Testimonianze

 

In fondo lo so

di Daria

 

 

 Non so bene da dove iniziare, dalla bellezza forse.
La bellezza mi sembra un ottimo presupposto da cui partire, perché non è mai certa, è nascosta dagli occhi di chi la vede.
Non so come è iniziato tutto questo muoversi e muoversi ancora, ma ogni volta che ripeto questa giustificazione alla mia vittima indifesa, mi rendo conto che non ci crede più nemmeno lei, e sto diventando fastidiosamente imbarazzante ai miei occhi.
Muoversi in tondo, senza più vedere l'inizio, la fine, il mezzo. Ma andiamo, chi ci crede più all'inconsapevolezza dell'inizio?
Il fine giustifica i mezzi?Non lo so, ho smesso di chiedermelo perché tanto ormai è la coscienza che sceglie anche quelli.
Vorrei davvero poter sentire la vera spinta che è emersa dentro di me, vorrei poter davvero ripensare a te che non sopporti neanche il mio ricordo, così come a te che ti svegli ogni mattina con il mio viso fra le ciglia, come si fa in quelle canzoni d'amore che non ascolti più da quando eri piccolo, e poi ecco, una sera in macchina mentre torni dall'allucinante e assurda normalità di una giornata come le altre, una radio che trasmette pezzi vecchi ti fa pensare che forse avresti dovuto chiudere diversamente le partite della tua vita.
Avendone avuto facoltà, questo è ovvio.
Ora li hai davanti, tutti i tuoi errori, tutte le stupide guerre vinte, a volte a tavolino, senza che l'avversario avesse neanche il coraggio di presentarsi.
Li hai davanti e non te ne importa niente.
E ripensi anche a quanto è stato ingiusto confondere quella paura con la vigliaccheria di chi sa già di dover perdere davanti a tutti e si tira indietro, che magari l'avversario l'aveva già capito che ogni guerra è stupida, anche per chi la vince.
D'accordo, terrò strette le conseguenze che mi spettano senza lamentarmene più. E senza gioirne quando schiacciano mortalmente l'avversario.
Ecco perché non me ne importa niente.
Poi ho imparato.
E' questo che conta anche se devo ancora trascinarmi dietro i sacchi di odio che io stessa ho riempito prima di scoprire che il peso sarebbe rimasto sempre e solo sulle mie spalle.
E soprattutto prima di scoprire come scaricarli, sciocca presciolosa.
Tutto l'ondeggiare e il vaccillare delle sicurezze costruite su qualcosa che neanche ricordo più, come è iniziato?
Lo vedo, non lo vedo, lo vedo ancora.
In fondo lo so.
Troppo peso, troppi passi più lunghi di una gamba troppo stanca anche per fermarsi ad aspettare, anzi, forse proprio fermarsi la spaventava di più, perché poi non avrebbe avuto la forza di ripartire.
Le mie gambe si sentivano sole.
Eppure era proprio la paura di proseguire quella che impediva loro di fermarsi, l'ho visto dopo, quando pur stanche di camminare rispondevano ancora ai miei stimoli, a quelli della mia mente vuota e desiderosa ormai di impartire ordini solo quando è strettamente necessario.
Partivano da sole nella sosta.
Sostenute da tutta la gioia del mondo.
Mi hanno rapita, le mie gambe mi hanno rapita per portarmi dove non vogliono neanche loro.
Non ho nulla per pagare il mio riscatto per fortuna, altrimenti probabilmente lo farei.