Testimonianze

Il tesoro dell'arte orientale

 

Fu Friedrich Nietzsche a scrivere nel 1888 che Torino «è una via spirituale per l´Oriente». Il capitano Celso Cesare Moreno, invece, nato sulle colline delle Langhe, qualche tempo prima aveva cercato di avvicinare la monarchia sabauda e l´Asia attraverso un approccio del tutto materiale. Sposatosi con la figlia di un sultano di Sumatra, propose a Vittorio Emanuele II di occupare l´isola, sottraendola agli olandesi e spalancando pertanto al giovane Stato unitario italiano le porte di quelle ricchezze e di quei commerci.
Vecchi sogni d´Oriente, che allora naufragarono in buona parte. A volte, però, i frammenti di un vagheggiamento perduto si avverano. La pensa così Franco Ricca, un docente universitario di meccanica quantistica che, quasi quarant´anni fa, cominciò a studiare con crescente passione la storia, la cultura e l´arte dell´Estremo Oriente. La folgorazione del professore sulla via di Alessandro Magno e di Marco Polo si è incrociata, dal 2001, con la volontà del Comune di Torino (soprattutto per iniziativa di Fiorenzo Alfieri, assessore alla Cultura) e della Fondazione Torino Musei di ampliare le collezioni orientali del Museo civico d´Arte Antica, memori della grande tradizione di studi dell´ateneo subalpino in questo campo. Ne è sortito un felice connubio, tanto che venerdì verrà inaugurato il nuovo Museo d´Arte Orientale (Mao). È un patrimonio di circa 1500 opere, alcune delle quali di notevole rilevanza e rarità, rappresentative di tesori millenari. Si tratta di statue, sculture lignee, fregi, bronzi dorati, ceramiche, mandala, paraventi, dipinti a tempera, strumenti rituali, velluti, manoscritti, armature da samurai, in parte acquistati di recente e in parte provenienti dalle collezioni preesistenti del Museo d´Arte Antica, della Regione e della Fondazione Giovanni Agnelli.
Vede la luce nel cuore della città, nel quadrilatero romano, in un edificio, Palazzo Mazzonis, già dei Solaro, costruito fra il XVII e il XVIII secolo e in cui, almeno secondo una leggenda che sembra non avere troppo fondamento, si dice che il giovane Jean-Jacques Rousseau abbia servito come lacché verso il 1728-1731. L´impegno finanziario della Compagnia di San Paolo, del Comune, della Regione Piemonte, ha consentito di restaurare il palazzo e, grazie all´architetto Andrea Bruno, curatore dell´allestimento, di fare convivere il moderno e ciò che resta del passato, realizzando un percorso affascinante. Due giardini di foggia giapponese e Zen, con acqua, piante e pietre, dopo l´atrio accolgono i visitatori nella corte ottocentesca, adesso sormontata da una struttura leggera di vetro e acciaio, elemento di transizione e di passaggio, come spiegano i progettisti, «tra il mondo occidentale e quello orientale che ci si appresta a scoprire». Il museo organizzato e diretto dal professor Ricca è appena oltre il cortile, con le sue cinque sezioni o gallerie disposte dal pianterreno al quarto piano dell´edificio principale, compresi gli sconfinamenti nella manica laterale, che designano altrettante aree culturali: quella che va dall´Afganistan al Sud-Est asiatico; la civiltà multisecolare cinese; l´Himalaya e la regione centroasiatica; l´universo islamico; il Giappone.
Il rigore che presiede ai reperti esposti si coniuga, nella visita, alla seduzione di una vera narrazione di viaggio e di avventura, dove le reminiscenze del Mahãbhãrata si sposano a Il Milione, Li Po porta a Omar Khayyãm, Kipling si rilegge insieme a Emilio Salgari e a Bruce Chatwin, il Corano non esclude il Genji monogatari giapponese. Le collezioni del Gandhara, dell´India e del Sud-Est dell´Asia, al piano terra, aprono lo scrigno del Mao. Accanto ai fregi di Butkhara, che decoravano uno stupa, il monumento simbolo del buddhismo, si possono ammirare rilievi e sculture indiane dal II secolo a. C. al XIV secolo d. C., alcune delle quali presentano evidenti elementi ellenistico-romani, ma anche opere dell´arte thailandese, birmana e cambogiana Khmer. Al primo piano è di scena l´arte cinese, declinata dal vasellame neolitico ai bronzi rituali, alle terrecotte e alla lacche dei periodi Han e Tang, dal 3000 a. C. al 900 d. C., mentre il secondo piano è dedicato alla cultura buddhista tibetana. Spicca, tra gli altri pezzi, la statua del lokopala Virudhaka, il Re Guardiano del Sud, una delle pochissime testimonianze sopravvissute, dopo le distruzioni avvenute durante la Rivoluzione Culturale maoista, del monastero di gDan-s-mthil, che dal 1351 al 1481 fu sede centrale del potere temporale e spirituale nel Tibet.
La galleria al terzo piano, che celebra i paesi islamici, mostra una significativa raccolta di vasellame e di piastrelle invetriate, di bronzi, di manoscritti e di velluti, con una particolare attenzione alle lavorazioni in ceramica delle epoche timuride e safavide, da Samarcanda a Isfahan. Nella manica laterale, infine, è ospitato il Giappone. Colpisce per l´intensa bellezza espressiva una coppia di paraventi a sei ante dipinti con inchiostro, colori minerali e foglia d´oro, che racconta gli episodi salienti delle battaglie di Ichi-no-tani (1184) e di Yashima (1185) combattute fra i clan Minamoto e Taira. Il museo torinese, riassume Ricca, si pone come finalità la promozione di «un atteggiamento capace di affiancare al proprio patrimonio tradizionale di concetti e di credenze nuove forme di pensiero e di rappresentazione, e di accrescere la consapevolezza delle preziosità di ogni formazione culturale e della sostanziale dignità morale e intellettuale di tutti i sistemi filosofici e religiosi elaborati dall´uomo».

(Tratto da La Repubblica - 03 dicembre 2008)