Testimonianze

Sound's Seeds in the Autumn Power

“Immersi nella luce del crepuscolo i colori si
fanno più vividi, i contorni delle cose più taglienti.
I suoni, denudati, riempiono lo spazio.
 

Il progetto

Parole, immagini, suoni e musiche confluiscono fluidamente all’interno di un unico progetto. La scintilla che lo mette in moto è la ricerca di sonorità appartenenti a mondi in cui, ancor oggi, la musica è considerata avere uno specifico potere magico, la non comune capacità di raggiungere e sondare le profondità del mondo invisibile. 

Con la forma e le dimensioni di un taccuino di viaggio con un annesso CD musicale registrato interamente sul campo, ogni opera costituisce il luogo privilegiato in cui l’esperienza vissuta, gli incontri, la potenza visiva e visionaria delle immagini e quella, ancor più affilata, del suono si fondono assieme per dar vita ad un’opera snella, poliedrica e, soprattutto, viva. 

Pensata sotto questa forma, la serie si rivolge essenzialmente a persone che, al di là del semplice interesse per la musica etnica, hanno sincero desiderio di entrare in contatto con l’anima di culture lontane. Di avvicinarne la bellezza, la forza, la struggente poesia, ma anche di accettarne la complessità e le infinite sfaccettature.   

Desiderio autentico di evadere gli stereotipi che riguardano l’”esotico”. Lasciarsi prendere per mano così da farsi guidare lungo sentieri sconosciuti che domandano di mostrarsi secondo una pluralità equilibrata di linguaggi, espressione di quegli infiniti armonici che spontaneamente si producono attorno ad ogni esperienza umana. 

Suono come freccia ed arpione. Freccia scoccata verso l’origine delle cose, in direzione di quelle vibrazioni creative che, nel passato dei primordi, diedero vita all’universo. Un arpione che, nel consentire all’uomo di raggiungere in maniera diretta fonti di potere occulto, offre l’opportunità di manipolarle a proprio beneficio o di propiziare una trasformazione nella sua più intima coscienza.   

Musica come espressione di una civiltà. Musica dislocata e veicolata sulla base di un attentissimo lavoro filologico di traduzione e contestualizzazione. 

 

Le proposte 

THE PATH OF LIGHT- Ritual Music of the Tibetan Bon 

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.  Prima che la religione Buddhista venisse ufficialmente introdotta in Tibet nel VII sec. d.C., la popolazione tibetana professava una propria fede autoctona, nota con il nome di Bon. Nonostante le avversità causate dalle persecuzioni messe in atto secoli or sono dai fedeli buddhisti e, assai recentemente, dalla rivoluzione culturale cinese, la religione Bon è sopravvissuta sino ai giorni nostri, conoscendo una eccezionale rifioritura in questi ultimissimi anni grazie all’opera instancabile di monaci di origine tibetana profughi in India e Nepal. Al di là dell’apparente somiglianza con alcuni aspetti della tradizione buddhista tibetana (soprattutto con l’antica scuola degli rNying-ma-pa), il Bon possiede una specifica ed autonoma identità dottrinale e rituale, in gran parte ancora sconosciuta al mondo occidentale. 

         Nel campo prettamente cerimoniale i Bon-po conservano un ricchissimo patrimonio di canti e musiche rituali utilizzati sia nel corso di rituali collettivi che di specifiche pratiche di meditazione. L’impiego della musica, fondandosi sul potere evocativo e mantrico connesso con il suono e la parola, fa sì che ogni esecuzione coreutica e musicale si trasformi in un ponte invisibile gettato fra l’uomo e la dimensione profonda del suo spirito.  

Costituita da un CD e da un ampio ed elegante booklet a colori – oltre cento pagine corredate da testi e fotografie volte ad offrire un’ampia introduzione alla storia, la filosofia, i miti, la ritualità, gli strumenti musicali tradizionali della religione Bon – l’opera costituisce una vasta antologia dedicata alla musica liturgica di questa specifica tradizione spirituale tibetana. 

Interamente registrato dal vivo nel monastero Bon di Triten Norbutse in Nepal, il CD raccoglie una rarissima selezione di canti, musiche e mantra appartenenti, in massima parte, al cammino dello Dzogchen, o Grande Perfezione. Autentica gemma dell’opera è l’esecuzione collettiva del chö, rituale meditativo di auto-sacrificio, così come si trova diffuso nella tradizione bon-po. Oltre al valore scientifico e divulgativo, la pubblicazione dell’opera - realizzata con il supporto del CNR e del Ministero degli Affari Esteri - è destinata a sostenere le attività di salvaguardia culturale del monastero Bon di Triten Norbutse. 

 

TETTIS KOTI -The magic sound of the Nepali saranghi

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.       Il saranghi rappresenta lo strumento musicale ad arco più noto e diffuso del Nepal. Emblema stesso di questo paese e della sua cultura, il saranghi è, da innumerevoli secoli, lo strumento principe dei Gandarwa, la casta di musicisti-cantori itineranti del Nepal, che anticamente girovagavano per le diverse regioni del Nepal, raccontando storie, narrando miti e leggende. 

         Il cd contiene una serie di straordinari solo interpretati dal magistrale saranghi di Shyam Nepali, uno dei più giovani musicisti nepalesi appartenente ad una tradizione familiare di Gandarwa di Kathmandu antica di numerose generazioni e che vanta tra i più illustri e noti esponenti di questa specifica tradizione musicale nepalese.

        Ispirandosi a motivi tradizionali propri della tradizione Gandarwa e reinterpretandoli grazie ad una potente e personalissima forza espressiva, l’insieme delle esecuzioni di Shyam Nepali, costituisce una singolarissima testimonianza della tradizione musicale gandarwa contemporanea e delle contaminazioni di quest’ultima con le tradizioni musicali tibeto-birmane del Nepal.


NATARAJ - Songs from the Tantric Charya Ritual Dances of the Kathmandu Valley 

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.Le danze Charya hanno origine nella Valle di Kathmandu, parallelamente all’affermarsi di rituali legati alle pratiche religiose tantriche, sia induiste che buddhiste. Le danze erano anticamente eseguite dai sacerdoti che, rappresentando fisicamente i mudra propri delle divinità, evocavano e accoglievano gli dei stessi nel loro corpo.

Le Charya, il cui termine ha significato di “spirituale”, erano dunque danze estatiche la cui esecuzione avveniva nell’ambito di sedute rituali a cui potevano prendere parte unicamente gli iniziati al culto. I sacerdoti indossavano gli abiti delle divinità, pacifiche e irate, e gli attributi che nell’iconografia classica sono loro propri: corone, gioielli, abiti di specifici colori. Dopo lunghe invocazioni e preghiere collettive danzavano accompagnati dalle splendide melodie del canto dei fedeli. Le parole dei canti descrivevano nei dettagli le attitudini e le posture delle divinità tantriche, in una perfetta corrispondenza di gesti e parole. 

Praticate tradizionalmente in una dimensione di assoluta segretezza, le danze Charya, hanno potuto far ingresso in ambito teatrale solo negli ultimi anni. La loro conoscenza è tutt’ora estremamente limitata e tramandata da danzatori che la ricevono secondo una linea di trasmissione ereditaria all’interno di specifici lignaggi. 

L’opera raccoglie una rarissima selezione di canti relativi alle più importanti divinità pacifiche e irate del pantheon tantrico - Nateswor, Bhairavi, Vajrayoghini, Manjusri, Pancha Buddha, Sodasya Lasa, Ganesh, Kumari – registrate sul campo nella primavera 2007. 

 

GHARBA - The Mystic Tradition of the Ismailis of Hindukush

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.Nella parte settentrionale della regione pakistana di Chitral, ai piedi dell’Hindukush, si trova una piccola comunità fedele al credo sciita ismaelita.  

Ancor oggi qui sopravvive un antico repertorio coreutica-musicale dal carattere mistico caratterizzato dall’uso della lingua persiana antica e dall’impiego del gharba, strumento musicale della famiglia dei liuti. Strumento sacro per eccellenza, il gharba è impiegato nel corso delle séance rituali collettive (sama) organizzate nei villaggi della regione, con lo scopo principale di rendere lode ad Allah.  

Il suono melodico e incantatorio del gharba, unito al canto celebrativo, si ritiene abbia il singolare potere di creare un particolare climax capace di propiziare temporaneamente una intima comunione tra i presenti e la dimensione divina.  

Le séance, che sono in genere guidate da un anziano cantore accompagnato dal suono del gharba e di un tamburo a cornice (daf), contemplano, non di rado, il manifestarsi di stati estatici tra i presenti riunitisi per l’evento. Questo stesso manifestarsi è inoltre coadiuvato dalla produzione prolungata di una condizione di iperventilazione respiratoria ritmata accompagnata da emissione vocale.

 
 
DAKSIN KALI - The world of the Newari Tantric Percussions of the Kathmandu Valley 

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.      La civiltà dei Newar costituisce la realtà culturale più originale di Kathmandu, quella che, grazie alla sua secolare dominazione sulla Valle di Kathmandu, ha impresso all’intero Nepal una propria marcata impronta ed un inconfondibile carattere ancor oggi vivi e percepibili.

       Di  fede buddhista e induista i Newar hanno, da sempre, coltivato e sviluppato la dimensione propria-mente tantrica di queste due grandi tradizioni religiose. E’ per tale motivo che gran parte della ritualità, della vita e delle concezioni religiose Newar ruotano attorno al concetto di shakti, la potenza divina, l’energia creatrice e sostenitrice dell’universo, venerata attraverso le sue innumerevoli personificazioni divine nel corso dei molteplici feste religiose pubbliche popolari come anche durante l’officio di rituali privati, esoterici, dal carattere iniziatico.

       Nella cultura Newar, la musica ha una diretta attinenza con la dimensione tantrica del rito. La musica è infatti essa stessa espressione della shakti divina e, come tale, ha il potere di evocarla, stimolarla, renderla concreta, comunicarla, incrementarla. Come parte integrante del rituale, la musica riveste dunque un ruolo di tutta eccezione nella religiosità di questo popolo, divenendo una realtà imprescindibile ogniqualvolta vi sia necessità di entrare in diretto contatto con le entità divine che animano le dimensioni più profonde della realtà e della coscienza.   

       Il cd offre una vasta antologia di esecuzioni musicali realizzate con la sola presenza di strumenti a percussione (tamburi e cimbali), elemento cardine della musica religiosa Newar ed emblema stesso dei suoi molteplici significati.  Registrato dal vivo a Kathmandu nella primavera del 2006, il lavoro raccoglie le esecuzioni di alcuni tra i più rilevanti gruppi musicali religiosi della Valle di Kathmandu. Tra essi spiccano le rarissime esecuzioni dei musicisti Newar appartenenti alla casta dei macellai, nonché quelle dei musicisti tantrici della città di Bhaktapur.

 

THE SHADOWS’ THEATRE - The traditional musical heritage of Southern Laos  

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.      Il Laos possiede uno dei patrimoni musicali più originali del sud-est asiatico, patrimonio formatosi nel corso dei secoli grazie alle reciproche influenze culturali determinatesi tra le civiltà laotiane e quelle tailandesi, cambogiane, vietnamite e cinesi.  

         Tra le realtà musicali meno note dell’intero territorio laotiano si trova la tradizione musicale colta propria della regione meridionale del Paese, regione identificabile con il distretto di Champasak.  In questa ristretta area geografica e culturale – nota ai più per via dell’estesissimo sito archeologico khmer di Wat-Pu, divenuto nel 2000 UNESCO World Heritage - si trova ancor oggi presente una doppia espressione musicale di antiche origini: il Seb-Noï (o Ma-Ho-Ry) e il Seb-Gnaï. Nel primo caso la tradizione musicale riposa nell’uso di strumenti ad arco (), di percussioni (rang-nat e kong-vong) e di organi a bocca (khene). Questo genere di esecuzione tradizionalmente era impiegato come forma di accompagnamento a cori e solo, come preludio e conclusione di opere vocali. Il secondo genere musicale, il Seb-Gnaï, prevede l’impiego degli stessi strumenti musicali propri del Seb-Noï (ad esclusione degli strumenti ad arco e degli organi a bocca) con l’aggiunta di alcune altre specifiche percussioni e di un fiato ligneo (pi). A differenza del Seb-Noï, le esecuzioni del Seb-Gnaï non hanno un ruolo di accompagnamento musicale, bensì costituiscono una vera e propria espressione musicale autonoma, che prende forma in occasione di cortei regali, di processioni religiose, di rappresentazioni teatrali dei grandi poemi epici indiani del Ramayana. 

         Le vicende storiche che, in un non lontano passato, hanno portato alla caduta dei regni laotiani e l’instaurazione di un governo di tipo socialista, hanno causato un rapido deterioramento delle tradizioni musicali del Laos meridionale, tacciate di “reazionarismo”, visto soprattutto il loro carattere colto e la loro stretta vicinanza con la vita di corte. Per via di questi presupposti, per lunghi anni, le esecuzioni musicali del Seb-Noï e del Seb-Gnaï furono bandite totalmente dal Paese. E’ stato solo in un’epoca assai recente che - in risposta al mutato clima culturale in Laos e alla nascita di un interesse per la salvaguardia e il recupero delle tradizioni culturali autoctone - le tradizioni musicali hanno potuto timidamente affacciarsi nuovamente a vita pubblica e riapparire dunque in alcuni dei contesti religiosi e cerimoniali del Laos meridionale.

        Il cd propone una serie di brani musicali propri del repertorio classico del Seb-Gnaï eseguiti dall’orchestra di Champasak. Registrate dal vivo nel febbraio 2006, le tracce musicali costituiscono una rara testimonianza di uno dei più fragili patrimoni musicali del sud-est asiatico. 

 

VOICES FROM THE WOOD - The Kiranti hunters of Nepal   

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.        Stanziati in una delle regioni più remote ed incantevoli del Nepal orientale, i Kiranti sono, al giorno d’oggi, una delle ultime etnie himalayane a mantenere in vita una arcaicissima forma di caccia ad alcune specie di quadrupedi della foresta.

        Una caccia che, senza rispondere ad alcuna necessità di sussistenza, viene praticata nella forma di un lungo e complesso rito religioso, officiato per venerare e nutrire alcune specifiche classi di spiriti e divinità della foresta e per rinsaldare un antico patto, stipulato in epoca mitica tra gli antenati della stirpe dei Kiranti e le entità invisibili della selva.

        Secondo la tradizione dei cacciatori Kiranti, ogni spedizione ritualizzata di caccia è preceduta, accompagnata e seguita da canti – esposti secondo il modulo di una lingua rituale segreta a cui si attribuisce un potere magico - che hanno lo scopo di ingraziarsi le entità invisibili del territorio selvatico, propiziare la battuta e favorire l’ottenimento di una essenza invisibile, occultata nel folto della selva, da cui si crede dipenda direttamente la prosperità del villaggio, nonché la forza vitale e la salute degli esseri umani.

        Tema ricorrente di molti di questi canti è inoltre la descrizione di una mitica battuta di caccia ad un invisibile cervo, tema che si intreccia con il motivo ricorrente di un “viaggio mistico” compiuto dalle anime dei cacciatori attraverso differenti sorgenti di “potere” celate nella foresta dove la battuta ha luogo e disseminate lungo le vette montane che la costellano.

  
L’ideatore del progetto
 

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.Martino Nicoletti (Perugia 1968), etnologo, si occupa da quasi venti anni di antropologia visuale, etnografia e storia delle religioni dell’Asia meridionale e del sud-est asiatico.

Dopo aver ottenuto un D.E.A. in Ethnologie générale et sociologie comparative all’Université de Paris X (Nanterre) (1994) ed essersi specializzato in lingue orientali e cinematografia scientifica, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Metodologie delle ricerca etnoantropologica presso l’Università di Siena (1997).

A partire dal 1990 ha svolto numerose spedizioni di ricerca sul campo in area himalayana tra gruppi di lingua tibeto-birmana e tibetana, nel quadro di progetti finanziati dal CNR, dal Ministero degli Affari Esteri e dalla Cambridge University. Ha inoltre svolto indagini in Asia sud-orientale (Laos, Vietnam, Singapore) e Africa settentrionale (Sahara occidentale, Senegal, Capo Verde, Algeria).

Già docente di “antropologia visuale” e di “storia delle religioni” all’Università degli Studi di Perugia (1998–2002) è attualmente consulente internazionale per l’UNESCO nella sezione Patrimoine oral et immatériel e direttore del progetto di ricerca “Estetica e rito in Himalaya” del Comitato Ev-K2-CNR.

Tra il 1998 e il 2004 è stato responsabile scientifico (settore antropologico) ed esperto in studio del programma di documentari di Rai 3 (Geo & Geo). Con la stessa qualifica, nel 2002, ha collaborato con il National Geographic Channel italiano all’interno della trasmissione Campo Base e, nel 2008, con la trasmissione Terzo Pianeta di Rai 3.

Nel 2003 e 2004, in qualità di responsabile del settore antropologico, prende parte alle attività didattiche e artistiche della “Bottega” di Bologna diretta da Giovanni Lindo Ferretti.

Come autore di scritti scientifici ha fornito contributi personali in volumi dedicati alle religioni sciamaniche ed è autore di opere sulle religioni del Nepal sia a carattere scientifico che di divulgazione. Tra esse: La foresta ancestrale: memoria, spazio e rito tra i Kulunge Rai del Nepal (Milano, 1999), Shamanic Solituides: Ecstasy, Madness and Spirit Possession in the Nepal Himalayas (Kathmandu, 2004), Riddum: the Voice of the Ancestors (Kathmandu, 2004). Nel campo della produzione audiovisiva è autore di documentari scientifici e di divulgazione.

È attualmente il direttore editoriale delle collane di orientalistica Cinnabaris – Series of Oriental Studies e Liminalia – Sketches of Visual Anthropology and Aesthetics pubblicate dalla Vajra Publications di Kathmandu e finanziate dall’Is.IAO (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente) e il Comitato Ev-K2-CNR. Nello stesso ambito è ideatore e direttore editoriale della collana discografica Sound’s Seeds in the Autumn of Power, dedicata alla musica rituale dell’Asia meridionale e prodotta dall’etichetta Borgatti (Bologna). 
  

Il logo 

Ts’ô. Uno sciamano danza in estasi durante un rituale, accompagnandosi al suono di un tamburo e di un cimbalo. Pittogramma liturgico Na-khi (Yunnan - Cina).   © Martino Nicoletti, 2007


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CNI Music- distribuzione libro+CD dedicati alla tradizione buddhista tibetana - tel.: 06-86212085 

Siti: www.cnimusic.it;  Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.http://www.cnimusic.it/thepathoflightita.htm - mail: ufficiovendite2@cnimusic.it