CHI DICE DONNA...

(Pensieri di Silvano Scajola(*), in

risposta all’articolo “Dharma e Sessualità” di Gino Taddei)  

 

Caro Gino,

Come va? A me, come al solito: casa, bottega e buddhismo. Fase introversa. Ho letto su Nirvana News di Aprile il tuo articolo sulle donne. Sono totalmente in disaccordo. Quella che spieghi tu è la via del monaco, buddhista o cristiano, che non concede neppure di dare da mangiare ad un gattino affamato, magari per compassione (?). Una via che ha paura del lato umano della natura, femminile per definizione, e quindi oltre che creatrice anche terrificante e distruttrice (Kali, vedi lo tsunami). La natura non è intellettuale, è una forza, la stessa che ti attira verso le gattine. La stessa che ci fa nascere, amare e morire. Insieme materia e anti-materia, ordine e caos. Il tantra, anche buddhista, ma credo anche lo Zen, insegna come rimanere centrati e senza paura di fronte a questa forza, che è anche dentro di noi, visto che essere maschi o femmine è questione di una piccolissima percentuale di cromosomi (solo uno in più per essere femmina). Il monaco, finché non diventa santo, e lo diventa solo per grazia superiore o accumulo di grandissimi meriti, non ha trasceso il femminile, lo ha solo represso. Se e quando si fa coinvolgere, disprezza se stesso e la donna in questione. Per farla breve, nel femminile e nella natura c'è un aspetto spirituale, oltre che fisico e psicologico, che va affrontato ed integrato. Chi non riesce a farlo, vede non donne ma puttane e madonne. Fin qui la teoria.

Nella pratica, devo tutto il mio percorso relativo e umano, ad un barlume di com-prensione dovuto al rapporto con le varie donne che ho incontrato. Con morti e resurrezioni, ferite e guarigioni, dare ed avere, estasi e tormenti. Ma, forse, sotterranemente il mio è un percorso tantrico e allora è questione di punti di vista. Se è così perché fare una teoria generale? Direi che sia solo uno scambio di idee. >"Che bisogno ho di una donna, se ne ho una dentro?" La pratica dell'unione con la consorte interiore, come sai, è diffusa nello sciamanesimo, nel tantra anche buddhista, fra i fedeli d'amore. C'è un bel libro di Elemire Zolla a proposito. Se è una donna-­spirito, una fata, può essere più rompiballe di una in carne ed ossa. Credo però che sia preferibile una donna in carne ed ossa. Il punto vero è quello del bisogno. Meglio avere una donna in carne ed ossa, ma senza dipenderne. Senza dipenderne affettivamente, sessualmente, psicologicamente. Perché della donna si ha paura. Essa è la porta della vita, la porta della morte che divora, la pazzia della luna, ma come sai, anche Sophia, la conoscenza (W Scaligero!).

Se si supera la paura della donna e la dipendenza, si supera la paura della morte e della conoscenza. E' il gioco Shiva-Kali nell'Induismo. Senza shakti (energia femminile) Shiva diventa shaiva, un cadavere non vitale. Ma con Kali rischia di perdere la testa (mozzata da Kali) e di essere succube. Grande gioco della vita, che si trova anche in Freud (la madre avvoltoio), nei misteri sacrificali dell'area mediterranea. Sophia è il riscatto della Madre Kali che chiede il sacrificio psicologico, la castrazione del figlio. Sophia chiede di sacrificare l'ignoranza spirituale, l'ambiguità, la debolezza. Comunque, al solito, più facile a dirsi che da fare. Queste femmine sono proprio terribili… e andiamo verso un irresistibile matriarcato.

Guarda Hillary Clinton e Condoleeza Rice. Perciò, difendiamoci. Fondiamo un movimento di liberazione dei maschi, aiutiamo i giovani. Rivendichiamo le pari opportunità. Con questo scambio di idee, ti saluto e ti abbraccio. (Silvano) JJJ

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(*) Silvano Scajola è, a sua volta, un ricercatore spiritale autonomo,  anche se  in un passato recente ha frequentato per un paio d’anni il Centro Nirvana, mostrandosi assai interessato alla Via dell’ Auto-Consapevolezza Chan. Partecipa tuttora ai Seminari annuali, mentre da qualche tempo ha preso a frequentare con una certa intensità il Centro Buddhista Tibetano di Pomaia -

 

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"Se io non esisto, niente esiste".

 

 

Ho parlato con una fata in un bosco un giorno, davvero.

Ho parlato con una fata un giorno, ma ero sola e nessuno mi crederà.

Ero lì sdraiata su di un prato, e con l’erba modellavo il mio cuscino, ho scavato in cerca di comodità ed ho distrutto la sua casa, ai piedi di quel tronco.

Non l’ho vista subito, non la aspettavo, ma sentivo il lamento del suo pianto. Aveva messo tanto amore in quella casa, che il suo cuore non poteva sopportare.

Ho pensato di rassicurarla, ho pensato di farle capire che era stato un errore, che non volevo farle del male, ma lei fra le lacrime cercava solo di capire perché un essere gigante potesse sentirla.

Mi scusai mille volte sottovoce e lei salì sul palmo della mia mano, fiera, sicura:

 

“Non è il male del mondo la cattiveria,

Non è il bello la via d’uscita.

Non parlare quando vuoi che ti si ascolti

E non urlare se nessuno sta a sentire.

Prendi sempre per mano chi ti è accanto,

lascia andare chi si ferma salutando,

prendi in braccio chi cade e chiede aiuto,

ma lascia a tutti il diritto di morire.

Non pensare quando tutto ti sorride,

lascia che il bene accarezzi anche gli altri,

non fermarti quando tutto è buio e cupo,

senza il buio non vedresti mai sorgere il sole.

Ogni sera quando chiudi gli occhi e dormi,

sei il tuo Dio e ti devi giudicare;

sii clemente e sappi perdonarti,

limitati soltanto a non mentire.”

 

Sono le parole di una fata queste, davvero.

Ma le ho sentite solo io e nessuno mi crederà.

 

                                                       (Daria… 30/05/2005 – h. 1.52)