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Il Vajra Suchi - di Asvaghosha
(VIII.--Una Disputa da parte di un buddhista per il rispetto delle Caste, sotto forma di una Serie di Proposte che si presume essere esposte da un SAIVA e confutate dal Disputante.--Comunicata da B. H. HODGSON, Esq., M.R.A.S. il 1 gennaio 1831.
11 luglio 1829. Al Segretario della Asiatic Society. Residenza del Nepal)
“Gentile Signore:
“Alcuni giorni fa, quando il mio vecchio dotto amico Bauddha (buddhista) mi portò questo piccolo trattato in Sanscrito, con un evidente aria di orgoglio e piacere, io ho chiesto immediatamente a lui che cosa contenesse. "Oh, amico mio!" fu la sua risposta, "Da molto tempo io stavo cercando di procurarle quest’opera, essendo sicuro che Lei dovrà estremamente approvare l'intelligenza e la saggezza in essa contenute; e, dopo molte richieste al proprietario, alla fine l’ho ottenuto in prestito da lui per tre o quattro giorni. Ma non posso permetterLe di tenerlo, neanche una copia di esso, tali essendo le condizioni con cui io le procurai una visione di esso". Queste parole del mio vecchio amico incentivarono la mia curiosità, e con alcune giuste parole io impegnai il vecchio gentiluomo di prestare il suo aiuto a me ed al mio pandit per poter farne una traduzione; un compito che noi portammo a termine durante il limitato periodo del mio possesso dell'originale, anche se il mio pandit (un Bramano di Benares) presto declinò ogni collaborazione con noi, pieno di indignazione per l'autore ed il suo lavoro! Ciononostante, malgrado la perdita dell'aiuto del pandit, penso di potermi azzardare a dire che la traduzione dà una equa rappresentazione del materiale originale, e non è insieme priva delle tracce della suo modo di essere.
Esso consiste di un attacco accorto e controverso, da parte di un Bauddha, sulla dottrina Brahmanica delle caste: e inoltre, vi aggiunge che la verità delle scritture Brahmaniche è presunta, e che le prove dell'autore dell'erroneità della dottrina di casta, sono tutte tratte da quelle scritture. Egli, prendendo possesso delle batterie del nemico, rivolta le loro proprie armi contro di loro. Questa circostanza ad un lettore inglese mostra un carattere puerile di una larga parte del Trattato, a causa dell'enorme assurdità dei dati con cui l'autore disputa. Le sue inferenze sono comunque quasi sempre accortamente tracciate, e noi dovremmo ricordare che non lui, ma i suoi antagonisti, devono essere responsabili per il carattere dei dati. A giudicare dall'effetto prodotto da questo piccolo Trattato sul mio pandit bramano--un uomo saggio nella sua generazione, ed uso negli ultimi quattro anni all'esame della letteratura Buddhista-- sembrerebbe che non ci sia nessun metodo di assalire il Brahmanesimo paragonabile a quello di "giudicarlo con la sua stessa bocca" e la decisione del Comitato dell’Università di Serampore di fare, di una completa conoscenza dell’Insegnamento Hindù, la base dell'istruzione dei loro giovani apostoli destinatari del Cristianesimo in India, sembrerebbe per questo motivo essere molto saggia ed avveduta: ma ritorniamo al mio piccolo Trattato.
Noi tutti sappiamo che i Bramani disprezzano considerare i Sudra come esseri della loro stessa natura, assomigliando a tal riguardo ai Cristiani bigotti dei secoli oscuri, che similmente consideravano gli Ebrei. Il modo in cui il nostro autore tratta questa parte del soggetto è, a mio giudizio, ammirevole, ed insieme degno di una mente europea. Effettivamente la somiglianza è più vicina allo stile degli argomenti usati da Shakspeare, nell’assalire l’analogo pregiudizio europeo già ad esso riferito in maniera celata. Non c’è bisogno di riferirsi più particolarmente al famoso passaggio de Il Mercante di Venezia: "Non hai forse occhi, mani, organi, dimensioni, sensi e passioni da ebreo; non sei forse alimentato con lo stesso cibo, ammalato delle stesse malattie?" ecc. ecc.
Il Trattato Buddhista comincia in una maniera sobria dalla pagina del titolo, poi a tutto il libro; ma subito dopo che l'autore si è presentato nella dovuta maniera, egli si spinge "in medias res", ed alla fine del suo lavoro mantiene l’animato stile della disputa in ‘vivâ voce’. Chi era ASHV GHOSHA, l'autore, quando e dove egli fiorì, io non posso accertarlo {!}. In Nepal, tutto ciò che si sa di lui, è che era un Maha pandit, cioè un grande saggio, e che scrisse, oltre al piccolo Trattato che è ora tradotto, due più grandi opere di alta reputazione buddhista, i cui nomi saranno menzionati nella nota (1). Quanto a me, io sono, B. H. HODGSON.
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Il Vajra Suchi – La Traduzione
Io, ASHV GOSHA, prima invocando con tutta la mia anima e tutte le mie forze MANJA GHOSHA il Guru del mondo, procederò a comporre il libro chiamato Vajra Suchi, in concordanza con lo Shastra (Sastra Hindù o Brahmanico).
Premetto quindi che i vostri Veda e Smriti, e opere che interessano Dharma ed Artha, sono buoni e validi, e che con essi variazioni di discorso non si devono fare, tuttavia ciò che voi dite, che il Bramano sia il più alto delle quattro caste, non può essere provato da questi libri.
Ditemi, prima di tutto, qual’è la condizione di Bramano? È ciò che vive, o la genitura, o il corpo, o la saggezza, o la via (áchár), o le azioni, cioè, la moralità (Karam), o i Veda?
Se voi dite che è ciò che ha vita (jiva), tale asserzione non può essere d’accordo con i Veda; perché, nei Veda è scritto che "il sole e la luna, Indra, e le altre divinità, prima erano quadrupedi; e le altre divinità prima erano animali e dopo divennero dèi; ed anche i più vili dei vili (Swapak) sono diventati dèi". Da queste parole è chiaro che lo stato di Bramano non è il vivente (jiva), una posizione che inoltre è provata da queste parole del Mahabharata: "Sette cacciatori e dieci cervi, della collina di Kalinjal, un'oca del lago Mansaravara, ed un chakwa di Saradwipa, tutti questi nacquero come Bramani, nel Kurukshetra (vicino a Dehli) e divennero molto dotti nei Veda". È detto anche da Manu, nel suo Dharma-Sastra "Qualunque Bramano dotto nei quattro Veda, con i loro ang ed upang, che prenderà la carità da un Sudra, per dodici nascite sarà un asino, e per sessanta nascite un porco, e per settanta nascite un cane". Da queste parole è chiaro che lo stato di Bramano non è la vita; perché, se lo fosse, come potrebbero essere tali cose?
Se, ancora, voi dite che lo stato di Bramano dipende dalla genitura o la nascita (jàti); cioè, che per essere un Bramano si deve esser nati da genitori bramani,--questa nozione è in contraddizione col noto passaggio dello Smriti che dice che Achala Muni è nato da un elefante, e Cesa Pingala da un gufo, ed Agastya Muni dai fiori dell'Agastya, e Kousika Muni dall’erba Kusa, e Kapila da una scimmia, e Gautami Rishi da un serpente che si è allacciato ad un albero di Saul, e Drona Acharya da una pentola di terra, e Taittiri Rishi da una pernice, e Parswa Rama da polvere, e Sringa Rishi da una cerva, e Vyasa Muni da un una donna-pesce, e Koshika Muni da un femmina Sudra, e Viswa Mitra da una Chandalini, e Vasishta Muni da una meretrice. Nessuno di essi ebbe una madre Bramana, eppure tutti sono chiamati notoriamente Bramani; da cui si inferisce, che il titolo sia una distinzione di origine popolare, e non può essere ricondotto alla genitura per autorità scritta. Se voi diceste che chiunque sia nato da padre o madre bramani è un bramano, allora anche il bambino di uno schiavo può divenire un bramano; conseguenza a cui io non avrei obiezioni, ma che non va d’accordo con le vostre nozioni, io immagino.
Voi dite che colui che è nato da genitori bramani è un bramano? Però io obietto che, siccome voi intendete puri e veri Bramani, in tal caso la razza dei Bramani dev’essere alla fine; poiché i padri della presente stirpe di Bramani non sono, nessuno di loro, liberi dal sospetto di avere mogli che notoriamente commettono adulterio con i Sudra. Ora, se il vero padre è un Sudra, il figlio non può essere un Bramano, nonostante lo stato di Bramano di sua madre. Da tutto ciò, io inferisco, che lo stato di Bramano non è invero derivabile per nascita; ed io porto fresche prove di ciò dal Manava-Dharma che afferma che il Bramano che mangia carne perde immediatamente il suo rango; ed anche, che vendendo cera, o sale, o latte, egli diviene un Sudra in tre giorni; ed inoltre, che anche un Bramano che potesse volare come un uccello, cessa direttamente di essere un Bramano mescolandosi con le pentole per la carne.
Da tutto ciò appare incerto che lo stato di Bramano sia lo stesso della nascita: poiché, se fosse così, non potrebbe essere perso da certe azioni che comunque lo degradano. Avete mai sentito di un cavallo volante che scendendo sulla terra sia stato trasformato in un maiale?-- E’ impossibile.
Voi dite che il corpo (Sarìr) è il Bramano? anche questo è falso; perché, se il Bramano è il corpo, poi quando il cadavere del Bramano è consumato dal fuoco, il fuoco allora sarà l'assassino di un Bramano; e così anche sarà ciascuno dei parenti Bramani che consegnarono il suo corpo alle fiamme. Nemmeno si potrà seguire quest’altra assurdità, che ognuno nato da un Bramano, benché sua madre sia una della casta Kshatriya o Vaisya, sarebbe un Bramano--essendo ossa delle ossa, e carne della carne di suo padre: una simile mostruosità, mi permetterete, non si era mai sentita. E ancora, forse che non è uscito dal corpo del Bramano il vostro compiere sacrifici, e farli compiere agli altri, leggere e far leggere, ricevere e fare la carità, e tutte le altre sante azioni? Allora la virtù di tutto ciò, può mai essere distrutta dalla distruzione del corpo di un Bramano? Certamente no, secondo i vostri stessi principi; e allora, se non è così, lo stato di Bramano non può essere consistente nel corpo.
Dite che la saggezza (2) costituisce il Bramano? Anche questo non è corretto. Perché? Perché, se fosse vero, molti Sudra sarebbero dovuti divenire Bramani per la grande saggezza che loro hanno acquisito. Io stesso conosco molti Sudra che sono padroni dei quattro Veda, e della filologia, e del Mimansa, e del Sankhya, e delle filosofie Vaisheshika e Jyotishika; eppure nessuno di essi è o è mai stato chiamato un Bramano. È chiaramente provato poi, che lo stato di Bramano non consiste nella saggezza o erudizione. Quindi voi affermate che l'Achár sia lo stato del Bramano? Anche questo è falso; perché se fosse vero, molti Sudra sarebbero Bramani; poiché molti Nats e Bháts, e Kaivertas, e Bhánds, ed altri, dappertutto sono visti compiere i più severi e laboriosi atti di pietà. Eppure nessuno di questi, che sono tutti così preminenti nella loro Achár (saggezza) mai è stato chiamato un Bramano: da ciò è chiaro che l’Achár non costituisce il Bramano.
Voi dite che il Karam (il karma, l’azione) fa il Bramano? Io rispondo di no; perché l'argomento sopra usato si applica qui con anche più gran forza, facendo annichilire del tutto la nozione che gli atti costituiscano il Bramano. Voi dichiarate che leggendo i Veda un uomo diventa un Bramano? Questo è palpabilmente falso; perché è noto che il Rakshasa Ravan era profondamente versato in tutti e quattro i Veda; e che, invero, tutti i Rakshasa studiavano i Veda al tempo di Ravan: però con ciò non si dice che qualcuno di essi divenne un Bramano. È provato quindi che nessuno diviene un Bramano leggendo i Veda.
Cos’è poi questa creatura chiamata Bramano? Se né il leggere i Veda, né le tendenze (Sanskar), né la genitura, né la razza (Kula), né le azioni (Karam), conferiscono lo stato di Bramano, cos’è che lo può fare? Secondo me, lo stato di Bramano è soltanto una qualità immacolata, come la bianchezza nevosa del fiore di Kundh. Ciò che rimuove il peccato è lo stato di Bramano. Esso consiste di Uráta, e Tapas, e Niyama, e Ripava, e Dana, e Dáma, e Sháma, e Sanyama. È scritto nei Veda che gli dèi sostengono che per essere un Bramano l’uomo deve essere libero da intemperanza ed egoismo; e da vizi come Sanga, e Parigraha, e Pragha, e Dwesha. Inoltre, è scritto in tutti i Sastra che i segni di un Bramano sono: verità, penitenza, il dominio degli organi di senso, e la misericordia; come i segni di un Chándala sono i vizi opposti a quelle virtù. Un altro segno del Bramano è una scrupolosa astinenza dal commercio sessuale, sia che egli sia nato come un dio, un uomo, o un’animale. Inoltre, ha detto Sukra Acharya, che gli dèi non tengono in nessuna considerazione le caste, ma si ritiene che sia un Bramano chi è un uomo buono anche se appartiene alla più bassa. Da tutto ciò, io inferisco, che la nascita, la vita, il corpo, la saggezza, e l'osservanza dei riti religiosi (achár), e gli atti (karam), tutto ciò è di nessun profitto per poter divenire un Bramano.
In più, poi, quell'opinione della vostra "nétta che il pravrajaya è proibito ai Sudra; e che, per essi, invece del pravrajaya vi è il servizio e l'obbedienza prestate ai Bramani,--perché, in verità, nel parlare delle quattro caste, il Sudra è menzionato per ultimo, ed è perciò la più bassa,--ciò è assurdo; perché, se ciò fosse giusto, Indra sarebbe ritenuto il più basso e il più meschino degli esseri, essendo Indra menzionato nel Parni Sutra dopo il cane, così: -"Shua, Yua Maghwa". In verità, l'ordine nel quale essi sono menzionati o scritti, non deve penalizzare il relativo rango e la dignità degli esseri di cui si parla… Cosa?! Parvati è maggiore di Mahesa? oppure i denti sono superiori in dignità alle labbra, perché noi a causa della mera eufonia, li troviamo nominati prima delle altre in una grammatica? I denti sono più vecchi delle labbra?; o il vostro credo vi insegna a mettere Shiva dopo la sua sposa? No; non più di quanto sia vero che il Sudra è più basso, ed il Bramano alto e potente, perché noi siamo abituati a ripetere il Chatur Varána in un particolare ordine. E se questa posizione è indifendibile, il vostro dedurne che il più basso Sudra dev’essere contento nel considerare il suo servizio e l’obbedienza ai Bramani il suo unico pravrajaya, anch’essa similmente precipita giù.
Sappiate inoltre, che nel Dharma Sastra di Manu è scritto che il Bramano che sia nato da una Sudarni, o che abbia preso il latte di una tale donna, o che abbia anche solo respirato l’alito di essa, non è ripristinato al suo rango di prayáschitta. Nella stessa opera è asserito inoltre, che se un Bramano mangia e beve dalle mani di una Sudarni, egli nella vita diviene un Sudra, e dopo la morte, un cane. Manu dice ancora, che un Bramano che si accoppia con Sudra femmine, o mantiene una concubina Sudra, sarà rifiutato da dèi ed antenati, e dopo la morte andrà all’ inferno. Da tutte queste asserzioni del Manáva Dharma, è chiaro che lo stato di Bramano non è affatto insostenibilmente legato ad una qualche razza o stirpe, ma è soltanto una qualità degli uomini buoni. Inoltre, è scritto nel Sastra di Manu, che molti Sudra divennero Bramani in forza della loro pietà; per esempio, Kathinu Muni che nacque dalla fiamma sacrificale prodotta dall'attrito del legno, divenne un Bramano grazie al suo Tapas; e Vasishta Muni, nato dalla cortigiana Urvasi; e Vyasa Muni, nato da una donna della casta dei pescatori; e Rishiya Sringa Muni, nato da una femmina di cervo; e Vishva Mitra, nato da una Chandalini; e Nared Muni, nato dallo spirito di una mercante; tutti questi divennero Bramani in virtù del loro Tapas. Non è forse chiaro quindi che lo stato di Bramano non dipende dalla nascita? È anche noto che colui che ha conquistato se stesso è un Yati; che colui che compie penitenza è un Tapasya; e che colui che osserva il Brahmacharya è un Bramano. Poi è chiaro che colui la cui vita è pura, ed il suo temperamento è gioioso, è un vero Bramano; e che il lignaggio (Kula) non ha niente a che fare con la faccenda. Nel Manava Dharma vi sono questi sloka, "La disposizione alla bontà ed alla purezza è la migliore di tutte le cose; non è il lignaggio da solo che merita rispetto. Se si vuole che la razza sia reale, quella virtù è spregevole ed inutile". Kathina Muni e Vyasa Muni, e gli altri saggi, sebbene nati da Sudra, sono famosi fra gli uomini come Bramani; e molte persone nate nei ranghi più bassi hanno raggiunto il cielo con la pratica di uniformarsi alla buona condotta (shila). Perciò dire che il Bramano è di una particolare razza è inutile e falso.
La vostra dottrina, che il Bramano è stato prodotto dalla bocca, lo Kshatriya dalle braccia, il Vaisya dalle gambe, e il Sudra dai piedi, non può essere sostenuta. I Bramani non sono di una particolare razza. Sono vissute molte persone che appartenevano al Kaivarta Kul, al Rajaka Kul, ed al Chándal Kul, eppure, mentre esistevano in questo mondo, compirono il Chura Karan, e Mung-bandan, e Dant-kashtha, e gli altri atti appropriati dei Bramani, e dopo le loro morti divennero, ed ancora lo sono, famose come Bramani. Dovete sapere, poi, che tutto ciò che io ho detto su Bramani è ugualmente applicabile agli Kshatriya; e che la dottrina delle quattro caste è totalmente falsa. Tutti gli uomini sono di un’ unica casta.
Meraviglioso! Voi affermate che tutti gli uomini procederono da uno solo, cioè Brahma; come può essere allora che fra loro vi sia poi un’insuperabile quadruplice diversità? Se io ho quattro figli da una moglie, i quattro figli di un unico padre e madre devono essere tutti essenzialmente simili. Sappiate anche che distinzioni di razza fra gli esseri sono largamente marcate da differenze di conformazione ed organizzazione: così, il piede dell'elefante è molto diverso da quello del cavallo; quello della tigre diverso da quello del cervo; e così via: e da quella sola diagnosi noi impariamo che quegli animali appartengono a razze molto diverse. Ma io non ho mai sentito che il piede di uno Kshatriya sia diverso da quello di un Bramano, o di un Sudra. Tutti gli uomini sono similmente conformati, e chiaramente sono tutti di una sola razza. Inoltre, gli organi generativi, il colore, la figura, gli escrementi, l'urina, l'odore, e l’espressione, della vacca, del bufalo, del cavallo, dell'elefante, dell'asino, della scimmia, della capra, della pecora, ecc. forniscono una diagnosi chiara di come suddividere queste varie razze di animali: ma riguardo a tutti gli aspetti, il Bramano assomiglia al Kshatriya, ed è perciò della stessa razza o specie. Io ho citato un esempio fra le diversità dei quadrupedi che separano diversi tipi. Ora procederò a dare altri esempi fra gli uccelli. Così, l'oca, la colomba, il pavone, il pappagallo, ecc. si sa che sono diversi tra loro per figura, colori, piumaggio e becco: ma i Bramani, gli Kshatriya, i Vaisya e i Sudra sono simili di dentro e fuori. Come possiamo dire allora che essi sono essenzialmente distinti? Ancora, fra gli alberi il Báta, Bakula, Palás, Ashoka, Tamal, Nagkeswar, Shirik, Champa, ed altri, chiaramente sono contraddistinti dai loro tronchi, foglie, fiori, frutti, corteccia, legno, semi, succhi, e odori; ma Bramani e Kshatriya, ed il resto, sono simili in carne, pelle, sangue, ossa, figura, escrementi, e modi di nascita. È certamente poi chiaro che loro sono di un’unica specie o razza.
Inoltre, ditemi, il senso di piacere e dolore del Bramano è diverso da quello di uno Kshatriya? Non sostengono entrambi la vita nello stesso modo, e non muore uno per le stesse cause, come l'altro? Sono forse differenti riguardo alle facoltà intellettuali, alle loro azioni o per gli oggetti di quelle azioni; nel modo di nascere, o nel loro essere soggetti alla paura ed alla speranza? Nemmeno un pò. È perciò chiaro che essenzialmente essi sono simili. Negli alberi Udambára e Panosa, i frutti sono prodotti dai rami, dal tronco, dai nodi e dalle radici. È per questo un frutto diverso da un altro, così da poter chiamare quello prodotto dalla cima del gambo il frutto Bramano, e quello prodotto dalle radici il frutto Sudra? Certamente no. Né gli uomini possono essere di quattro distinte razze, perché sono usciti da quattro parti diverse di un corpo. Voi dite che il Bramano fu prodotto dalla bocca; da dove fu prodotto il Bramano? Davvero dalla bocca? Garantitelo--e allora voi dovrete far sposare il fratello alla sorella! davvero un bell’affare! Se un tale incesto deve aver luogo in questo nostro mondo, tutte le distinzioni tra giusto e sbagliato dovranno essere cancellate.
Questa conseguenza, che inevitabilmente viene fuori dalla vostra dottrina, che il Bramano è nato dalla bocca, prova la falsità di quella dottrina. Le distinzioni tra Bramani, Kshatriya, Vaisya e Sudra, sono basate soltanto sull'osservanza di vari riti, e sulla pratica di differenti professioni; come è chiaramente provato dalla conversazione di Baisham Payana Rishi con Yudhisthira Raja, che fu come segue: “Un giorno il figlio di Pandu, chiamato Yudhisthira, che era l'uomo saggio della sua epoca, congiungendo reverenzialmente le sue mani, chiese a Baisham Payana ‘Chi chiameresti un Bramano; e quali sono i segni dello stato di Bramano?’ Baisham rispose, ‘Il primo segno di un Bramano è il fatto che egli possiede la tolleranza ed il resto delle virtù, e non è mai colpevole di violenza e malvagità; poi, che non mangia carne; e non fa mai male ad una cosa senziente. Il secondo segno è, che non prende mai ciò che appartiene ad un altro senza il benestare del proprietario, anche se lo trova per strada. Il terzo segno è, che lui domina tutti i desideri e gli attaccamenti mondani, ed è totalmente indifferente alle considerazioni terrene. Il quarto è, che sia che sia nato come uomo, o dio, o animale, egli non si concede mai a desideri sessuali. Il quinto, è che possiede le seguenti cinque qualità pure, verità, misericordia, controllo dei sensi, benevolenza universale, e penitenza (3). Chiunque possiede questi cinque segni dello stato di Bramano io ammetto che sia un Bramano; e, se non li possiede, egli è un Sudra. Lo stato di Bramano non può dipendere da razza (Kuli), o nascita (Jat), né sull’adempimento di certe cerimonie. Se un Bhandál è virtuoso, e possiede i segni sopraddetti, egli è un Bramano. Oh! Yudhisthira, in precedenza in questo nostro mondo non c'era che una sola casta. La divisione in quattro caste originò dalla diversità di riti e delle occupazioni. Tutti gli uomini nascono da una donna allo stesso modo. Tutti sono soggetti alle stesse necessità fisiche, ed hanno gli stessi organi e sensi. Ma, colui la cui condotta è in modo uniforme buona, è un Bramano; mentre se è altrimenti, egli sarà un Sudra; anzi, più basso di un Sudra. D'altra parte, il Sudra che possiede queste virtù, è un Bramano. Oh, Yudhisthira! Se un Sudra è superiore agli allettamenti dei cinque sensi, fargli la carità è una virtù che sarà ricompensata in cielo. Non tener conto della sua casta; ma marca soltanto le sue qualità. Chiunque in questa vita faccia sempre il bene, ed è sempre pronto a beneficiare gli altri, passando i suoi giorni e notti a fare buone azioni, questi è un Bramano; e chiunque, abbandonando i modi mondani, dedica se stesso solamente all'acquisizione di Moksha (Liberazione), egli anche è un Bramano; chiunque si trattenga dal distruggere la vita, dal dedicarsi agli attaccamenti mondani, alle cattive azioni, e è libero da passioni e malelingue, costui anche è un Bramano; e chiunque possieda Kshema, Daya, Dama, Dána, Satya, Souchana, Smriti, Ghrina, Vidya, e Vijnana, ecc., costui è un Bramano. Oh, Yudhisthira! se una persona per una notte compie il Brahmacharya, il suo merito è più grande di quello di mille sacrifici (yajna). E chiunque abbia letto tutti i Veda, e compiuto tutti i Tirtha, ed osservato tutti i comandi e proibizioni dello Sastra, egli è un Bramano! e chiunque non abbia mai ferito un’essere senziente con azioni, parole o pensieri, tale persona (alla sua morte) sarà immediatamente assorbita in BRAHMA”.
Tali furono le parole di Baisham Payana. Oh, amico mio, il mio disegno nel discorso di cui sopra è che tutti gli ignoranti, sia Bramani che gli altri, dovrebbero acquisire la saggezza studiandola, e prendendola nel modo giusto. Se l'approvano, lo facciano e la tengano da conto; e se non l'approvano, trascurino pure le sue precise ammonizioni. ---
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Note in calce
(1) Il ‘Buddha Charitra Kàvya’, ed il ‘Nandi-Mukhasughosha Avadàn’, e altre opere.
(2) La parola nell'originale è jnana. Forse dovrebbe essere tradotta piuttosto come ‘erudizione’ o ‘cultura’.
(3) La parola nell'originale è tapas, che noi siamo abituati a tradurre "penitenza", ed io ne ho seguito l'uso, sebbene il termine "ascetismo" sarebbe migliore. Infatti, il Tapasyin orgoglioso, a cui gli stessi dèi guardano con timore, mai si sognerebbe di vera contrizione e pentimento.
(Traduzione in Italiano di Aliberth (A.Mengoni) - per i meditanti del Centro Nirvana di Roma)
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LA STORIA DELLA CERVA FEDELE - (Una storia dal Jataka Cinese)
Tradotto in Inglese dal Rev. S. BEAL. e in Italiano da Aliberth (A. Mengoni)
Forse, non c’è nessuna favola che si incontra così frequentemente nei libri di buddhismo, ed anche dipinta su monete e nelle sculture, come la storia del Buddha quando era il re dei Cervi. È possibile che questa stessa storia sia quella chiamata il Miga-Jâtaka a Bharhut e, in ogni caso, è totalmente ripresa da essa, poiché entrambe esemplificano il dovere di una moglie-come pure la devozione, ed anche mostrano, nel modo più semplice, il metodo di istruzione adottato dal fondatore della religione buddhista, il cui scopo fu di inculcare ed imprimere nella mente dei suoi seguaci le lezioni morali.
La Storia del Re-Cervo e della Cerva Fedele.
In anni passati, io mi ricordo che nei dintorni di Benâres c’era un parco recintato (distretto: arâ.nya) in cui un Cervo-re col suo armento vi aveva trovato il luogo di pascolo, vivendoci in pace. Ad un certo punto, un cacciatore, avendo scoperto il luogo dove questi cervi si radunavano, mise una trappola per intrappolarne uno o più di essi, e accadde che lui prese proprio il re dell'armento. Allora, una cerbiatta, moglie del Cervo-re, madre di un piccolo, vedendo il Cervo-re così nella trappola del cacciatore, si fermò nelle vicinanze e non abbandonò il luogo ove esso era. Nel frattempo, tutti gli altri cervi erano fuggiti dalla macchia, e la madre Cerbiatta così cominciò a dire in Gâthâ (versi) rivolgendosi al re:--
"O Re-Cervo! esercita la tua forza,
Spingi con la tua testa ed i talloni,
Rompi a pezzi la trappola che l’uomo
Ha messo per prenderti, e fuggi!"
Allora il Re-Cervo rispose col Gâthâ seguente, dicendo:--
"Anche se io usassi tutta la mia forza,
Pure io non potrei scappare da questa trappola,
Fatta come è con cinghie di pelle, cucite con seta,
Invano io dovrei lottare per uscire da tale trappola.
Oh! Le piccole valli di montagna e le dolci fontane!
D'ora in avanti, nessuno dei loro abitanti,
Incontrerà una tale sfortuna come questa!"
Ed i Gâthâ (versi) continuano nel modo seguente:--
"A questo punto, quei due poveri cervi,
Assai allarmati, e versando lacrime amare,
Videro il cattivo cacciatore avvicinarsi alla macchia.
Col coltello e bastone in mano (pronto ad uccidere)".
Poi il Re-Cervo, vedendo il cacciatore così armato che si avvicinava al luogo disse alla madre-cervo:--
"Ecco che il cacciatore sta venendo qui,
Col suo volto scuro e minaccioso, col suo giubbetto di pelle.
Lui verrà qui e spellerà vivo anche me,
Taglierà a pezzi la mia carne, e poi se ne andrà".
Allora il cervo femmina, avvicinandosi gradualmente al cacciatore, gli si rivolse dicendo:--
"O grande e illustre cacciatore! ascolta!
Tu puoi preparare e sistemare il tuo posto d’erba,
E prima di tutto puoi uccidere me, e scuoiare il mio corpo.
Poi potrai andare ad uccidere il tuo prigioniero-il Cervo-re".
A questo punto, il cacciatore si rivolse alla cerva come segue: "Questo Cervo-re è collegato con te?" E la cerva gli rispose, "Lui è mio marito. Io l’amo e lo riverisco con tutto il mio cuore, e perciò sono determinata a condividere il suo fato; allora, cacciatore, uccidi prima me! e poi fai lo stesso con lui! "
Allora il cacciatore riflettè e disse: "Che moglie fedele ed esemplare è questa! Davvero è raro che se ne possa trovare una così!" Poi disse alla cerva, "O moglie rispettabile! la tua condotta è assai encomiabile; Io lascerò andare il tuo signore!"
Allora vi fu una grande gioia, e il cacciatore disse ancora:--
"Raramente io ho visto una tale fedeltà.
Vai pure in libertà! O Cervo-re!
E poiché tu devi la tua vita al tuo coniuge,
Tienila teneramente da conto come tuo dovere!".
Quindi il cacciatore allentò la trappola, e lasciò che il Cervo-re se ne andasse libero dalla sua cerva che, felicissima, si rivolse al cacciatore e gli disse:--
"Virtuosissimo ed illustrissimo Cacciatore!
Possano tutti i tuoi amici e parenti essere felici,
Similmente così come tu hai causato felicità a me,
Vedendo mio marito essere libero!"
Allora il Buddha disse, "Questo Re-Cervo ero io stesso, e la cerva era Yasodharâ che, a causa mia, sperimentò molto dolore, davvero così tanto, che per sei anni lei portò nostro figlio Rahûla nel suo utero, finché alla fine sentendo che io stavo per ritornare a casa e presumendo che io volessi riprendere la dignità di monarca universale (mentre invece il mio regno è di carattere spirituale), sopraffatta dalla gioia lei produsse il suo figlio, Rahûla, e lo vestì e l'adornò come il figlio di una regina".
[Tratto da "The Oriental", Nov. 6, 1875.] (Tradotto da Aliberth- A.Mengoni, 2006)
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"Io ricordo che, in anni passati, c'erano 500 mercanti in Jambudwîpa, di cui era il capo un tale, il suo nome era Mâitri (Sse-ché). Una volta questi mercanti, che si erano radunati tutti insieme, si consultarono su come potessero imbarcarsi meglio in un viaggio allo scopo di aumentare i loro guadagni. Dopo essersi accordati per un viaggio in una certa direzione, e fissati tutti i preliminari su come caricare ed approvvigionare la nave, essi si separarono per un certo tempo, facendo ritorno alle loro case, per prendere commiato delle loro mogli e famiglie.
"Ora, a quel punto, Mâitri andò a trovare sua madre, per avere il suo permesso e la benedizione prima che lui partisse per la spedizione prevista. Nel frattempo, sua madre che viveva ritirata nella parte superiore della casa, stava esercitandosi nella disciplina religiosa [regole di purezza e di auto-controllo].
"Mâitri, avvicinatosi, così si rivolse a sua madre: 'Onorata madre! [o, 'Onorata genitrice'] Io sto per intraprendere un viaggio per mare allo scopo di aumentare i miei profitti. Io spero di ritornare a casa con molto oro, argento, e gioielli di ogni sorta, e così essere in grado di badare in ogni modo al tuo conforto, ed anche a quello degli altri membri della mia famiglia [dammi quindi il tuo permesso e la tua benedizione].
"Allora sua madre cominciò a lamentarsi, e gli disse, 'Caro figlio! perché rischi la tua vita in mare? Certamente tu hai abbastanza ricchezza a casa, ed ogni conforto e necessità senza restrizioni. Tu puoi facilmente permetterti di dare tutto ciò che è necessario in carità religiosa; non c'è alcun impedimento alla tua felicità (meriti). O figlio caro! caro figlio! il mare è pieno di pericoli, venti forti, mostri affamati e pesci crudeli, cattivi spiriti, Râkshasîs e dèmoni; figlio caro! caro Mâitri! tutti questi pericoli infestano l'oceano; ed ora io sono vecchia, e se tu mi lasci, anche se come dici tu vuoi ritornare come un uomo ricco per badare alle mie necessità, il giorno della mia morte, però, è così vicino che tutte le tue pie intenzioni possono essere poco utili per me; quindi resta, caro figlio! Resta qui, e sii di conforto per la mia vecchiaia! [Così lei lo implorò per tre volte].
"Quindi, Mâitri rispose: 'Sì, cara madre, però devo andare! pensa alla ricchezza con cui io ritornerò, l'oro, argento e gioielli! pensa come io sarò capace di nutrirti e curarti teneramente nella tua vecchiaia, e quanti regali io potrò dare in carità religiosa.'
"Allora sua madre si alzò, gettò le sue braccia intorno al collo del figlio, e come lo abbracciò, così pianse: 'Figlio caro! caro Mâitri! Io non posso permetterti di andare; Io non posso darti il permesso solo per rischiare la tua vita sull'oceano, solo per cercare più guadagno! Noi abbiamo abbastanza soldi, noi abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno qui a casa! Io non posso permetterti di andare!'
"Allora Mâitri pensò:- 'Mia madre è ingiusta con me, e non vuole che io prosperi, e così mi impedisce di andare in questo viaggio', così lui si arrabbiò, e gettando sua madre per terra, lui la scalciò sulla testa, e la trascinò fuori della casa.
"Poi, egli si recò dai mercanti che si erano riuniti sulla costa, e offrendo la loro adorazione al Dio del Mare, furono selezionati cinque uomini per soprintendere ai vari reparti, e sciogliere le vele. Ma triste a dire! la loro nave fu presto raggiunta da un temporale, si ruppe in pezzi, e tutti i mercanti perirono, eccetto Mâitri. Lui, infatti, essendosi attaccato ad un asse, dopo esser stato sballottato per molto tempo sulle onde, fu gettato sulla spiaggia di un'isoletta chiamato Vaisvadîpa [isoletta del nord]. Così Mâitri, essendosi rinfrescato con dei semi selvatici ed erbe medicinali che crescevano sulla spiaggia, recuperò le sue forze, e cominciò ad esplorare i dintorni del luogo in cui era stato gettato dalle onde. Egli proseguì in lungo e in largo, finché arrivò ad una spaccatura a sud dell'isola, e là lui vide un sentiero principale diritto di fronte a lui. Seguendo la pista, dopo un pò egli vide a breve distanza, una città subito di fronte a lui, splendente ed estremamente bella e gloriosa come argento! Essa era piena di torri e palazzi, circondata da un muro alto e in ogni punto perfettamente adornata [di laghi, boschi, incensieri bandiere, ecc. ecc.] e calcolata per una sfrenata indulgenza all’amore e piacere. Nel centro della città c’era un fascinoso palazzo (chiamato 'Gioia-felice') squisito da vedere e costruito con sette preziose sostanze.
"Ed ora, dall'interno della città vennero avanti quattro belle donne, adornate di gioielli e di ogni ornamento calcolato per piacere. Avvicinandosi al punto dove era Mâitri, esse si rivolsero a lui così:--'Benvenuto, O Mâitri! permettici di condurti all'interno di quella città lì, in essa non c'è nessuno che interferirà con noi, e c'è un'abbondanza di tutto ciò che è necessario per il cibo e il godimento. Vedi quel bel palazzo lì, chiamato 'Gioia e Piacere', fatto di sette sostanze preziose! È là che noi quattro viviamo, noi ci alziamo su e ci adagiamo giù come ci piace, senza che nessuno ci molesti! Perciò, vieni con noi, oh Mâitri! entra con noi là e godi della nostra compagnia senza interferenze, noi ti nutriremo amorevolmente con la più affettuosa cura'. Entrando quindi in quel piacevole palazzo, Mâitri godè della compagnia di queste donne, senza che nessun (uomo) disturbasse il suo possesso di esse. Così passarono molti, molti anni; e nulla venne ad interrompere il flusso della sua felicità. Un giorno, comunque, dopo un lungo periodo di tempo, queste quattro donne si rivolsero a Mâitri, e dissero, 'Caro Mâitri; rimani qui con noi, e non andare in nessun’altra città.' Allora, Mâitri cominciò a dubitare della faccenda, e pensò 'Cosa vogliono intendere quelle donne quando parlano di altre città? Io aspetterò finché non saranno addormentate, e poi andrò ad esplorare in ogni direzione, per vedere se in serbo per me c'è buona o cattiva fortuna'. Quindi quando le donne dormivano, Mâitri si alzò, e lasciando la preziosa torre, passando attraverso la porta orientale, arrivò al giardino che circondava la città, e lasciando poi questa dalla porta meridionale, arrivò in una strada lungo la quale lui continuò la sua via. Dopo un pò, lui vide a poca distanza davanti a sé una città d’oro, ancor più bella da guardare, e nel mezzo vi era un bel palazzo chiamato 'Buona Salute', fatto anch’esso di sette sostanze preziose ed adornato di meraviglie.
"Ora mentre lui guardava, ecco che otto belle donne vennero fuori dalla città fino al luogo in cui lui stava, e rivolgendosi a Mâitri gli dissero:--'Caro Mâitri! vieni qui con noi ed entra in questa città in nostra compagnia, c'è un bel palazzo in cui noi viviamo, senza che nessuno ci molesti, all'interno delle sue mura non manca nulla di ogni conforto o necessità; vieni, dunque, e godi della nostra compagnia, mentre noi ti nutriamo e ti curiamo teneramente senza sosta'. Quindi egli andò con loro, e godè per molti anni della loro compagnia; fino a che, alla fine, esse cominciarono a parlargli di non andare in nessun’altra città, allora i suoi sospetti furono svegliati come prima, e lui risolse quando loro si fossero addormentate, di dover esplorare ulteriormente, e scoprire se c'erano altre città.
[E così lui scoprì altre due città, una costruita di cristallo, l'altra di lapislazuli, la prima con sedici e l'altra con trenta-due meravigliose fanciulle che lo invitarono ad usare la loro compagnia, come prima].
Ricevendo in successione questi consigli dalle donne, egli scoprì le ulteriori città, fino a quando egli trovò una città di ferro che a lui apparve piuttosto desolata, udendo soltanto una voce che gridava continuamente 'Chi ha fame? Chi ha sete? Chi è nudo? Chi è stanco? Chi è un estraneo? Chi desidera essere trasportato?' Nel sentire questa voce, Mâitri cominciò a considerare tra sé e "né: 'Nelle altre città io trovai piacevoli compagnie, ma qui io non vedo nessuno, ma sento solamente questo voce addolorata. Devo cercare di entrarci'. Di conseguenza, lui entrò nella città per vedere da dove provenisse quella voce. Non appena ebbe oltrepassato la porta, essa si chiuse dietro di lui, e lui sentì che era solo all'interno delle mura ed ogni via di fuga era impedita; Con ciò, egli lui fu preso da paura, le sue gambe tremarono, ed i peli del suo corpo si rizzarono. Cominciò a correre di qua e di là in ogni direzione, esclamando, 'Ahimè! Io sono perso! Io sono rovinato!' Poi, mentre correva avanti e indietro, ecco che vide davanti a sé un uomo sul cui capo vi era una ruota di ferro. Questa ruota era rossa dal calore, ed ardeva come dentro un forno, terribile da vedere. Vedendo questa terribile visione, Mâitri esclamò: 'Chi sei? perché porti questa terribile ruota sulla tua testa?' Allora, quel disgraziato uomo rispose: 'Caro mio! Possibile che non mi riconosci? Io sono il capo-mercante chiamato Govinda'. Mâitri allora gli chiese: 'Allora, ti prego, dimmi che terribile crimine in precedenza hai commesso per essere costretto a portare quella ruota ardente sulla tua testa?'. Govinda rispose, 'In passato, io mi adirai con mia madre e gettandola a terra, la colpiì sulla testa; per questa ragione io sono condannato a portare questa ruota di ferro ardente intorno alla mia testa'. A questo punto, Mâitri, auto-accusato, cominciò a gridare e lamentarsi; fu riempito di rimorso in ricordo della sua stessa condotta e, nella sua agonia, esclamò: 'Ora io sono preso come un cervo nella trappola'.
"Poi un certo Yaksha, che proteggeva quella città ed il cui nome era Viruka, all’improvviso venne sul posto, e rimuovendo la ruota ardente dalla testa di Govinda, la mise sulla testa di Mâitri. Allora il disgraziato uomo, nella sua agonia, gridò e disse, 'Oh, cosa ho fatto per meritare questo tormento?' [I Gâtha sono fatti a questo scopo.] Al che, lo Yaksha rispose, 'Tu, uomo disgraziato, hai osato colpire (con calci) sulla testa tua madre, gettandola a terra; perciò, ora, sulla tua testa dovrai portare questa ruota ardente, la tua punizione dovrà durare 60,000 anni; stai sicuro di questo, per tutti questi anni tu porterai questa ruota!'
"'Ora, Bhikshu! Io fui quel cattivo Mâitri, e per 60,000 anni io portai quella ruota ardente in testa per disubbidienza a mia madre; quindi potete star sicuri che ogni disubbidienza al vostro superiore religioso sarà punita nello stesso modo!'-"
[Tratto da ‘The Oriental’, Oct. 9, 1875, ristampato anche in The Romantic Legend of Sâkya Buddha.]
(Traduzione in Italiano di Aliberth – A. Mengoni- 2006 – per i meditanti del Centro Nirvana)