Tratto da: http://www.nirvanasutra.org.uk/buddhanaturenotupaya.htm      

 

La Natura di Buddha non è un "mero Upaya".  

Confutazione della pretesa che il Tathagatagarbha sia un mero ‘mezzo abile’ ("Upaya") ed una mera Originazione Dipendente.  del Dott. Tony Page

(agosto 2006). 

  

Al cuore del Buddismo c’è il Mistero. L'esperienza del Risveglio (bodhi) e del Nirvana - così insegna il Buddha ripetutamente nelle 'agama’ e nei sutra Mahayana - risiede oltre il reame del mondo e la portata della logica e speculazione mondana. La stessa cautela è esortata dal Buddha nei riguardi del Tathagatagarbha - la "Matrice di Buddha", che si dice sia inerente in tutti gli esseri, e che sostiene la promessa della eventuale Liberazione di ogni persona (moksha). 

Eppure, alcuni studiosi di Buddismo cercano di rubare a quello che può essere chiamato "Buddismo del Tathagatagarbha" la sua natura mistica ed essenzialmente trascendente. Essi cercano di spiegare che tali dottrine, come quelle del Tathagatagarbha o Natura di Buddha (Buddha-dhatu - Principio di Buddha), sono soltanto un’abile tattica (upaya) per attirarsi l’appoggio delle persone deboli - quelle persone che presumibilmente non possono sopportare la dura visione del non-Sè assoluto e del Vuoto assoluto (costruiti come l’assolutamente-suprema Originazione Dipendente).  

In anni recenti, una delle più eccellenti presentazioni paradigmatiche di questo generale approccio al Buddha-dhatu/Tathagatagarbha, è venuta da Youru Wang. La sua composizione, "De-Substantializing Buddha-nature in the Tathagatagarbha Tradition" (The International Journal for Field-Being, Vol.1 (1), parte 2, Artic. n. 10, 2001, URL www.iifb.org/ijfb/YWang-2-10.htm), è uno scritto eloquente, ben strutturato, facilmente leggibile, comprensivamente referenziato, abilmente ragionato e con stimolanti argomenti per un rifiuto di ogni "essenzialismo" all'interno della nozione del Tathagatagarbha. Ha il grande merito, diversamente da altre discussioni su questo soggetto, di dedurlo in base a citazioni dirette, dagli stessi vari sutra del Tathagatagarbha (piuttosto che solo da commentari) per sostenere i suoi argomenti. Ad esso si darà il benvenuto, in misura tale che possa servire come modello per studi successivi in questo campo.  

Eppure, ad una più attenta osservazione, molte argomentazioni del Dott. Wang si rivelano fragili e fuorvianti, inappropriate e parziali nella loro enfasi (il Tathagatagarbha è eccessivamente visto come un "upaya", mentre il Vuoto e l’Originazione Dipendente non ricevono un trattamento ideologico similmente accentuato), contrarie allo spirito dei sutra Tathagatagarbha, e rovinate da preesistenti assunti - e così alla fine esse devono essere particolarmente rifiutate, come una potenziale base per la pratica Buddhista. Scopo della presente composizione è di mostrare dove sono gli errori di un tale approccio come quello di Youru Wang, ed offrire una visione del Tathagatagarbha che sia più in armonia col significato, movimento e spirito, dei maggiori sutra del Tathagatagarbha, che alcuni dei commentari ‘de-essenzializzanti’ dello stile "Prasangika-Madhyamaka" sono stati capaci di escogitare. 

  

     L’ Ingiustificato Rifiuto dell’ "Essenza" o "Sostanzializzazione" 

All’inizio del suo scritto, Youru Wang validamente scrive che il linguaggio di negazione assunto dal Buddismo Madhyamaka "…non ha una superiorità assoluta sul linguaggio positivo" – cioè il linguaggio positivo del Buddismo del Tathagatagarbha e Yogacara. Comunque, il Dott. Wang poi aggiunge la postilla, "Il punto… non è che genere di linguaggio può essere adeguatamente usato ma come evitare la reificazione o sostanzializzazione"…     Perché? 

Perché mai, fin dall’inizio, dovrebbe esservi un così terrificante assunto che il più grande di tutti i peccati dottrinali del Buddismo Tathagatagarbha sarebbe quello di non riuscire ad insistere che il Tathagatagarbha non è una entità sostanziale (= ontica, reale) di alcun tipo? Questo semplicemente è da domandarsi. Significa forse assumere che nessuna cosa all'interno del Buddismo potrebbe mai possibilmente essere una "sostanza" o un’ "essenza" (e queste nel Buddismo Madhyamaka sono chiaramente parole-codice per ciò che è veramente esistente, immutabilmente reale e permanente). Significa decidere a priori che uno sa precisamente ciò che il Buddismo è, ciò che può essere, ciò che deve essere - e ciò che non può mai, in nessuna circostanza, mai divenire. Ironicamente, questo è investire il Buddismo stesso di un’"essenza" davvero immutabile, fissa e inderogabile  (qui, un'essenza marcata da un dogma negativo) che la pretesa posizione cerca di negare. E’ vero, qui Youru Wang sta principalmente parlando di linguaggio "non-reificante"; e chiaramente il termine "Tathagatagarbha",  da nessun Buddista è considerato come una "cosa". Ma quel termine, Tathagatagarbha, è un simbolo sonoro o verbale che indica qualcosa che nei sutra è presentato come attinente alla Realtà: il salvifico mistero Buddhico interiore etichettato come "Tathagatagarbha". Inoltre, l'insistenza di Youru Wang sul fatto che probabilmente il Buddismo in un senso più largo non può avere niente a che fare con l’ "essenzialismo", ricorre in tutto il testo. Questo automatico importare le assunzioni del Madhyamaka, che la Realtà è nel dominio del Tathagatagarbha, non è giustificato dal contesto di una serie di sutra (le scritture del Tathagatagarbha) che sono state considerate come completamenti e revisionamenti dei precedenti insegnamenti sul non- Sé e sul Vuoto (anche se non distruggono certi loro aspetti) ed offrono la finale e definitiva delucidazione della natura della Verità Buddhica.  

Che significato ha, tutto ciò? 

Alla vigilia della sua "morte", il Buddha dice ai suoi ascoltatori riuniti (incluso il saggio Manjushri ed anche i Buddha che stavano presenziando dalle altre terre di Buddha) che in quello stesso giorno lui avrebbe rivelato il significato intenzionale di tutti i suoi precedenti sutra. Nel Mahaparinirvana Sutra, che lui stava per presentare (e che noi citeremo nelle sue tre versioni principali, per offrire un "tatto" e un assaggio più comprensibile del testo), egli darà la corretta comprensione delle sue precedenti "parole di significato implicito" (sandha-vacana), che nella loro comprensione sono state fraintese spesso da coloro che sono spiritualmente immaturi. Il Buddha proclama: 

     "... il vero significato ultimo (uttarottara) di tutti i sutra è insegnato in questo sutra… Questo sutra è estremamente eccellente (varottama). Per esempio, proprio come la gente di Uttarakuru nel nord è virtuosa, similmente, quelli che hanno ascoltato questo grande sutra sono divenuti ultramondani; voi dovreste sapere che essi sono Bodhisattva-mahasattva [grandi Bodhisattva]. Perciò, questo significa che [questo sutra] è il più grande trattato esplicativo [uttara-tantra]... [questo sutra è totalmente supremo] [uttarottara] più di tutte le dissertazioni del Mahayana..." (dalla Versione Tibetana) 

Egli inoltre afferma: 

     "… mentre mi sto preparando per trapassare nel Parinirvana [cioè, in questo stesso giorno in cui predico il Mahaparinirvana Sutra], io poi parlerò delle varie parole segrete di intenzione nascosta del Tathagata nella loro interezza… In quel giorno, io impartirò la sostanza intenzionale ai miei figli." (Versione Tibetana).

Così, le spiegazioni di Dharma offerte da questo sutra devono essere prese realmente in un modo estremamente serio. Il Buddha poi dichiara nella stessa scrittura (versione Dharmakshema) che nelle sue più prime esposizioni del Dharma aveva insegnato l'impermanenza [anitya], sofferenza [duhkha], Vacuità [sunyata] e non-sé [anatman]. Ora, io giro la Ruota del Dharma (dharmachakra) in questa città di Kushinagara [nel giorno del Parinirvana], ed insegno l'eternità [nitya], la felicità [sukha], il Sé [atman] e la purezza [shuddha]". Da notare che qui la Vacuità è sostituita dal ‘Sé’. Ed il Sé è, nelle dissertazioni della metafisica Buddista, uguale ad "essenza" o svabhava.  

        In un'altra importante parte del sutra, il Buddha spiega come nel passato egli aveva insegnato il Vuoto (Vacuità) ed il non-Sé come un tipo provvisorio di ‘pappetta’ per i suoi discepoli spiritualmente simili a neonati; ora, che i suoi discepoli hanno superato la malattia delle visioni erronee e hanno un appetito sano e più maturo, potrà insegnar loro il ‘Tathagatagarbha’. Egli riferisce la parabola di una madre con un infante indisposto. La malattia di quel bambino richiede che temporaneamente desista dal bere il latte di sua madre, mentre la medicina che gli viene somministrata è assimilata. Al fine di facilitare questo, la madre ricopre i suoi seni con una sostanza amara, e questo distoglie l'infante dall'allattarsi ai seni della mamma. Ma dopo che la medicina è stata assorbita, il bambino può bere il latte della madre che dà la salute al contenuto del suo cuore - anche se all’inizio lui esita per timore di risentire l’amaro. Questo fà riferimento alla dottrina del non-sé e del Vuoto (che molti commentatori del Buddismo associano ad una sorta di "non-sostanzialismo" o "non-essenzialismo"), ed a quella del Sé reale: quando i suoi studenti sono ancora spiritualmente "ammalati", il Buddha dà loro la medicina amara del "non-sé" e della Vacuità; ma quando essi sono avanzati nella maggior salute e maturità, lui insegna loro la realtà del Tathagatagarbha. Ecco ciò che egli dice, delucidando il significato della sua stessa parabola: 

     "… proprio come una madre imbratta i suoi seni con un unguento di foglia di nimba, così anche io dissi [ai miei monaci "ammalati"]: 'Meditando, coltivate la comprensione che tutti i fenomeni mancano di un ‘sé’ e sono ‘vuoti’'. Proprio come la madre del bambino più tardi pulirà ed asciugherà i suoi seni per allattare il bambino, dicendo: 'Prima, io non potevo permettermi di allattarti ai miei seni finché la tua medicina non fosse stata digerita, ma ora posso di nuovo allattarti', così anche io istruii [i monaci] allo stesso modo, per farli allontanare dai fenomeni mondani, dicendo loro che non c'è nessun Sé; ma ora, dato che io insegno che il tathâgatagarbha esiste, i monaci non siano più spaventati come dei bambini. Proprio come l’infante, esaminati [i seni di sua madre] poi si allatta da essi, così anch’ io ora insegno che voi monaci dovreste investigare l'idea che il tathâgatagarbha esiste davvero all'interno di voi stessi e strenuamente applicarvi alla coltivazione meditativa di esso". (Versione Tibetana) 

Contrariamente a ciò che spesso è dichiarato, qui il Buddha non sta insegnando la dottrina del Tatha-gatagarbha a persone che hanno paura della nozione di un non-sé - ma a persone che temono il Sé! Infatti, nel sutra il Buddha deve presto rampognare i suoi monaci entusiasti sostenitori del "non-Sé"- (i quali meditano "ripetutamente sull'idea che non c'è nessun Sé") per il loro essere perversi nella loro comprensione del Dharma e principalmente sbagliano applicando l'insegnamento del non-sé - là dove il suo scritto non lo cita - al vero Sé. Quel 'Sé-eterno' non è nient’altro che l’immortale Nirvana, e il Nirvana trova la sua incarnazione personalizzata nel Buddha stesso. L'equazione funziona così: l'Eterno = il Supremo Nirvana = il vero Sé = l'immortale, puro e beato Buddha. Il Buddha indica più esplicitamente questo ai suoi ascoltatori: 

"… l'eternità [nitya] del Supremo Nirvana è il Vero Sé. Il Sé è puro, il puro è beatitudine. L'Eterno, il Beato ed il Puro Sé è il Tathagata." (Dharmakshema) 

Ma perché qui parla così tanto del Sé? In primo luogo, perché il Sé è simile all’essenza intima, la irriducibile realtà centrale - che Youru rifiuta come una valida parte della metafisica Buddista. In secondo luogo, perché il Sé è associato nei sutra del Tathagatagarbha col Tathagatagarbha stesso/ o ‘Buddha-dhatu’ ("Natura di Buddha"). Ecco ciò che nel Nirvana Sutra il Buddha dice sulla questione: 

"Il Vero Sé è il Tathagatagarbha." (Faxian); 

"L'essenza del Sé è il sottile Tathagatagarbha" (Dharmaksema) 

"Il Vero Sé che il Tathagata espone oggi, è chiamato ‘Buddha-dhatu’ ["Natura di Buddha"]"- (Dharmaksema).  

"Il Buddha-dhatu ["Natura di Buddha"] è il Vero Sé, ed è come un diamante che non può essere mai distrutto." (Dharmaksema). 

  

Quel "Buddha-dhatu" è anche associato direttamente col Buddha. Noi leggiamo, apoditticamente (e più di una volta), nel sutra: "il Buddha-dhatu è il Tathagata" (Dharmaksema, Vol. 4, p. 54). 

Inoltre, il Buddha esorta i suoi seguaci ad essere fiduciosi che lui (come ‘Dharmakaya’) non morrà mai e che lui è realmente permanente come il grande Monte Sumeru:  

"… Voi non dovete pensare che io cesserò di esistere. Considerate che il Tathâgata sia come il Monte Sumeru" (versione Tibetana).(Il Monte Sumeru è la più possente, più solida e più resistente di tutte le montagne-n.d.T.).  

Questo certamente non sembra molto "insostanzialista". Infatti, l'immagine della montagna, o ancor più, del diamante - la sostanza più dura nota all’umanità - è usata in più di un'occasione come un esempio della Natura di Buddha. Per esempio, nella sezione del sutra centrata sul Corpo di Diamante del Buddha (che è associato con la Natura di Buddha), noi leggiamo l'esortazione del Buddha: "… Voi dovreste d'ora innanzi tener presente che il corpo del Tathâgata è indistruttibile e solido come un diamante-Vajra": (il diamante è estremamente resistente/solido adamantino indistruttibile). In un'altra occasione all'interno del sutra, il Buddha-dhatu è paragonato ad una palla di ferro scaldata in un forno, che nel processo emana calore e transitorie scintille; e ci vien detto che le scintille si dissipano come i ‘klesha’ (negatività comportamentali morali e mentali), "… ma la sostanza del ferro rimane". Che la Natura di Buddha è come la sostanza-ferro. Una strana scelta di immagine, questa, se il finale insegnamento è una rivelazione che in realtà non c’è nulla di sostanziale nella Realtà, in alcun modo, senso, foggia o forma. Da tali metafore è comunicato un forte senso di 'entità' genuinamente ‘reale’ (si potrebbe dire "sostanziale") - anche se ovviamente spaziosamente aperta, "vuota" e "inafferrabile" per i non-risvegliati, ed invisibile alla percezione normale -. 

Ma c'è più di una similarità che deve essere notata e portata in superficie. Il Buddha specificamente indica nel Mahaparinirvana Sutra che il Buddha-dhatu possiede caratteristiche che potrebbero essere ragionevolmente descritte come "sostanziali". In una successiva sezione dedicata al Buddha-dhatu, il Buddha commenta come quel dhatu sia tanto materiale che non-materiale. È materiale, si legge, "a causa del corpo-simil-diamante" (Dharmaksema) – e ancora per la solidità adamantina o di diamante. Ma in che modo è non-materiale? "Grazie alle diciotto qualità non comuni [di un Buddha], che non sono materiali". Il Buddha non afferra questa opportunità per negarlo, dicendo, "Perché in esso non vi è affatto una realtà ultima!" - che è ciò che i fautori del totale "non-essenzialismo" avrebbero sperato come critica del Buddha-dhatu. Egli si riferisce semplicemente ai tratti caratteristici del Corpo-di-Diamante che, per esempio, include la mente del Buddha sempre in uno stato di samadhi (concentra-zione meditativa) e la non ostruita e libera visione del Buddha, del passato, presente e futuro. Per di più, in questo passaggio si dice ripetutamente che il Buddha-dhatu sia nitya, - eterno, permanente, immutabile. Youru Wang disputa che tale epiteto si riferisce soltanto alla insorgente natura della Originazione Dipendente - che, per lui (come vedremo più avanti), è ciò che il Buddha-dhatu è nella sua totalità. Ma si dovrebbe notare che l’aggettivo ‘nitya’ porta anche la connotazione di "immutabile". L'ultima cosa che si potrebbe dire dell’Originazione Dipendente, tuttavia, è che sia "immutabile": essa è, infatti, continuo cambiamento e movimento. In effetti, è mutazione e cambiamento per eccellenza. Inoltre, in questo passaggio il Buddha-dhatu è specificato come libero dalle sensazioni: "… è separato da tutte le sensazioni [vedana]". Però, uno degli elementi principali dell’Originazione Dipendente è che include "sensazioni" o "sentimenti" (vedana) come parte dei suoi dolorosi processi mutazionali. E già certe deficienze nell'argomento di Youru Wang sembrerebbero riaffiorare.  

Inoltre, il Buddha specificamente dichiara che il ‘Principio di Buddha’ (Tathagata-dhatu) è la natura essenziale di tutti gli esseri:  

"Il tathâgata-dhâtu è la natura intrinseca (svabhâva, prakriti) degli esseri. Esso, perciò, non può essere mai ucciso anche se la vita viene troncata. Se fosse possibile ucciderlo, allora l’energia vitale (jîvaka) potrebbe essere annichilita (atyanta-abhâvî-krita), ma è impossibile che la forza vitale possa essere annichilita. In questo esempio, la forza vitale si riferisce al tathâgata-garbha. Quel [tathâgata]-dhâtu non può essere distrutto, ucciso o annichilito, ma neanche può essere visto molto chiaramente finché non è stato raggiunto lo stato di Buddha. Perciò, non c'è nessuno che può ucciderlo." (Versione Tibetana) 

Al presente redattore sembra che una giusta e naturale lettura di questo passaggio debba considerare il Tathagatagarbha come realmente indistruttibile, immortale, un centro o essenza vivente all'interno dell'essere senziente. Qualunque altra lettura deve piuttosto sicuramente colpirci come testarda, forzata, e distorcente. Se ci rivolgiamo al Tathagatagarbha Sutra, diventa anche più evidente che quando il Buddha parla del Tathagatagarbha, sta davvero parlando di un'essenza realmente esistente, reale, al centro dell'essere incarnato di ogni persona. Quella è l’essenza del Buddha, anzi in realtà è il Buddha. L'immagine di innumerevoli fiori di loto con petali appassiti è evocata, e nel calice di quei fiori di loto un radiante Buddha è visto seduto nella postura del loto. Questa – e le altre immagini famose usate dal sutra - sono un emblema del Tathagatagarbha, che soltanto i Buddha chiaramente possono discernere nelle profondità di tutti gli esseri. Questa è la stessa spiegazione del Buddha di quella prima immagine di un Buddha residente che dimora all’interno di un corpo di fisicità decadente e mortale e pieno di afflizioni morali: 

"In una maniera simile, o buoni figli, quando guardo tutti gli esseri col mio occhio-di-Buddha, io vedo quell'ignoto all'interno dei klesha [tendenze negative] dell'avidità, desiderio, rabbia, e stupidità, ed ivi risiede, augusta ed immobile, la saggezza del Tathagata, la visione del Tathagata, ed il corpo del Tathagata. Buoni figli, anche se sono preda di ogni tipo di klesha, tutti gli esseri possiedono il tatha-gatagarbha che è eternamente immacolato, e che è pieno di virtù non differenti dalle mie stesse". ("The Tathagatagarbha Sutra", di William H. Grosnick, in ‘Buddhism in Practice’- Princeton University Press, Princeton, 1995 p. 96). 

Il testo non dice che il qui Buddha sta prescientemente percependo un futuro Buddha; o che questo è ciò che potenzialmente sorgerà quando certe condizioni saranno state adempiute: piuttosto, questo  Buddha interiore è visto dai Buddha già esistere all'interno di tutti gli esseri, proprio qui ed ora. Esso, tuttavia, resta oscurato alla vista mondana dai klesha che lo avvolgono occultandolo. Ma è reale e presente. Ritornando momentaneamente al Mahaparinirvana Sutra, potremmo citare la dichiarazione del Buddha, quando richiesto di cos’è che è Reale, qual è il Principio di Buddha o "Natura di Buddha" (Buddha-dhatu) che ricade in questa categoria, rispose: "… Reale è il Buddha-dhatu, il Buddha-dhatu è Reale" (Dharmaksema). L’assai-trascurato ma estremamente importante Angulimaliya Sutra afferma similmente che il Tathagatagarbha è veramente reale e infatti non è nient’altro che la modalità ultima della Realtà del Buddha, il suo Dharmakaya.  Noi leggiamo: 

     "… il Tathagatagarbha è vero e reale; è l'ultimo corpo permanente, l'ultimo corpo inconcepibile del Tathagata, l'ultimo corpo eterno, perché esso è il Dharmakaya, il corpo della pace, il corpo ultimo, il corpo nato dalla Realtà [tattva]". 

Questo non è un fenomeno mutevole, provvisorio ed ultimamente deperibile (come è l’Originazione Dipendente): questo non è nientemeno che la stessa indistruttibile Verità. 

  

L’Originazione Dipendente 

     Il Dott. Youru Wang crede che il Tathagatagarbha sia nè più né meno che la stessa Originazione Dipendente (pratitya-samutpada). Lui cita il Buddha del Mahaparinirvana Sutra, nel tentativo di dare peso alla sua dichiarazione: "Questa duodecuplice catena del sorgere interdipendente è chiamata natura-di-Buddha; Tutti gli esseri senzienti hanno tale duodecuplice catena del sorgere interdipen-dente; perciò si dice che tutti gli esseri senzienti hanno la natura di Buddha". 

Ma né qui né altrove nel Nirvana Sutra il Buddha dice che l’Originazione Dipendente è la totalità di ciò che la "Natura di Buddha" (Tathagatagarbha/Buddha-dhatu) è. In altre parole, il Tathagatagarbha può includere l’Originazione Dipendente all'interno del suo illimitato scopo, ma non è mai totalmente definito, limitato o esaurito da essa. Collegare il Tathagatagarbha all’Originazione Dipendente può essere necessario - ma non sufficiente. Una tale distinzione tracciata dal Buddha tra il Buddha-dhatu e l’Originazione Dipendente è suggerita dal passaggio seguente nel Mahaparinirvana Sutra (versione di Dharmaksema), in cui il Buddha dice al Bodhisattva Kasyapa: 

     "Nobile Figlio. Il mondo non conosce, non vede, né realizza il Buddha-dhatu. Se c'è una persona che conosce, vede e realizza il Buddha-dhatu, tale persona noi non la chiamiamo uno del mondo. Noi lo chiamiamo 'Bodhisattva'. E neanche il mondo conosce, vede o realizza i dodici tipi di scritture, i dodici collegamenti dell’Originazione Dipendente, le quattro inversioni…" (Mahayana Mahaparinirvana Sutra in 12 Volumi, Nirvana Publications, 1999-2000, Yamamoto/Page, Vol. 5, p. 47).        

Il fatto che il Buddha specifichi che il Buddha-dhatu è il primo in una lista di elementi di cui l'essere mondano non ha cognizione e poi specifica l’Originazione Dipendente come un altro di quegli elementi indica che i due - il Buddha-dhatu e l’Originazione Dipendente - sono separati fenomeni (dharma).   

Questo non significa dire che l’Originazione Dipendente non ha un qualche collegamento col Buddha-dhatu/Tathagatagarbha. Nell'Angulimaliya Sutra, veniamo a sapere che il Tathagatagarbha è presente all'interno di ogni fenomeno – proprio come, nella versione di Dharmaksema del Nirvana Sutra, il Sé è affermato essere presente in tutte le cose ("Io anche insegno, nell'interesse di tutti gli esseri, che in verità c’è il Sé in ogni fenomeno (dharma)", Yamamoto/Page,Vol.1, p.46). Così non è sorprendente che esso dovrebbe risiedere anche nei processi di Originazione Dipendente. Come potrebbe essere altrimenti? L'essere vivente deve liberarsi dal suo doloroso intrappolamento dentro gli opprimenti ingranaggi dell’Originazione Dipendente, così anche là il liberatorio Tathagatagarbha è inevitabilmente presente, e infatti - secondo lo Srimaladevisimhanada Sutra - è la presenza del Tathagatagarbha all'interno dei processi samsarici (dell’Originazione Dipendente) che fa sì che l'essere possa sentire il disgusto del doloroso samsara (nisharana) e desiderare il Nirvana. Inoltre, è il vedere l’Originazione Dipendente che è così cruciale, non l’Originazione Dipendente stessa (questo è quello che si intende quando il Buddha descrive il Buddha-dhatu come Originazione Dipendente - è la conoscenza e visione  Buddhica che percepisce e lo conosce, essendo però liberi dall’intrappolamento all’interno di esso). Nel Mahaparinirvana Sutra conosciamo realmente che il Buddha-dhatu è onnisciente - diversamente dagli esseri non-risvegliati o perfino dai Bodhisattva del 10° livello. Allora, l’Originazione Dipendente del samsara è anch’essa onnisciente? Ovviamente no. E’ un processo futile, oscuro e cieco, basato sull’ignoranza - che genera sofferenza e deve essere portato ad una fine. Questo è l’intero punto, e scopo del Dharma. L’Originazione Dipendente (come di solito riferito nelle scritture Buddiste) non è qualcosa  di desiderabile o piacevole. Nel Maharatnakuta Sutra il Buddha dichiara inequivocabilmente: "Ogni anello dell’Originazione Dipendente è solamente una gran massa di sofferenza" (A Treasury of Mahayana Sutras, Garma C. C. Chang, Pennsylvania State University Press, 1983, p. 159). Quindi, per implicare che il Tathagatagarbha è ignorante (come inevitabilmente fa lo stile dell’argomentazione di Youru Wang), subendo una mutazione e il dolore, costituisce l'epitome di tutte le distorsioni della dottrina del Tathagatagarbha. Infatti, all'interno del mondo dei sutra del Tathagatagarbha, una tale visione sarebbe un’escoriazione, come quella di un icchantika (gli esseri più spiritualmente illusi e fuorviati). Comunque, l’attuale redattore non ha alcun desiderio di avanzare ulteriormente in un territorio così sensibile! 

Inoltre, l’Originazione Dipendente potrebbe essere caratterizzata come un processo che insorge in modo dipendente, incontrollato e mutevole in tutto il passato, presente e futuro. È il cambiamento del tempo reso manifesto. Però il Buddha-dhatu, come esemplificato dal Buddha, è eterno e non è catturato dal tempo. Nel Mahaparinirvana Sutra (nel quadro finale della scrittura di Dharmaksema), il Buddha dice al Bodhisattva Kasyapa: 

 "Poichè il Buddha-dhatu è eterno [nitya], non è incluso né sottomesso all’interno dei Tre Tempi…

 "Tutte le Buddha-qualità [Buddha-dharma] che il Buddha-dhatu possiede,

 "Sono eterne [nitya] ed immutabili [aviparinama]". (MPNS, Yamamoto/Page, Vol. 10, p. 67). 

Di conseguenza, è necessario ugualmente ribadire che la visione effettiva del Tathagatagarbha o Buddha-dhatu annuncia il momento del Risveglio, secondo il Mahaparinirvana Sutra. Quindi se, come pretende Youru Wang, il Tathagatagarbha fosse "identico" all’Originazione Dipendente, noi potremmo presumerci dei ‘Buddha solitari’ (pratyekabuddha) che, grazie ai loro propri sforzi, sono arrivati ad una percezione dell’Originazione Dipendente, per ottenere una piena e chiara visione della "Natura di Buddha", dato che essi (quasi per definizione) sono conoscitori dell’Originazione Dipendente. Però, in realtà, loro non riescono a realizzare questa visione interiore. Proprio questo dovrebbe allertare lo studente del Buddismo Tathagatagarbha che i due - Originazione Dipendente ed il Buddha-dhatu - certamente non sono completamente identici. Un istruttivo passaggio a tal riguardo si può trovare nel Mahaparinirvana Sutra, là dove il Buddha chiarisce abbondantemente che ai pratyekabuddha manca la capacità di percepire il Buddha-dhatu: 

"Nobile Figlio, se qualcuno vede che tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sè, impuri e senza beatitudine, e se lui vede anche che non-tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sé, impuri e senza beatitudine, allora quella persona non vede il Buddha-dhatu. 'Tutti-i-fenomeni' denota il samsara; 'non-tutti' denota i Tre Gioielli. Sravaka e pratyekabuddha vedono che tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sé, impuri e senza beatitudine, ma essi vedono anche che non-tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sé, impuri e senza beatitudine. Per questa ragione loro non vedono il Buddha-dhatu. Un Bodhisattva dei dieci bhumi [livelli] vede che tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sé, impuri e senza beatitudine, ed in parte vede che non-tutti i fenomeni sono eterni, con un Sé, felici e puri. A causa di ciò, essi sono capaci vedere solo un decimo. I Buddha-Bhagavath vedono che tutti i fenomeni sono impermanenti, privi di un Sé, impuri e senza beatitudine, e loro vedono anche che non-tutti i fenomeni sono eterni, con un Sé, felici e puri. Per questa ragione essi vedono il Buddha-dhatu, come se fosse un frutto di mango che sta nel palmo della loro mano". 

Nel passaggio registriamo la solidità dell'immagine - il pesante, sostanziale mango che rimane nel palmo della mano - e, restando alla presente discussione, vediamo confermato che il pratyekabuddha non è psichicamente conferito di poteri per percepire il Buddha-dhatu. Perfino il Bodhisattva del 10° livello ha solo una parziale e limitata visione del Buddha-dhatu. Eppure noi sappiamo che Bodhisattva del 10° livello e pratyekabuddha sono esseri che hanno una piena e chiara visione dell’Originazione Dipendente. Perché, allora, dovrebbe esservi quest’apparente contraddizione? Perché evidentemente il Buddha-dhatu e l’Originazione Dipendente non sono completamente la stessa identica cosa. 

Il passaggio di cui sopra chiarisce anche che ‘Buddha, Dharma e Sangha’ (chiamato "il Grande Sé" nel Mahaparinirvana Sutra), diversamente dai fenomeni mondani e transitori (che sono precisamente il reame dell’Originazione Dipendente) è caratterizzato da eternità, beatitudine, purezza e vero Sé (con quest’ultimo che è associato ad una sempiterna Essenza). 

Inoltre, nel Nirvana Sutra il Buddha parla del bisogno di abbattere il gigante albero dell’Originazione Dipendente. Entrare nel Dharma attraverso il fare le adeguate domande può facilitare tutto ciò. A tal riguardo, il Buddha dichiara: 

"Grazie a queste buone domande, può esservi il girare la Ruota del Dharma, l'abbattimento del grande albero dei 12 anelli della causalità, il trapasso delle persone attraverso l’illimitato mare di nascita e morte, la giusta lotta contro il malvagio Re Mara, e lo srotolamento della vittoriosa bandiera dei Papiya". (Vol. 8, p. 7). 

Non c’è proprio bisogno di aggiungere che il Buddha-dhatu non può mai essere ‘ucciso’, e né uno dovrebbe pensarlo in questi termini. Inoltre, è indicato che  Buddha-dhatu e Originazione Dipendente non sono identici. La distruzione del grande albero dell’Originazione Dipendente è connessa con lo sbaragliamento del malvagio Mara e la liberazione degli esseri dall'oceano del samsara. Ma davvero si può sensibilmente arguire che per raggiungere la Liberazione uno debba prima distruggere il Buddha-dhatu - che è quello che sarebbe coinvolto qui, se il Dhatu e l’Originazione Dipendente fossero completamente la stessa cosa? Evidentemente no. Ma la distruzione è precisamente quella che è richiesta riguardo all’Originazione Dipendente. Una volta che è raggiunto lo Stato di Buddha, di fatto il Buddha-dhatu è purificato, sia come sia, dalle contaminazioni avventizie che l'hanno fin qui oscurato - e fra queste inclusi, i bloccanti fattori negativi che devono essere eliminati, sono precisamente i dodici anelli del pratitya-samutpada. Nel Mahaparinirvana Sutra il Buddha così dice, quando disquisisce su ciò che è presente nel Buddha-dhatu del Tathagata e ciò che è assente: 

"Il Buddha-dhatu del Tathagata ha due aspetti: uno è l’esistenza, ed il secondo è la non-esistenza. Quanto all’esistenza, vi sono i 32 segni di un superuomo, i 10 poteri, le 4 impavidità, le tre basi della memoria, la Grande Compassione Amorevole, gli innumerevoli samadhi, come il samadhi-vajra. Poi, quanto alla non-esistenza: cioè gli aspetti causali e risultanti del karma passato salubre, insalubre e neutro del Tathagata, i klesha, i cinque skandha, e i dodici anelli dell’Originazione Dipendente"-  (Dharmaksema) 

Evidentemente, il Buddha-dhatu possiede meravigliose qualità come la Grande Bontà e la Grande Compassione, e non è contingente nel processo dell’Originazione Dipendente per la sua esistenza e realtà: infatti, la mèta ultima lo vede completamente privo di questo doloroso ingombro samsarico della causalità, condizionalità e le conseguenze che rifluiscono da esso... Curiosamente, dal Nirvana Sutra impariamo anche che l’ "occhio della prajna" (intuizione), che nel Buddismo è centralmente collegato alla visione dell’Originazione Dipendente, non è ancora capace di vedere chiaramente il Buddha-dhatu. Il Buddha dice: 

"Nobile Figlio, anche se i Bodhisattva del decimo livello [bhumi] percepiscono il Buddha-dhatu, non è a loro chiaro. Nobile Figlio, tu potresti chiedermi: 'Con quale occhio i Bodhisattva del decimo bhumi percepiscono il Buddha-dhatu, sebbene non sia a loro chiaro, [e] con quale occhio i Buddha benedetti lo percepiscono chiaramente?' Nobile Figlio, ciò che è visto con l'occhio della prajna non è chiaro, mentre ciò che è visto con l’occhio-di-Buddha è chiaro. Non è molto chiaro, mentre si è impegnati nella pratica di un Bodhisattva, ma è chiaro quando si è più impegnati nella pratica. Sebbene essi lo percepiscono, perché dimorano nel decimo bhumi, a loro non è chiaro, mentre è chiaro a quelli che non dimorano, o procedono [lungo i bhumi]. Ciò che un Bodhisattva-mahasattva percepisce con la prajna non è chiaro; mentre i Buddha benedetti lo percepiscono chiaramente perché hanno troncato cause ed effetti. Si dice che il Buddha-dhatu sia 'Onnisciente' [sarvajna]; mentre non si dice che i Bodhisattva del decimo-livello siano onniscienti, e così, anche se essi lo percepiscono, a loro non è del tutto chiaro." 

L’‘occhio-prajna’ che è così finemente sintonizzato alla visione delle cause e condizioni e che sorge da esse - in altre parole, i 12 anelli dell’Originazione Dipendente - è però miope ed afflitto da una visione offuscata quando arriva a vedere il Buddha-dhatu. Inoltre, il Buddha - che, dobbiamo ricordarlo, è il Buddha-dhatu reso manifesto - si dice che abbia tagliato tutte le cause e gli effetti, - la sfera del Sorgere Dipendente - e così è capace di vedere chiaramente il Buddha-dhatu. Il suo vero essere - il suo ‘kaya’ (che include corpo e mente), - nel Nirvana Sutra è definito come non composto di cause e condizioni (cioè, la catena dell’Originazione Dipendente): 

"Il Corpo del Tathagata non è causalmente condizionato. Poiché non è condizionato causalmente, si dice che abbia il Sé (atman); e se ha il Sé, allora è anche eterno, felice e puro". (Dharmaksema) 

Qualsiasi intimo collegamento possa esistere tra l’Originazione Dipendente (o più precisamente, la piena visione di essa) ed il Buddha-dhatu, i due evidentemente non sono completamente gli stessi. 

  

La Vacuità 

Una crescente tendenza fra gli studiosi che commentano il Buddismo Tathagatagarbha è di cercare di spegnere e perfino eliminare il radicalismo della dottrina del Tathagatagarbha, dichiarando che essa non è altro che il Vuoto, o Vacuità - l'assenza di un Sè o Essenza eterna - come suo riferimento. Questo, dal punto di vista dei principali sutra Tathagatagarbha stessi, è una applicazione impropria e soteriologicamente pericolosa del Madhyamaka, concernente alla sfera del Tathagatagarbha. Ed è una trappola in cui, sfortunatamente, Youru Wang vi precipita senza alcuna rete di protezione sotto di sé.

"La Vacuità", scrive il Dott. Youru sul Buddha-dhatu delle dottrine del Nirvana Sutra, "è mantenuta nel senso originale di essere senza un auto-esistenza - o inerente natura. La natura di Buddha è vuota… " Però, questo non deve trascurare un primo e (per il Nirvana Sutra) definitivo chiarimento del Buddha, in questo sutra, di come la Vacuità (sunyata) debba essere ora intesa quando applicata alle verità trascendenti, in questa finale rivelazione del Dharma. Avvalendoci di un termine reso famoso dal Maestro Buddista Jonangpa, Dolpopa, possiamo dire che la seguente definizione del Nirvana Sutra di Vacuità in relazione alla Liberazione (‘che il Buddha-dhatu è della natura di Nirvana’) è marcatamente shentong - indicando una "Vacuità di altro, ma non di se-stessa". Il Buddha afferma proprio questo, quando lui dichiara: 

"La Vacuità (sûnyatâ) significa che non si può trovare nulla anche dopo averlo cercato. Anche se pure i Nirgranthas (nichilisti) hanno un 'nulla', la Liberazione non è come quel ‘nulla’. La Vacuità è come questo: riguardo ad un vaso di miele, un vaso di burro, un vaso di olio, un vaso di acqua o un vaso di yoghurt, non importa se nel vaso c'è dello yoghurt o no, esso è sempre chiamato un 'vaso di yoghurt', e similmente, non importa se là c’è o meno miele o acqua, però li si chiamerà sempre un vaso di miele o un vaso d’acqua. Come allora si può dire che il vaso stesso è vuoto, o che il vaso è vuoto intrinsecamente in assenza di quello [lo yoghurt, e così via]? Se ha forma e colore, come si può dire che è vuoto? La Liberazione non è quel genere di Vuoto [assoluto], perchè anche la liberazione ha una perfezione di forma e colore e quindi, proprio come si dice che un vaso di yoghurt è vuoto perché non c'è yoghurt in esso, anche se uno percepisce che non è vuoto [in se stesso], così si dice che la liberazione è vuota, mentre non è [in realtà] Vuota. Come si può dire che è vuota se ha una forma (rûpa)? Il termine Vuoto, o 'Vacuità', è applicato alla Liberazione perché essa è priva dei vari aspetti di afflizioni emotive, le venticinque modalità convenzionali di esistenza, sofferenza, insegnamenti mondani, osservanze e domini percezionali derivanti, proprio come il vaso di yoghurt è ormai privo di yoghurt. Proprio come la forma del vaso stesso rimane immutabile, [con riguardo alla Liberazione] c'è assoluta beatitudine, gioia, permanenza, stabilità, eternalità, Dharma ultramondano, osservanze e domini percezionali. Come la forma del vaso, la Liberazione è permanente, stabile ed eterna, ma il vaso [alla fine] si romperà perché esso è stabilito soltanto attraverso circostanze causali. Poiché la Liberazione non è creata (akirta), non perirà. Ciò che è Liberazione è un elemento non-prodotto (dhâtu), e quello è il Tathâgata." 

È innegabilmente chiaro, dal passaggio di cui sopra, che il Buddha (che è il Buddha-dhatu/Nirvana/ Liberazione/fatto persona) è Vuoto solamente di ciò che è collegato al samsara - il reame del soffrire - ma non è Vuoto di tali qualità, come l’essere incrollabile (dhruva), immutabile (nitya), eterno, felice, e libero dal ciclo delle reincarnazioni e dalle cose create (akrta). la Liberazione (moksha) qui è mostrata come una Vacuità di ciò che è altro da se-stessa - ma non Vacuità della sua propria forma intrinseca, della sua propria natura intrinseca e delle sue proprie intrinseche virtù. 

Per alcuni Buddisti può essere uno shock leggere che il Nirvana/Buddha ha una "forma"; ma un tale shock è mal riposto, poiché il Buddismo Mahayana è inondato di passaggi scritturali i quali parlano del corpo (kaya) di Buddha presente sempre-e-dappertutto-(che include il suo jnana, la sua Conoscenza). non è il "corpo" in se stesso che deve essere eliminato nella ricerca del Nirvana – ma solo quel corpo deteriorabile costituito dai cinque impermanenti skandha mondani, la liberazione dai quali deve essere cercata. Ma ci sono altri skandha – quelli Buddhici, che non conoscono deperimento e né cessazione. Il Buddha così indica a Kaundinya, suo interlocutore, nell'asserzione seguente che viene verso la fine del Nirvana Sutra e che porta con sé un impatto particolarmente potente: 

     "Kaundinya, la forma [rupa] è sofferenza, ma attraverso l'eliminazione di questo rupa,

      uno raggiunge la Liberazione, il rupa della tranquilla beatitudine. 

      Similmente, anche vedana, samjna, samskara e vijnana sono così.  

      Kaundinya, rupa è Vacuità, ma tramite l'eliminazione di rupa Vacuità,

      uno raggiunge la Liberazione – la rupa non-Vacuità. 

      Similmente, anche vedana, samjna, samskara e vijnana sono così.

      Kaundinya, rupa è non-sé [anatman], ma attraverso l'eliminazione di questo rupa,

      uno raggiunge la Liberazione, il rupa del Vero Sé.

      Similmente, anchevedana, samjna, samskara e vijnana sono così." 

                                                                                                          (Dharmaksema). 

  

Qui bisogna notare che il Buddha (come altrove, nel Nirvana Sutra) è indicato possedere skandha che non sono vuoti - skandha pacificati e tranquilli che sono del Vero Sé (atman); e questo Vero Sé che non è vuoto, è realmente il Tathagata stesso. Qui, non è suggerito che questo è solo un "provvisorio" insegnamento o semplicemente un’abile tattica per fare di Kaundinya un "buon-Buddista": Kaundinya è già un monaco rispettato nel Sangha del Buddha e, infatti, il Buddha dopo questi commenti chiede brevemente a lui di radere i capelli di un nuovo arrivato nella Comunità (radere i capelli rappresenta l’eliminazione – cioè, lo "svuotarsi" - di tutte le oscurazioni). Kaundinya qui viene trattato non meno della dichiarazione finale di Dharma del Buddha, nella stessa vigilia della "morte" ultima. 

Se torniamo un pò indietro, nella prima parte del Sutra (sulle Quattro Verità), vi troviamo un altro passaggio vitale che indica che l’inqualificata e assoluta Vacuità non è il reame della Verità – neanche la sfera della cessazione della sofferenza. Per mostrare come questa idea sia infissa dall’inizio nella prima versione esistente del Sutra, io cito la traduzione di Faxian del testo. Il Buddha là afferma: 

 "Quanto alla Verità della Cessazione della Sofferenza: se uno coltiva la Vacuità, tutto sarà eliminato, ed uno distruggerà [nelle proprie percezioni] il Buddha-dhatu. Se la coltivazione della Vacuità uno la chiama la Verità della Cessazione, allora gli eterodossi, seppur con la loro [Vacuità] irrazionale, non raggiungeranno la Verità della Cessazione tramite la loro coltivazione della Vacuità? Bisogna sapere che ognuno ha il Tathagata-dhatu sempre continuamente presente; e quando uno sradica le catene, i klesha [tratti negativi] saranno eliminati per sempre ed il continuamente presente Tathagata-dhatu si manifesterà…. Inoltre, quando si coltiva il Tathagata-dhatu e lo si tratta come la Vacuità e il non-sé, si dovrebbe sapere che voi sarete come una falena che precipita in una fiamma. Ciò che io chiamo la Verità della Cessazione è il Tathagata-dhatu, la Realtà del Tathagata, l'eliminazione di tutti i klesha innumerevoli. Perché è così? Perché è il Tathagata-dhatu; quelli che sanno questo, conosceranno la Verità della Cessazione allo stesso livello con il Tathagata. Qualsiasi altra cosa diversa da questo non può essere chiamata la Cessazione." 

Questa è una testimonianza potente. Vedere in maniera meditativa il Tathagata-dhatu come il non-sé e la Vacuità, ci vien detto che trasforma effettivamente uno in un suicidio spirituale. L'indesiderabilità di un tale stato dev’essere fortemente sottolineata. Notiamo anche che il Tathagata-dhatu è collegato appositamente alla Realtà del Buddha e alla perdita di tutte le innumerevoli afflizioni. Quindi, lo stato Buddhico è indicato come Vuoto di sofferenza, ma non privo della sua propria Realtà inerente. 

Inoltre, se il Mahaparinirvana Sutra volesse che i suoi lettori/ascoltatori vedessero il Buddha-dhatu realmente come nient’altro che l’Originazione Dipendente (come Youru Wang pretende), il passaggio di cui sopra sarebbe un'opportunità ideale per il Buddha perchè insista sul fatto che uno deve vedere correttamente il Tathagatagarbha come Vacuità, poiché tutta l’Originazione Dipendente è senza un centro, senza una base, ed è priva di qualunque essenza eterna. Ma lui indica precisamente l'opposto: e cioè che il Buddha-dhatu non deve essere visto come marcato da quella Vacuità, che è il marchio di garanzia dell’Originazione Dipendente, per eccellenza. 

Tuttavia, da quanto detto sopra il lettore non dovrebbe presumere che il termine "Vacuità" non è mai applicato al Buddha-dhatu. A volte, lo è. Ma quando applicato al Buddha-dhatu, si riferisce alla libertà ultima, alla Vacuità della sofferenza (mondana), della percezionalità fisica e mentale, e dell’essenziale contaminazione dai fattori estranei e contaminati del samsara. Anche un altro importante sutra del Tathagatagarbha, lo Srimaladevisimhanada Sutra, differenzia due tipi di Vacuità riguardo al Tatha-gatagarbha: che potrebbero essere chiamati (usando la terminologia shentong/rantong) "Vacuità-di-altro" e "non-Vacuità-di-se-stesso". Nello Srimaladevi Sutra veniamo a sapere che il Tathagatagarbha è privo di ogni klesha, così come di tutta l'ignoranza intrappolante del samsara, ma che non è Vuoto di tutte le innumerevoli qualità positive collegate alla Liberazione. Noi leggiamo: 

     "… La conoscenza della Vacuità del Tathagata-garbha è di due tipi. Quali sono? 

      La prima è la conoscenza che l’embrione del Tathagata è Vuoto: 

      che è separato da tutte le contaminazioni e da ogni conoscenza 

      che non conduca alla Liberazione. Il secondo è la conoscenza 

      che il Tathagata-garbha non è Vuoto: perché contiene tutte le qualità

      inconcepibili [dharma], che sono più numerose delle sabbie del Gange, 

      e che incarnano la saggezza dei Buddha della Liberazione." 

(A Treasury of Mahayana Sutras, Pens- State University Press, University Park and London, 1983, ed. by Garma C. C. Chang, p. 378)

 

Questo testo non è ignoto a Youru Wang – infatti egli vi allude. Ma lui lo congeda, insieme all'Uttara-Tantra di Maitreya, come non appartenente alla "Via-di-Mezzo" e non pienamente comunicante una "natura strategica", e così lo condanna come non avente "la capacità di resistere alla reificazione". Ma come indicato all'inizio di quest’articolo, adottare tale posizione significa realmente asserire in anticipo che, probabilmente, il Tathagatagarbha non puo essere costruito in alcun senso, maniera o modalità, come qualcosa che abbia in sè una genuina, spiritualmente-tangibile, ontica Realtà. Perché le critiche di una propensione Madhyamaka debbono essere disinnescate o "rese sicure" (particolarmente per i seguaci del Prasangika-Madhyamaka) dichiarando che non è nulla di più che Originazione Dipendente e Vacuità. Ma i sutra Tathagatagarbha indicano altrimenti - e uno si esporrebbe ad una deplorevole devianza se dovesse semplicemente rifiutare quei testi del Tathagatagarbha che non si adattassero convenientemente ad un confortante, predeterminato modello di pensiero di ciò che il Buddismo è e sempre deve essere. Disgraziatamente, nonostante l'eloquenza della sua composizione, questo è un difetto da cui Youru Wang rimane colpevole.  

Il Tathagatagarbha è Vacuità. Questo è vero. È vacuità di sofferenza - di cambiamento, di mutazione, di difetti e di impermanenza, che sono associati con il samsara e che generano il dolore. Esso non è, invece, vuoto delle sempiterne qualità che costituiscono la durevole Conoscenza Liberatoria, felicità e  gioia. In altre parole, non è una Vacuità di ciò che rende liberato il cuore del Buddha eterno. 

 

Il Tathagatagarbha è un "Mero Upaya"? 

Nell'ultimo decennio è diventato assai più comune - ora che in Occidente è finalmente sorta una più generale consapevolezza dei sutra Tathagatagarbha, dopo secoli di negligenza/rifiuto - ammettere la loro imbarazzante esistenza (per certe parti) – di oscurare o ridurre il Tathagatagarbha stesso ad un e "mero strumento tattico" (upaya) o, come ammette Youru, "nient’altro che un provvisorio espediente" (mia enfasi). E’ precisamente con questo "nient’altro che", o "mero-upaya" che tratterà questa parte dell’articolo. In primo luogo, è necessario capire ciò che davvero significa il termine upaya. Molti, troppi Buddisti credono effettivamente che upaya sempre e necessariamente significhi un trucco, un artificio, una falsità, per imbrogliare le persone a fare qualcosa che è desiderato. Questo è impreciso. La parola deriva da una radice verbale che vuol dire portare una persona ad una mèta, far avanzare la persona. Quale che sia questa cosa, nel trattare con il Dharma, di sicuro non è nessun trucco o falsità. All'interno del contesto buddista, un upaya è un metodo per portare un essere (o gli esseri) più vicino, o direttamente, al Risveglio ed al Nirvana. Tali metodi possono, per esempio, includere il promulgare l’Ottuplice Nobile Sentiero; o l'insegnamento delle Quattro Nobili Verità; o il condividere il Dharma nei sentieri sravaka/pratyekabuddha/bodhisattva; o l'insegnamento della Vacuità. Queste non sono bugie. Sono metodi che culminano nella Verità. Insieme a ciò, vi è la ripetuta asserzione del Buddha che egli non dice falsità - lui parla solamente di Verità. In effetti, uno potrebbe dibattere che il mezzo "abile" o positivo (upaya-kausalya) è colmo di Verità, nato dalla Verità, è un’attivazione della Verità, è collegato ombelicalmente alla Verità, e precisamente per questa ragione può liberare così il destinatario nel cuore della Verità. Se non fosse immerso nella Verità, non potrebbe portare uno alla Verità. Quindi l’upaya non è alcun "mero" artificio, con nessuna realtà dietro di esso. È invece l'attività Buddhica nella sua più compassionevole e pratica Realtà. 

In un senso ultimo, l'intero Buddismo è chiaramente un upaya, per traghettare gli esseri attraverso le pericolose acque del samsara, fino a raggiungere l'ulteriore sicura sponda del Nirvana. Alla fine, come sottolinea ripetutamente il Buddha, il Dharma non può essere realmente compresso in parole né può essere compreso solo dalla ragione. Esso è l'Oltre - "l'Oltre di ogni fenomeno", come alcuni sutra prajnaparamita si compiacciono di chiamarlo. Ma poiché le parole non sono sufficientemente precise per catturare la piena e recondita natura della Realtà, questo non significa che ciò che quelle parole esprimono dovrebbe essere semplicemente congedato o oscurato come se intendesse un mero nulla. Esse in effetti incarnano ed indicano gli elementi-chiave della Realtà. Esse stesse non sono reali (nel senso di avere un eterno svabhava), ma esse indicano una Talità (tathata) che è durevolmente reale. E questo è il caso del Tathagatagarbha/Buddha-dhatu. Questi termini sono realmente un "upaya" - ma ciò non significa che il referente di quei termini sia non-esistente. Come l'Angulimaliya Sutra che così esorta il seguace buddista: "Non dite che il soggetto di questo Tathagatagarbha sutra [cioè, lo stesso Tathagatagarbha] è non-esistente". Il Tathagatagarbha è presente qui ed ora. Esisterebbe anche se il Buddha non ne avesse parlato o comunicato la sua visione di esso. È la cieca e mera follia, la contaminazione morale e l'ignoranza, che gli impediscono di essere visto - e che fa sì che venga negata la sua esistenza. 

Ritornando all’upaya: ora può essere utile osservare più in dettaglio come il termine upaya sia usato generalmente nel Buddismo Mahayana, e nel Buddismo Tathagatagarbha in particolare. Potremmo utilmente cominciare col Mahaparinirvana Sutra. In una delle molte parabole del sutra, il Buddha dice che un gruppo di persone sta giocando in uno stagno nella foresta e per sbaglio lasciano cadere un genuino gioiello di berillio nell'acqua. Tutti vorrebbero recuperare quel prezioso gioiello, mentre invece riportano su ogni sorta di indegne pietre, ciottoli e pezzi di ghiaia, nell’errata credenza di aver afferrato il genuino gioiello. Tuttavia, la vera gemma manda dei luccichii e con la sua iridescenza fa trasfigurare l'acqua. Un uomo tra la folla vede questo luccichio e, diversamente dagli altri, sa come arrivare al gioiello e prenderlo. Lui per fare così ha un "abile-mezzo". Il Buddha riferisce questo ai suoi monaci seguaci, entusiasti del "non-sé", che insistono nel pensare che non c'è nessun Sé e che tutto è privo di un Sé. Come la folla ingannata nello stagno, questi monaci hanno raccolto un illusorio "tesoro" e hanno creduto di essere in possesso della più alta di tutte le dottrine - il Dharma supremo. Ma essi hanno preso una dottrina provvisoria, condizionata, (un oggetto che assomiglia al gioiello) per  il Dharma ultimo, che è quello dell'Eterno Sé del Buddha. Ecco quello che il Buddha dice: 

"Allora, qualcuno in mezzo a loro è abile nei mezzi ed intelligente, ed è realmente in grado di trovare quella gemma.Allo stesso modo, monaci, voi vi siete incatenati a tali estremi, come 'tutto è dolore', 'tutto è senza un sé', 'tutto è impermanente', 'tutto è impuro', e voi coltivate ripetutamente quello. Tutto ciò è errato e senza valore, proprio come i ciottoli e la ghiaia nello stagno. Siate come colui che è abile nei mezzi! Io dichiaro che c’è Felicità, vero Sé, Eternità, e Purezza in tutto ciò che voi coltivate meditativamente di tutti quegli estremi in cui vi siete intrappolati - quei quattro [estremi] sono vere distorsioni conoscitive! Perciò, coltivate l'idea che il dharma-tattva [la vera natura della Realtà – cioe, la verità del Dharma] è eterno, come quella gemma". (Versione Tibetana) 

È chiaro che nella parabola, l'espressione "abile-mezzo" non si riferisce alla gemma radiante che è nell'acqua, non più che riferirsi al Sé che è detto ‘puro, felice ed eterno’. "Abile-mezzo" si riferisce invece alla conoscenza ed all'abilità che quell’uomo speciale che si trovava tra la folla (simbolico di un gran Bodhisattva) possiede per raggiungere la vera gemma o il vero Sé. In termini meditativo-pratici, quest’uomo non cade nell'estremismo e nichilismo dei monaci che erroneamente ritengono che tutto sia totalmente doloroso, impermanente, privo di un sè ed impuro. Quest’uomo saggio e capace, vede la Verità e sa come farla sua propria, per così dire. Egli ha i mezzi e l'intelligenza per sapere ciò che deve essere afferrato, e ciò che deve essere abbandonato. Perciò, in uno dei più importanti sutra Tathagatagarbha, abbiamo un'eccellente illustrazione di come l'Essenza Dharmica (o vero Sé) non è dismissivamente etichettato come un upaya e relegato al livello di una piccola tecnica, mendace ma utile per attirare la folla non sofisticata, piuttosto invece noi vediamo come il termine ‘upaya’ è riferito all'abilità e conoscenza di cui il praticante buddista ha bisogno per contattare ciò che è gloriosamente luminoso e Reale. In altre parole, l'upaya di questa parabola, è associato ai mezzi con cui l’oggetto reale della propria ricerca è raggiunto, e non all'oggetto stesso. Ciò è tipico dell'approccio all’upaya di tutti i sutraTathagatagarbha, ogni qualvolta il discorso irrompe attraverso una diretta visione del Buddha-dhatu avendo contatto con esso: il Dhatu è sempre reale e presente, ma i mezzi debbono essere concepiti in modo da provocare a sé ed agli altri di percepirlo e "contattarlo". Faremmo bene a tener presente questa vitale distinzione. 

Casualmente, uno degli esempi più famosi e giustamente celebri di upaya si trova nel Sutra del Loto - quello della casa che brucia (simbolo del pericoloso e arido mondo samsarico in cui sono intrappolati inconsapevolmente tutti gli esseri), da cui un padre (che rappresenta il Buddha) potrà liberare i suoi figli grazie ad un "mezzo-abile". Egli promette ai suoi figli tre diversi tipi di carrozza, adatti ai loro gusti, se soltanto essi smetteranno di giocare coi loro giocattoli (simboleggiante dell’immersione nelle sfere sensoriali mondane) e scapperanno subito dalla casa che brucia violentemente. Attirati da questa promessa di un regalo piacevole, i bambini scappano dall’incendio e sono salvi. Ma, in realtà, il padre non ha tre diverse carrozze per loro; lui ne ha soltanto una - ma questa è molto più grande, molto più esaltante e bella dei tre tipi che lui aveva promesso ai suoi figli. Il Buddha spiega che le tre carrozze rappresentano lo sravaka-yana, il pratyekabuddha-yana ed il Bodhisattva-yana. La totalità onni-inclusiva di essi costituisce il Buddha-yana, ed è questo Unico-yana (veicolo-Unico) che è vero realmente e del quale partecipano tutti e tre. 

Ciò che colpisce in questa parabola non è che il padre abbia detto una completa bugia ai suoi bambini – cioè, che lui non ha i regali che promette - ma che lui abbia in verità minimizzato i meriti della vera carrozza, semplicemente perché i bambini erano troppo immaturi per essere in grado di concepirne la sua vera natura. Quando essi la vedranno, lungi dall'essere delusi, "salteranno dalla gioia, con balli, canti e saranno totalmente felici e senza preoccupazioni" (Scripture of the Lotus Blossom of the Fine Dharma, tr. By Leon Hurvitz, Columbia University Press,, pp. 71-72). Questo è molto importante in collegamento con la dottrina del Tathagatagarbha. Nei vari sutra Tathagatagarbha, è dichiarato che il Tathagatagarbha realmente non può essere spiegato o compreso (dalla mente samsarica). Perciò il Buddha usa delle parabole e similitudini per dare un senso di quello che quel Buddha-dhatu (Principio di Buddha) è. Ma queste similitudini non possono fare piena giustizia al Dhatu – non più di quanto il padre della favola fosse in una posizione di far giustizia alla radianza e splendore della carrozza reale che lui presenta ai bambini. Comunque, le similitudini che sono utilizzate non sono dissimili dalla Verità. Però esse non possono completamente giungere al livello supremo della Verità. In termini della parabola: la carrozza è vera (e non è un'illusione o una bugia), - infatti è perfino più preziosa di quanto le parole del padre avevano suggerito. Ed è una carrozza. Non è una sorta di tesoro, un albero, o una moneta d’oro, o un pasto gustoso (cioè, qualcosa totalmente diverso da quello che era stato promesso). Essa in essenza è la stessa cosa che l’upaya aveva affermato che fosse, ma su un piano più grande. Ed anche con il Tathagatagarbha è così. Esso è reale, visibile e conoscibile - ma è assai più grande di quanto le nostre menti mondane e il limitato linguaggio possano rappresentare o concepire. Quindi, il referente della dottrina del Tathagatagarbha non è una "finzione" o "falsità", benché non può essere adeguatamente catturato dalle parole che cercano di esprimerlo. È la Realtà al livello più alto. 

Inoltre, il Sutra del Loto indica che gli upaya del Buddha includono perfino l'insegnamento delle Nobili Verità (e quale buddista oserebbe generalmente dire che quelle non sono vere?!). Noi leggiamo: 

     "Anche se i Buddha, gli Onorati-dal-Mondo, ricorrono ai mezzi abili [upaya], 

      Gli esseri viventi che loro convertono sono tutti dei bodhisattva. 

      Se ci sono persone di scarsa comprensione, totalmente assuefatti a concupiscenza e desideri, 

      Per il loro benessere, Io predico la Verità della Sofferenza, 

      E gli esseri si allietano nel cuore perché hanno ottenuto qualcosa che non avevano prima. 

      L’insegnamento del Buddha sulla Verità della Sofferenza è una realtà senza falsità… 

      Ed è proprio per il benessere di tutti questi esseri irretiti dalla sofferenza

      Che ricorrendo ad un'abile mezzo [upaya], Io insegno il Nobile Sentiero… " 

                                                                                   (Sutra del Loto, pp. 74-75). 

  

Le Nobili Verità, incluso il Sentiero stesso, qui sono tutti strettamente alleati con gli upaya – infatti sono pressocché definiti come upaya. Ciò significa forse che le Nobili Verità in effetti non sono affatto verità, ma falsità? Se si desse ascolto ai seguaci della teoria del "Tathagatagarbha come mero upaya", si potrebbe disegnare questa conclusione. Ma le Verità, perchè tutte sono presentate come upaya, non sono falsità – non più di quanto lo sia il Tathagatagarbha. A questo punto, un lettore scettico obietterà dicendo: "Tu stai mettendo un'enfasi troppo pesante su qualcosa che dal Buddha è menzionato solamente en passant". Per focalizzare questo punto e mostrare che il Sutra del Loto non associa la nozione di upaya con, per esempio, l'Ottuplice Nobile Sentiero da solo, faremmo bene a dare un’altra occhiata al "re" di tutti i sutra Tathagatagarbha, il Mahaparinirvana Sutra (nella versione di Dharmakshema). In questa scrittura, il Buddha asserisce,: 

"I saggi sono liberati dai cinque skandha grazie agli abili-mezzi [upaya]. 'Abile-mezzo' si riferisce all'Otuplice Nobile Sentiero, le sei perfezioni [paramita], ed i quattro Incommensurabili [apramana]". 

Simili fenomeni, come paramita ed apramana, non sono trucchi, o falsità, o finzioni, che vengono abbandonati semplicemente quando è raggiunto lo Stato di Buddha. Essi costituiscono ciò che è più importante del naturale e spontaneo cuore della Buddhità. Infatti, il Nirvana Sutra insegna (Vol. 10, p., 33) che gli ‘apramana’ della Grande Bontà e Grande Compassione sono inerenti al Buddha-dhatu stesso del Buddha. Essi sono un elemento integrante di quello che un Buddha è. Il nostro lettore scettico potrebbe sollevare ulteriori difficoltà dichiarando che "una rondine non fa primavera", e che noi non abbiamo ancora mostrato in modo conclusivo che l’upaya non sempre significa un "trucco" o un "artificio falso seppure utile". In risposta a questo, noi dovremmo citare dal Maharatnakuta Sutra (precisamente "Upaya-Paramita") che ci offre con un valido set di esempi quello che si intende dalla applicazione del termine upaya da parte del Buddha. Come si vedrà dagli esempi che seguono, la parola ‘upaya’ può intendere semplicemente un'azione o attitudine che è riconducibile a tutto ciò che è dharmicamente salubre e, alla fine, al Risveglio (per se-stesso e gli altri), senza che questo in alcun modo implichi falsità o inganno: 

"Buon uomo, un Bodhisattva che pratica l'ingegnosità [upaya], può usare anche una manciata di cibo come offerta per tutti gli esseri senzienti. Perché? Quando un Bodhisattva che pratica l'ingegnosità [upaya] dà una manciata di cibo ad un solo essere senziente, o anche ad un animale, egli lo fa con un'aspirazione per la saggezza onnisciente, e fa il voto di condividere il merito di questa offerta con tutti gli esseri senzienti, dedicandola al conseguimento [universale] della suprema illuminazione. A causa di questi due - la sua ricerca della saggezza onnisciente ed il suo voto abile - lui attrae gli esseri senzienti nel suo seguito. Buon uomo, questa è l'ingegnosità [upaya] praticata da un Bodhisattva-Mahasattva…. 

"Inoltre, buon uomo, quando un Bodhisattva-Mahasattva che pratica l'ingegnosità [upaya] rende ossequio ad un Buddha, lo rispetta, gli fa offerte, lo onora, o lo loda, il Bodhisattva-Mahasattva penserà: 'Tutti i Tathagata condividono lo stesso dharmadhatu e corpo-di-Dharma; essi condividono la stessa disciplina, meditazione, saggezza, liberazione, e la conoscenza e consapevolezza derivate dalla liberazione'. Con questo in mente, lui saprà che rendendo ossequio a un Buddha, rispettandolo, facendogli offerte, onorandolo, o lodandolo, significa fare così ad ogni Buddha. Per questa ragione, egli può fare offerte così a tutti i Buddha nei mondi delle dieci direzioni. Questa è l'ingegnosità [upaya] praticata da un Bodhisattva-Mahasattva". (Chang, op. cit., pp. 428-429). 

Da quanto sopra, è evidente che un upaya può semplicemente denotare un atto di estremo beneficio per corpo o mente che fà avanzare una persona verso il bodhi (Risveglio) e quindi porta un profitto spirituale a se-stesso e ad altri. Esso non necessariamente implica inganno, mancanza di realtà o una specie di falsità. Piuttosto, è un atto mentale o fisico (o posizione interna) che ha il potere di aiutare un essere senziente a raggiungere lla mèta de Risveglio Buddhico. Perciò, se il Mahaparinirvana Sutra dice (come Youru Wang cita), "Poiché è bene che un upaya sia provvisorio, è detto che negli esseri senzienti può essere visto il Buddha-dhatu", questo non significa che il Buddha-dhatu non esiste; significa che mentre gli esseri sono ancora intrappolati nel loro stato provvisorio di ignoranza, esso serve come un prezioso espediente per indicare loro che il Buddha-dhatu risiede realmente all'interno dei loro corpi. È questa abile indicazione dell'esistenza del Buddha-dhatu - il temporaneo verbalizzare di questa immanenza del Dhatu, prima della sua percezione diretta - che è l’espediente, non il Dhatu stesso. Questo è chiarito nella parabola della donna povera del Nirvana Sutra (nel capitolo principale sul Tathagatagarbha) che senza saperlo ha un tesoro nascosto sotto la sua casa, ma che richiede i "metodi abili" del Buddha prima di poterlo dissotterrare e vederlo. Il tesoro non è il "metodo". Sapere come provocare una consapevolezza della sua presenza è il vero metodo abile - il metodo di cui il Buddha ha completa conoscenza. Quindi, la succitata asserzione dal sutra (che Youru probabilmente sperava ribadisse il suo argomento) in nessun modo significa che il focus dell'upaya (cioè, il Buddha-dhatu) è irreale; significa semplicemente che finché l'essere non può vedere direttamente la realtà del Buddha-dhatu in se-stesso, è costretto ad aver impartita l’istruzione verbalizzata sulla sua immanente presenza e realtà. La veritiera natura del Buddha-dhatu non è in nessun modo chiamata in causa da simili asserzioni. Quindi, non c'è giustificazione quale che sia per rifiutare la realtà del Buddha-dhatu semplicemente perché la verbalizzazione della sua presenza è indicata in possesso del grande potere dell’upaya. Questo significa non capire la profondamente compassionevole, vera e liberatoria natura del verbalizzato Upaya-Dharma - e in realtà il Buddha - completamente. 

   

Due Passaggi dal Nirvana Sutra  di solito malinterpretati

Come altri commentatori prima di lui, Youru Wang cita parte di un particolare passaggio dal Maha-parinirvana Sutra per promulgare la tesi che il Buddha-dhatu non è "nient’altro che un espediente provvisorio" e, alla fine, per tornare sulla sua contesa che il Sé non è reale – ma è solo un trucco verbale impiegato dal Buddha per attirare coloro che "hanno una profonda attrazione per il senso di sé e si preoccupano della perdita del sé". Come notato in precedenza, questa comune distorsione degli insegnamenti del Nirvana Sutra sul Sé è rivelato come un intenzionale travisamento del significato del Buddha, quando ricordiamo che all’inizio del Mahaparinirvana Sutra (nel capitolo sul "Dolore"), il Buddha rimprovera e rampogna specificamente un gruppo dei suoi monaci che sono inveterati aderenti dell'impermanenza e dell’approccio "non-Sé" al Dharma. Il Buddha dice loro che il loro approccio è "senza-valore" e li incoraggia a vedere l'Eterno Sé in ciò che è in realtà Eterno e Vero Sé. Quindi, ogni pretesa globale che il Mahaparinirvana Sutra faccia meramente uso del ‘Sé’ come linguaggio positivo per attirare quelli che "hanno un'attrazione profonda al senso di sé e sono quindi preoccupati della perdita del sè", è chiaramente indifendibile. 

Allora, qual’è questo particolare passaggio che Youru, ed altri con la sua stessa concezione ideologica, citano per negare la realtà del Sé e in realtà per denigrarlo come un "mero upaya?" Ecco l'estratto che ne dà Youru Wang: 

"La Buddha-natura, in effetti, non è il Sé. Nell'interesse di [guidare] gli esseri senzienti, io la descrivo come il Sé". 

In ogni caso, c’è qualcosa di più cruciale che il Buddha enuncia qui – eppure, per una qualche ragione sconcertante, i commentatori scelgono di omettere le successive parole comprovanti che il Buddha non sta in nessun modo negando la realtà del Sé. Ecco tutto l’intero passaggio (qui come altrove, io con gratitudine uso la traduzione di Stephen Hodge, che si basa sia sul Cinese che sul Tibetano): 

"Nobile Figlio, in una certa occasione, io mi trovavo presso il Fiume Nairanjana. Io dissi ad Ananda, 'Io mi bagnerò, quindi tu mi porterai il mio accappatoio e la polvere detergente'. Poi, quando io mi ero immerso nell'acqua, tutte le creature che volano nell'aria e nuotano nell'acqua vennero e mi osservarono. In quell'occasione, c’erano anche cinquecento [asceti] vagabondi che in mia presenza si misero in riva al fiume. Ognuno di essi si disse l'un l'altro, 'Come potremo ottenere un vajra-kaya [il corpo-di-diamante]? Se Gautama non ci espone una dottrina nichilistica, noi accetteremo istruzioni e precetti da lui'. 

"Nobile Figlio, ben sapendo i loro pensieri con la Conoscenza che conosce le menti degli altri, io dissi loro, 'Perché pensate che io espongo una dottrina nichilistica?' 

"Gli asceti risposero, 'Gautama, Tu hai spiegato in tutti i sutra che gli esseri sono privi di un ‘sé’. Se quindi hai spiegato che non c'è nessun ‘sé’, allora essa come può non essere una dottrina nichilistica? Se non c'è nessun ‘sé’, allora chi è che mantiene il codice morale e chi è che l'infrange?' 

"Il Bhagavat [Buddha] rispose, 'io non ho insegnato che tutti gli esseri sono privi di un ‘sé’. Dato che io ho sempre insegnato che tutti gli esseri hanno il Buddha-dhatu, quello stesso Buddha-dhatu non è forse il Sé? Per questa ragione, io non espongo una dottrina nichilistica'. 

"Poi, avendomi sentito spiegare che il Buddha-dhatu è il Sé, tutti gli asceti generarono l'aspirazione al supremo e perfetto Risveglio; essi immediatamente andarono avanti nella vita spirituale ed essi tutti si applicarono assiduamente al Sentiero del Bodhi. Inoltre, anche tutte le creature che si muovono nell'aria, nell'acqua e sulla terra generarono l'aspirazione al supremo Risveglio (bodhi). Così, avendo generato quell'aspirazione, immediatamente abbandonarono i loro corpi. Nobile Figlio, in effetti, il Buddha-dhatu non è il ‘sé’, ma io lo spiego come il ‘sé’ nell'interesse degli esseri. Nobile Figlio, a causa delle varie cause e condizioni, il Tathagata ha in realtà insegnato che ciò che è privo di un sé è lo stesso ‘sé’, ma esso è realmente privo di un ‘sé’. Anche se io ho così spiegato la questione, non c'è falsità in questo. Nobile Figlio, a causa delle varie cause e condizioni, io ho insegnato anche che ciò che è il Sé, è privo di un ‘sé’, perchè sebbene vi sia realmente un Sé, io ho pure insegnato che non c'è alcun ‘sé’, eppure non c'è falsità in questo. Il Buddha-dhatu è privo di un ‘sé’. Quando il Tathagata insegna che non c'è alcun ‘sé’, ciò è a causa della impermanenza. Il Tathagata è il vero Sé, ed il suo insegnamento che non c'è nessun ‘sé’, è perché egli ha raggiunto la sovrana padronanza di tutto". (Yamamoto/Page, Vol. 8, pp. 27-28). 

Il punto chiave da notare, da quanto-sopra, è che il Buddha certamente non nega la realtà del Sé – in realtà, lui l'afferma: "c'è realmente il Sé", lui dice. Egli stesso è quel Sé, come rivela nel capitolo del Nirvana Sutra chiamato "il Dolore",(proprio qui egli dichiara, "Il 'Sé' significa il Buddha, e l’'Eterno' significa il Dharmakaya"). Quindi, questo passaggio non dovrebbe mai essere usato per dichiarare che nel Mahaparinirvana Sutra il Buddha alla fine "precisa" ed ammette che il suo discorso sul ‘Sé’ era solo un artificio per attirare colui che è spiritualmente carente, e che lui adesso ritorna al suo "vero" insegnamento che non c'è affatto nessun Sé. In nessun luogo, nel Nirvana Sutra, il Buddha nega che lui, il Tathagata, sia l'Atman. Totalmente l’opposto. Egli insiste ripetutamente che lui - diversamente dalle condizioni e cose mondane - è quel vero Sé

Ma proviamo a guardare il passaggio nell'insieme più in dettaglio. In primo luogo, notiamo l’implicita e attrativa forza e magnetismo del Vero Sé: tutti gli uccelli e gli animali, così come gli asceti, sono irresistibilmente attratti da quel Sé che è il Buddha. Il Buddha si sta bagnando nel Fiume Nairanjana, e tutti gli uccelli, anatre, e le altre creature arrivano verso di lui come se fossero involontariamente attratte per osservare la sua persona. L'ubicazione è in se stessa significativa, poiché il Nairanjana è precisamente il fiume nel quale Siddhartha si bagnò e che sedette accanto ad esso, sotto l'Albero del Bodhi, nel giorno in cui penetrò nel reame recondito della Realtà, e divenne il "Buddha". Attraverso quest'associazione, il lettore del sutra è reso consapevole che le dichiarazioni del Buddha in questo luogo avranno una forza speciale. Quindi se il Buddha ora afferma il Sé – come egli fa - questo non dovrà esser preso alla leggera come un "mero upaya", come nient’altro che un "abile-mezzo" per accontentare i desideri dei timorosi e dei paurosi. L'esistenza del Sé è un fatto solido, una verità incontrovertibile, enunciata presso lo stesso fiume che testimoniò il passaggio di Siddhartha verso il Risveglio. Inoltre, gli animali non sono mostrati come mere e irragionevoli bestie che si sono fissate a preservare a tutti i costi il loro proprio ego fisicalizzato: essi sono quindi liberati da un simile fatto, da aspirare al Bodhi, e così essi immediatamente abbandonano i loro corpi da animali (in essenza, essi "muoiono" a quella particolare modalità di essere) e presumibilmente risorgono in uno stato più alto che può contribuire di più alla pratica del Dharma. Questo abbandono dei loro corpi animali non è l'atto di esseri che sono attaccati ad un senso di "ego-identità"; piuttosto, è l'atto di creature che sono sinceramente aperte al profondo Dharma e sufficientemente flessibili da saper "uccidere il loro ego incarnato - le loro identità animali - e fare un enorme salto spirituale in avanti. Questo certamente ripaga l'idea che il Buddha insegni solamente il "Sé" a quegli esseri piuttosto inadeguati che "hanno un'attrazione profonda al senso di sé e si preoccupano della perdita del loro sé." Non c'è alcun segno di questa cosa, qui.    

E poi, di quale tipo di ‘sé’ gli asceti parlano, in questo passaggio? Essi solo concepiscono e sono interessati al Sé, come un "colui che fa" - come un attivo agente, che sostiene o rompe i codici della moralità buddista. Ma in nessun luogo nel Mahaparinirvana Sutra, il Buddha dice che il Buddha-dhatu o il Sé è realmente un ‘agente’ o un "colui che fa". Ecco perché lui nega che il Buddha-dhatu è un ‘sé’ (nel senso mondano). Né il Sé e né il Buddha-dhatu "fa" assolutamente qualcosa. Ciò appartiene al reame del Samsara. È evidente che il sé di cui si parla in questo episodio è duplice: il termine qui si riferisce - dipendendo dalle cause e condizioni del suo uso - o all’impermanente ego mondano, - il ‘sé’ degli "skandha" che temporaneamente agisce, sostiene o rompe le regole morali (sila) - o, in alternativa, al vero Sé che è il Buddha autonomo e libero da ogni karma. Così il Buddha-dhatu non è quel ‘sé’ impermanente, il "colui-che-fa", o l’ego agente, dichiarato dagli asceti-vagabondi. In questo senso, il Dhatu non è davvero il ‘sé’ / e né l'ego". Né tale ego o ‘sé’ è il Buddha. Ecco perché egli dice che lui (il vero, eterno Sé) insegna l'impermanente non-sé - perché lui ora ha raggiunto il dominio / sovranità (aishvarya) che caratterizza il Vero Sé, ma che è marcatamente assente nel mondano ed effimero sé, l'ego fittizio. E la ragione per cui gli asceti e gli animali sono capaci di fare un progresso spirituale così sorprendente è perché loro, in fede, stanno arrivando faccia a faccia con il Sé - il vero Sé, il Buddha – e sono attrati dal vajra-kaya (corpo di diamante, cercato dagli asceti) che è ciò che il Sé costituisce. Il Buddha, possessore del vajra-kaya, non è un'inesistenza, non è una non-entità. Egli è il Sé. Ma lui e il Buddha-dhatu, similmente sono non-ego. Perciò, il Buddha dice che lui non ha insegnato che gli esseri sono privi del Sé. Egli non ha insegnato una dottrina nichilistica o distruttiva. Ecco perché gli animali e gli asceti-vagabondi, sono attratti verso di lui ed entrano su un Sentiero di Liberazione, cominciato da questo incontro di fede col Buddha-vero-Sé, che è quello che conduce alla loro trasformazione.  

Il secondo passaggio, sulla natura del Buddha-dhatu, è citato dal Dott. Wang per mostrare che il ‘Sé’ ed il ‘non-Sé’ sono "ugualmente parziali" (o, ugualmente incompleti, ugualmente inadeguati) e non equilibrati in termini della Via di Mezzo (che, secondo Youru Wang allude all’Originazione Dipendente e alla Vacuità). Ma in realtà, cos’è che dice il Buddha? Vediamolo. Il Buddha spiega cos’è il Buddha-dhatu nelle seguenti parole:  

     "Tu hai chiesto che cosa è il Buddha-dhatu; quindi, ascolta con sincerità,

      Ascolta con sincerità. Io lo analizzerò e lo spiegherò per il tuo bene.

      O Nobile Figlio, il Buddha-dhatu è chiamato 'Vacuità Ultima'[paramartha-sunyata],    

      E la Vacuità Ultima è chiamata 'Consapevolezza/Conoscenza' [jnana].

      La così-detta 'Vacuità' non è vista come Vacuità né come non-Vacuità.

      I saggi percepiscono la Vacuità e la non-Vacuità, l'eterno [nitya] e l'impermanente,

      La sofferenza e la beatitudine, il Sé ed il non-Sé.

      La vacuità è la totalità del samsara e la non-Vacuità è il Grande Nirvana…

      E così, il non-sé è Samsara, e il vero-Sé è il Grande Nirvana. 

      Percepire la Vacuità di tutto e non percepire la non-Vacuità,

      E’ chiamata la Via di Mezzo… percepire il non-sé di tutto,

      E non percepire il Sé, non è chiamata la Via di Mezzo. 

      La Via di Mezzo è chiamata 'il Buddha-dhatu. Per questa ragione,

      Il Buddha-dhatu è eterno ed immutabile. Siccome tutti gli esseri

      Sono avvolti nell’ignoranza, essi non sono capaci di percepirlo.

      Gli Sravaka e i Pratyekabuddha percepiscono la Vacuità di tutto,

      Ma non percepiscono la non-Vacuità… essi percepiscono l'assenza del Sé

      In tutte le cose, ma non percepisco il Sé in se-stesso.

      Per questa ragione, loro non raggiungono la Vacuità Ultima.

      E poiché loro non raggiungono la Suprema Vacuità,

      Essi non stanno attaversando la Via di Mezzo (il Sentiero Mediano)".

  

Qui non c'è una sola parola che dica che l’Originazione Dipendente sia sulla stessa base del Sé o con la visione del Sé. Né vi è tracciata alcuna equivalenza fra il non-sé ed il Sé, o per lo stesso motivo, tra la Vacuità e la non-Vacuità. Questi sono distinti fenomeni che dimorano all'interno di categorie diverse - una samsarica, l'altra nirvanica. La Vacuità è tutto ciò che è passeggero, effimero, mondano; mentre la non-Vacuità è la mèta delle dottrine del Mahaparinirvana Sutra: il sempiterno Grande Nirvana. Il Sé ovviamente qui è posto come ‘reale’ (come veniamo a sapere dal Mahaparinirvana Sutra, il Sé non è nient’altro che il Buddha), così come lo è il Buddha-dhatu - e solo alcune righe più avanti il Buddha dice, "il Buddha-dhatu è l’Eterno, è Beatitudine, è il Sé, ed è il Puro" (Yamamoto/Page, Vol. 8, p. 23) - e il non-vedere il Buddha-dhatu significa non percorrere il Sentiero Mediano del Dharma. È importante notare che il Buddha non dichiara mai (come alcuni commentatori si augurerebbero) che il fissarsi sul Sé sia ugualmente un male come il fissarsi sul non-sé, o che il fissarsi sulla non-Vacuità sia erroneo ugualmente come il fissarsi sulla Vacuità. Ma coloro che sono 'ancora-ignoranti' vedono tutte le cose come Vacuità e non-sé. Ma in nessun luogo è affermato che sia l'ignorante a percepire il Sé e la non-Vacuità. Né il passaggio è centralmente interessato (come Youru Wang implicitamente indica) ad una corretta terminologia, ad un appropriato linguaggio da usare. Qui non è questo il punto in questione. Piuttosto, questo discorso del Buddha è interessato con il vedere, con la piena, rotonda ed equilibrata visione Buddhica. Vale a dire, vedere dal vantaggioso punto della Buddha-sfera il Buddha-dhatu, o il Sé-Buddha, e riconoscere ciò che è transitorio e ciò che non lo è. E la natura di una tale Conoscenza onni-pervadente (jnana) è chiamata 'Vacuità Ultima'. Così, la 'Vacuità Ultima' non è una assenza, o un'inesistenza o l’Originazione Dipendente. È una totale Consapevolezza che include il samsara (cioè, l’Originazione Dipendente) ma va oltre di essa e non è confinata all’interno di essa. È Conoscenza suprema e perfetta - la Conoscenza di un perfetto Buddha. È visione diretta, immediata, discriminante di ciò che è transitorio e ciò che è eterno. Come il Buddha dice solo alcune righe più avanti: 

     "Il Sentiero Mediano [Via di Mezzo] è paramartha-sunyata ['Vacuità Ultima'].

       Esso vede il non-eterno [anitya] come non-eterno e l'Eterno [nitya] come Eterno."

                                                                                         (Yamamoto/Page, Vol. 8, p. 23). 

  

Dunque, faremmo bene non confondere i due - tuttavia molti commentatori tenterebbero di adescarci proprio facendo così. Il Dharma autentico interpone una necessaria distinzione tra ciò che permane e ciò che non permane. Il mondo del cambiamento è Vacuità e non permane. Il Sé è pieno di virtù, e dimora in eterno. Senza questa distinzione, il vigore metafisico e soteriologico del Buddismo avrebbe la sua base ‘tattvica’ fortemente traballante, e arriverebbe a rompersi in pericolosi pezzi e cocci che si incaglierebbero sotto al laicista secolarizzato. 

  

L’Autentico Tathagatagarbha Dharma

Nel Buddismo Tathagatagarbha è consuetudine enfatizzare quello che è chiamato "Dharma-autentico" o "vero Dharma" (saddharma). Ed è con questo Vero-Dharma che concluderemo quest’articolo. 

  

Il "Dharma autentico", come il Buddha-dhatu ed il Sé-Buddha, in finale, è Mistero. Quel Dharma (nel senso di Legge che sostiene tutti gli esseri) è oltre tutti i paragoni mondani. Può essere solamente avvicinato tramite il linguaggio e suggerito attraverso parabole e similitudini. Ma in modo enfatico non è semplicemente e meramente identico al sempre-mutevole ‘samsara’, o all’Originazione Dipendente che crea il disagio e la sofferenza del samsara. Una tale pretesa è l'epitome del nonsenso e dell’eresia finale, dal punto di vista del Buddismo Tathagatagarbha. Invece, il Buddha-dhatu è una Realtà che è finalizzata e portata all'interno delle modalità della nostra percezione con l'uso di abili-mezzi e efficaci stratagemmi. Quindi, è l’indicazione del metodo alla piena visione del Buddha-dhatu che è l’ "upaya" - non il Buddha-dhatu stesso. Una attenta lettura del centrale sutra Tathagatagarbha confermerà che il Dhatu stesso non è affatto uno "strumento" - ma che i vari strumenti e metodi sono impiegati per portarci ad una perfetta visione di esso, malgrado il nostro essere un’umanità cieca ed errante.

Ora, seguirà una selezione di dichiarazioni affermative sulla realtà del Tathagatagarbha/Buddha-dhatu tratta dagli stessi sutra Tathagatagarbha che, oltre ogni ragionevole dubbio, mostrerà (eccetto forse per quelle persone con una propensione per i sofismi e le distorzioni), che io penso che veramente esiste (in un modo ultimamente ultra-samsarico) un Principio Buddhico immanente e trascendentale all'interno di tutti gli esseri e creature, che niente può distruggere e che nessuno dovrebbe negare, senza le gravi conseguenze che si accompagnano a tale rifiuto. Noi cominceremo col Mahaparinirvana Sutra stesso. Qui leggiamo che le parole del Buddha dicono che, come la panna che è presente sempre all'interno di tutte le forme e modificazioni del latte, ma non la si può vedere fin quando non è stata purificata dei suoi elementi che la nascondono, similmente il Tathagatagarbha è: 

"Panna che nasce dalla mucca e non sorge da qualcos’altro, ed esiste davvero inerentemente in tutti [i casi] (prakrti), malgrado non sia apparente perché è oscurata da difetti e sussiste mutualmente mescolata con [il latte].… come io ho appena insegnato, il tathâgata-garbha ha davvero una natura intrinseca come la panna, ma sembra qualcos’altro a causa dei difetti associati coi klesha". (Versione Tibetana).  

Il Buddha chiaramente qui insegna che il Tathagatagarbha è la natura inerente dell'essere, il suo svabhava o prakrti - non soltanto un intelligente piccolo trucco verbale "pour encourager les autres" (quei sfortunati seguaci incapaci o non disposti ad affrontare la rigida verità del Madhyamaka di nessuna permanenza e nessuna costante realtà centrale a qualsiasi cosa, ovunque e quantunque). Il Tathagatagarbha è sempre presente, non importa quante mutazioni o incarnazioni possano tutti gli esseri attraversare durante il loro soggiorno nel samsara. Ma il Garbha colpisce la percezione umana non-risvegliata come se non fosse l'Essenza, poiché la visione di quella Essenza si è annuvolata oscurando e distorcendo i fattori morali contaminanti - chiamati i ‘klesha’. 

In un capitolo sui fondamentali dicta del Buddismo Tathagatagarbha, chiamato "Le Lettere", il Mahaparinirvana Sutra ripete il punto prima annunciato dal Buddha (incontrato più avanti in questo articolo) che negare o rifiutare il Tathagatagarbha è uguale a commettere un suicidio spirituale. Ora il Buddha pronuncia questo in modo inequivocabile (esattamente nel capitolo su "Le Lettere"): 

""Û significa [quest’essere del Mahaparinirvana Sutra] come la mammella di una mucca (ûdas). Per esempio, proprio come il latte di mucca è delizioso, anche il gusto di questo sûtra è simile a quello.  Quelli che abbandonano l'insegnamento dato in questo sûtra riguardo al tathâgata-garbha, sono proprio come dei bovini. Per esempio, così come le persone che intendono commettere suicidio, esse provocheranno estremo disagio, similmente anche voi dovreste sapere che quelle persone ingrate che rifiutano il tathâgata-garbha  per l’insegnamento del non-Sé, causano a se-stesse disagio estremo." 

Lungi dall'usare il Tathagatagarbha come una mera gruccia, o una sorta di concessione, per coloro che sono spiritualmente ritardati o deficienti, il Buddha qui chiaramente spiega che l'accettazione della realtà del Tathagatagarbha è comparabile al bere il latte di una madre, che dona e sostiene la vita. Rifiutare un nutrimento così vitale significa mostrare ingratitudine al Buddha e, inoltre, dimostrare dei sicuri segni di ottusità spirituale (ecco quiindi l'immagine dei bovini). E, cosa molto più importante, l'insegnamento del non-Sé senza promulgare la rivelazione del Tathagatagarbha che lo controbilancia, è un atto che genererà la più severa sofferenza. L’intera ‘raison d'etre’ del Buddismo è di eliminare la sofferenza - così l’asserzione, come il Buddha fa qui, che è l’inqualificata dottrina del non-Sé (e non il Tathagatagarbha) che genererà tale sofferenza deve essere preso davvero molto seriamente. 

Una delle principali preoccupazioni del Mahaparinirvana Sutra è colpire l’equilibrio tra l’incoraggiare la visione del non-Sé ( i mutevoli skandha, che costituiscono ciò che il Buddha chiama "il sé mondano") e l'eterno, beato Sé del Buddha (dentro il cui Dhatu interiore l’avanzato praticante buddista è istruito per "entrare"). Il Buddha chiaramente rivela come gli esseri ignoranti fraintendono la vera natura del Sé, ed anche come gettano via il neonato ("l’embrione-Tathagata"!) insieme con l’acqua del bagnetto, quando essi illusoriamente credono che, poiché il sé mondano, personalizzato, è una finzione, non ci può essere affatto nessun vero Sé. Egli dichiara: 

     "… quando un Bodhisattva-Mahasattva appare nel mondo ed espone il Vero Sé agli esseri,

quelli che sono ignoranti di esso sentono che tutti gli esseri hanno il Buddha-dhatu ma,

poiché non conoscono la loro vera [natura], essi parlano di esso con idee ingannate, 

[dicendo], 'Il Sé è come una piccola fiammella localizzata all’interno del cuore." …

[Altrimenti] essi considerano se mai loro hanno un sé personale, e così allora essi

si mettono a cercare la natura del loro sé personale ma, non trovando il Vero Sè,

arrivano alla teoria che non c’è nessun Sé. E così poi, tutte le persone nel mondo

hanno continuamente idee ingannate, considerando se loro hanno un sé personale

         oppure avendo l'idea che non c'è nessun Sé. Così, Nobile Figlio, ecco perché io insegno 

         che il Tathagata-garba-dhatu è la Realtà suprema."         (Versione di Faxian). 

 

L'ignorante tenta di misurare e di dare una qualche dimensione al Sé. Ma esso è una Realtà che è oltre ogni calcolo, bloccaggio locazionale e misurazione. Come il Buddha asserisce nel Nirvana Sutra: "Il Tathagatagarbha non può essere quantificato" (versione Tibetana). Nel passaggio possiamo notare che una nozione simile della inafferrabile natura del Sé è espressa nell'Avatamsaka Sutra (Elogi nel Palazzo di Tushita, versione di Buddhabhadra), dove noi leggiamo: 

        "Così come il Sé non è un oggetto [*vishaya

         e non può essere compreso dal pensiero, 

         similmente il Dharmakâya del Buddha 

         non può essere misurato da nessuna cosa." 

I commentatori che fraintendono completamente tali asserzioni ed insistono nell’interpretarli in una maniera nichilistica, esclamano che poiché il Sé, o il Tathagatagarbha, non può essere fisicamente o mentalmente misurato e non si può afferrare, non esiste. Questa è la grandezza dell'assurdità ed un fraintendimento pernicioso. In questi sutra Tathagatagarbha, proprio il caso opposto è mostrato dal Buddha: ‘Solo il Buddha-dhatu del Buddha ha la Realtà permanente, ma così è liberato dai confini della fisicità e afferrabilità samsarica, ed è così totalmente ultra-mondano (benchè ha una costante presenza all'interno di ogni essere), tanto che (secondo il Nirvana Sutra) la mente piccola come un "insetto" di coloro che non sono risvegliati non può possibilmente afferrarlo o presumerlo. 

Youru Wang, come molti denigratori della realtà ‘ontica’ del Sé, cita e male interpreta il Lankavatara Sutra, nel tentativo di provare il suo punto di vista. Ma di nuovo, come molti altri critici così-disposti, lui puntualmente sbaglia, citando asserzioni affermative all'interno di quello stesso sutra, che riprende infatti da uno dei più antichi segmenti dell’intera scrittura, il "Sagathakam". Qui, noi veniamo a sapere che il Tathagatagarbha ed il puro Sé sono uno e lo stesso, e sono ‘reali’, oltre ogni speculazione: 

  

     "Il Sé [atman] caratterizzato da purezza è lo stato di 

      Auto-realizzazione; questo è il Tathagatagarbha che non  

      appartiene al reame dei teorizzatori… [746] 

  

     "Come quando un indumento è ripulito della sua sporcizia,

       o quando all’oro sono rimosse le sue impurità, non sono distrutti

       ma restano come sono; così è il Sé liberato dalle sue contaminazioni…  [756] 

  

     "Quelli che sostengono la teoria del non-Sé sono ingiuriatori

      della Dottrina Buddista, essi sono persi nelle visioni dualistiche

      di un essere e non-essere [samsarico]; essi saranno rigettatii

      dalle riunioni dei Bhikshu e non saranno mai convocati.   

 

     "La dottrina di un'ego-anima risplende brillante come il fuoco

      che nasce dalla fine del mondo, e che prosciuga via le colpe

      dei filosofi, bruciando sulla foresta delal teoria del non-Sé. 

  

     "Melasse, canna da zucchero, zucchero, e miele; latte acido,  

      olio di sesamo, e burro chiaro (ghì) - ognuno ha il suo proprio gusto;

      ma uno che non li ha assaggiati, non saprà quello che è. 

  

     "Tentando di cercare in cinque modi un'ego-anima all’interno 

      dell’aggregazione degli skandha, chi non è intelligente non riesce    

      a vederlo; ma il saggio, proprio vedendolo, è liberato." [765-768]. 

  

Ci si chiede, perché questi potenti passaggi dal famoso Lankavatara Sutra non sono mai citati…? Lo Srimaladevisimhanada Sutra asserisce similmente la profonda Realtà del Tathagatagarbha, e in modo specifico, identifica le sue dottrine come finali e definitive (nitartha) -  e quindi, non solo provvisorie, non semplicemente un "mezzo" utile ma falso. Autorizzata dal Buddha, la grande Regina Srimala dice che il Tathagatagarbha "… è la sfera di esperienza dei Tathagata; non è la sfera di esperienza degli Shravaka e Pratyekabuddha". (Shrimaladevi Sutra, tradotto dal Dott. Shenpen Hookham, Fondazione Longchen, 1998 p. 36). Ancora, è indispensabile notare che se, come indica Youru, l’Originazione Dipendente è la somma totale di ciò che è il Tathagatagarbha, allora i pratyekabuddha dovrebbero essere capaci di sperimentarlo. Ma non è così. Esso è oltre la loro comprensione spirituale. Il sutra inoltre afferma la desiderabilità di avere fede nel Tathagatagarbha, che è l'Essenza Buddhica celata all'interno di contaminanti estranei e che non è null’altro che il Dharmakaya stesso, quando è liberato da quei veli che lo oscurano: 

 

     "Chiunque non abbia dubbi sul Tathagatagarbha, benchè avvolto nel fodero dei klesha,

      non ha dubbi sul Dharmakaya del Tathagata, che è la liberazione da quegli stessi klesha" (ibid). 

  

Intrappolamento, occultamento del Tathagatagarbha e sua finale Liberazione. Questo è il significato e movimento enunciato dai sutra Tathagatagarbha. Paradossalmente, il Garbha non è mai realmente intrappolato o impedito, però; è solamente la visione miope e afflitta degli esseri ignoranti che non è in grado di percepire la sua continua immanenza. 

L’importante sutra intitolato 'Anunatva-Apurnatva-Nirdesa' ("Insegnamento sulla Non-diminuzione e Non-aumento") comunica una visione del Tathagatagarbha che rivela la realtà dimorante del Garbha, la sua unità col Dharmakaya, la sua comprensibilità unica solo per il Buddha, e la sua inseparabilità dalle innumerevoli e meravigliose qualità del Buddha. Il sutra è anche preoccupato di sottolineare che il Tathagatagarbha essenzialmente è l'essere stesso (sattva). Non c'è separazione tra l'essere vivente ed il Tathagatagarbha che sostiene tutti i fenomeni senza eccezione. Al cuore di tutto c’è l’unico dhatu - il Principio del Tathagatagarbha. Inoltre, la visione che il Nirvana (che è intimamente collegato al Tathagatagarbha) è non-esistente o che è solo una Vacuità, è un errore angosciante, che conduce il sostenitore di tale perniciosa opinione dalla già-esistente confusione ad un'oscurità ancor più grande. Ecco alcune citazioni-chiave dette dal Buddha, che sta istruendo Sariputra su questi vari punti: 

  

     "Sariputra, questa questione [dell’unico, unificante dhatu] [appartiene] al dominio percezionale del Tathagata, alla sfera di attività del Tathagata. E neanche gli sravaka o i pratyekabuddha, Sariputra, sono capaci di conoscere, vedere o investigare questa questione con la loro intuizione [prajna]… La Verità Ultima [paramartha], Sariputra, è un sinonimo per il reame degli esseri [sattva-dhatu]. Il reame degli esseri, Sariputra, è un sinonimo del Tathagatagarbha. Il Tathagatagarbha, Sariputra, è sinonimo del Dharmakaya. Sariputra, questo Dharmakaya insegnato dal Tathagata è indivisibile in natura dalle virtù/qualità [dharma] del Tathagata, che eccedono in numero i granelli di sabbia nel Gange…" 

        "Sariputra, in natura questo Dharmakaya non sorge né cessa; non è delimitato nel passato né lo è nel futuro, perché è privo dei due estremi. Sariputra, non è delimitato dal passato perché è privo di un punto in cui sorge, e non è delimitato dal futuro perché è privo di un punto in cui cessa. Questo Dharmakaya, Sariputra, è permanente, perché è immutabile nella sua natura e perché è inesauribile in natura. Sariputra, questo Dharmakaya è stabile/incrollabile/inamovibile [dhruva], perché è il rifugio stabile/incrollabile/inamovibile, e perché è identico ai limiti del futuro. Sariputra, questo Dharmakaya in natura è pace, perché è non-duale [advaya], e perché è privo di concettualizzazione [avikalpa] in natura. Sariputra, questo Dharmakaya è eterno, perché in natura è indistruttibile, perché in natura è non-prodotto…" 

        "Sariputra, tu dovresti sapere che il fatto che il Tathagatagarbha è intrinsecamente congiunto con qualità pure da tempi senza inizio significa che è veritiero e non ingannevole, una realtà pura che è senza separazione nè esclusione dalla Conoscenza-Consapevolezza [jnana], una inconcepibile 'entità’ [dharma]. Esso è il Dharmadhatu [onnipresente reame della Realtà ultima] che è primordialmente congiunto con questa purezza per natura. Sariputra, io insegno questa dottrina inconcepibile, questa purezza intrinseca della mente, per il benessere degli esseri …"

        "Sariputra, tu dovresti sapere che il fatto che il Tathagatagarbha è l'immutabile identità per tutto il futuro significa che è la radice di tutte le qualità, che possiede tutte le qualità, che è dotato di tutte le qualità, che non è separato o diviso da tutte le vere/veritiere qualità in mezzo alle qualità mondane, che sostiene tutte le qualità, e che include tutte le qualità. Radicato su questo rifugio puro ed immutabile, eterno [nitya], inamovibile[dhruva], che è libero dal sorgere e dal cessare, questo puro ed inconcepibile Dharmadhatu io lo chiamo "essenza" [sattva]. Perché è così? Ciò che io chiamo sattva è solo un diverso nome per questo eterno, stabile, puro ed immutabile rifugio che è libero dal sorgere e dal cessare, il puro ed inconcepibile Dharmadhatu."      

       "Sariputra, tutte queste qualità [del Tathagatagarbha] sono veritiere, non separate né divisibili dalla Realtà."                                                         (In base alla traduzione di Stephen Hodge). 

  

C'è un forte accento mistico e monistico in queste parole. Al cuore di tutti i fenomeni c’è una base immutabile o ‘essenza’ - un dhatu - che è eterno ed inviolato. Esso conosce tutte le cose ed è l'ultimo rifugio per tutti gli esseri. Esso non conosce nessuna origine né cessazione (e di sicuro non è incluso o esaurito dall’Originazione Dipendente), e dimora, immacolato, nel mezzo di ogni fenomeno mondano. Esso è puro oltre i livelli della concezione mondana, non macchiato e non contaminato da qualunque oscurazione provvisoria lo circondi. Ma più di tutto, esso è reale, veritiero, e vero. Non è illusorio, non è un trucco, non è distinto dalla 'Realtà Ultima'. In altre parole, non è "un mero stratagemma" o solo il processo di  limite-temporale della Originazione Dipendente. Chiunque arrivi a leggere queste parole del Buddha e non intuisce la loro forza mistica è di sicuro notevolmente impenetrabile ed insensibile al potere comunicativo della letteratura mistica. Ridurre il Tathagatagarbha ad un "mero-strumento", significa rimanere caparbiamente sordi e ciechi all’intero spirito della letteratura del Tathagatagarbha. I testi del Tathagatagarhba traspirano un'aria di mistero, timore riverenziale e di trascendenza-mista ad-immanenza. Essi costituiscono consapevolmente e indicativamente un cambio di passo all'interno del Buddismo: un muoversi fuori dall' approccio opprimentemente ed apofatico [puramente negativo] alla Verità, nella sfera del catafatico [affermativo e positivo]. Questa non è solo una questione di linguaggio, non solo un artificio verbale, non una manovra, né una mera coperta di confort per quelli che temono le asserzioni apofatiche della dottrina del non-sé: quest’ultima declamazione è rivelata essere improvvisamente senza basi dal rimbrotto del Buddha, nel Nirvana Sutra, a quei tanti monaci che insistono su un non-sé universale e si assumono perfino di stimolarlo al Buddha. Di conseguenza, quei perversi monaci ed il loro genere, sono mostrati in una pressante necessità di una arricchente, equilibrata e culminante visione del Tathagatagarbha e del Vero-Sé del Buddha. Nelle parole del Mahaparinirvana Sutra, gli insegnamenti del Tathagatagarbha sono la quintessenza di tutto il Dharma - "il culmine finale" - non una concessionaria e confortante semplificazione del Dharma per i timorosi.  

Dalla prospettiva del Buddismo Tathagatagarbha e la sua pratica, tali questioni sono della più estrema  importanza. La stessa efficacia della pratica spirituale Tathagatagarbha e del progresso dipende da una accurata e fedele penetrazione del significato di questi sutra. Tentare di farli diventare l’esatto opposto di ciò che essi ancora e sempre proclamano di essere – espressioni di un imperitura, gioiosa, intelligente ed ultimamente ineffabile Verità Buddhica al cuore di tutte le cose - non solo è distorcere l’intero spirito di questi testi religiosi, ma significa anche mettere a rischio il benessere spirituale di coloro che cercano di praticare in accordo con i loro precetti ed istruzioni. Così, mentre composizioni accademicamente attraenti come quelle di Youru Wang sono in modo crescente popolari nei circoli eruditi - dopo tutto, a prima vista sono intelligenti pezzi informativi, abilmente scritti, ben-strutturati, elegantemente ed apparentemente composti – essi però non riescono a catturare il significato mistico e profondo dei sutra che cercano di selezionare; non riescono a rappresentare in modo accurato gli insegnamenti Tathagatagarbha del Buddha e, più importante, non riescono a comunicarne lo spirito catafatico richiesto, che è di così centrale importanza nell'intenzione del Buddha in queste scritture e che in nessun modo richiede una così distruttiva "destrutturazione". Fare così è sfidare l'ingiunzione espressa dal Buddha che il Tathagatagarbha ed il Buddha stesso non dovrebbero essere ridotti ad una mera Vacuità, né visti negativamente e nichilisticamente come non-sé. Questo quasi-annientamento del "sapore-ambrosico" o "gusto distintivo" del Buddismo Tathagatagarbha, che ha colpito molti degli odierni dotti circoli, questo insensibile scontarne l'umore (che aiuta in modo vitale ad incarnare e dare il significato) delle scritture, corre il rischio di portare il serio praticante del Tathagatagarbha-Dharma su una pericolosa strada di malintese nozioni e distorte visioni. Per la loro leggibilità, la sofisticazione verbale, le buone intenzioni e la indubbia sincerità, saggi come quelli di Youru Wang hanno bisogno di essere riconosciuti come non equilibrati, mal-intonati alla natura, al tono e significato dei sutra del Buddha-dhatu e come pericolosamente fuorvianti nel contesto della pratica di coltivazione meditativa. Simili interpretazioni del Tathagatagarbha-Dharma sono, insomma, sorprendentemente contrarie allo spirito Madhyamaka (in particolare, Prasangika-Madhyamaka) delle stesse scritture del Tathagata-garbha. Il Tathagatagarbha non costituisce un colpo-di-mano verbale per contrabbandare una Vacuità assoluta o l’Originazione Dipendente nel corpus della dottrina buddista, per coloro che sono ben poco disposti o filosoficamente deboli. Piuttosto, i sutra Tathagatagarbha si proclamano come un definitivo e salutare correttivo verso una perversa e squilibrata comprensione, proprio di tali insegnamenti come la Vacuità e il non-sé, ed offre il "significato" piuttosto che soltanto la "lettera-morta" di un Buddha-Dharma, che era a rischio di avere la sua stessa anima (il suo vivente Atman o Tathagatagarbha, per così dire) strappata fuori di sé dallo sviluppo di una costruzione negativa e nichilistica di ciò che, alla fine, è un estremamente positivo ed affermativo Dharma trascendente. Tentare di costringere i sutra Tathagatagarbha in una sorta di rifiuto dell’Essenza del Prasangika-Madhyamaka (che alcuni studiosi scelgono di chiamare "destrutturazione", ma che sarebbe più adatto chiamare "distruzione spirituale") significa invertire l’intera direzione e tendenza che il Buddismo Tathagatagarbha intenzionalmente cercò di stabilire, e inoltre, significa trascurare, mancar di rispetto e distorcere lo spirito predominante di eterna-trascendenza-all’interno-dell’immanenza che i sutra Tathagatagarbha furono così acuti da articolare e disseminare nel mondo. 

Come affermato sopra, per i seri praticanti del Buddismo Tathagatagarbha, questi non sono certo meri dibattimenti, né mere discussioni "teoretiche" o "accademiche". Essi penetrano nel cuore stesso della pratica e del conseguimento spirituale. Se lo sforzo meditativo del Tathagatagarbha è intrapreso nella struttura di una comprensione falsa ed invertita, le conseguenze per il praticante - così ci dice il Buddha - possono essere davvero severe. Da qui l’alto significato di stabilire fin dall'inizio una visione fondamentalmente corretta. Considerare il Buddha ed il Tathagatagarbha solo un mutevole flusso di momenti-temporali - non realmente così diverso dal samsara - significa commettere l'ultima eresia ed un insulto. Questa è una visione che dev’essere abbandonata, se uno deve rimanere veritiero alla fase finale dell'insegnamento ed istruzione dottrinale del Buddha. 

Non vi è più forte insistenza sulla verità del Tathagatagarbha, e sul reale guardarsi dai pericoli di una sua denigrazione, travisamento o declassamento di status, che è possibile trovare nello straordinario 'Angulimaliya Sutra'. Ivi leggiamo i seguenti passaggi sull'eternità, unità, universalità, immortalità ed immacolatezza del Tathagatagarbha, in cui è fortemente investita la fede, e che però è schermato dalla nostra visione dall'oscurante, ricoprente effetto delle innumerevoli ed estranee contaminazioni mentali e morali (klesha). Il sutra forzatamente espone i pericoli samsarici che potenzialmente si mettono in attesa per coloro che sviliscono o rifiutano lo stesso reale Tathagatagarbha che risiede al cuore di tutti gli esseri, anzi, di tutte le cose: 

     "Il Tathagatagarbha esiste in tutti gli esseri, ma esso è presente, come una lampada all'interno di un vaso, avviluppato da milioni di klesha… [le afflizioni mentali e morali]… 

     "Quella mente che si dice che sia intrinsecamente pura, è il Tathagatagarbha. Essa è il primo di tutti i fenomeni; perchè tutti i fenomeni hanno il Tathagatagarbha come loro essenza/natura intrinseca [svabhava]… 

      "Quelle persone che in vite precedenti erano corvi spudorati, che erano estremamente ingrate e mangiarono cibo non-puro, anche ora sono impoverite, prive di vergogna, e non hanno la fede nel Tathagatagarbha. Ed anche nelle vite future, costoro non saranno nient’altro che quelli che saranno agitati dopo aver sentito parlare del Tathagatagarbha da qualcuno che dà benefici insegnamenti, e che ancora non crederanno che c'è un atma-dhatu [il Principio del Sé]; perchè essi… saranno corvi spudorati che mangiano cibo non-puro… 

      "Quelle persone che nelle vite precedenti erano sgradevoli scorpioni e rifiutarono il Tathagata-garbha, perfino ora cadono in una rabbia bruciante quando sentono parlare del Tathagatagarbha, ed essi saranno definitivamente simili a scorpioni. Anche nelle vite future, costoro non saranno altro che quelle persone che sentendo parlare del Tathagatagarbha non avranno fede in esso, dicendo che non fu esposto dal Buddha. Queste persone faranno azioni certamente dannose come gli scorpioni… 

     "Quelli che erano asini nelle vite precedenti e non prestarono alcuna attenzione al Tathagata-garbha, ora sono poveri e mangiano cibo comune come gli asini. Anche nelle vite future, essi oltre ad essere poveri, rinasceranno in modeste famiglie di kshatriya [militari]. Queste, non son nient’altro che le persone che non hanno fede nel Tathagatagarbha e coltivano la nozione di un non-sé, perchè sono come le prostitute, i fuori-casta, gli uccelli e gli asini. 

     "Quelli che nelle vite precedenti criticarono il Tathagatagarbha, essendo malvagi asura [aggressivi esseri titanici], con dei corpi sgraziati, fatti a palla e con lunghe zanne, e perfino adesso hanno corpi sgraziati, fatti a palla, perchè essi sono definitivamente asura. Anche nelle vite future, costoro non saranno nient’altro che persone aggressive con corpi sgraziati, fatti a palla e lunghe zanne, i quali criticheranno il Tathagatagarbha, perché… esse saranno persone appartenenti al clan degli asura. 

        … 

        "Mentre [al contrario], grazie ai meriti di aver [fedelmente] sentito in esse il Tathagatagarbha, le persone saranno libere da malattie e afflizioni, avranno vite lunghe, e delizieranno tutte le creature. Avendo sentito che il Tathagata è eterno, immobile e permanente, e che non muore neanche quando si passa nel Parinirvana, esse saranno dotate di ogni qualità, durevole continuità e permanenza. 

     … 

     "… Se coloro che entrano sul Sentiero di Liberazione schiantano i miliardi di klesha [oscurazioni] come se fosse un vaso, essi allora vedranno l’intero Dhatu [Essenza di Buddha] come un mango che stesse sul palmo della loro mano. Per esempio, sebbene il sole e la luna non risplendano sulla terra quando sono velati dalle nubi, essi poi risplendono quando le nubi si sono dissipate. Similmente, quando il Tathagatagarbha è nascosto dai miliardi di klesha, non è visibile; ma quando è liberato dai klesha, anche il sole e la luna del Buddha-dhatu è visibile, proprio come il sole e la luna. 

       … 

       "… il Tathagatagarbha è vero e reale; è il permanente 'corpo ultimo', l'inconcepibile ultimo corpo del Tathagata, l'ultimo corpo eterno; perché il Dharmakaya è il corpo della pace, il corpo ultimo, il corpo generato dalla Realtà [tattva]… E da qui emerge il Dharma che è Reale. Tutto quello che il Bhagavat [il Signore Buddha] ha insegnato è totalmente separato dalla falsità. Perciò egli è chiamato 'il Buddha'. " 

  

E voi, seri e fedeli discepoli, praticanti impegnati del Buddismo Mahayana (in particolare del Buddismo Tathagatagarbha) sareste ben consigliati e davvero saggi a riflettere su queste asserzioni e prendere con gratitudine nei vostri cuori le suddette parole di guida del Dharma. 

    

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