Autorizzazione: IL SIGILLO INDICA CHE QUESTO LIBRO È AUTORIZZATO E APPROVATO DALLA SCUOLA FILOSOFICA (TAO CHIA) DEL MAESTRO SHIH-TIEN ROSHI.
La primitiva letteratura Taoista fu scritta in uno stile astratto e alquanto amorfo, così che talvolta si pensa ad essa come se fosse un pò metafisica. La stessa etichetta può essere chiaramente applicata a molte antiche scritture, così come erano prodotte in tempi in cui tali astratte nozioni, come i pensieri, le sensazioni e l’etica erano considerate essere 'attributi paradisiaci’ dell’uomo. Comunque, questo non significa che la letteratura Taoista fosse intesa per scopi occulti. Come è dichiarato da Cheng Lin:
"Non c'è niente di meglio che si possa costruire per incoraggiare l'occulto...
come... la divinazione e l'alchimia." (1)
In comune con l’antica mitologia Greca, è probabile che anche i primitivi scrittori Taoisti impie-gassero tecniche allegoriche, e che, poiché la psicologia come soggetto allora non esisteva, essi scrissero sui 'cieli’ nello stesso modo come noi scriveremmo sulla 'mente', come la 'sede della conoscenza e della saggezza'. Noi sappiamo dalle opere di Freud (2) che nel caso delle scritture Greche era così, ma mentre i modelli psicologici che inizialmente si svilupparono in Occidente dalla mitologia greca rappresentano una psicologia dichiarata come morbida, la psicologia più recentemente sviluppata dello sviluppo individuale e 'l'interezza' (psicologia umanistica), è molto più vicina alla tradizione dell'insegnamento Taoista.
Benché il Taoismo sia stato conosciuto in Occidente da più di duecento anni, solo di recente è stato riconosciuto che molto di quello che si pensava fosse Taoismo in effetti è Confucianesimo. Lungi dall'essere una filosofia stoica (semplicemente accettando lo status-quo) il Taoismo infatti è un sistema dinamico, che enfatizza un approccio olistico alla vita, e la necessità di realizzare il significato delle mutevoli interazioni che hanno luogo tra l'individuo, la società e il mondo della natura. L'uso di tecniche che si svilupparono dai principi Taoisti ora è ben conosciuto. La teoria del doppio simbolo 'yin-yang' fu adottata come 'notazione binaria' da circa duecento anni dai matematici occidentali, e in questo secolo si è vista la sua aumentata applicazione nel calcolo. E perfino nella medicina ortodossa è aumentato il numero di praticanti che riconoscono il valore dell’agopuntura, pur non comprendendo bene i suoi principi fondamentali. Il Tai Chi, il sistema di esercizi Taoisti, è ampiamente praticato, e molte teorie scientifiche si sono sviluppate come risultato dell’applicazione dei principi Taoisti. Sebbene i 'comportamentalisti' abbiano una forte presa in psicologia, è provato che anche in quest’area l’interesse per il Taoismo sta crescendo, compreso un interesse nel suo metodo associato, vale a dire il 'Ch'an', (meglio noto con il suo nome giapponese 'Zen').
Ed ora, anche se spesso sono presentati in una maniera piuttosto commerciale, i benefici della meditazione sono estesamente accettati in Occidente, e libri come 'Il Tao della Fisica'(3), e 'Il Punto di Svolta'(4) hanno ben catturato l'interesse degl scienziati, fisici e sociali, per il Taoismo, proprio come i dipinti del Taoismo e del Ch'an, nel tardo novecento e nei primi del ventesimo secolo, colpirono l'immaginazione dei disegnatori e degli artisti delle scuole Post-impressioniste e della Nouveau Art. Mentre il Taoismo si sta manifestando in Occidente attraverso una varietà di strumenti e discipline, non si dovrebbe pensare che la sua accettazione sia stata improvvisa, perché, come si capirà ben presto, noi che costituiamo la società occidentale preferiamo prima capire bene ciò che poi sperimentiamo. Gli antichi saggi Taoisti avrebbero ben compreso questa esitazione come un fenomeno naturale, dato che in Estremo Oriente il Taoismo non dilagò come un'inondazione, ma esso fu piuttosto accettato 'goccia a goccia'. Questo è un aspetto della filosofia Taoista che anzi rafforzò il suo improvviso mutamento, che o è vissuto in modo veloce, mentre di solito i mutamenti accadono con più tempo, o 'senza palese sforzo' (wu-wei), che sono probabilmente più benefici e durano più a lungo.
Come io spero di aver indicato, la filosofia del Taoismo ha molte e svariate applicazioni, ma non è mia intenzione esaminare qui questa diversità. Come dichiara il titolo, la mia preoccupazione in questo lavoro è di illustrare una particolare applicazione di questa filosofia, il suo applicarsi alla psicologia. Comunque, è da enfatizzare che nel Taoismo la psicologia non solo si interessa all'individuo, ma anche alle relazioni tra i vari ‘sé’ che costituiscono una società, e le relazioni tra individui, gruppi, ed il mondo intero. Inoltre, i suoi insegnamenti sul significato del processo di cambiamento e i fattori che riguardano questi cambiamenti, piuttosto che solo sulla cosa (o le cose) che cambiano, probabilmente non è facile per la mente Occidentale (e in special modo la mente Occidentale scientificamente addestrata) poter comprendere. Questa difficoltà potrebbe essere in parte causata dal fatto che la psicologia Taoista include sia la psicologia individuale che quella interattiva (o 'sociale'), mentre, in Occidente, queste sono spesso discipline separate.
Il testo è diviso in due parti. La Prima Parte contiene le principali asserzioni de 'Il Tao del Sé', che sono asserzioni psicologicamente orientate, (e più spesso) ri-asserzioni di testi selezionati da due classiche opere Taoiste. Le fonti più frequentemente usate sono:
a) Il Libro dei Mutamenti (‘I-Ching’- siglato BC)
b) La Via della Ragione e della Virtù (‘Tao-Te-Ching’ - siglato RV)
(Le lettere maiuscole mostrate in parentesi sono usate nel testo per indicare la fonte.)
La Seconda Parte consiste di commentari che spiegano e forniscono più dettagliate informazioni sul testo mostrato nella Prima Parte. Le asserzioni iniziali e i commentari sono numerati in modo identico per un riferimento incrociato. Le fonti dei Testi Taoisti originali sono citati nella seconda parte. Il 'Libro dei Mutamenti' (‘I-Ching’) è virtualmente descritto sempre in termini di base dei suoi sessanta-quattro esagrammi, e perciò sono questi numeri che sono citati nei riferimenti. Poiché le aggiunte incluse nelle maggiori edizioni dell'I-Ching sono Confuciane, piuttosto che Taoiste, in origine esse non sono state usate in questo lavoro. La maggior parte delle edizioni Inglesi dell'I-Ching sono state principalmente presentate come aiuti nel problema di risolvere e prevedere, ma il lettore dovrebbe stare in guardia verso quelle traduzioni scritte a scopo di divi-nazione. I numeri citati in quest’opera si riferiscono ai numeri della versione dell'I-Ching, in 'King Wen’s (World of Senses)', e non la sequenza della versione Fu Hsi’s (World of Though)'.
La maggioranza delle traduzioni Inglesi de 'La Via della Ragione e della Virtù' (Tao Te Ching) è diviso in 'versi' numerati e i numeri di riferimento impiegati si riferiscono ai numeri di paragrafo assunti nella maggioranza delle traduzioni. Poiché la numerazione dei paragrafi di solito è in ordine ascendente e continuo (il verso due comincia con il paragrafo cinque, e il verso tre con il paragrafo otto, ecc.) il lettore non dovrebbe avere difficoltà nel trovare la fonte adatta. Perciò, la traduzione usata per la compilazione di questo lavoro è quella di Cheng Lin, che è basata sul testo di Wang Bih (c.226 - 249).
Anche altri riferimenti sono mostrati in parentesi. Questi includono riferimenti a:
c) The Gateless Gate (Wu-men-kuan ‘La Porta senza Porta’, siglato GG)
d) A Time of Blossoming (‘Il Tempo della Fioritura’- siglato TB)
e) The Self as Process (‘Il Sé come Processo’- siglato SP)
I primi due di questi sono mie proprie traduzioni. Il 'Gateless Gate' era stato prima pubblicato nel 1972, e 'A Time of Blossoming' nel 1975. Entrambi furono originalmente pubblicati dalla British School of Taoist Zen. In ogni esempio, i numeri di pagina citati si riferiscono al numero di pagina della prima edizione; così è per 'The Self as Process', pubblicato dal Institute of Holistic Development nel 1983. Le fonti di tutti gli altri riferimenti sono citate nella sezione alla fine del libro.
L'illustrazione mostra Lao Tzu che cavalca un bue, o bufalo indiano, sulla strada del suo ritiro. La leggenda dice che durante questo viaggio Lao Tzu si fermò per due giorni, nei quali egli scrisse il Tao Te Ching. In comune con i ritratti del 'bue-addomesticato' (Le Dieci Immagini del Bue Zen), 'l’uomo che cavalaca il bue' simboleggia l’uomo illuminato, o il saggio che ha ritrovato la sua propria vera natura addomesticando il bue, che rappresenta il suo stesso 'ego'. In questa figura, Lao Tzu sostiene un rotolo di foglie di bambù, che forma un papiro su cui si dice che vi fosse stato scritto il Tao Te Ching originale.
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SOSAN UNO - Il Dito e la Luna
Una sessione di tradizionale insegnamento Zen-Taoista (chiamato 'sesshin') consiste di periodi di quiete e pratica della tranquillità, un breve discorso dell'insegnante che spiega il contenuto del sesshin, ed un periodo di domande e risposte. Il discorso raramente supera i quindici minuti di durata, e da alcuni è considerato come il 'punto focale' del sesshin. Esso è una importante ragione almeno per i partecipanti che si riuniscono insieme. Per la sua onnicomprensiva natura, il Taoismo Zen è un soggetto complesso. Per questa ragione, ed anche perché le sue tradizioni sono basate solo su pratiche di provata validità, i contenuti di questo libro sono presentati nella forma di discorsi brevi ('sosan'), come sono tradizionalmente usati nei sesshin. La maggior parte di questi sosan presentano una terminologia specialistica, che può essere nuova per il lettore 'novizio'. Ho usato tale terminologia laddove ho ritenuto che fosse importante per una corretta comprensione dei concetti Zen-Taoisti. Ognuno di questi termini è spiegato o tradotto quando è
presentato, essendo ciascun sosan implicato soltanto col 'significato' di un particolare termine. In questi esempi, non è il termine ad essere 'importante' (se non per scopi di comunicazione), ma il sottostante concetto fondamentale.
È comune per lo studente del Taoismo Zen (o di chiunque altro, per quest’argomento) pensare ad un particolare tempo in cui comprendere pienamente un dato concetto, e soltanto più tardi scoprire che la sua comprensione dopo tutto non era forse così completa. Il lettore perciò non dovrebbe considerarla una sua debolezza personale se, qualcosa che all’inizio sembrava essere chiara, improvvisamente perde la sua chiarezza. E’ durante quel periodo di domande e risposte (che nel gergo Zen si chiama 'mondo') che avrà luogo il vero ‘apprendimento’ (il detto è, "sosan per insegnare, mondo per imparare") e poiché sia lo scrittore che il lettore sono di poi 'rimossi', il sistema di stampa non è che un povero sostituto per stare faccia a faccia con l'insegnamento, e non certo un vero sostituto per l’apprendimento, particolarmente perché esso non offre l'opportunità per le domande e risposte.
Perfino stare faccia a faccia con l'insegnamento, contando solo sulla comunicazione verbale e le
pause ed inflessioni del discorso, può offrire soltanto delle etichette verbali o parole descriventi i concetti che si tenta di comunicare. Gli stessi concetti sono entità di natura diversa, e non sono le parole usate per descriverli o definirli. Il lettore è perciò avvertito che la bellezza espressiva di un aforisma Zen-Taoista potrebbe troppo facilmente nascondere tutto il suo messaggio. Bisogna però dire che questi aforismi arrivano in varie forme, e di solito sono metodi di insegnamento usati per fornire allo studente un mezzo per ottenere l’insight circa la sua 'condizione umana', e circa il 'significato' dello Zen e del Taoismo che, in essenza, sono talmente uniti da essere uno e lo stesso. Infatti, vi sono molte migliaia di persone che non hanno mai frequentato un formale ‘sesshin’, ma che hanno in qualche modo tratto conforto o sono state aiutate nel loro personale sviluppo leggendo o sentendo uno di questi aforismi, che esse ritenevano o credevano essere pertinenti alla loro situazione particolare. Uno di questi aforismi, che riguarda proprio il pericolo di essere 'trascinati dalle parole, dice:
"Non guardare il dito che indica la luna, ma la luna che è indicata dal dito,
E ricorda che il dito stesso non potrebbe esser visto, se non proprio
Grazie alla luce proiettata dalla luna, alla quale si dirige il suo indicare".
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SOSAN DUE : ".... e la Libertà di Crescere"
Il Taoismo Zen è una combinazione della filosofia Taoista e il metodo Zen (o Ch'an). Esso può essere considerato come un sistema filosofico, o un modo di vita, anche se non avendo nessuna divinità o forma di adorazione, non è certo una religione. Ciononostante, esso ha la sua propria ideologia, forse meglio espressa da suo tradizionale 'gassho' (gesto di saluto a mani giunte) che simboleggia l'augurio che il proprio simile goda di 'amore, pace, e la libertà di crescere'. A livello pragmatico, il Taoismo Zen accetta che 'la libertà di crescere' è spesso problematica, e molto del suo insegnamento è proteso ad energizzare e sostenere lo sviluppo personale, al reciproco beneficio dell'individuo e della società.
Benché i concetti centrali del Taoismo Zen siano relativamente poco numerosi, il fatto che essi formino un sistema con le loro interazioni ed interdipendenze crea un certo tipo di complessità. Perciò, esso può essere validamente descritto sia come semplice che complesso. Benché possa sembrare paradossale, una breve descrizione del 'Tai Chi', popolare forma di Zen Taoista fatta in movimento, illustrerà che esso è paradossale soltanto a livello verbale. Il partecipante compie nel Tai Chi una sequenza di movimenti, ma (diversamente dallo Yoga), le posizioni o posture non sono 'congelate'; anzi, il movimento continua con fluidità in tutta la sequenza. Fra i Taoisti Zen, il Tai Chi è noto come 'meditazione in movimento', implicando che anche se il corpo è in movimento, la mente è 'immobile' (calma o tranquilla).
Il Taoismo Zen considera che calma e movimento non siano in opposizione, ma complementari l'una con l'altro. Benché sia un qualcosa di estremamente semplificato, il Taoismo può essere descritto come una filosofia del mutamento, e perciò del movimento (o processo), laddove lo Zen insegna l'importanza della calma. Il Taoismo già insegnava il significato del mutamento da almeno duemila anni quando, nel sesto secolo dell'era Cristiana, adottò il metodo del Chan-Zen di realizzare la calma o la tranquillità di mente, metodo questo che è una forma di meditazione seduta, nota come 'tso-chan' o 'za-zen'. Più tardi, il Taoismo adottò il sistema di insegnamento dello Zen, mentre da parte sua, il Chan-Zen iniziò da quel periodo ad usare il metodo dialettico di insegnamento impiegato dai saggi Taoisti e dagli eruditi Classici Greci.
Il risultato di queste interazioni è stato lo sviluppo di un unico estremamente efficace metodo di insegnamento ed applicazione dei concetti e temi del Taoismo. Questo metodo riuscì ad essere così adattabile che è stato applicato con successo a molti soggetti ed attività. I seguenti esempi intendono illustrare solamente la diversità e la portata di alcune di queste applicazioni. Nelle arti visuali noi abbiamo 'la scoperta' dell'Impressionismo e i recenti sviluppi nell’arte ceramica; nelle arti attive come l'insegnamento di musica e movimento si usano ora i metodi dello Zen; nelle arti marziali abbiamo il Kendo, lo Judo ed il Karate; e nelle 'professioni utili' c’è il consigliere non-direttivo. Negli sport c'è un addestramento chiamato 'il ruolo interiore'; nelle matematiche, il sistema binario; in psicologia, la teoria del processo; e nella medicina clinica, la scuola detta 'Balintista' riflette la sua influenza Taoista.
Il Taoismo Zen aderisce allo Zen Cinese (o Ch'an), con cui non dovrebbe essere confuso lo 'Zen Giapponese' che è una setta di buddhismo. Il buddhismo Zen è detto essere come il 'fratello' del Taoismo Zen, ma occorre però dire che gli Articoli della Fede buddhista non sono collegati allo Zen Taoista, a meno che non si sia anche buddhisti. E’ forse il fatto che un Taoista Zen può in tutto il mondo seguire qualunque percorso umanista, o umanistico/religioso che ha incoraggiato i suoi seguaci. Comunque, un'altra ragione indubbiamente è che il Taoismo Zen è unico nel non cercare di ignorare i problemi complessi, né di ipersemplificarli, trattandoli come degli 'assoluti'. Esso insegna che anche se alcuni valori assoluti ci sono, vi sono molti più esempi in cui ciò che era un corretto corso di azione può essere reso non-valido a causa di circostanze che cambiano, e che quello che per un individuo è un 'sentiero corretto' può non soddisfare le necessità di un altro individuo.
Questi commenti introduttivi non dovrebbero essere presi per implicare che il Taoismo Zen ha una risposta per ogni domanda, né una soluzione per ogni problema. Nondimeno, esso dà dei buoni consigli che hanno aiutato innumerevoli persone a risolvere, se non proprio a ‘sciogliere’, molti paradossi della vita. Il suo maggior insegnamento è che la vita non è un problema che attende una soluzione, o un problema che aspetta di essere risolto, ma una realtà che deve essere sperimentata. Quando è applicato come terapia, il Taoismo Zen ci conferma che molte situazioni con cui ci confrontiamo nella vita sono nostre stesse creazioni, ma anche che molte altre non lo sono. E tuttavia, in entrambi i casi, la situazione può essere dolorosa per noi. Esso perciò cerca di aiutare le persone sofferenti a saper sopportare quel dolore, e talvolta a crescere come risultato di esso. Nei suoi sviluppi, esso è applicabile sia alle situazioni del quotidiano che a quelle 'intellettuali'.
Come sistema filosofico, spesso esso è considerato come 'microcosmo dell'universo', e perciò servono molti anni per poterlo 'comprendere'. Esso non offre 'scorciatoie', e neppure promette 'l'Illuminazione Istantanea'. Per molti è il lavoro di una vita, anche se coloro che lo accettano come degno di una così profonda concentrazione lo considerano piuttosto un modo di vivere, anziché un 'lavoro'. Tuttavia, il Taoista Zen fortunatamente non deve capire l'intero sistema per ottenere i benefici che esso offre, perché il Taoismo Zen presenta l'opportunità di sperimentare ciò che troppi sistemi hanno ignorato, dimenticato, o si sono spaventati di insegnare, cioè la pace e l’amore, e la libertà di crescere.
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I fiori e gli alberi hanno sole e pioggia per aiutare il loro fiorire. Come esseri umani, noi dovremmo avere l’amore che ci aiuta a crescere e ad essere il sé (TB 40). Se noi erigiamo delle barriere al dare e ricevere amore, noi, nella nostra follia, possiamo inibire tanto noi stessi che quelli che ci amano, dall'esprimere quell’amore (TB 30). Quando noi viviamo nel vero essere, che è il ‘sé’, noi realizziamo il nostro potenziale ad amare, e ad essere amati (TB 42).
Talvolta, noi ci neghiamo l'esperienza di amare, perché temiamo che se riceviamo amore, noi potremmo essere o diventare indegni di esso, e così lo perdiamo (TB 26). Questa paura può essere causata dal vivere in una società che valuta quello che essa chiama 'il successo', e condanna ciò che chiama 'il fallimento'. Tale società può generare il successo soltanto a spese di quelli che essa descrive come falliti. Se nelle nostre menti vivremo questa paura, temeremo perfino di sviluppare il nostro stesso potenziale, per paura poi di fallire. In questo modo, noi neghiamo il nostro proprio essere, cioè il nostro ‘sé’ (TB28).
Solamente quando abbiamo il vero essere, che è il ‘sé’, e così non abbiamo più bisogno di un sé centrato sui pensieri ed azioni, allora siamo pronti a condividere l’amore con ciò che è la nostra controparte, aiutandoli a realizzare il loro stesso ‘essere-sé’, ed aiutando la realizzazione del nostro stesso essere-"né (TB 60). Nell'atto di condividere amore, ognuno di noi accetta che l'altro abbia gli stessi diritti che abbiamo noi (TB 62), e così noi non saremo gelosi dei conseguimenti degli altri, ma daremo loro il benvenuto e li condivideremo come il nostro stesso ‘sé’, come il frutto dell’amore (TB 64). Nell'atto di condividere amore, noi non cerchiamo le imperfezioni dell'altro. Noi cerchiamo le nostre stesse imperfezioni, e daremo il benvenuto aiutando la nostra controparte a superare quelle imperfezioni; così, noi ci aiuteremo l'un l'altro a crescere (TB 66),
perché cambieremo la nostra funzione primaria, da quella di soddisfare le nostre necessità a quella di prendere in considerazione le necessità della nostra controparte, e dandole così una priorità uguale alla nostra propria (TB 68).
In un tale atto di amore condiviso, potremo usare i nostri corpi per creare una bellezza che entrambi si potrà condividere, e così diventarne parte (TB 70), perché in questo atto non c’è alcun soggetto e nessun oggetto, in quanto entrambi si fanno uno attraverso l'unione dei due.
(TB 76).
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Dal seme cresce il germoglio, e poi appare la gemma, un nodo stretto ma sicuro, che provvede la sua propria protezione. Ma la gemma non rimane per sempre la gemma, perché allorché la pianta matura, la gemma comincia a liberarsi, e si apre fino a divenire il fiore (TB 10). Dal neonato dovrebbe svilupparsi il bambino, nell'ambiente sicuro che gli provvederanno i suoi genitori. Ed il bambino dovrebbe svilupparsi nell'adolescente che, attraverso la maturazione, si svilupperà in un ‘sé’ attualizzato adulto, assicurato nella conoscenza del suo proprio essere (TB 12). È meraviglioso il fatto che la società consideri che l'infanzia è il momento in cui si manifesta il germoglio e che l'adolescenza è il momento in cui appare la gemma, e con la tremenda forza con cui la gioventù sarebbe dotata, tutto comincia a sbocciare nel fiore dell’essere-"né (TB 14). Durante il processo di maturazione, noi diventiamo aperti per avere le esperienze, proprio come il fiore che sbocciando riceve la rugiada estiva, e così diventiamo liberi di accettare noi stessi per quello che siamo, che è il diritto di nascita di ogni essere, proprio come la vita che dà calore dal sole è il diritto di tutto quello che si sviluppa e cresce (TB 16).
Sfortunatamente, non è comune per la società permetterci una tale libertà. Infatti, è spesso il caso che la vera natura dell’uomo non permette a questa società di esistere per sempre. Ma questo non significa che noi non si possa fiorire come i fiori, perché se noi viviamo la nostra vita al massimo, completando il nostro essere-sé, non rifiuteremo ciò che la vita ci presenta, anzi useremo le nostre esperienze per aiutare la nostra maturazione (TB 18).
Come genitori, se possiamo vedere che i nostri discendenti non sono meri 'oggetti', e non meno
'soggetti' di quanto lo siamo noi, allora possiamo cessare di manipolarli. Così, al bambino viene permesso di divenire adolescente, e all'adolescente di divenire adulto, con reciproco beneficio per tutti(TB 54). Nell’amore parentale, dovremmo mettere lo sviluppo dei nostri discendenti prima dei nostri stessi desideri, e prima della nostra stessa auto-illusione. Quando non inibiamo, come genitori, lo sviluppo dei nostri discendenti, allora essi possono svilupparsi in adulti, sicuri nel loro stesso essere-"né, come risultato del nostro atto di amore (TB 56). L’amore tra fratelli e sorelle può svilupparsi e crescere dove i genitori saggi non usano uno dei loro discendenti come pungolo o sprone per l'altro (TB 52).
Se scegliamo di usarla per questo scopo, la vita può diventare un periodo di fioritura (TB 20). Uno dei maggiori inibitori alla fioritura umana è probabilmente la stessa vita, perché nel vivere pienamente la nostra vita, siamo costretti ad accettare che molto di ciò che noi sperimenteremo non è bello o divertente. A causa di ciò, potremmo erigere delle barriere all’avere esperienze, senza capire che se non fosse per la bruttezza, la bellezza non potrebbe esistere, e che se noi non potessimo sperimentare il dolore, poi non potremmo neanche sperimentare la gioia(TB 24). Noi dovremmo ciascuno guardare in noi stessi, e così trovare il coraggio di liberarci da quei concetti su di noi, che ci hanno costretto a predeterminare ciò che noi siamo, ciò che dovremmo essere, o quello che noi dovremmo rimanere (TB 32). Noi dovremmo comprendere che non c'è limite alla realizzazione del potenziale umano, se non quei limiti che noi stessi stabiliamo, o che permettiamo ad altri di stabilire in nostro nome (TB 34).
Quando sapremo accettare che non ci sono limiti alla realizzazione del nostro potenziale, allora potremo cominciare a trovare quell'energia che può cambiare l'intera umanità; perché proprio come la suddivisione dei petali che formano la gemma permette a quella gemma di sbocciare in un fiore, e così cambiare la faccia della terra, così il fiorire di un solo individuo in un essere-sé attualizzato, cambierà la faccia dell’umanità (TB 38).
Attraverso lo sviluppo dell’essere-sé, noi possiamo ottenere la capacità di cambiare la forma delle cose con le nostre mani, e così cambiare la funzione di quelle cose (TB 42). Quando noi abbiamo l’essere-sé, possiamo ottenere quell'abilità, con l'uso della mente e delle nostre mani, di produrre cose che hanno la bellezza, e la cui bellezza può essere condivisa da tutti coloro che sono aperti per accettarla (TB 44).
Quando abbiamo il vero essere, l’essere-sé, noi rendiamo abili gli altri al loro stesso essere-"né e così possiamo diventare uno con i nostri simili. Questo lo possiamo realizzare soltanto cessando di considerare noi stessi come il soggetto primario, ed i nostri simili soltanto come oggetti che sono lì solo per essere manipolati da noi (TB 50).
Quando potremo vedere le nostre stesse imperfezioni così prontamente come possiamo vedere le imperfezioni degli altri, e quando saremo così tolleranti delle imperfezioni neutrali degli altri come lo siamo per le nostre, allora si potrà dire che noi amiamo i nostri simili come noi stessi (TB 46). Quando potremo accettare gli altri per ciò che sono, piuttosto che tentare di cambiarli in qualcosa che noi vorremmo per i nostri bisogni e scopi, allora noi compiremo un vero atto di amore (TB 48).
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USATO DA 'VERI SEGUACI' DI CH'AN TAO CHIA
Io avrò compassione per tutti gli esseri senzienti;
e non provocherò male superfluo o danno non necessario.
Attraverso il mio addestramento, Io cercherò l’Illuminazione,
la distinzione tra giusto e sbagliato, la liberazione dall’illusione,
e le malevole influenze di avidità, gelosia e l'ira.
Io cercherò di trascendere la inutile dicotomia,
ed imparerò ad accettare il fatto che le differenze
sono assai spesso una attitudine della mente.
Io accetto che piuttosto che l'accumulazione dei beni,
è di più grande valore la giustizia e la creatività,
la corretta motivazione e l’azione, ed essenzialmente,
l’amore e la pace, e la libertà per crescere.
Io agirò con onore, senza pensare all’auto-vantaggio
allo sforzo egoistico, l’orgoglio o la falsa umiltà.
Io cercherò di vivere la mia vita in modo tale
da non aver poi successivi rammarichi.
Io aiuterò coloro che soffrono, o sono svantaggiati,
e coloro che cercano la liberazione e l’illuminazione!
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(nome del file originale: zenisnot.txt )
Molto è già stato scritto sullo Zen all'interno del contesto buddhista, ma lo Zen non è prerogativa di un qualche specifico gruppo religioso, benché nella sua forma moderna, gran parte dei suoi praticanti è derivata da seguaci del Buddha, Gautarma Siddhartha. E’ ovvio che storicamente lo Zen debba forse il suo maggior debito ai praticanti buddhisti per la loro sistemizzazione dei suoi concetti, per di più, si deve ricordare che Bodhidharma, il fondatore o primo codificatore dello Zen, era anche il ventottesimo Patriarca buddhista nella diretta linea di insegnamento dal Buddha fino a lui.
Tuttavia, in una seria discussione sullo Zen, dobbiamo anche ricordare che qualcosa relativo allo sviluppo Zen accadde durante i quattrocento anni prima del 526 d.C., quando Bodhidharma arrivò al Tempio di Shao-lin nella Cina Settentrionale, Provincia di Hohan, a codificare la pratica Zen durante la sua prolungata meditazione, ora nota come 'i nove anni davanti al muro'. Quello che accadde durante il periodo di quattrocento anni che precedette l'arrivo di Bodhidharma in Cina fu che, seguendo la costruzione di Shao-lin come il maggiore, e probabilmente il primo dei Templi buddhisti in Cina nel 100 d.C., vi fu un importante dialogo tra i monaci buddhisti che occuparono il tempio, e le molte persone indigene nell'area, e che si chiamavano Taoisti; un fatto che non è proprio sorprendente considerando che prima il tempio era un ritiro Taoista.
A questo punto, probabilmente aiuterà a chiarire un bel pò di problemi se capiremo che anche nel 100 d.C. si erano sviluppate due forme di Taoismo, il più antico Tao-chia, che era il Taoismo filosofico basato sulla teoria Yin-Yang come spiegato nella teoria esoterica dei 'mutamenti' (cioè, l'I-Ching) e nella successiva opera, 'La Via della Virtù' ('Tao Te Ching') del filosofo Lao Tzu, che visse verso la fine del Periodo degli Stati Guerrieri (circa 600 a.C.). Poi, la più tarda forma di Taoismo, nota come Tao-chiao, anche se basata sul suo precedessore filosofico, fu praticata più come religione che non come filosofia, e fece un notevole uso di pratiche religiose e mistiche di tipo sciamanico, sconfinando nell'occulto, e dal 100 d.C. i seguaci del Taoismo religioso di gran lunga superarono in numero i Taoisti filosofici.
È probabile che agli inizi dell'era Cristiana in Occidente, i filosofi Taoisti avevano perso la loro influenza, e continuavano il loro lavoro solamente in regioni remote, lontano dalle grandi città e dai posti di governo. Noi sappiamo con certezza che per questo periodo il Taoismo religioso mantenne la sua considerevole influenza in quello che allora era il regno o impero Cinese. Fu così che i restanti seguaci del Taoismo filosofico viaggiarono nelle province più remote, e così probabilmente fu in tali aree che cominciò l’interscambio tra il buddhismo Mahayana e la filosofia Taoista. Furono i monaci buddhisti, praticando la compassione per la quale molte "nétte buddhiste sono tuttora rinomate, che diedero asilo agli 'esiliati' filosofi Taoisti che, a loro volta, condivisero la loro conoscenza coi loro benefattori buddhisti.
Quindi, ciò che ora si crede, è che al suo arrivo a Shao-lin, Bodhidharma trovasse qualcosa di estraneo alla pratica indiana del buddhismo, estraneo ma non alieno. Sarebbe da provare che sia stata l’impresa di Bodhidharma di codificare la pratica sinergica che lui scoprì, ma perfino la scarsa conoscenza della vita dello stesso Buddha offre un indizio sul perché la filosofia del Taoismo non sarebbe stata totalmente estranea a Bodhidharma, e di sicuro non poteva essere ignota al Buddha stesso. È ben documentato che il Principe Gautama Siddhartha passò molti anni come ricercatore peripatetico prima della sua Illuminazione, e molte sue conversazioni con 'uomini saggi' sono descritte in dettaglio. Poiché da molte centinaia di anni prima della nascita del Buddha il commercio era stato avviato fra la Cina e l'India, le vie dei traffici cormmerciali erano state chiaramente ben stabilite, ed è più che probabile che il giovane ricercatore abbia usato tali percorsi commerciali, non solo come un mezzo per viaggiare, ma anche per incontrare gli stranieri nella loro propria terra. Come accade ancor oggi, molto può essere imparato sulle idee, filosofie e costumi stranieri tramite il commercio in manufatti, e molti oggetti sono decorati coi simboli indigeni nel loro luogo di origine. Con un tale brillante intelletto che noi sappiamo Gautama Siddhartha possedeva, è davvero improbabile che lui non abbia imparato 'la teoria Yin Yang' su cui è basata la filosofia Taoista. Gli stessi studiosi buddhisti Zen danno credito ai molti esempi in cui le idee buddhiste sono concomitanti con quelle della filosofia Taoista, ma probabil-mente vi sarà sempre un elemento di disaccordo che riguarda quale scuola di pensiero abbia preso in prestito la maggior parte delle idee dall'altro.
Tutto ciò, non nega l'elemento buddhista in qualunque forma di Zen, ma solamente illustra che lo Zen non è completamente buddhista, né completamente Taoista. Per molti praticanti Zen non c'è davvero dicotomia, né alcun bisogno di una distinzione. Ma è solo per una certa equità verso tutti gli interessati, indicare che per molti buddhisti non-Zen anche il buddhismo Zen è un'eresia, ed affermare che molti buddhisti appartenenti a "nétte non-Zen, il tempo e l’energia spesi nella pratica Zen sono considerati essere di poco o nulla significato. Da parte loro, molti praticanti Zen pur considerando 'fratelli in spirito' i loro ortodossi confratelli buddhisti, disapprovano la rigidità gerarchica con cui i loro più ortodossi fratelli considerano le divinità buddhiste, ed il modo con cui le istituzioni buddhiste ortodosse sono organizzate.
Io sono del tutto consapevole di non aver descritto 'quello che lo Zen è', ma spero di aver ben illustrato quello che ‘in qualche modo è’, non è ortodosso, non è essenzialmente una religione, e non è specificamente Indiano. Probabilmente bisogna offrire una negazione in più, e questo è ciò che è contrario a molta opinione pubblica in Europa e negli Stati Uniti, e cioè che in origine lo Zen non è certamente più Giapponese.
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GLOSSARIO
Ai-nuke (fuga reciproca)
Ai-uchi (reciproco colpire in basso)
Akago no kokoro (mente di un infante; la mente di un bambino)
Amado ("porta della pioggia")
Angya (viaggiare a piedi: un pellegrinaggio buddhista)
Antan (assegnazione di spazio per vivere)
Arayashiki (coscienza che conserva tutto)
Baito (tè fatto con semi di prugna e zucchero, servito come cerimonia per l’inizio di ogni giorno)
Banka (servizi della sera)
Banka Soji (pulizie della sera)
Bhutakoti (limite della realtà)
Bodhi (l’Illuminazione)
Bodhidharma (P'u-t'i Ta-mo, o Ta-mo, o Daruma; il ventottesimo patriarca buddhista, fondatore
dello Zen)
Bosatsu (Bodhisattva, o P'u-sa; un grande illuminato)
Buddha (Butsudo o Hondo; Gautama Siddharta, il fondatore del buddhismo)
Bukkwa (divenire ed essere; vedi Wu-hua)
Bushi (un cavaliere, o studioso militare)
Bushido ("La Via o Codice del militare, o erudito marziale")
Busshin-gyo (atto della Mente-Buddha)
Butsuden (tempio con un reliquiario che ha un'immagine o immagini del Buddha)
Ch'a-ch'a/sassatsu (vivace ed auto-sicuro)
Chado (la Via del tè; il rituale della cerimonia del tè)
Ch'an (Zen)
Ch'ang (per sempre)
Ch'ang-tao ("il sempre-così")
Cha-no-yu (la cerimonia del tè)
Chen/tei (perseveranza)
Cheng (lo stato delle cose così come sono)
Ch'eng/makoto (sincerità)
Ch'eng-ch'eng/jojo (piegarsi e lasciarsi andare)
Chen-jen (il vero uomo)
Chih/jaku/chi (saggezza, tranquillità)
Ch'i/ki (lo spirito, forma astratta di energia che origina nel Tan-Tien o Hara)
Chih-jen: vedi Shijin
Chih-mo: vedi Shih-mo (la Talità)
Choka (servizi del mattino)
Chu-chang/shujo (il bastone, o la frusta)
Ch'un Ch'i (puro spirito)
Chung Yung: vedi Chuyo (dottrina del Metodo)
Chuyo/Chung Yung (dottrina del Metodo)
Daido Mumon (dalla prefazione al Mumonkan, un testo Zen di Hui-k'ai (1183-1260), un monaco
della più tarda dinastia Sung. Discorsi sul testo, comprendente quarantotto casi,
che spesso sono tenuti nei monasteri Zen).
Daienkyochi (saggezza-specchio)
Daigaku/Ta Hsueh (grande cultura)
Dai-hannya (cerimonia di leggere i titoli dei sutra)
Daikon-hatsu (raccogliere ravanelli bianchi da mettere sottoaceto)
Daiyu/Ta-yung o Myoyu/Miao-yung (una qualità estetica percepibile in un opera d’arte o nella
natura stessa. La spada nella mano di uno spadaccino, o un’attività eseguita
con qualcosa più della tecnica)
Daruma (nome Giapponese per Bodhidharma)
Daruma-ki (giorno commemorativo per Bodhidharma, 5 ottobre)
Dentoroku/Ch'uan-teng Lu ("La Trasmissione della Lampada")
Deshi (un discepolo, o alunno di un Shisho [maestro spirituale o insegnante])
Doka (poesia del Tao)
Dokusan (il dialogo individuale con un maestro Zen; una forma di sanzen)
Donai (quella parte di un monastero diversa dai quartieri amministrativi)
Donai Fugin (salmodiare le scritture nella sala di meditazione)
ekagrata (unidirezionalità)
Enju (vegetali che crescono)
Enjudo (la stanza della salute di un monastero)
Fen/bun (mutualità)
Fudo-shin (mente immobile)
Fuga (raffinamento della vita)
Fugin (cantare le scritture)
Funi (non-dualità)
Furyu (sentimento per la natura)
Fushiki o Fuchi/Pu-shih (oltre la conoscenza)
Fusu (monaco incaricato dei conti e degli affari di un monastero)
Fuzui (un monaco assegnato come attendente al monaco-capo)
Gaki (spiriti affamati)
Gyodo (cerimonia di cantare le scritture mentre si cammina)
Haiku (forma di poesia che ha tre righe; cinque sillabe nella prima riga, sette nella seconda, e
cinque nella terza)
Hakama (una gonna divisa portata come 'finti-pantaloni')
Haka Naki (transitorio, vano)
Handaikan (aspettare sulla tavola della sala da pranzo)
Hange (mezzo-termine o giorno mezzo terminato)
Hansai (pasto speciale)
Haori (veste superiore o esterna)
Happo Biraki (aperto su tutti i lati)
Hashin Kyuji (riposo, rammendo e preparazione; agopuntura e trattamento di moxa)
Heijo-shin (mente di tutti i giorni, mente comune)
Higan-hatsu ("ciotola di Equinozio"; elemosina in equinozio)
Hin/P'in (povertà)
Hinsetsu (ricevere visitatori al tempio maggiore)
Hoben (mezzi abili)
Hokku (tamburo del dharma)
Hoko (la scappata di notte)
Hondo ('sala principale'; nome alternativo per il Butsuden o Sala di Buddha)
Honrai no memmoku/Pen-lai mien-mu (il volto originale)
Honshin (la mente originale)
Hoshin/Fang-hsin (la mente divagante)
Ho.... u (canto usato dai monaci mentre camminano nella strada, elemosinando).
Hsi-hsi/Kiki (inghirlandato di sorrisi)
Hu-jan nien ch'i/Kotsunen nenki (improvviso risveglio del pensiero)
i/gi (giustizia)
ichinen/i-nien (un pensiero)
iho/ihori (una capanna)
Inji [sanno] (attendente del maestro)
Inji Gyo (buone azioni segrete)
innen (aneddoto o incidente)
isagi-yoku (non rammaricarsi; con una coscienza chiara; come un uomo coraggioso; senza
alcuna riluttanza)
jaku (tranquillità)
jaku metsu (tranquillità assoluta; inesistenza assoluta; completo annientamento dell'ego)
jen-jin (l'amore)
ji/shih (il particolare, distinto dall’universale ri/li)
Jihatsu (la ciotola usata da un monaco per i pasti e l’elemosina)
Jikijitsu (il monaco più anziano che sovrintende agli altri durante meditazione, riti, ecc.)
jisei ('verso di separarsi-dalla-vita')
jiyu/tzu-yu (fiducia in sé-stessi)
jizai/tzu-tsai (essere-sé, auto-coscienza)
jodo/ch'ang-tao ("il sempre-così")
Joju (i quartieri amministrativi di un monastero; come uffici, cucina, ecc.)
Joju Fugin (salmodiare le scritture nei quartieri amministrativi)
Josaku (un giorno o periodo di riposo dalla routine del monastero)
juan ho ho ti (morbidezza)
Kaichin ("Uscita dalla meditazione di samadhi"; andare a dormire di notte)
Kaihan ("aprire il han"; il triplice periodo dell'annuncio giornaliero)
Kaijo ("aprire la meditazione di samadhi"; svegliarsi di mattina)
Kaiko (un discorso di apertura del maestro)
Kaisan-ki (giorno commemorativo per il fondatore del monastero)
Kaisei (fine del termine dell’addestramento)
Kaiyoku ("aprire il bagno"; andare a lavarsi)
kake mono kami nagara no michi (lasciare le cose alla volontà degli dèi; non interferenza con gli
affari naturali)
kan-mi (il 'gusto' di sabi)
Kansho (un rimprovero dal maestro)
kara (un piccolo kesha)
karma ( il karma, o l’effetto dell’azione)
karuna/hi/pei (amore per gli esseri senzienti)
Kashaku ("appendere il bastone del prete")
Katan (partecipare ad una grande assemblea generale di Zen)
kaya (esistenza fisica)
Kayu (riso cucinato e molle)
Keisaku (il bastone o la frusta usati per amministrare la disciplina durante la meditazione)
kendo (l'arte dello spadaccino)
Kensho ("vedere nella propria auto-natura"; un altro termine per ‘satori’)
Kentan ("ispezionare la piattaforma"; la venuta del maestro nella sala di meditazione)
kesha/kasaya (un indumento portato da un monaco Zen intorno al collo, che copre il torace)
ki (vedi ch'i)
Kiin (ritorno al monastero)
ki-in/ch'i-yun (ritmo spirituale)
Kikan (l'indirizzo di incoraggiamento del maestro)
Kiku (regole per la routine quotidiana)
Kinhin ("andare-ai-sutra"; la pratica di meditazione camminando nella sala di meditazione)
Kitan Ryshaku (fine del termine dell’esame)
klesha/bonno (attaccamento)
ko/heng (successo)
koan (indovinello mistico)
Koe (cambio stagionale delle tonache)
Koju-sai (giorno di ricevimento per seguaci laici)
kokoro/hsin (la mente, o il cuore)
kokoro tomuna (non avere la mente 'ferma')
kokoro wo tomeru (andare alla deriva o spostarsi da una cosa ad un altra; quando l'attenzione
essendo presa da un oggetto, si trasferisce su di esso e rimane là)
Kokuho (incoraggiamento informale)
kono-mama (la quiddità, o talità)
Konsho (colpire la campana della sera)
Kotai (scambio o rotazione dei doveri)
kshanti (pazienza o spirito di tolleranza)
ku/k'ung (il vuoto, o vacuità)
kufu (uno strumento, o metodo, di solito usato per aiutare il satori)
kufu/kung-fu (sfuggire il dilemma)
kyo/hsu (la vacuità in cui esistono possibilità infinite)
kyogai/ching-chieh/ching-ai (il campo del pensiero consapevole)
Kyoo (una festa o un pasto speciale)
Kyusoku (giorno di riposo)
Li/rei (la proprietà)
Li/ri (favorire)
Li/ri (la ragione, o l’universale)
Liao-hsi/ryotari (soffiato alla deriva)
Manjusri [il nome] (Monju Bosatsu)
meijin (genio)
misai no ichinen (traccia sottile di pensiero)
Miso (pasta di fagioli)
Mogusa (la pianta 'yomogi' usata nella moxibustione)
mondo/wen-ta (domande e risposte; discussione)
Monju Bosatsu (Manjusri)
moshin (mente ingannevole)
mu/wu (il nulla, negazione)
muga (non-ego)
mujushin-ken (spada di mente non dimorante)
Mumonkan (una raccolta di quarantotto koan compilata in Cina nel tredicesimo secolo)
Mumyo (stato costante di ignoranza)
mushin (la non-mente)
mushin no shin (la mente della non-mente)
Musho-bonin (riconoscere la realtà non soggetta a nascita e morte; suprema illuminazione)
muso (stato di non-pensiero)
myo/miao (meraviglia)
myoyu/miao-yung (qualcosa di misterioso che sorge dall'essere interiore, senza pensare)
naniyara yukashi (il muoversi, senza sapere perché, di qualcosa di estatico)
Nikki (agenda o diario)
Nisshitsu (entrare nella stanza del maestro)
Nitten Soji (pulizia quotidiana)
Niwa-zume ("occupare il cortile")
Niya Sannichi (due notti e tre giorni)
nyunan-shin (debole coraggio)
Obon (una festa di mezzo-agosto che celebra il ritorno di spiriti ancestrali)
omou (pensare di o per)
omowanu (tenere la mente vuota)
O-shikunichi (duplice giorno mensile di riposo; il quattordicesimo e l'ultimo giorno del mese)
osho (il maestro)
Rohatsu ("l'ottavo giorno del dodicesimo mese lunare"una settimana di addestramento a partire
dal 1° di dicembre e finendo l’ 8 dicembre, commemorando il giorno dell’illuminazione
del Buddha nella seconda di queste date)
Roshi (Vecchio erudito, o vecchio insegnante; un maestro Zen)
Saba (riso passato o scotto)
Sabi (solitudine)
Saiza (il pranzo)
Samu (lavorare nel giardino)
Sando (entrare nella sala)
Sanno (attendente; colui che fa attenzione al maestro)
Sanzen (andare da un maestro Zen a ricevere istruzione, di solito con l'uso di un koan)
Sarei (cerimonia quotidiana del tè)
Satori/Wu (l’Illuminazione, il Risveglio)
Segaki (alimentare gli spiriti affamati [gaki])
Sembutsu-jo (il 'luogo scelto dal Buddha', un altro nome per lo Zendo o sala di meditazione)
Sesshin (due settimane annuali di meditazione intensiva e conferenze speciali).
Shijo (meditazione in completa quiete) 'riunire i propri pensieri'.
Shika (il capo-monaco o amministratore capo di un monastero Zen)
Shikaryo (le stanze del monaco-capo o amministratore)
Shikunichi (giorni nel mese che contengono le cifre quattro o nove)
Shisho (un insegnante o maestro di studio, religione o arte; il padre spirituale di uno studente o
discepolo)
Shitaku (la preparazione)
Shogatsu Shitaku (preparazioni per l'anno nuovo)
Shokei (una breve pausa mentre si sta elemosinando)
Shoken ("visione reciproca"; la prima intervista tra un novizio e il maestro)
shugendo (un’ecletticaa religione che consiste di buddhismo, Scintoismo, Taoismo e sciamanesi-
mo, i cui preti sono noti come yamabushi [preti che dormono nelle montagne])
Shujo: vedi Chu-chang (il bastone)
Shukushin (andare a servire nella sala di Buddha del tempio maggiore nel primo e quindicesimo
giorno di ogni mese)
Shukuza (la colazione)
Shumai ("riunire il riso")
Shussai (servire speciali piatti Zen ai seguaci laici)
Shutto (mettersi in un aspetto [di solito ad una cerimonia])
Shuya (guardiano del fuoco)
Sodo ("sala di preti o monaci"; un monastero Zen)
Soji (pulizia della casa)
Sosan (la consultazione generale con un maestro Zen; una forma di sanzen)
Sozarei ("cerimonia generale del tè")
Ta Hsueh: vedi Daigaku (grande cultura)
Takuhatsu ("portare la ciotola"; la pratica dell’elemosina eseguita dai monaci)
Tan ("piattaforma"; posto per sedere)
Tana-gyo (antenati d’onore della famiglia)
Tanga (restare come ospite durante la notte)
Tanga-ryo (una stanza per alloggiare durante la notte, usata da pellegrini o novizi che desidera-
no entrare nel monastero)
Tanga-zume ("occupare la stanza per la notte")
Teihatsu (radersi la testa)
Teisho (discorso o commentario di un maestro Zen)
Tenjin (visitare la casa di un seguace laico)
Tenzo (la cucina)
Toya (una festa nella notte del solstizio di inverno)
Tsukemono (sottaceti vegetali giapponesi)
Wabi (solitudine; transcendentalità)
wu (vedi mu) (il nulla, negazione)
wu chi (illimitato)
Wu-hua (divenire, essere)
Wu-ming (stato costante di ignoranza)
Yamabushi (preti che dormono nelle montagne) (vedi shugendo)
Yawaragai (la gentilezza di spirito)
Yaza (meditazione seduta individuale di notte)
Zanka (ritornare da casa al proprio tempio, monastero o scuola)
Zazen (meditazione seduta)
Zendo ("sala di meditazione"; struttura in cui i monaci vivono e praticano zazen; monastero o
scuola zen)
Zen-shu (una setta buddhista di Zen)
Zuii-za ("sedere come ci pare"; abbandono della routine quotidiana)
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