IL NUTRIMENTO del CH'AN e ZEN 

di Aliberth MENGONI
 

(pubblicato dal Bollettino Vegeteriano di Calcata di Agosto 1999)

 

Di solito, quando le persone sentono pronunciare il termine "ZEN" (cioè Ch'an in Giapponese), immediatamente ad esse viene da pensare a qualcosa di esotico, di misterioso, di eccitante. Sembra che, se ci capita di udire termini estranei alla nostra lingua, si formino nella nostra mente concetti approssimativi circa il vero significato di cui sono investiti, cosicché spesso li usiamo in modo inesatto. Coi termini "Ch'an" e "Zen", più o meno, accade la stessa cosa.

Al giorno d'oggi, quasi tutte le attività specifiche, che abbiano a che fare con l'Estremo Oriente, sono spesso accompagnate dal termine "Zen"; quindi abbiamo la filosofia Zen, la ginnastica Zen, la medicina Zen, il giardinaggio Zen, ma anche il tiro con l'arco Zen, le arti marziali Zen e, addirittura, la preparazione del tè Zen e la cucitura dei vestiti- Zen. Spesso abbiamo anche sentito parlare di alimentazione Zen, di precisione Zen e talvolta, anche di sessualità Zen.

Premesso che, nell'ottica dello sviluppo culturale che fa capo alla Dottrina Zen, ci sta bene tutto ed anche il contrario, a noi interessa capire come lo Zen s'inserisca in quelle attività che, in fondo, sono praticate regolarmente anche nel mondo occidentale e moderno. Ad esempio, riguardo all'espressione "modo di vivere Zen", che cosa aggiunge il termine "zen" a ciò che noi intendiamo con "modo di vivere"? Evidentemente, deve essere una qualificazione, in senso migliorativo, di una caratteristica umana che normalmente si esprime con una sorta di istintiva abitudine. Una abitudine inconsapevole ed inveterata che rende difficile, se non impossibile, la presa di coscienza di ciò che si sta vivendo, o facendo. Dunque, l'accostamento del termine "Zen", vuole precisare un più accurato livello di esperienza consapevole nei confronti dell'attività, o della funzione, che si sta eseguendo.

Tutto ciò proviene da una millenaria capacità, acquisita da coloro che dedicarono la loro vita alla conoscenza di se stessi e del loro potenziale interiore (tramite pratiche meditative, conosciute appunto col termine "Pratiche Ch'an o Zen", e stavolta nel giusto significato). Infatti, il termine CH'AN (ovvero Zen in Giapponese), è di matrice Cinese e proviene pari pari dal Sanscrito "DHYANA", che significa "Meditazione" o "Concentrazione".

Dunque, alla luce di questa precisazione, anche gli altri vocaboli composti, citati all'inizio, trovano ora un valido riconoscimento ed una giusta collocazione. Ogni attività e funzione umana, se eseguita ed applicata nel dovuto modo, e cioè con un attento e consapevole utilizzo, diventa Zen di diritto, giacché si presume che la si debba eseguire nel modo più accurato possibile. È stato indiscutibilmente accertato che gli antichi adepti della meditazione Ch'an, avevano raggiunto livelli impensabili di perfezione, non solo in campo filosofico e nelle arti marziali ma, in generale, in tutte le discipline in cui si erano applicati. Quindi, i loro "modi-di-vivere", cioè tutte le loro attività, erano compiute in modo eccellente, come non era dato ai comuni mortali. Il loro rispetto per l'ambiente e per la natura, nonché la loro cura nei rapporti umani, ne facevano ideali "maestri di vita" da seguire ed imitare, da parte di coloro che, nel loro interno, sentivano l'importanza di una vita da vivere con merito e responsabilità.

Ovviamente, oltre alla condizione di "saggezza e coscienza", i praticanti Ch'an avevano a cuore anche la propria salute fisica e mentale. Pertanto non potevano trascurare l'importantissimo aspetto del cibo, cioè il nutrimento alimentare che consentiva loro di poter eccellere in ogni attività. Un po’ come nel proverbio latino "mens sana in corpore sano". La loro alimentazione era composta da ingredienti genuini e semplici, in armonia con la generosità di madre natura. Essi erano, perlopiù, vegetariani e si cibavano di cereali come riso e grano, in aggiunta alle verdure, frutta fresca e secca. In alcuni rari casi accettavano alimenti di origine animale, ma solo se necessario; infatti al posto del latte, preferivano bevande derivate dalla soya e dal riso.

Sebbene lo Zen rimanga principalmente una porta aperta alla conoscenza della mente, una Via per lo Spirito, resta comunque il fatto che anche i Saggi e gli Illuminati dovevano mangiare. Per far coincidere il Samadhi meditativo con l'integrità e la salute corporea (che sostiene l'energia della profonda consapevolezza) è necessario che il praticante si elevi dallo stato animale fino ad assumere lo stato di "mediatore" tra se stesso e l'Assoluto. E ciò non sarà possibile se, oltre ad un'accurata indagine sulle fluttuazioni della propria mente, egli non controlla, equilibrandole, le pulsioni della sua energia vitale, sia con un'attenta e sana alimentazione e sia con un saggio controllo della sua sessualità.

Perciò l'attenzione per quel che "ingeriamo" è assolutamente doverosa, dato che oggi, l'adulterazione dei cibi è elevatissima. Altrimenti, come potremmo seguire le orme dei Saggi e coltivare la ricerca interiore, se non stiamo più che attenti a ciò che mettiamo in bocca? Per essere dei sinceri e validi praticanti dello Zen è necessario, prima di tutto, divenire paladini di una società "naturale", tesa cioè all'armonico rapporto tra tutti gli esseri viventi, umani, animali, piante ed elementi. Occorre, quindi, che ogni praticante Zen sappia autogestirsi senza timori e scegliere da solo, fra un atteggiamento nefasto e vizioso ed una condotta corretta ed adeguata, a livello generale come pure a livello comportamentale nonché alimentare. Se tutto andrà come deve andare, una simile persona non potrà sicuramente fallire il bersaglio, che è quello di eliminare dalla sua mente la condizione e l'obbligo di sottostare alla sofferenza karmica, la quale punisce le menti degli individui non consapevoli e che riamgono completamente ignoranti della vera natura della propria e altrui Mente.