Chi non si ritiene più cattolico può chiedere di cancellare il proprio nome dai registri parrocchiali. Sei d'accordo? Quest’opera, nel suo piccolo, rischia di diventare uno dei punti di riferimento per la “miscredenza” italiana (in tutte le sue sfumature più o meno decise, o qualunque cosa tale parola possa significare), tale da favorire potenzialmente una sua maggiore presa di coscienza e consapevolezza sociale – assieme al superamento di alcuni suoi limiti, vizi o vezzi. Come specificano gli autori (Raffaele Carcano e Adele Orioli, dell’UAAR), questo libro non è infatti il prevedibile pamphlet anticlericale, non tanto perché «non è né satirico né breve», ma perché focalizza l’attenzione sulla «rivendicazione di un diritto […] quello di non essere costretti a far parte di un’organizzazione senza il proprio consenso». Il fatto che la Chiesa (come altre religioni) si sia da sempre messa in mezzo, rivendicando il suo “diritto” di imporre la fede a tutti con metodi abbastanza discutibili, e che ciò venga ricostruito storicamente dovrebbe essere un problema della Chiesa, non un possibile argomento da utilizzare per parlare di «atteggiamento aprioristico» di coloro che denunciano tutto ciò. Il libro si presenta infatti come un’analisi multidisciplinare di ampio respiro sui meccanismi di entrata e uscita dalle religioni, che si muove con competenza tra storia, sociologia, antropologia, diritto, teologia. Sia detto chiaramente, si tratta di un libro che, per lo stile (non esclusivamente polemico, a tratti ironico) e l’ampiezza dei temi trattati, si pone come una novità – almeno in Italia – ricollegandosi idealmente agli studi che, soprattutto in ambito estero, trattano con interesse il fenomeno dell’emersione della non credenza nel mondo o analizzano in maniera laica e scientifica il fenomeno religioso. L’ampia bibliografia, che spazia dalle fonti teologiche antiche a studi recentissimi, dà un’idea dello sforzo di approfondimento e sintesi necessari per elaborare un’opera di questo tipo, di cui evidentemente si sentiva la mancanza. In un periodo in cui si parla tanto di revival delle religioni, si tende a ignorare che i nostri tempi sono caratterizzati soprattutto da un’affermazione decisa e generalizzata di coloro che, appunto, “escono dal gregge”: questo tipo di coming-out diventa «un gesto quasi rivoluzionario, in una società così allineata come quella in cui viviamo, ma che può contare anche sulla forza di tutti coloro che, per millenni, non hanno avuto la possibilità di compierlo». Per capire meglio il fenomeno, che non è né recente né minoritario, gli autori la prendono parecchio alla lontana, analizzando i concetti di conversione, adesione e metanoia al di là dell’apologia: ciò che emerge è che i singoli sono poco propensi alla mobilità e tendono al conformismo (sulla base di meccanismi comuni anche nei primati più evoluti), e la loro “scelta” religiosa dipende piuttosto da eventi politici e da meccanismi socio-culturali ben consolidati dalla tradizione, tanto che l’adesione a una certa religione diventa nella quasi totalità dei casi un fatto automatico, potremmo dire ereditario (chiaramente, non in senso genetico, ma culturale). Le religioni vengono analizzate in quanto gruppi umani (come d’altronde dovrebbe essere) secondo un approccio sociologico e antropologico: come altri gruppi, tendono a conservare la propria posizione dominante con strategie politiche, sociali e culturali, adattandosi al contesto in cui germogliano. Strategie appunto, fin troppo umane: nei confronti degli increduli abbiamo la repressione (di norma lasciata in appalto alle autorità civili), il marchio dell’apostasia, l’assimilazione forzata. La caratteristica fondamentale della religione è l’approccio esclusivista che punta alla divisione irriducibile Noi/Loro, che ha una sorta di “salto di qualità” con il monoteismo: questo si pone come totalizzante (e totalitario) rispetto alle relativamente più aperte concezioni politeistiche. I sovrani degli imperi multinazionali, attratti dalla semplificazione e dall’organicità del monoteismo, tenderanno a supportarlo attivamente. I riti di iniziazione hanno da sempre assunto un’enorme importanza tra i popoli, come metodi di purificazione e accettazione nella comunità: il battesimo si inserisce in questo contesto. Anche in questo caso gli autori la prendono alla lontana, snocciolando, sulla base dei testi evangelici e la patristica, la storia tutt’altro che lineare del battesimo cristiano, oggetto di aspre contese e interpretazioni divergenti nella comunità cristiana dei primi secoli anche a causa del corpus «contraddittorio e farraginoso» dei Vangeli. La novità del cristianesimo sta nel fatto di porre l’esclusivismo intollerante contemporaneamente sul piano «cosmico e terreno»: una «novità senza precedenti nel mondo antico, condivisa al massimo con la piccola setta degli esseni». Già nel primo cristianesimo si afferma infatti il concetto di demonizzazione del non battezzato e dell’apostata, ma quantomeno il battesimo veniva somministrato solo agli adulti, dopo un lungo apprendistato iniziatico. È solo con la revisione ideologica di Agostino che si fa strada la legittimazione del battesimo ai neonati, col corollario del limbo per i non battezzati – che va di pari passo con la cristianizzazione forzata della società e la stretta totalizzante, arrivando a una sovrapposizione dei concetti di eresia e apostasia, in quanto diventa semplicemente inconcepibile che si possa in qualche modo abbandonare l’unica e vera fede. È calzante inoltre la puntualizzazione che segnala come Gesù stesso sia aspramente contro coloro che osano uscire dal gregge, facendo «entrare la nuova religione nell’ideologia del o noi o loro» e smentendo di fatto un’«immagine oleografica di un Cristo rappresentante la bontà assoluta» (fatta a posteriori, in maniera selettiva, e cara a certi “laici”). Anche su un altro punto della rivisitazione di Gesù, che viene spacciato come laico ante litteram sulla base dell’ambigua espressione su ciò che va reso a Dio e ciò che va reso a Cesare, si fa notare che – in base alla concezione teocratica dello stesso Nazareno e dei primi cristiani – a Cesare veniva lasciato «forse nulla», e che la Chiesa non ha mai utilizzato, se non in tempi recentissimi e con evidente strumentalità, tale espressione come slogan laico, ma piuttosto come il suo opposto, cioè per sancire l’assoluta superiorità della Chiesa nei confronti di altre istituzioni “terrene” e la necessità di esercitare una pesante egemonia su queste ultime. La laicità viene di recente, con una vera e propria «riscrittura orwelliana della storia», attribuita al cristianesimo e contrapposta al laicismo: in realtà, sulla base delle stesse fonti della millenaria tradizione cristiana, viene chiarito che la laicità «ha origine nel cristianesimo solo in quanto è nata in opposizione alla sua teologia e ai suoi comportamenti pratici». Illuminante – benché per ovvi motivi, ben poco pubblicizzato – risulta il processo storico che ha portato alla diffusione del cristianesimo nell’impero romano (e quindi nel mondo): oltre a fattori socio-culturali che rendono appetibile il cristianesimo nel «mercato religioso» dell’epoca, il motivo fondamentale risiede, manco a dirlo, nel supporto deciso da parte del potere, che arriva a sancire il cristianesimo – fino a quel momento una setta minoritaria e malvista – come unica religione di Stato, avviando una sistematica campagna di distruzione dei culti preesistenti, cancellando qualsiasi possibilità di pluralismo e spingendo ad adesioni forzate generalizzate – pena la perdita dei diritti sociali e politici e per alcune casistiche della vita – con una serie di leggi emanate dalla fine del IV secolo. A ruota, con un effetto domino seguiranno le conversioni dei “barbari”, tramite un funzionale mix di conversioni di regnanti e pressioni militari sulle popolazioni ancora non cristianizzate. Nel medioevo prosegue la stretta, che non si esita a definire «totalitaria», del cristianesimo sulla società: viene cancellata ogni possibilità di apostasia (e di pluralismo) e ammessa l’uccisione di coloro che non si allineano – ad esempio da Tommaso d’Aquino. Si crea di fatto un circolo vizioso tra potere politico e religioso, che trova la sua massima espressione nell’Inquisizione: la Chiesa fornisce i principî ideologici e la piena legittimazione, mentre il potere secolare fa il «lavoro sporco», eliminando o dissuadendo i dissidenti religiosi e garantendo l’omologazione religiosa (almeno apparentemente, visto che lo scetticismo è sempre stato abbastanza diffuso, anche tra le classi umili). In un mondo chiuso di questo tipo, interviene prima la Riforma, che spezza il monopolio cattolico, poi la Rivoluzione francese, che rappresenta un reale cambiamento rispetto al monopolio cristiano perché «solo con la laicizzazione dei registri anagrafici, infatti, fu nuovamente possibile avere il diritto, un millennio e mezzo dopo gli editti di Tessalonica e Concordia, di non essere cattolici». Nel mondo contemporaneo, assume una fondamentale importanza, nella sfera del diritto, il concetto di libertà religiosa e in molti Paesi occidentali, a causa della diffusione di nuove comunità religiose, si assiste al fenomeno del multiculturalismo, che viene definito «un attentato alla laicità» perché comporta uno spostamento dei diritti dall’individuo alla comunità, contribuendo a rafforzare l’esclusivismo dei gruppi e a negare il concetto di individuo. Spesso infatti i leader religiosi tendono a parlare di “laicità” o “pluralismo” per ritagliarsi uno spazio di autonomia, che però non hanno intenzione di garantire all’interno della propria comunità. Si ripete, in piccolo ma con conseguenze più pericolose data la frammentazione sociale, lo stesso comportamento della Chiesa Cattolica. Il battesimo in sostanza, lungi dall’essere un atto neutrale, simbolico e senza conseguenze, è sempre stato un atto con effetti non solo e non tanto religiosi, quanto sociali e giuridici in senso stretto, l’«ennesima riprova della volontà ecclesiastica di controllare ogni persona in modo totalitario». Proprio in Italia abbiamo uno dei casi più eclatanti di ciò, quello dei “concubini di Prato” che nel 1956, per essersi sposati in Comune senza seguire il rito religioso, furono oggetto di aspre critiche, rappresaglie religiose, isolamento sociale. È proprio da questo indicativo e controverso caso che si diffuse sempre di più la necessità di affermare la propria volontà di lasciare ufficialmente la Chiesa Cattolica (il primo che ufficialmente tentò questa strada, dopo la storia dei concubini pratesi, fu l’attivista Aldo Capitini), con un atto ormai comunemente chiamato “sbattezzo”. Nel corso della storia si sono sempre avuti tentativi di contestare l’appartenenza imposta dal battesimo, ad esempio con controriti o recupero di identità precristiane, ma lo sbattezzo, pur nascendo da una simile esigenza - riaffermazione della propria identità - ha in "né caratteristiche peculiari e innovative dal punto di vista giuridico e socio-culturale. In particolare, si racconta, dopo i trascorsi dell’Associazione per lo Sbattezzo, la trafila UAAR per giungere alla formalizzazione di questo diritto alla fine degli anni Novanta, che comporta una vera e propria «bonifica statistica». Processo che sarà prontamente oggetto di una campagna di disinformazione, per «far passare l’accaduto più come una goliardata che come una vera conquista civile». Almeno a livello massmediatico, dato che la CEI prende la cosa molto sul serio, emanando documenti per gestire le richieste di sbattezzo e ammettendone la legittimità. Da notare come il clero tenti di porre dei limiti, con lungaggini, richieste di riflessione e incontri, pressioni e intimidazioni – spesso sulle famiglie – per impedire gli sbattezzi. Seppure sia impossibile quantificare con esattezza il numero dei battezzati o si polemizzi sul loro esiguo numero rispetto ai cattolici, è bene far notare, analizzando proprio le fonti cattoliche, come i numeri forniti su battezzati e fedeli siano tutt’altro che attendibili, senza contare che si assiste a un calo generalizzato dei battesimi, della frequenza ai riti e nel grado di conformismo religioso. Il processo di secolarizzazione, si fa però giustamente notare al di là di possibili trionfalismi, non è né inevitabile, né automatico, non tanto perché ci sia un “ritorno” della religione nella sfera pubblica (i dati concreti infatti vanno verso un calo dell’influenza religiosa), ma perché la secolarizzazione dipende proprio da scelte politiche e sociali ed è un meccanismo fragilissimo. Interessante è notare l’aumento della componente di non credenti, che è favorito proprio in contesti sociali più avanzati, con maggior pluralismo ed estensione di diritti: le ricerche su questo tema vanno accumulandosi in questi anni, soprattutto in ambiente anglosassone, facendo emergere come gli apostati siano tendenzialmente giovani, acculturati, sostenitori dei diritti civili, progressisti, tolleranti, autonomi, meno legati alla famiglia e a gruppi esclusivi, simili a «coloro che resistono alle pressioni uniformanti dei gruppi sociali». Ancora più interessante è notare come, in vari modi, questi ultimi tempi stiano emergendo sempre di più fenomeni di apostasia generalizzata anche in altri contesti religiosi, tanto da far dire ironicamente agli autori «apostati di tutto il mondo unitevi». Ma oltre all’ironia, emergono anche e soprattutto la passione civile e la rivendicazione coraggiosa della propria identità di non credenti, come anche il presentimento di essere parte attiva di un processo storico e culturale ampio e profondo senza precedenti. Eloquente ad esempio la citazione della prefazione di Gaetano Salvemini al libro Oggi in Spagna, domani in Italia di Carlo Rosselli, che accenna alla «nostra volontà, la nostra azione, la nostra testardaggine» nel dare il proprio contributo oggi per costruire qualcosa di durevole nel futuro. È anche per quest’esigenza sotterranea che il libro rischia di diventare una specie di manifesto per una certa fetta di non credenti, spingendoli a riflettere ancor più criticamente su di sé, sulla religione e sulla necessità di gesti concreti per abbandonare comportamenti conformisti, individualisti o passivi e per affermare la propria presenza nella società come vera e propria forza motrice, in un periodo in cui il mondo vive grandissimi e imprevedibili mutamenti. Valentino Salvatore - Circolo UAAR di Roma - ottobre 2008 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- COMMENTO di Aliberth – Inutile dire, crediamo che sia ovvio, che noi siamo pienamente d’accordo con gli autori di questo libro. Non tanto e non solo perché anche noi vorremmo augurarci che qualunque scelta umana, e soprattutto quella religiosa o spirituale, possa e debba esser fatta in modo totalmente volontario e secondo la propria coscienza, ma anche perché finalmente si getta una luce su questo scottante problema etico. E direi che lo si è fatto davvero con una certa acutezza e proprietà di causa. Un plauso quindi ai redattori di questa audace e precisa denuncia, fatta peraltro in maniera assai educata, che potrebbe aprire lo spiraglio ad una vera e propria fase di collettiva presa di coscienza da parte di chi finora ha sempre subito fin dall’infanzia l’imposizione di un credo religioso (che può o meno essere quello più veritiero) senza mai aver avuto la possibilità di poter esprimere la sua propria volontà in merito alla sua propria intenzione… Ovviamente, questa non è una critica disfattista alla religione di Cristo, che anzi è stata illuminante anche per la mia coscienza, ma solo al sistema impositivo della Chiesa istituzionalizzata. | |