“L’IO”, AMICO O NEMICO? di Aliberth
(Incontro del 7/2/2000, presso il Centro Nirvana)
In fin dei conti, l’Io sembrerebbe proprio essere un pensiero. Il primo, principale pensiero della mente umanizzata. Questo pensiero è l’argano automatico di tutti i nostri movimenti, fisici e psichici, e ci fa andare in tutte le direzioni. Ora che, con la meditazione, abbiamo cominciato ad imparare come congelare questo ‘Io’, potremo vederlo più chiaramente. Potremo vedere cos’è, da dove nasce e cosa succede dentro di noi, ogni volta che questa forza-pensiero si mette in moto, uscendo da quel nulla, da quel vuoto brodo primordiale dell’energia in azione.
Allorché, applicando la meditazione, scendiamo nel profondo, allo stesso modo potremo osservare questo nostro pseudo-fantasma che vi giace immerso, proprio in questa occasione potremo osservarlo senza esserlo. Dato che possiamo pensarlo: “Io”, e vederlo come se fosse un’entità staccata da noi che lo stiamo osservando. Da questo momento la nostra certezza di essere un tutt’uno con questo fantomatico Io può cominciare ad incrinarsi. Questo esercizio va fatto il più spesso possibile, quando siamo seduti, quando camminiamo o stiamo in piedi e quando siamo distesi. Ed anche quando parliamo, quando ascoltiamo o quando siamo nella fase di silenzio. Se ne siete capaci fatelo, anche e soprattutto, quando siete nel pieno della frenesia egoica, cioè quando siete presi e coinvolti indiscriminatamente dagli avvenimenti della vostra vita ordinaria. Al punto attuale, non deve interessarci CHE COS’E’ l’Io, non è ancora il momento di dare una risposta ontologica a questa curiosità. Per ora, ci deve soltanto interessare la ricerca nuda e cruda: dov’è, come e quando sorge e perché si presenta, questo fantasma chiamato Io. Questa è l’indicazione, a voi la ricerca e la sperimentazione da eseguire tramite l’autoconsapevolezza.
L’autoconsapevolezza è la forza che trasforma l’essere da ordinario a superiore; è la difesa che ci fa superare indenni tutte le trappole dell’esistenza. Le trappole sono le costruzioni mentali dell’Io, i contenuti ordinari della mente umana. Cioè, gli inganni e le debolezze, i dolori e le sofferenze, le angosce e le paure fino alle malattie ed alla morte. Ma anche i loro contrari, perché l’euforia delle situazioni piacevoli è pericolosa tanto quanto l’abbattimento provocato dalle situazioni frustranti. Tutti i drammi dell’umanità esistono perché nessuno ha insegnato all’uomo ad autosservarsi. Invece, gli sono state indicate tutte le miriadi di cose e gli è stato detto: “Ecco, figliolo, un giorno tutto questo sarà tuo!”. Avendo detto questa frase, si è data la rovina del genere umano.
Se il primo uomo, il primo genitore avesse detto al proprio figlio: “Non curarti di altro che di essere cosciente di come funzioni, della tua capacità di percepire, odorare, parlare, sentire, capire, intuire. Sii solo curioso di questo!”. Se quel primo genitore avesse detto questo a quel primo figlio, oggi la razza umana siederebbe a fianco degli dèi dell’empireo. Non sarebbe neanche più una RAZZA UMANA!. Tutto ciò che noi attribuiamo a delle potenze aliene, non è altro che il mancato appuntamento della razza umana al suo stesso potere. L’intera nostra vita cambierebbe se tutta l’umanità, se ogni singolo individuo, soltanto sapesse osservare la propria autonatura e non fosse esclusivamente costretto a funzionare verso l’esterno, concettualizzando e giudicando tutto quello che accade all’intorno. Questo è ciò che s’intende con Trasformazione della Coscienza. Soltanto chi è capace di fare questo, si distacca veramente dal mondo. Dato che, purtroppo, il mondo continua ad andare in questo modo, l’unica speranza è di distaccarsene e non partecipare più di tanto ai suoi teatrini.
D’altra parte, noi siamo comunque chiamati a partecipare, ma dovremmo farlo con un’attenta e accurata autoconsapevolezza. In tal modo, essendo totalmente consapevoli di noi-stessi, si potrà essere consapevoli di riflesso anche del mondo, proprio perché sappiamo di <esserci>, in prima persona, così che ogni riflesso del mondo sarà la partecipazione del soggetto al suo stesso modo di esistere. Se ognuno riuscisse a funzionare così, quante falsità in meno vi sarebbero! Cesserebbe di colpo la ricerca dei miti, il fanatismo, l’emulazione, l’adorazione di falsi idoli. Oggigiorno la gente ottiene vantaggi e risultati, sul piano strettamente mondano e materiale, semplicemente perché masse enormi di folla le tributano onori e gloria, denaro e fama. Se si andasse a guardare nell’intimo dell’anima di questi divi famosi nel campo dello spettacolo o della politica, si potrebbe vedere che forse sono più disperati dei milioni di persone che li osannano.
Ecco quello che manca all’umanità: la consapevolezza di essere TUTTI la stessa identica cosa, nonché la comprensione istintiva di capire che l’unica verità, l’unico valore, è quello che già esiste in tutti noi. Però, siccome non ce ne accor-giamo, inseguiamo i cosid-detti valori, i meriti e le capacità altrui, senza immaginare che gli stessi ‘eroi’ che noi ammiriamo, a loro volta inseguono qualche altra cosa. È come un cane che continua a mordere la coda di un altro cane, perché non sa di averla anche lui. Questa è l’umanità priva, purtroppo, del senso di una sana, spontanea autoconsapevolezza.
Ciò che ci rende difficile, se non impossibile, la spontanea presenza di una solida autoconsapevolezza e, quindi, di una sicura illuminazione, è proprio questo apparato psicofisico chiamato “Io”. Siamo noi stessi così come abbiamo voluto essere. È l’errore fondamentale della mente lasciata nell’ignoranza di sé. È il nostro quotidiano stato mentale abituato a risolvere le situazioni contingenti, sulla base del proprio giudizio e delle personali opinioni macchiate da quella stessa ignoranza. Questo ‘Io’, fa e disfà a suo piacimento ogni cosa che affronta e passa al setaccio perfino le esperienze più alte, quelle spirituali. Esso decide di essere d’accordo o di rifiutare qualsiasi proposito, qualsiasi informazione. Per le persone che non hanno capito la necessità di isolarlo, l’Io decide e sindaca in prima persona, come se la cosa riguardasse soltanto Lui stesso, anziché l’importanza della rettifica di un errato modo di pensare.
Se una persona vuole convivere col suo Io, nell’esperienza spirituale, sbaglia due volte: primo perché tanto l’Io alla fine glielo impedirà, secondo perché non ha capito che è proprio l’Io l’ostacolo alla sua esperienza spirituale più sincera e reale. Se la persona gradisce una certa esperienza mistica o emozionale, senza averla ancora portata all’estremo o al momento di crisi, allora l’Io accondiscende e guida la mente e le gambe nel luogo ove si presenta quell’esperienza. Quando l’esperienza comincia ad essere un muro su cui le nostre idee si infrangono, un muro che ostacola le nostre opinioni e che vuole impedire i nostri propositi personali, allora l’Io entra in crisi. Se di conseguenza aderiamo al nostro Io, l’esperienza spirituale ci è impossibilitata e ciò vorrà dire, imponderabilmente, che dovremo rinunciare a quella esperienza. E lo vediamo, infatti, quante persone vengono qui una prima volta, forse una seconda, ma poi tornano a sparire nel nulla, da dove erano venute.
Queste persone ovviamente restano ancorate al proprio giudizio mentale e reagiscono malamente al piccone spirituale, che vorrebbe demolire questo giudizio, rifugiandosi ed arroccandosi ancor più nel loro castello di opinioni personali, nella loro prigione dorata. Essendo l’Io il padrone di questa prigione dorata, esso getta via le chiavi e impedisce alle persone di accettare la rivoluzione, facendole fuggire di fronte a quella esperienza che richiede l’apertura della porta della prigione al fine di far ottenere loro la libertà. Ma, per aprire la porta del carcere, l’individuo non dovrebbe dar ascolto al proprio giudizio mentale, alle proprie opinioni, alle proprie conclusioni, cioè ai propri pensieri.
Dunque, finché vi è reazione e adesione ai giudizi mentali, anche se la persona si inginocchiasse davanti al più grande santo, anche se cercasse di entrare nel più alto stato meditativo, anche se si fosse proposta di sperimentare la più sublime esperienza spirituale, arriverà il momento in cui retrocederà ed andrà in cerca di qualcos’altro. L’Io spingerà tutti quanti verso qualcosa che non lo faccia scalzare dal suo piedistallo. Questo spiega il nostro girovagare di qua e di là anche quando l’intenzione e l’aspirazione ci fanno approdare al cospetto di uno tra i più arditi e strabilianti sentieri spirituali mai conosciuti: il Ch’an.
È chiaro che se noi non comprendiamo le perentorie ingiunzioni del Ch’an e se non ci distacchiamo da quel despota prepotente che è l’Io, questo tiranno mistifi-catore continua imperterrito a esercitare il suo dominio. E se noi non riconosciamo che questo dominio ci impedisce la vera esperienza spirituale, il despota ci spingerà a cercare altre esperienze di tipo egocentrizzato, cioè che stanno bene a lui e che non lo faranno sentire in pericolo. Come risolvere questo problema? Finché la persona non si illumina non potrà afferrare questa verità e, purtroppo, finché non capisce questo, non si illumina: è un giro vizioso interminabile.
Il Ch’an ha il potere, se gli si da fiducia e si ha la forza di aspettare, di portare gli esseri al limite della crisi. Se uno resiste e si affida a questa crisi per imparare perfettamente la lezione dell’autoconsapevolezza, allora l’esperienza sarà vincente. Lo scopo per cui la persona aveva intrapreso la ricerca spirituale, e cioè la salvezza dalle angosce dell’esistenza, sarà stato colto e contemporaneamente si potrà raggiungere il risultato. Altrimenti si verificherà quello che è stato detto dianzi, cioè vi sarà la fuga e la capitolazione ai comandi dell’Io. Il Ch’an non è che sia poi tanto preoccupato di questo, in fondo il suo avvertimento è proprio quello di guardarsi dalle insidie dell’Io, quindi da ciò si evince una certa consapevolezza della difficoltà di riuscita degli aspiranti. La forza di convinzione dell’Io, avvalorata da una ridda di pensieri incontrollati e irrepressi, è come una nebbia che oscura la luminosità del sole della Saggezza conoscitiva.
Le persone comuni, ignoranti di questa Saggezza, sono così imprigionate e avvolte dalla fitta nebbia che il loro massimo sforzo può essere la necessità di un paio di…occhiali gialli. L’Io si mette questi occhiali gialli per poter stare nella nebbia e continuare a vedere il mondo nel modo che gli interessa. Coloro che, viceversa, si sentono più coraggiosi nel voler dissipare la nebbia dell’ignoranza, devono vedere più intensamente al loro interno. Essi devono capire se ciò che li sta portando avanti nell’esperienza sia un vero desiderio intimo di affrancarsi dal dominio dell’Io, oppure se è l’Io stesso che, magari ancor più illudendosi di essere una sorta di mitico Eroe, cerca di saggiare fino a che punto può mettere i piedi prima di trovarsi nelle sabbie mobili.
Dobbiamo stare molto attenti con noi stessi perché chi non è capace di vedere se stesso, i suoi pensieri devianti, la sua preconcetta razionalità mondana, non può assolutamente proseguire in questa Via. E, secondo il Ch’an, una simile persona non potrà avanzare in nessuna vera Via; potrà soltanto girare in tondo nel luccicante mercato del materialismo spirituale, in cui l’Io si trova perfettamente a suo agio in quanto non ha nulla da temere.
Non è per niente facile, lo so, e perciò capisco anche coloro che abbandonano questo sentiero perché non hanno il coraggio, o la fede, per continuare. Per alcuni è proprio un problema di incredulità. Il loro Io emette pensieri di incredulità verso questa visione spirituale, o verso chi gliela prospetta e, siccome essi sono dipendenti da questi pensieri, non riescono proprio a distaccarsene e mettersi nella posizione impersonale e ingiudicante dell’Osservatore Silenzioso.
Molti non sanno neanche cosa significa questa “posizione”. Ecco da dove deriva la loro “ignoranza”. Molti si fermano a ciò che sanno. Ma non capiscono che quello che non sanno è assai più importante, oltre che assai più vasto, di quel poco di conoscenza mondana contingente imparata nella scuola e nelle relazioni del mondo. Allora, come si fa a distaccarsi dai pensieri dell’Io? Come si riesce a disidentificarsi dal proprio Io? Come si può trovare, e conoscere, la propria Natura Fondamentale, la nostra vera Essenza? Se la persona crede di essere il suo Io, troverà la mente che possiede, cioè quella dell’Io. Ma se non se ne distacca, come può fare se non capisce che è proprio quella mente che impedisce la sua comprensione?
Vedete, il primo passo è proprio quello di capire che siamo imprigionati in questa nostra mente dell’Io. Allora potremo essere più attenti ai comandi che ci provengono da questa mente inferiore tormentata e cominceremo a capire che non dobbiamo più aderirvi. Dobbiamo rimanere fermi, immobili, impassibili di fronte ai comandi nevrotici di questa mente tormentosa. Se stiamo fermi e non aderiamo, che cosa accadrà? Qualcuno di voi è in grado di rispondermi, in base dell’esperienza già avuta, se l’ha avuta, che cosa accade quando non aderiamo immediatamente alle decisioni della nostra mente comune?
Prendiamo il caso di un individuo che sia venuto qui una o due volte. Esso si barcamena nell’idea che non riesce a capire cosa sia questo Ch’an e che cosa voglia dire “non aderire alla mente”. Egli ha sempre pensato di essere una singola persona tra milioni e milioni di altri individui singoli. Questa è l’unica verità che conosce e, in base a questa verità, ha impostato tutta la sua vita, la sua istruzione e la sua relazione con gli “altri”. Ora viene qui e sente questa teoria del Ch’an che afferma che la sua conoscenza del mondo e della realtà è, quanto meno, imperfetta e molto parziale. Cosa credete che accada dentro la sua mente rimuginante di pensieri?
Bene. Se soltanto questa persona potesse vedere questa “sua mente” mentre rimugina i pensieri, allora sarebbe un perfetto discepolo pronto per il Ch’an. Al resto penserebbe la pratica ed il tempo che, come ben sappiamo, è il miglior medico per tutte le nostre incertezze e insicurezze. Ed invece la maggior parte delle persone che cosa fa? Pensa e non vede se stessa pensare. Ed allora fugge, non torna più (almeno per questa vita) e continua ad andare nel mondo a cercare conferme e conforto per il suo basso livello di intelligenza. Se proprio non ne può fare a meno, continua a cercare altre Vie, altri metodi, tipo lo Yoga o le pratiche dei Mantra, consolandosi con il coriaceo pensiero (appunto…) che ognuno ha la sua propria strada. E, così facendo, si ferma e permane nell’Oceano del Samsara e nel mondo dell’Illusione per altri interminabili cicli di esistenza.
Intanto bisogna capire bene il termine “CH’AN”. Essa non è una parola esotica che richiede il nostro divenire esotici, per adeguarci ai suoi dettami. La parola “CH’AN” è una sintesi descrittiva di un certo stato mentale. Usando i nostri termini occidentali, potremmo tradurla ed utilizzare i termini “Realtà”, “Mente Reale”, cioè la mente libera dall’invischiamento dell’Io. Sennò quale sarebbe lo scopo di cercare una via di fuga, di cercare la conoscenza, la pace. Conoscenza di che? Pace da chi? Fuga da cosa?
Poiché la gente cerca da sempre una via di uscita dai drammi dell’esistenza umana, da sempre cerca una Via spirituale. Purtroppo il guaio è che le persone non comprendono che queste Vie spirituali devono necessariamente trascinarle fuori dalla loro ordinaria mente egoica. Non tanto nei comportamenti del quotidiano, quanto nella costante comprensione di sé durante le condizioni del quotidiano. Invece mi sembra che moltissime persone, forse più per moda che per convinzione, cerchino delle Vie spirituali “ad hoc” che, secondo il pensiero dettatogli dall’Io, siano così accondiscendenti da provocare stati mistici o estatici in maniera artificiale. Quindi senza nessuna partecipazione attiva da parte della mente dei proseliti.
Allora se le persone non capiscono il Ch’an, se non hanno intenzione di voler capire la loro mente, qualunque altra alternativa morbida risulta essere una perdita di tempo. Vedete quante persone perdono il loro tempo, nel mondo fenomenico? Vedete a quante persone la vera Verità, il reale messaggio fa provocare queste reazioni di rigetto e di rifiuto? Per questo motivo ci si rende sconsolatamente conto che la Verità è considerata un pericolo, per le persone ordinarie. In quanto, le persone ordinarie, nel loro ordinario modo di pensare, pensano di venir condizionate, annichilite, manipolate, circuite e abbindolate.
Che cosa volete, dunque? Cercare l’illuminazione, ottenere la pace del Nirvana, vivere una vita senza sofferenza col vostro Io sempre inalterato e ben alimentato? Eh no! Non è possibile. Questo nostro Io cresciuto col corpo, nutrito col pensiero concatenato alla vita ordinaria, condizionato da futili e vani rapporti umani sottoposti al dramma della dualità: questo Io deve farsi da parte. Può essere, al massimo, utilizzato come un arto, come una gamba che serve per camminare, come la lingua che serve per mangiare; questo Io non può dettare legge, deve essere guidato dalla Coscienza. Questo Io è un semplice aggregato, né più e né meno del corpo che, quando l’energia vitale lo abbandona, diventa un cadavere. Questo Io maniaco e capriccioso è già un cadavere. Possibile che nessuno riesca a capirlo?
Stasera sferzo la mia frusta come Gesù con gli Scribi ed i Farisei, roteo il mio bastone come qualunque maestro Zen che si rispetti. Questo è il mondo in cui viviamo! C’è tanta gente che costruisce grandi e maestosi templi, per questi miserabili e fraudolenti mistificatori dello Spirito, dove possono trovare l’alimento per il loro irrefrenabile Io e dove continuano sempre più a perdersi perché non vedono il loro vero Sé. Queste persone che non comprendono il Sé, senza saperlo utilizzano il proprio Sé per rifiutarlo a vantaggio del più circoscritto Io. Poiché esse non cercano il Sé, ma cercano altre cose, la Luce del Sé non si manifesta e loro utilizzano l’Io per rifiutare il Sé. Grazie al loro Sé respirano e pensano, ma purtroppo ciò che pensano li allontana ancora di più dal Sé.
C’è una tendenza, da parte di queste persone, a mostrarsi molto granitici nella postura fisica e a pensare: “Guarda come medito bene!”. Ma poi, quando si tratta di lavorare sulla loro mente, vera causa della loro stupidità, si alzano e se ne vanno. Si alzano e continuano la loro ricerca verso chissà quali altre cose. L’Io che fa decidere loro di alzarsi e cercare altre cose, sta coprendo il Sé. Però, io vi dico che coloro che scappano da qui, peggio per loro, oltre a non essere adatti per il Ch’an e quindi prigionieri del loro Io, sono condannati a dover ritornare in altri tempi o in altre vite, mentre coloro che restano possono far diventare l’Io il loro miglior amico.
Per assurdo, possiamo dire che coloro che riconoscono il reale Sé come loro unica identità anziché cadere vittime del micidiale Io, possono imparare a renderlo utile. Come ho detto prima, se l’Io viene giustamente visto come un supporto della nostra persona psicofisica, un arto o un qualunque strumento coadiuvante per il nostro funzionamento integrale, esso può veramente essere molto utile e necessario. L’importante è di non identificarcisi, così come non ci verrebbe mai di identificarci nella nostra mano o nel nostro ginocchio e nemmeno, in certo qual modo, nella nostra testa.
In questo caso, allora, l’Io può veramente essere il nostro più grande amico. L’Io, da estremo avversario, miracolosamente si trasforma nel più vantaggioso degli alleati, lo strumento più utile per la nostra realizzazione e liberazione. Se sottoponiamo il nostro Io alle illuminate visioni della Mente Prajna di Intuizione Profonda, esso verrà utilmente utilizzato, insieme al corpo, per accettare ed applicare con fermezza le più decise pratiche, i più stimolanti insegnamenti e le più proficue meditazioni. Con la forza della concentrazione mentale possiamo staccarci dal dominio maligno dell’Io subdolo, rendendolo una sorgente di volontà decisionale che agevola il compito della pratica meditativa.
Il Ch’an, nella sua compassionevole opera di ristrutturazione della mente e del pensiero, ci viene incontro con le sue affermazioni che dichiarano la nostra libertà dal demone egoico. Il Ch’an ci dice: “Rimani fermo nella mente. Quando il pensiero sorge, vai all’origine del pensiero. Se c’è un pensiero di disadattamento e di rifiuto del Dharma, che dice – Non mi sta bene- lavora lì, non immedesimarti nel rifiuto, resta fuori dall’identificazione e osserva impersonalmente tutto quello che sta succedendo nella tua mente!”. È qui il campo di lavoro, in questo spazio che c’è tra la mente che pensa e la decisionalità dell’Io che immediatamente aderisce al pensiero selvaggio. Ora, per quanto ci riguarda, a noi non resta che ampliare questo spazio, cercando il più possibile di ESSERE questo spazio vuoto.
Se, al contrario, quando nella mente sorge il pensiero –Non mi sta bene!- voi vi alzate e ve ne andate, anziché restare lì immobili ad osservare, come potete lavorare? Perdete l’attimo prezioso dell’esperienza, perdete il materiale di lavoro: E se l’avete perso una volta vi abituerete a perderlo sempre, così come succede nella vita quotidiana. Ecco perché la vita quotidiana, per un esperto praticante che ha ben capito come meditare, è una fonte inesauribile di proficua meditazione. Ma per coloro che usano l’Io per allontanarsi dal Sé, la vita quotidiana è un bailamme continuo, non c’è speranza di salvezza o di liberazione per essi. Dovrebbero stare molto attenti agli squilibri che si creano con i desideri dell’Io nella mente.
Qualcuno, tempo fa, ha manifestato critiche sul fatto che nella pratica del Ch’an del nostro Gruppo, di solito l’insegnante parla troppo. Sicuramente questo fatto può aver allontanato i cultori della meditazione silenziosa e null’altro. Nelle nostre due ore di incontro settimanale, normalmente, metà tempo viene utilizzato per gli insegna-menti ed il resto per la meditazione seduta. Alla fine, ma non sempre, può esservi un ciclo di domande e risposte. A quanto mi risulta, più o meno questo è il programma ufficiale di tutte le Scuole di Ch’an antiche e moderne. Però, se alcuni praticanti “preferiscono” soltanto la meditazione silenziosa, allora cosa vanno cercando in giro per le sale di meditazione? Non potrebbero farlo meglio a casa loro?
A nulla serve ricordare loro che potrebbero benissimo inondarsi di meditazione silenziosa durante tutto il restante tempo delle loro giornate, se mai ne fossero veramente capaci. Evidentemente, per loro, “silenziosa” vuol dire semplicemente senza rumori “esterni”, seppur con un chiassosissimo ‘Io’ che, all’interno, continua a pensare e ad emettere giudizi ed opinioni. Perché se poi prendono la decisione di andarsene via, vuol dire che in realtà, la loro mente, tanto silenziosa non se ne sta. Ma di questo, questi individui, non se ne curano e resteranno per parecchio tempo all’oscuro di ciò che succede nella loro mente.
Altri, invece, vorrebbero che queste due ore passassero in una continua discussione dialettica, un reciproco convenevole scambio di opinioni, quasi una seduta psicoanalitica personalizzata. Ed anche questo non è giusto. L’istruttore di Ch’an non può sprecare tempo a dialogare sulle situazioni personali come se si fosse in un circolo psicologico. Egli non si appropria dello spazio per invettive personali dettate dal suo Io. Egli può soltanto cercare di essere di aiuto nei riguardi dei sinceri aspiranti che vogliano arrivare a conoscere la propria mente.
La giusta guida spirituale dà delle indicazioni precise, fornisce materiale meditativo per l’introspezione di gruppo, legge e commenta testi classici della letteratura Ch’an e, tutt’al più, può cogliere le eventuali disposizioni d’animo dei praticanti, aiutandoli a raggiungere lo stato di crisi ed i mezzi per superarlo e risolverlo. Può addirittura cercare di instaurare la crisi in coloro che ascoltano, ma deve farlo con discrezione onde evitare disturbi mentali ed incomprensioni. Comunque deve rendersi disponibile alle richieste delle anime in ricerca e deve essere sollecito a lasciar andare per la loro strada coloro che non sono pronti per il Ch’an. Anche se questo fatto crea in lui un certo dispiacimento, per il mancato sostegno nei riguardi delle pecorelle smarrite. Questo è dovuto al suo istinto bodisattvico che parte dal profondo del suo cuore come, d’altra parte, accade a tutti i veri maestri di Dharma.
Ed infine, la raccomandazione principale, forse l’unica vera-mente importante del Ch’an, è quella che noi tutti, in cammino o arrivati, si sia sempre molto determinati e attenti alle motivazioni mentali, molto vigili ed accorti alle concatenazioni dei pensieri che navigano nello spazio della mente. Il vero lavoro è solo questo, non quanto tempo riusciamo a stare in meditazione seduta sul cuscino. Il nostro lavoro è quello di essere sempre consapevoli di tutte le nostre reazioni, tutti i nostri pensieri, tutto il comportamento psicofisico; consapevoli di ciò che siamo realmente, sotto la scorza apparente di un ‘Io’ artificiale ed artificioso che, a causa dell’ignoranza primordiale, si crede la reale entità vivente nel nostro corpo e nella nostra mente, dimenticando che nelle menti di tutti gli altri esseri vi è lo stesso identico “Io”. - -JJJ
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