Testimonianze

 

Ostacoli in Italia per "Agora", l'ultimo film di Amenàbar “Storia di Ipazia”, filosofa della tolleranza uccisa per stregoneria
Di Luca Tancredi Barone - Tratto dal Quotidiano LIBERAZIONE http://www.liberazione.it/giornale_articolo_ricerca.php?id_articolo=499634
 

 
Anno domini 391. L'impero romano si avvia al declino e alla dissoluzione. Una setta di ebrei esaltati, ispirati da un profeta condannato a morte in Giudea, comincia a rialzare la testa dopo tre secoli di persecuzioni. Siamo ad Alessandria d'Egitto, la capitale culturale d'oriente, sede della più antica e prestigiosa biblioteca dell'antichità, nonché di un faro proverbiale. Undici anni prima, l'imperatore Teodosio aveva promulgato un controverso editto a Tessalonica (Salonicco), in cui il cristianesimo veniva dichiarato religione di stato, unica e obbligatoria. Nel 313 l'imperatore Costantino - assieme al suo omologo e cognato Licinio, che guidava l'impero romano d'oriente - aveva iniziato un lungo percorso di normalizzazione del cristianesimo, dichiarando nell'editto di Milano che l'impero sarebbe stato neutrale rispetto a ogni religione.
Al centro della vicenda una donna. Ipazia era figlia di Teone, filosofo e matematico, nonché, secondo alcune fonti, legato all'attività del Museo, dove era ospitata la famosa biblioteca. Fu lui ad avviarla a una carriera votata alle lettere e alle scienze. Era nata intorno al 370 ed era una matematica, astronoma e filosofa coltissima, oltre che molto attraente (così pare, almeno). La sua fama si è conservata nei secoli, tanto che è l'unica donna che Raffaello ritrae nella sua Scuola di Atene, proprio nel cuore del Vaticano. Ipazia godeva di una posizione sociale inusuale nel mondo greco romano. Scrive Cassiodoro Epifanio, nella sua Historia ecclesiastica tripartita che Ipazia era "tanto colta da emergere tra i filosofi suoi contemporanei, e da ricevere proprio lei la successione nella scuola platonica derivata da Plotino, così da tenere ella stessa tutte le lezioni filosofiche. Per questo motivo tutti accorrevano a lei a causa della sua autentica fedeltà professata nei confronti dell'antica dottrina. Infatti ella si prestava di buon grado anche a contraddittori e dispute senza alcun imbarazzo. Anzi, si mostrava anche in mezzo agli uomini, ma con tale riservatezza che tutti la stimavano e la rispettavano per la sua castità e integrità di costumi".
Ma quelli erano anche gli anni teatro di furiosi scontri religiosi fra pagani, cristiani ed ebrei. Tanto che proprio nel 391 viene distrutto per mano cristiana in circostanze storicamente mai ben chiarite il Serapeo della città, tempio e cuore della cultura pagana, dove la stessa Ipazia aveva insegnato. Ma l'influenza e il prestigio della filosofa erano tali che la maggior parte dei suoi discepoli si troverà ad avere un ruolo di primo piano nella vita politica e culturale della città: fra i suoi ex allievi troviamo molti vescovi e addirittura Oreste, prefetto cristiano della città nel 415. Questi si trovò a scontrarsi con Cirillo, vescovo della città dal 412 al 444. Miles Christi violento e autoritario, non esitò a cacciare gli ebrei dalla città nel 414 dopo aver scatenato una sanguinosa rappresaglia contro di loro. Naturalmente fu anche campione di intolleranza verso gli odiati pagani, che difendevano una religione e costumi ormai fuori legge. La sua ambizione e i suoi metodi spicci, anche contro gli stessi cristiani che si opponevano alla sua visione filosofica (che risultò poi vincente nella chiesa) sull'unità della natura umana e divina di Cristo (sua è l'introduzione dell'espressione "madre di Dio" per Maria, al posto di "madre di Cristo"), e il suo tentativo di controllare il potere della città gli meritarono molti nemici. Ma anche il titolo di santo (che si celebra il 27 giugno) e di dottore della chiesa.
Fu proprio a Cirillo e alla sua vigorosa campagna di difesa del cristianesimo che venne attribuito l'orrendo assassinio (per squartamento) di Ipazia nel 415, perpetrato da una folla di monaci inferociti (i "parabolani", una specie di talebani del tempo) che le attribuivano la colpa di spingere Oreste a non "riconciliarsi" con Cirillo, dopo che questi aveva dichiarato martire un monaco che aveva lanciato una pietra contro il prefetto, ferendolo gravemente. L'accusa usata da Cirillo contro Ipazia era quella, classica, di stregoneria, che tanta fortuna avrebbe avuto nei secoli a venire.
Una storia così affascinante, e che nessuno aveva ancora portato sul grande schermo, non poteva non incuriosire il grande ed eclettico cineasta spagnolo Alejando Amenábar, che ha diretto film tanto diversi come Mare dentro, Apri gli occhi e The others. Con un budget di cinquanta milioni di euro (quasi tutti provenienti da Telecinco), Ágora, girata quasi completamente a Malta, è stata presentata all'ultimo festival di Cannes e sta piacendo molto al pubblico spagnolo (il primo weekend di ottobre, quando è uscita, ha sbancato i botteghini con quasi un milione di spettatori).
Il film, come spiega lo stesso regista, è un omaggio "non solo alle donne ma a tutti quelli che hanno usato la ragione e sono stati onesti con se stessi. Loro sono gli eroi del mio film. Galileo, per esempio, alla fine è capitolato. Ipazia no". Come racconta Amenábar nel sito dedicato al film "non mi ero mai interessato di scienza. Per me la cosa meravigliosa di questo progetto è stato entrare in contatto con la scienza in modo emozionale, spirituale". Attraverso le immagini della terra dallo spazio Amenábar riesce infatti non solo a dare un'altra prospettiva agli scontri terreni, ma a creare un ponte fra Ipazia e il suo pensiero astronomico.
Non sono rimaste opere scritte di Ipazia, fatte distruggere da Cirillo assieme a tutte le empie opere pagane (la scena del saccheggio della biblioteca di Alessandria, che il regista fa coincidere con la distruzione del Serapeo, è particolarmente impressionante). E questo lascia alla fantasia ampio margine: addirittura la filosofa, interpretata dalla fascinosa Rachel Weisz (l'attrice inglese premio Oscar per The Constant Gardener), si spinge a ipotizzare orbite ellittiche per i pianeti, preconizzando un sistema eliocentrico (già ipotizzato da Aristarco di Samo). Questo proprio negli anni in cui prendeva piede il modello tolemaico e in cui nessuno metteva in dubbio la circolarità delle orbite. L'ipotesi di Ipazia precursora di Keplero (1300 anni dopo) è affascinante, ma improbabile.
Indubbiamente la fattura del film tradisce la passione del cineasta spagnolo di origine cilena per la storia ("mi sono sempre piaciuti i kolossal storici", ha dichiarato a El País) e per l'astronomia. "Ágora", scrive ancora il regista sul sito, "è la storia di una donna, di una città, di una civiltà, di un pianeta. L'agorà è il pianeta su cui dobbiamo convivere tutti": un messaggio forte che Ipazia lanciava ai suoi allievi nei burrascosi tempi in cui viveva. Invano. Lo stesso messaggio che il regista lancia anche a noi. "Non è un film anticristiano", si affanna a ripetere in tutte le interviste (anche se difficilmente il papa apprezzerà le scene in cui i cristiani si avventano alla gola dei nemici con gli occhi iniettati di sangue, o sembrano piccole formichine disorientate in una scena di violenza ripresa dall'alto a ritmo velocizzato): "è un film contro tutti i fondamentalismi".
Il giovane regista aveva in testa di portare lo spettatore nel IV secolo come se fosse una troupe della CNN a riprendere gli incidenti, come ha spiegato lui stesso. Probabilmente voleva dire che il tentativo è stato quello di raccontare i fatti senza romanzarli: un'impresa impossibile in un film storico. Di qui, oltre alla presenza dei personaggi documentati (interpretati tutti da attori bravi e poco conosciuti), l'invenzione di Davo, interpretato dall'inglese Max Minghella, bellissimo schiavo liberato da Ipazia, che dopo aver seguito le lezioni della filosofa di Ipazia ed essersene innamorato, diventa cristiano e membro - anche se pieno di dubbi - dei parabolani. Il suo amore - solo platonico, è il caso di dirlo - per la filosofa compete con quello di Oreste, anche lui ex allievo di Ipazia. C'è un aneddoto che era noto al tempo: ai tentativi di un suo allievo di conquistarla, lei avrebbe risposto portandogli un panno sporco di sangue del suo ciclo mestruale. "Questo è ciò che tu ami, e non è bello", pare gli avesse detto, provocando la vergogna del povero innamorato, che nel film è proprio Oreste.
Al contrario del pubblico, la critica ha ricevuto freddamente il film, che non si può criticare - dice in sostanza Carlos Boyero sul Paìs - perché la ricostruzione storica è meticolosa e credibile, gli attori bravi, viene ben raccontato il fanatismo e la fame di potere dei nuovi arrivati cristiani, con la loro ossessione di martirizzare il prossimo, come succede anche oggi a chi è appena sfuggito a un martirio. Sì, è vero, alcuni dialoghi scientifici fra Ipazia e i suoi studenti possono sembrare un po' lirici e poco credibili. Ma il vero problema, dice Boyero, è che "il tuo cervello può relazionarsi al film, però non mi arriva al cuore. Lo desidero in ogni istante, ma non c'è niente da fare". Un film cerebrale, insomma, dietro cui c'è un approfondito lavoro di ricerca, ma senza anima. Amenábar spiega che questa è "una storia del passato su quello che sta succedendo oggi, uno specchio perché il pubblico guardi e osservi scoprendo che sorprendentemente il mondo non è poi cambiato tanto". Il problema è che, usciti dal cinema, si ha proprio l'impressione che il film parli più alla nostra coscienza di occidentali del XXI secolo, dicendoci quello che vogliamo ascoltare su una eroina che è morta barbaramente torturata per difendere i suoi principi, la cultura, la scienza, la tolleranza. Ci parla del "pregiudizio nei confronti di chi appartiene ad un'altra cultura, ad un'altra visione del mondo, pregiudizio che bolla una posizione atea come incapace di veicolare dei valori", come ha scritto su Nazione Indiana Andrea Inglese qualche giorno fa commentando la sentenza di Strasburgo. Parla a noi moderni, insomma, con il nostro linguaggio. Ma forse non riesce nel difficile compito di ricostruire il contesto di un mondo così lontano (o così vicino) a noi come quello del IV secolo. Un mondo in cui comunque Ipazia rappresentava un faro di razionalità in mezzo nella tempesta che avrebbe spazzato via quel che restava del mondo antico.
Si raccolgono firme online per Ágora. "Fateci vedere l'ultimo film di Amenábar". È questo in sostanza il messaggio della petizione online che ha già raggiunto le seimila firme (tra cui quella del matematico Piergiorgio Odifreddi) per chiedere che venga distribuita anche in Italia l'ultima opera del regista spagnolo. Secondo alcune voci indiscriminate che non sono mai state smentite, l'Italia sarebbe uno dei pochi paesi dove non sarebbero stati comprati i diritti di distribuzione a causa di una ipotetica mancanza di interesse del pubblico. Sia o meno una intelligente operazione di marketing, come sospettano i maligni, è certo che il film non piacerà a molti prelati a cui già la sentenza contro la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici ha tolto il sorriso. L'inno del cineasta spagnolo a una eroina della laicità e della tolleranza, fatta barbaramente uccidere da un vescovo santo e dottore della chiesa non può certo essere visto di buon occhio oltretevere. Ma la comunità virtuale si sta muovendo. Oltre alla petizione online, esiste anche una pagina di facebook che chiede che il film venga portato in Italia, con già più di 1700 ammiratori. La lepre edizioni, per i cui tipi è appena uscito Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo (gli altri due libri più importanti dedicati alla scienziata sono: Ipazia, Scienziata Alessandrina per Lampi di stampa e Ipazia d'Alessandria per Editori Riuniti) si unisce alla richiesta e parla di un "piccolo caso editoriale", avendo venduto tremila copie in pochi giorni. (per gentile concessione: Liberazione, 14/11/2009)