TESTIMONIANZE….(Sulle verità del Divino...) tratte da altre fonti, con Commento di Aliberth

(Una Mail da Silvano…)

Caro Aliberth, che ne dici di questa News che mi sembra assai interessante… Te la invio, perché credo che essa meriti un commento da parte di Aliberth:

                                

Forse Gesù camminò sul ghiaccio e non sull'acqua…MIAMI (Reuters) –               (Folla di pellegrini a S. Pietro)  

< Il Nuovo Testamento dice che Gesù camminò sulle acque. Ma un professore dell'Forse Gesù Camminò Sul Ghiaccio E Non Sull'acqua, Dice Studio Università della Florida crede vi possa essere una spiegazione meno miracolosa e che camminò su un pezzo di ghiaccio che galleggiava. Il professor Doron Nof aveva anche teorizzato all'inizio degli anni Novanta che la separazione delle acque del Mar Rosso da parte d Mosè avesse una solida base scientifica. Nof, docente di oceanografia alla Florida State University, ha detto ieri che il suo studio ha rilevato un'insolita combinazione di acqua e condizioni atmosferiche in quella che adesso è la parte settentrionale di Israele e che nel mare della Galilea potrebbe aver portato alla formazione di ghiaccio. Nof ha utilizzato le rilevazioni delle temperature della superficie del Mediterraneo e modelli statistici per esaminare le dinamiche del mare della Galilea, che gli israeliani chiamano ora Lago Kinneret. Lo studio ha rilevato che nella zona tra 1.500 e 2.600 anni fa, un periodo che comprende quello in cui visse Gesù, le temperature erano più fredde. Ed un brusco abbassamento avrebbe potuto causare la formazione di ghiaccio abbastanza spesso da sostenere il peso di una persona, sulla superficie dell'acqua fredda di un lago vicino alla costa occidentale, dice Nof. Per osservatori da lontano sarebbe stato quasi impossibile vedere il pezzo di ghiaccio sull'acqua. Nof ha detto di aver messo a disposizione il suo studio, pubblicato sul Journal of Paleolimnology, come "possibile spiegazione" della camminata di Gesù sull'acqua. "Se mi chiedete se credo che qualcuno cammini sull'acqua, bé, non lo credo. Forse qualcuno può aver camminato sul ghiaccio, non so. Credo ci debba essere qualcosa di naturale che possa spiegarlo", ha detto. Nof dice che, quando 14 anni fà diffuse la sua teoria secondo la quale le condizioni del vento e del mare potrebbero spiegare la separazione delle acque del mar Rosso, ricevette lettere di odio, anche se egli aveva rilevato che l'idea poteva sostenere la descrizione biblica dell'evento. E mentre la sua teoria su Gesù sopra il ghiaccio ha iniziato a circolare, gli sono arrivati altri messaggi e-mail di odio. "Mi hanno chiesto se la prossima volta spiegherò la resurrezione", egli dice…>

- Che ne dici Aliberth: chi camminò sulle acque? Oppure camminarono sul ghiaccio facendo finta di fare un miracolo? Credere o non credere? A tutti un fraterno saluto nel Dharma- Silvano

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Caro Silvano,

Per onestà, devo dire che il fatto miracolistico di Gesù, del suo camminare sulle acque e di chi, oggi, tenta di screditare quei miracoli meriti un discorso a parte. Io credo che il discorso del ghiaccio sia perfino più incredibile del miracolo stesso... Tuttavia, anche se in Galilea duemila anni fà le condizioni climatiche potevano essere diverse da oggi, pensare ad un blocco di ghiaccio sul lago di Tiberiade, peraltro tenuto fermo in  mezzo alle acque liquide, sia proprio di chi cerca... il pelo nell'uovo. Anche in un recente Nirvana News, avrai potuto leggere un pezzo in cui qualcuno ha criticato le apparizioni della Madonna di Fatima, portando come spiegazione al fatto delle non-meglio specificate apparizioni di extra-terrestri...

Penso che sia l'una che l'altra situazione, siano maggiormente spiegabili con il normalissimo fatto della... illusione mentale che, prima o poi, può colpire tutti gli umani. Vale a dire, una sorta di proiezione visiva o di infatuazione immaginaria in cui alcune persone credono di vedere ciò in cui, appunto, credono in anticipo.

E questo mi sembra molto più spiegabile delle varie ipotesi fantascientifiche che, peraltro, al limite, sarebbero anch'esse dei veri e propri... miracoli!   ------     Ciao, Silvano, a risentirci... J

 

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Misteri…

IL MISTERO DI FATIMA

Al nostro sito, www.centronirvana.it, è arrivata la seguente mail da http://www.eccenova.com/Fernandes_dArmada.htm, noi la pubblichiamo, vista la curiosa dichiarazione…

  “Cari Amici, penso che voi forse troverete interessanti le seguenti informazioni sulle ben note Apparizioni di Fatima, avvenute in Portogallo nel 1917. Esse rivelano un collegamento spiritualistico totalmente inaspettato ed un evento che era stato in precedenza annunciato da un ricevimento di un messaggio da parte di un ‘medium’, come noi proveremo nel seguito di quest’opera. Vi ringraziamo se voleste distribuirlo nella vostra comunità e per gli eventuali commenti che voleste inviarci. Cordiali saluti”, Joaquim Fernandes, Ph.D…. 

Una Nuova Storia Rivela la Verità sull'Evento di Fátima 

Victoria, BC - L'avvenimento di Fátima fu un importante evento nella storia della religione. Nel 1917, tre piccoli pastorelli portoghesi - Jacinta, Francisco, e Lúcia - improvvisamente incontrarono la Vergine Maria, illuminata nello splendore di luci celestiali, che disse ai bambini tre segreti sul destino della Terra. I contatti furono seguiti da un inspiegabile fenomeno aereo, chiamato "Il Miracolo del Sole", in cui il Sole fu visto danzare su e giù nel cielo da migliaia di atterriti spettatori che si erano radunati a Fátima.   

Si congetturò che quelle apparizioni potessero essere un caso di intervento divino negli affari umani, un segno dal Cielo che la Prima Guerra Mondiale, che stava bruciando tutta l’Europa, sarebbe poi dovuta finire. A Fátima fu quindi eretto un sacrario che da allora ha attratto milioni di credenti, e si inventò una sorta di mito che i segreti di Fátima sarebbero stati rivelati più avanti nel tempo – come una sorta di testamento della fede in un’era secolare. 

In “Luci Paradisiache”, gli storici portoghesi Joaquim Fernandes e Fina d'Armada raccontano la vera storia delle apparizioni di Fátima. La prima storia di Fátima ad essere stata scritta dagli storici portoghesi si basò sui veri documenti originali, e ‘Luci Paradisiache’ è il risultato di un'odissea, durata 25 anni, da parte degli autori alla ricerca dei reali fatti del caso di Fátima. Fernandes e d'Armada cominciarono la loro investigazione nel 1978, quando ad essi fu dato accesso all’archivio segreto tenuto nel Santuario di Fátima. 

Gli archivi di Suora Lúcia, tenuti in archivio fin dal momento dell’evento, rivelarono che i tre bambini non interagirono con un'apparizione della Vergine Maria, ma con una qualche sorta di ologramma, di origine non identificata, proiettata attraverso un raggio di luce proveniente dal cielo, sopra di loro. L'archivio ha chiaramente dimostrato che le entità incontrate a Fátima non erano divinità del Cielo, quanto piuttosto una serie di esseri multidimensionali provenienti da "altrove", nel Cosmo infinito. Questa scoperta fu sostenuta da un centinaio di altri fatti avvenuti dal momento stesso delle apparizioni. Gli autori hanno scoperto che l’apparizione di Fátima fu il primo importante caso-UFO del 20° secolo. Esso contiene, come una sorta di anticipazione, tutte le rappresentazioni fenomenologiche di eventi celesti moderni e anche dei modelli fisici, psicologici e spirituali della contemporanea "sindrome da contatto", come stato alterato di coscienza.  

‘Luci Paradisiache’ è un libro sicuramente destinato a dire una parola definitiva sull'Avvenimento di Fátima del 1917. Quando nel 1995 fu pubblicato in Portogallo, per la prima volta, con il titolo ‘Aparições de Fátima e o Fenómeno OVNI(UFO)’, il Jornal de Notícias, il principale giornale portoghese, presentò l’opera come "un successo letterario senza precedenti nel campo degli studi ufologici portoghesi".  
Ora il mondo intero può conoscere la verità sulle apparizioni di Fátima. Questa nuova traduzione da parte dei giornalisti Americani Andrew D. Basiago ed Eva M. Thompson, offre un potente argomento sia per gli storici, antropologi, cosmologi ed i ricercatori di "ET", nonché per gli studiosi religiosi, nel riesaminare la reale ed evidente testimonianza che finalmente spiega il perdurante mistero dell'evento delle Apparizioni di Fátima. 
Notizie sugli Autori – Joaquim Fernandes, è Professore di Storia all'Università Fernando Pessoa di Porto, in Portogallo. Egli dirige la ‘Struttura Accademica di Ricerche Internazionali e Pluriculturali che Indagano sulle Apparizioni’ (Progetto MARIAN). I suoi interessi di ricerca includono storia della scienza e antropologia comparata di religione, con un'enfasi sui fenomeni anomali.  Fina d'Armada, ha il titolo di Master in Studi Femminili. Ha scritto cinque libri sulle Apparizioni di Fátima, tutti basati su documenti originali tenuti nell'archivio - tre scritti insieme con Fernandes - e centinaia di articoli. I suoi interessi di ricerca includono fenomenologia, storia locale, storie di donne, e storie dell'era delle scoperte portoghesi.  

Notizie sul Libro  - “Heavenly Lights”: ‘The Apparitions of Fátima and the UFO Phenomenon’, di Joaquim Fernandes e Fina d'Armada - Tradotto e redatto da Andrew D. Basiago ed Eva M. Thompson - Prefazione di Jacques F. Vallée --JJJ

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COMMENTO di ALIBERTH:-
Qui siamo nel campo della… fantascienza! Al fine di negare un miracolo, si può arrivare al paradosso di dichiarare e convalidare un evento scientificamente impossibile da dimostrare, almeno quanto quello che si vuole negare. Abbiamo già spiegato che i miracoli sono eventi possibili, non perché essi si manifestino REALMENTE fuori della nostra mente, cioè come eventi separati e da noi percepiti. Ma proprio in funzione del fatto che essi possono essere GENERATI  nello spazio dellla MENTE. Vale a dire che una persona che ben conosca le leggi della manifestazione universale è senz’altro in grado di evocare fenomeni che ai più appaiono come straordinari o paranormali, solo perché questi ultimi non conoscono i misteri della propagazione fenomenica dell’energia mentale. Detto questo, è ovvio che anche le apparizioni di extraterrestri possono realmente accadere… ma pur sempre in quella sfera della manifestazione che appartiene ai lati oscuri e sconosciuti della mente. Perciò, come si suol dire, se non è zuppa è pan-bagnato. Quindi negare i miracoli  dovuti alla fede, per soppiantarli con i miracoli dovuti alla fantascienza, mi sembra che non sia un’operazione valida, né onesta. C’è chi intende credere ai miracoli della fede e ci sarà anche chi vuole credere che essi siano spiegabili in altre maniere. Ma sempre di eventi sovrannaturali si tratta….
JJJ

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TESTIMONIANZE: Nuove filosofie

LASSU’ NESSUNO CI AMA…”
di LUCA ARCHIBUGI (Tratto da Il Messaggero del 17/12/2005)

(Michel Onfray – foto – ha scatenato in Francia molte polemiche con il suo

‘Trattato di Ateologia’. In Italia il saggio è pubblicato da Fazi)

 

Ci sono filosofi che servono a vedere le cose in modo più chiaro: di questa risma è Michel Onfray, di recente a Roma per presentare il suo libro ‘Trattato di ateo!ogia’ (Fazi Ed.,224 pag.14 euro). Che cos'è l'ateologia? Si pone come una sconfessione di tutto ciò che attiene alla cultura spiritualistica e teologica, riaffermando un principio materialista derivato dal pensiero illuminista. Onfray è particolarmente avverso alla diretta emanazione della teologia, che è appunto la teocrazia. Ogni religione teocratica (in particolare quella islamica, fra quelle maggiormente operanti oggi), ha come obiettivo l'af­fer-mazione di una immagine superiore della propria fe­de. La conseguenza è quella di continui spargimenti di sangue in nome di un unico Dio, come la storia insegna.

Onfray afferma: «Il potere di Dio e il potere dell'uomo finiscono per diventare la stessa cosa. Apparentemente si oppongono, ma alla fine vediamo che essi parla­no lo stesso linguaggio, che è fatto di sopraffazione, domi­nio, volontà di schiacciare chi la pensa diversamente. Dio, nella Bibbia, schiude il mare in due per mostrare la verità. Queste sono immagi­ni leggendarie che non hanno un rapporto con la realtà. Finiscono con il generare soltanto superstizioni».

Al tempo stesso, ed è ciò che rende particolare la visione dl Onfray, il suo ateismo - che sembrerebbe diretto verso il relativismo ­- sfugge risolutamente alla trappola: «Il relativismo è dannoso. Ormai, col pretesto della laicità, tutti i discor­si si equi-valgono: l'errore e la verità, il vero e il falso, il serio e lo strava­gante, il mito e la favola, pesano quan­to la scienza. Ma, ad ogni modo, né Bibbia né Corano. Ai rabbini, ai preti, agli ayatollàh, agli imam e al mullah, continuo a preferire il filosofo».

Anche le sue posizioni politiche, nella discussione, assumono connotazioni precise, chiare: «Beh, io mi colloco molto a sinistra, decisamente nella sinistra radicale. Ma sempre nella democrazia. Il liberalismo, inteso come dittatura dei mercati, non mi soddisfa. Amo un capitalismo che lotta contro il capitale e contro le sue insite storture. Sembra un paradosso, ma non lo è. È un po’ come quando nella tradizione marxista è stato messo all'indice Bakunin, il maestro del pensiero anarchico. Bakunin non ha mai flirtato con le dittature, il suo pensiero è ancor oggi integro e utilizzabile. Mi considero un anarchico liber­tario. L'unica democrazia possibile è quella basata sul concetto di uguaglianza, di derivazione illuminista. Nel contempo, sono radicalmente antiliberale: il liberalismo impone solo la legge del mercato. Bisogna distinguere radicalmente il liberalismo dal capitalismo».

Da qui la necessità, per il pensiero e per il filosofo, di prendere posizione in senso universale, fuori dai particolarismi. Eppure, il pensiero ateo scarseggia, a cominciare dalla sua bibliografia, succinta e lacunosa: «Avete mai visto in una biblioteca uno scaffale con su scritto "Ateismo"?». È indubbio che Michel Onfray abbia ragione su que­sto fatto. Già la parola "ateo" designa qualcuno a cui sembra che manchi qualcosa.

Gli domandiamo qual è il particolare senso del sacro di un ateo. Onfray rifiuta la questione: «Il sacro, per un ateo, ha tutt'al più un valore metaforico. Tutto si può dire che è sacro, ma esso è un qualcosa che necessariamente appartiene ad una religione, ad una profes­sione di fede». Egli rifiuta esplicitamente una dimensione del sacro, perfino in Nietzsche, l'autore che troviamo anche come epigrafe in un altro suo libro tradotto in italiano (ha per titolo "Cinismo”, è stato pub­blicato da Rizzoli nel 1992 e sta per essere rimandato in libreria da Fazi): «In Nietzsche non è presente alcuna dimensione del sacro», egli dice.

Qui dissentiamo radicalmente, e solo per brevità rimandiamo all'opera di Didier Frank, ‘Nietzsche e l'ombra di Dio’ (Lithos, 2002). Tuttavia, il messaggio di Onfray è assai coerente e limpi­do. Così egli conclude il suo Trattato di ateologia, saggio semplice e diretto, che si pone come fondamento di tutta la sua precedente opera: «Contro tutte le teologie strampalate, preferisco fare appello alle correnti di pensiero alternative alla storiografia filosofica dominante: burloni, materialisti, radicali, cinici, edonisti, sensisti, atei, gaudenti. Essi sanno bene che esiste un solo mondo e che ogni offerta di un oltremondo ci fa perdere l’utilizzo dell’ unico e solo mondo esistente». --------------

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COMMENTO di Aliberth: Ci piace sempre leggere e mettere in evidenza gli invitanti scritti di pseudofilosofia di questi ultimi arrivati al tavolo del “Cinismo Divino”. In realtà, io credo che in tutti quelli che si sono avvicendati in varie epoche a trattare lo stesso argomento (cioè, ‘godiamoci ora questa vita nel miglior modo possibile, tanto di là non c’è Nulla’…), ci sia proprio la stessa unità di mente che si reincarna costantemente in nuovi individui pensanti, i quali, ovviamente, ripetono sempre le stesse cose. E, sempre ovviamente, tutte queste cose valgono soltanto per questa loro attuale e momentanea esperienza, nel mondo di qua, per gli attuali abitanti di questo mondo di qua. Molto probabilmente, nel mondo di là (o oltremondo), non se li fila nessuno. Basterebbe che essi si facessero la classica domanda, (Chi sono io?) e dovrebbero immediatamente starsene zitti, perché non saprebbero proprio più cosa dire né cosa pensare. Ma anche il chiedersi, che cosa li fa pensare, non sarebbe male come blocco delle loro astruse arzigogolazioni. Fermo restando che, per quanto riguarda il discorso sulle religioni sanguinarie, su questo potremmo anche essere d’accordo. Ma non mi sembra molto logico fare di tutta l’erba un fascio e gettare via il bambino con l’acqua sporca… C’è religione e religione, come pure ci sono verità e verità. Quella del Chan non è regalata. Bisogna andarsela a conquistare da soli e proprio in quel territorio in cui i cosiddetti materialisti non vogliono procedere, perché preferiscono tener chiuso il passaggio che c’è tra la mente materiale che apparentemente si trovano a incarnare e la mente spirituale che ha fatto accadere tutto ciò che questi inconsapevoli vedono come “mondo”.-----------------------------------------------JJJ

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TESTIMONIANZE:

Nietzsche e i filosofi dell’esistenza

di Majid Valcarenghi

[Tratto dal libro: AAVV,Lo zen e la manutenzione della politica,

Re nudo 1997]

Entriamo nell’epoca del disordine ma questa è anche l’epoca degli

individui più spirituali e liberi. Un immensa energia spirituale si sta

rovesciando. L’epoca del genio è finora impedita dai costumi, dalla

moralità e così via.                                Friedrich W. Nietzsche


  “I filosofi hanno interpretato il mondo, a noi tocca cambiarlo”. Quando Marx disse ciò, iniziavano a esprimersi quei maestri pensatori la cui opera avrebbe poi fornito uno sforzo parallelo di chiarificazione delle ragioni di quell’infelicità umana che corrode ogni tentativo di cambiamento del mondo. Ma fu con Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger, Sartre e altri che venne così la stagione dell’esistenzialismo come rivolta dell’individuo contro l’idealismo assoluto che giustifica la sofferenza del singolo in nome di un Piano più vasto. L’esistenza concreta di ogni individuo, i suoi bisogni e desideri, precedono ogni pretesa di stabilire l’esistenza di un’anima o di uno “spirito”. Alla nascita l’uomo non è predestinato da alcun destino, ma è libero di crearselo operando delle scelte la cui responsabilità sarà solo sua. Questo è vero nonostante i condizionamenti imposti dalle istituzioni (Chiesa, Stato, esercito…), in quanto la sfida alla libertà esistenziale si esprime anche nel rischio del fallimento, del nulla – e da questo rischio riceve valore. La stretta dell’angoscia è il sintomo di questa condizione umana, e quindi il sintomo del valore evolutivo della sofferenza: “soffro consapevolmente, dunque posso essere libero”, potrebbe essere una parafrasi esistenzialista che riecheggia Krishnamurti.

In questa prospettiva la disperazione stessa può essere la condizione di un nuovo, non dogmatico, paradossale rapporto con Dio, che nessuna chiesa può mediare. Su questa via sorse la proposta di un riscatto della morte dal peso del condizionamento religioso. Forse questo filone di pensiero ha contribuito ad accelerare quell’integrazione Oriente-Occidente, esperienza religiosa-scienza, che il mondo contemporaneo indica come possibile e necessaria per la sopravvivenza del pianeta. Nietzsche in particolare martellò implacabilmente il sapere religioso-moralistico nel quale vide le premesse della crisi che oggi viviamo. Ne denunciò il carattere mistificatorio e condizionante, per esempio nel suo continuo produrre miti di divisione, razze, patrie, nazioni, dèi, maestri esemplari… Ad esso oppose l’arte come pratica di decondizionamento attraverso l’esperienza del piacere dionisiaco, senza modelli né schemi.

Propose una gaia scienza che trascendesse il compromesso storico cartesiano tra scienza e religione, puntando a una “trasmutazione di tutti i valori” che tengono l’uomo ancorato a un senso provvidenziale delle sue miserie. Con la metafora dell’“eterno ritorno” cercò di indicare la possibilità di un decondizionamento dall’incubo del tempo, proponendo all’occidente un incontro creativo, una piena elaborazione del pensiero, inclusiva dell’esperienza orientale, un’“accettazione della vita” che superasse la malinconia delle religioni monoteiste occidentali. Egli additò all’uomo la possibilità di diventare superuomo, cioè di passare dalla volontà della conquista (dell’Altro, della natura…) alla volontà di potenza. Demolì le pretese di ogni morale indicandone per sempre il serbatoio inconfessato nel risentimento dei deboli e dei mediocri contro gli spiriti forti e creativi. E insieme chiarì che deboli non si nasce ma si diventa ogniqualvolta si sceglie di trarre godimento dall’asservimento ad altri.

Questa filosofia ha avuto successo solo tra pochi. Perché se all’uomo si toglie ogni finzione, ogni credo, ogni illusione, la vita pare amara, più difficile, mentre la menzogna è dolce, appaga i bisogni di sicurezza. Quando si è abituati a dipendere da altri, a non essere responsabili, la libertà fa paura. “Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo?”, si chiedeva Nietzsche nell’Ecce homo. La passione di verità di Nietzsche andava troppo al di là delle possibilità della mente e dei limiti del pensiero e non poteva che sfociare nella follia. Come ha detto Osho: “La follia di Nietzsche simbolizza il suo essere alla soglia della illuminazione, senza conoscere la chiave per accedervi.” Difficile per chi come noi ha imparato a conoscere i limiti e le trappole delle parole, non rendersi conto dell’importanza di coloro che hanno ripulito il linguaggio ridandogli una capacità di significazione nuova e formidabile. Heidegger in particolare ha svolto un immenso lavoro sulla/nella parola, giungendo a esiti espressivi simili alla poesia Zen. L’esperienza umana della parola viene portata a una tale profondità di senso da rendere possibile la descrizione del silenzio, un silenzio diverso da quello cupo e minaccioso delle religioni, un silenzio cantante, un silenzio di gioco e libertà, un silenzio come suono del vuoto, un vuoto che non risulta da nessun svuotamento autoritario, ma si apre continuamente come possibilità ripetuta di libertà, un vuoto che non fa più orrore ma impedisce che si formino ancora una volta i padroni del nulla: preti e politici. È l’occasione di un’esperienza della cosiddetta negatività che prescinda dal giudizio: negativo/positivo = male/bene. Angoscia, silenzio, vuoto, diventano verità dello sperimentatore, non certezze da maestro, e il dolore di esistere non è più segno del peccato originale, per diventare invece il gradino di una scala interminabile di godimenti senza padroni.

Su un altro versante, Sartre mise in evidenza come il concetto dell’uomo totale di Marx fosse in realtà ancora la rappresentazione di un uomo parziale: l’uomo nella materialità delle sue condizioni, come soggetto che fa parte del sistema sperimentale. Assolutamente ateo, egli criticò allo stesso tempo il concetto di trascendenza proposto dal dualismo cristiano, negando che fosse la trascendenza a fondare l’essere. Da questi postulati, probabilmente senza saperlo e volerlo, Sartre si avvicinò al concetto orientale di trascendenza, dove tutta l’enfasi è posta sulla potenzialità dell’uomo di realizzare pienamente il suo essere umano. Il suo pessimismo, che lo portò a definire l’uomo “una passione inutile”, non gli impedì infatti di pensare all’uomo che deve diventare uomo come “l’essere che sia degno di essere”, da opporre a quel concetto di trascendenza che presuppone un dio, un Essere supremo.

Il “no” gridato da Sartre a ogni convenzione sociale, a ogni conformismo ha rappresentato un fondamentale contributo, per almeno una generazione di ricercatori occidentali, a trovare la strada del “sì” all’esistenza. Questi filosofi hanno indicato agli uomini vie per potersi liberare da religioni e ideologie, condizione necessaria, ma non sufficiente, per diventare uomini liberi. Jaspers nella sua Philosophia scrive: «Dove non si incontra opposizione, la libertà si svuota, perché esiste solo come processo che si svolge tra opposizioni». Ma la libertà ha due aspetti: la libertà “da” e la libertà “per”. E la libertà “per” si esprime al di là di ogni relazione con l’altro. È la libertà che si sgancia da ogni opposizione, uno spazio aperto dove la creatività umana può giungere alle sue espressioni più alte, al silenzio, alla pace interiore. È “la prima e ultima libertà”, secondo le parole di Kishnamurti.-- ---JJJ

(Tratto dal libro: AAVV, Lo zen e la manutenzione della politica, Re nudo 1997)

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Commento di AliberthPoiché riteniamo giusto che non si debba ignorare qualunque posizione, anche quella di chi non è prettamente addentrato alla visione spirituale a cui noi in un modo totale aderiamo, abbiamo pubblicato questo interessante articolo di M.Valcarenghi, tratto dal sito://www.jubaleditore.net/. La nostra totale adesione alla visione spirituale del Chan non è certamente tale perché qualcuno ce l’ha imposta, ma perché noi stessi siamo arrivati a quella verità in base ad una diretta consapevolizzazione di come funziona la cosiddetta “realtà” degli esseri viventi. Lo stesso termine “esseri-viventi” delimita e parzializza la loro stessa realtà temporanea. Cioè essi sono ‘esseri’ finchè sono ‘viventi’, dopodichè tutto ciò che appartiene loro, e quindi a noi, la filosofia, il linguaggio, le pseudo-verità, opinioni e giudizi su questa o quell’altra verità, tutto torna nel vuoto, nel non-esistente. Dove sono, ora, Sartre e Nietzsche? Dove saranno tutti coloro che oggi prendono per oro colato le loro parole? Allo stesso modo, dove sono tutti coloro che presero per oro colato le parole del Buddha, di Cristo, di Maometto, senza veramente cogliervi la loro diretta partecipazione all’esperienza e realizzazione? Ecco, qual è l’unica cosa da prendere in esame e ritenere reale… la propria diretta esperienza, finché essa ha una durata. Dopodiché, anch’essa dovrà ritornare nello spazio vuoto della illusorietà, della non-esistenza, della non-realtà. Perciò, finchè siamo vivi, riempiamoci pure la bocca e la mente di queste cose attraenti, come la filosofia, la religione e la politica, oltre che con le altre cose di questo mondo. Ma almeno manteniamo nella mente la rammemorazione che la vera verità è la dimensione del vuoto di vera esistenza, di un dinamico cambiamento di ogni cosa e di un misterioso destino futuro per tutti quanti noi, altrettanto misterioso del fatto di come e perché siamo capitati qui, a discorrere di ciò che ci sembra reale o non-reale, in questo teatrino in cui tutti dicono la loro, senza sapere come stanno veramente le cose… JJJ

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IL SENSO della VITA

di LUIGI VACCARI

(Intervista a Ermanno Olmi, Regista)

(Tratto da “Il Messaggero” del 27/2/2006)


 

Dice Ermanno Olmi:

«Dobbiamo distinguere tra la vita in senso assoluto: il cosmo, la natura, e la nostra vita. In questo momento, in cui lei mi invita a fare questa riflessione che mi pongo raramente come domanda in ma­niera così urgente, trovo che il significato dato alla mia esistenza è lo stupore che posso ricevere dall'assoluto: da ciò che ve­do e da ciò che tocco. Sono le cose che dànno un senso al mio esistere: che significa essere in rapporto col mondo o al mondo. Questo a volte può determi­nare felicità. A volte stupore incantato, come i trasalimenti amorosi dell'adolescenza. A volte momenti dolorosi; che passano attraverso la mia carne, i miei sentimenti. E accade che il dolore degli altri mi metta in relazione con un mondo che mi fa soffrire. Soffro quan­do penso a quanto, in questo tempo, sta patendo il mondo, quindi la vita in senso assolu­to».

L'autunno prelude all'in­verno, ricorda, sta­gione in cui così tanta vita muore. «Ma accettiamo l'idea che gli alberi perdano le foglie, i prati inaridiscano, i tronchi di piante secolari siano schiantati dal gelo, perché quello che muore non provoca un’ assenza: lo spazio vuoto è su­bito colmato da un’altra forma di vita. Quando la morte si verifica nell'ambito degli accadimenti naturali, corrisponde ad una regola vitale: se vedo morire la pianticella di fiori che avevo coltivato tutta l'estate, mi dà tristez­za, non dolore. E' davvero dolore quando la morte è opera dell'uomo. Sento vergogna quando leggo notizie di atti criminali, di crudeltà, di vio­lenza, dove morire è cosa mini­ma rispetto a come si fa morire. Questo dolore è pari, come intensità, a quella felicità che provi quando ti innamori e tutto si sublima. Grande felici­tà e grande dolore sono la nostra relazione con la realtà. E quindi la nostra vita in relazio­ne alla vita di tutti».

- E al suo senso?

«Al "senso" del senso che la vita ha in assoluto e mi procura. La mia vita non ne avrebbe se non mi consentisse di cogliere il significato della vita in assoluto. Se ammiro un ampio panorama, o un cielo stellato e penso agli spazi co­smici, l'idea di appartenere a un mistero così straordinariamente infinito, incommensurabile, impenetrabile, da un lato, talvolta, mi dà addirittura una sensazione di paura, di sgomento (mi spaventa l'idea di essere presente in un universo sconfinato); ma, al tempo stesso, avverto anche la sensazione di percepire la conoscenza di ciò che è infinito. E' esaltante. Quindi il senso della mia vita è ciò che la vita ha in sé e dà senso al mio esistere» ribadisce Olmi, 75 anni, lombardo di Bergamo (ma che vive ad Asiago), regista di una trentina di documentari tecnico-industriali per la Edison e di oltre venti film, Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1978 con L'albero degli zoccoli, Leone d'oro alla Mostra di Venezia nel 1988 con La leggenda del Santo bevitore, in questi giorni impegnato alla revisione di Cento chiodi, dopo aver finito il premontaggio: «Costruita la casa, sto facendo le pulizie generali», sorride, e poi aggiunge:  «La storia che racconto potrebbe essere anche una storia mia». ..,

- Occasioni di felicità, di stupore incantato, di dolore: quali sono state prevalenti?

«Ci sono momenti in cui si arriva alla soglia estrema, o della felicità o del dolore. Quello che si sente nella stagione dell’innamoramento adolescenziale appartiene non solo alla vibrazione dei sentimenti, ma anche alla legge misteriosa che regola la vita delle cose ed è la ‘pulsione sessuale’. E allora non capisci più, non sai né puoi dire: fin qui, è sentimento, poi è carne, materia. Anzi, no: è tutto. Felicità e dolore non sono mai un’astrazione. Le due cose convivono. E quindi, non posso rispondere… sono onde: a volte sei all’apice della felicità; a volte ti sembra di sprofondare nella disperazione». Olmi racconta che ha sperimentato questa “coesistenza”, anni fa, quando improvvisamente si è trovato paralizzato in un letto e il corpo era estraneo alla volontà: «Al dolore per la malattia, che mi aveva così offeso da lasciarmi vivo in un corpo che non reagiva più, ha corrisposto il sentimento d'amore per me di Loredana, mia moglie: non l'avrei provato tanto intensamente se non avessi incontrato la sua mano che mi portava soccorso. Allo­ra, quando nel buio e nella solitudine assoluti in cui credi di essere, senti il calore di una mano o, come Pinocchio nel ventre della balena, vedi un lumicino, capisci che il grande dolore e la grande felicità sono vicini di casa».

- In quei momenti, non l'ha soccorsa anche la fede?

«No... No, no. Direi proprio una bugia se rispondessi di sì. Credo che Dio non parli con l'uomo: guai se lo facesse. Arrivo a dire che, forse, Egli non vuole nemme­no che si parli con lui. Ha nell'esistente i suoi rappresentanti: parla attraverso la luce, il buio, l'erba, i fiori, le persone... Io non ho fede in un Dio che trascende ciò che in assoluto è la vita. Quando ho avuto il problema di quel profondo abisso, ho sentito chi, per confortar­mi, mi diceva: "Devi avere fiducia in Dio". Non ne avevo: avevo fiducia nelle persone che volevano aiutarmi. E pen­so che Dio voglia proprio questo: se davvero è il creatore della vita, Egli vuole che noi parliamo alla vita. Ecco, quindi, una carezza, un profumo, il suono di una voce, la calma visione di uno spicchio di paesaggio al di là della finestra di una camera d'ospedale».

- Parlare alla vita allontana il pensiero angoscioso di quel “toc-toc” (uso una sua espressione), che annuncia la conclusione dell'avventura?

«La morte non trascende la vita: è un momento della vita. Come la pianticella che sfiori­sce». Olmi ricorda quando andava all'Oratorio ad imparare il catechismo: «Mi dicevano: "Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo". Oppure: "Dio sa tutto e vede tutto". Nella mia mente di bambino non l'afferravo nella sua inequivocabile, precisa allusione. Se Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo, e sa tutto, e vede tutto, che cos'è, se non l'esistente stesso?.. Non posso pretendere di sapere tutto. Mi piacerebbe. Parlare come stiamo facendo noi, pur conoscendoci da tanti anni, ci arricchisce di un sapere maggiore dell'uno e dell'altro... Il senso dellla vita non bisogna andare a cercarlo. Occorre pòrsi in ascolto, in silenzio, non solo fisico; liberandoci dai preconcetti, dalle aspettative che corrispondono a degli esiti già precostituiti».                                     

- Per esempio...?          

«Se nel silenzio mi metto ad ascoltare il silenzio, un po’ come succede col soffitto, scopro che ci sono dei suoni. Se già mi aspetto di udire dei sibili o il fruscio degli alberi o una certa musica, non noterò altri suoni perché mi aspetto di ascoltare quei sibili, quel fruscio, quella certa musica. Se invece mi metto in ascolto, stando sgombro da attese, da pregiudizi, il silenzio mi rivela un'infinità di cose che non mi sarei mai aspettato di ascoltare. E’ così pure nei colori. E così in tutto. Vale a dire: stiamo in silenzio, ascoltiamo, lasciamoci pure sorprendere».

Olmi racconta che, forse, da bambino ha avuto delle opportunità per trovarsi in situazioni del genere: «Un giorno, che ero sfollato a causa della guerra, mi capitò, giocando, di salire su dei grandi castagni che erano in un bosco in autunno producevano castagne straordinarie, che noi andavamo a prendere per mangiare... quel giorno mi trovai in cima abbracciato a un albe­ro, non solo nel silenzio, ma anche sopraelevato. Eh, beh, tutto questo mi è rimasto dentro. E quante volte mi accade, anco­ra adesso, di godere di questi momenti... E ogni volta il silenzio mi sorprende con cose nuove».

- E questo contribuisce a dare un senso alla sua vita?

«Si, questo.- Non sono soltanto i suoni che mi sorprendono nel silenzio. E ci sono tanti silenzi: del pensiero, persino della consapevolezza di essere fisicamente vivo. E questo dà un senso al mio essere al mondo». (fine)                         ---JJJ

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COMMENTO di ALIBERTH: Quando si dice che, spesso, la vita è il nostro vero maestro… Ecco un preciso esempio di come una persona del mondo, inserita certamente nelle cose del mondo (addirittura, un regista cinematografico, il massimo di chi vive nell’illusione…), può essere tuttavia così saggio da capire il…senso della vita. Certo, qui non ci sono riferimenti dottrinali, né conoscenze di teorie filosofiche, più o meno verosimili, ma c’è molta saggezza spontanea. Olmi, in questo articolo, dimostra che alcuni individui fortunati (almeno nel senso coscienziale) sanno ben comprendere il linguaggio della verità dell’esistenza, senza dover sottostare ad anni e anni di tirocinio spirituale.

D’accordo, questo tipo di saggezza è alquanto un po’ arida e priva di speculazioni metafisiche e trascendenti. Forse, essa pecca anche un po’ di presunzione, poiché è basata solo sulla propria esperienza personale… Ma chi può negare la sua efficacia? E, comunque, se dopo anni e anni di studi religiosi e sperimentazioni filosofico-spirituali una persona poi giunge allo stesso punto in cui qualcun altro, spontaneamente, riesce a comprendere ciò che è più essenziale, in questa nostra avventura vivente, non si può far altro che prender atto che, anche se invero pochi, i saggi esistono per davvero. Questo però non significa che, chi si è fatto il mazzo a lavorare assiduamente su di sé, grazie alle istruzioni di una via sapienziale, non sia meno valido e meno saggio. Probabilmente, quest’ultimo individuo, ha avuto questa chance proprio perché, nel modo spontaneo, non ci sarebbe mai riuscito. Esattamente come il 99 per cento degli esseri viventi, dotati sì di capacità mentali, ma totalmente offuscati dall’ignoranza e dall’egoismo che impedisce loro di poter arrivare a comprendere, in modo così spontaneo,il vero senso della vita!+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++ 

 

 

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