Testimonianze

 

LIBERARSI DALLA SOFFERENZA
Dire sì alla Felicità –
di Andrea Pangos
http://www.andreapangos.it/Articoli/Articoli.html
(26 gennaio 2015)
 

 

  

L’abitudine a percepire come esterno il mondo che sperimentiamo favorisce l’esperienza di separazione, da qui la sofferenza, problema principale dell’umanità. La misura in cui si rifiuta il mondo, dipende molto dal proiettare la propria afflizione sulla propria percezione-mondo e dall’influsso negativo che subiamo dall’infelicità altrui; l’idea ‘mal comune-mezzo gaudio’ e i suoi derivati possono soltanto far sembrare migliore il quadro, ma di fatto peggiorano la situazione, alleviando solo falsamente la percezione negativa della negatività sofferenza.

Dovremmo cercare soluzioni piene per la salute, non  trovare rifugio nella mezza o più malattia, bisognerebbe tendere alla pienezza della Felicità (Beatitudine, Amore, Pace), non a limitare, apparentemente, l’infelicità con la falsa consolazione che c’è chi sta peggio di noi. Drogarsi con idee che ci fanno accontentare del fatto di soffrire misuratamente impedisce di cercare direttamente l’Immensità della Beatitudine, non limitiamoci con il metro dell’afflizione. Mal comune mezzo gaudio significa sofferenza diffusa, mentre dovremmo diffondere la Felicità nella globalità di noi stessi, per integrarci e divenire Integrali. Soltanto quando siamo Felici il mondo ci può apparire veramente ok, perché noi siamo veramente ok, perché siamo Noi Stessi Felicità, esprimiamo in tutto il campo esperienziale il Vero Sé, il Sé esperienziale, la Felicità. L’essere veramente ok è questione di Felicità, non di concetti che ci fanno reputare ok; i concetti sono esperienze parziali, la Felicità è l’esperienza Globale.

 

L’uomo cerca la Beatitudine (Felicità, Amore, Pace), e cercare di ridurre la sofferenza significa cercare la Beatitudine indirettamente, liberandosi da ciò che Beatitudine non è.  Nessuno cerca l’afflizione, anche chi tende “intenzionalmente” all’infelicità lo fa perché cerca un piacere viziato, ma comunque maggior appagamento. Tendere a realizzarsi significa tendere a sentirsi meglio, quindi cercare la Felicità, anche quando non si sa di star cercando proprio la Felicità. Voler risolvere i problemi significa voler liberarsi dalla sofferenza. Sarebbe molto opportuno comprendere che il problema primario siamo noi stessi e la nostra incapacità di generare Felicità, perché succubi di meccanismi che producono afflizione. La nostra vita dipende molto da ciò che proiettiamo e se vogliamo migliorare la vita dobbiamo aumentare la qualità di noi proiettore, soprattutto in modo da non dipendere più dalla proprie e altrui proiezioni. 

 

L’ignoranza fa però in modo che l’uomo trovi l’inverso di ciò che vuole, desidera Beatitudine e produce sofferenza. Volere la Beatitudine non implica il cercarla veramente, la vera ricerca esige conoscenza, lo smarrimento non può lecitamente essere associato alla ricerca. Possiamo partire da una posizione di smarrimento, ma la ricerca vera porta a maggior ritrovamento, non a diversificare lo smarrimento.

La mancanza di auto-indagine illuminante, non meramente concettuale, impedisce di liberarsi dalla sofferenza. Siamo il Tesoro di noi stessi, eppure ci facciamo abbagliare dal luccichio della latta, acquisendo sofferenza cedendo la vita, perché non cerchiamo giustamente, oppure non cerchiamo nemmeno, la Luce in noi, per divenire integralmente Luce stessa.

Producendo conflitti interiori, perché incapaci di produrre l’Uno esperienziale (Felicità, Pace, Beatitudine), subiamo l’esperienza separazione, che a sua volta alimenta i conflitti.  Essendo il mondo percepito un aspetto della nostra percezione, essere in conflitto con il mondo significa avere un approccio insano verso parti del nostro campo percettivo.

 

La percezione è lo schermo del gioco vita e il conflitto con il mondo è, chiaramente, un gioco autodistruttivo. Per diventare campioni del gioco vita, che comunque è tutt’altro che solo video-percettivo, i nostri segmenti dovrebbero interagire tra loro in modo illuminante. Producendo conflitti siamo noi le vere armi di distruzione di massa, miliardi di individui che si auto-bombardano. Non esiste arma più precisa della nostra conflittualità, sofferenza: ogni nostro conflitto è destinato, infallibilmente, a colpire, inevitabilmente, noi stessi. “Creando” conflitti, pessimo modo di usare il principio creatore, puntiamo il mirino sia sulle vittime sia su noi stessi, le prede inquadrate sono sempre un aspetto della nostra percezione, della nostra esperienza di sé.  Danneggiamo, comunque, in una certa misura, anche tutta l’umanità. Nessuno è isolato dal resto, non esistono sistemi isolati, se non in teoria, e se non vogliamo rimanere una mera teoria per noi stessi, dobbiamo aprirci consapevolmente al mondo, aumentando la nostra qualità vibrazionale, armonizzando le nostre vibrazioni con la vibrazione Beatitudine, fino a comunicare veramente con il mondo intero, influendo positivamente sul mondo interiore di ognuno, perché divenuti Pace, Beatitudine, Uno esperienziale stesso.

 

Essere veramente in pace con il mondo significa produrre le forme mondo e umanità nel campo esperienziale caratterizzato interamente dalla Pace. Divenire Pace è un’ottima soluzione anche per diminuire i conflitti altrui indirizzati verso noi. Gli altri esistono, chiaro, a prescindere dalla nostra percezione e possono essere in conflitto con noi anche quando noi siamo in Pace con il mondo intero, ma emanare Pace diminuisce la conflittualità altrui, così come emettere conflittualità favorisce la conflittualità altrui. Per fruire in modo ancora più illuminante di queste parole, è utile considerare: che la sofferenza è il conflitto primario, che senza l’esperienza di separazione non c’è conflittualità e che l’unica esperienza senza conflitti è la Beatitudine, Pace, Uno esperienziale. Ecco una ragione in più per tendere alla Beatitudine. Siamo noi stessi il problema dal quale dobbiamo iniziare, per renderci sempre più soluzione, maturando la capacità di produrre Pace, Beatitudine, Amore.

 

Armonizzandoci con Noi-Beatitudine, passiamo dal rifiutare il mondo all’accettarlo, fino a constatarlo Consapevolmente con la sua ineluttabilità. La vera “accettazione”, che è la constatazione Consapevole dell’ineluttabilità del momento, esige la Beatitudine: soltanto così siamo senza separazione perché Uno esperienziale stesso. L’accettazione condizionata dall’esperienza separazione è una forma di conflitto, più positiva certamente del rifiuto, ma pur sempre un conflitto. Avvicinandoci alla Beatitudine, riducendo la sofferenza, diminuiamo la guerra interiore e dissolviamo l’esperienza separazione. Emersa la Pace, Beatitudine, permane l’Uno esperienziale, senza conflitto, senza esperienza di separazione e senza nemmeno Unità: l’Uno esperienziale è pura Conoscenza in essere, senza distinzione in conoscitore-conosciuto. L’ “accettazione” completa è semplicemente (auto)constatazione di Sé, la constatazione scaturente dalla Beatitudine, che la stessa Beatitudine è il Sé esperienziale, mentre l’Origine il Sé Reale.

 

Certo, anche quando siamo Beati possiamo fermarci all’accettazione del mondo  e dei suoi avvenimenti, contrapposta alla possibilità di rifiutarli, ma si tratta di residui di un comportamento concettuale non propriamente corretto, che scompare maturando la comprensione dell’ineluttabilità di ciò che accade.

(per gentile concessione dell’Autore)