Testimonianze

Nell'antica Roma c'erano
anche i buddhisti?
- alcuni scavi dimostrano gli scambi tra Roma e l'India -
di Emilio Laguardia - Il Messaggero 07/07/2008

 

ROMA (7 luglio) - L’antica Roma e l’India: due culture, due popoli, due mondi così distanti fra loro eppure così determinati a comunicare. E’quanto emerge da recenti scavi archeologici (ad Arikamedu e Muziris) che hanno individuato, sulle coste meridionali dell’India, l’esistenza di numerosi porti di attracco per le navi mercantili della Città Eterna. Anfore, vasellame (tra cui una coppa col marchio di una fabbrica di Arezzo), vetri dipinti, monete d’oro: tutto materiale di scavo di origine Romana incontestabilmente datato fra l’età dell’imperatore Augusto e quella di Caracalla: circa duecento anni di commercio!
Gli autori latini si affannano a testimoniare le frequenti ambascerie degli antichi Indiani (sia i Kushana del Nord, sia i Tamil del Sud) presso la corte imperiale di Roma. Ed essi indicano anche il percorso delle rotte marittime che, traversato l’Oceano Indiano, toccavano l’Etiopia, risalivano per il Mar Rosso e poi, giunte

 

alla penisola del Sinai, continuavano il viaggio verso il Mediterraneo attraverso gli stretti canali artificiali (non ancora insabbiati) che secoli dopo diverranno il grande Canale di Suez.
Dall’India Roma importava soprattutto il pepe, condimento fondamentale di tutta la cucina Romana antica, ma anche avorio, perle, gemme, cotone, e tigri e leoni per il Colosseo. Pare invece che gli Indiani andassero pazzi per il vino campano, amassero le terracotte, i vasi di vetro dipinto e le sculture della tradizione Ellenistico-Romana. E poi gli schiavi: ragazzi e ragazze dalla pelle bianca che diventavano graziosi ornamenti per gli harem e le corti dei principi d’Oriente. Ma non solo. Ad un certo punto, i Kushana cominciano a raffigurare il Buddha vestito con qualcosa di molto simile ad una toga Romana (e nella storia del buddhismo, questa è una delle prime volte che il Beato viene rappresentato in forma umana), mentre gli antichi testi Tamil riferiscono dei “Yavanas” (gli “Occidentali”), molto richiesti in India per la loro abilità tecnica, come carpentieri, fabbri, costruttori e soprattutto come guardie del corpo dei sovrani.
Numerosi archeologi e studiosi Indiani ritengono anche che i famosi bassorilievi dello “Stupa” buddhista di Amaravati (II-III secolo d.C.) siano stati eseguiti, in parte, da scultori Romani, o realizzati sotto la supervisione di artisti venuti da Roma, come dimostrano, ad esempio, le figure di cavalli che incedono, tipiche dell’arte Romana. Senza contare poi la gran quantità di persone occidentali raffigurate sugli stessi rilievi, riconoscibili per i capelli corti e le tuniche sopra il ginocchio.
D’altra parte, la forte presenza commerciale di Roma autorizza ad immaginare che piccole comunità di occidentali si fossero stabilite lungo le coste dell’India. Emigrati di lusso che in parte conservavano la cultura della “madre patria” (come dimostrato dalla individuazione della località Templum Augusti vicino agli scavi di Muziris) e in parte, come succede a tutte le comunità oltremare, assimilavano gli usi e i costumi del nuovo paese. E forse anche la religione.
Molto, dei rapporti tra Roma e l’India, potrebbe raccontare un enigmatico busto di marmo conservato alla Galleria Borghese, poco visto e conosciuto perché sistemato nella stessa stanza dove splende il corpo nudo di Paolina Bonaparte. L’uomo, che veste la caratteristica corazza del generale Romano, ha una corta barba riccioluta, una certa espressione pensosa e quasi meditativa, mentre i lunghi e lisci capelli sono separati da una scriminatura centrale e annodati in una nocca alla sommità del capo. E’ la tipica pettinatura dei Buddha del Gandhara, il regno dei principi Kushana del nord dell’India, grandi ammiratori della cultura Romana e principali esportatori di beni di lusso verso Roma. «Potrebbe trattarsi proprio di un ambasciatore kushana del Re Kadphises presso la corte di Traiano» suggeriscono gli storici dell’arte Paolo Moreno e Antonietta Viacava, autori del catalogo ‘Gli Antichi Marmi della Galleria Borghese’. Ma la presenza della barba tenderebbe ad escludere l’identificazione con un Indiano, in quanto gli uomini kushana amavano radersi il viso lasciandosi crescere solo i lunghi baffi all’insù.
«E’ un antico Romano convertitosi al buddhismo» assicura il professor Raoul McLaughlin dell’Università di Belfast, studioso delle rotte commerciali tra Roma, l’India e la Cina, «forse proprio uno di quei Yavanas di cui tanto parlano gli antichi testi Tamil».
E difatti i busti Romani con l’acconciatura indiana sono più di uno: alla Galleria Corsini, a Villa Albani, al Museo Nazionale Romano, senza dimenticare quelli di Madrid e di Copenaghen. «Troppi, in verità» finisce per ammettere Antonietta Viacava «per essere solo degli ambasciatori stranieri in visita nella capitale dell’Impero».

COMMENTO di ALIBERTH - Ecco spiegato, dunque, come si sarebbe generato quel genere di karma (che chiamo protostorico), che avrebbe fatto nascere qui in Occidente, e specificatamente a Roma, individui con una mente particolarmente dotata verso la (difficile) comprensione del vero Dharma del Buddha. Pur tenendo conto del fatto che, in quel lontano periodo, un qualunque individuo che viva ai giorni nostri poteva essere esistente qui, là, e ovunque, e nell’aspetto di qualsivoglia forma di vita, tuttavia a me piace proprio pensare che perfino nell’antica Roma possa esservi già stato qualche gruppo di autentici seguaci della profonda e validissima dottrina insegnata dal Beato. Romanisti e buddhisti, che bella accoppiata! Anche ai giorni nostri!