TESTIMONIANZE:

La Depressione
 

La depressione arriva improvvisa. A volte in pieno benessere. In altri casi, con il peggioramento drastico di un umore già appannato. A sorpresa, tutto assume i colori grigi della tristezza, della malinconia, della nostalgia. Alzarsi al mattino diventa difficile, perché ci si sente più stanchi di quando ci si è coricati. Il sonno è disturbato, con risvegli frequenti, soprattutto mattutini. A volte sono gli incubi dai contenuti indistinti ad amareggiarci. In altri casi, è il corpo a dire con dolore che qualcosa ci turba in profondità: il mal di stomaco riacutizzato, la cefalea continua che ci impedisce di pensare, la colite che non ci dà più tregua, la nausea mattutina senza apparente ragione. Tutti sintomi che oggi leggiamo come "correlati somatici della depressione". Sì, perché questa sindrome non si radica soltanto in alterazioni neurochimiche del nostro cervello e del sistema della serotonina, che in particolare regola il tono dell'umore. Abita invece tutto il nostro corpo, perché la serotonina agisce in ogni organo, ma soprattutto a livello gastrointestinale. Questo malessere improvviso ci lascia disorientati, soprattutto se nulla è cambiato nella nostra vita.

Poi, in un lampo, la folgorazione, mentre ci si fa la doccia o si sta fermi al semaforo, o si riordina la scrivania. Mentre si sta soprappensiero. Oppure quando lo sguardo cade sul calendario e improvvisamente quella data ci trafigge. Quello stesso giorno, anni prima, è successo qualcosa che ci ha cambiato la vita. Ci è mancato un figlio, o un fratello, o un amico. Una ragazza amata. Un genitore. O un nipotino che ci era più caro della luce del sole. Oppure è il giorno in cui il progetto di lavoro su cui lavoravamo da tempo è stato bocciato, o ci è stato rubato. O abbiamo venduto per bisogno la casa dell'infanzia. O, ancora più sottilmente, l'inconscio fa rapido un calcolo che non avremmo voluto fare: "Se non avessi abortito, sei mesi fa, il mio bambino sarebbe nato in questi giorni..." La depressione che compare, insidiosa e violenta, in occasione dell'anniversario di un lutto o di un'altra perdita significativa, viene chiamata: "reazione all'anniversario". E' una forma di lutto differito, che a volte può essere più intensa e grave della depressione vissuta al momento della perdita reale. I sentimenti e le emozioni possono essere più tormentosi di quanto noi stessi ricordassimo. Per esempio, ci sembra di vedere con più chiarezza che forse, allora, non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto per evitare quell'incidente, o quella morte. I sensi di colpa ci aggrediscono, più severi e inclementi che mai. Oppure ci sembra di non aver assistito la persona malata come avremmo dovuto, pieni come siamo di mille incombenze. O forse, con un po' più di coraggio, quel bambino avremmo potuto tenerlo, e oggi avrebbe due anni, o tre, o dieci.

La depressione da anniversario, in altre parole, può colpire ognuno di noi. Anche a distanza di molti anni dal lutto reale. E può colpire le persone a noi care, che non sempre riescono a mettere a fuoco subito quale sia stato l'evento scatenante, avvenuto tanti anni prima. Questa forma di depressione non va mai sottovalutata. E men che meno banalizzata, con un ottuso: "Ma come, sono passati così tanti anni e tu ci patisci ancora?! Ma dài, su, non fare così...".

Invece, va ascoltata, e curata. Se non compresa, essa consegna chi ne soffre ad un sentimento di incomprensione umiliante, di solitudine sconfortata, di perdita di speranza che può arrivare anche al suicidio. Come affrontare dunque la reazione da anniversario? Innanzitutto pensandoci, ogni qualvolta una depressione importanti turbi noi, o uno dei nostri familiari o amici, senza apparenti eventi scatenanti esterni. Poi, riconoscendone e curandone le due componenti principali. Quella biologica, dovuta alla riduzione della serotonina a livello del sistema nervoso centrale, che può essere modulata, migliorando pragmaticamente l'umore con un uso appropriato di farmaci che ottimizzino i livelli di serotonina centrali e negli organi periferici. E quella psicologica, dando parole al dolore con un opportuno aiuto psicoterapeutico. Questo dialogo con un terapeuta sensibile ed empatico è essenziale per sciogliere il dolore dell'assenza. Per dar voce alla collera, alla rabbia anche, che a volte ci turba perché si scatena, a distanza di tempo, proprio nei confronti della persona cara perduta: "Perché mi hai lasciato?! Non dovevi farmi questo...". La psicoterapia, se ben fatta, è allora preziosa per far riemergere ricordi positivi che ci consentano di riprendere un dialogo interiore pacificato. Di accettare la morte, imparando a mantenere vivo dentro di noi non solo il ricordo, ma la presenza, il significato, il dialogo, il conforto, anche, che la persona morta ci dava quando era in vita. Una buona elaborazione del lutto da anniversario non ci fa sentire più soli. Perché ci fa capire che il confine tra la vita e la morte è un velo leggero, una nostalgia che può aiutarci a sentire ancora vicine a noi, e per sempre, le persone perdute sulla terra, ma presenti e vive perché amate nel cuore. A. Graziottin- (www.alessandragraziottin.it) JJ

COMMENTO di Aliberth: Ha ragione, l’amica qui sopra, a mettere in guardia contro la depressione. Tuttavia, il metodo di cura consigliato (quest’articolo era su un quotidiano) non è certo il migliore in assoluto. Noi abbiamo un’altro tipo di consigli da dare… Solo con la riappropriazione della conoscenza della nostra vera essenza, di ciò che noi siamo veramente, è possibile uscire con successo e senza tema di ricadute dalla depressione, che altro non è che la malattia del vivere. Poiché, come il Dharma ci ha insegnato, vivere significa essere costantemente soggetti al cambiamento, alle continue mutazioni degli stati d’animo, anche solo pensare di aver trovato una cura palliativa per credere di essere sfuggiti al male che domina questo nostro esistere (samsara), è una ulteriore forma di vana illusione. Il metodo dell’auto-conoscenza interiore, che genera una volontà stabile evoluta e sviluppata con la meditazione (soprattutto con la meditazione Chan), non ha uguali nel campo delle cure psico-fisiologiche. Non lo diciamo per abbindolare gli stolti, anche perché difficilmente essi potrebbero capire il Chan, ma solo per diretta esperienza personale. Quindi, in realtà, il vero limite del Chan è che esso non è per persone incapaci di avere una forte padronanza sulla loro mente, e quindi sul comportamento psicologico. Infatti, le persone colpite da depressione sono proprio nella loro più critica fase vivente. Esse hanno abbandonato la fiducia in se stesse e sono diventate facili vittime del terribile caos marasmatico che viene attivato dal karma. Quindi, non conoscendo la legge del karma (cioè, legge di causa ed effetto) queste persone non sanno come e perché sono precipitate in quella situazione e, di conseguenza, non conoscono il metodo per riuscirne.

Allora, cosa fare? Se non si capisce cosa c’è dietro a tutti gli avvenimenti di questa vita, purtroppo non resta altro che seguire l’invito della nostra amica, e cioè di andare da un buon psicoterapista e sperare che le cause che avevano prodotto quella situazione non si ripresentino. Se invece, c’è almeno un dubbio riguardo alla vera realtà di ciò che appare alla nostra mente, allora si può sperare che lo studio applicato e sistematico della nostra stessa mente, alla fine ci possa portare a scoprire che tutto ciò che vediamo, percepiamo e. . crediamo, in realtà non è altro che il prodotto stesso del nostro credere, del nostro esserci continuamente illusi, riguardo alla vera realtà di tutto ciò che abbiamo sempre creduto che sia accaduto, compreso il nostro essere nati e dover, poi, morire.----JLJ