Un penny per i miei pensieri.
Perché mi incuriosisce in modo così dolcemente forte sapere cosa farebbe capolino da me se provassi a estrapolarlo tramite l'alcool e la voglia di ricominciare a vivere che tutti mi augurano e che non mi torna mai?
Non lo so davvero.
So che mi piace la pioggia.
Lo so da sempre, da quando camminavo in mezzo al mio personale gruppo di accompagnatori sofferenti per le strade uggiose di una Londra freneticamente impegnata nel suo lavoro quotidiano, ed ero l'unica a camminare a testa alta, non per sfidare il cielo e la sua potenza, ma per poter vedere ogni goccia arrivare sul mio viso, sempre più vicina, sempre più grande, fino al momento del feroce impatto con la mia pelle, a volte con i miei occhi, confusa con delle lacrime immaginarie.
L'altra notte non ero più stupita di vedermi correre frettolosa verso la porta ed aprire gli occhi verso quello spettacolo infinitamente potente e imponente.
E la magia del rapimento consenziente puntualmente è avvenuta.
Le gocce devono conoscersi tutte l'una con l'altra, o non potrebbe risultarne un esercito così compatto e devastante. Forse comprendono davvero di essere tutte uguali, a differenza di noi.
La pioggia mi piace davvero, perché fa come vuole e non chiede il permesso a nessuno. E' come se sapesse, è come se riuscisse a vedere l'unica soluzione possibile.
A volte mi chiedo se la pioggia si sente mai in colpa quando rovina i mille progetti delle persone, certo viene da ridere al pensiero che possa avere questa facoltà, ma allora perché non dovrebbe farmi ridere anche pretendere di avere il diritto di sentirmi io in colpa, che non sono diversa o separata da quelle gocce?
Non voglio andare di nuovo oltre, verso il solito mondo di sogni costruiti su misura, voglio rimanere fuori da qualsiasi gioco stavolta, e lo so che mi sembra ancora troppo oneroso, ma so anche che una scelta diversa ormai non può più neanche essere presa in considerazione, sarebbe come impedire alla pioggia di cadere, quindi è inutile pormi il problema.
Se a volte posso permettermi ancora di addossare alla scarsa memoria le mie colpe, stavolta è tutto talmente limpido da non lasciare alcun margine di contrattazione con me stessa.
Io sono questo, è ora di smettere di inseguire i sogni di una normalità che non esiste più.
Se davvero sono qualcosa, e non lo credo, allora sono questo: un'amante di ciò che è.
Una curiosa, tutto qua. Una curiosa che non ha più la possibilità di discriminare tra ciò che la incuriosisce o no.
Guardo meglio, continuo imperterrita a cercare le giustificazioni che da sempre mi accompagnano, e non da mesi, da sempre. Le trovo, sono là, ma non hanno più presa, sembrano quasi un orsetto di peluche infilato nel letto per paura di dormire da soli, non servono più a nulla da adulti.
Eppure c'è tutto, come posso aver solo pensato che sarebbe sparito?E' ovvio che deve rimanere tutto qui, nel mondo che lo ha creato.
Tutto gira, gira, gira, ma non in tondo, tutto gira negli angoli, nelle infinite notti di incoscienza, nei bicchieri sorseggiati per ore, nelle ore perse a correre (senza sapere mai dove si andrà a finire).
Non c'è più logica, e menomale, perché si trascinerebbe dietro le schermaglie di secoli di lamentazioni ingiustificate, e io comincio a non prendere più sul serio nessun tipo di autocommiserazione, è tutto troppo palesemente ridicolo, grottesco, e soprattutto inutile.
C'è il rumore del vento che impatta violento sulle nostre costruzioni più o meno materiali, e il fruscio delle gocce che si schiantano sul pavimento del mio giardino, coccolando e conciliando la smisurata voglia di farne la colonna sonora del mio riposo.
Ogni goccia quando cade fa lo stesso rumore. Lo stesso, identico rumore.