immobilità, non poteva essere qualcosa di non mio. Paura di non trovare più motivi abbastanza validi per scegliere la solitudine invece di una vita vissuta come fosse l’unica a disposizione? Forse volevo solo smettere di sentirmi sola.
Quando si comincia a capire, e cosa?Cosa, se qualsiasi fenomeno siamo spinti a vedere è completamente impregnato dal giudizio di un’altra mente?
In fondo capire non è altro che sbattere la porta in faccia alla possibilità di comprendere davvero, il fatto di capire anche solo uno dei singoli meccanismi che regolano le nostre vite, presuppone in automatico l’aspettativa di volerli capire tutti (o almeno quelli che ci fanno comodo), e questo è l’esatto opposto del comprendere che non ne esiste neanche uno, ecco l’inganno.
Capiterà ancora di far scontrare i nostri pensieri finché ce ne sono, a chi vogliamo darla a bere?Capiterà finché saremo schiavi dei bisogni, e delle loro paure.
A cosa pensavo mentre mordevo la carne delle tue spalle infilando i denti nel sangue e il sapore di metallo invadeva violento tutti quei buchini famelici che riempiono la mia lingua?A cosa pensavo davvero?
Inutile continuare a ricordare il dopo, quando tornata la quiete il pensiero era solo convincermi che ogni gesto servisse alla tua liberazione, ancora oggi non riesco a vedere cosa doveva andare a coprire quella giustificazione, e non trovo pace nei ricordi. Probabilmente già cercavo disperatamente di stanare la mia superbia.
In fondo non ho fatto altro che trasformarmi un una sagoma pronta a prendersi addosso gli spari e gli sputi. La saliva, quanta ce n’era già da piccolina in giro… me la ricordo che si appoggiava sui quadretti di un quaderno, cadeva viscida e filamentosa dalle labbra del mio compagno di banco. Mi ricordo i conati di vomito, e la disperazione nel cercare un consiglio che accontentasse si me e la mia infinita sensazione di disgusto, ma che allo stesso tempo mi evitasse di impacchettare e regalare a qualcuno motivi che lo avrebbero portato a non amarsi per i successivi decenni. La sua saliva e il mio conseguente ribrezzo, mi ricordano oggi che probabilmente ho sempre saputo (prima di cominciare ad imparare a non sapere), e che continuerò sempre a disimparare per poter vedere ciò che merita.
Non sono ipnotizzabile dai desideri della mia pelle, ne sono affascinata si, ma non corruttibile, come allora non lo ero dal miraggio di una visione priva di bava cadente e schifosa.
Sembrava che tutti lo sapessero già e mi spingessero ininterrottamente a stare vicina a qualcosa con cui nessun altro voleva avere a che fare; a volte l’ho accettato passivamente, a volte ho imparato ad apprezzare ciò che nessuno vedeva. A volte c’era chi rimaneva talmente affascinato dalla mia indifferenza a continuare a respirare vicino agli escrementi, che mi porgeva uno scettro carico di un potere che non sapevo neanche gestire, costringendomi ad imparare.
L’ostacolo è solo che imparare presuppone sempre un sacrifico, e chi non è disposto o non è preparato a farlo, sta insieme imparando e disimparando.
Ciò spiega le differenze fra noi e i bambini, noi che dimentichiamo tutto ciò che sapevamo, perché non siamo pronti a sacrificarci per tenerlo con noi. Eppure ciò che si prova andando in altalena, davvero non cambia mai.
Ad ognuno il suo, e che Dio non abbia pietà di voi, così come non ne ho io, che quella che avete per voi stessi basta e avanza per continuare a fare il bagno nel letame.