Debbo anticipare che non sono, né son mai stato, un ricercatore spirituale professionista, cioè non ho mai cercato nessuna verità altra da me stesso, come fosse un compito, né ho mai provato il desiderio o la curiosità di andare a conoscere questo o quel maestro. Sono un fatalista e ho sempre considerato che quello che deve accadere nella vita, accade per conto suo e non c’è bisogno di dover rincorrere nulla. Questo – ovviamente - non significa che non ho provato interesse per alcuni saggi, al contrario mi sono –addirittura - “innamorato” di qualcuna di essi, come nel caso di Anasuya Devi o Chidvilasananda. Verso i santi maschi, invece, ho sempre mantenuto un occhio critico, pensando che nessuno potesse incarnare meglio di me lo spirito. Certo ora non vedo più la cosa nello stesso modo, ora per me son tutti come me stesso e quindi l’antagonismo è finito.
Restano comunque i ricordi e le abitudini comportamentali. Ad esempio nel lontano 1966 (? - Ahò, le date non sono il mio forte) abitavo a Verona e decisi di scendere a Roma dove si aspettava la venuta di Jiddu Krishnamurti, il maestro universale dei teosofi che poi invece li rinnegò e si mise in proprio. L’incontro sarebbe dovuto avvenire in un teatro di Via Nazionale (non ricordo il nome ma è un teatro famoso). Aspetta ed aspetta, ogni tanto appariva un discepolo dicendo “Krishnamurti è atteso da un momento all’altro”, ma l’attesa risultò vana… tra l’altro lui stesso diceva sempre di “non aver nulla da insegnare” e perciò non si presentò e ci diede buca.. Ricordo che alcuni dei bidonati erano persino entusiasti di ciò: “Hai visto che grande maestro? Non vuole fare la parte del maestro ed allora non è nemmeno venuto qui dove tutti avevano l’aspettativa di incontrare un maestro”, chiaramente questo discorso è alquanto contorto…. insomma per farla breve, credo che quella sia stata la prima ed unica volta in vita mia in cui sono andato a cercare un “maestro”. Quelli che ho incontrato poi ed incontro giornalmente, mi capitano davanti per “grazia divina” o per caso...
Ma torniamo ad Osho Rajneesh e Satya Sai Baba…. A volte li definisco “due saggi opposti” e perché? Osho Rajneesh rappresenta la trasgressione in senso intellettuale e sociologico mentre Satya Sai Baba incarna il modello devozionale indiano classico. Il primo fece di tutto per creare scalpore e rompere ogni schema, parlando male di tutti e persino di se stesso. Era famoso per i suoi scherzi crudeli come quello –ad esempio- in cui annunciò che alcuni dei suoi “discepoli” si erano realizzati per poi osservare le loro reazioni e svergognarli adeguatamente per la finzione da loro dimostrata negli atteggiamenti esteriori. Osho era uno della Capra perciò vi potete immaginare il tipo. Tutti i discepoli di Osho erano una macchietta con i loro panni indaco vistosi, pieni di collane e di rosari, si dicevano “sannyasin” (rinuncianti) ma si comportavano da grandi epicurei (in tutti i sensi). L’ashram di Poona era famoso per le libertà espressive manifestate in ogni campo… Allo stesso tempo Osho era capace di tenere a bada quella mandria di scalmanati e pian piano li condusse – almeno, alcuni di essi - all’annullamento del senso dell’io ed alla comprensione della vanità dell’ottenimento mondano. In qualche modo restarono tutti “fregati” dalle sue trappole diaboliche ma i più saggi non se la presero ed andarono oltre….. Questo metodo di Osho potrei definirlo “pura psicologia transpersonale”.
Praticamente da quando frequento ambiti spiritualisti ho costantemente incontrato ed fatto amicizia con discepoli di Osho, con loro mi sono divertito un mondo, ho amoreggiato con alcune e litigato con alcuni. Malgrado non avessi mai voluto incontrare e conoscere personalmente Rajneesh si vede che fosse mio destino incontrarlo attraverso i suoi seguaci in cui mi sono imbattuto e mi imbatto ovunque io vada. Siccome non l’ho mai incontrato di persona lo conobbi “indirettamente”. Pensate, malgrado ciò il destino volle che dovessi scrivere il suo necrologio, accadde quando Majid Valcarenghi (un suo rappresentante in Italia) mi chiese di scrivere un commento su “Operazione Socrate” libro-denuncia in cui si alludeva all’ipotesi di avvelenamento di cui Osho pare fosse stato vittima negli Stati Uniti (mentre stava in galera per contravvenzione alle leggi d’immigrazione). Chiamai “Ad Memoriam” quel testo e credo che da qualche parte sia stato pubblicato, forse su un numero di Liberation Times.
Mi sono dilungato su Osho perché ho per lui una simpatia-antipatia innata, ci avrei litigato di sicuro ma siccome non l’ho mai voluto né potuto incontrare, mi resta affettuosamente vicino e apprezzo i suoi tricks furibondi. In qualche modo la stessa cosa accadde con Satya Sai Baba. Pensate che per anni ed anni sono andato e ho risieduto per parecchio tempo in Andra Pradesh, lo stato Indiano in cui si trova Puttaparti, dove c’è il suo ashram. Abitavo a pochi km. da lui, ma (come avvenne per Poona che si trova a poche miglia da Ganeshpuri) non mi passò mai per la capa di andarlo a visitare, ma anche così non potei fare a meno di essere continuamente e costantemente frequentato dai suoi devoti. Ancora oggi succede ed infatti ho rapporti epistolari e di amicizia con tanti “beneficiati” di Satya Sai-Baba, ad esempio qui nel Lazio collaboro spesso con lo Shanti-Mandir diretto da Gabriella Lavorgna che è una vecchia devota del santo.
Qui però voglio raccontare come accadde che da una iniziale diffidenza nei confronti dei miracolistici avvenimenti del Baba, appresi a considerarli come un utile gioco all’avvicinamento verso la “pura coscienza”. Tanti anni fa, forse nel 1980, stavo a Jillelamudi, dove viveva anche un certo Siam, un ragazzo inglese originario di Malta, il quale non si dichiarava particolarmente interessato alle pratiche spirituali, e mi disse “non so dove andare e siccome qui mi danno da mangiare e da vestire ci resto finché posso”, ma non dovete meravigliarvi della cosa perché questa era l’atmosfera dell’accoglienza totale ricevuta nella Casa di Tutti di Anasuya Devi. Un giorno chiesi a Siam se avesse mai conosciuto Satya Sai Baba e lui mi rispose che aveva vissuto a lungo a Puttaparti. Per curiosità gli domandai ancora se avesse avuto qualche esperienza miracolistica con il santo, a questo punto Siam mi guardò più seriamente e mi narrò una sua esperienza. “Stavo lì già da parecchio tempo senza mai aver avuto un particolare rapporto con Sai Baba, poi accadde che mi beccassi la rogna, una malattia epidermica che spesso si attacca dal contatto diretto con i cani, vedi anche qui a Jillellamudi succede, perché i bambini della scuola, a causa del freddo, dormono con i cani randagi a fianco e si beccano la rogna, insomma mi ero preso l’infezione e le mie mani erano piene di piaghe, una situazione dolorosa, e pareva che non vi fossero cure adeguate a guarire dal male. Una notte sognai che Sai Baba stava passando in rassegna tutti noi e quando si trovò davanti a me mi guardò e mi chiese come stavo, io gli mostrai le mani piagate e dissi che non potevo più nemmeno mangiare per il dolore che provavo (in India si mangia con le mani ed il contatto con le spezie piccanti procura bruciore)… al che Satya Sai Baba, sempre nel sogno, mi disse di non preoccuparmi e mi prese le mani fra le sue… l’indomani mattina ero guarito…”.
Dopo che Siam mi ebbe raccontato questa storia, compresi come mai Sai Baba si stava dando tanta pena a curare dei bambini che avevano preso la rogna e così smisi di pensare che “certe esibizioni miracolistiche di alcuni santi del sud” non fossero affatto conduttive alla spiritualità. Insomma accettai i miracoli di Satya Sai Baba come un possibile aiuto spirituale…. Ed allora eccomi al termine della “comparazione” fra Osho e Satya, dalla quale traggo una conclusione: Le Vie del karma sono imperscrutabili! ed andare avanti con il paraocchi non conduce certo alla pienezza….
Paolo D’Arpini (www.circolovegetarianocalcata.it)
COMMENTO di ALIBERTH – Anche se devo ammettere che, agli inizi, ho avuto anch’io la posizione stessa di Paolo (cioè, quella antagonista verso i maestri di sesso maschile e la venerazione verso le ‘maestre’ donne, soprattutto se attraenti come nel caso di Chidvilasananda che, a suo tempo, conobbi anch’io) devo riconoscere che successivamente sono a mia volta passato a una integrale visione di unità, in cui tutti gli esseri sono “me-stesso” e viceversa. Quindi, caro Paolo, non mi resta che riconoscere che, quando nella mente di ogni essere si è ben insediata la ‘Comprensione’ (come sembra essere per te), non c’è più tanta differenza tra un maestro e l’altro… e tra un individuo che abbia realizzato e l’altro. Devo anche dire che questa tua confessione mi è piaciuta molto, e ti fa onore. Perché è solo quando si è veramente capito l’unità, si arriva ad essere così equanimi e onni-comprensivi. Un caro abbraccio da un tuo confratello… OM Shanti!