STORIA DEL buddhiSMO CH'AN

PRIMA DEL PERIODO DI HUI-NENG (WEI-LANG) 

 

I traffici tra l’India e la Cina nei tempi antichi erano assai considerevoli nonostante le tremende difficoltà, i pericoli degli alti passaggi sull’Himalaya, i deserti Tibetani, i terribili sprechi e le tempeste dei mari Meridionali. Tuttavia malgrado le difficoltà, avvisaglie di buddhismo di sicuro cominciarono a giungere in Cina agli inizi del primo secolo dell'Era cristiana, e dal primo secolo dopo che eminenti studiosi indiani considerarono valido fare l’arduo viaggio grazie al benvenuto e agli onori che essi ricevettero alla Corte Imperiale e dai letterati, così che dal secondo secolo le scritture buddhiste cominciarono ad essere rapidamente tradotte in Cinese. 

I Cinesi, essendo notevolmente intellettuali, non erano specificamente filosofi o predisposti religiosamente. Essi erano persone pratiche e la loro cultura era ampiamente versata nell’etica, storia, poesia ed arte. L'esuberante immagina-zione, il sottile simbolismo, la filosofia erudita, e la profonda intuizione psicologica delle Scritture buddhiste Mahayana arrivarono come un’ intellettuale rivelazione agli studiosi Cinesi e furono ben accolti dappertutto e con dotto entusiasmo. Per cinquecento anni tutto questo proseguì con crescente slancio ma con una scarsa capacità di adattamento e cambiamento, intese a farlo essere più in linea con la mentalità Cinese e le abitudini razziali di pensiero e di costumi nazionali. A dire il vero, esso aveva trovato una certa affinità con lo studio e l'idealismo etico Confu-ciano, e con il misticismo e la naturale iconoclastia del Taoismo. Tutti i preminenti leaders buddhisti erano Indiani nati e coltivati, ed era un tipo di buddhismo Indiano che veniva ad essere offerto ai convertiti Cinesi; era la filosofia Indiana che essi stavano studiando e i metodi Indiani di meditazione che stavano praticando; Il buddhismo tuttora era un culto straniero. Non fu che al quarto secolo che segnali di nascita e sviluppo di un tipo Cinese di buddhismo cominciarono ad apparire. 

Quando il buddhismo arrivò in Cina trovò due correnti principali di condizioni cultu-rali con cui contendere e fare i conti, vale a dire il Confucianesimo ed il Taoismo, nessuno dei quali, strettamente parlando, era una religione. Gli insegnamenti di Confucio (Kon-fu-tsu) erano intellettuali e erano dedicati quasi completamente ad inculcare abitudini di idealismo etico fra tutte le classi sociali. Con la presentazione dell’ideale di "uomo superiore" e la sua enfasi su "convenienza" ed "obbedienza", egli fece appello principalmente alle colte classi ufficiali e badò alla conservazione e la perpetuazione di antichi costumi e idee intellettuali. Era una ammirevole cultura che dette luogo ad un tipo elevato di costumi morali e sociali non secondo a nessuno perfino oggi. Non fu certo un gretto protagonista con cui il buddhismo si incontrò, ma esso aveva poco in comune con gli ideali razionalistici, altruistici e di disciplina del buddhismo. Esso tendeva più all'orgoglio individuale di intelletto ed avarizia per la posizione ed il potere, effettuando allo stesso tempo gli ideali di una struttura sociale nobile e cortese. Il buddhismo badava al controllo della mente e il Confucianesimo tendeva alla cultura della mente; il buddhismo era rivoluziona-rio ed iconoclastico ed il Confucianesimo era conservativo ed inerte. 

Come abbiamo detto, all’inizio i Confuciani accolsero benevolmente la sorprenden-te ed abbondante filosofia con la metafisica e la psicologia del buddhismo Indiano, ma più tardi arrivarono a realizzare che alla fine esso avrebbe minato le basi del Confucianesimo. Durante i secoli che vanno dal sesto al nono, la sua diffidenza verso il buddhismo ispirò ripetute ondate di persecuzione nazionalistica. Non fu che nell’ottavo e nono secolo che esso arrivò ad apprezzare le buone qualità del buddhismo ed imparò non solo a tollerarlo ma anche ad accettarlo, essendo quello provvisto di quegli elementi mistici che il cuore umano anela, e che invece nei suoi insegnamenti erano completamente assenti. 

Gli insegnamenti del Taoismo, d’altro lato, avevano molte cose in comune con il buddhismo; si può davvero dire che Lao-tsu dalle sue dottrine del Tao e Wu-wei aveva preparato la strada ed approntato un benvenuto per l'arrivo del buddhismo. Tuttavia, c'era qualcosa nel tollerante naturalismo laissez-faire di Laotsu che era diametralmente opposto all’austero distacco e alla disciplina del buddhismo. Essi entrambi amavano la quiete della solitudine, ma il saggio Taoista gradiva poca congeniale compagnia con cui conversare piacevolmente, bere vino e recitare poesie; mentre il santo buddhista cercava la vera solitudine, da cui egli potesse essere meno impedito nella sua strenua concentrazione mentale per conseguire l’auto-realizzazione della 'verità ultima’. 

Le dottrine del Tao e del Buddha potrebbero essere armonizzate senza sforzo in entrambi i loro attivi aspetti e la loro essenza di saggezza e beneficenza mescolate insieme. Quando i termini Sanskriti del buddhismo Indiano lentamente dettero vita a quelli Cinesi, il termine Tao fu liberamente usato sia per la Buddhità in se stessa che in molte altre combinazioni; infatti ad un certo momento sembrò come se il termine Tao avesse quasi del tutto spodestato il termine Sanskrito di Buddha. Se vi fu una distinzione nel contenuto del significato dei due termini, forse il termine Buddha arrivò ad avere un più statico significato, colorato com’era dalla concezio-ne del Buddha in samadhi, con tutta la sua realizzazione di beatitudine, pace ed equanimità; mentre il Tao portò sempre un significato di attività dinamica. Le parole Tao e Buddha spesso sono usate quasi come sinonimi, ma tuttora resta un'ombra di distinzione tra il lato attivo e passivo della realtà. Uno degli antichi maestri Ch'an disse: "Il Buddha è il Tao, il Tao è Ch’an". Anche l'uso comune del Tao in nomi buddhisti è molto significativo. 

Per illustrare questo libero uso del Tao da parte dei Maestri Ch'an, vorrei citare un brano strettamente buddhista scritto da Rinzai (Lin-chi) che è assai apprezzato anche al giorno d’oggi. Mi è stato dato dal mio proprio maestro come parte della sua istruzione. 

"La Natura-di-Buddha è il simbolo della purezza; 

La Mente del Dharma è il simbolo dell’Illuminazione; 

Il Tao è la Via della Verità non ostruita.

In essenza questi tre in realtà sono Uno, 

Ma presi da soli essi sono soltanto parole. 

La mente del’Uomo-Tao dovrà essere pura, illuminata e libera!". 

Originariamente Lao-tsu aveva una concezione del valore della concentrazione mentale come metodo intuitivo per arrivare all’auto-realizzazione della realtà, ma nel Taoismo esso era stato sepolto sotto un carico di auto-indotta trance e visione e rivelazione, come guida per l’ottenimento del successo e della buona sorte. Tuttavia, c'era una fondamentale somiglianza o affinità tra le concezioni del valore della concentrazione mentale nel buddhismo e nel Taoismo. 

Quando il buddhismo arrivò in Cina dovette fare chiaramente i conti con il Taoismo, perché mentre il Confucianesimo era il culto dei letterati, il Taoismo era la fede delle persone comuni. Il Taoismo era indigeno e mentre gli insegnamenti di Lao-tsu erano stati atei ed assennati, nel corso di un migliaio d’anni il Taoismo aveva preso in sé l'animismo grezzo di una grande eredità razziale per renderlo maggior-mente spiritualistico, superstizioso e geomantico. 

Inoltre c'era la dottrina Taoista del Wu-wei. Wu-wei può essere tradotto, "non-asserzione". Nel Taoismo generalmente esso reca il significato dell'accettazione del Tao come molto saggio, benefico e potente, e perciò il Taoismo enfatizza la futilità di interferire con le correnti cosmiche, e la saggezza del cadere nel natura-le dispiegamento del Tao nella natura e negli affari umani. Per i Taoisti, l'interferenza umana, per forza o per legge o per cultura, con il corso della natura è vista come la più grande sciocchezza. Prendere le cose così come sono e come vengono è l'insegnamento della saggezza Taoista. In un senso, questo è ciò che anche il buddhismo insegna nella sua dottrina della "paziente accettazione" ma, in un altro senso, il buddhismo è completamente opposto a qualunque pigra inerzia nel sopportare le difficoltà della vita. Mentre il buddhismo insegna l'accettazione paziente dei risultati del vecchio karma, insegna anche che il buon karma sarà ottenuto con il disciplinato distacco dal desiderio, con abitudini di pensare in modo chiaro, con l'estinzione dell'egoismo e con la meditazione concentrativa, facendo così una razionale 'interferenza’ da parte della saggezza nel corso della natura che, se lasciato maturare, darebbe luogo a sofferenza. 

Un'altra circostanza che tese indubbiamente la produzione fruttifera del buddhismo alle influenze Taoiste in questi primi periodi, fu la fuga dalla virulenza delle per-secuzioni nazionalistiche che furono fomentate dai Confuciani e che per duecento anni furono dirette contro tutte le forme di buddhismo, per il suo essere una religione straniera pregiudizievole al benessere dello Stato. Questa persecuzione venne largamente sfuggita allorché il buddhismo si travestì come una forma di Taoismo. E spesso non era così tanto mascherata, come se fosse la stessa cosa. Per esempio, nel caso di Hsuan-chien che di solito è considerato come un tipo piuttosto estremo di buddhista Ch'an, egli è ricordato per aver detto ai suoi discepoli:  "Qui non c’è Buddha, né Patriarca. Bodhidharma era solamente un vecchio barbaro barbuto. I Bodhisattva sono soltanto operai che lavorano a mucchi di sterco. Il Nirvana e la Bodhi sono solo ceppi morti a cui legare il vostro asino. Le dodici divisioni del Tripitaka sono solamente elenchi di fantasmi e fogli di carta utili solo per asciugare il sudore dalla vostra pelle. E tutti i Suoi quattro meriti e dieci stadi sono meri fantasmi che si rivoltano nelle loro decadenti tombe. Cosa possono avere a che fare questi con la vostra salvezza?". 

Chiaramente queste parole non devono essere prese troppo letteralmente, perché la letteratura del buddhismo Ch'an abbonda di commenti stravaganti e più appa-rentemente sciocchi dei maestri che, per essere capiti ed aver un senso devono essere considerati intuitivamente piuttosto che logicamente. Ma tutti stanno lì a dimostrare quanto seria e profonda fosse la relazione tra buddhismo e Taoismo in quei primi secoli. A questa distanza di tempo è difficile comprendere quanto fosse difficile il processo verso un adattamento tra questi due culti che avevano così tanto di simile in comune. Per un secolo la questione fu se il risultato sarebbe stato un Taoismo cambiato dal buddhismo, o un buddhismo cambiato dal Taoismo. Fortunatamente sembra che sia stato il secondo. Anche in seguito, i templi ed i monaci Taoisti furono spesso indistinguibili dai templi buddhisti. Nel 1927, chi vi sta scrivendo fece visita ad un amico Taoista nel suo tempio-eremo appena fuori da Nanking; esso era sistemato e decorato precisamente come un tempio buddhista, aveva un'immagine buddhista di Amida, ma quando poi andammo via, il monaco Taoista ci diede come regalo di condivisione, una copia del Tao-Teh-Ching di Lao-tsu. Nei ben noti saggi di Henri Borel (1) che trattano della filosofia di Lao-tzu, il suo monaco Taoista dona al suo ospite una bella immagine di Kwanon e nelle loro composizioni è difficile dire se essi sono più Taoisti o buddhisti. 

Il Dott. Hu-shih, eminente filosofo e storico Cinese, in un provvisorio ed ancora inedito studio di questo stesso soggetto e periodo, parla di questa relazione come "una rivolta del Taoismo contro il buddhismo"; mentre il Dott. Daisetz Suzuki, autorità ugualmente eminente di buddhismo Zen, parla di essa come la naturale evoluzione del buddhismo sotto il condizionamento Taoista. Dei due sembrerebbe come se il Dott. Suzuki fosse quello che è più vicino alla realtà, ma in ambo i casi il risultato fu lo stesso: lo sviluppo di un tipo di buddhismo libero dalle stravaganze del filosofeggiare Indiano, dall'inerzia intellettuale e personalizzazioni sentimentali, e aderente alla praticità del comune senso originale di Shakyamuni. 

Dal quarto secolo la maggior parte delle preminenti scritture del Mahayana erano state tradotte in Cinese. Fra loro c’erano molti libri sulle pratiche indiane di yoga del respiro e gli altri metodi per il conseguimento del controllo della mente e della meditazione concentrativa che costituivano la pratica Indiana del Dhyana. I Cinesi erano persone disposte in maniera pratica e non avevano mai gradito moltissimo la filosofia e le metafisiche; essendo intellettuali essi furono stupiti ed eccitati dalle elaborate metafisiche e dalla esuberante letteratura del Mahayana, ma furono più particolarmente attratti dai sistemi pratici di dhyana che promettevano risultati tangibili di illuminazione, estasi, beatitudine e pace che potevano essere esaminati sperimentati e valutati. Avvenne perciò, naturalmente, che la prima seria accetta-zione popolare del buddhismo fu nella pratica di Dhyana, e in quanto soggetto più popolare per la meditazione e la concentrazione fu il Nome Divino, grazie alla sua promessa di rinascita nella Terra Pura. Più tardi, "nétte che vanno sotto quel nome, sembrano avere in superficie una certa pretesa di priorità. Ma la questione è se questa prima accettazione si possa esattamente chiamare un tipo di buddhismo "salvezza-per-fede", dato che la sua enfasi sulla pratica dhyana lo evidenzierebbe come un tipo di "meditazione". Molto dipende dal fatto se la frase, "Namo-mit-t'o-fu" (namo-amita-buddha) fu usata in quei primi tempi come un soggetto per la meditazione e la concentrazione, o come un mantra con magici poteri operanti. Il Dott. Suzuki ha discusso a lungo su questa questione nei suoi ‘Saggi sul buddhismo Zen’, Seconda Serie, in cui può essere studiata vantaggiosamente. 

Il primo nome che emerge in questa connessione è Tao-an (-385). Egli era un notabile monaco, erudito in sapienza Confuciana e Taoista, di cui sono ancora esistenti i suoi libri che trattano di queste pratiche yoga di dhyana e commenti su di esse. Da questi, è facile vedere che lui reputò queste pratiche Indiane come i  migliori metodi operativi per raggiungere l’ideale Taoista della non-attività e non-desiderio. 

Tao-an ebbe un discepolo, Hui-yuan (333-416) che era anche un grande studioso edotto nel misticismo Taoista. Egli è più ricordato come il fondatore di un centro o sangha buddhista vicino Kuling, noto come la Società del Loto Bianco, la cui caratteristica era la concentrazione sul Nome Divino, in conseguenza della quale lui è comunemente considerato come il fondatore delle "nétte della Terra Pura di Cina e Giappone. Ma la storia dimostra che lui è stato più interessato nel praticare seriamente il dhyana, mentre la ripetizione del Nome Divino era il miglior metodo per lui per raggiungere la concentrazione mentale.

Non vi era niente di nuovo nella pratica di dhyana; essa esisteva in India da circa un millennio, fu intrapresa da Shakyamuni e le fu dato un nuovo contenuto di significato come l'Ottavo Stadio del suo Nobile Sentiero. Appena apparve in Cina all’inizio fu largamente una pratica di metodi yoga Indiani come aiuto per la meditazione, ma poi degenerò in un facile andazzo popolare di "seduta-immobile" ed una pigra abitudine di pensiero. La caratteristica che ora cominciò ad emergere negli interessanti insegnamenti di Tao-an e Hui-yuan fu una più definita focalizzazione di mente con il suo carattere più energico. 

Dopo Hui-yuan, divenne preminente uno dei suoi discepoli, Tao-seng (-434) che col suo discepolo, Tao-tu, sviluppò la dottrina del "Risveglio Improvviso", come contrasto alla quasi universale credenza del "Processo Graduale", e che, da allora in poi, entrò nel buddhismo Cinese per condizionarne la sua caratteristica distintiva. Da questo insegnamento, la vecchia concezione del conseguimento graduale della Buddhità, attraverso miriadi rinascite, fu sfidata ed al suo posto fu offerta, tramite la concentrazione corretta di dhyana (ch’an), la possibilità di una illuminazione improvvisa e perfetta. Il buddhismo Ch'an Cinese che arrivò a monopolizzare il campo religioso, fu una mescolanza di questi due elementi distintivamente Cinesi: un più strenuo dhyana, e la possibilità di un risveglio improvviso con ottenimento di illuminazione, con la filosofia Indiana del Mahayana. 

Il prossimo nome eminente, e quello a cui di solito è dato il principale credito di essere il fondatore del buddhismo Ch'an in Cina, è Bodhidharma. Egli era un monaco Indiano di famiglia principesca, che dovette arrivare in Cina Meridionale approssimativamente nel 470 d.C., e che visse e viaggiò in Cina per cinquant’anni fino a circa il 520. Questa durata del suo soggiorno in Cina è molto più lunga di quanto è data solitamente, ma sembra che sia necessaria per dar conto di tutto ciò che è registrato riguardo a lui. Egli dovette essere un uomo tra i più straordi-nari, una grande personalità, caparbio, taciturno, arcigno e positivo ma al tempo stesso, onesto, retto e chiaro di mente. Vi sono due eventi nella sua vita di cui dovrà sopportare la ripetizione. L’Imperatore Wu di Liang fu davvero assai favore-volmente inclinato verso il buddhismo; egli fondò templi, sostenne i monaci e le traduzioni di scritture, ma quando durante un'incontro chiese a Bodhidharma che merito egli avesse guadagnato, il vecchio monaco arcigno gli rispose, "Niente di niente, maestà!". E alla domanda, "Qual’è il primo principio della santa dottrina?" Bodhidharma replicò, "Un enorme vuoto, e non c'è niente in esso che possa esse-re chiamato 'santo', Sire". 

"Chi è, allora, colui che mi sta davanti? " chiese l'Imperatore. 

"Io non lo so, Maestà!". 

C'è un famoso poema che si riferisce all'evento succitato che, per questi nostri tempi, possiede un significato profondo: 

"Io non lo so", fu la risposta di Bodhidharma, 

Confuso dal discorso classico della Corte Imperiale; 

Ma se l'Imperatore fosse stato un uomo di intuito spirituale 

Egli dopo avrebbe inseguito Bodhidharma, 

Fin sulla sabbia del deserto a Tien-mu. " 

Bodhidharma, non trovando nel nord nessun interesse nella sua presentazione del buddhismo, ritornò verso il Sud e si chiuse nel suo monastero di Shao-lin, in cui vennero sempre pochi discepoli e dove, dice la tradizione, egli praticò per nove anni quel tipo di dhyana concentrativo che fu chiamato, "guardare fisso il muro". Esso consisteva in un onesto e serio sforzo di realizzare definitivamente l'unicità della propria vera Buddha-natura con la Buddhità Universale, con il solo metodo della concentrazione mentale sull’essenza della Mente. A Bodhidharma, libri, idee logiche, studio, rituali e adorazione, furono inutili; gli fu sufficiente soltanto un semplice "cercare" ed un accanito "guardare fisso il muro". Tutte le distinzioni di ‘sé’ e ‘non-sé’, conforto o disagio, gioia o sofferenza, desiderio o avversione, successo o fallimento, e ogni tipo di discriminazione mentale dovranno essere ignorate e dovranno essere abbandonate, nel solo sforzo di riunirsi con l’essenza della Mente, perché essa solo è la realtà, e poiché la propria coscienza interna è l’essenza della Mente, perché cercarla altrove? Questo "tesoro del cuore" è l'unico Buddha che sempre era, è, e sempre sarà.

"Non c'è Buddha, ma soltanto i suoi pensieri. Il Buddha è Tao. Il Tao è Dhyana. Il Dhyana non può essere compreso dalle definizioni del saggio. Il Dhyana è il ‘riuscire a vedere’ di un essere umano, nella sua propria natura fondamentale". "Io sono venuto dall'India solamente per insegnarvi che il Buddha è il pensiero. Io non ho interesse per le regole monastiche, né per le pratiche ascetiche, né per i poteri miracolosi, né per sedere meramente in meditazione". 

La sfiducia di Bodhidharma nelle scritture e nella conoscenza intellettuale, ebbe un'eccezione per il Lankavatara Sutra. La ragione per questa eccezione fu perché solo quel Sutra insegnava la dottrina dell’auto-realizzazione dell'Unicità di tutte le cose nell’essenza della Mente. Infine, dopo nove anni di "guardare fisso il muro", egli finalmente trovò un discepolo che lo capì, il suo nome era Hui-k'o (486-593). Bodhidharma gli diede quell’istruzione che poteva essere trasmessa solamente da mente a mente, e gli diede la sua ciotola da mendicante, il suo manto, e la copia del Lankavatara Sutra, che da allora in poi divennero le insegne del Patriarcato, costituendo così Hui-k'o come Secondo Patriarca. C'è una tradizione che dice che Bodhidharma poco dopo ritornò in India, ma il luogo e il tempo della sua morte sono ignoti. 

Non c’è dubbio che, all’inizio e per molto tempo, la scuola Ch'an del "Risveglio Improvviso" fosse difficile da frequentare. Essa era ben ai limiti dell'ascetismo e dell'auto-negazione, senza segni di simpatia tra maestro e discepolo per renderla sopportabile, ma da quella dura scuola ebbe origine una successione di grandi maestri, di profonde esperienze ed un'influenza sociale di straordinaria portata. 

Riguardo agli insegnamenti di Bodhidharma e la "nétta Ch'an, il Dott. Suzuki cita il seguente passaggio: 

"Il Maestro (Bodhidharma) stette prima nel Tempio di Shao-lin per nove anni e quando alla fine egli insegnò al Secondo Patriarca, fu proprio in questo modo:. ‘Tieniti lontano esternamente da tutte le relazioni e, internamente, non mantenere desideri o brame nel tuo cuore. Quando la tua mente sarà divenuta come un muro dritto (ovvero, resistente all'ingresso delle idee discriminative) allora tu sarai entrato nel Sentiero’. All’inizio, Hui-k'o tentò in vari modi di spiegare (a se stesso) la ragione della mente-unica ma non riuscì a realizzare la verità stessa. Il Maestro gli diceva: 'No, no!', ma non faceva niente per spiegargli o chiarire che l’essenza della Mente doveva essere nel suo stato indifferenziato di non-pensiero. Più tardi Hui-k'o disse al Maestro, 'Ora io so come tenermi lontano da tutte le relazioni'.- 

Quando il Maestro gli chiese di dimostrarlo, Hui-k'o rispose: 'Io lo so in un modo sempre più convincente, ma esprimerlo a parole--ciò è impossibile'. Dopodiché il Maestro disse, 'Quella è la essenza stessa della Mente- che è trasmessa da tutti i Buddha. Non aver alcun dubbio riguardo ad essa'. " 

La storia narra che Hui-k'o prima di aver avuto finalmente successo, aveva tentato ancora e ancora di ottenere il consenso che Bodhidharma divenisse suo Maestro, perfino aspettando fuori dalla porta la notte di un freddo inverno mentre la neve cadeva, arrivando fino ai suoi ginocchi, e alla fine lo ottenne, soltanto quando egli si tagliò via il suo avambraccio destro per mostrare la serietà del suo desiderio. Hui-k'o era molto edotto nei classici Cinesi ed anche nel comune sapere del buddhismo; sembra che all’inizio lui fosse venuto da Bodhidharma  più per ottenere la sua approvazione che non per qualche grande aspettativa di una istruzione aggiunta, ma dopo che ebbe ottenuto la sua profonda esperienza con Bodhi-dharma, egli fece tesoro del suo grande insegnamento, divenne molto umilmente disposto e cercò sinceramente la perfetta illuminazione. Dopo la dipartita di Bodhidharma, Hui-k'o non assunse subito il comando come Secondo Patriarca, ma si recò in un eremitaggio sulle montagne e visse alquanto umilmente con le classi più basse della società. Egli non evitò di predicare ma cercò di farlo quietamente e in incognito. Alla fine, Hui-k'o fu ucciso da un Maestro invidioso, a cui involontaria-mente aveva portato via i discepoli.

Il Terzo Patriarca fu Seng-ts'an (circa 606) che non è molto conosciuto. Vuole la tradizione che egli soffrisse di lebbra e perciò si ritirò in un eremo nelle montagne. C'è una registrazione della sua trasmissione della ciotola e della tonaca a Tao-hsin (580-651). Anche Tao-hsin fu un solitario e assai poco è conosciuto di lui se non che lasciò una poesia che è sempre stata estremamente valutata dai discepoli del buddhismo Ch'an. 

Il Quinto Patriarca fu Hung-jen (605-675). Di lui si tramanda che fosse un parente o un conoscente di Seng-ts'an, e che andò a stare con lui benché fosse ancora piuttosto giovane. Con la sua assunzione del Patriarcato, arrivò un cambiamento deciso nel carattere della presentazione del buddhismo Ch'an. Fin qui, i Patriarchi avevano avuto una tendenza a vivere nei ritiri, o altre volte avevano provato a rendere possibile che i maestri potessero lavorare più apertamente in pubblico ed a radunare discepoli. In ogni caso noi troviamo Hung-jen a capo di una grande struttura religiosa con centinaia di discepoli e con il pieno favore imperiale. 

Fra i discepoli di Hung-jen ve n’erano due che in seguito divennero entrambi assai famosi; Hui-neng, di cui studieremo il Sutra nei capitoli seguenti e Shen-hsui, che nel rango del grande monastero era secondo solo a Hung-jen. Shen-hsui fu un uomo molto erudito ed un notevole oratore ed insegnante, ma era egoista e privo di quella intuizione che designa il vero Maestro Ch'an. Hung-jen era consapevole di questo e così quando venne il tempo di nominare il suo successore, tralasciò Shen-hsui e nominò Hui-neng. Avendo fallito nell'assicurarsi il desiderato rango di Sesto Patriarca, Shen-hsui se ne ritornò al Nord da dove era originalmente venuto e vi stabilì una scuola rivale che per un certo tempo ebbe successo, tanto che egli arrivò ad essere estremamente onorato dall'Imperatore. La sua scuola differiva da quella di Hung-jen, e fu conosciuta come Scuola del Ch'an Settentrionale, o scuola del "Conseguimento Graduale", ma alla sua morte ebbe meno successo e alla fine perse la sua posizione. 

Questo ci porta al punto principale di questo testo, la vita e il Sutra di Hui-neng, il Sesto Patriarca, ma prima che noi lo si faccia, sarebbe bene dire alcune parole sul carattere generale del buddhismo Ch'an, com’era ai quei tempi e dimostrare come esso differisse dall’ordinario corso del buddhismo in tutta la Cina. Come abbiamo già indicato, il buddhismo generalmente mantenuto, era di quel tipo straniero che era stato presentato da monaci e da scritture Indiani. Esso si era ampiamente dedicato ad uno studio delle varie scritture e ad una pratica moderata di dhyana. Esso era ancora una religione straniera, e fu solo leggermente contaminato dalla sua ambientazione Cinese. Al contrario, il buddhismo Ch'an non era intellettuale, non era affatto tollerante e moderato, ed era stato profondamente influenzato dal Taoismo Cinese e dai costumi sociologici Cinesi. 

Nel chiudere questo capitolo introduttivo è bene sommare le caratteristiche del buddhismo Ch'an in ciò che esse differivano dal buddhismo ortodosso di quel primo periodo. In termini negativi, esso era meno religioso e più ateo. Shakyamuni era stato più agnostico riguardo alla natura della Realtà, il Cristianesimo Nestoriano era enfaticamente teistico, mentre il Taoismo era decisamente ateo, nel reputare il Tao come il Principio Ultimo, anziché la personalità. Il buddhismo dei Mahayanisti, a contatto con le grandi religioni teistiche dell'Asia Centrale, aveva cominciato ad essere più filosofico, nel reputare la Realtà nelle sue tre fasi di essenza, principio, e apparenze transitorie, come esistenti in un stato di indifferenziata Unicità. 

A contatto col politeismo dell’India e lo spiritismo animistico del Tibet, il buddhismo aveva assorbito molto del loro amore per le immagini differenziate e le schiere di divinità; ma ciò avvenne più per l’adattamento dei suoi più ignoranti credenti che non per la sua élite. Sotto l'influenza del Taoismo, il Ch'an all’inizio era anch’esso decisamente ateo ed iconoclastico, mentre più tardi si aprì ad un più tollerante atteggiamento; tuttavia, perfino oggi, il Ch'an in Cina e lo Zen in Giappone fanno molto poco uso delle loro immagini, usate più per decorazioni che non per l’adorazione. La deificazione di Shakyamuni Buddha, che contrassegnò l’Hinayana di Ceylon e Birmania, è quasi completamente assente nel Ch'an; infatti, l'adorazione mostrata di Amitabha è molto più apparente, e immagini di Kwan-yin, Manjushri e Kashyapa sono poco frequentemente visibili, mentre l'adorazione all'immagine del Fondatore di ogni particolare tempio ed anche per il Maestro del Fondatore, sembra essere più sentimentalmente sincera e seria. 

In più, sotto l'influenza del Taoismo, il buddhismo Ch'an usava ben poco anche i Sutra, che il buddhismo di quei primi tempi teneva così in conto, con la sola ed unica eccezione per il Lankavatara. Gli adepti del Ch'an, intenti nella loro strenua pratica di Dhyana, avevano trovato una più diretta ed immediata realizzazione della Realtà, e in questo furono soddisfatti. Lo stesso si può dire di tutto il resto del comune paraphernalia dell'adorazione; essi non erano portati per i rituali, per le cerimonie pubbliche, preghiere, preti, ruoli Dignitari, emotività, sentimentalismo o alcun genere di qualunque cosa. Tutto doveva portare all’unica cosa dell’auto-realizzazione dell'Unicità. 

Il risultato di questo contatto del buddhismo Indiano col Taoismo Cinese, perciò fu di sviluppare nel Ch'an un tipo di buddhismo freddamente razionale, esperienziale, positivo ed iconoclastico, che conduceva ad una vita di estrema semplicità, severa disciplina, umiltà, industriosità, simpatia e compassione per ogni vita animata, e ad una equilibrata e gioiosa pace di mente. All’inizio, i buddhisti Ch'an non avevano loro propri templi, né organizzazioni di alcun tipo; essi, o erano isolati individui che vivevano una vita solitaria, o erano gruppi di discepoli raggruppati da un Maestro. Questo più tardi si sviluppò nella chiamata di Maestri Ch'an per essere a capo di monasteri che appartenevano ad altre "nétte, e ancor più tardi ad acquisire loro propri monasteri e templi, con tutti i loro abati vestiti di paramenti sacri, di alto grado, con cerimonie e rituali ed orgoglio mondano. Malgrado ciò, il vero monaco Ch'an, come ai vecchi tempi, si trovava più spesso in eremitaggi solitari, gioioso ed occupato nel suo lavoro manuale, umile e zelante nella sua pratica di Dhyana, intento alla mèta della propria auto-realizzazione dell’illuminazione, del Nirvana e dello Stato-di-Buddha. 

Se Bodhidharma è solitamente e giustamente accreditato di essere il fondatore del buddhismo Ch'an, fu Hui-neng, il Sesto Patriarca, che gli diede un più definito carattere e una forma permanente che il tempo ha sperimentato ed approvato. Il buddhismo Ch'an sembra aver percepito l'essenza degli insegnamenti e spirito di Shakyamuni meglio di qualunque altra "nétta, e di aver più fedelmente sviluppato le loro implicazioni più profonde. Questo sviluppo passò attraverso il suo contatto con il Taoismo Cinese sotto la guida di Bodhidharma e Hui-neng, creandogli una forte influenza virile e salubre per tutti i popoli e nazioni, da allora in poi.

Hui-yuan si arrese alla seduzione del Nome Divino e con ciò guadagnò il credito di essere il fondatore delle "nétte della Terra Pura, con tutto il loro fascino della "salvezza per fede". Chih-chi (-597), una delle più grandi menti filosofiche Cinesi, crebbe come un serio buddhista Ch'an, ma si arrese all'attrazione del suo profondo studio delle scritture e divenne noto come il fondatore della scuola Tien-T'ai del buddhismo filosofico, Shen-shui il dotto Maestro proprio del tempio dove Hui-neng lavorò come operaio nel magazzino, si arrese all'attrazione dell'egoismo e della popolarità e divenne il fondatore dell’effimera scuola del "Processo Graduale". 

Ma Hui-neng, più o meno analfabeta, come fu detto che egli fosse, ebbe la forza della personalità, l'intuizione e il comune buon senso, per determinare l'essenza del Dharma e l'umile e paziente zelo per operare ed applicarli nel modo più saggio. Le notevoli caratteristiche del Ch'an di Hui-neng erano le seguenti: 

1. diffidare di tutte le scritture e gli insegnamenti dogmatici. 

2. avere una mente indagatrice che ricerca seriamente nelle profondità della propria vera natura. 

3. avere una fede umile ma positiva nelle possibilità di tale ricerca inquisitrice, in una improvvisa auto-realizzazione dell’illuminazione, Nirvana e Stato-di-Budda. 

4. avere un’accettazione fedele e paziente di tale auto-realizzazione, conseguente ad una vita di semplicità, riserbo, industriosità, e comprensione con ogni altra vita animata. 

Per arrivare a queste convinzioni, fu molto influente la conoscenza esperienziale ereditata col Taoismo da Hui-neng. Egli era ritenuto un analfabeta, ma questo avrebbe potuto essere vero soltanto relativamente per uno che aveva dominato il Sutra del Diamante e aveva spesso fatto discorsi ai suoi discepoli sugli altri grandi Sutra del Mahayana. Il suo studio del Sutra del Diamante l'aveva convinto della verità della "Vacuità" e aveva preparato la sua mente per la successiva verità della "Auto-realizzazione dell’essenza della Mente", che gli insegnò il Lankavatara. Ma fu la concezione del Tao, attivo, illimitato imperscrutabilmente saggio e benevolo, universale, eterno, ineffabile, che diede profondità e sostanza alle sue convinzioni e portò con sé comprensione e pazienza per ogni vita animata. Fu l’insieme di tutti questi elementi nella mente e spirito di Hui-neng, il Sesto Patriarca, che tramite lui ha prodotto il Ch'an Cinese e lo Zen Giapponese, cioè il buddhismo nella loro forma caratteristica di spirito. 

Hui-neng fu profondamente influenzato dal suo aver ereditato una personale conoscenza del Taoismo. Nei suoi insegnamenti e nella sua guida, egli mise poco del Buddha personale e moltissimo di Prajna, in cui egli vide il Principio Ultimo del Tao nella sua radiante ed integrale forma, come pure intelligenza e compassione. Il termine che lui usò per la Realtà Ultima, e lo fece così bene, fu ‘Essenza della Mente’. L’auto-realizzazione di tutto questo fu ciò che il Buddha aveva sempre curato. Essa era il Dharmakaya, la Buddhità, il Nirvana, la Tathata e la Prajna. Era universale, indifferenziata ed imperscrutabile, ma essa fu oscurata e nascosta dal karma, dai pensieri discriminativi, dal desiderio e dagli attaccamenti. Se queste nubi potessero venir spazzate via, e si potesse farlo per tutti gli ostacoli, allora essa splenderebbe in tutta la sua primordiale purezza e potenza.

Per Hui-neng, la perfetta illuminazione, l’auto-realizzazione dell’Essenza della Mente e la Buddhità sono la stessa cosa. Questo perfetto culmine della vita arriverebbe all’improvviso come risultato di una seria e sincera concentrazione della mente, alla ricerca di se stessa nella nostra propria mente, e questo è l'unico modo in cui potrebbe arrivare. Nella sua mente, tutte le scritture e tutti gli insegnamenti erano subordinati all’auto-realizzazione improvvisamente raggiunta, con un serio Dhyana e Samadhi.