Al tempo del Raj Britannico in India, l’Asciurà fu una data importante nel calendario dei funzionari coloniali, i quali dovettero inevitabilmente confrontarsi con le usanze Sciite e le processioni che sollevavano le ire dei Sunniti e, talvolta, le obiezioni Induiste… Ogni anno gli amministratori Britannici controllavano strettamente ogni colluttazione e disordine, assicuravano il percorso della processione Sciita e regolavano la condotta di ciascuna comunità. Oggi, gli amministratori Britannici fanno la stessa cosa nell’Irlanda del Nord, tra la tarda primavera e l’estate, nella “marching season” (stagione delle marcie), quando i gruppi Protestanti Orangisti intendono attraversare i quartieri Cattolici. Il punto principale dell’Asciurà riguardante il lutto (azadari) e le rappresentazioni fastose è paragonabile ai rituali della Quaresima Cattolica come la Settimana Santa, la processione della Via Crucis nel Venerdì Santo e i drammi della Passione che introducono le osservanze della Domenica di Pasqua in molti luoghi. Anche la pratica di alcuni Sciiti estremisti che versa il proprio sangue attraverso un piccolo taglio inciso sul cuoio capelluto assomiglia ai rituali dei Penitenti, una confraternita Cattolica laica originaria della Penisola Iberica. (http://en.wikipedia.org/wiki/Penitentes) Nelle zone rurali del Colorado meridionale e del New Mexico settentrionale, i Penitenti organizzano speciali rievocazioni della Settimana Santa sulle sofferenze di Cristo. Indossano delle corone di spine, portano delle croci pesanti, e legandosi altresì alle croci sono sollevati da terra. In Asia meridionale, gli Sciiti si riuniscono nelle Hosseyniya (dimore di Hosseyn, la pace sia su di Lui) — note anche come Imambara (tribunali degli Imam) — dove pregano, cantano e si lamentano per la morte di Hosseyn (A). Anche in questo caso si ha un parallelismo con la moradas dei Penitenti (luogo di culto) in cui si fa un voto alle sofferenze di Cristo. L’Asciurà è un momento di commemorazione e di penitenza per i vizi e per gli errori dell’umanità. La prima osservanza dell’Asciurà avvenne nel 684 d.C., quattro anni dopo la morte dell’Imam Hosseyn (A), quando un gruppo di penitenti si riunì a Karbala con le facce annerite e gli indumenti strappati. Ogni anno, da allora, lo Sciismo continua a condividere il dolore di questa giornata. Gli studiosi hanno attirato l’attenzione sulle somiglianze tra i riti dell’Asciurà e i riti Iraniani pre-Islamici e Mesopotamici che celebrano il rinnovamento cosmico. Altre similitudini esistono tra l’Asciurà e i rituali che circondano la morte di Dioniso nella mitologia Greca, e di Osiride (divinità della morte) nella mitologia Egizia. La narrativa Sciita del dolore e della fede era ugualmente narrata nel linguaggio perenne delle antiche civiltà. Nel tempo e a notevoli distanze, i fedeli Sciiti adattarono l’Asciurà alla cultura locale. Di conseguenza, la sua osservanza a Lucknow, nel nord dell’India, è abbastanza diversa dalla sua commemorazione di Nabatiye, nel Libano meridionale. In Iraq, centinaia di migliaia di credenti percorrono a piedi lunghi tragitti per giungere a Karbala, a volte sotto la calura torrida estiva, così come a marzo i pellegrini Cattolici marciano tra la cattedrale Parigina di Notre Dame e quella di Chartres in Francia. L’Asciurà nel nord dell’India è un riflesso del contatto con i simboli e i festival Induisti. Molte delle pratiche Sciite Indiane sono riconoscibili da un Indù locale, ma apparirebbero estranee agli occhi degli Sciiti Mediorientali. Nel XIX secolo gli elefanti guidavano le processioni dell’Asciurà reale in Lucknow, mentre la folla trasportava le grandi repliche dei luoghi di culto Sciiti di Lucknow e Iracheni sulle loro spalle per molte ore. ... Durante il XIX secolo in Awadh (UttarPradesh), gli Indù partecipavano regolarmente all’Asciurà. L’Imam Hosseyn (A) fu considerato il dio della morte: “Il suo cavallo macchiato di sangue e la testa mozzata sollevata in alto sopra doghe Ommiadi ricordava il terribile aspetto di KaliDurga con la sua collana di teschi.” L’influenza Induista modella i rituali dell’Asciurà che si protrae per dieci giorni come la festa della dea Durga. A Hyderabad, nel sud dell’India, è consuetudine per i fachiri Indù dipingere i loro volti con striature rosse, mentre muniti di fruste e tamburi camminano di fronte al corteo principale dell’Asciurà. Si flagellano e chiedono agli spettatori l’elemosina in nome dell’Imam Hosseyn (A). I bastoncini d’incenso bruciano nelle urne secondo la tradizione delle congregazioni religiose Induiste per la preghiera o per la lettura dei canti funebri. Gli abiti degli Indù partecipanti all’Asciurà hanno il colore zafferano della loro religione, che è in netto contrasto col nero indossato dagli Sciiti. Prima di andarsene, i visitatori Indù si chinano sopra le urne e strofinano la cenere dell’incenso sulle loro palpebre, omaggiano l’Imam Hosseyn (A) e ricevono la sua benedizione nei modi previsti dalla loro religione. In India, il sincretismo tra Indù e Musulmani non riguarda solo il Sufismo e la Bhakti. Ci sono state alcune correnti religiose che adottarono pienamente i sistemi locali nella loro congregazione. Gli Ismailiti sono una di queste fazioni. Lokhandwalla afferma: Gli Ismailiti non ricorrono a scuse o a giustificazioni politiche, accettano la verità d’ogni religione e interpretano l’Islam come lo sforzo ultimo che conferma, sostiene e rivitalizza l’antica verità impartita all’umanità. Hanno sempre sottolineato che ogni comunità e ogni libro ha una sua verità, perciò nessun libro di religione va ignorato nella ricerca della verità e della saggezza... È stato soprattutto il ramo Khoja della religione Ismailita che ha utilizzato la tradizione eclettica dell’Islam per comprendere l’ethos, l’atteggiamento e la tradizione dell’India. I concetti Islamici sono la spiegazione e la continuazione di una fede antichissima. Sono stati elaborati molti parallelismi tra le personalità Islamiche e il pantheon Induista. La parola “Om” scritta in Sanscrito è stata equiparata a ‘Ali scritto in Arabo, e la somiglianza tra i due vocaboli fu evidenziata per trasmettere la corrispondenza e la somiglianza tra le due fedi. Il pantheon Induista di nove avatar fu accettato prontamente e il decimo, il Kalki Avatar, la decima incarnazione di Vishnuattesa o dasa avatara, apparve già in Arabia. La parola Kalki fu rinominata “Nakalanki” nella tradizione Satpanth, il cui significato è immacolato, puro. Quest’identificazione corrispose alla loro convinzione che l’Imam e il Profeta sono senza peccato e puri (mas’um). Il Corano divenne il prediletto Atharva Veda e i cinque Pandava furono equiparati ai cinque corpi puri (panjatan). Khamsa o panjatan è la forma di una mano con le cinque dita che simboleggia i cinque membri puri della sacra Famiglia: il Profeta Muhammad (S), suo genero ‘Ali (A), sua figlia Fatima (A), e i suoi nipoti Hasan (A) e Hosseyn (A). Nell’Induismo sono i cinque Pandava del Mahabharata imparentati con esseri celesti. La sottostante mano alzata di Shiva significa anche Khamsa o panjatan. È identica alla mano di Fatima (A) nell’Islam. Muhammad (S) fu a volte l’equivalente di Mahadev, e ‘Ali di Vishnu (http://www.tradizionesacra.it/imamali-krishna-vishnu.htm). Tutti i primi missionari vissero e si vestirono da Indiani assumendo nomi Indiani. I Khoja osservano ancora oggi religiosamente l’Ekadasi, il Diwali, l’Holi, ecc… Non erano nemmeno consapevoli del loro credo di appartenenza e fu un Tribunale Inglese che li classificò un ramo dello Sciismo Ismailita. Per i Meo del Rajasthan, i suonatori del “Pandun Ka Kara”, l’unica versione Islamica esistente del gran poema epico del Mahabharata, il Muharram è l’occasione per partecipare a un mela (festival o incontro in Sanscrito); mentre in un villaggio del Karnataka, il Muharram non lo celebrano solo i Musulmani Sciiti e Sunniti, ma anche gli Indù, che lo chiamano Imam Jayanti (l’anniversario dell’Imam). Jayanti è anche un nome della dea Durga.Questo sincretismo s’inquadra in un fenomeno di dinamica e integrata acculturazione, in cui le interrelazioni generano allo stesso tempo collegamenti e differenze religiose.
Bibliografia 1) Vali Nasr, The Shia Revival: How Conflicts Within Islam Will Shape the Future, W. W. Norton, 2006), pag. 45-48. 2) J. J. Roy Burman, Hindu-Muslim syncretic shrines and communities, pag. 22, Mittal Publications, 2002. 3) Isabelle Clark-Decès, A Companion to the Anthropology of India, Wiley-Blackwell, 2011. | |