Il TAO del CHAN-ZEN

di Stan Rosenthal –

(con una traduzione del Tao Te Ching) –

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                                                      PARTE PRIMA

 

UNA INTRODUZIONE AL TAOISMO-ZEN - ED AI SUOI PRECETTI 

 

Insieme a molte cose insolite, profonde o complesse, è più facile dire che non è Zen, piuttosto che dire che lo sia. A molte persone, guardandolo dal difuori, lo Zen sembra essere un processo introverso in cui il praticante siede per ore, contemplando, sognando ad occhi aperti, o subendo una qualche forma di analisi auto-indulgente. Per altri, che forse hanno letto qualche storia Zen, è una filosofia per vivere da guerrieri; mentre coloro che si interessano di ricerche culturali, probabilmente interpretano le informazioni con cui esse sono presentate come significato che lo Zen sia per una élite intellettuale. 

Per aumentare la confusione, alcune pubblicazioni dagli Stati Uniti durante gli anni ‘50 e ‘60, descrissero varie esperienze psichedeliche come 'simili allo Zen' (che invece, chiaramente, non lo sono). Siccome comparativamente in lingua Inglese vi erano poche autentiche informazioni disponibili sullo Zen, a quel tempo, divenne un quasi comune pensiero che lo Zen fosse una specie di 'filosofia hippy' o 'alternativa', mentre in realtà le ingannevoli informazioni pubblicate in quel periodo ora sembrano essere state un tentativo di promuovere l'uso (o l'abuso) di dure droghe, un'attività che nessun praticante Zen perdonerebbe. Tali equivoci sono ovviamente di uso comune, e facilmente possono avvenire nei riguardi di ogni filsofia, specialmente per il fatto che la filosofia non è qualcosa a cui molte persone pensano, e ancor meno praticano nella loro vita. 

Mentre il ritratto 'hippy' è un ritratto impreciso, dipinto da quelli che si sono apprestati a capita-lizzare i bisogni di privazione (discussi più tardi), ignoranza o debolezze di altri, le altre tre figure, il guerriero, l'intellettuale ed il meditante sono abbastanza valide, ed ognuna in qualche modo è alquanto simbolica dello Zen, perché ciascuna rappresenta la battaglia che potremmo ingaggiare quando si cerca di scoprire la nostra propria reale natura. Talvolta questa battaglia sarà piuttosto feroce, mentre altre volte può essere un processo stressante, ma un processo che dà luogo a quiete e serenità. 

Tuttavia, in ciascun esempio, è un equivoco pensare che lo Zen non sia nulla di più che le arti marziali, intellettuazione o meditazione, poiché esso è molto di più che queste, ed anche più di un auto-risveglio; esso contiene una profonda filosofia che virtualmente può essere applicata ad ogni situazione, ed è stata la fonte di ispirazione per innumerevoli individui e molti aspetti della Società Orientale così come di quella Occidentale. La sua influenza varia dalle belle arti creative, alle arti marziali; dal dramma all’arte ceramica, e dalla letteratura alla filosofia. 

Alcuni precedenti fraintendimenti riguardo allo Zen risultarono probabilmente dal fatto che esso era perlopiù le arti marziali, piuttosto che le creative belle arti che servirono a presentare lo Zen in Occidente, perché vi è stato un interesse mondiale nelle varie forme di combattimento ed autodifesa, come Karate, Judo, Ninjitsu, Kendo, Iaido e Aikido, che hanno le loro radici nella filosofia Zen. Comunque, nel mondo della letteratura ora c'è un risveglio di apprezzamento della poesia Zen compendiata da Haiku, Waka e Tanka, mentre nella musica il suono dello Shaku-hatchi non è più molto strano ai nostri orecchi. L'effetto dello Zen sulle arti grafiche come modo e moda superficiale ora è ben noto, mentre in psicologia, sociologia e politica internazionale, la influenza dello Zen Taoista è stata irrobustita da opere di così eminenti scrittori, come Erich Fromm, Carl Gustav Jung, Abraham Maslow e Dag Hammarskjold per enumerarne solo quattro, e nell'arte ceramica il lavoro dei vasi raku di Shoji Hamada, eccheggiano la stessa filosofia. 

Per coloro che hanno poca familiarità con lo Zen, potrebbe sembrar strano che una sola filosofia possa includere ed influenziare così tante aree della vita, ma per i praticanti di Zen non c'è nulla di sorprendente in tutto questo..., infatti probabilmente essi sarebbero sorpresi se non fosse così. Questo non è per implicitare che nel mondo tutto sia stato influenzato dallo Zen, e né per pretendere che le più eminenti persone in ogni campo di attività siano state influenzate dallo Zen, ma si può ben dire in tutta onestà che il Taoismo-buddhismo-Zen (cioè il Chan, la forma più grande di Zen) ha influenzato tantissime persone, le quali attraverso la loro stessa applicazione della filosofia Zen, hanno realizzato il loro proprio potenziale creativo, e creato positivi segni sul mondo, non meno di quanto lo siano gli espliciti e talvolta particolarmente coraggiosi argomenti per la pace del mondo. 

Atti come questi, la radicata filosofia profonda, la sua applicazione a vastissima scala in topiche aree della vita, stanno ad indicare che lo Zen è diverso da altri modi di vivere. Quand’anche si consideri che pensieri e parole siano importanti, si deve considerare che lo è anche l'azione. A tal riguardo, una 'azione' può essere un atto singolo, o può essere 'l'atto di vivere' che è cioè 'la maniera in cui noi viviamo le nostre vite. Questa chiaramente è la notevole differenza tra lo Zen ed altre filosofie o religioni, che spesso soddisfano i loro aderenti a livello concettuale, verbale, o 'nell’aspetto pubblico', e che non li obbligano a mostrare alcun genere di prova 'attiva'. 

Brevemente, poi, la prova della filosofia Zen è nella sua stessa applicazione. Ciò non significa che lo studente di Zen deve provare al suo insegnante (chiamato 'Roshi', il che letteralmente significa 'vecchio studioso') che tutto quello che lui fa è un atto Zen; ciò che implica è che come lo studente progredisce nello studio e nell’applicazione, la maggioranza delle azioni concernenti la vita è compiuta in una maniera Zen. Proprio ciò che è, il che costituisce una 'maniera Zen', è difficile a definirsi in forma sommaria, ma in essenza, è agire secondo i principi dello Zen. E nel buddhismo-Zen questi principi fondamentali si trovano nelle 'Quattro Nobili Verità' e nel 'Ottuplice Sentiero', mentre nel Taoismo-Zen (discusso in dettaglio più avanti) essi si trovano nei 'Precetti, che sono orientamenti che si crede portino l'individuo alla realizzazione (fare reale) del suo vero potenziale latente. 

Nel Taoismo-Zen non c’è la pretesa che applicare i precetti sia facile, ma questo non è tanto dovuto ai precetti in sé, quanto agli aspetti manipolativi, inibitori, ed anche un po’ dannosi della società, che ci assistono nella sopraffazione. Agli studenti novizi di solito si rammenta, quando 'l'andare diventa arduo', che se i precetti non fossero necessari non ci sarebbe alcun bisogno dello stesso Zen, e che se fosse facile applicarli non ci sarebbe bisogno di 'sesshin' (la riunione del gruppo), di 'naisan' o 'dokusan' (insegnamenti privati, e riservati), e nessun bisogno di uno studio privato. 

Il Taoismo-Zen ritiene che la maggioranza degli esseri umani sia nata con un potenziale inerente, che non è mai realizzato (cioè, reso reale per essere manifestato o usato), perché è inibito o represso da certi elementi negativi della società, a cui noi permettiamo di governare, spesso per difetto, le nostre vite. Il fatto che lo Zen non è mai stato, e probabilmente mai non sarà, una 'filosofia stabilita' è dovuto forse al fatto che esso considera la filosofia economico-socio-politica di un ordine più stabilito ad essere generata intorno a ciò che si chiama 'motiva-zione auto-servente' (il bisogno, da essi percepito, di servire o conservare il loro proprio potere o autorità, piuttosto che servire quelli che danno a loro quel potere o autorità). Nello Zen, questa motivazione di servizio personale è ritenuta essere un notevole elemento negativo nella nostra vita, i cui aspetti manipolativi sono spesso rispecchiati all'interno delle più piccole unità della struttura sociale (anche la famiglia), e tra gli individui, a tutti i livelli dal pubblico e politico al personale ed intimo. 

Si deve tuttavia ammettere che c'è un particolare problema che sta sotto all’applicazione dei precetti Zen-Taoisti; e il problema non sta nell’applicarli realmente, ma nel comprenderli.  Questo problema esiste per molti studenti Zen novizi, ed è in massima parte dovuto (si deve ulteriormente ammettere) al linguaggio esoterico o mistico nel quale essi sono espressi. Vi sono stati tentativi di spiegare la ragione per questo, ed il più comune è che il Taoismo-Zen è esso-stesso essenzialmente spirituale. Ma a questo io proprio non credo. Senza entrare in dettaglio nella storia del Taoismo-Zen, è speranzosamente sufficiente dire che Lao Tzu e Boddhidharma, che tra loro dettero origine a quella che noi chiamiamo la filosofia Zen-Taoista, erano entrambi uomini estremamente pragmatici. Questo non è dire che essi fossero senza spiritualità, ma loro erano entrambi 'nel mondo', interessati più a salvare l’umanità da se stessa, che da qualsiasi cosa che potrebbe esistere su un 'piano spirituale'. 

Avendo, tuttavia, accettato che la letteratura del Taoismo-Zen è più che liberamente cosparsa di frasi poetiche, esoteriche o mistiche, la questione rimane ancora quanto al perché, se questo è il caso, se esso intende essere pratico e utile. Per fortuna, non c'è nessun bisogno di spiegare la natura poetica di molta letteratura, poiché ciò che è bello deve essere difeso soltanto contro i barbari, ed una ragione del perché così tanta letteratura Zen è avvolta nel misticismo, secondo me, è identico a questo. Gli è che l'uso di questo stile difese gli insegnamenti dalle stabilizzate figure e gruppi che potevano averli percepiti come un pericolo ai loro propri interessi auto-serventi se esso fosse stato dichiarato in termini più ovvi e comprensibili. 

La seconda ragione per l'uso di tale linguaggio è, io credo, l'inerente limite della stessa lingua.  Quelle condizioni, processi ed esperienze di cui lo Zen parla non sono mistici di per "né, ma sono intesi per essere sperimentati, e molti di essi possono essere capiti bene solamente attraverso l’esperienza. Il Bodhidharma espresse perfettamente questa natura 'esperienziale' dello Zen nella frase, "Lo Zen è una trasmissione oltre le parole". 

È con queste parole in mente che lo studente Zen è avviato sia allo studio che alla pratica; e la ragione per questo è che la realizzazione dello Zen avviene attraverso entrambi. Mentre un libro potrebbe offrire un mezzo di studio, non c'è libro che sia un valido sostituto all’esperienza. La sesshin Zen è non solo un 'gruppo-di-studio' perché offre anche l'opportunità per l’esperienza... e ciò che potrebbe essere sperimentato in una sesshin Zen-Taoista è un qualcosa sulla realtà dei precetti. In ogni modo, lo Zen insegna che 'l'esperienza rende reale la conoscenza', e non che l'esperienza sostituisce la conoscenza. Purché noi si entri nello Zen 'con una tazza vuota', ogni Roshi Zen-Taoista apprezzerebbe il fatto che un probabile studente abbia almeno cercato di scoprire cosa è lo Zen..... e ciò che esso è, è descritto nei suoi precetti che sono discussi nelle pagine seguenti. Per vostra convenienza, tuttavia, e perché a molti di noi piace sperimentare dove stiamo andando, prima di arrivarci (o in certi casi, perfino prima di mettersi in viaggio), qui sotto sono elencati i precetti. 

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1) Abbi compassione per tutti gli esseri senzienti, non provocar loro alcun male non necessario, né alcun danno superfluo. 

2) Tienti lontano dalla superflua competitività, dall'escogitare l’auto-vantaggio, e dal soggiogare gli altri. 

3) Quando in qualche modo accetti l’autorità sugli altri, sappi anche che stai accettando la responsabilità per il loro benessere. 

4) Valorizza la vera amicizia, e completa i tuoi obblighi, anziché sforzarti con motivazioni egoistiche. 

5) Cerca la liberazione dalle passioni negative e lascia che la mente sia come acqua che scorre. 

6) Quando sei costretto ad agire, ricorda che la corretta motivazione è essenziale per la corretta azione, proprio come il pensiero corretto è essenziale per il corretto parlare. 

7) Stai attento a non creare oneri e incarichi pesanti da portare, per te o per gli altri. 

8) Agisci con la dovuta necessaria distinzione, essendo sia creativo che ricettivo, e trascendendo la dicotomia soggetto/oggetto. 

9) Sappi che tu non sei il centro dell'universo, ma impara a mettere l'universo al tuo centro, accettando l'istante del tuo essere. 

10) Cerca la sicurezza all'interno di te, piuttosto che negli altri. 

11) Sappi che perfino la più grande ricchezza mondana, e l'accumulazione delle cose materiali, sono di ben poco valore, paragonati agli incalcolabili tesori: amore, pace e libertà per crescere.

12) Sii te stesso, così che la tua vita possa divenire un periodo di fioriture. 

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                                                PARTE SECONDA

 

AGIRE CON MOTIVAZIONE CORRETTA: SENZA ESCOGITARE VANTAGGI PER se stessI 

 

Ci sono molte filosofie che insegnano che le 'azioni si fanno sentire più fortemente delle parole', ma nel Taoismo-Zen è sia il pensiero, o la motivazione, che l'azione, ad essere considerati importanti. Questa visione fu espressa da Lao Tzu che nel sesto secolo prima dell'era Cristiana, scrisse la definitiva opera della filosofia Taoista, un libro di ottantun capitoli brevi ma espressivi,  

noto come il 'Tao Te Ching'. Esso fu il solo lavoro scritto di Lao Tzu, ed è stato tradotto dall’ originale Cinese classico in più lingue moderne, di cui oltre trenta traduzioni sono in Inglese. Nel capitolo trentasette del Tao Te Ching, Lao Tzu ci dice, 

         Agire senza una intenzione forzata è agire senza dover escogitare; 

         questo è il metodo della natura, e così è il metodo del Tao." 

Questo è anche espresso nei precetti come, 

         "Sappi che la corretta motivazione è essenziale per la corretta azione, 

         proprio come il  pensiero corretto è essenziale per il corretto parlare". 

 

Asserzioni come questa danno frequentemente origine alla domanda, "Ciò che lo Zen insegna è corretto, e cosa di ciò che insegna è sbagliato?". In tal senso, si deve ammettere che è difficile seguire l’insegnamento Zen per il non iniziato, perché esso dice assai poco circa il 'peccato', ma dà esempi per intendere ciò che dovremmo ponderare da noi stessi su questioni come giusto e sbagliato, e ovviamente, gli altri problemi sollevati dai precetti. 

Questi esempi sono spesso offerti nella forma di 'koan', che sono una sorta di indovinelli o paradossi, talvolta fatti come domande o semplicemente raccontati come storie dal maestro-roshi durante una parte della sesshin nota come 'sosan' o 'sanzen', il periodo durante il quale il roshi si rivolge agli studenti in gruppo. Alternativamente, il roshi potrebbe presentare un koan per uno studente durante il 'naisan' o 'dokusan'. In entrambi i casi, tuttavia, il tipo più difficile di koan è probabilmente quello affermato semplicemente come una storia, di solito presa dalla vita reale e riferita come 'genjo koan'. La ragione per questo è che di solito per lo studente è difficile lavorare sul problema che la storia si suppone contenga. Potrebbe essere, e spesso è così, che il problema o esercizio messo dal roshi è di imparare a identificare l’attinente problema contenuto all'interno della storia. 

Un esempio di ciò, è dimostrato nella storia seguente, che si riferisce ad un aforisma citato nella parte precedente, concernente la 'corretta azione e corretta motivazione' riferita a uno studente quando lui incontra il roshi per la prima volta. L'aforisma è un’ammonimento, preso da 'Il Tao, la Porta senza Porta', una piccola raccolta di storie Zen-Taoiste. Questa particolare storia narra di un giovane che desiderava frequentare la sesshin di Zen. Avendo un amico che già la faceva, lui chiese se il suo amico poteva far menzione al roshi che egli avrebbe gradito frequentare. Il suo amico fu d'accordo, ma lo ammoni in questo modo, 

 'Se il roshi è d'accordo ad incontrarti, per causa di bontà, stai attento a non apparire come se tu pensassi di sapere troppo. Il roshi è davvero molto gentile, ma lui crede realmente che noi non dovremmo mai vantarci di ciò che sappiamo. Una volta, lui raccontò una storia di un antico  insegnante che incontrò un nuovo studente per la prima volta. Bene, sembra che lo studente menasse vanto di ciò che egli già sapeva, ma l'insegnante ignorò il suo vantarsi, e allora chiese allo studente se avesse gradito una tazza di tè. Lo studente teneva la tazza, ed il vecchio maestro cominciò a versare un po' di tè in essa.... ma lo studente continuava a vantarsi. Più lo studente si vantava, e più il maestro versava il tè, finché esso inondò sopra il grembo dello studente. Lui gridò al maestro di fermarsi, ed il vecchio così fece, ma disse, "Quando la tazza è piena, vedi, non c’è più spazio. Quindi se tu vuoi sorseggiare questa mistica saggezza, assicurati di venire qui con una tazza vuota". 

Il giovane alla storia rise, e ringraziò il suo amico per l'avvertimento, assicurandolo che lui lo avrebbe ricordato. Quando giunse il tempo per incontrare l'insegnante, si presentò inchinandosi  profondamente, e disse, "Vedi, maestro, la mia tazza è vuota". A sorpresa, l'insegnante scosse malinconicamente la sua testa, e gli disse, "Oh caro. Sarebbe meglio che tu vada via, e ritorni quando hai imparato le buone maniere". 

Quando il giovane in seguito vide il suo amico, si lamentò del trattamento che aveva ricevuto, e gli raccontò esattamente quello che era accaduto. Il suo amico rispose, "Ciò è davvero penoso, ma tu non puoi dire che io non ti avevo avvertito". 

 

Se questa fosse la vostra prima introduzione ad un koan, non siate troppo preoccupati se non capite pienamente le sue implicazioni. Ciò che si intende illustrare è che le motivazioni, parole ed azioni devono sostenersi l'un l'altra. Nel koan appena citato, anche se l'inchino dello studente (l'azione) era adatto, le sue parole implicavano che lui pensava sia di sapere che di capire circa l’avere 'la tazza vuota'. Comunque, il fatto che fu la prima cosa che disse, illustrò all'insegnante che non lo capiva ancora abbastanza bene per applicarlo, perché esso dice realmente che uno studente, specialmente un novizio, dovrebbe accettare di far vedere di sapere molto poco, in special modo a paragone con un insegnante da cui egli desidera imparare. 

A chi non sa niente di Zen, nel koan, la risposta del roshi allo studente sembrerebbe piuttosto aspra. Tuttavia, la relazione tra ogni insegnante di Zen e lo studente è speciale, e perciò ciò che accade nell'incontro iniziale è importante, specialmente se offre allo studente ed all’insegnante un'opportunità di decidere se essi sentono che vi sia una sufficiente 'empatia' tra di loro, perché la relazione di maestro/discepolo sia di valore. Questo è descritto in un breve verso da 'Il Tao, la Porta senza Porta', 

         'Con quello stesso diritto, lo studente deve scegliere la sua guida, 

         anche il maestro fa la sua scelta a chi insegnare, e chi lasciar andare. 

         Perché come lo studente cerca un maestro in chi egli vede che lui cerca, 

         Così fa il maestro che, attraverso la sua esperienza, cerca di esaminare

 lo studente, e la sua buona volontà di voler imparare." 

 

Mentre alcuni seguaci di Zen credono che si dovrebbe dare più istruzione su ciò che è sbagliato o non dovrebbe essere fatto, in generale e nelle situazioni specifiche, altri sostengono che l'enfasi su ciò che è corretto porta naturalmente alla 'corretta motivazione e corretta azione', e che a sua volta ciò porti ad un atteggiamento positivo verso la vita. In essenza, la 'motivazione corretta' è una motivazione che è diretta verso l’interazione armoniosa, mentre 'corretta azione' è la manifestazione fisica o realizzazione (fare reale) di quella motivazione. Ci sono molte cose come questa, che lo Zen sostiene essere 'corrette', e queste sono descritte nei precetti da tali asserzioni come, "Abbi compassione per tutti gli esseri senzienti, non provocar loro alcun male non necessario, né alcun danno superfluo".  

Si dovrebbe notare che questa frase parla di 'male non necessario' e 'danno superfluo' come se non causare di far male o danneggiare sia impossibile. Questa, in effetti, è un’esatta percezione

della visione Zen, e cioè che è molto improbabile che noi si possa passare tutta la vita senza mai provocare alcun male o danno. Per esempio, noi possiamo causare di uccidere un animale o una pianta per cibarci come necessità della vita; e molti genitori sono rimasti male quando i loro figli hanno lasciato la famiglia, anche sapendo logicamente che ciò è un naturale avvenimento.  In nessun caso questo può significare che il male sia causato intenzionalmente, ma non sarebbe realistico credere che ciò non accada affatto, proprio come dovremmo accettare che usare uno strumento appuntito per rimuovere una scheggia possa provocare male, pur se è una necessità, anche solo come atto di compassione che noi potremmo eseguire per prevenire un'infezione, che altrimenti arriverebbe. 

La vera compassione, descritta nel Taoismo-Zen, sembra essere alquanto diversa da quella descritta in molte religioni; o almeno fin quando interessano le sue motivazioni, perché ci viene detto nello Zen che perfino un atto che potrebbe beneficiare un'altra persona non è realmente un atto di vera compassione se è eseguito per ragioni di auto-vantaggio. In questo esempio sembra che molte religioni insegnino che la compassione può 'andar oltre la tomba', poiché esse informano che la nostra ricompensa per tali atti sarà trovata in cielo. Lo Zen non garantisce una tale promessa, e considera errato che noi si debba essere compassionevoli per 'immagazzinare crediti' come se il Cielo fosse una grande 'Università Aperta del Cosmo'. La visione Zen-Taoista è che non dovremmo mai essere privi di compassione perché, senza compassione, noi siamo incompleti; mentre se abbiamo la compassione come facente parte del nostro essere, allora noi non avremo bisogno di escogitare o pensare di 'essere' compassionevoli. Questo, è come dire che riguardo alla compassione, noi dovremmo essere senza la motivazione. Nel capitolo cinque del Tao Te Ching, Lao Tzu dice, 

         "Perfino quando sembra agire in una maniera gentile o benevola, 

         il saggio non sta agendo con tale intento, perché egli è del tutto indifferente." 

Questo non significa che il saggio sia indifferente alla sofferenza o alle necessità umane, ma che quando lui compie un atto compassionevole, lui lo fa semplicemente perché è la sua natura di far così, piuttosto che per qualche senso di moralità o ricompensa. Il Taoismo-Zen considera che ci sono tre preziosi attributi, vale a dire, la compassione, l'efficienza di sforzo, e il coraggio. Sui benefici della compassione, Lao Tzu ci dice (nel capitolo sessantasette), 

         "Soltanto colui che è compassionevole può mostrare il vero valore, 

          e nel difendere, mostra tutta la sua grande forza e il coraggio.

 La compassione è il mezzo con cui l’umanità può essere protetta e salvata, 

          perché il Cielo abbraccia con compassione quelli che non vuol veder distrutti". 

Benché da alcuni è considerato che lo Zen non dia sufficienti informazioni su ciò che considera 'sbagliato', ciononostante c'è un particolare modo in cui in effetti lo fa, dandoci un consiglio o una direzione per allontanarci da quello che esso considera 'sbagliato', o per essere più precisi, per tirarci via da quello che esso considera dannoso allo sviluppo dell'individuo e della società. Nei precetti noi veniamo consigliati a, 

         "Cercare la liberazione dalle passioni negative  di odio, invidia, avidità ed ira, 

          e specialmente da illusione, inganni, falsità e desideri sensoriali." 

In molti aspetti, questa asserzione si riferisce strettamente al precetto relativo alla frase: 'male non necessario e danno superfluo', poiché lo Zen ci insegna che il male e il danno sono spesso causati inutilmente o superfluamente come risultato di queste 'passioni-non-necessarie'. Esso ci insegna che la liberazione da esse riduce per noi la probabilità di fare il male, che danneggia gli altri. Esempi di danni causati ad altri come risultato di odio ed ira sono di per "né ovvi, ma invidia e avidità sono anch’esse emozioni negative che possono spingere l'individuo avventato a dire o compiere atti negativi contro gli altri di cui più tardi potrebbe pentirsene. Comunque, non è solo il male o il danno che noi provochiamo agli altri la preoccupazione dello Zen, ma anche il male o il danno che potremmo causare di dover subire noi stessi, ed è per questa ragione che è inclusa l’illusione ingannevole come passione o emozione negativa. 

Come è stato affermato nella prima parte, ci sono molti malintesi riguardo allo Zen, e quelli che non conoscono la sua realtà talvolta sono convinti che esso sia un 'culto', simile in qualche modo a quelli che accrescono i loro seguaci con promesse di ricompense come un’ 'immediata-illuminazione', 'la liberazione sessuale', o 'la salvezza eterna'. Ovviamente, lo Zen non promette nulla di tali offerte (infatti non fa nessuna promessa) e non offre ricompense. Tuttavia, ciò che esso fa è di offrire un 'sentiero alternativo' ad alcuni, e non ad altri. Sulla scelta di un Sentiero, il 'Tao, la Porta senza Porta' ci dà il seguente consiglio, 

         "Molti sono i veri sentieri che conducono direttamente all’illuminazione, 

         e non c'è nessun illuminato che negherebbe la verità di alcuno di questi. 

         Ma fra quei sentieri, dovremmo evitare quelli che negano l’illuminazione 

         Per tutti coloro che hanno scelto di percorrere gli altri sentieri. 

         Ed anche, sono falsi quelli che cercano di gratificare il corpo, i sensi, o la mente, 

         e quelli che richiedono che noi dobbiamo astenerci dalla vita mondana. 

         A parte questi, non abbiamo nessun diritto di negare all’uomo il suo sentiero scelto, 

         a meno che il suo sentiero neghi il nostro altrettanto diritto di scelta, 

         o che possa essere visto come voler danneggiare colui che ha fatto la scelta. 

         I Veri Sentieri conducono tutti a quel luogo che possiamo chiamare illuminazione,

         e tutti gli uomini hanno il dono per usarlo, per andare oltre il loro concetto di sé, 

         che essi, o altri, sono stati obbligati a predeterminare come ciò che essi sono,

         e quello che tutti quanti, immersi nell’ignoranza, dovrebbero così rimanere". 

Qui è ben illustrato che lo Zen non si considera l'unico sentiero di valore, perciò questo verso offre un avvertimento contro quei percorsi che offrono le 'fughe' dalla realtà, per mezzo di una 'gratificazione del corpo, dei sensi o della mente', o con l’illusione ingannevole (quei percorsi che 'danneggiano colui che fa la sua scelta'). 

Desiderio sensoriale (letteralmente il desiderio di 'alimentare' o gratificare i sensi) è considerato essere una forma di avidità o bramosia per ciò che vediamo o apprendiamo attraverso qualcuno dei sensi, e di cercare di ottenere disinteressandosi delle considerazioni etiche. Questo non vuol dire che noi dovremmo cessare di volere o necessitare le cose, né che noi dobbiamo ignorare i piaceri sensoriali; piuttosto implica che non dovremmo permettere alle considerazioni sensoriali di diventare prioritarie nella nostra compartecipazione con gli altri esseri umani. Nello Zen, viene considerato che tali desideri, se non calmierati da compassione o considerazioni etiche, sono spesso causa di venire portati alla falsità, altra emozione negativa da cui dovremmo cercare la liberazione. Tuttavia, non sono soltanto i sensi che esigono gratificazione, perché vi sono molti che vivono tutta la loro vita nella ricerca di 'gratificare la mente'; ovvero, intellettualizzando anziché sperimentando la loro vita. Un’altra storia da 'Tao, la Porta senza Porta' illustra in modo alquanto divertente come questa 'ricerca della conoscenza' sarebbe mal adoperata (e come un insegnante Zen potrebbe aiutare uno studente ad attraversare quella 'barriera'). Il genere di discussione illustrata, sulla natura dell’esistenza, e come e ciò che noi sappiamo di essa, è nota nella filosofia occidentale come 'epistemologia' (teoria della conoscenza). Questa storia indica come lo Zen tende a trattare con tali questioni in una maniera non-intellettuale. 

"Un maestro ed il suo studente stavano seduti accanto ad una pietra. 'Io dico che quella pietra esiste', disse il maestro. Lo studente rispose, 'E io dico di no, perché la figura che noi vediamo delle cose percepite, sta solamente nella mente'. 

Allora il maestro disse, 'Giusto, allora prendi a calci quella pietra che non c’è'. 

Lo studente rise e replicò, 'No grazie, e che mi dici del dolore che ne risulterà?' 

'Come può esserci un dolore alle dita del tuo piede, se prendi a calci qualcosa che non c’è?', chiese il suo insegnante. 

'Nessun dolore alle dita del piede', rispose lo studente, 'perché, come Lei mi ha insegnato, il dolore è nella mente.' 

Allora il maestro, furtivamente, saltò sulle dita del piede dello studente. Questi si alzò sul piede danneggiato, saltellando tutt’intorno. Il maestro chiese, 'Allora, se il dolore è nella testa, perché ti tieni il piede?' Lo studente si girò per rispondergli, e, nel girarsi, inciampò sulla pietra". 

 

Benché l'insegnante abbia potuto fare male al dito del piede dello studente, noi presumiamo che questo dolore non dovrebbe durare a lungo. Nello Zen, ciò sarebbe considerato un piccolo prezzo da pagare per uscire dall’illusione intellettuale. Sfortunatamente, tuttavia, vi sono molti esempi nella vita vera in cui il dolore è 'all’interno della mente'. Noi dobbiamo pensare solo alla natura mutevole delle intime relazioni umane per comprendere quanto male e danno è causato dall’edonistico desiderio per il continuato piacere sensoriale, o per la continuata 'proprietà' di un' altra persona, o quando una relazione in realtà è finita. È riguardo a questo aspetto della vita, la capacità o incapacità di lasciar andare, che lo Zen offre quella che è forse la sua più forte guida, espressa nei precetti come: 

         "Imparare a lasciar andare ciò che non può essere posseduto, 

         o che volendolo afferrare ed impadronirsene, è distrutto." 

Non è solo quando una relazione è finita che noi dobbiamo lasciarla andare. Nello Zen si crede che anche solo il cercare di esigere la ricerca di un'emozione o sensazione da un'altra persona, quando in quel momento non esiste all'interno di esse, crei risentimento, male o danno, e che questo può avere l'effetto inverso a ciò che si era desiderato. Molte relazioni sono finite a causa del tentativo di una delle persone coinvolte di 'appropriarsi' dell'altra, mentre la realtà di una relazione amorosa richiede 'la libertà di amare', che non può sopravvivere se una relazione diventa una prigione. E allora si guasta (o cambia per il peggio).

Pur essendo relativo alle relazioni umane intime, questo avvertimento è attinente anche a molte altre situazioni. In una società che usa la competitività tra i molti allo scopo di creare più grande ricchezza per i pochi, anche 'vincere', o continuare a vincere, può diventare un grosso peso. Vi sono molti astuti manipolatori che possono intravedere l'ambizione nei subalterni, e aumentare il loro carico senza pensare alle conseguenze. Benché non si possa negare che ne sopravvivano molti illesi, ve ne sono tanti altri che sono incapaci di riconoscere una tale manipolazione, e che soffriranno a causa di essa. Similmente, il fatto che un individuo possa accettare un incarico, non garantisce che egli sia in grado di prevedere le conseguenze dell’accettare quell’incarico. 

Uno degli aspetti dell’addestramento Zen-Taoista che molti studenti apprezzano, è che esso non dà loro nessun incarico, e che ciò che essi fanno è per loro stessa volontà. Per essere sicuro, il roshi a volte può dir loro che non stanno facendo abbastanza sforzi, ma soltanto per il beneficio dello studente; tuttavia, non c'è l’obbligo da parte dello studente di continuare a prendere gli insegnamenti. Questo è un motivo del perché gli 'estranei' sono spesso confusi dall'impegno di molti studenti Zen verso il loro 'addestramento'; sembra strano, per chi non è interessato allo Zen, apprezzare ciò che può essere ottenuto in termini di crescita personale, con tale impegno. 

Questo non significa che chiunque frequenta le sesshin sia veramente interessato allo Zen, ma coloro per cui la sesshin diventa un 'peso', poi smettono semplicemente di frequentarla. Nulla di più ci si aspetta da essi, ma a coloro che sono così cortesi da informare il roshi, o il 'jikijitsu' (conduttore della meditazione) che non ritorneranno più, non verrà mai chiesto il perché della loro decisione, poiché il fare questo potrebbe creare un peso per quella persona. 

Ovviamente, nella vita è essenziale imparare a distinguere fra 'pesi superflui' da una parte, e le responsabilità ed obblighi dall'altra, e forse per questa ragione, c’è bisogno di distinguere ciò che lo Zen ci consiglia nei precetti,     "Agisci con la necessaria distinzione." 

Ciò che si intende dire con questa asserzione è che in tutte le aree della nostra vita, dobbiamo distinguere quando qualcosa è necessaria. A noi non viene insegnato che 'tutto è lo stesso', ma che in alcune situazioni dovremmo fare delle distinzioni, mentre in altri esempi non serve, e che dovremmo imparare a distinguere quando e come fare tale distinzione, se necessaria. Lo Zen, per esempio, ci dice che è necessario ('giusto') distinguere tra azione corretta e sbagliata, e nella maggioranza degli esempi non è 'giusto' discriminare contro o distinguere tra uno o l’altro sesso, o tra persone, a causa del differente colore della loro pelle. Infatti, gli antichi Zen-Taoisti (di cui si parlerà più avanti) si sarebbero deliziati nel vedere che il movimento ‘anti-apartheid’ ha adottato il simbolo Taoista (il 'Tai Chi') come loro stesso simbolo. 

Regole e regolamenti possono e dovrebbero provvedere un senso di 'appartenenza' e sicurezza, e loro sono strumenti da essere usati per quello scopo. Vi sono, per esempio, regole di etichetta che ci rendono capaci di sentirci a nostro agio quando andiamo a 'cena fuori', le regole di un buon comportamento che noi osserviamo quando andiamo a trovare qualcuno in un’altra casa, e le diverse maniere di comportamento che noi osserviamo quando visitiamo una chiesa o una zona fieristica. Di contro, tuttavia, l'osservanza di tali regole non dovrebbe permettere di far detrarre dalla nostra osservanza i precetti. C'è una storia che bene illustra il 'lasciare andare', la necessaria distinzione ed il 'creare pesi o incarichi'. Se in sesshin fosse abituale come un koan, agli studenti si potrebbe chidere di considerarla alla luce di quei precetti. Questa è la storia. 

“Due monaci buddhisti stavano camminando insieme in meditazione lungo una strada di paese.    

Essi appartenevano ad un contemplativo ordine di celibato, che imponeva che nessun discorso non-necessario dovesse aver luogo, e che i monaci (e monache) non debbono avere il contatto fisico con membri del sesso opposto. 

Appena i due monaci si avvicinarono ad un ruscello che attraversava la strada, essi videro una giovane e bella ragazza che cercava di guadare il ruscello. Ella portava un chimono, che era evidentemente nuovo e costoso, ed i monaci videro che lei stava incontrando notevoli difficoltà, poiché ogni volta che lei metteva il suo piede nel ruscello pur poco profondo, l'orlo del suo chimono veniva minacciato dalle acque fangose. 

Quando si avvicinarono alla giovane signora, uno dei monaci la ignorò, ma il secondo monaco la prese nelle sue braccia e la portò attraverso il ruscello, depositandola sull’altra riva. Dopodiché, i due monaci ripresero il loro silenzioso girovagare per circa tre miglia, quando il primo monaco all’improvviso disse al secondo, "Tu non avresti dovuto fare quello!"- "Fare quello che?" chiese il secondo monaco. "Prendere in braccio quella donna" rispose il primo monaco. "Quale donna?" chiese il secondo monaco. "Quella donna che hai raccolto e portato attraverso il ruscello!" disse il primo monaco con fare adirato. "Oh, quella donna", rispose il secondo monaco, "Io la misi giù tre miglia indietro, ma tu invece, la stai ancora portando con te!". 

Per quanto riguarda il 'lasciar andare', il primo monaco non aveva lasciato andare la regola che riguardave le persone del sesso opposto, e nello sgridare l’amico, gli stava creando un peso, e in più, essendosi irritato, stava creando un peso anche per se stesso. Inoltre, non aveva agito con la necessaria distinzione tra le regole della sua setta e il precetto riguardo alla compassione. 

Storie come questa sono spesso usate come koan, e di tali esempi se ne parla durante il sosan (menzionato sopra). Di solito, a questo fa seguito un 'mondo', che in realtà significa 'domanda e risposta', ed è un periodo di discussione in cui gli studenti fanno domande all'insegnante, e l'un con l'altro, allo scopo di migliorare o confermare la loro comprensione dei problemi sollevati dal koan. Quando sembra che gli studenti capiscono i problemi chiave, a loro sarà chiesto di 'offrire la prova'. Essi allora preparano un'asserzione che ha lo scopo di provare la loro comprensione e l'abilità di applicare quei problemi. Ciascun studente dà poi una risposta al roshi (talvolta in forma di annotazione) e il roshi risponde alla risposta in termini del suo contenuto e forma. 

Se lo studente sapesse descrivere il contenuto del koan di cui sopra in termini di lasciar andare, di creare un peso, di compassione, o necessaria distinzione, questo troverebbe l'approvazione del roshi per quanto concerne il contenuto, ma riguardo alla forma, per essere approvata la risposta dovrebbe essere affermata in una 'maniera Zen'. Ciò che distingue questa maniera da qualunque altra è difficile da definire, ma in essenza, la risposta dovrebbe essere breve, e essere un'asserzione generalizzata, un'allegoria o analogia basata sulla storia originale. 

Inoltre, riguardo alla competitività e necessaria distinzione, dovremmo imparare che potrebbero esserci momenti in cui ciò è inevitabile nel sistema o nella società in cui viviamo, ma quando non c'è alcun bisogno di competere, non dovremmo rigirare la situazione in una competizione, perché fare così significa creare una non necessaria oppressione sia per noi che per gli altri. Il relativo attinente precetto ci dice, "Frenati dalla superflua competitività, dall'escogitare l’auto-vantaggio, e dal soggiogare gli altri". 

La ragione per frenarsi dalla competitività, a meno che non sia una necessità, sta nell'ultima parte di questo precetto, e cioè che attraverso la competitività, qualcuno è soggiogato; ovvero, che 'vincendo' noi creiamo quantomeno un perdente. Creando un perdente, per ingrassare il nostro proprio ego, noi potremmo causare un danno superfluo o un male non necessario ad un altro, specialmente se quella persona non è competitiva per natura, ed addirittura di più se essa è vulnerabile a talì pressioni.

D'altra parte, se l’ambiente lavorativo che abbiamo scelto è competitivo per sua stessa natura (come nel caso di attività sportive) ci viene detto, 

         "Quando sei costretto ad agire, nel movimento

 cerca di essere come il dragone che cavalca il vento." 

Lo Zen ha molti detti ed aforismi di questa natura poetica, che ha ereditato dalle sue antiche origini Cinesi, (che è, appunto, 'il Taoismo'), e molti praticanti Zen credono che esso infatti sia un unico sviluppo di filosofie Taoiste e buddhiste. I primi Taoisti erano particolarmente ‘sinergici’ (non-competitivi); e se oggi un Taoista (o un Zenista, per quel motivo) dovesse impegnarsi in un affare in un luogo di mercato, egli non potrebbe 'tentare di vendere, a tutti i costi'. Perfino in un tale affare, come il mercanteggiare, lo Zen insegna che noi dovremmo considerare e tenere sotto osservazione le nostre motivazioni, pensieri ed azioni. 

Succede spesso nel ‘marketing’ di un prodotto o di un servizio, che il 'venditore' sia un 'esperto nell’argomento', in quanto è ovvio che egli conosca di più riguardo a quello che sta offrendo, che non l’eventuale cliente. In tali esempi, il venditore è un’autorità, e rispetto a tali situazioni ci viene così ricordato, "Quando in qualche modo accetti l’autorità sugli altri, sappi anche che stai accettando la responsabilità per il loro benessere". 

In termini amministrativi o di altri tipi di comando, questo equivale all'assicurazione di curare il benessere dei propri subalterni, e con riguardo al ‘marketing’, ciò sostiene che il dare un buon servizio all'acquirente crea un cliente a lungo termine che potrebbe realmente desiderare di fare i suoi acquisti successivi da noi, e che questo è di enorme valore per l'organizzazione di vendita (e produzione) più che un ordine ottenuto contro i veri desideri del cliente. Questo, a sua volta, si associa con il precetto, "Sii giusto ed onesto, essendo orgoglioso di ciò che fai, piuttosto che essere orgoglioso di ciò che hai realizzato". 

 

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                                                    PARTE TERZA

 

LA RELAZIONE CON GLI ALTRI ESSERI UMANI 

 

Le relazioni umane ovviamente sono le radici della società, e cominciano nell’infanzia all'interno della famiglia, si estendono quando cominciamo a frequentare la scuola, e crescono ancor di più con le amicizie e le relazioni intime. Non sorprende perciò che così tanti precetti siano correlati alle nostre relazioni con gli altri esseri umani, e le sesshin (riunioni) Zen-Taoiste sono condotte in modo da mostrare che è possibile agire in una maniera armoniosa verso gli altri senza dovere sottomettere o soggiogare la nostra stessa individualità. All'interno della struttura dei precetti, c’è ampio spazio anche per l’espressione individuale, e molte persone traggono profitto dalla struttura della sesshin per aumentare la loro fiducia nella discussione con gli altri... molte persone che si credevano fin troppo timide per esprimere un'opinione 'in pubblico', hanno poi scoperto di poter cominciare a farlo nelle sesshin. 

Così, attraverso l’applicazione del Taoismo-Zen, viene eseguito il più fondamentale precetto di tutti, ma in una maniera che riesce, perché viene dall'interno dell'individuo, anziché attraverso un qualche tentativo di applicare una pressione esterna. Il precetto che viene applicato in tali circostanze è, "Sii te stesso, così che la tua vita possa divenire un periodo di fioriture". 

Come già menzionato, questo è forse il precetto più individuale o personale del Taoismo-Zen.  Noi crediamo che vi siano molte persone che non realizzano (fare reale) mai il loro completo potenziale. A volte questo è dovuto ad avversi aspetti nell’educazione, altre volte a causa dei rischi incontrati nello sviluppo psicologico, o potrebbe semplicemente essere perché la persona non potè individuare il proprio potenziale latente. In quest’ultimo caso, queste persone vengono frequentemente alle 'sesshin' per scoprirlo da sole, quale potenziale esse hanno, e continuano a frequentare perché trovano che ciò che esse ricevono dalla sesshin le aiuta in molti altri modi. 

Potremmo dire che tali persone, come è stato appena descritto, scoprono di avere molto più coraggio di quanto credevano, e se questo è il caso, esse starebbero scoprendo ed applicando il seguente precetto, "Scopri il coraggio di essere; di difenderti e di avere le tue convinzioni". 

Ovviamente, ci sono altri che frequentano le sesshin per altri motivi, o che durante le sesshin scoprono valori che prima non avevano considerato essere importanti. Penso ad alcuni che sono forse un pò troppo fragili, o iper-fiduciosi, perché di solito il caso è che essi imparano il valore di ascoltare. Similmente, ci sono alcuni studenti Zen che riescono ad esprimersi, e possono sentirsi impazienti quando ascoltano qualcuno che non è dotato in quello stesso modo; ma anche gli studenti impazienti imparano che quelli che non sono così esperti come loro possono spesso avere qualcosa di valore per contribuire. Così è che persone di tutte le descrizioni, con un’ampia serie di attributi e qualità sentono che stanno notevolmente guadagnando dalle sesshin e dalla applicazione del Taoismo-Zen nella vita di ogni giorno, con riguardo alla loro attitudine sia verso se stessi che verso gli altri. Essi stanno chiaramente seguendo il precetto che ci dice, "Agisci in armonia con i tuoi amici esseri, con la natura, e con gli oggetti inanimati". 

Noi crediamo che nella vita il grosso dell'antagonismo e dell’angoscia scaturiscano dalle relazioni umane, e che la radice dei molti problemi nelle relazioni umane può essere trovata nell'ego, cioè, nell'attitudine che molte persone hanno verso il mondo che gira intorno a loro, o che esso dovrebbe avere come priorità le sue stesse necessità. Queste 'necessità dell’ego' si manifestano in molti modi diversi. Possiamo però facilmente riconoscerle in situazioni in cui lamentandoci potremmo dire a noi stessi, "Perché accade sempre a me?", come se la vita stessa complottasse contro di noi. Però non è facile riconoscersi in qualcuno che, con la migliore volontà del mondo, si lamenta che quelli che lui vuole aiutare, non lo ascolteranno. Ciò, non per dire che è sbagliato aiutare gli altri che sono nel bisogno (si ricorda che c’è un precetto specifico sulla compassione), ma che dovremmo conoscere la motivazione da cui partiamo, anche se dalla nostra azione può derivarne vantaggio per gli altri.

È tuttavia importante capire che l’esame della nostra motivazione nel compiere una azione non significa che non dovremmo compierla se scopriamo che essa scaturisce da una 'motivazione sbagliata', ma che noi non dovremmo fingere che la motivazione sia diversa da ciò che essa è in realtà. In termini di Zen, è chiamata ego-centralità 'il mettere se stesso al centro dell'universo' e questo è considerato una barriera al proprio sviluppo spirituale, ed una negazione della società e del mondo, specialmente se sfocia nel nostro applicare una serie di regole a noi, ed una serie diversa al resto della società. Questo è riferito nel precetto che dice, "Sappi che tu non sei il centro dell'universo, ma impara a mettere l'universo al tuo centro". 

Questo precetto è particolarmente difficile per quelli che non partecipano allo Zen. Esso intende dire che dovremmo cercare di 'includere l'universo all'interno di noi', che implica che dovremmo apprezzare che perfino le leggi del macrocosmo (il Tao) si riflettono nell'individuo, al livello del microcosmo, e a livello intermedio all'interno della società. Lo Zen ci insegna che ciò può essere realizzato con una 'corretta meditazione' ed una positiva interazione. Probabilmente la forma più elementare di positiva interazione è l'amicizia, e si crede che la vera amicizia avvenga soltanto se non c'è alcuna motivazione egoistica. A tal riguardo, i precetti ci consigliano, "Valorizza la vera amicizia, e completa i tuoi obblighi, anziché sforzarti con motivazioni egoistiche". 

La meditazione è una delle pietre miliari dello Zen. Anche se ciò non può essere spiegato in solo poche parole, il risultato dello stato meditativo Zen è che l'individuo diventa senza più un ego, anche se temporaneamente. Con la continua pratica meditativa, l'individuo impara come agire 'naturalmente', cioè, senza ego, e ciò a sua volta aiuta l’interazione positiva con i nostri simili.  Benché qui sia in qualche modo iper-semplificato, l'amicizia è una elementare forma di questa interazione. L’interazione positiva e lo stato meditativo o ‘senza-ego’, si combinano in un modo descritto come 'sinergico', ed è questa combinazione che si crede sia di beneficio all'individuo e alla società. La sinergia è l'azione di due o più elementi che si sono combinati, e l’azione di questa combinazione è maggiore delle azioni dei singoli elementi separati. In termini umani, questo significa che un'interazione sinergica tra due o più persone avrà una conseguenza più forte e più positiva che se fosse stata prodotta da quelle stesse persone, se stessero operando singolarmente. La risposta sinergica è infatti considerata essere 'esponenziale'. Questo non può essere facilmente definito ma, per esempio, quando due persone lavorano insieme nel trasporto di un oggetto pesante e riescono a farlo, mentre quando altre due persone di uguale forza, ma facendolo da sole, falliscono, la prima azione può essere descritta come sinergica. La ragione di ciò è che l'effetto sinergico è di moltiplicare piuttosto che solo addizionare. 

Perché due o più persone agiscano in maniera sinergica, o in una maniera che produca un risultato sinergico, devono interagire l’una con l’altra, anziché agire una separatamente dall'altra o una dopo l’altra. Nello Zen si crede che nella società, gli esseri umani siano 'conversamente interdipendenti', il che significa sia che essi agiscono l'uno con l'altro, e sia che dipendono l'uno dall'altro. Benché questo sia alquanto difficile da comprendere, diventa più facile capirlo se  noi pensiamo alle azioni reciproche degli esseri umani come quelle che hanno creato la società così com’è in ogni tempo. Se noi agiamo l'un verso l'altro in maniera antagonistica, la società stessa diventa antagonista, ma se le nostre interazioni sono sinergiche, noi creiamo una società che è essa stessa positiva, costruttiva e d'appoggio allo sviluppo del potenziale umano. 

E’ già stata citata la meditazione Zen, e benché qui non possa essere pienamente descritta (poiché deve essere praticata per poter essere 'compresa') si può opportunamente darne alcuni dettagli. Come è stato già affermato, lo scopo della meditazione è di 'lasciar andare l'ego', ma quando sarà ben conosciuta, una particolare funzione o conseguenza della meditazione è che essa riduce gli effetti insalubri dello stress promuovendo il rilassamento. Questo è riferito, con riguardo alla salute, nel seguente precetto che dice, "Ricorda di rinnovare la fonte, per poter mantenere la buona salute". 

Anche se alcune persone considerano che la meditazione sia alquanto mistica, ed anche se in certi casi probabilmente ha un elemento mistico, essa funziona anche ad un livello anatomico e fisiologico assai basilare. La chiave per la meditazione Zen sta forse nel metodo di respirare che è impiegato. Esso è noto come 'respiro diaframmatico' e comporta l’uso del diaframma come una pompa meccanica per purificare i lobi più bassi dei polmoni dalla vecchia aria. Questo a sua volta riduce la percentuale di respirazione senza provocare una privazione di ossigeno. L'effetto del rallentamento della respirazione in basso è che la percentuale metabolica diminuisce, ed è questo che aiuta la risposta del rilassamento. Allorché il rilassamento fisico aumenta, si 'rilassa' la mente consapevole, o almeno diviene meno attiva. Il risultato, così sembra, è una 'calma' fisica e psicologica. Sulla pratica meditativa, lo studente Zen è consigliato con i precetti, 

         "Non cercare né lo splendore né il vuoto; solo pensa profondamente, e lavora sodo. 

          Quando sei fermo, sii immobile come una montagna; 

          Quando in movimento, sii come il dragone che corre nel vento. 

          Sii sempre consapevole, come la tigre che solamente sembra dormire, 

           E lascia sempre che la mente sia come l’acqua che scorre". 

A quelli che non meditano, può sembrare strano che il riferimento al 'dragone che corre nel vento' ora sia fatto riguardo alla meditazione, mentre prima era stato usato riguardo all’azione.  Nondimeno, quelli che partecipano alla meditazione capiranno che anche se la meditazione è in realtà immobile, non è priva di una sua propria energia e che quando la tecnica del respiro fatto nel diaframma è divenuta naturale, l'azione di inalare ed esalare con il diaframma è morbida e continua, e non senza una sua propria bellezza. Il 'movimento' a cui ci si riferisce qui, è quello dell'addome che sporge e rientra in onde regolari e ritmiche, senza interruzione. Così (alquanto poeticamente) esso fu paragonato dai primi Taoisti al 'dragone che corre nel vento.' 

L'asserzione che ci consiglia 'Quando sei fermo, sii immobile come una montagna' si riferisce alla stabilità della postura della seduta, perché lo Zen ci insegna che quando impariamo la medi-tazione, tutto il corpo deve essere stabile, così da non distrarci dagli aspetti psicologici del processo meditativo. Il riferimento a 'pensa profondamente e lavora sodo' potrebbe sembrare alquanto paradossale, considerando l’effetto della meditazione, ma in questo esempio, pensare profondamente implica la concentrazione su quello che è stato intrapreso, e il lavoro duro, si riferisce al fatto che la meditazione, anche se semplice, è tutt’altro che facile. Nel dirci che 'non dobbiamo cercare né lo splendore né il vuoto', il precetto ci sta consigliando che è impossibile meditare se stiamo consapevolmente pensando a ciò che noi speriamo di realizzare, sia pure la  'illuminazione' (lo splendore) o 'la vacuità' (il vuoto). La 'consapevolezza', come è citato nello stesso precetto, è infatti descritta (in modo alquanto oscuro) nella riga successiva in cui ci dice che il modo in cui noi dovremmo essere consapevoli, deve essere come 'la tigre che solamente sembra dormire'. Se noi osserviamo la tigre quando dorme, essa è perfettamente rilassata, ma al minimo segnale (suono od odore) di pericolo, la sua risposta è pronta e immediata; è come se il naturale esser pronto dell'animale non distrugga la sua ugualmente naturale tendenza a dormire. 

E infine, 'la mente come acqua che scorre' è piuttosto spesso riferita nello Zen, e implica che se anche noi siamo distratti da ciò che stiamo facendo, virtualmente la pratica di meditazione ci rende capaci di ritornare immediatamente all'atto precedente. Nella stessa meditazione, questo implica che anche se la nostra meditazione è disturbata, noi dovremmo essere in grado di ritornare ad essa immediatamente quando la distrazione è cessata. Il fatto che questo accada ai meditanti esperti è stato confermato dall'uso di elettroencefalogrammi che registrano i 'ritmi' del cervello. 

Come ora sarà evidente, lo Zen è una miscela di pragmatismo e ideologia, di chiarezza semplice e misticismo, di fisica e psicologia, tra il prosaico ed il poetico. Forse è per queste ragioni che esso si appella a così diverse persone che frequentano le sesshin di Zen in tutto il mondo. Nelle due maggiori "nétte di buddhismo Zen (Soto e Rinzai), la sesshin è condotta in una maniera che si adatta all'insegnamento buddhista, ma quella dello Zen-Taoista non ha forme religiose. Questo non vuole dire che non abbia nessuna formalità, ma che questa è più interessata ad offrire una struttura o modello che possano meglio andare incontro alle necessità degli studenti. La sesshin Zen-Taoista di solito include, o è seguita, da una informale 'tazza di tè' con discussione su ciò che è avvenuto durante la sesshin. Il Roshi di solito non è presente in questa discussione (dato che egli sà che gli studenti si sentono più liberi di parlare se il loro insegnante non è presente), ma poiché ogni Roshi è stato anche (ed in certi aspetti, resta) uno studente, per l'insegnante di solito è un piacere sapere che così tante persone di differenti età e ceto sociale siano in grado di conversare e di aiutarsi l'un l'altra. Inoltre, il suono delle risate proveniente dal dojo (sala di insegnamenti) in cui gli studenti si rilassano dopo le sesshin, potrebbe essere un divertimento per l'insegnante, perché lo Zen contiene anche parecchio humour, e l'insegnante potrebbe aver creato intenzionalmente un 'diversivo' per divertire gli studenti durante questa fase di informale discussione. Ed è durante questo periodo che uno studente che desidera parlare privatamente con il Roshi cercheranno una 'intervista privata' (cioè il 'Dokusan' o 'Naisan'), e non si esagera se queste discussioni intime sono descritte come 'magnifiche occasioni', per il sinergico effetto che esse hanno, se ogni relazione è simile all'intimità e comprensione che esiste tra un maestro Zen-Taoista ed i suoi studenti. Ed in parte è dovuto all’input di energia e durata del training che è necessario da parte del Roshi, per guadagnare e trattenere le abilità richieste, che nei precetti agli studenti di Zen è detto, "Abbi umiltà e rispetto; ringrazia coloro da cui tu impari, o che ti hanno aiutato in altri modi". 

Anche se ci si aspetta che lo studente abbia rispetto per il Roshi, questo non significa che gli studenti siano costretti ad accettare tutto ciò che è detto senza domande. In effetti, essi sono avvisati nei precetti, "Sappi, che non c'è vergogna nell'interrogare". Infatti, questo precetto è la versione condensata dell’aforisma di un antico filosofo Cinese, che è noto come 'Il Codice del Discepolato'. Esso è, in versione intera, "Domandare può portare un momento di vergogna, ma non domandare significa restare nell’ignoranza, e così condannarsi alla vergogna per tutta la vita". La sesshin non è il solo periodo durante il quale lo studente si aspetta, o gli vien data l'opportunità di imparare, perché il Taoismo-Zen non è un ordine monastico, ma è davvero 'nel mondo'. Fuori dal periodo della sesshin, i Taoisti-Zen vivono la loro vita di tutti i giorni e fanno lo stesso genere di cose come chiunque altro. Perciò, è utile che lo studio debba continuare ben oltre la sesshin, e gli studenti frequentemente cercano l'opportunità di applicare nella loro vita quotidiana i precetti che sono stati imparati e discussi nella sesshin. Per esempio, allo studente è detto, "Aiuta quelli che soffrono o sono svantaggiati, e quando tu stesso sarai diventato un risvegliato, aiuta quelli che cercano di realizzare il loro stesso potenziale." 

Il termine 'risvegliato' si riferisce con fiducia a quegli studenti che sono avanzati nel processo in cui hanno realzzato il loro proprio potenziale. Questo significa infatti che viene consigliato allo studente di offrire aiuto (fornendo aiuto) a chiunque soffra o sia in qualche modo svantaggiato, ma lo stesso studente dovrebbe star attento a non assumere il ruolo di insegnante finché dal Roshi non gli viene detto che egli è giunto ad un sufficiente livello di risveglio. Riguardo all’ aiutare gli altri, ed anche alla 'necessaria distinzione', allo studente è insegnato che per scoprire se si è nella posizione per aiutare gli altri, spesso è necessario distinguere tra il valore dato a una cosa come il riferirsi a se stessi ed il valore dato a noi da un'altra persona. Questo significa che se noi-stessi non abbiamo sete, un bicchiere d’acqua può essere di poco o nessun valore, ma poiché sarebbe di valore per qualcuno che ha sete, noi non dovremmo considerare che esso sia senza valore. Far così, sarebbe pensare alla cosa solo dalla nostra propria cornice soggettiva di riferimento, e questo sarebbe pensare a noi-stessi come 'il centro dell'universo'. Ed il relativo precetto ci dice, "Sappi che una cosa o un'azione che può sembrare di poco valore per sé-stessi, può essere un incalcolabile tesoro per un altro". 

Come si può apprezzare da questo esempio, i precetti non sono entità separate, ma formano una struttura integrata di concetti. Anche se sono espressi sotto forma di consigli, essi formano in realtà la struttura di riferimento dello Zen-Taoista. Un notevole aspetto di questa struttura di riferimento è che nulla è statico. Normalmente, questo è espresso in maniera più positiva nella espressione, 'tutte le cose sono in un costante stato di flusso'. La nostra relazione o attitudine al  

cambiamento è perciò considerata importante, e noi veniamo consigliati nei precetti, "Accetta la transitorietà, ciò che è inevitabile ed irrevocabile. Sappi che in tutto esiste il cambiamento". 

Il termine 'transitorietà' descrive il fatto che nulla rimane per sempre, e che la natura di tutte le cose e processi è solamente temporanea e provvisoria. 'Ciò che è inevitabile' si riferisce al fatto che anche se ci sono delle cose che possiamo influenzare, ve ne sono altre che non possiamo influenzare, mentre 'irrevocabile' si riferisce al fatto che ciò che è già accaduto, non può più 'non-accadere'. In totale, questi tre termini implicano che non ha senso desiderare o pretendere che le cose siano diverse da ciò che esse sono, o che non debba accadere qualcosa che ormai è accaduta. Anche se ciò risulta chiaro a tutti noi, spesso è assai difficile prevenire che sorgano tali pensieri o desideri, ma lo Zen insegna che la ragione di ciò è la confusione fra il 'desiderio' e la 'fede o speranza'. Mentre noi potremmo aver fede in una divinità, o sperare che avvenga un certo cambiamento per migliorare un particolare stato, niente di tutto questo è la stessa cosa che 'desiderare', nell’illusorio senso in cui è usato qui. Questo genere di ‘desiderare’, anche se comprensibile, non è raccomandato, specialmente poiché può facilmente cambiare in uno stato in cui si finge che quelle cose siano altro da ciò che esse sono realmente; e questo ci impedirà indubbiamente di scoprire proprio ciò che può e ciò che non può essere influenzato. Lo Zen non insegna che noi dovremmo semplicemente 'permettere alle cose di accadere' e neanche che noi non dovremmo rispondere alle situazioni; ma esso ci aiuta a scoprire (attraverso la necessaria distinzione) dove è appropriato rispondere o cercare di influenzare una situazione, e dove non ha senso, o non è adeguato farlo.

L'incapacità ad agire, o a determinare quando è giusto agire, è considerato nello Zen un grosso ostacolo al nostro risveglio, e nei precetti ci viene detto che dovremmo superare questi ostacoli.  Il precetto attinente effettivamente ci consiglia, "Impedisci le barriere al tuo risveglio; e scopri il positivo nel negativo". Questo è un riferimento ad un insegnamento Zen chiamato, 'La Porta senza Porta', particolarmente significativo, in cui ci si dice che nella vita ci sono numerose porte, e che parte del nostro scopo nello sviluppo individuale e sociale è di imparare a riconoscerle e passare attraverso questi ingressi. Il concetto di ‘Ingressi senza porta’ è interessante, perché ci permette di ampliare la nostra struttura di riferimento, comprendendo che cose alle quali di solito pensiamo come negative possono in effetti essere positive, o anche che qualcosa che è negativa può essere trasformata in positiva. Se, per esempio noi siamo troppo timidi per parlare  

in pubblico, questo è un fattore negativo, e perciò è qualcosa che 'inibisce il nostro risveglio'. E’ come una porta chiusa davanti a noi. Tuttavia, superando tale inabilità, noi 'apriamo' o entriamo attraverso quella porta. Se pensiamo ad un ingresso chiuso come un ostacolo, un ingresso che è sbloccato o aperto è una forma di uscita e di entrata. In questo esempio, la stessa porta può comportarsi come una barriera, con un'uscita da, o entrata ad un diverso 'modo di essere', da uno stato in cui noi eravamo incapaci di fare un discorso in pubblico, ad uno stato in cui siamo capaci di farlo. Un ostacolo negativo o una barriera, allora saranno stati trasformati, dalla nostra azione, in un positivo ingresso. 

Lo Zen non offre un definito elenco di ‘Porte senza porta’, perché ogni individuo ha le sue proprie aperture attraverso cui passare. Comunque, vi sono certe ‘aperture’ attraverso le quali passano tutti gli individui, due di queste sono la nascita e la morte (rispettivamente riferite come 'l'ingresso alla vita' e 'l'ingresso all'eternità'). La nascita è considerata la manifestazione fisica del nostro vero essere, e la morte, il nostro ritorno all'infinito, o l’eterno, da cui veniamo, ed in cui noi dimoreremo per sempre. 

 

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  PARTE QUARTA

 

Questo aspetto dell’insegnamento Zen, l'esistenza del positivo nel negativo, è difficile da capire e comprendere per molte persone, specialmente poiché è anche stato insegnato che il positivo ed il negativo (Yang e Yin) co-esistono in interattiva interdipendenza in quello che è chiamato il "Tai Chi" (simboleggiato dagli aspetti Yin e Yang collegati insieme nelle due metà di un cerchio). Ma anche più di questo, si insegna inoltre che il Tai Chi è soltanto un modo di concettualizzare l'infinito o l’assoluto, che contiene 'tutto ciò che è, e tutto ciò che non è'. Questo concetto sembra essere unico al Taoismo e buddhismo, ed è normalmente usato solo da studenti avanzati nei 'mondo' (domande e risposte, o discussioni) su temi come questi, mentre tali questioni non sono frequentemente discusse durante la normale sesshin. Il motivo è (a parte le complessità coinvolte) che gli studenti Zen non sono incoraggiati a considerare questioni astratte o mistiche finché non sono completamente avanzati. Questioni come 'l'infinito', e 'l'eternità', sono chiamate 'il Canto dell'Assoluto', e nei precetti noi veniamo così avvertiti, "Sii diligente nella tua pratica, e sentendo la musica dell'assoluto, non essere così sciocco da cercar di cantare la sua canzone." 

Questa asserzione infatti è un riferimento alla differenza tra apprendimento esperienziale (cioè, imparare tramite l’esperienza) e la cultura conoscitiva (imparare tramite lo studio). Durante la meditazione noi perdiamo la consapevolezza dell'ego, e così talvolta potremmo perdere anche la consapevolezza del '"né'. Anche se per alcune persone questo può accadere senza meditazione (e senza Zen), è più abituale che accada nello stato meditativo. Esso è un essenziale precursore alla meditazione profonda e ad uno stato o attitudine noto come 'kufu' (tecnica oltre la tecnica). Ciò che vien detto allo studente, nel precetto di cui sopra, è che anche se questi stati accadono, essi devono essere esperienziali piuttosto che conoscitivi, cioè che il loro valore è nell'esperienza piuttosto che sul pensarci sopra o discuterne l'esperienza. E se questo sembra vago o esoterico, esso dovrebbe essere considerato allo stesso modo dell’andare in bicicletta, perché entrambe le cose migliorano con la pratica anziché con la discussione. Anche se sappiamo che questo di solito è vero, molte persone discutono su come esse nuotano, vanno in bicicletta, dipingono, ecc, ma la ragione è che assai spesso esse cercano l'approvazione o l’encomio degli altri. Però, mentre ricevere un’onesta critica, quando lo richiediamo, può essere positivo, noi speriamo di solito che essa sia favorevole, e perciò dobbiamo chiederci quale sia la nostra vera motivazione nel richiederla. Non deve sorprenderci se scopriamo che la risposta è l'insicurezza. 

È una forte credenza dello Zen che l'insicurezza sia una notevole inibitrice dello sviluppo umano, e che l’ 'establishment' o fazione dominante, siano le strutture sociali che più usano l'insicurezza come mezzo di guadagno e di mantenimento del controllo sui propri membri. In breve, molte persone saranno preparate ad accettare la considerevole mancanza della loro crescita personale nell'interesse della sicurezza, particolarmente poiché non hanno potuto sperimentare il risultato della crescita o sviluppo, che non è ancora avvenuto... così è che molti di noi stabiliscono, per la sicurezza che risulta da quello che noi crediamo essere lo 'status quo'. Lo Zen insegna che non c’è vera sicurezza se non quella che noi possiamo trovare o sviluppare all’interno di noi-stessi.  Il consiglio dato nei precetti è piuttosto semplice, "Cerca la sicurezza all'interno di te-stesso, anziché negli altri." 

Mentre molte persone passano una vita a cercare una sicurezza che in realtà non esiste, altre potrebbero passare il loro tempo in un modo più tranquillo, senza cercare né trovare altri modi.  Mentre nessuno di questi è sicuramente un sentiero Zen-Taoista, l’ultimo modo è certamente più vicino all'insegnamento Taoista che non il primo. Tuttavia, anche se non dovremmo sforzarci con una motivazione egoistica, è un insegnamento Zen-Taoista che la vita può essere molto più rimunerativa, sia per sé-stessi che per gli altri, se siamo capaci di scoprire o sviluppare nella vita uno scopo che abbia un significato per noi e, se possibile, per la società. Il precetto infatti ci dice, "Cerca un significativo scopo in tutto quello che fai". Ma ciò che è considerato uno 'scopo significativo' è difficile da definire. E questo, non è a causa di un difetto nell'insegnamento Zen-Taoista, ma perché ognuno di noi ha un concetto diverso di ciò che è significativo, e quello che è significativo per una persona, può essere insignificante per un’altra. La ragione per questo è che il termine 'significativo' è soggettivo. 

Quando si risponde ad una data situazione, noi non rispondiamo necessariamente a ciò che è, ma a quello che significa per noi. Similmente, trovando uno scopo di vita, o in ciò che facciamo nella vita, non è così tanto una questione di 'quale vita è', ma di ‘quale vita significa’ per noi.  Senza un significativo scopo, noi possiamo entrare in ciò che è noto come il 'vuoto esistenziale', che è uno stato in cui l’esistenza stessa è vuota e senza significato. Alcune persone pensano erroneamente che questo sia ciò che si intende dire con il termine buddhista 'Nirvana', mentre invece il Nirvana non è uno stato privo di significato, ma uno stato che è oltre ogni significato soggettivo od oggettivo, e che, se non ha alcun significato, pure ha un significato che non è né

soggettivo né oggettivo, ma “assoluto”. Il Taoismo-Zen crede che sia realmente assai raro, se mai possibile, sviluppare il 'significato assoluto' durante la propria vita terrena, poiché questo periodo della nostra esistenza è materiale o limitato, ed è il limitato che esiste all'interno dell'infinito o assoluto, piuttosto che il contrario. 

Probabilmente è dato a ben poche persone di poter sviluppare l'abilità di realizzare il significato assoluto durante la loro vita terrena. Tale circostanza è tuttavia così rara, che è anche oltre la comprensione della maggioranza degli studenti, pur se praticano da molti anni, e perciò è molto improbabile che discussioni su questa o altre questioni simili possano accadere durante normali sesshin, a meno che non se ne faccia una specifica richiesta al Jikijitsu (Direttore di Cerimonie) da parte del gruppo degli studenti. In comune con altre questioni di particolare interesse per qualche studente, ma possibilmente oltre la comprensione della maggioranza, simili argomenti come questo, sarebbero comunque un buon tema per il dokusan o naisan. 

Mentre la natura di significato assoluto non potrebbe essere discussa comunemente durante la normale sesshin, il concetto di significativo scopo di vita potrebbe essere un tema per il ‘sosan’ (discorso o breve conferenza data dal Roshi durante la sesshin) o il successivo ‘mondo’. Nello Zen si crede che gli esseri umani abbiano un libero arbitrio, e che questo nel suo stato naturale sia diretto verso il provvedere un significato e lo sviluppo di uno scopo significativo nella vita. Si crede anche che dove questo non accada, la volontà può degenerare in un nichilistico potere o piacere, o direttamente al 'vuoto esistenziale' menzionato prima. Si considera perciò che uno scopo significativo nella vita sia importante per la salute psicologica e il benessere di ciascun individuo. Come fu affermato anche prima, ciò che costituisce uno scopo significativo nella vita può essere determinato solamente dall'individuo, ma il Taoismo-Zen crede che vi siano tre indi-spensabili requisiti essenziali per una vita significativa. Poiché sono essenziali, essi sono noti come 'I tre Tesori'. L'attinente precetto ci dice anche che il Taoismo-Zen non condanna o critica l’aspetto materiale della nostra vita, purché non prende la supremazia sullo sviluppo dello scopo significativo nella vita. Il precetto dice, "Sappi che perfino la più grande ricchezza mondana, e l'accumulazione delle cose materiali, sono di ben poco valore, paragonati agli incalcolabili tesori: amore, pace e libertà per crescere". 

Termini come 'amore', 'pace' e 'libertà di crescere' servono per esempio della natura soggettiva del significato, perché essi sono significativi per alcuni, anche se in modi diversi, ed insignificanti per altri. In ogni modo, anche quelle persone per cui tali termini sono significativi, potrebbero avere un’estrema difficoltà o riluttanza nel discuterli o descriverli. Almeno in questo senso non è sbagliato descrivere lo Zen come 'mistico', perché in realtà il termine 'mistico' non è nient’altro che una parola che noi assumiamo per descrivere processi che non possiamo pienamente com-prendere attraverso l'analisi logica. Questo probabilmente è vero per molti processi mentali che sono esoterici, spirituali o affettivi, e forse è ancora più vero in relazione a quel concetto che è chiamato 'Kufu', e che probabilmente è l'aspetto Zen che più si preoccupa della realizzazione del potenziale creativo individuale. Anche coloro la cui riuscita applicazione dello Zen risiede nelle arti creative (o marziali) di solito non sanno di come esso funziona, o sono incapaci di spiegare il processo di kufu, attraverso il quale esso funziona. 'Kufu' è descritto in molti modi ma esso, in realtà, è uno stato difficile da definire o descrivere con accuratezza, ed in tutta la letteratura Zen esso è riferito come,"la tecnica oltre la tecnica", o più poeticamente come,         "L’unica tecnica che ancora rimane, quando tutte le altre tecniche sono state apprese". 

Per capire tali riferimenti, è utile conoscere che virtualmente tutte le forme di espressione dello Zen sono molto più che i prodotti del loro periodo e della loro cultura, e che esse sono espresse in una maniera progettata per fare appello ad una particolare 'popolazione di studenti'. Quando poi sappiamo anche che le particolari espressioni appena sopra citate furono rese popolari nel 'Periodo Kamakura', periodo in cui i guerrieri ‘samurai’ del Giappone stavano cominciando ad esprimere un interesse negli insegnamenti filosofici e nelle tecniche dello Zen, diventa forse più facile capire perché così tanti dei più noti riferimenti di 'Kufu' si riferiscono all’arte della spada e alle altre arti marziali. E sebbene questo particolare concetto probabilmente sia quello di portata più vasta e di diversa applicazione di tutti concetti Zen-Taoisti, perché 'Kufu' rappresenta una particolare attitudine che ha l’aspetto psicologico e somatico (fisico) che probabilmente è il più 'Zen' di tutti i concetti Zen, vale a dire: 'Trascendenza della dicotomia soggetto/oggetto'. Nei precetti, questo processo è riferito in congiunzione con la creatività e la ricettività, tanto che il precetto dice, "Sii creativo e ricettivo, trascendendo la dicotomia soggetto/oggetto". 

Anche se non è facile spiegare brevemente questo concetto, è utile averne almeno un'idea del suo significato. A questo scopo, si potrebbe pensare che la prima parte della frase ci stia dando il consiglio di non dimenticare che una parte essenziale del processo creativo è la ricettività. Per capire la seconda parte della frase, si deve pensare ad essa in termini dei suoi elementi costi-tuenti, che sono: "trascendenza: superare o oltrepassare; dicotomia: separare o dividere in due;

soggetto: la parte del discorso frequentemente rappresentata dall 'io';

oggetto: la parte del discorso sovente rappresentata da ciò che dal soggetto è compiuto, o la persona o cosa a cui esso si rifà. 

Perciò (in termini abbastanza semplificati) la frase, 'Trascendenza della dicotomia di soggetto-oggetto', rappresenta l'abilità di superare (trascendere) quello che divide o separa (dicotomia) noi (il soggetto) da ciò che noi facciamo, o dalla persona o cosa (l'oggetto) a cui noi stiamo cercando di riferirci. 

Riferendoci ancora una volta alle 'tecniche' menzionate nella letteratura Zen, e mostrate prima, dovrebbe ora essere più chiaro che lo stesso Kufu non è una tecnica per tutti, o almeno, non è una tecnica nel senso di tecniche come l’arte della spada o del dipingere, ma in realtà è un qualcosa che noi potremmo sviluppare 'quando tutte le tecniche sono state imparate'; qualcosa che ci renderebbe capaci di giungere oltre il livello dell'abilità tecnica (anche se quella abilità non dovrebbe essere minimizzata), al livello di completamento creativo, estetico o artistico. 

Un'area della vita in cui l'influenza dello Zen è stata di particolare significato è la creatività, come testimoniato dall'attuale uso piuttosto frequente della sua filosofia dell'estetica, e l'adatta-mento della sua unica immaginazione visiva nelle arti grafiche e pittoriche. Similmente, nella letteratura, la forbita natura estetica ed esoterica della poesia Zen è stata di una considerevole influenza per molti poeti moderni. Per molti occidentali, la parola 'Zen' evoca due immagini, una che è quella di una persona profondamente assisa in meditazione, e l’altra di guerrieri raccolti in combattimento. Queste due immagini infatti sono molto simboliche dello Zen, perché entrambe rappresentano la battaglia in cui potremmo impegnarci quando si cercherà di scoprire la nostra propria vera natura. Talvolta, questa battaglia potrà essere piuttosto feroce, mentre altre volte potrà essere un processo tranquillo e meditabondo. Comunque, in entrambi i casi, lo Zen è molto di più ovviamente della meditazione o delle arti marziali; esso contiene una profonda filo-sofia che può essere applicata virtualmente a qualunque situazione, ed è stata per innumerevoli individui fonte di ispirazione, in molti aspetti della società Orientale, come pure Occidentale. Le sue influenze variano dalle belle arti o creative, alle arti marziali; dal dramma all’arte ceramica, e dalla letteratura alla filosofia. 

Probabilmente le arti marziali, anziché le belle arti o le creative, sono quelle che hanno avuto il pregio di presentare lo Zen in Occidente, e oggi c'è un interesse mondiale per le varie forme di Karate, Judo, Ninjitsu, Kendo, Iaido ed Aikido. Nella letteratura mondiale ora c’è un risveglio di apprezzamento per la poesia di Zen, compendiata in Haiku, Waka e Tanka, mentre nella musica il suono del Shakuhatchi non è più strano ai nostri orecchi. L'effetto dello Zen sulle arti grafiche come modello e moda superficiale è ben nota a quelli che sono interessati a tali argomenti, ed in psicologia, sociologia e politica internazionale, l'influenza dello Zen-Taoista è stata fortificata dalle opere di eminenti scrittori come Erich Fromm, Carl Gustav Jung, Abraham Maslow e Dag Hammarskjold, per non citarne che quattro. Nell'arte ceramica le opere del vasaio Bernard Coli echeggiano le tecniche come pure la filosofia del suo insegnante, Shoji Hamada, il vasaio Zen che fece diventare famoso il ‘rakuware’. 

Per coloro che hanno poca familiarità con il Taoismo-Zen, o col buddhismo-Zen, sembrerà strano che una sola filosofia potè includere e influenzare così molte aree della vita, ma ai praticanti di Zen questo non è per niente sorprendente.... infatti probabilmente essi si sorprenderebbero se non fosse così. Questo non è per implicare che nel mondo tutto sia stato influenzato dallo Zen, e né per pretendere che le più eminenti persone in ogni campo di attività siano state influenzate dallo Zen, ma con tutta onestà si può dire che il Taoismo-Zen (cioè il Chan, la forma più grande di Zen) e il buddhismo-Zen hanno entrambi influenzato moltissime persone, le quali tramite la loro stessa applicazione della filosofia Zen hanno realizzato (fatto vero) il loro proprio potenziale creativo, e lasciato un segno positivo sul mondo, non meno di quelli che sono i loro risultati e le loro particolari arti creative, dalle belle arti alle arti marziali; dal dramma all’arte ceramica, e dalla letteratura alla filosofia.