“Molto spesso ho notato che l’uomo tende a dare maggiore importanza al contesto sociale in cui egli vive. E’ nella società umana, con le sue esigenze e movimenti, che si fa la storia e si sancisce la caratteristica di un posto, molto spesso dimenticando l’appartenenza al tutto, ignorando l’inscindibile co-presenza della natura e degli animali. Per tentare di riscoprire le nostre radici naturali, continuando a prendere ad esempio un cero modo di vivere il luogo e nel luogo, ho pensato di affidare le mie riflessioni a questo blog. In esso si parla di cose sacre, ma anche di cose profane, di Calcata e del mondo, perché potremmo dire che ora, c’è un'altra Calcata ed un altro mondo. Infatti - come disse Nisargadatta Maharaj - noi non possiamo essere altro che una parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento, ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Programmi, storie, descrizioni dell’ambiente (sia naturale che umano), poesie, riflessioni… è ciò che troverete in questo blog. Non sarà quindi un sito di servizi, per promuovere il turismo o la speculazione commerciale, ma un luogo di incontro e fusione delle anime. (Paolo D’Arpini)
Di fronte al Guru - Come potrei raccontare l’incontro avuto con me stesso, come potrei descrivere l’io dinnanzi all’Io? Questo riconoscimento del Sé avviene come stabilito dal destino. Per me accadde allorché mi trovai dinnanzi al mio Guru Muktananda. Ma definire un “qualcuno” Guru è un’offesa alla verità, poiché Guru non è mai una persona è semplicemente la Coscienza che anima e manifesta ogni persona. Quella Coscienza io sono. Ma prima di giungere a questa “esperienza” dovrei fare molta strada indietro nel tempo, nel raccontare spezzoni e spezzoni del mio sogno, della mia identificazione con lo spurio “io” che ho creduto di essere per tanto tempo. Questo discorso metafisico è alquanto strano, non c’è altri che “Io” eppure quando si parla di “io” automaticamente la mente produce un soggetto che si prefigura come usufruitore di ogni esperienza vissuta, è un’identità riflessa nello specchio della coscienza, è un’immagine speculare che non potrà mai essere il vero “Io” eppure ne rappresenta le caratteristiche… come ogni immagine speculare… Lascio da parte ogni goffo tentativo di descrivere l’indescrivibile e mi soffermo sull’aspetto riferibile di quell’incontro con il Sé, quel momento di realizzazione e di assoluta libertà e presenza che avvenne… presente ora come allora e come sempre sarà…. Ma quella meravigliosa “ri-unione” non poteva avvenire se non nel momento stabilito dal fato. Non poteva certo succedere, per esempio, nel 1970, allorché Swami Muktananda visitò Roma e soggiornò in una semplice casa di Via Trionfale presso una semplice famiglia di italiani qualsiasi, la famiglia di Giacomo e Giovanna Pozzi. In quel tempo stavo ancora godendo dell’assoluta creatività del mio piccolo io, l’immaginario Paolo D’Arpini. Dovevo spogliarmi di quelle vesti per mezzo di un viaggio a ritroso, nell’abbandono dell’identificazione, un viaggio che fisicamente mi portò ad attraversare tutta l’Africa, sino a perdere ogni voglia di essere qualcuno o qualcosa ed infine mi consegnò davanti a me stesso, ed allo stesso identico momento, di fronte al Guru Swami Muktananda. Accadde – ma come può accadere una cosa che sempre è, e sempre sarà?- nel giugno del 1973. E qui di seguito brevemente vi riferisco il primo approccio di questo incontro, un incontro che è meglio definire “scioglimento”, o “fusione” …..
In viaggio verso il “Sé” - Ce l’ho fatta, ho giusto i cento dollari per il passaggio (o poco più) ma sono sulla nave che mi sta portando in India, dopo aver attraversato l’Africa equatoriale in un viaggio epico e misterioso, con mezzi di fortuna e facendo la manche per il sostentamento spiccio. Mi sono spacciato per “scrittore in esilio” ho chiesto soldi a tutti senza vergogna e i soldi mi sono stati dati, in Costa d’Avorio, Alto Volta, Togo, Dahomey, Camerun, Congo Brazzà, Congo Belga, Impero Centrafricano, Ruanda, Tanzania, Kenia… Eccomi, dopo esser rimasto sotto il sole nella spiaggia di Malindi, per un mese buono, ospite di un’amica, Walda, in un bellissimo cottage sul mare con l’unico compito di fumare il narghilè e giocare con la sabbia, infine mi sono stufato e con gli ultimi risparmi mi compro un biglietto di terza classe sul cargo che collega Mombasa a Bombay. Insomma il viaggio continua e, senza volerlo, non avendo altro posto dove andare, vado in India la terra dei Guru…. E’ l’estate del 1973, dopo dieci giorni di mal di mare sbarco a Bombay il 23 giugno. Lo ricordo bene perché era quello il giorno del mio 29° compleanno. Dopo l’Africa mi sembrava di non voler conoscere più altro, cosa andavo a fare in India con tutti quei guru che vivevano di storie raccontate? Molto scettico, quasi ostile, verso tutto quell’interesse para-spirituale che era sorto in Europa dopo il ’68….. Ed io il ’68 l’avevo fatto, ed anche il ’69, il ’70 e tutti gli anni a seguire, insomma avevo vissuto nel vortice, ero un intellettuale, un illuminato, che ci andavo a fare in mezzi ai guru? Già, immaginavo che ci fossero guru ad ogni angolo di strada pronti ad imbambolare la gente con le loro litanie. Niente paura, io son laico di natura, li smaschererò tutti, mi dicevo, e così pensando appena fuori del porto mi ritrovo su un calesse che corre a velocità stratosferica verso l’area centrale di Bombay, dove sta il grand-hotel Taj Mahal e gli alberghetti per occidentali. Una fortuna pazzesca, non c’è posto in nessun albergo a poco costo e vado a bazzicare nella hall del Rex Hotel (a quel tempo abbastanza quotato), lì incontro subito due ragazze, una è italiana e si chiama Pupa l’altra italo-americana e si chiama Francis. Attacco bottone, sono specialista in questo, e trovo posto a gratis nel letto di Pupa e mi tengo buona Francis per un dopo. Potete immaginare la mia meraviglia allorché scopro che le due donzelle vengono proprio dall’ashram di un “famoso” guru, che dicono chiamarsi Muktananda, ma io non l’ho mai sentito nominare. Indago astutamente su di lui e siccome le ragazze mi invitano ad andarlo a conoscere accetto pensando che finalmente potrò confrontarmi con un guru. Immaginatevi uno che si è fatto tutta l’Africa, in mezzo a mille pericoli, sommosse, aggressioni, baruffe, fame, sete, paura, sonno, malaria, erba, insomma tutto quanto possa forgiare un uomo, renderlo sicuro di sé – entro un certo limite s’intende - uno che ha viaggiato e sa, conosce le situazioni ed i pensieri della gente, un sopravvissuto a se stesso, quell’uomo, io, si trova a doversi togliere gli stivali per entrare dentro il tempio del guru. Sì, togliersi gli stivali, praticamente spogliarsi, impedirsi una via di fuga, umiliarsi…. Non c’è nulla da fare o ti togli gli stivali o non entri, questa è la regola. Me li sono tolti, perché son più forte persino degli stivali, non ne ho bisogno.. ed entro nel tempio. Stanno cantando un canto dolce, dicono che durerà una settimana di seguito, si chiama un Saptha, il “mantra” lo conosco l’avevo già sentito sulla nave che mi portava in India cantato sulla tolda da gruppi estatici di indiani accompagnati dall’harmonium a soffietto. Qui è la stessa cosa, ma c’è più sintonia, la melodia è trascinante, ed a me piace cantare, mi metto a cantare anch’io… E mentre canto, e passa il tempo, insondabilmente mi ritrovo presente a me stesso. Ma star seduto per terra sul pavimento così a lungo mi fa venire una voglia incredibile di andare a pisciare, sto per alzarmi ma una voce interna a quel punto mi ordina “puoi andare a pisciare solo dopo esserti inchinato”. Come, inchinarmi io? Cos’è questa nuova barzelletta che mi frulla in testa? Resto bloccato non posso muovermi son controllato da una forza sconosciuta, anzi ri-conosciuta, passa altro tempo ed alla fine debbo cedere non ce la faccio più, mi inchino, come ho visto fare qualche altro, di fronte ad una statua nera, sopra c’è scritto “Om Namah Shivaya”. Stranamente non resto impressionato dall’esperienza, mi pare che non abbia importanza è stato solo un momento di debolezza. Ed ora l’incontro con il guru. E’ scesa la sera, abbiamo già cenato, Muktananda sta seduto sui gradini della sua dimora in un cortile interno dell’ashram. Vedo delle persone che passano in fila davanti a lui e chiedo a qualcuno “Di che si tratta? Che succede?” – “Oh, il maestro sta distribuendo il prasad” Curioso mi metto anch’io in fila pensando, finalmente potrò vedere in faccia questo guru, ma la notte è buia non vi sono luci se non qualche lumino qua e là, all’improvviso mi trovo di fronte al guru, non vedo nemmeno la sua forma solo un’ombra nell’ombra, un’intuizione mi si staglia però nitida nella mente, inequivocabile ed inconfondibile “Ecco, mi ha riconosciuto!” Ma subito dopo “com’è possibile non l’ho neanche mai visto..”. Abbacinato ed imbambolato, resto fermo lì davanti mentre Muktananda mi spinge un qualcosa sulla mano, resto immobile, pietrificato, finché qualcuno da dietro la fila mi spintona per farmi procedere. Nella mano ritrovo un pezzo di dolce al latte. Che farne? Indovino che la cosa migliore sia di mangiarmelo. Com’è buono! Vorrei aggiungere qualcosa, oggi 22 dicembre 2008, le avventure della coscienza nella Coscienza possono essere raccontate e mi verrebbe voglia di continuare a narrarle, quando sarà maturo il tempo forse lo farò…. Alcune sono proprio divertenti ma per il momento mi fermo alla “prima impressione” al primo attimo…..!
L'insegnamento impartito dal saggio Yājñavalkya al re Janaka (tratto da: http://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2011/01/linsegnamento-impartito-dal-saggio.html
Dalla Brhadāranyaka Upanishad (4.4.23): "Quello, il quale è consustanziato di conoscenza e sta tra le funzioni vitali, invero, è questo grande Sé non-nato. Esso è colui che dimora in quello spazio che è all'interno del tuo cuore. E' il Reggente di tutto, il Signore di tutto, il Governa-tore di tutto. Quello non diviene migliore attraverso il retto agire, né peggiore a causa del non retto agire. Quello è il Signore di tutto, è colui che governa sugli esseri e colui che mantiene in esistenza gli esseri. Quello stesso si erge come una barriera a separa-re questi mondi, acciocché essi non abbiano a confondersi l'uno con l'altro. I brāhmaṇa intendono conoscere Quello attraverso lo studio dei Veda e per mezzo del sacrificio, delle offerte, della disciplina ascetica e del digiuno. Soltanto avendo realizzato Quello si diviene saggi. Quelli che vagano peregrinando, aspirando soltanto a quello stato, errano avendo intrapreso la vita di monaci itineranti. E' proprio per questo, invero, che ai primordi i saggi illuminati non anelavano a una posterità: 'Cosa otterremmo da una progenie, noi che abbiamo realizzato il Sé e possediamo questo mondo?'. Essi, allora, abbandonarono il desiderio della progenie, il desiderio di prosperità e il desiderio verso i mondi e intrapresero la vita di mendicanti. Quello, che è il desiderio della progenie, è desiderio di prosperità, e quello, che è desiderio di prosperità, è desiderio verso i mondi, perché, invero, questi due desideri sono il medesimo. Quello è il Sé indicato come: non è così, non è così. E' inafferrabile perché, invero, non può essere afferrato; indistruttibile perché, invero, non è soggetto a distruzione; senza contatto perché, invero, non ha contatto con alcunché; indipendente perché non vacilla né soffre pena. Invero, questi due [pensieri] non lo affliggono più [il saggio]: 'per questo ho commes-so l'errore', 'per questo ho compiuto il bene'. Egli, invero, si porta al di là di entrambi. Le azioni compiute e quelle mancate non lo tormentano più. ’Ciò viene espresso dal seguente inno. “Questo [Sé] è l'eterno splendore del conoscitore del Brahman: non è accresciuto né è sminuito da alcuna azione. [Perciò] soltanto di quello [splendore che è il Sé] si realizzi l'essenza! Avendo realizzato quello [splendore che è il Sé], non si è più toccati dall'azione indegna. Perciò, colui che così conosce, una volta che abbia raggiunto la calma mentale, che abbia raggiunto l'autodominio sensoriale, che si sia raccolto, che abbia acquisito una pazienza perseverante e si sia immerso nella concentrazione in se stesso, costui conosce certamente il Sé nel proprio corpo, egli vede la totalità come il Sé. L'errore non lo soverchia, egli ha trasceso tutti gli errori. L'errore non lo consuma, egli consuma tutti gli errori. Egli diviene senza errore, incontaminato, libero dal dubbio e conoscitore del Brahman. Questo, o sovrano, è il mondo del Brahman, e tu lo hai conseguito" Così parlò Yājñavalkya. Ed il Re Janaka rispose: "Io ti offro, o Signore, le terre di Videha insieme anche a me stesso, al tuo servizio"
| |