Le biografie di
Asvagosha, Nâgarjuna, Âryadeva, e Vasubandhu
(Tradotte dal Cinese in Russo da Vasilief, in Inglese da E. Lyall, e in Italiano da Aliberth) (1)
BIOGRAFIE DI ASVAGOSHA NÂGARJUNA, ÂRYADEVA, E VASUBANDHU.
1. Asvagosha (in Cinese Ma-ming, 'voce di cavallo') divenne un discepolo del venerabile Pârsva il quale, arrivando dal Nord nell’India Centrale, imparò che il clero di quel distretto non osava sfidare i privilegi dei Gantâ (2), che erano stati accordati alle religioni che prevalevano o che erano preponderanti. La causa di questa umiliazione era Asvagosha che, appartenendo ai più dotti Tîrthika, aveva richiesto che ai buddhisti non doveva essere permesso di colpire il Gantâ, finché essi non l'avessero confutato. Pârsva ordinò che fosse combattuto; egli entrò in dibattito con Asvagosha, ma prima gli fece questa semplice domanda: - 'Cos’è più desiderabile affinché l'universo possa godere della pace, di suprema lunga vita, abbondanza di paesi, e le persone non debbano più essere sottomesse al disagio?' La domanda così inaspettata, alla quale secondo le leggi del dibattito egli doveva rispondere, confuse Asvagosha che dopo l’incontro divenne discepolo di Pârsva, il quale gli consigliò di insegnare buddhismo, per poi far ritorno alla sua città natia. Asvagosha rimase in India Centrale, e fu egli stesso celebrato per il suo superiore talento.
Accadde che il Re di Yu-chyi, in India Settentrionale, invase Magadha, e richiese che gli venissero consegnate le scodelle di Buddha e di Asvagosha. I nobili ebbero da reclamare contro il re perché lui aveva dato un valore troppo alto alla scodella del secondo; per convincerli del merito di quest’ultimo il re prese sette cavalli, e dopo averli fatti restare senza mangiare per sei giorni, lui li portò nel luogo dove Asvagosha stava insegnando, ed ordinò che ad essi fosse dato del foraggio, ma quando i cavalli sentirono il predicatore versarono amare lacrime, e non vollero mangiare. Asvagosha divenne celebre perché i cavalli avevano capito la sua voce, e grazie a questo fatto egli ricevette il nome di Asvagosha (voce di cavallo).
2. Nâgârjuna nacque in India Meridionale. Egli discendeva da una famiglia di Brahmani ed era naturalmente dotato di eminenti qualità; e mentre era ancora un fanciullo insegnava i quattro Veda, ciascuno dei quali conteneva 40,000 gâthas (ognuno composto di 42 lettere o sillabe). Egli viaggiò nei vari regni, ed imparò tutte le scienze secolari, come l’astronomia e la geografia, poteri segreti e magici; poi entrò in amicizia con tre uomini molto distinti, e, avendo ottenuto il potere di rendersi invisibile, egli entrò con essi nei palazzi reali, dove presero a disonorare le donne. La loro presenza fu scoperta dalle orme dei loro piedi; i tre compagni di Nâgârjuna furono tagliati a pezzi, e lui si salvò soltanto facendo il voto di adottare lo stato spirituale (buddhista). Di conseguenza, essendosi recato sulle montagne, allo stûpa del Buddha, egli pronunciò i suoi voti, ed in novanta giorni imparò i tre Pitakas, di cui penetrò il significato più profondo. Poi cominciò a cercare gli altri Sûtra, ma non li trovò in nessun luogo; fu soltanto in cima alle Montagne Nevose che un Bhikshu molto anziano gli diede il Mahâyâna-Sûtra, di cui egli comprese la profondità del significato, senza però essere capace di scoprire i particolareggiati chiarimenti di esso. Tutte le opinioni dei Tirthika e Sramana a lui sembrarono indegne; nel suo orgoglio egli si immaginò un fondatore di una nuova religione, ed inventò nuovi voti ed un nuovo costume per i suoi discepoli. Allora Nâgarâja (il Re dei Draghi) si concentrò in lui, lo portò con sé al suo palazzo in fondo al mare, e là gli mostrò sette depositi di oggetti preziosi, coi libri di Vaipulya ed altri Sûtra di significato profondo e mistico; Nâgârjuna li lesse per novanta giorni consecutivi, e poi ritornò sulla terra con un cofanetto. A quel tempo, in India Meridionale c'era un re che sapeva ben poco della vera dottrina; Nâgârjuna, desiderando attirare tutta la sua attenzione, gli apparve davanti per sette anni con una bandiera rossa e quando il re, nel corso di una lunga conversazione con lui, gli chiese come prova della sua conoscenza universale, di dirgli ciò che stava accadendo su nei Cieli, Nâgârjuna dichiarò che vi era una guerra tra gli Asura e i Deva, e per confermare le sue parole fece precipitare dal cielo un braccio ed alcuni arti mutilati degli Asura. Allora il re fu convinto, e diecimila Brâhmani rinunciarono a portare i loro capelli annodati (cioè, essi si rasero), e fecero i voti di perfezione (cioè, la recita spirituale). Così Nâgârjuna diffuse ampiamente il buddhismo in India Meridionale: umiliò i Tîrthika (cioè gli Induisti ortodossi), e per spiegare il Dharma Mahâyâna compose l'Upadesa, di 100,000 gâtha; oltre quello, egli compose il Chyuang iang fo lao lung, 'Il Sublime Sentiero del Buddha', che consiste di 5,000 gâtha; il Da tzi fang biang lung, 'L'Arte della Compassione', anch’esso consistente di 5,000 gâtha (?). Fu grazie a questi che la dottrina del Mahâyâna si diffuse in tutti i lati del Sud dell’India. Oltre a questi, egli compose il U veï lung, 'Meditazioni sull’Impavidità', in 100,000 gâtha(3). Un Brâhmano che era entrato in dibattito con lui produsse un magico stagno in mezzo al quale vi era un giglio d’acqua con mille foglie, a sua volta Nâgârjuna produsse un elefante magico che prosciugò lo stagno. Infine, a causa di un capo Hinayâna che desiderava che Nâgârjuna morisse, egli si chiuse nel suo solitario eremo e scomparve. In tutti i regni dell'India, per centinaia d’anni furono elevati templi in suo onore, e le persone presero ad adorarlo come fecero con il Buddha. Poiché sua madre l'aveva fatto nascere sotto un albero di Arjuna, lui ricevette il nome di Arjuna, e poiché lui fu convertito da un Nâga (il Re Drago), fu aggiunto il nome Nâga, da cui risultò il nome Nâgârjuna (in Cinese, Lung-chu, albero-drago; i Tibetani lo traducono 'convertito da un drago'). Egli fu il patriarca tredicesimo, ed amministrò la religione (il Dharma) per più di trecento anni (4).
3. Deva (Âryadeva) discendeva da una famiglia Brahmanica dell'India del Sud. Egli fu reso celebre per la sua conoscenza generale. Nel suo regno, vi era un'immagine dorata di Mahesvara, alta due sagenes (5), e chiunque chiedeva un favore girandosi verso di essa, aveva la sua preghiera accordata nella presente vita. Non tutti quelli che si presentavano erano ammessi davanti all'immagine, ma Deva insistè che a lui doveva essere permesso di entrare, e così, quando lo spirito irato cominciò a far rovesciare i suoi occhi, lui se ne estrasse fuori uno. Un'altra volta, Mahesvara gli apparve in una festa e gli promise che la gente avrebbe creduto alle sue parole. Deva si recò alla pagoda di Nâgârjuna (6), entrò nello stato spirituale, e quindi cominciò ad illuminare le persone. Ma tutto ciò non lo rese soddisfatto, perché egli fu preso dal desiderio di convertire il re stesso. Con quello scopo, lui andò dalle guardie, e dopo aver avuto la loro attenzione, chiese loro il permesso di poter avere un dibattito con alcuni eretici, ognuno dei quali fu da lui superato. Deva compose il Bo-lung erl-chi ping, 'La Centuplice Meditazione', e il Chi bo lung (400 gâtha) per la purificazione dell’errore; ma un Tîrthika gli aprì lo stomaco con un pugnale e lui morì. Poiché egli prima di ciò aveva fatto dono di uno dei suoi occhi a Mahesvara quando gli era apparso alla festa, lui rimase cieco di un occhio, e quindi gli fu dato il soprannome ‘Kânadeva’.
4. Vasubandhu nacque nel regno di Purushapura (7) nell’India Settentrionale. Il seguente passo si trova nella storia del dio Vishnu:- ‘Vishnu era il fratello più giovane di Indra, che l'aveva spedito in Jambudvîpa per conquistare Asura: egli era nato come figlio al re Vâsudeva. A quel tempo, il deva Asura aveva il nome di Indradamana (8)(vincitore di Indra), un nome che lui aveva ricevuto a causa della sua guerra contro Indra. Nel Vyâkarana (9) si dice che l'Asura asserisca che per le persone non è bene divertirsi facendo opposizione agli dèi che trovano godimento nel fare il bene. Questo Asura aveva una sorella chiamata Prabhâvatî (10) (regina della luce) che era molto bella. L'Asura, desiderando ferire il dio Vishnu, mise sua sorella in una posizione prominente, e lui stesso le disse che se qualcuno avesse avuto il desiderio di sposarla, lei doveva proporgli di dover cercare una disputa con suo fratello. Vishnu arrivò in questo luogo e vedendo Prabhâvatî si innamorò di lei, e poiché tutti gli dei si erano sposati con le figlie degli Asura, lui le propose il matrimonio: di conseguenza, egli fu costretto a lottare in duello contro l'Asura. Vishnu, con il corpo di Nârâyana era invulnerabile; ma l'Asura continuò a vivere anche se Vishnu gli aveva tagliato la testa, mani, e gli altri arti, che magicamente ritornavano al loro posto. La lotta continuò fino a notte fonda, e la forza di Vishnu stava cominciando a cedere, quando sua moglie, temendo affinché lui non venisse colpito, prese una foglia di Utpala, e spezzandola in due pezzi, li gettò nei due lati opposti, e cominciò a camminarvi nel mezzo. Vishnu, comprendendo il significato di questa azione, tagliò il corpo dell'Asura in due pezzi e vi passò in mezzo; così l'Asura morì. Egli in precedenza aveva ottenuto da un Rishi il diritto che qualsiasi arto fosse stato tagliato si sarebbe riunito al corpo, ma il Rishi non aveva detto che il suo corpo si sarebbe di nuovo riunito insieme se fosse stato tagliato a metà. Poiché qui Vishnu aveva dimostrato il coraggio di un uomo, il regno fu chiamato così Purusha. In questo regno c'era un capo reale che era un Brâhmano della setta Kaushika (11). Egli aveva tre figli, tutti con il nome Vasubandhu, che era a loro comune e che significa 'genitore celeste' (Tiang-tzing). In India è usanza dare a tutti i bambini un solo nome che sia a loro comune ed inoltre per distinguerli, ne è aggiunto un altro per speciale distinzione. Il terzo figlio dal nome Vasubandhu fu introdotto nella scuola spirituale Sarvâstivâda. Egli poi divenne un Arhant e fu chiamato Bilinchi Vatsya (ba-po); Bilinchi era il nome della madre, mentre Vatsya significa 'figlio'; ma così vengono chiamati i figli dei servitori ed il bestiame bovino, specialmente i vitelli. Il più vecchio figlio Vasubandhu avanzò pure lui nella scuola spirituale Sarvâstivâda, e benché avrebbe potuto sfuggire la sofferenza, egli non poté comprendere l'idea, e preferì darsi la morte; ma l'Arhant Pindola che stava nel Videhadvîpa orientale, avendolo visto, andò da lui e lo istruì nella contempla-zione Hînayâna del vuoto; ma Vasubandhu, non essendo soddisfatto di quella, spedì un messaggero nel paradiso Tushita per fare domande speciali a Maitreya, e dopo aver da lui ricevuto un chiarimento della forma Mahâyâna della vacuità, ritornò a Jambudvîpa, dove, essendosi dato agli studi, ricevette il dono di avere la preveggenza, e per questo gli fu dato il soprannome ad Asañga (U-thyo, 'senza-impedimento'). Egli andò ancora alcune volte da Maitreya nel cielo Tushita per fargli particolari domande sul significato dei Sûtra del Mahâyâna; ma quando egli spiegava agli altri ciò che aveva imparato, essi non lo credevano, e lui fu costretto a chiedere a Maitreya di ritornare sulla terra, cosa alla quale lui acconsentì. Per quattro mesi Maitreya si trovò a predicare nel tempio, rivolgendosi alle persone con il Sûtra dei Diciassette Mondi, e per spiegare chiaramente il suo significato; ma nessuno salvo Asañga poteva vederlo, gli altri potevano solo sentire la predica e tutti così credettero nel Mahâyâna. Maitreya insegnò ad Asañga il Samâdhi del raggio solare; allora tutto gli divenne comprensibile, e lui compose in Jambudvîpa l'Upadesa sui Sûtra del Mahâyâna.
Anche il secondo figlio Vasubandhu avanzò nella scuola spirituale Sarvâstivâda: per l’estensione della sua cultura, per il numero degli argomenti che lui comprese, e per la sua conoscenza dei testi, egli non ebbe uguali. E dato che i suoi fratelli avevano ricevuto altri nomi, il nome di Vasubandhu rimase a lui solo.
Intorno al cinquecentesimo anno dopo il nirvâna del Buddha, là viveva l'Arhant Katyâyanaputra che anch’egli era un avanzato nella scuola spirituale Sarvâstivâda. Egli era un puro indiano, ma nel corso del tempo era entrato nel regno di Kiping (Kofeng, Kabul) che è a nord-ovest dell'India, dove contemporaneamente vi erano 500 Arhants e 500 Bodhisattva (?). Lì egli cominciò a comporre l'Abhidharma della scuola Sarvâstivâda che consiste di 8 grantas. In ogni dove venne pubblicata una dichiarazione, che tutti quelli che conoscevano tutto sull'Abhidharma del Buddha avrebbero dovuto dire quello che sapevano. E così, uomini, dèi, draghi, Yaksha, ed anche gli abitanti del cielo Akanishta comunicarono tutto quello che sapevano, fosse anche soltanto la frase di un solo verso. Katyâyanaputra, con gli Arhant ed i Bodhisattva, tra tutto scelsero ciò che non era contraddittorio ai Sûtra e al Vinaya; essi ne formarono una composizione che divisero in 8 parti, in cui c'erano 50,000 sloka. Poi decisero di comporre il Vaibhâshya per spiegare l'Abhidharma. In quel tempo, stava vivendo in India Asvagosha, un nativo del paese Po-dyi-do nel regno di Sravasti; egli capiva le otto parti dei Vyâkarana, i quattro Veda, le sei scienze, ed i tre Pitaka delle diciotto scuole: quindi Katyâyanaputra spedì un ambasciatore a Sravasti per invitare Asvagosha a venire a correggere la scrittura del proposto Vaibhâshya. Per dodici consecutivi anni dopo il suo arrivo in Kiping, Asvagosha fu occupato col lavoro di cui Katyâyanaputra e gli altri Arhant e Bodhisattva gli avevano dato incarico; l’intero Vaibhâshya conteneva un milione di gâtha. Dopo la loro composizione, Katyâyanaputra incise un ordine su pietra, che mai nessuna persona, conoscendo questa dottrina, avrebbe dovuto espanderla fuori di Kiping, ed anche che la composizione stessa non doveva oltrepassare la frontiera. Lui si prese anche cura che le altre scuole ed il Mahâyâna non dovevano profanare o modificare questa pura dottrina. Quest’ordine fu confermato anche dal re. Il regno di Kiping era circondato da tutti i lati da montagne, e c'erano valichi solamente da un lato; tutti i prelati avevano messo la loro guardia di Yaksha come sentinelle per permettere di passare solo a tutti quelli che desideravano esserne istruiti, ma non permettere loro di andare di nuovo fuori. Nel regno di Ayodhya viveva il maestro Vasasubhadra (12), che era dotato di intelligenza e una buona memoria; poiché desiderava imparare il Vaibhâshya, si finse pazzo e riparò a Kiping, dove lo ascoltò per dodici anni consecutivi. Talvolta mentre glielo stavano spiegando, lui prendeva a chiedere sul Râmâyana; e per questo motivo egli era disdegnato da tutti, e gli fu permesso di andar fuori da Kiping, benché gli Yaksha fossero stati prevenuti dai preti. Dopo il suo ritorno in patria, egli dichiarò che tutti dovevano affrettarsi a imparare da lui il Vaibhâshya di Kiping, e, siccome lui era vecchio, i suoi discepoli scrissero tanto rapidamente quanto lui parlava, ed in breve tutto fu riportato a buon fine.
Intorno al nono secolo dopo la morte del Buddha, in India viveva il Tîrthika Vindhyâkavasa; egli richiese l’opera Seng-ge-lung dal Naga che dimorava vicino al lago ai piedi delle montagne Vindhya, e dopo averlo adattato al suo punto di vista, andò ad Ayodhya e chiese al re Vikramâditya di permettergli di entrare in dibattito coi preti buddhisti. In quel periodo, i grandi maestri, come Manirata, Vasubandhu, ed altri, si trovavano in altri regni. L’unico che restava era Buddhamitra, il maestro di Vasubandhu, un uomo vecchio e debole, ma che aveva profonda conoscenza; egli fu chiamato per la disputa, ma potè solo ripetere ciò che il Tîrthika aveva detto, e fu vinto. Il re ricompensò il Tîrthika che, al suo ritorno sui monti Vindhya, fu trasformato in un pilastro di pietra, ma il suo lavoro del Seng-ge-lung è stato preservato fino ai giorni nostri. Quando, al suo ritorno, Vasubandhu seppe questa circostanza, fece fare una ricerca per trovare il Tîrthika; ma siccome lui era stato trasformato in un sasso, Vasubandhu compose il Tzi-shi-chyang-shi-lung in cui confutò tutte le proposizioni del Seng-ge-lung, e perciò ricevette dal re un dono di tre laksha di oro, coi quali lui eresse tre idoli,- uno per le Bhikshunî (monache), un'altro per la scuola Sarvâstivâda e il terzo per la scuola Mahâyâna; dopodiché la vera dottrina (cioè, il Dharma buddhista) fu di nuovo ristabilita. Vasubandhu prima studiò il significato del Vaibhâshya; poi, avendo adottato questo insegnamento, compose ogni giorno un gâtha, in cui era contenuto il significato di tutti quelli che lui aveva insegnato in quel giorno; dopo aver scritto questo gâtha su una foglia di rame, egli fece in modo che questa fosse portata in giro sulla testa di un elefante ubriaco, e col battito di un tamburo chiamò a raccolta tutti quelli che desideravano discutere il significato del gâtha; ma non fu trovato nessuno capace di confutarlo. In questo modo, furono composti più di 600 gâtha, i quali contengono tutto il significato del Vaibhâshya; il Koshakarika, o il Kosha in versi. Quando Vasubandhu gli ebbe aggiunto cinquanta libbre in oro, lo spedì a Kiping a tutti quelli che erano maestri dell'Abhidharma, i quali si allietarono grandemente per il fatto che la loro vera dottrina si era estesa all'esterno; ma poiché nei versi essi trovarono dei passi incomprensibili, essi stessi aggiunsero altre cinquanta libbre in oro, desiderando che Vasubandhu scrivesse una spiegazione in prosa; allora lui compose {sic} così l'Abhidarmakosha in cui presentò le idee Sarvâstivâdin, e confutò qualunque cosa deviasse dai principi dei Sûtra. Quando questa composizione arrivò a Kiping, in questi distretti, i maestri furono irritati nel vedere le loro opinioni rovesciate.
Il figlio del re Vikramâditya, che aveva il nome di Prâditya ('nuovo-sole') fece i suoi voti a Vasubandhu; e sua madre, entrando nella scuola religiosa, divenne sua discepola. Quando Prâditya salì al trono, madre e figlio implorarono Vasubandhu di restare a Âyodhya e godere della loro fortuna, cosa che lui acconsentì a fare; ma il cognato di Prâditya, il Brâhmano Vasurato, che ne aveva sposato la sorella, era un maestro dei Tîrthika ed era versato nel Vyâkarana, secondo i principi del quale lui compose una confutazione del Kosha, l’opera di Vasubandhu, che in sua difesa scrisse il Sang-shi-erle-ping (32 Articoli), in cui confutava tutte le obiezioni. Il Vyâkarana andò perso, e rimase solo l'altra composizione. Il re per ricompensa gli diede un laksha di oro, e sua madre gliene diede due; con questi Vasubandhu eresse un idolo in ciascuno dei tre regni di Kiping, Purushapura, ed Ayodhya. Il Tîrthika, rosso di vergogna, desiderando umiliare Vasubandhu, portò dall'India ad Ayodhya il maestro Siñhabhadra che compose due opere per confutare il Kosha: in uno(Guang-sang-ma-jê), di 10,000 gâtha, spiegò il significato del Vaibhâshya; e nell'altro (Sui-shi-lung), in 12,000 gâtha, lui difese se stesso, e rovesciò le opinioni del Kosha. Dopo aver finito questi lavori, Siñhabhadra provocò Vasubandhu per un dibattito su di essi, ma quest’ultimo si defilò col pretesto della sua vecchiaia, facendo sì che alcune persone sagge li giudicassero. All’inizio, Vasubandhu si era immerso nello studio delle idee delle diciotto scuole ed era devoto allo Hînayâna, non credendo nel Mahâyâna, - egli diceva che in esso non vi era la dottrina del Buddha. Asañga, venendo a conoscenza che il suo fratello stava scrivendo una confutazione del Mahâyâna, chiamò Vasubandhu a Purushapura dove egli stesso viveva, e lo convertì al Mahâyâna. Così, Vasubandhu si pentì delle sue precedenti critiche del Mahâyâna e desiderò tagliarsi la lingua, ma il fratello lo persuase che sarebbe stato meglio scrivere una spiegazione del Mahâyâna, cosa che lui fece davvero dopo la morte di Asañga. A lui si devono i commentari sull'Avantamsaka, il Nirvâna, il Saddharmapundarika, il Prajnâpâramitâ, il Vimalakirti, ed altri Sûtra; e oltre a questi lui compose il Veï-shi-lung, in cui è contenuta l’intera concezione del tutto il Mahâyâna, ed anche il Gang-lu-ming e altri Shâstra del Mahâyâna. Tutto ciò che è stato composto da questo maestro si è distinto per l’eccellenza di stile e di idee: è per questa ragione che, non solo in India, ma anche oltre le frontiere in altri paesi, sia gli appartenenti dell’Hînayâna che del Mahâyâna hanno adottato i suoi lavori come autorevoli. Gli eretici diventano pallidi di paura quando sentono il suo nome. Egli morì ad Ayodhya, all'età di 80 anni.
----------------------------------------------------------------------------------------------------
Note in calce
(1) Le biografie dei primi tre sono state tradotte in Cinese sotto la dinastia di Yao-tzing, 384-417 d.C., da Kumârasya (Kumârashila?); l’ultima, quella di Vasubandhu apparve sotto la dinastia di Cheng (557-588 d.C.), dal celebre Cheng-ti. Da queste M. Vassilief derivò il compendio delle loro vite (pp. 210-222 dell'ed.ne Russa).
(2) Un sistema di chiamata per gli esercizi religiosi.
(3) Ora noi non troviamo tutti questi lavori di Nâgârjuna in Cinese o in Tibetano, sebbene ce ne siano altri che vanno sotto il suo nome.
(4) Questa nota si trova nella biografia Cinese.
(5) Il 'sagene' è una misura Russa di 6 piedi e 9.2 pollici.
(6) Noi però non sappiamo se Nâgârjuna fosse ancora vivo, sebbene le abituali leggende fanno di Âryadeva il discepolo personale di Nâgârjuna.
(7) *Fu-lou-cha-fu-lo.
(8) *Ing-to-lo-to-ma-na; to-ma-na significa ‘vincitore’.
(9) *Bi-kia-lo.
(10) *Po-lo-po-no-di.
(11) * Kiao-chi-kia, uno dei nomi di Indra stesso.
(12) * Po-soso-siui-ba-to-lo.
(Parte 2°)
JOURNAL OF THE ROYAL ASIATIC SOCIETY.-[New Series, Volume VI] -[London, Trübner and Company]- [1873] - {Scanned and edited by Christopher M. Weimer, May 2002. The sequence ~m represents an m-tilde in the original.} ART. XIV.--The Legend of Dipañkara Buddha. Translated from the Chinese (and intended to illustrate Plates XXIX. and L., 'Tree and Serpent Worship'). By S. BEAL.
(ART. XIV.--La Leggenda di Dipañkara Buddha. Tradotto dal Cinese da S. BEAL.
(ed in Italiano da Aliberth– per il Centro Nirvana di Roma)
Da un breve esame di un lavoro nell'Ufficio Bibliotecario Indiano, chiamato "K'ai yuen shºi kiau", (di cui un volume sfortunatamente è andato perso), si sa che il numero di libri inclusi nel Canone buddhista Cinese, fin dal tempo di Tchi-Shing, il compilatore del lavoro in oggetto (che visse intorno al 730 d.C. durante la dinastia Tang -618-904 d.C., e poco dopo Hwen-Thsang), ammontasse in tutto a 1076, divisi in 5048 capitoli (kiouen), ed incluso all'interno di 480 involucri (chih). Di questi, 330 appartengono al "Piccolo veicolo", e 968 al "Grande veicolo", con altri 108 miscellanei e non classificati. Di quelli del "Piccolo veicolo", 240 sono Sûtra, in 618 capitoli e 48 involucri; 54 appartengono al Vinaya Pi.taka, in 446 capitoli e 45 involucri; 36 appartengono all'Abidharma Pi.taka, in 698 capitoli e 72 involucri. Dei 968 appartenenti al "Grande veicolo", 515 sono Sûtra, in 2173 capitoli e 203 involucri; 26 appartengono al Vinaya Pi.taka, in 54 capitoli e 5 involucri; e 97 all' Abidharma Pi.taka, in 518 capitoli e 50 involucri.
Fra gli altri lavori citati in questa preziosa Enciclopedia uno porta il titolo "Fu-pen-hing-tsi-king", cioè "Notizie miste riguardo alla Nascita e Storia del Buddha", tradotto da Djinakûta (o Djñânakûta), un nativo di Gandhâra, nell’India del Nord, il quale visse al tempo della dinastia Sui (581-617 d.C.). Da quest’opera è stata selezionata la seguente leggenda di Dipañkara Buddha, per illustrare due delle sculture che si trovano a Sanchi ed Amravati e qui rappresentate nell’ "Adorazione dell’Albero e del Serpente". Potrei avere qualche dubbio che queste identificazioni siano perlomeno plausibili, forse più che plausibili. La leggenda inizia con la storia precedente di Dipañkara, quando lui era un attendente di Ratnabhava Buddha:--
“Ad un tratto, l’Onorato del mondo si rivolse ad Ananda nel modo seguente:--"Ananda! io mi ricordo che, nei secoli passati, troppi perché io li esprima, c'era un sacro Chakravarti Râja, di nome Sudarsana che, avendo sottomesso le quattro regioni (il mondo), governava gli uomini secondo la legge. Durante il suo regno non vi erano punizioni di nessun tipo come frustare o mettere a morte-- e nessun soldato armato che torturasse o distruggesse, ma vi erano prosperità e pace, e le persone vivevano virtuosamente e religiosamente. Ananda! La città dove viveva il re Sudarsana si chiamava Jambunada, da est ad ovest i muri erano lunghi dodici yôjana, e da nord a sud sette yôjana. Ananda! la città di Jambunada era adornata e pulita in modo straordinario e meraviglioso. Per costruirla furono esclusivamente usate le quattro sostanze preziose,--e cioè, oro giallo, argento bianco, cristallo e cornalina. Intorno alla città vi erano sette distinte cinte di mura, ognuna alta sette 'sin' (56 cubiti), e larga tre 'sin' (24 cubiti). Inoltre, tutt’intorno a questa città, vi erano sette successive ringhiere meravigliosamente intagliate, ecc. [Qui segue la solita descrizione di una città perfettamente adornata]. In quel tempo, Ananda, era nato un Buddha chiamato Ratnabhava. Questo Buddha in precedenza aveva vissuto come Bôdhisatwa in questa città di Jambunada; e un giorno lui si avvicinò di mattina presto alla città per elemosinare, contemporaneamente innumerevoli Deva discesero per rendergli onore, e lo circondarono come con un seguito, ecc. A questo punto, c’era uno degli abitanti di un certo villaggio fuori della città, il quale stava per sposarsi con una donna della città e, mentre entrava all'interno delle mura, egli vide il luogo pienamente adornato e pulito. Essendo colmo di stupore e riverenza, egli chiese ad una persona incontrata:- 'Che sta avvenendo qui?' La persona rispose:- 'C'è un Buddha nato di nome Ratnabhava, ecc.; lui entrerà nella città per elemosinare il cibo, e perciò sono state fatte queste preparazioni'. E poi continuò a dire all'abitante del villaggio tutto sulle eccellenze del Tathâgata, e del Dharma e Sangha. L'abitante del villaggio, avendo quindi sentito descritta la natura gloriosa dei tre Gioielli fu colmo di gioia. Esultò straordinariamente, e così riflettè, 'Ratnabhava, il Buddha-nato, raramente è visto nel mondo. Io ora andrò diritto da lui'. Pensando così, lui immediatamente si mescolò con la folla dei cittadini, ed andò di pari passo con loro al luogo dove era Ratnabhava. Essendo arrivato là, pensò tra sé e sé, 'Se questo Tathâgata ha acquisito davvero tutta la saggezza così come la conoscenza di tutti i cuori, lui saprà del mio cuore, e perciò egli deve prima di tutto rivolgersi a me con una qualche parabola consolatoria'. A questo punto, Ratnabhava Buddha, conoscendo il cuore dell’uomo, si diresse immediatamente da lui e gli parlò. Allora quell’abitante del villaggio fu riempito di gioia ed esultò in modo esagerato. E poiché il suo voto fu adempiuto, lui chiese rispettosamente al Buddha che partecipasse come suo ospite il giorno successivo. Il Buddha rimase silenzioso, cosicché l'abitante del villaggio, prendendo questo silenzio come tacito beneplacito, fu colmo di gioia, e risalì in casa sua per fare le dovute preparazioni. Allora i quattro Devarâja, Brahmâ, Shakra, ed il resto, e tutta la moltitudine di Deva, portando ogni sorta di offerte, vennero a presentarle al Tathâgata. Al tempo stesso, l'abitante del villaggio, tornando a casa sua quella stessa notte, sistemò ogni genere di cibo delicato, di squisito sapore e di gusto assai piacevole. Avendolo così sistemato, il giorno dopo lui si svegliò molto prima, e cominciò a pulire la sua casa e spruzzare intorno ogni tipo di acqua profumata, e cospargendo tutto con fiori di grande bellezza e profumo di prima qualità; avendo poi sistemato il posto, lui spedì messaggeri che dicessero al Buddha, 'Oh, Lei può venire alla mia umile abitazione, poiché tutte le cose sono pronte!'
"Allora Ratnabhava, di mattina presto, prese il suo mantello, la sua ciotola per le elemosine, e circondato da innumerevoli seguaci, andò a ricevere l'ospitalità che gli era stata offerta. Ivi giunto, i suoi discepoli si sedettero nel dovuto ordine. L'abitante del villaggio, avendo visto Ratnabhava, immediatamente lo fece sedere, e con la sua propria mano propose al Tathâgata ogni genere di cibo squisito e bevande, dicendo così, 'Mangia, mio Signore, con tutta la congregazione, secondo il tuo desiderio'. Quando loro ebbero così mangiato, le provviste però rimasero non finite, per cui l'abitante del villaggio così pensò, 'Le carni e le bibite non sono diminuite; indubbiamente ciò è conseguenza del potere miracoloso del Tathâgata, che le aumenta continuamente secondo il calo del loro consumo. Io allora andrò a chiamare i miei parenti che vengano a vedere il Tathâgata, così che quando essi, dopo averlo visto, avranno mangiato e saranno sazi, io avrò ulteriore gioia'. Così egli di nuovo pensò, 'Meraviglioso! meraviglioso, davvero, oltre ogni aspettativa, è l'estensione del potere del Buddha: perché tutti i miei parenti sono venuti qui, per assistermi ed aiutarmi, spontaneamente; e perciò non ho bisogno di invitare una sola persona; e senza usare alcun sforzo, tutte le cose si sono sistemate da sole, come le avrei fatte io'. Poi Ratnabhava, dopo la festa, ripeté alcune adeguate parti della Legge, ad uso dell'abitante del villaggio e alla sua grande gioia; [il risultato di ciò fu che lui ottenne un nuovo cuore e la completa pace]. Quindi, l'abitante del villaggio ed i suoi amici, ascoltata la Legge, giunsero alla Saggezza Suprema ed ognuno ritornò alla sua casa. (Con questo felice risultato, l'abitante del villaggio allora disse:) 'Oh, che in futuro io possa ottenere la perfetta conoscenza di questo Tathâgata Ratnabhava!' E ancora lui disse, 'Oh, possa io essere in grado, in mezzo al grande Sangha, di trasmettere la Legge, e far allietare i cuori degli uomini, così come questo Tathâgata Ratnabhava l’ha predicata fra la sua congregazione, e ha fatto arrivare i Bhikshu alla pace e all’unità di condotta!' Allora, quell’abitante del villaggio, avendo prestato la sua piena e ripetuta riverenza al Tathâgata, entrò nella comunità, si rase la testa, lasciò la sua casa, e divenne un Bhikshu".
"Oh Ananda, dopo un incalcolabile numero di asamkhyeya-kalpa (una infinità di secoli) questo Bhikshu incontrò di nuovo un Buddha, che era nato nel mondo con il nome di Tathâgata Prabhâkara. Allora questo Bhikshu, prestando l'adorazione religiosa a questo Buddha ed osservando i precetti di purezza personale, divenne uno dei suoi discepoli, come era accaduto prima. In questa condizione lui ancora una volta pregò, 'Oh, in virtù del merito che ho acquisito, che io possa sfuggire la rinascita negli stati inferiori, durante le mie nascite future di èra in èra!'- In quel momento Prabhâkara Buddha, ben informato della sua preghiera, rilasciò questa predizione in riferimento a lui, e disse, 'Oh tu Virtuoso, nei secoli a venire, dopo infiniti asamkhyeya-kalpa, raggiungerai la condizione di Buddha Tathâgata, ed il tuo nome sarà Dipañkara'. [E così, secondo lo stile di ogni Buddha, lui nacque dal lato destro di sua madre] Quindi, il Bôdhisatwa Dipañkara, crebbe ogni giorno verso la virilità, con tutte le facoltà e funzioni perfette e con grande grazia della persona. Vivendo in un palazzo provvisto per lui, si dilettò nei piaceri [i cinque piaceri della vita]. Ma, mentre era immerso in essi, in lui sorse il pensiero che tutte queste gioie erano solo momentanee. Avendo pensato così, lui lasciò la sua casa, si rase la testa, e divenne un asceta; indossò la veste kashâya da eremita, e abbandonò tutti i rapporti con il mondo. Indi cercò la realizzazione della Saggezza Suprema, e giunse alla completa emancipazione. Dopodiché, usando la sua facoltà della vista Divina, lui riflettè così: 'Chi sarà il primo a sentire e a ricevere la vera Legge?' Subito egli vide che al mondo non c’era nessuno idoneo per un così alto privilegio. Ancora egli riflettè (e guardò) tre volte, e ancora non trovò nessuno. Così lui visse nel mondo tremila anni, ma rimase ancora da solo senza discepoli. Dopo tremila anni Dipañkara pensò: 'Tutti gli uomini sono immersi nel peccato, ed affascinati per tutto questo tempo dalle illusioni dei sensi. Io ora devo convertirli, e dare ad essi la comprensione'. Riflettendo così, egli fece apparire una città per procedere dalla sua luce e rifugiarsi nello spazio. Egli fece apparire tutti gli edifici come se fossero costruiti di cristallo, e fuori della città, ogni sorta di albero-Tâla fatti di sette sostanze preziose, e viali e giardini (come descritti in precedenza). All’improvviso, le persone di Djambu (il mondo) videro che dalle quattro mura di questa città si ergevano alte fiamme, brillanti e ardenti. Allora, una grande paura li prese, e riunendosi insieme essi così dissero:--'Ahimè! ahimè! guardate come sta bruciando in fiamme quella città, di sicuro essa presto sarà completamente distrutta!' Allora, essi cercarono affinché apparisse un Buddha per convertire e salvare quella disgraziata gente. Ma videro solo che le fiamme ancora bruciavano, e le persone che invano cercavano rifugio e ricovero. Desiderando la protezione, non c’era nessuno a proteggerle. Cercando la salvezza, non c'era nessuno capace di salvarle! Allora, dissero di nuovo--'Oh, se quella città potesse essere portata a noi vicina, o noi ad essa, forse noi potremmo estinguere l’incendio!' Solo allora, videro quelli che erano Deva, Nâga, Yaksha, Gandharva, e non semplici uomini (Kinnara)(1), venir fuori da quella città, e gridare, 'Perché le fiamme bruciano così? Da dove viene questo fuoco?' Allora, apparvero tre porticati, uno d’oro, un altro d’argento, il terzo di cristallo; nel mezzo vi erano alberi-Tâla fatti delle sette sostanze preziose; da folto di questi alberi venne una voce che disse 'Oh, voi tutti gli uomini! riunitevi in un luogo, se desiderate davvero vedere Dipañkara Buddha il Tathâgata, perché il Buddha fra non molto discenderà in Jambudwîpa'. Allora, tutte le persone di Jambudwîpa andarono direttamente verso quei porticati per vedere Dipañkara venir fuori dalla città e scendere a Jambudwîpa. In quel mentre, Dipañkara, essendo apparso, si sedette sul trono-Leone, e cominciò a trasmettere la Legge per tutte quelle persone, cioè a predicare carità, purezza, astinenza ed a raccomandare il merito del professare la religione; e vedendo allora che c'erano segnali di conversione, lui trasmise l’intero Dharma, come avevano fatto tutti i Buddha precedenti, relativo alle quattro Nobili Verità—sofferenza, l'accumulazione, liberazione, ed i Sentieri. Nel primo giorno di questa predica vi furono 6000 miriadi di uomini convertiti che divennero Rahat (arhant) ed i loro cuori furono liberati da leggi esterne. Il secondo giorno, lui convertì ancora 5000 miriadi di uomini; e poi 4000 miriadi il terzo giorno, fino al settimo giorno. Dopodiché Dipañkara rimase nel mondo un intero kalpa".
"Di nuovo, il Buddha così parlò ad Ananda:--"Io ricordo, innumerevoli secoli fà, che vi era un re chiamato 'Niang-nu', (Satruñjaya), della casta guerriera Kshatriya, debitamente consacrato secondo la regola dei suoi antenati (shan). Lui viveva in una grande città chiamat Padma (o Paduma), dodici yôjana lunga e sette yôjana larga; il terreno piano e liscio [qui segue la solita descrizione di una città], uguale in ogni aspetto alla città del Re del Nord, Arka Vaisravana,-- ugualmente gloriosa in ogni suo lato, così perfettamente adornata e bella era essa, Ananda, che il Râja Satruñjaya aveva un certo ricco ed eminente Bramano il cui nome era Sûryapati, forte e coraggioso, padrone di ogni specie di ricchezze--oro, gemme, elefanti, cavalli, schiavi, bestiame bovino di ogni tipo, senza riserve. Dentro questa casa del tesoro si trovavano tutti i tipi di sostanze preziose--oro giallo, argento bianco, vere perle, lapislazuli, cristalli, cornaline, corallo, tutti completi come (la tesoreria di) Vaisravana, il Re Settentrionale.
"Ananda! a questo punto Sûryapati, il gran Bramano, per l’esagerata affettività che egli sentiva per il Re, aveva una cosatane conversazione con lui; e tutti i giorni, per un breve tempo almeno durante il giorno, andava a visitarlo, con ogni tipo di scusa. Ananda! quel Râja Satruñjaya aveva in quel periodo certi affari in corso, che lui affidò per concluderli al Bramano Sûryapati, desiderando che egli li giudicasse e decidesse di trattarli davvero bene. Essendosi Sûryapati equamente interessato del caso, nella testa del Re entrò che lui avrebbe dovuto fare qualcosa per raddoppiare la prosperità e la felicità di questo Bramano, e così condivise il suo regno con lui, e gli costruì una città chiamata Yen-chü [signore del confine], con strade e porte perfettamente adornate, e anche bella come la città di Padma stessa. Ananda! quel Sûryapati Râja [chiamato Râja, perché ora possedeva metà del regno] aveva una sposa chiamata Chandrottara. Ananda, quando Dipañkara Buddha discese dal paradiso Tushita, lui fu incarnato nell'utero di Chandrottara, e ne uscì attraverso il suo lato destro, nel palazzo di Sûryapati. Ananda, dopo un pò Satruñjaya Râja venne a sapere che la principale signora di Sûryapati aveva dato alla luce nel palazzo reale un bimbo chiamato Dipañkara, molto bello da vedere e capace di dare grande gioia; unico al mondo, dotato con tutti i segni caratteristici, puro come una figura d’oro. Essendo nato questo bambino, ne fu fatto l’oroscopo, ed i Brahmani dichiararono che lui sarebbe stato o un Chakravartin o un Buddha; sarebbe stato il primo, se lui possedeva i sette segni, cioè un disco dorato, una perla Divina, una donna incalcolabile, un elefante, un cavallo, un ministro ed un tesoriere eccellenti, e allora il suo regno avrebbe avuto ogni prosperità; ma se lui diventava un asceta, allora sarebbe giunto alla completa Illuminazione, e sarebbe stato conosciuto con i dieci nomi che appartengono ad un Buddha. Ananda! questo bimbo divenne un asceta, e compì le funzioni e la missione di un Buddha. Satruñjaya a questo punto riflettè così:--'Raramente invero arrivò a nascere un "Signore del Mondo"; è assai difficile da sentirlo dire, e difficile da vederlo'. Quindi Satruñjaya spedì alla dimora di Sûryapati messaggeri per dirgli così: 'Noi ora abbiamo sentito che la regina di Sua maestà ha dato alla luce un bel bambino, dotato di tutti i segni particolari. Noi desideriamo invitare quel Dipañkara Buddha, di venire a vivere alla nostra città di Padma, e ricevere le nostre offerte, e noi spediremo una scorta per vederlo'. Allora gli ambasciatori, così istruiti, giunsero alla città di Yen-chü, e consegnarono la loro comunicazione. Poi Sûryapati Râja, avendo ricevuto la comunicazione, fu addolorato, ed radunò rapidamente il suo consiglio dei ministri, e così parlò:--'Considerate bene, vi prego, che risposta dare a questa comunicazione'. Allora tutti i ministri si rivolsero al Re, dicendo: 'Noi pensiamo che riguardo a questa questione dovrebbe essere consultato Dipañkara Buddha stesso; perché lui ha grande carità e compassione'. Il Râja Sûryapati rispose: 'Così è anche la mia opinione'. Poi il Râja e tutti i suoi ministri andarono insieme nel luogo dove stava Dipañkara Buddha, ed essendo ivi giunti, (essi gli consegnarono la comunicazione). Allora, quel Buddha provò a tranquillizzare il Re, dicendo: 'Mahârâja! rasserena il tuo cuore, e non essere angosciato; non avere nessuna paura o dolore per questo effetto; perché in verità a questo punto io stesso desidero andar via e viaggiare nei vari luoghi della terra, per insegnare e convertire gli uomini; poiché il mio amore si estende pure all’intera razza umana'. Quindi Dipañkara Buddha uscì, circondato da un numeroso stuolo di discepoli, e partì. Così Sûryapati lo scortò fino ai confini del territorio, e poi, avendo venerato i suoi piedi e compiuto tre circumambulazioni intorno a lui, con molte lacrime lo lasciò, e ritornò al suo proprio palazzo.
"Ora, Satruñjaya Râja, udito che Dipañkara stava venendo nei suoi domini, fino alla città di Padma, circondato da stuoli di seguaci, fu pieno di gioia, ed ordinò immediatamente che tutte le strade fossero pulite, lavate, e guarnite, come una magica città dei Gandharva. Poi il Re Satruñjaya pubblicò un editto dentro e fuori la città fino a dodici yôjana, in cui qualunque persona fosse all'interno di tale distanza, nessuno avrebbe dovuto acquistare fiori o profumo per se stesso; ma in qualunque luogo tali cose fossero state comprate, esse dovevano essere riservate per il Re come offerta a Dipañkara Buddha. Poi, Satruñjaya Râja, accompagnato da quattro scorte militari, in grande uniforme, andò fuori della città per incontrare quel Dipañkara Buddha.
"In quel tempo, sulla parte meridionale dell’Himâlaya che apparteneva a quel paese, c'era un certo Brahmachâri di nome Ratna (?). I suoi genitori erano della casta dei Brahmani da almeno sette generazioni, senza la minima contaminazione o disonore, perfettamente versati nei quattro Veda, ecc. La sua nascita pura fu affermata dall'oroscopo di un indovino di talento, e nell'occasione erano presenti 500 figli di illustri famiglie per presentargli offerte di lieto auspicio. [Ananda! devi sapere che questo Bramano Ratna, altri non era che chi adesso è il Bôdhisatwa Maîtreya…]
"Ora, fra i 500 giovani che attendevano la persona di Ratna, ad ascoltare dalla sua bocca il modo di recitare i Sacri Testi, vi era un particolare Brahmachâri di nome Megha, che nell'imparare emergeva fra gli altri, pressocché simile al suo maestro, di sedici anni d’età e di aspetto molto aggraziato, la sua famiglia di pura nascita durante sette generazioni senza onte, ed anche il suo oroscopo perfetto. Egli era incomparabile nel mondo, con il corpo color giallo-oro, e lo stesso per i suoi capelli; la sua voce era morbida e dolce, come la voce di Brahmâ. Questo giovane, avendo imparato dalla bocca di Ratna il modo di recitare perfettamente i Sacri Testi, alla lunga desiderò il permesso per tornare a casa. Ratna, che era un po’ contrario a lasciar andare Megha, così gli parlò: 'Figlio mio (manava), io ho uno Shastra tramandato dai Rishi dell’antichità, non udito e non visto e perciò non noto agli eretici ed ai Bramani; aspetta e rimani con me, così te lo insegnerò'. Il giovane rispose, 'Oh, allora istruiscimi su di esso!' Così il Bramano glielo insegnò. In seguito, il giovane ancora una volta chiese di sapere che altro egli avrebbe dovuto acquisire. Il Bramano rispose, 'Vi sono certe regole dei capifamiglia, che sono peculiari alla casta Bramana, anche queste tu devi imparare dalla mia bocca per il tuo profitto e guida'. Il giovane rispose, 'Allora, insegnami queste regole!'. [Il Bramano dette poi il suo consenso a farlo partire, a condizione che il giovane al ritorno gli facesse certe offerte]. Quindi il giovane rispose, 'Io non ho regali come questi da offrire al mio signore; ma, col tuo permesso, andrò ad implorarli in tutto il mondo, e poi te li darò al mio ritorno'. Quindi, il Bramano gli diede il permesso per andare così come lui desiderava. Allora Megha, essendosi prostrato davanti al suo maestro ed avendogli girato intorno tre volte in segno di rispetto, partì.
"A quel punto, Megha sentì che c'era un luogo a 500 yôjana dalle Montagne Nevose chiamato Survacha (?). In quella città c’era un distinto Bramano chiamato Tsai-tse-tai, assai ricco. Questo Bramano desiderò fare offerte ai 60,000 Bramani che, in base alla nomina, si erano incontrati insieme in una assemblea chiamata Môcha. Di conseguenza, lui aveva preparato per ciascuno individuo un parasole, e per il capo-Bramano (Sthavira) eccellenti regali di molto oro, insieme con 1000 vacche coi loro vitelli, 500 damigelle con i loro corpi meravigliosamente adornati, fra le quali la migliore era Shen-chi. Ed ora, mancando un giorno alla scadenza dell'anno dell’assemblea di Pañcha, il giovane Bramano Megha, proveniente dalle Montagne Nevose, giunse nella città, fino al luogo dove si era tenuta la assemblea. Allora, quei 60,000 Bramani, vedendo il giovane da lontano, subito emisero un urlo, e dissero, 'Bravo! Come è ben scelto questo luogo per l’assemblea di Pañcha, perché qui Brahmâ-Deva stesso viene a ricevere le offerte di questo Sangha!' Poi, il giovane Megha rispose a questi 60,000 Bramani e disse, 'Non chiamatemi così, come se io fossi Brahmâ-Deva, perché in verità io sono un uomo, e non Brahmâ'. Allora i Bramani dissero, 'E allora, chi sei?'. Al che, lui rispose, 'È possibile che voi non abbiate sentito parlare del Brahmachâri che risiede sul lato meridionale delle Montagne Nevose, il cui nome è Ratna, totalmente versato in ogni sorta di opere religiose, coi suoi 500 discepoli, di cui è il capo Megha, un giovane di sedici anni di età, completamente istruito, e simile al suo maestro, con una voce dolce come quella di Brahmâ-Deva? Dunque, Bramani, ne avete sentito parlare o no?' Allora, tutti essi risposero, 'Si, l’abbiamo sentito'. Allora Megha disse, 'Bene. Io sono quel giovane così ben-istruito', Al che, quei Bramani furono tutti pieni di gioia, e con voce forte, dissero 'Bravo! bravo! Quest’assemblea è ben costituita ora che Megha è venuto a ricevere le sue offerte!'
"A questo punto, la moglie del Bramano Tsai-tse-tih, con Shen-chi e le altre damigelle, dalla cima del balcone videro da lontano quel giovane, così bello oltre ogni paragone nell’aspetto e per grazia. Avendolo visto, esse poi concepirono una grande gioia nei loro cuori, e rivolgendosi ai quattro quadranti dei cieli esse fecero riverenze a tutti i Deva e Spiriti, ed i loro cuori intrattennero segretamente questo pensiero, 'Oh, volesse il cielo che questo bel giovane superi nel dibattito il capo Sthavira e tutti i Bramani, così che noi ci si possa sbarazzare di questi sgraziati compagni, e non si venga date come spose a persone così spregevoli!' Poi Megha, avanzando nell’assemblea, rispettosamente girò tre volte intorno, dopodiché egli si diresse diritto dallo Sthavira e, con voce morbida e cortese, così gli si rivolse, 'Venerabile signore, quale Shastra tu puoi recitare?' Allora, tutti i 60,000 Bramani gridarono insieme, 'Megha, rispettabile giovane! non fare una tale domanda al nostro Presidente, su quale Shastra lui può recitare; perché, in verità lui è capace, secondo le regole della nostra casta, di recitare completamente dall’inizio alla fine ogni Shastra [e anche 'recitarli a memoria']'. Allora il giovane Megha rispose, 'Oh voi, Bramani, il vostro Presidente può pure essere capace di recitare a memoria tutti i trattati medici e sociali [o opere sulle arti meccaniche], ma soltanto il mio maestro possiede la rarissima letteratura dei Bramani. Ad esempio, io vi chiedo se avete uno Shastra chiamato "Sien-yeou"(2) o no?' Allora tutti i 60,000 Bramani risposero, 'Noi ancora non abbiamo neanche mai sentito il nome di tale trattato, figurarsi se l'abbiamo, ed ancor meno noi saremo capaci di recitarlo'. Poi Megha disse, 'Il mio maestro, mi insegnò diverse opere di Dharma e, fra l’altro, mi istruì in questo Shastra del Veda chiamato Sien-yeou; ed io, inoltre, posso recitarlo'. Poi tutti quei Bramani che componevano l’assemblea dissero, 'Ti piaccia di spiegarci e darci il piacere di ascoltare questo nuovo Shastra'. Allora il giovane Megha, preso possesso del luogo preparato per il Presidente, con la voce di Brahmâ, recitò lo Shastra del Veda noto come Sien-yeou. Quindi, tutti quei Bramani, colmi di gioia, gridarono ad una sola voce, 'Proprio secondo il nostro stesso cuore e mente!' Poi essi gli chiesero gioiosamente di divenire il loro Presidente, e condivisero il miglior cibo e bevande previsti per tale dignitoso ufficio. Allora Megha, spingendo via il Presidente, comandò che lui venisse giù dal suo posto, e si accomodasse di sotto così che egli poté salire al posto d’onore, e ricevette acqua e cibo dopodiché anch’egli accettò tali offerte come era appropriato.
"Allora il grande Bramano Ts'ai-tse-tih fu angosciato dal pensiero che lui non aveva sistemato le leggi dell’assemblea secondo le regole della più alta dottrina, considerato che il giovane Megha declinò di accettare alcune offerte, ed allora, dopo una profonda riverenza, lui così disse a Megha 'Oh mio Signore certamente riceverai questi miei regali, e non mi farai mancare il mio dovere alla Assemblea!' Al che Megha rispose, 'Illustre Bramano, i tuoi regali sono sovrabbondanti; ed io non voglio che solo alcune cose che per me sono buone da accettare, ed altre no; e perciò io declino le altre'.
"Poi il Presidente vinto così pensò tra sé e sé, 'Per molto tempo io ho desiderato questi regali, ed ora questo adolescente è venuto qui e mi ha spinto giù dal mio posto d’onore, e ha preso la mia ricompensa. Se in future rinascite, grazie al mio merito presente io rinascerò nel mondo insieme con questo giovane, allora io avrò un'opportunità di ritornargli il compenso dovuto!' [Ananda! a quel tempo, io ero Megha, e Dandapâni era il Bramano Ratna, e Devadatta era lo Sthavira, e così in ogni nascita Devadatta tramite la sua ignoranza si è opposto a me e mi ha sempre odiato].
"Poi Megha, prendendo con sé i vari regali che aveva ricevuto, decise di tornare verso le Montagne Nevose per proporli al Brahmachâri. E così lui passò attraverso i vari villaggi, città, e paesi, fermandosi o ripartendo come si sentiva, potendo osservare uomini e cose, finché alla fine arrivò alla città di Padma e vi entrò, quando, meraviglia! Egli la vide adornata ed abbellita in un modo che non può essere descritto (come menzionato sopra). Ed il giovane così pensò tra sé e sé, 'Perché questa città di Padma è così adornata? Forse qualcuno desidera tenervi un’assemblea di Môcha? Oppure forse si sta per farvi un pubblico sacrificio in onore degli astri e degli dèi del paradiso; o forse c'è un ringraziamento pubblico per la prosperità, o una distribuzione di ricompense; o forse questo è il tempo per l’assemblea dei Bramani; o forse le persone di questa città hanno sentito della mia fama, e sanno che io sto arrivando, e così desiderano che tutti i Bramani tengano un dibattito con me; eppure qui non c'è ancora nessuno che sembra riconoscermi, o che mi faccia riverenza'. Così, io (3) chiesi ad un uomo che incontrai, e gli dissi, 'Oh buon uomo, perché la città è così meravigliosamente adornata e decorata?' Al che, lui rispose, 'Mio caro dotto giovane, possibile che tu non abbia sentito che il Tathâgata Dipañkara Buddha ha ultimamente espresso il desiderio di venire nella città di Padma, per dichiarare la Legge (il Dharma) e convertire le persone, e che tutte queste preparazioni sono fatte per lui, e che il nostro amato Re Satruñjaya ha ordinato che tutte le persone assistano alla preparazione di queste decorazioni, e così gli abitanti, desiderando promuovere il loro proprio merito e per onorare il Buddha Dipañkara, ha adornato la città come tu vedi?'
"A questo punto, Ananda, io mi ricordai che nella nostra Legge è scritto così, 'Qualunque uomo che possieda i trenta-due segni della supereminente bellezza, egli sarà un Chakravartin o un Buddha, non ci possono essere dubbi su questo'.
"Ananda! Io allora pensai così, 'io andrò in quel luogo di pace (per esaminare e vedere, e se soddisfatto) l'adorerò e proporrò un'offerta al Dipañkara Buddha, e per me chiederò che nel futuro io possa arrivare al suo stesso stato di perfezione, dopodiché io andrò a presentare la mia offerta al mio maestro il Brahmachâri'.
"Poi io riflettei ancora così, 'Quale sacrificio posso io offrire a questo Buddha, e con quali mezzi io posso aumentare in me i semi della virtù?' Quindi, io considerai che tutti i Buddha, onorati dagli uomini, non desiderano offerte di denaro, ma solo donazioni sante così come è prescritto nella Legge, anche se io ancora non avevo perfetta conoscenza del vero significato della Legge. Nondimeno, pensai che sarei andato a cercare di acquistare il più bel fiore che potevo trovare, e poi glielo avrei offerto con la preghiera che nel futuro anche io potessi divenire un Buddha'. Poi io andai nel negozio di un mercante, e così gli parlai, 'Signore, potrebbe vendermi quel fiore?' Ed allora lui così mi rispose, 'Rispettabile giovane, è possibile che non hai sentito degli ordini dati dal nostro Re Satruñjaya che "qualsiasi corona di fiori vi sia in città, nessuna di queste può in nessun modo essere venduta, perché il Re stesso desidera avere tutti i fiori per presentarli al Buddha"?' Nel sentire questo, io andai ancora e ancora in diversi negozi, per tentare di acquistare una ghirlanda di fiori; ma invano, poiché io ottenevo da essi la stessa risposta che avevo ricevuto prima, e non potei averne nessuno. Allora, poiché andavo di strada in strada, facendo ogni privata indagine per portare a termine il mio scopo, mi accadde di vedere una ragazza vestita di scuro il cui nome era Bhadrâ, che di nascosto prese un fiore Utpala con sette gambi e lo mise nella sua brocca d’acqua, e poi andare per la sua strada. Vedendo questo io mi allietai grandemente, ed andai subito da lei, e dissi, 'Cosa stai andando a fare con quel fiore Utpala che io ti vidi mettere nella tua brocca? Io ti darò 500 pezzi d’oro per esso se me lo venderai.' Ed allora la ragazza rispose, 'Virtuoso giovane, non hai sentito che l’onorato dagli uomini, il Tathâgata Dipañkara Buddha, ora sta quasi per entrare nella città in conseguenza dell'invito del Re? Perché così è, che il nostro Re Satruñjaya, ha concepito una particolare riverenza per lui; ed essendo bramoso di stabilirsi fermamente nella terra dei meriti, ha ordinato a tutti all'interno della città e dodici yôjana intorno ad essa, che qualsiasi unguento, profumi o fiori vi siano, questi per nessun motivo debbano essere venduti ad alcun individuo privato, poiché il Re stesso tutti li comprerebbe allo scopo di offrirli (al Buddha). Ora vi è qui nei dintorni un certo negoziante chiamato Satrusaha; egli ha una moglie che privatamente prese da me 500 pezzi d’oro, e in cambio mi diede questo fiore con sette steli; e la ragione per cui io trasgredii così l'editto del Re, fu perché anch’io volevo fare un'offerta al Tathâgata Dipañkara Buddha, e solo in questo modo potevo ottenere il mezzo per realizzare il mio desiderio'.
"Allora io mi rivolsi di nuovo alla ragazza, e dissi, 'Mia buona ragazza, ciò che tu mi hai appena spiegato, ti giustificherà nel prendere i miei 500 pezzi d’oro e nel darmi cinque steli del fiore di Utpala, tenendotene due per te'. Allora la giovane ragazza rispose, 'Rispettabile giovane, cosa farai coi fiori se io te li do?' Io risposi, 'E’ molto raro poter vedere un Buddha vivente (Tathâgata), e difficile incontrarsi con lui quando si è nati. Ora avendo la buona sorte di incontrare Dipañkara, io desidero comprare questo fiore per onorarlo, e seminare per me semi di merito che in futuro possa anch’io arrivare alla condizione della perfezione'.
"Allora la giovane ragazza così di nuovo mi parlò, 'Dal tuo aspetto esterno, ed anche dalle qualificazioni della tua mente, essendo così risoluto nel tuo amore per il Dharma, io percepisco che certo in futuro tu otterrai la completa illuminazione. Mânava! se mi prometterai che in ogni nascita successiva al tempo della tua totale illuminazione tu mi prenderai come tua moglie, e che se arrivi alla perfezione tu mi permetterai di seguirti come discepolo, e mi farai ottenere la condizione di un Rahat (arhat) nel tuo stuolo di seguaci,--se mi prometterai questo,--allora io ti darò cinque steli di questo fiore Utpala; ma se tu non farai tale promessa, io non te li darò'.
"Allora io le risposi, 'Mia buona ragazza, io sono della casta Bramana, e sono perfettamente puro e totalmente esperto nei quattro Veda (o discorsi del Veda, o forse Vedanga). In questi Veda è detto così, "Se un uomo desidera ottenere la perfezione o la condizione di Bôdhisatwa, allora egli dovrebbe nutrire in sé un principio di amore e compassione per tutte le creature, e cercare il suo oggetto in perfetta tranquillità qualunque cosa possa succedergli, così che lui non dovrebbe lesinare perfino di sacrificare il suo corpo, ma essere pronto a rinunciarvi per il bene degli esseri, e ancor più abbandonare sua moglie e i suoi figli, i suoi amori e le sue ricchezze, non desiderando di trattenerli neanche per un momento". Mia buona ragazza, io ora desidero e prego di poter ottenere la suprema saggezza, spinto dal mio desiderio di dare la pace e la gioia a tutte le creature; e perciò nella mia pietà per esse, se qualcuno dovesse venire a chiedermi per un sacrificio mia moglie e i miei figli, e se tu per una sorta di amore per me dovessi diventare un ostacolo nella mia via, allora romperesti il mio cuore, ed il mio voto non sarebbe adempiuto; e tu, da parte tua, saresti assai colpevole. Ma se anche tu prometterai e farai il voto che, attraverso il tempo, non creerai difficoltà nel permettermi di lasciare in carità tutto ciò che io possiedo, allora io entrerò nel patto con te che tu in futuro sarai sempre mia moglie'.
"Allora lei mi rispose così, 'Mânava! Supponi che una persona ti venga vicino, e ti chiedesse il mio corpo, io non esiterei a rinunciarvi, perciò ancor meno potrei impedirmi a rinunciare ai figli o alle ricchezze'. Quindi io le dissi, 'Ed allora che sia così; secondo il tuo voto io prometto che attraverso il tempo futuro tu possa essere sempre mia moglie'. Così quella fanciulla ricevette da me i 500 pezzi d’oro, e mi diede i cinque steli del fiore di Utpala. 'Gli altri due steli, -lei disse-, 'offrili per il mio scopo, che noi si possa avere insieme lo stesso destino!'- Aggiungendo ancora, 'Ora tu desideri stabilire una base di merito per te: prendi anche questi altri due fiori, e offrili per la mia causa, e prega che noi si possa sempre rinascere insieme e non ci si debba mai separare attraverso il passare dei giorni.'
"Quindi, Dipañkara Buddha cominciò ad entrare nella città di Padma, ed allora io tenendo nelle mie mani questi sette steli dell'Utpala (cinque in una mano e due nell'altra), vidi da lontano il Buddha avvicinarsi (4), il suo corpo bello e diritto, splendente di luce ed onore, la sua mente calma ed in pace, i suoi sensi raccolti, e placido come un lago di vetro; così lui avanzò, con passi come il re degli elefanti, circondato da innumerevoli discepoli e Deva, che intorno a lui cospargevano fiori profumati di ogni varietà e profumi senza fine. Poi Satruñjaya Râja, accompagnato dai quattro tipi di scorta militare, procedette dalle porte della città per incontrare Dipañkara Buddha. Ora, il concorso di popolo era semplicemente incalcolabile, con ogni tipo di esseri diversi, Kinnara, Kumbhanda, e Naga che portavano fiori ed ogni tipo di legni profumati e li cospargevano sopra alla persona del Tathâgata. I fiori, anziché precipitare a terra, formarono un baldacchino al di sopra della testa di Dipañkara, muovendosi con lui ovunque andasse, ed ancora fermandosi quando lui si fermava. Così, assistendo a ciò, io concepii nel mio cuore molta riverenza per la persona del Buddha e, gettando i sette steli del fiore Utpala su Dipañkara, feci questo voto, 'Se in futuro io diverrò Buddha, ed insegnerò la Legge proprio come questo Buddha, e similmente riceverò la riverenza di tutti gli uomini, allora che questi fiori rimangano a mezz’aria, con le foglie in giù ed i fiori dritti verso l'alto, incoronando il baldacchino che sovrasta la testa di Buddha e che si muove quando lui si muove, e si ferma quando lui si ferma'. E fu così che, quando io vidi questo prodigio adempiuto, io concepii molta fede come pure riverenza nel mio cuore.
"Ananda! In quel momento anche l’innumerevole folla di persone stava venendo nelle strade con i loro preziosi abiti, fatti di Kâsikâ, per stenderli al passaggio del Buddha; con essi coprivano totalmente il terreno. Allora io, Ananda, vedendo ciò ed avendo su di me solo un corpetto di pelle di cervo, me lo tolsi per stenderlo a terra. Allora tutte le persone adirate presero il mio povero indumento dal luogo dove lo avevo posato e lo gettarono da una parte; mentre io addolorato pensavo, 'Ahimè! L’Onorato dal mondo Dipañkara non compatirà il mio caso e non penserà a me nella mia angoscia?' Non avevo ancora finito di pensare così, che il Buddha, leggendo nel mio cuore, ebbe pietà di me. Di conseguenza, non si sa come, con il suo potere Divino egli fece apparire una parte di strada coperta con del fango (5) sul terreno, per cui gli uomini si guardarono all'un l'altro con stupore, ma nessuno di essi entrò nel fango per aiutare Dipañkara ad attraversarlo. Allora io, dopo aver pensato, stesi fuori il mio indumento di pelle sul fango, e sciogliendomi i capelli, con essi coprìi l'indumento, così che il Buddha poté camminarvi sopra in perfetto agio, come su un ponte. Quindi, non avendo nessuna delle persone messo i loro piedi su questa copertura, il Buddha vi passò sopra per primo, e io allora feci un voto. 'Oh, che i discepoli possano similmente passarvi sopra!' E poi pregai ancora che nei secoli futuri anch’io potessi divenire un vero Buddha, come Dipañkara, in possesso dello stesso potere miracoloso, e similmente adorato da uomini e dèi; e poi di nuovo feci il voto che se Dipañkara non mi dava ora una predizione del mio divenire Buddha, non sarei uscito fuori da questo fango, ma sarei rimasto così come stavo. Allora, in quel momento, la terra tremò sei volte (in prospettiva della predizione, ed in conseguenza della serietà del mio voto)".
[Dipañkara poi passerà, ma non permise a nessuno dei suoi Bhikshu di seguire lo stesso percorso. Lui poi predisse che Megha sarebbe diventato un Buddha (Sâkya-Muni), a condizione che lui avesse lasciato tutta la sua ricchezza, si fosse rasa la testa (cioè, fosse divenuto monaco-asceta), e lo seguisse come discepolo. Allora Megha ascese in aria per l’altezza di sette alberi-Tâla, e riverì Dipañkara.]
----------------------------------------------------------------------------------------------------
[Queste Leggende, quando tutte saranno state tradotte, potranno spiegare molti riferimenti oscuri della letteratura buddhista, e potranno anche gettare una luce sul sorgere della Letteratura Romanzesca in Europa. Io non ho aggiunto molte note esplicative alla suddetta traduzione, perché spero di essere prima o poi in grado di pubblicare l’intera opera dal cinese--S. B.].
----------------------------------------------------------------------------------------------------
Note in calce
1) Vedi, Julien.ii.390,n. - Si paragonino queste immaginiri con quelle dell’Adorazione dell’Albero e del Serpente. Le figure cornute sul diritto del piatto rappresentano evidentemente i Kinnara. (vedi foto 1, a lato).
2) Sien-yeou è equivalente a: "Esistenza Precedente", perciò l’opera sarebbe uno dei Pûrana.
3) La Leggenda ora è narrata in prima persona, poiché Megha è lo stesso Buddha Sâkyamuni in una sua nascita precedente.
4) Dovrei supporre che non possa esservi alcun dubbio che questa Leggenda sia intesa come perpetuata sul pilastro nella parte destra del piatto "L’Adorazione dell’Albero e del Serpente". E’ infatti a questa Leggenda che Fa-hien allude. (vedi, Buddhist Pilgrims, p. 43,)
(foto 2, sotto).
5) A questa favola si allude in Julien,ii.97. Io penso che il pilastro del lato sinistro, (nella foto a lato) sempre su "L’Adorazione dell’Albero e del Serpente" rappresenti Gôpâla (o piuttosto Gôpî) coi suoi dolci piatti di crema; la figura centrale rappresenta il dragone (Naga) Gôpâla. Vedi Jul. ii. 99.