Le Radici del buddhismo Zen
di Hsueh-Li Cheng -
Giornale di Filosofia Cinese - v. 8 (1981) pagg. 451-478
(© 1981 by Dialogue Pubblishing Company - www.thezensite.com-
Spesso il buddhismo Zen sembra essere "anti-intellettuale'', "illogico" ed anche un po’ "scurrile". Ciò ha confuso molti studenti del buddhismo. Come può lo Zen essere così "irrazionale"? Da quali dottrine, dogmi o filosofie del buddhismo svilupparono i loro drammatici e non convenzionali insegnamenti e pratiche, i maestri Zen? Lo scopo di questo articolo è di mostrare che le principali dottrine San-lun del Madhyamika, come la Vacuità (shunyata), la Via di Mezzo, la Duplice Verità e la confutazione delle visioni erronee, come ‘illuminazione delle giuste visioni’, sono state assimilate negli insegnamenti e pratiche dello Zen. La filosofia Madhyamika sembra offrire allo Zen la maggiore base "teorica" come movimento religioso "pratico", "anti-intellettuale", "irrazionale", "non-convenzionale" e "drammatico".
Il buddhismo Madhyamika fu fondato da Nagarjuna nel secondo secolo d.C. in India [1]. Esso fu poi introdotto in Cina da Kumarajiiva (334-413 d.C.) [2]. Questa scuola buddhista era nota in Cina, Corea e Giappone, come San-lun Tsung (la Scuola dei Tre Trattati), perché era basata su tre principali testi, cioè (a) il Trattato Medio[3], (b) Il Trattato dei Dodici Ingressi[4], e (c) il Trattato dei Cento [5]. Chi-tsang (549-623 d.C.) fu il più eminente maestro Cinese del San-lun.
La maggior parte degli studiosi familiarizzati con il buddhismo Zen sanno che lo Zen fu influenzato dal Taoismo e dal buddhismo Yogachara. Ma poche persone sanno che i buddhisti San-lun avevano dato un grande contributo alla formazione e sviluppo del buddhismo Zen [6]. Coloro che parlano dell'influenza del buddhismo Madhyamika sullo Zen non hanno prestato la sufficiente ed adeguata attenzione che essa merita. Essi spesso presumono che il termine "Shunyata" del Madhyamika abbia un significato definito per se stesso e stia per ‘Realtà Assoluta’, e la sua negazione dialettica sia per l'affermazione di questa Realtà, e sostengono che lo Zen sia l’applicazione di quegli insegnamenti [7]. Si dice che il buddhismo Madhyamika abbia portato lo Zen ad essere un "buddhismo Illogico"[8]. Ma, in realtà, il termine "vuoto" o "vacuità" non ha un vero significato in se stesso, però nel processo della salvezza acquisisce vari significati, e la negazione del Madhyamika non significa che affermi una qualche realtà ontologica. In effetti, lo Zen non è così "irrazionale" come normalmente si pensa. Il pensiero San-lun del Madhyamika può aiutarci a chiarire certe "assurdità", "contraddizioni" o "discordanze" negli insegnamenti e pratiche Zen.
In ciò che segue, vi sarà prima una breve presentazione degli insegnamenti del Madhyamika da fonti Cinesi. Ciò fornirà al lettore una veduta d'insieme della filosofia Madhyamika, aiutando le persone ad avere una migliore comprensione del pensiero Madhyamika. Dopodiché, si mostrerà che le dottrine essenziali del Madhyamika sono state assimilate nel buddhismo Zen. Poi si investigherà come le prime hanno potuto ispirare quest’ultimo ad enfatizzare la pratica anziché l’aspetto puramente teorico della religione buddhista, e perché i buddhisti Zen abbiano usato frasi "insensate", "triviali", o addirittura "ridicole" per esporre la loro comprensione del Dharma e risvegliare le persone allo Zen.
II°)
Secondo i maestri Cinesi San-lun, gli insegnamenti principali del buddhismo Madhyamika si incentrano sulla ‘Vacuità’ (k'ung) la Via di Mezzo (chung tao), la Duplice Verità (erh ti kuan), e la confutazione di visioni erronee con l’'illuminazione delle visioni corrette’ (p'o hsieh hsien cheng). Queste dottrine sono interrelate e puntano a mostrare che tutte le cose sono vuote. "Vacuità", per il Madhyamika, non è un nome che descriva un qualcosa. Non è un qualche oggetto o realtà definitiva, e non ha significato in se stesso. Esso ottiene un significato solo in un contesto di salvezza. La dottrina della ‘vacuità’ del Madhyamika non è una teoria metafisica, ma uno strumento soteriologico per purificare la mente così che si possa essere "svuotati" dagli attaccamenti emotivi ed intellettuali verso gli oggetti di desiderio e di conoscenza. Questa dottrina è ritenuta essere il messaggio centrale di buddhismo, e fu espressa prima come la dottrina della Via di Mezzo dal Buddha nel suo primo Sermone [9]. E’ stato detto che il Buddha avesse consigliato i cinque asceti-mendicanti di non vivere una vita di ascetico pessimismo, né di vivere una vita edonistica mondana, ma di andare aldilà dei due estremi; soltanto allora essi poi avrebbero potuto raggiungere la vera pace [10].
Nagarjuna accettò l’insegnamento della Via di Mezzo del Buddha e la ampliò non solo per trattare col problema del modo di vivere la vita, ma anche con tutti i problemi filosofici e religiosi. Egli scoprì che filosofi ed uomini religiosi spesso hanno un modo di pensare dualistico; essi tendono a descrivere un evento come "apparso o scomparso", "permanente o impermanente", "simile o dissimile", e come "andante qui o là". Per Nagarjuna tutti i possibili tentativi metafisici e religiosi di descrivere e spiegare la realtà erano ‘visioni estreme’. Egli asserì che la dottrina "Via di Mezzo" del Buddha permetteva che si evitassero tutti gli estremi così che una persona potesse divenire libera dal concetto di "essere" e "non-essere". La Via di Mezzo sorge al di sopra di "affermazione" e "negazione". Essa è il sentiero per rimuovere il modo di pensare dualistico. Nagarjuna aprì il Trattato Medio con queste parole:
“Rendo omaggio al Buddha, Il primo di tutti gli insegnanti,
Egli ha insegnato la dottrina del sorgere dipendente,
Che è la cessazione di tutti i giochi concettuali.
[La vera natura di un evento è marcata da]
Né originazione, né estinzione; né permanenza, né impermanenza;
Né identità, né differenza; e non c’è nessun andare né venire” [11]
Questa Via di Mezzo dell’ottuplice negazione non comprende solo queste otto negazioni ma una totale negazione di tutti i tentativi di caratterizzare le cose[12]. La negazione è intrapresa per mezzo di una dialettica sotto forma di ‘reductio-ad-absurdum’. La dialettica è un tipo di analisi concettuale che ha lo scopo di mostrare che tutti i concetti o categorie tramite i quali noi costruiamo le nostre esperienze sono inintelligibili. Nagarjuna esaminò tutte le teorie tradizionali buddhiste e non-buddhiste che tentavano di descrivere la vera natura della realtà e dimostrò che ogni teoria conduceva a certe contraddizioni o assurdità. Usò gli stessi principi di ragionamento usati dai suoi oppositori e puntò a far vedere che le loro teorie comportavano delle contraddizioni. Se il concetto o sistema concettuale conduceva a contraddizioni, esso non poteva descrivere la realtà, perché la libertà da contraddizioni è accettata dal fautore stesso come la necessaria condizione affinché una teoria possa essere vera. Inoltre, l'inintelligibile è 'irreale', e l'incapacità di spiegarlo è ragione sufficiente per negare la realtà di una cosa.
Attraverso il metodo di dialettica e analisi concettuale, Nagarjuna confutò ogni tentativo concettuale possibile di descrivere la realtà e difese la dottrina del ‘Shunyavada’ (la Vacuità)[13]. Questa dottrina affermava che la vera natura delle cose non può essere accertata dall’intelletto, né descritta come reale o irreale, mentale o non-mentale. Ciò che è davvero ‘reale’ deve avere una natura sua propria (svabhava) e non deve essere prodotta da cause né essere dipendente da un’altra qualsiasi cosa. Dire che un certo "essere" o "divenire" è reale, contraddirebbe il fatto che tutti i fenomeni sono collegati da relazioni di causa ed effetto, soggetto ed oggetto, agente ed azione, l’intero e la parte, l’unità e la diversità, la durata e la distruzione, e da relazioni di tempo e spazio. Qualsiasi cosa nota attraverso l'esperienza è dipendente da certe condizioni. Quindi non può essere ‘reale’. D'altra parte, tutto ciò che si percepisce non può essere concepito come ‘irreale’, poiché ciò che è irreale non può entrare mai in esistenza. Perciò, la dottrina Madhyamika della Vacuità, che è la confutazione di tutti i tentativi di descrivere le cose come reali o irreali, è la stessa della Via di Mezzo [14].
La Vacuità, come la Via di Mezzo, è il nome provvisorio (chia ming) per l'indeterminato, indescrivibile ed incomprensibile vero stato e natura delle cose. Il vero stato reale dei dharma (fenomeni) è simile al nirvana, indescrivibile, incomprensibile, senza nascita o morte. È oltre la portata del pensiero e del linguaggio[15]. Le cose sembrano esistere, però quando uno tenta di capire razionalmente il vero stato della loro esistenza, l'intelletto diventa confuso. Perciò, si dovrebbe dichiarare che le cose sono proprio inesplicabili. Ecco perché ‘Shunyata’ significa la negazione di una spiegazione intellettuale della realtà.
‘Shunyata’ significa anche la totale negazione di attribuire qualunque essenza riscontrabile (hsing), o caratteristiche (hsiang) e funzione (yung) di una qualsiasi cosa. Le cose sembrano avere una certa essenza, caratteristiche e funzione, ma dopo un accurato esame, esse non possono concepibilmente avere nessuna di queste qualità e quindi sono ‘vuote’. Una cosa che è priva di essenza, caratteristica e funzione, non è una vera entità. Perciò, Nagarjuna disse:
“Forma materiale, voce, gusto, tatto, odorato, ed i vari fattori dell’esistenza sono tutti soltanto come una città immaginaria nel cielo, un miraggio, ed un sogno”[16].
Secondo il Madhyamika, la dottrina di ‘Shunyata’ dovrebbe essere compresa per mezzo della Duplice Verità, cioè, verità convenzionale (su-ti, samvrtisatya) e verità 'ultima' (chen-ti, paramarthasatya) [17]. L'idea della Duplice Verità di Nagarjuna riflette una differenza nel modo in cui si può percepire le cose ed il punto di vista da cui si guarda ad esse. La verità convenzionale, o mondana, comporta vari attaccamenti emotivi e adesioni intellettuali a ciò che si percepisce, e così gli oggetti sperimentati sono considerati come se abbiano una natura fissa, determinata e auto-esistente. Tuttavia, uno può vedere ciò che percepisce, da un punto di vista diverso, cioè dal punto di vista della verità 'ultima' o trascendente, da cui egli rivaluta le cose di questo mondo fenomenico senza gli attaccamenti. E così si potrà venire a sapere che le cose percepite sono "vuote" di qualunque natura fissa, determinata o auto-esistente.
La Duplice Verità è essenzialmente un metodo pedagogico (chiao-ti). Secondo Chi-tsang, le ragioni principali perché è stato stabilito questo metodo, sono: (1) allo scopo di difendere il buddhismo contro la possibile accusa di nichilismo e assolutismo; (2) aiutare gli esseri senzienti a conoscere il Dharma del Buddha; e (3) spiegare certi lati oscuri e discordanze negli stessi insegnamenti del Buddha.
Le persone possono facilmente interpretare "vuoto" o "vacuità" come il "nulla" o la "non-esistenza", e considerare la dottrina buddhista della Vacuità come una forma di nichilismo, proclamando così che l'intero universo è un ‘nulla’, o che nulla esiste [18]. Per Nagarjuna, tutti quelli che vedono ‘Shunyata’ come un "nulla" o "non-esistenza", non sono in grado di riconoscere il profondo significato che distingue le verità mondane da quelle trascendenti[19]. Essi presumono che vi sia "soltanto un solo" punto di vista universale da cui si dovrebbero esaminare tutte le cose. Ma in realtà gli insegnamenti del Buddha sono presentati per mezzo della Duplice Verità. La verità mondana ha a che fare con le condizioni di questo mondo fenomenico che sono causalmente inter-dipendenti l'un l'altra. Nagarjuna ammette che, dal punto di vista della verità mondana, gli oggetti della verità convenzionale appaiono come se avessero un'esistenza indipendente da colui che li percepisce. Questo tipo di verità classifica gli oggetti come "sedia", "tavolo", "io", "mente", o altre cose sensibili, e si usa portare avanti gli affari di tutti i giorni in questo modo. Quello che Nagarjuna vuole negare è che i fenomeni empirici siano "assolutamente veri e reali". Dal punto di vista trascendente tutte le cose sono prive di una sostanza, realtà, ed essenza fissa, determinata ed auto-esistente. Ma dire, ‘nulla è assolutamente reale’, non significa dire che nulla esiste. Ciò non annulla ogni cosa del mondo. Non è la negazione dell'universo, ma solo l'evitare di fare una essenziale differenziazione e speculazione metafisica riguardo ad esso.
Talvolta si è considerato che Nagarjuna con la Duplice Verità abbia voluto rappresentare due tipi fissi di verità [20]. La sua distinzione tra le due verità fu intrapresa per implicare o rispondere ad una distinzione ontologica tra la "realtà relativa" e la "realtà assoluta"[21]. La Vacuità, considerata dal punto di vista della verità 'ultima', deve stare per una certa essenza o realtà assoluta, ed il pensiero Madhyamika dovrebbe essere chiamato 'Assolutismo' [22]. Ma la filosofia del Madhyamika, in realtà, non è Assolutismo. Per Nagarjuna, tutti i concetti, incluso il termine "Shunyata", sono dei simboli incompleti, o nomi provvisori. Non sono entità definite, e in se stessi, non hanno alcun significato. "Vacuità", come usata da Nagarjuna, in se stessa, non è una qualche cosa[23]. Per enfatizzare che la "vacuità" non è primariamente un concetto ontologico e non si riferisce ad alcuna realtà assoluta, egli ammonì che "Per confutare tutte le visioni erronee, il Vittorioso insegnò la vacuità. Colui che sostiene però che c'è davvero una vacuità sarà chiamato ‘incurabile’, da tutti i Buddha" [24].
L’insegnando di Nagarjuna della duplice verità è semplicemente un 'mezzo abile' per chiarire tutte le le illusioni e l’ignoranza. Le cosiddette 'verità convenzionale' e 'verità ultima' sono soltanto due modi diversi di "vedere le stesse cose", e si trovano in ogni cosa. Per esempio, quando uno vede una sedia dal punto di vista ordinario, può applicare la verità mondana che di fronte a lui c'è una sedia, e non una tavola. Se la stessa sedia viene vista da un punto di vista più elevato, uno comprenderà che essa è vuota, proprio come una tavola. Queste due verità non sono esaustive di tutte le verità. Né esse sono due tipi fissi di verità. Se la verità più alta è considerata esservi per una essenza determinata o assoluta, allora diventerebbe una verità "ordinaria", o "inferiore". Uno dovrà riesaminarla da "un altro più alto punto di vista" così che possa capire la vacuità di tutte le cose. Quindi una verità può essere più alta o più bassa, e se è maggiore o minore dipende dalle condizioni della propria mente. Questa dottrina della duplice verità è ben esposta da Chi-tsang nella sua ‘Duplice Verità su tre livelli’ (san tsung erh ti, o erh ti san kuan) [25].
(1) al primo livello, le persone ordinarie credono che quella che appare a noi attraverso i sensi sia la vera natura delle cose. Esse affermano la realtà di tutte le cose, e sostengono che tutte le cose (dharma) sono reali e possiedono l’essere. Ma i santi o gli illuminati non accettano questo realismo naïf e sanno che i dharma (fenomeni) sono vuoti per natura. La prima è considerata verità mondana e la seconda, come verità ultima.
(2) il secondo livello spiega che ‘essere e non-essere’ appartiene alla verità mondana, mentre la non-dualità (né l'essere né il non-essere) appartiene alla verità ultima. Le verità mondana ed ultima del primo livello, quando considerate da un punto di vista più alto, possono essere attribuite soltanto alla sfera della verità mondana del secondo livello, perché le affermazioni di essere o non-essere sono due estremi. La Via di Mezzo confuta questi estremi e quindi la non-dualità è la 'verità ultima'.
(3) al terzo livello, dualità e non-dualità sono la ‘verità mondana’, mentre né dualità né non-dualità, diventa la 'verità ultima'. Le due verità del livello precedente, dal punto di vista di questo livello, sono due estremi. Il loro evitarle, è considerato la Via di Mezzo, cioè la 'verità ultima'.
Questo processo dialettico è spesso chiamato la Via di Mezzo della Duplice Verità (erh ti chung tao). Come la Via di Mezzo, la Duplice Verità è essenzialmente una via di vacuità in quanto è un sentiero per eliminare le visioni estreme, così che uno possa essere "svuotato" degli attaccamenti[26]. Diversi livelli qui rappresentano il proprio grado di maturità e realizzazione spirituale. L'avanzata da un livello ad un altro è il processo di salvezza o trascendenza dal mondo. Le dottrine de "La Via di Mezzo della Ottuplice Negazione", "la distinzione tra la verità convenzionale e la verità ultima" e della "Vacuità", dovrebbero essere esaminate e comprese ai vari diversi livelli. La Via di Mezzo non è solamente una confutazione di un paio di visioni estreme, ma una negazione di tutte le visioni estreme, ovunque esse avvengano. La verità convenzionale e la verità 'ultima' non devono essere prese per due definite verità o realtà. Esse hanno differenti connotazioni ed implicazioni ad ogni livello. Il processo dialettico non è limitato solo ai tre livelli. Esso è un mezzo per purificare la mente, che può essere impiegato progressivamente a infiniti livelli, finché uno non sarà liberato da tutti gli attaccamenti concettuali. Quando tutte le cose e le visioni a cui siamo attaccati saranno completamente eliminate, "Vacuità" significherà "assolutamente-non-dimorante"[27].
Si dovrebbe notare che per ottenere la liberazione ultima dall'ignoranza e dall’illusione non si devono necessariamente attraversare i tre livelli o gli infiniti stadi del progresso graduale; perché uno può realizzare istantaneamente l’illuminazione. La Vacuità è come la medicina: alcune persone dovranno prendere la medicina molte volte prima che le loro malattie siano guarite, ma altri possono prenderla anche solo una volta e guariranno immediatamente. E nemmeno importa come si ottiene la salvezza, infatti basta sapere che, come con le medicine, la vacuità è utile soltanto finché si è malati, ma non serve più quando uno sta di nuovo bene. Una volta che si raggiunge l’illuminazione, la vacuità può essere tranquillamente dimenticata [28].
Come la Vacuità, anche la Duplice Verità è un ottimo strumento soteriologico per il Bodhisattva per "salvare" o aiutare se stesso e gli altri ad ottenere l’illuminazione. Il Bodhisattva è una persona che possiede la saggezza (prajna) e sa bene che la verità convenzionale dipende da parole e nomi e che, dalla posizione 'ultima’, tutte le concettualizzazioni dovrebbero essere eliminate, e che solo il silenzio dovrebbe regnare (nella mente). Però, egli è anche una persona che possiede la grande compassione (mahakaruna) e quindi sente di voler aiutare a raggiungere il Nirvana gli esseri ignoranti che hanno solo una conoscenza discorsiva. La predica e l'esposizione del Dharma buddhista devono dipendere da parole e concetti. E perciò il Bodhisattva non può essere silenzioso. Ma allora, come può egli "essere silenzioso" e non attaccato alla ‘prajna’, ed "essere aperto" e mostrare il ‘mahakaruna’ allo stesso tempo? Per Nagarjuna, questo può essere fatto per mezzo della Duplice Verità.
Poiché nulla di ciò che si sperimenta nel mondo fenomenico ha una natura fissa, determinata e auto-esistente, si può dire che nessuna descrizione di qualunque fenomeno è incondizionatamente reale. Eppure la verità convenzionale non è totalmente inutile, perché "senza la verità convenzionale, anche la verità ultima non può essere ottenuta. E senza ottenere la verità ultima, non può essere ottenuto il Nirvana"[29]. La verità trascendente è spiegata per mezzo del discorso, e il discorso è convenzionale e condizionale. Il Bodhisattva conosce e pratica questo insegnamento della Duplice Verità. Lui usa parole e concetti, ma comprende che essi non hanno un valore e né indicano qualcosa di sostanziale. Egli usa la ragione e i fatti empirici per confutare le visioni estreme, e riconosce che esse sono tutte vuote. È questa sua "abilità-dei-mezzi" (fang-pien, upaya-kausalya), che lo rende simultaneamente in grado di vivere sia nel mondo condizionale che nel trascendente, e quindi ugualmente capace di salvare e beneficiare gli altri.
Sembra che vi siano alcune ambiguità e perfino contraddizioni nelle espressioni verbali del Dharma buddhista. Per esempio, spesso i testi buddhisti dichiarano che tutte le cose sono causalmente prodotte ed impermanenti. Ma, altre volte affermano che produzione causale ed impermanenza non possono essere stabilite. Le scritture dicono che l’illuminazione (vidyà) è contrapposta all’ignoranza (avidyà), ma però tutti i pensieri dualistici dovrebbero essere rifiutati. Come possono tutti questi insegnamenti "incoerenti" essere veri? Perché vi sono asserzioni così "contraddittorie"? Quali sono realmente vere?
La dottrina Madhyamika della Duplice Verità serve come una tecnica esegetica; si usa per spiegare le contraddizioni nel buddhismo e rendere "totalmente veri" gli insegnamenti del Buddha[30]. Il Buddha era un insegnante assai pratico. I suoi insegnamenti furono dati secondo le condizioni intellettuali e spirituali degli ascoltatori. Differenti messaggi furono rilasciati da differenti punti di vista. Ognuno di essi non ha un significato di per sé, ma deve essere riconosciuto da un certo punto di vista idoneo. Nessuna verità è "vera" in se stessa, ma è riconosciuta come "vera" in un dato contesto. Le verità cosiddette ‘convenzionali ed ultime’ designano due principali contesti o punti di vista. Tutti i Buddha presentarono i loro insegnamenti per mezzo di queste due verità. Dalla posizione ‘convenzionale’ essi possono dichiarare che tutte le cose sono prodotte causalmente e impermanenti e che l’illuminazione è contrapposta all’ignoranza. Finché riguarda la verità convenzionale questi insegnamenti sono "veri". Però i Buddha possono esaminare le cose dalla posizione trascendente e dichiarare che la produzione causale e l’impermanenza non possono essere stabilite, e che tutti i pensieri dualistici dovrebbero essere rifiutati. Quando si cerca di capire gli insegnamenti buddhisti, si dovrebbe esaminarli alla luce della Duplice Verità. Se si fa così, si troverà che non ci sono contraddizioni in essi e che ogni Dharma del Buddha è ‘vero’[31].
Tuttavia, in modo ultimo, nessuna verità è "assolutamente vera" per il Madhyamika. Tutte le verità hanno caratteristiche essenzialmente pragmatiche e alla fine dovrebbero essere abbandonate [32]. Il fatto che siano vere, è provato se possono o meno creare attaccamento o non-attaccamento. Il loro valore come verità, è la loro efficacia come mezzo-abile (upaya) per la salvezza. La Duplice Verità è come un medicina; essa è usata per eliminare tutte le visioni estreme e le speculazioni metafisiche [33]. Per confutare i nichilisti il Buddha può dichiarare che l'esistenza è vera. E, similmente, con lo scopo di confutare gli eternalisti, lui può dire che l’esistenza non è reale [34]. Finché gli insegnamenti del Buddha sono capaci di aiutare le persone a rimuovere gli attaccamenti e i desideri, essi possono essere accettati come "verità". Dopo che tutti gli estremi e gli attaccamenti sono banditi dalla mente, non si ha più bisogno delle cosiddette verità e, quindi, non vi sono del tutto più "verità"[35]. Ci si dovrebbe "svuotare" di tutte le verità e non trattenere più nulla.
Per comprendere la natura "vuota" di ogni verità, secondo Chi-tsang, si dovrebbe realizzare che "la confutazione di visioni erronee è l'illuminarsi di una corretta visione"[36]. La cosiddetta confutazione delle visioni erronee, in un contesto filosofico, è un’asserzione che tutte le visioni metafisiche sono erronee e perciò dovrebbero essere rifiutate. Asserire che tutte le teorie sono visioni erronee, non comporta né implica che si debba avere una qualche "visione". Per il Madhyamika, la confutazione di visioni erronee e l'illuminazione di visioni corrette non sono due cose separate, ma la stessa azione. Una visione corretta non è in se stessa una visione; piuttosto, è l'assenza di visioni. Se una visione corretta è con forza sostenuta in luogo di una erronea, la stessa visione corretta diventerebbe uni-laterale e richiederebbe confutazione. Il punto che il Madhyamika vuole enfatizzare, espresso in termini contemporanei, è che si dovrebbe confutare tutte le visioni metafisiche, e il farlo non richiede l’obbligo di presentare un'altra visione metafisica, ma semplicemente dimenticare o ignorare tutte le teorie metafisiche.
Come la "vacuità", le parole come "giusto" e "sbagliato" o "erroneo", sono realmente termini vuoti senza riferimenti a qualunque definite entità o cose. La cosiddetta visione corretta è davvero vuota tanto quanto la visione erronea. È citata come giusta "soltanto quando non ci sono né l'affermazione né la negazione"[37]. Se possibile, non si dovrebbe usare il termine. Ma noi siamo costretti ad usare la parola 'corretto' (chiang ming cheng) per mettere fine all’errore. Una volta che l’errore è cessato, allora nessun ‘corretto’ rimane. Così, la mente non si attacca più a nulla [38]. Quindi, per giungere all’illuminazione ultima, bisogna andare aldilà di "corretto ed erroneo", "giusto e sbagliato" o "vero e falso", e vedere la natura vuota di tutte le cose. Realizzare questo è prajna (vera saggezza).
III°)
I testi principali del Madhyamika, come il Trattato Medio, il Trattato dei Dodici Ingressi ed il Trattato dei Cento, erano stati tradotti in Cinese ed erano ben noti fra i buddhisti Cinesi più di cento anni prima di Bodhidharma (470-543 d.C.), il primo Patriarca del buddhismo Zen Cinese (chan), che arrivò in Cina nel 520 d.C. Hui-neng (638-713 d.C.) è considerato il vero fondatore del buddhismo Zen, anche se lui fu il sesto dei Patriarchi. Egli visse più di cento anni dopo Chi-tsang, il quale sviluppò e sistematizzò la filosofia Madhyamika Cinese, cioè il San-lun. Lo studio degli insegnamenti Madhyamika è stata una disciplina accademica dei monaci buddhisti in Cina e Giappone fin dal sesto secolo d.C. Nagarjuna era infatti considerato un venerabile Patriarca dai buddhisti Zen. Sia Bodhidharma che Hui-neng, ed anche i loro seguaci, dovettero conoscere ed accettare gli insegnamenti Madhyamika. Infatti, maestri Zen come Niu-t'ou Fa-yung (594-657 d.C.) e Nan-chuan P'u-yuan (748-834 d.C.), erano buddhisti San-lun prima di diventare insegnanti Zen.
La letteratura Zen mostra che i principali dogmi del Madhyamika, come la Vacuità, la Via di Mezzo, la Duplice Verità e la confutazione di visioni erronee come illuminazione di visioni corrette, sono stati assorbiti in toto nel buddhismo Zen. Per alcuni aspetti, lo Zen sembra essere una applicazione pratica del pensiero Madhyamika.
IV°) - VACUITÀ E ZEN
Molte scritture e storie Zen indicano che il buddhismo Zen accettò la dottrina di ‘Shunyata’. Questo si può vedere nella seguente conversazione tra Bodhidharma e l'Imperatore Wu-ti (502-549 d.C.) [39]:
L'Imperatore:"Fin dal mio insediamento, io ho costruito molti monasteri, ho copiato diverse sacre scritture e ho investito molti preti e monache. Quanto è grande il merito che mi è dovuto?"
Bodhidharma: "Assolutamente, nessun merito".
L'Imperatore: "Quale è la Nobile Verità nel suo senso più alto?"
Bodhidharma: "È tutto vuoto, non c’è nessuna nobiltà quale che sia".
L'Imperatore: "Allora, chi è colui che mi sta di fronte?"
Bodhidharma: "Io non lo so, Sire".
L'ultimo e più santo principio del buddhismo, secondo Bodhidharma, è la dottrina della vacuità. Signi-fica che tutte le cose, inclusi i meriti, la nobiltà, conoscitore e conoscenza, tutto è vacuità. È detto che Hung-jen, il quinto Patriarca che risiedeva a Chin-chou, fece un annuncio che a chiunque avesse potuto provare la sua totale comprensione del buddhismo sarebbe dato il manto patriarcale e sarebbe stato proclamato come suo successore. E’ dichiarato che Hui-neng ereditò il manto, facendo il poema seguente:
Non c'è affatto l’albero della Bodhi,
Né uno specchio lucente su cui esso stia.
Siccome tutte le cose sono vuote,
Dove mai può cadere la polvere?[40]
Questo poema suggerisce che l'insegnamento della vacuità è l'essenza del buddhismo Zen. Non solo si afferma che le passioni, i peccati e gli oggetti fisici sono vuoti, ma anche che l’illuminazione ed il sentiero spirituale per liberarsi delle illusioni sono vuoti. Benché lo Zen fu influenzato dall’idealismo Yogachara ed affermò che la mente è il Buddha[41], la cosiddetta mente, per alcuni buddhisti Zen è realmente vuota. L’insegnamento Zen della vacuità della mente è bene illustrato nella conversazione seguente fra Tao-kwang, un buddhista Yogachara, ed un maestro Zen:
Tao-kwang: "Con quale struttura di mente ci si dovrebbe disciplinare alla verità?"
Maestro Zen: "Non c'è nessuna mente da strutturare, né alcuna verità in cui essere disciplinati".
Tao-kwang: "Se non c'è nessuna mente da strutturare e nessuna verità in cui essere disciplinati, allora perché c’è una quotidiana adunata di monaci che studiano lo Zen e si stanno disciplinando alla verità?"
Maestro Zen: "Io non ho un dito di spazio da sprecare, e dove potrei avere un'adunata di monaci? E non ho nessuna lingua, come sarebbe possibile per me consigliare gli altri a venire qui?"
Tao-kwang: "Come puoi dire una simile bugia proprio davanti alla mia faccia?"
Maestro Zen: "Ma se io non ho nessuna lingua per dare consigli agli altri, come è possibile che io dica bugie?"
Tao-kwang: "Mi dispiace, ma non riesco a seguire il tuo ragionamento".
Maestro Zen: "Nemmeno io mi capisco…"[42].
Come il Madhyamika, il maestro Zen rifiutava di dare un valore ontologico a qualunque tipo di realtà mentale o non-mentale. Come menzionato in precedenza, nel buddhismo Madhyamika ci sono molti significati diversi della parola "vuoto" o "vacuità". Uno dei più importanti significati è la negazione totale della concettualizzazione. Per il Madhyamika, qualunque tentativo di usare concetti o sistemi concettuali per descrivere il vero stato delle cose comporta la contraddizione o l'assurdità, e quindi dovrebbe essere confutato. Lo Zen sembra accettare questo tipo insegnamento della vacuità e rifiuta di conseguenza qualunque modo di pensare concettuale. Così come il Madhyamika, il buddhismo Zen afferma che l’uomo è schiavo dei concetti, e che l’illuminazione significa essere liberati dal pensiero concettuale. L'intelletto sembra essere lo strumento utile per cercare la verità, ma in realtà esso è il peggior nemico dell'esperienza religiosa. Il maestro Zen Tsung Kao disse che "la concettualizzazione è un ostacolo mortale per gli yoghi Zen, più dannoso di serpenti velenosi o belve feroci... le persone intellettuali e brillanti dimorano sempre nella grotta della concettualizzazione; e in tutte le loro attività non riescono mai ad allontanarsene. Col passare di mesi ed anni loro sono sempre più sommerse in profondità in essa. Inconsciamente, la loro mente e la concettualizzazione diventano gradualmente un'unica cosa"[43]. Chiunque voglia realmente ottenere la salvezza dovrebbe eliminare ogni tipo di concettualizzazioni[44].
Per il Madhyamika, la negazione totale della concettualizzazione, significa il "non-pensiero" ed il "non-dimorare". Hui-neng ed i suoi seguaci sembrano seguire questo modello di insegnamento e applicano "il non-pensiero come principale dottrina, la non-forma come sostanza, e il non-dimorare come base. ... Non-pensiero significa non pensare, anche quando uno è coinvolto nel pensiero. Non-dimorare è la natura originale dell’uomo"[45]. Realizzare il "non-pensiero" e il "non-dimorare", in realtà significa comprendere che la vera natura delle cose è inintelligibile ed incomprensibile, e significa non usare le varie asserzioni verbali e scritte per dipingere la realtà.
Come il Madhyamika, il buddhismo Zen usa le parole "vuoto" e "vacuità" non come nomi descrittivi che si riferiscono ad una qualche realtà, ma soltanto come un'abile e adeguato mezzo per purificare la propria mente, così che si possa davvero essere "vuoti" di illusioni e passioni. Tao-chien chiese al Maestro Fa-yen: "La Vacuità contiene i sei fenomeni?" Il Maestro rispose: "E’ vuota". E Tao-chien fu immediatamente risvegliato. Dopo che lui si fu inchinato per esprimere la sua sincera gratitudine, il Maestro gli chiese, "Com’è l’illuminazione?" E Tao-chien rispose: "Vuota" [46]. Qui, la parola "Vuoto" o "Vacuità" compie la funzione di bloccare qualunque ulteriore ricerca intellettuale, risvegliando così il praticante a se stesso.
L'accettazione di ‘Shunyata’ da parte dello Zen come la totale negazione di una qualsiasi speculazione intellettuale e come un metodo soteriologico per purificare la mente di una persona sembra portare i buddhisti Zen a sviluppare un approccio non-speculativo per il conseguimento dell’illuminazione. Poi, sembra anche che li porti ad enfatizzare la pratica piuttosto che l’aspetto puramente teorico di una religione. Perché, quando gli uomini scoprono che tutti i ragionamenti intellettuali o concettuali sono realmente incomprensibili e che la speculazione teorica non può dare una vera saggezza, essi si sentono portati a intraprendere una via "non-intellettuale" per ottenere la salvezza e ad essere pratici e non più teorici nel trattare con i problemi religiosi. Infatti, i maestri Cinesi San-lun considerarono Nagarjuna più spesso come un uomo di meditazione (dhyana, chan), che non un uomo di intelletto. Quindi, non sorprende che Nagarjuna fosse in seguito accettato come un patriarca dai buddhisti Zen. Questo sembra spiegare la preferenza dei buddhisti Zen per la pratica della meditazione piuttosto che una comprensione concettuale del Dharma del Buddha, ed i loro insegnamenti sembrano essere a volte "non-razionali" e perfino "anti-intellettuali'.'
Quando si studia la storia del buddhismo, si può trovare che molti buddhisti deificarono il Buddha e resero mitologici i suoi insegnamenti. Tuttora, oggi molti buddhisti pensano a lui come un essere ultra-terreno e trascendente e gli danno uno speciale ‘status’ ontologico. Per essi, il termine "Buddha" o "Tathagata" denota e si riferisce all'essenza assoluta (o divinità) che è la Realtà Ultima, o un Dio da adorare come persona[47]. Ma il Madhyamika considerò questo fatto come un travisamento dello stesso insegnamento del Buddha. La loro dottrina della vacuità è il rifiuto di dare un valore ontologico a qualsiasi cosa, perfino al Buddha. Il Madhyamika cerca di eliminare tutte le speculazioni teologiche e filosofiche del buddhismo come visioni erronee o estreme[48]. Questo insegnamento della vacuità sembra aver esercitato una certa influenza sullo sviluppo della prospettiva Zen del Buddha. E come il Madhyamika, i buddhisti Zen non deificano il Buddha né propongono alcun speciale ‘status’ ontologico al Buddha. Per esempio, quando Buddha Gautama nacque, si dice che egli proclamò, "Sopra nei cieli e sotto il cielo, io solo sono l’Onorevole!" Il maestro Zen Yun-men (? - 966 d.C.) commentò questa storia dicendo "Se io fossi stato lì nel momento in cui egli emise ciò, di certo l'avrei colpito a morte con un colpo di bastone ed avrei gettato il cadavere nella tana di un cane affamato" [49]. Altri buddhisti Zen lo considerarono nulla più di "un bastone per lo sterco secco"[50], oppure "tre libbre di lino"[51]. Qualcuno disse perfino, "Quando incontri il Buddha, uccidi il Buddha; quando incontri il Patriarca, uccidi il Patriarca"[52].
I maestri Zen seguono il Madhyamika anche per non permettere a se stessi di attaccarsi al Buddha e al buddhismo. Sembra che l'unica differenza principale tra Madhyamika e Zen riguardo a questo, è che il primo usava strumenti logici e presentava argomenti per dimostrare che tutte le teorie speculative sono inintelligibili e dovrebbero essere rifiutate[53], mentre il secondo non si coinvolse in argomenti ma semplicemente accettò la conclusione dei ragionamenti del Madhyamika e li mise in pratica.
V°)- VIA DI MEZZO E ZEN
Secondo il Madhyamika, la ragione per rifiutare tutte le teorie speculative non è semplicemente che la mente delle persone può soggettivamente essere ingannata da concetti o speculazioni astratte, ma anche che obiettivamente, tutti i modi concettuali di pensare sono estremamente dualistici e portano a contraddizioni o assurdità. La Via di Mezzo è un idoneo strumento per confutare i modi di pensare dualistici. Essa sostiene che è sbagliato asserire che qualcosa sia così e così, ed è sbagliato asserire anche che qualcosa non sia così e così. Per evitare tutte le visioni erronee, uno dovrebbe adottare la Via di Mezzo ed evitare i modi di ragionare che stabiliscono che qualcosa "è", o "non è". Ed è assai probabile che per l'influenza dell’insegnamento Madhyamika della Via di Mezzo, i buddhisti Zen hanno rifiutato il modo di pensare dualistico attraverso la negazione di ogni concettualizzazione. E in effetti, i buddhisti Zen parafrasarono l'asserzione del Madhyamika perfino nell'esaminare il modo dualistico di pensare. Per esempio, Hui-neng fece la seguente asserzione per negare il concetto di "è" e "non è":
“La vera natura di un evento non ha in sé né permanenza, né impermanenza;
Né arrivo, né partenza; né esterno, né interno; né originazione e né estinzione”[54].
Questo rifiuto delle idee dicotomiche di permanenza ed impermanenza, arrivo e partenza, esterno ed interno, e originazione ed estinzione, come marchi essenziali di qualsiasi cosa, è pressoché identico all’asserzione dell’Ottuplice Negazione della Via di Mezzo di Nagarjuna: essi non soltanto sono simili l'un l'altro nello spirito filosofico ma perfino nei termini. Come l’Ottuplice Negazione del Madhyamika, la negazione dello Zen non comprende soltanto otto negazioni, ma la negazione totale di tutte le visioni. I buddhisti Zen applicarono assai più che le otto-negazioni[55]. Il processo di negazione non è completo finché tutti gli attaccamenti intellettuali ed emotivi non siano espiantati dalla mente. Quindi, la Via di Mezzo per lo Zen, come pure per il Madhyamika, è un metodo per svuotare la mente. Esso aiuta le persone a non rimanere attaccate ad ogni cosa, inclusa la stessa Vacuità. Fa-yung disse: "Non dimorare nell'estremo del Vuoto, ma illumina il non-essere nell'essere. Non essere in errore con il Vuoto né con l’essere. Vuoto ed essere non si devono concepire come due. Ecco cos’è la Via di Mezzo"[56].
Secondo il Madhyamika, tutte le asserzioni verbali sono espressioni del modo di pensare dualistico e comportano contraddizioni e assurdità. Eppure, il Buddha fece alcune asserzioni verbali per aiutare gli esseri senzienti a conoscere il suo messaggio e poter così ottenere l’illuminazione. Quindi, ciò che in realtà è contraddittorio o assurdo può funzionare come un "buon-mezzo-abile" per aiutare le persone nel conseguimento dell’illuminazione. La dottrina Madhyamika della vacuità e della Via di Mezzo è in grado di mostrare questa "paradossale" natura delle tecniche usate dal Buddha nei suoi insegnamenti e pratiche. Essa può aver ispirato i maestri Zen ad impiegare certe "incoerenti", "insensate", "triviali" o perfino "ridicole" asserzioni per esporre la loro comprensione del buddhismo o per risvegliare i loro discepoli allo Zen. Per esempio, quando Tung-shan chiese a Pen-chi: "Qual’ è il tuo nome, monaco?" La concisa replica fu "Pen-chi". Tung-shan disse ancora: "Dì qualcosa di più". E la risposta fu, "No!". Tung-shan perseverò, "Perché no?" La risposta fu, "Il mio nome non è Pen-chi"[57]. Un ulteriore esempio: ‘Un monaco chiese a Chao-chou (778-896 d.C.), "Tutte le cose ritornano all'unità. Dove ritorna l'unità?" Chao-chou rispose: "Quando io stavo a Chin-chou, feci un manto di stoffa che pesava sette libbre"[58]. Avete visto come sono illogiche le risposte di Pen-chi e di Chao-chou! Sembrano essere fuori dalla ragione. Ma la letteratura Zen abbonda di simili "irrazionalità"[59].
Questo approccio può confondere e perfino scioccare molti studenti di buddhismo. Ma per lo Zen, così come per il Madhyamika, tutte le istruzioni e le tecniche sono vuote. Le cosiddette risposte "logiche" o "razionali", se viste da un punto di vista più elevato, in realtà sono altrettanto "contraddittorie" ed "assurde" quanto quelle asserzioni che sembrano essere illogiche o irrazionali. Le prime possono essere utili, e allora perché non anche le altre? Dopo tutto, esse sono semplicemente dei ‘mezzi-abili’ per aiutare le persone a raggiungere l’illuminazione e alla fine dovranno tutte essere dichiarate inutili e scartate. Invero, fare una chiara distinzione fra "logico" e "illogico", o "razionale" e "irrazionale", è un modo di pensare dualistico e dovrebbe essere eliminato. Ecco la spiegazione del perché lo Zen ha apparentemente un aspetto così illogico ed irrazionale.
I buddhisti Zen non dovrebbero avere alcuna posizione "estrema" o determinata; per essi, non vi è alcun definito metodo ed istruzione da seguire. I grandi maestri Zen, nell'esprimersi e nell'istruire i loro discepoli, raramente si infilarono in un qualche modello "fisso". Spesso esaurirono ogni possibile mezzo, inclusi atti "non convenzionali" e "drammatici", come gridare, scalciare, colpire e rimanere in silenzio, per illuminare le persone. Le loro esperienze religiose sembrano suggerire che quelle azioni potessero essere il miglior modo di liberare gli umani dall’illusione. Lo scopo dell’illuminazione o salvezza può essere realizzato in molti modi diversi. Può essere fatto perfino senza alcuna istruzione "formale" o disciplina religiosa "convenzionale"[60]. Siccome tutte le cose sono ugualmente vuote, qualunque evento può essere una "giusta occasione" per risvegliarsi, se la mente di uno è matura per il momento finale. Uno può avere l’illuminazione (wu, satori) perfino nell'ascoltare un commento insensato, o nel sentire un suono inarticolato, o nel vedere un albero crescere, o in un evento banale come bere il tè, aprire una porta o leggere un libro. Questa pratica dello Zen incarna realmente le conclusioni del buddhismo Madhyamika, anche se le premesse non sono state mai affermate. Indica che il Madhyamika afferma che tutte le cose sono prive di una definita natura, carattere e funzione, e quindi sostiene che ognuno può essere risvegliato da qualsiasi evento in qualsiasi situazione, ed è libero di usare qualunque stile di discutere la verità e di impiegare qualunque modo di raggiungere la salvezza. In questo aspetto, lo Zen è l’applicazione pratica del pensiero Madhyamika.
VI°) - DUPLICE VERITÀ E ZEN
Secondo il Madhyamika, il suo insegnamento dovrebbe essere capito per mezzo della duplice verità. La cosiddetta ‘duplice-verità’ è un termine adeguato per due differenti punti di vista, cioè (a) il punto di vista ordinario (verità relativa o mondana) e (b) il punto di vista più alto (verità ultima o assoluta). Il primo è quando si vedono le cose dal punto di vista di ciò che è ingannato dall’ignoranza, illusione e pregiudizio, mentre il secondo è quando le cose sono viste dal punto di vista di ciò che trascende illusioni e passioni. A tal riguardo, la posizione (a) è quella delle persone comuni e non illuminate, e la (b) è quella delle persone illuminate. Questo insegnamento sembra esser stato ben assimilato nello Zen. I maestri Zen si esprimono spesso tramite la duplice verità. Si ritiene che le loro pratiche ed i loro insegnamenti possano essere conosciuti da due diversi punti di vista. Se si capisce questo, allora molti dei loro "paradossali termini e strane azioni" (chi-yen chi-hsing) in realtà non sembrerebbero così "incomprensibili" come si crede. Esaminiamo i casi seguenti:
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(1) Un monaco chiese al sesto Patriarca: "Chi è che ha ottenuto i segreti di Haung-mei [Yellow Plum, Susino Giallo, il nome della montagna dove risiedeva il Patriarca]"?
Il sesto Patriarca rispose: "Colui che comprende il buddhismo ha ottenuto i segreti di Huang-mei".
Il monaco chiese: "E allora, tu li hai ottenuti"?
Il maestro rispose: "No, io no".
Il monaco chiese: "Come mai tu non li hai ottenuti"?
Il maestro disse: "Io non capisco il buddhismo".
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(2) il sesto Patriarca colpì Shen-hui con un bastone e chiese: "Senti il dolore?"
Shen-hui rispose: "Io sento il dolore e non lo sento ".
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(3) Il maestro disse: "Io ho una cosa che non ha capo né coda, non ha nome né parole, e né fronte né retro. Chi è che sa che cosa è"?
Shen-hui affermò: "Quella è l'essenza del Buddha, la mia Buddhità"[61].
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Quando è vista dal punto di vista ordinario, il patriarca doveva essere colui che aveva capito la vera essenza del buddhismo. Siccome Hui-neng divenne il sesto Patriarca, lui doveva conoscere il buddhismo ed aveva ottenuto i segreti di Huang-mei; altrimenti, come sarebbe stato nominato come successore dal quinto Patriarca? Ma quando le cose sono viste dal punto di vista più alto, esse sono tutte vuote, incluso il buddhismo ed i segreti di Huang-mei. Ecco perché Hui-neng affermò che lui non capìva il buddhismo. Quando veniamo colpiti, di solito noi sentiamo dolore. Tuttavia, il cosi definito dolore e il sentire un dolore, sono realmente vacuità. Perciò Shen-hui si espresse attraverso la duplice verità dicendo, "io sento il dolore, e non lo sento". La credenza ordinaria è che qualsiasi cosa possa essere concepita come esistente debba avere certe caratteristiche o marchi, come testa, coda, fronte, retro, nome e forma. Eppure, tutte le cose, quando esaminate dal punto di vista più alto, sono "vuote e prive di caratteristiche" (chen kung wu hsiang). Nel caso (3), le espressioni di Hui-neng e di Shen-hui furono date da questa posizione. Così, lo Zen non si può comprendere se non si comprende bene la dottrina della Duplice Verità.
In realtà, molti paradossi dello Zen sono applicazioni pratiche della dottrina Madhyamika della Duplice Verità. Lo scopo di queste applicazioni è di risvegliare le persone. Quindi, se possono aiutare le persone a trovare l’illuminazione, non importa in che modo vengano asserite, le espressioni verbali di questi paradossi possono essere accettate come "vere". Perché, secondo lo Zen ed il Madhyamika, la cosiddetta ‘verità’ ha un carattere pragmatico; ed il loro valore di verità risiede nella loro efficacia come mezzi per il Nirvana.
Così come il Madhyamika, anche il buddhismo Zen sostiene che la Duplice Verità non significa che vi siano due tipi fissi di verità, ma essa rappresenta i vari livelli di maturità spirituale. Il muoversi dal basso verso l’alto è un progresso spirituale dallo stato non illuminato a quello illuminato. Uno può realizzare l’illuminazione istantanea, ma ad altri possono occorrere molti passi per raggiungere questa mèta. Sembra anche che il buddhismo Zen usi l'idea Madhyamika della "Via di Mezzo della Duplice Verità" o la "Duplice Verità su tre livelli" per spiegare i diversi stadi della crescita spirituale. Questo può essere visto nella seguente famosa asserzione espressa da Ch'ing-yuan (? - 740 d.C.): "Prima che io studiassi per trenta anni lo Zen, io consideravo le montagne come montagne, ed i fiumi come fiumi. Quando arrivai ad una conoscenza più intima, giunsi al punto in cui vidi che le montagne non sono montagne, ed i fiumi non sono fiumi. Ma ora che ho colto la sua vera sostanza, io sono in pace. Perciò è giusto che io ancora una volta consideri le montagne come montagne, ed ancora una volta i fiumi come fiumi"[62].
Così come Chi-tsang, anche Ch'ing-yuan divise il processo di illuminazione in tre livelli. Nel primo, le persone ordinarie accettano e credono che qualunque cosa percepita dai loro sensi sia vera e reale. Ingenuamente, le montagne sono proprio montagne. Ma questa visione naïf è erronea e dovrebbe essere confutata. Perche, in realtà, le montagne non sono semplicemente montagne, il vero stato delle cose non può essere identificato con le apparenze dei sensi. Questa negazione potrebbe portare al rifiuto in cui non vi sono affatto montagne né fiumi. La dottrina della vacuità così sarebbe fraintesa come nichilismo e scetticismo. Perciò, si dovrebbe andare oltre questi due livelli e prendere la giusta posizione della Via di Mezzo rifiutando le visioni estreme (il realismo naïf ed il nichilismo scettico). Da questo punto di vista più alto, uno vede ancora le "stesse cose'', però senza inganni e passioni, e può realizzare la loro vera natura, ed è in questo senso che, ‘le montagne sono considerate ancora una volta montagne ed i fiumi ancora una volta come fiumi’.
Secondo il Madhyamika, la scala dell’illuminazione non è limitata a tre soli livelli. Ed anche, uno non necessariamente deve percorrere molti passi per ottenere l’illuminazione. Anzi, è possibile e perfino vantaggioso se uno può vedere che tutte le cose sono vuote, sapendo solamente che una sola cosa è vuota. L'asserzione iniziale di molti capitoli del Trattato dei Dodici Ingressi è che "Tutte le cose sono vuote. Perché? Perché questa data cosa, x, è vuota" [63]. Questo implica che se una è vuota, tutte dovrebbero essere vuote. Quindi, la maggior parte dei capitoli del trattato finiscono con l’asserire che siccome ‘x’ è vuota, tutte le cose create sono vuote. Siccome le cose create sono vuote, tutte le cose non-create sono pure vuote. Quindi, poiché le cose create e quelle e non-create sono vuote, allora anche il ‘sé’ è vuoto (perciò, tutte le cose sono vuote in modo ultimo)"[64]. Alcuni buddhisti Zen sostengono, così come il Madhyamika, che uno può dover superare più di tre livelli per realizzare la natura vuota delle cose[65]. Ma essi credono anche che uno possa realizzare ‘improvvisamente’ l’illuminazione senza dover passare attraverso i vari stadi o livelli. Ciò che caratterizza lo Zen (chan) di Hui-neng è il fatto che il satori (wu) arriva in modo improvviso. Se è riconosciuta la vacuità anche di un piccola cosa, si comprenderebbe la vacuità di tutte le cose[66].
In realtà, poiché tutte le cose sono vuote, secondo i buddhisti Zen si potrebbe non dover praticare nulla, nemmeno per ottenere verità e illuminazione. È detto che Shen-hui una volta chiese al sesto Patriarca, "Tramite quale pratica si dovrebbe operare per non precipitare dentro 'una categoria'?" Il sesto Patriarca rispose, "Che cosa stai facendo?" Shen-hui rispose, "Io non pratico nemmeno il Santo Dharma!"- Hui-neng: "In questo caso, a quale categoria appartiene?"- Shen-hui: "Se perfino il Sacro Dharma non esiste, così come può esserci una qualche categoria?".- Quindi, anche il buddhismo Zen, come il Madhyamika, sostiene che le verità sono soltanto meri ‘mezzi-abili’ per mostrare la vacuità delle cose, ed in realtà anche esse sono vuote ed alla fine dovrebbero essere tralasciate.
Alla fin fine, nessuna pretesa di verità dovrebbe essere fatta e nessuna parola dovrebbe essere detta. Chao-chou (778-897 d.C.) chiese al suo Maestro Nan-ch'uan (748-834 d.C.), "Puoi dirmi, per favore, cos’è ciò che va oltre le quattro alternative e le cento negazioni?". Nan-ch'uan non rispose, ma se ne andò nella sua stanza[67]. Yang-shan (814-890 d.C.) chiese al Maestro Kuei-shan (771-853 d.C.), "Quando la grande azione sta avendo luogo, come la determini?'' Immediatamente il Maestro Kuei-shan venne giù dal suo posto ed andò in camera sua. Yang-shan lo seguì ed entrò nella stanza. Kuei-shan gli disse, "Cos’era che mi avevi chiesto?" Yang-shan ripetè la domanda. Kuei-shan disse, "Non ti ricordi la mia risposta?" Yang-shan rispose, "Sì, la ricordo". Allora Kuei-shan lo pressò: "Beh, cerca di dirmela". Yang-shan immediatamente lasciò la stanza[68]. Queste storie sembrano mostrare che per lo Zen la ‘verità ultima’ è indescrivibile ed inspiegabile; il silenzio è la vera risposta alle domande fatte sul Dharma. Eppure, questi stessi maestri Zen spesso "parlarono". Essi esposero il Dharma ai loro discepoli e li esortarono anche a studiare parole scritte, come i kung-an [69]. Come potevano essere "silenziosi" e "aperti" allo stesso tempo? Sembra che i maestri Zen potessero farlo per mezzo della Duplice Verità. Dalla posizione trascendente, ci si deve mantenere silenziosi su tutto, inclusi i più importanti problemi della sofferenza, la sua origine, la sua cessazione, ed il Sentiero che conduce alla sua cessazione. Il Trattato dei Dodici Ingressi afferma che quando qualcuno chiese al Buddha se, "la sofferenza nasce da se stessa?", il Buddha rimase silenzioso e non rispose. Alla ulteriore domanda, "Maestro! Se la sofferenza non nasce da se stessa, allora è prodotta da altro?" Il Buddha di nuovo non rispose. Ed ancora, "Maestro! È prodotta da se stessa e da altro?" Il Buddha rimase silenzioso. "Maestro! Allora non è prodotta da nessuna causa?" E ancora il Buddha non rispose. Così come il Buddha che non rispose a queste domande, uno dovrebbe sapere solo che tutte le cose sono vuote [70]. Questa idea Madhyamika del silenzio del Buddha sembra incoraggiare i buddhisti Zen a voler enfatizzare "una speciale trasmissione aldifuori delle scritture; senza dipendenza da parole e lettere" [71]. Essa offre loro la saggezza (prajna) per restare in silenzio. Malgrado ciò, l’insegnamento della Vacuità del Madhyamika come Duplice Verità, esorta i buddhisti Zen ad usare parole e concetti per spiegare il Dharma del Buddha, così che tutti gli esseri senzienti che hanno una conoscenza soltanto discorsiva possano essere risvegliati alla verità del buddhismo. Ed anche li rende abili nell’esporre la loro compassione (karuna) e vivere simultaneamente in mondi trascendenti e mondi condizionati così come ad amare ugualmente se stessi e tutti gli altri. Perciò, grazie alla loro saggezza e compassione, i maestri Zen possono dare insegnamenti e pratiche apparentemente "incoerenti" o "paradossali".
VII°) - CONFUTAZIONE DI VISIONI ERRONEE, ILLUMINAZIONE DI VISIONI CORRETTE, E ZEN.-
Il Madhyamika affermò di non sostenere alcuna visione, e ciò che esso stava facendo era proprio di esaminare le teorie degli oppositori e mettere in mostra la loro fallacia. I cosiddetti termini "giusto" e "sbagliato", o "vero" e "falso", in realtà, sono ugualmente vuoti. Per il Madhyamika, la confutazione di visioni erronee e l'illuminazione di visioni corrette non sono due cose diverse ma la stessa ed unica cosa; negare le visioni erronee non richiede lo sviluppo di una "nuova visione", ma solo il rifiuto di tutte le visioni, poiché tutte le visioni sono unilaterali e quindi erronee. Nel seguire questo modello di insegnamenti, Hui-neng e gli altri buddhisti Zen sostengono che: "giusto" è "ciò che è senza nessuna visione"[72] e "sbagliato" è "ciò che è con qualunque visione"[73]. Eliminare le visioni erronee è proprio mostrare la ‘corretta visione’. Come il Madhyamika, i buddhisti Zen affermarono che in realtà non ci sono entità così definite, come correttezza, ingiustizia, bontà o cattiveria. Essi concludevano che non si dovrebbe pensare né al bene e né al male, e che non si dovrebbe cercare di fare il bene, né di evitare il male. Un vero buddhista è colui che conosce la vacuità di tutte le valutazioni e va oltre "vero" e "falso", e "corretto" e "sbagliato"[74].
Hui-neng ed i suoi seguaci sembrano usare l’insegnamento Madhyamika della confutazione di visioni erronee come 'illuminazione di visioni corrette’ per dibattere la relazione tra meditazione e saggezza. Secondo loro, la meditazione è uno strumento per eliminare tutte le visioni erronee e la saggezza, che si suppone illumini le visioni corrette, è un termine realmente utile per far funzionare il metodo. Mantenersi in meditazione significa ottenere la saggezza, ed avere la saggezza significa confutare le visioni erronee. Quindi meditazione e saggezza non sono due cose separate, ma un’unica e sola cosa. Perciò, le persone non dovrebbero enfatizzare l'importanza della meditazione a spese della saggezza. Né dovrebbero sottolineare l'importanza della saggezza a spese della meditazione[75]. L'essenziale della meditazione, secondo Hui-neng, non è sedere a gambe incrociate, ma liberarsi dalle illusioni e dalle passioni. Egli una volta rimarcò, "Mentre si è vivi, ci si siede e non si giace; quando si è morti, si giace e non ci si siede; Una lunga fila di cadaveri maleodoranti! A che serve, dunque, affaticarsi così come stupidi muli?"[76] Una volta che la propria mente è purificata, della cosiddetta ‘meditazione e saggezza’ non ce ne sarebbe più bisogno. Quindi lo Zen può ripudiare perfino lo Zen (cioè il dhyana, ch’an, meditazione).
Vi sono molti altri insegnamenti paralleli tra Zen e Madhyamika. In ogni modo, ciò che è stato qui affermato è sufficiente per mostrare la grande estensione dell'influenza del Madhyamika sullo Zen. Sembra che i buddhisti Zen seguissero la filosofia San-lun del Madhyamika ed ebbero principalmente la dottrina San-lun come la maggior base filosofica nella loro creazione e sviluppo della religione Zen. Se uno riesce a vedere questo, scoprirà che il buddhismo Zen in realtà non è così incomprensibile ed illogico come a prima vista appare.
(*Questo articolo fu pubblicato in precedenza con il titolo "Zen e Pensiero Madhyamika San-lun: Esplorando la Base Teorica degli Insegnamenti e Pratiche dello Zen" in Religious Studies, XV (Sept., 1979), pp. 345-363. Si ringrazia la Cambridge University Press per il permesso di poterlo pubblicare con una minima revisione).
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NOTE
1. per lo sviluppo del buddhismo Madhyamika in India, vedi T. R. V. Murti, La Filosofia Centrale del buddhismo, Londra, Allen ed Unwin, 1970, pp.55-103. (per l’Italia, Casa Ed. Ubaldini, Roma)
2. per l'introduzione del buddhismo Madhyamika in Cina, vedi Richard Robinson, Early Maadhyamika in India and China, Madison, University of Wisconsin Press, 1967, pp.71-173.
3. il Chung-lun[u] (Taisho 1564, vol. 30) fu tradotto da Kumarajiva nel 409 d.C. dal 'Madhyamikashastra’ ora perduto. I versi principali furono dati da Nagarjuna, ed il suo commentario fu offerto da Pingala. Questo trattato non esiste nel originale Sanskrito né nella traduzione tibetana. Nella sua prefazione al trattato, Seng-jui affermò che il trattato ha 500 versi, ma in effetti esso ha solamente 445 versi.
4. il Shih-erh-men-lun[v] (Taisho 1568, vol. 30) fu anche tradotto da Kumaarajiva nel 408-409 d.C.. dal Dvadasa-dvaara`shastra, ora perduto. I versi principali e il commentario, furono dati da Nagarjuna. Non esiste nel Sanskrito originale né vi è alcuna traduzione tibetana.
5. il Pai-lun[w] (Taisho 1569, vol. 30) fu tradotto da Kumaarajiiva nel 404 d.C. dal ` Satashastra. I suoi versi principali furono dati da Aryadeva ed il suo commentario fu dato da Vasu.
6. a me sembra che il buddhismo Zen sia stato influenzato anche dal Confucianesimo, il Tien-tai ed il buddhismo Hwa-Yen. Comunque, la discussione particolareggiata di questo è oltre lo scopo di questo saggio. Qui, ciò che io voglio dire è che creazione e sviluppo degli insegnamenti e pratiche Zen sono molto dovuti al Madhyamika. Per il possibile impatto degli insegnamenti Tien-tai e Hwa-Yen sullo Zen, vedi Chang Chung-yuan, Insegnamenti Originali di Buddhismo Ch'an, New York che Vintage Books, 1971, pp. 230 and 270.
7. vedi Chang Chung-yuan, Ibid., pp. 4-5, 10 e 43. Vedi anche Heinrich Dumoulin, Storia del buddhismo Zen (New York: Pantheon Books, 1963), pp. 70, 81and 117; Garma CC. Chang, La Pratica dello Zen. New York, Harper & Row, 1970, pp. 171-174. Chang Chung-yuan scrisse: "Il vero significato di Shunyata, o k'ung, è ontologico. Esso è la realtà assoluta... " Ibid.. p. 43.
8. vedi D. T. Suzuki, Introduzione al buddhismo Zen New York, Grove Press, 1964, pp. 58-65.
9. il Buddacharita. Testo Sanskrito, ed. da E. H. Johnson, Calcutta, Baptist Mission Press, 1935, pp. 140-142.
10. Ibid.
11. Questa è l'asserzione di apertura del Trattato Medio.
12. Vedi Junjiro Takakusu, The Essentials of Buddhist Philosophy, ed.,Wing-tsit Chan and Charles A. Moore, Honolulu, University of Hawaii Press, 1956, pp.103-104.
13. Il Trattato Medio XIII: 9.
14. Ibid., XXIV: 18.
15. Ibid., XVIII: 7.
16. Ibid., XXIII: 8.
17. Ibid., XIV: 8; il Trattato dei Dodici Ingressi, VIII.
18. Molti studiosi contemporanei del Madhyamika sostengono questa visione. Per esempio, H. Kern affermò, che il pensiero Madhyamika è "puro e completo nichilismo" Manuale della Filosofia indiana, Strassbury K. J. Trubner, 1896 p. 126. A. B. Keith prese la posizione che "Nel Madhyamika... la verità assoluta è il negativismo o dottrina della vacuità", e disputò che per Nagarjuna, l'universo è un "assoluto nulla", Buddhist Philosophy in India and Ceylon (Oxford: The Clarendon Press, 1923), pp. 235 and 261.. Recentemente Narain Aspro ha riaffermato questa interpretazione del Madhyamika: "[La filosofia del Madhyamika] è un nichilismo assoluto piuttosto che una forma di "assolutismo o monismo assolutistico","`Suunyavaada: A Reinterpretation in Philosophy East and West, XIII, 4, January, 1964, p. 311.
19. Il Trattato Medio XIV: 9; il Trattato dei Dodici Ingressi, VIII.
20. Vedi T. R. V. Murti, "Samvrti e Paramartha in Madhyamika ed Advaita Vedanta", Il Problema delle Due Verità nel buddhismo e Vedanta. ed., Mervyn Sprung, Boston, D. Reidel Publishing Società, 1973, pp. 9-26.
21. Vedi Mervyn Sprung, "La Dottrina del Madhyamika delle Due Realtà come Metafisica" Ibid., pp. 40-53.
22. Studiosi come S. Radhakrishnan, Th. Stcherbalsky, Edward J. Thomas, R. A. Gard, P. F. Casey, T. R. V. Murti e H. N. Chatterjee sostengono questa visione. Per esempio, Murti affermò che non c'è ragione di scegliere il Madhyamika come specialmente nichilistico. Altrimenti, la sua è una forma assai costante di assolutismo": La Filosofia Centrale del buddhismo, p. 234,
23. Il Trattato Medio XIII: 8, e XXII: 11.
24. Ibid., XIII: 8-9.
25. Chi-tsang, Il Significato della Duplice verità; Taisho 1854, pp. 90-91.
26. Ibid
27. Chi-tsang, Il Significato Profondo dei Tre Trattati; Taisho 1852.
28. Ibid.
29. Il Trattato Medio XXIV: 10; Trattato dei Dodici Ingressi, VIII.
30. Chi-tsang, Il Significato della Duplice verità, pp. 79e e 81c.
31. Ibid., pp. 78c, 81 e 82;the Trattato Medio, XVIII: 8.
32. Ibid., pp. 95 e 97.
33. Ibid., pp. 88c, 94, 107, 108, 109 e 114b.
34. Ibid., pp. 83a, 107c e 114.
35. Ibid.. il pp. 104b e 107a.
36. Chi-tsang, Il Significato Profondo di Tre Trattati
37. Ibid., p. 6.
38. Ibid.
39. Vedi Junjiro Takakusu, op. cit., p. 159; ed anche D. T. Suzuki, buddhismo Zen, New York Doubleday, 1956 ed., William Barrett, p. 64.
40. Sutra declamato sul Picco Alto dal sesto Patriarca del Tesoro della Legge (anche chiamato Il Sutra di Hui-neng), trad. dal cinese in inglese da Wong Mou-lan, Hong Kong, H. K. Buddhist Book Distributor Press, p. 18.
41. Heinrich Dumoulin, The Development of Chinese Zen, New York, The First Zen Institute of America Inc. 1953, trad dal tedesco con note supplementari ed appendici di Ruth Fuller Sasaki, pp. 10, 53-55.
42. D. T. Suzuki, op. cit., p. 57. Vedi anche Heinrich Dumoulin, Ibid., pp. 11, 55 e 57.
43. Garma C. C. Chang, op. cit., p. 86.
44. Huang-po disse, "Se soltanto saprete liberare voi stessi dal pensiero concettuale, avrete realizzato tutto. Ma se voi, studenti della Via, non vi libererete del pensiero concettuale in un lampo, anche se vi sforzaste per eoni ed eoni, non lo realizzerete mai." John Blofeld, Zen Teaching of Huang Po, New York Grove Press, 1958 p. 33.
45. Wm. Theodore de Bary, The Buddhist Tradition in India, China and Japan, New York, Modern Library, 1969, p. 219.
46. Chang Chung-yuan, Ibid., pp. 230-231.
47. Vedi Hsueh-li Cheng "The Problem of God in Buddhism", The Theosophist, Vol. 98, No. 9, June, 1977, pp. 98-108
48. Ibid., pp. 102-105; vedi anche Hsueh-li Cheng, "Nagarjuna's Approach to the Problem of the Existence of God," Religious Studies, Cambridge University Press, June, 1976, No. 12, pp. 207-216.
49. D. T. Suzuki, Introduzione al buddhismo Zen p. 40.
50. "Cos’è il Buddha? " "Un bastone per lo sterco secco" Garma C. C. Chang, op. cit., p. 21.
51. "Chi è il Buddha?" "Tre libbre di lino." Ibid., p. 71.
52. Chang Chung-yuan, Ibid., p. 143.
53. L’affermazione che tutte le cose sono vuote qui vuole dire che tutte le visioni sono inintelligibili.
54. Il Sutra di Hui-neng. p. 39.
55. Ibid.. p. 45.
56. Chang Chung-yuan, Ibid., pp. 7 e 24.
57. Th. de Bary, The Buddhist Tradition in India, China and Japan, New York, Modern Library, 1969, p. 232.
58. Vedi Dumoulin, op. cit.. il pp. 12 e 60.
59. Per altri esempi, vedi Chang Chung-yuan, Ibid.. il pp. 271-273.
60. Si dice che Hui-neng abbia dichiarato di essere un analfabeta illiterato; vedi Il Sutra di Hui-neng
61. Ibid.. p. 33.
62. Vedi Ching-te-ch'uan-teng-lu (Record della Trasmissione della Lampada); Taisho 2076 vol. 30. Vedi anche Chang Chung-yuan, Ibid.. il pp. 189-190.
63. Il Trattato dei Dodici Ingressi.
64. Ibid., IV.
65. Heinrich Dumoulin, op. cit.. il pp. 22-23.
66. Il Sutra di Hui-neng, p. 36.
67. Chang Chung-yuan, Ibid.. p. 139.
68. Ibid., p. 197.
69. Ibid.
70. Il Trattato dei Dodici Ingressi, X.
71. D. T. Suzuki, op. cit., p. 61. Vedi anche Heinrich Dumoulin, Storia del Buddhismo Zen, p.67.
72. Il Sutra di Hui-neng, p. 26.
73. Ibid.
74. Ibid., pp. 6, 12 e 38.
75. Hui-neng disse, "Dotto pubblico, a cosa meditazione e saggezza sono analoghe? Esse sono analoghe ad una lampada e la sua luce. Con la lampada, c’è luce. Senza di essa vi sarebbe l’oscurità. La lampada è la quintessenza della luce e la luce è l'espressione della lampada. Esse, nel nome sono due cose, ma in sostanza sono la stessa cosa. È lo stesso caso con meditazione e saggezza". Ibid., pp.16-167.
76. Ibid., p. 35. Un monaco, Ma-tsu, ogni giorno usava sedere a gambe incrociate meditando. Il suo maestro, Nan-yueh Huai-jang (677-744 d.C..), lo vide e chiese: "Che stai cercando così seduto qui a gambe incrociate?"
Ma-tsu rispose: "Il mio desiderio è divenire un Buddha". Quindi il maestro prese un mattone e cominciò a sfregarlo duramente su una pietra vicina. "Che stai facendo, maestro?" chiese Ma-tsu. "Sto cercando di trasfor-mare questo mattone in uno specchio''. "Ma, è impossibile fare di un mattone uno specchio, mio signore". "In tal caso, neanche il tuo sedere a gambe incrociate potrà mai fare di te un Buddha", disse il maestro. "E allora, cosa devo fare?"- "È come quando si guida un carro; per farlo muovere, tu chi frusti, il carro o il bue?". A quel punto, Ma-tsu non parlò più. Il maestro continuò: "Praticherai questa seduta a gambe incrociate per raggiungere il dhyana o per raggiungere lo stato di Buddha? Se è per il dhyana, esso non consiste nel sedersi o giacere; se è per lo stato di Buddha, il Buddha non ha una forma fissa. Poiché egli non ha un luogo costante, nessuno può appropriarsene, né lasciarlo andare. Se tu cerchi lo stato di Buddha sedendo a gambe incrociate, così tu lo ucciderai. Quindi, più tu liberi te stesso dal sedere così, e più arriverai vicno alla verità." D. T. Suzuki, Zen Buddhism, pp. 89-90.
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http://www.thezensite.com/ZenEssays/Nagarjuna/roots_of_zen.htm
Tradotto in Italiano da Aliberth Meng, per il Centro Nirvana di Roma - Marzo 2008