"EMPTINESS YOGA"
(LO YOGA DELLA VACUITA')
di Jeffrey Hopkins
(LA SCUOLA DELLE CONSEGUENZE
DELLA VIA MEDIANA)
Sembra che nella vita debba esservi un momento in cui ogni cosa ha fine e, così come accade ai bambini che giocano, improvvisamente bisogna lasciar perdere il gioco ed affrontare la nuova situazione. A quel punto, qualcuno spesso può trovarsi di fronte al dilemma: rammaricarsi del gioco interrotto e quindi restare bambini capricciosi, oppure prendere atto della nuova condizione e, in definitiva, crescere e fare dei passi in avanti …
La presa d'atto coscienziale (ovverosia la crescita spirituale) non è un'occasione che capita a tutti, o almeno non a tutti nello stesso momento, per cui quando accade, ciò è sempre una scoperta sorprendente per il prescelto, che non sa se felicitarsi per la straordinaria opportunità di evoluzione oppure rammaricarsi perché adesso non può più fare a meno di sentirsi responsabile e smettere di giocare e fare i capricci...
Quando, a questi individui, si apre all'improvviso la porta dello spirito, essi si trovano catapultati in uno scenario di eventi consecutivi, quasi manovrati e diretti da una regia superiore, che mai si sarebbero aspettati di sperimentare. Accade così di vedere aprirsi porte luminose e manifestarsi sentieri di conoscenza interiore, non più e non solo per volontà personale, ma proprio come appuntamenti inderogabili che spingono ad avanzare verso una qualche obbligata direzione.
Un certo giorno (intorno agli anni '90), la mia compagna Cristina Martire prese la decisione di tradurre alcuni importanti testi di Dharma. Dopo la sua scomparsa, avvenuta per ineluttabili cause karmiche, io non avrei mai immaginato che un'impressionante forza misteriosa mi avrebbe costretto a continuare la sua opera. Ma tant'è, avendo ormai scoperto che le cose sono decise in uno spazio mentale assai più vasto e potente della nostra piccola mente individuale, ho preso la cosa con molta disponibilità d'animo. Così, dopo aver completato alcune opere lasciate in sospeso da Cristina, ho continuato a tradurre personalmente altri importantissimi testi di Dharma.
Questo testo di Jeffrey Hopkins, fu selezionato, a suo tempo, da Cristina stessa. Avendolo trovato di capitale importanza per le persone motivate ed interessate a comprendere i profondi insegnamenti sulla Vacuità del Buddhismo, ho modestamente eseguito l'opera di traduzione. La mia intenzione è stata quella di far avere ai sinceri praticanti Italiani, la conoscenza di quest'argomento, ostico si, ma indubbiamente necessario ed indispensabile a coloro che si sentono profondamente intenzionati a seguire i consigli e le ingiunzioni dell'Onorato Maestro Buddha Shakyamuni.
In questo testo, il prezioso Jang-kya chiarisce il pensiero della Scuola delle Conseguenze, il ramo più elevato della Scuola Madhyamika (ovvero della Via di Mezzo). Attraverso le precise esposizioni istruzionali dei successivi seguaci del Buddha (in questo caso i grandi filosofi del Buddhismo Indiano, quali Nagarjuna, Chandrakirti, Shantideva, Bhavaviveka ed altri), e grazie alla sua diretta discendenza dal Grande e Venerabile Lama Tzong-Khapa, che fu il riformatore più efficace del Buddhismo Tibetano, l'opera di Jang-kya viene utilizzata come motivo principale dell'indagine sulla tecnica meditativa dei "RAGIONAMENTI".
Così come già fu fatto da Chandrakirti (vedi "Il Settuplice Ragionamento", libro tradotto da Cristina e pubblicato dalla 'Edizioni Chiara Luce' di Pomaia) nella impostazione analitica delle sue opere, in cui si pone l'enfasi sulla ricerca della "assenza di esistenza inerente" del <sé> delle persone e dei fenomeni, altrettanto valida è la proposta di Jang-kya, (con l'illuminante commento di Hopkins).
Si ritiene, quindi, che dopo un'attenta lettura di questo testo, è più che probabile una susseguente meditazione analitica, la quale dovrebbe servire a mettere in moto la comprensione (per il momento solo concettuale) della misteriosa natura della Vacuità. D'altronde, la capacità della mente deve prima essere attivata per benino, con l'applicazione di un giusto ed appropriato "Ragionamento", sulle cause di permanenza degli esseri senzienti in questo drammatico girone samsarico (ovverosia l'esistenza ciclica). Altrimenti, non si vede proprio come potrebbe essere ottenuta l'Illuminazione, con relativa Liberazione dal processo ostacolante del karma.
Si spera che la traduzione sia efficace, quantunque sia stata effettuata in maniera pressoché letterale, al fine di rimanere aderenti, il più possibile, alla immediatezza e rispondenza del significato originario. Inoltre, si è volutamente ritenuto di tralasciare, nell'Appendice del testo, la lunghissima lista della Bibliografia. Il motivo di questa scelta, è dovuto alla ripetitiva ed elaborata elencazione, nonché all'eccessiva difficoltà di trascrizione dei termini ma, si crede che questa mancanza potrà essere superata, dai ricercatori puntigliosi, rivolgendosi al testo originale Inglese.
Si ringrazia la compianta Cristina Martire per la sua benemerita intenzione di voler tradurre questa preziosa opera, compito che fu poi lasciato a me, e la preziosa benedizione dei Bodhisattva e Lama del passato, per l'appoggio morale.
Roma, Settembre 2002, Alberto Mengoni (Aliberth)
PREFAZIONE dell'Edizione Inglese
Nel 1973, quando stavo per terminare la mia dissertazione filosofica "Meditation on Emptiness", mi trovai a discutere, con un piccolo numero di studenti laureati in Studi buddhisti nell'Università del Wisconsin, su un programma per creare un Commentario ad un simile testo sulla Vacuità. La mia intenzione era di aprire un argomento – e renderlo accessibile – sia per fornire i necessari punti dottrinali che per proporre suggerimenti di come entrare in questa visione del mondo in un senso personale, anche se di confronto. Benché consapevole dei limiti culturali in senso dimensionale, degli insegnamenti religiosi, non posso certo considerare che ogni insegnamento religioso sia così limitato culturalmente, da non poter essere applicato a persone di altre culture. Anzi, io sostengo che le dottrine religiose e filosofiche devono essere confrontate personalmente, conoscendone la cultura, per costruire gradualmente una visione del mondo di quel sistema e permettergli di risuonare col nostro essere interiore. Io spero, tuttavia, che presentando questa prospettiva del buddhismo Tibetano, nessuno faccia l'errore di pensare che io sto proponendo questa visione del mondo come la migliore.
Stimolato e affascinato dagli insegnamenti del buddhismo Tibetano, in questo libro io cerco di far scendere la dottrina della Vacuità giù dalle nuvole di un discorso astratto, ad una pertinenza comune. Questa attinenza non è, tuttavia, per nulla facile da assorbire; anzi, il sistema ha un significato all'interno di una estesa, intricata, altamente sviluppata architettura di pratiche e dottrine religiose. Quindi, il libro non parla solo di problemi misteriosi ma stimola, simultaneamente, anche una grande immaginazione metafisica che, per me, ha fatto riaffiorare la storia di una terra immaginaria. I miei studi con l'Abate Tantrico Ngawang Lekden ed alcuni altri Lama, hanno plasmato lo stile della mia presentazione di questa terra immaginaria dalla profonda metafisicità; potrei fare una qualunque narrazione, tanto storica che filosofica, come se già ne conoscessi intimamente ogni singolo dettaglio. Perciò, alcune sezioni del mio Commentario, possono dare l'idea che io stia parlando dal punto di una profonda realizzazione, con un piede all'interno della città della Vacuità e invitando il lettore ad entrare a sua volta. In realtà, come potrà essere chiaro dai più mondani esempi che si trovano in questo Commentario, io sono un narratore entusiasta che si batte per proporre al livello di interesse personale ciò che molti farebbero passare come un pettegolezzo astratto.
A tale scopo, prendo per buono molto di ciò che è presentato nel sistema e dunque non accampo diritti di precisione storica, ecc. L'esatto scopo è, tuttavia, quello di spingere all'incontro con una visione del mondo che si interroghi sull'apparenza fondamentale degli oggetti – la loro apparenza come modo di esistere dalla loro propria parte – e quindi sfidi le emozioni sorte sulla presunta corretta apparizione di persone ed altri oggetti. È insieme una bellissima visione ed una atroce sfida emotiva.
I due tracciati del mio Commentario al testo Tibetano – una volta che alcuni brani informativi di base descriventi la scena siano stati spiegati nei primi capitoli – devono guidare il lettore nella piacevole quanto seria considerazione delle implicazioni della vacuità e considerare particolari obiezioni, talvolta apparentemente bizzarre ma comunque comprensibili, quali "Stai forse cercando di dire che non dovrei sentirmi come se qualcuno stesse tagliandomi l'orecchio?". Spero che l'approccio – esternato come un consiglio agli altri su come investigare il significato della dottrina della vacuità ma, in verità, una prova del mio tentativo di interiorizzare queste dottrine – sia utilizzabile per coloro che considerano la religione e la filosofia come qualcosa di più di un astratto formalismo o vuota speculazione.
Le lezioni furono date alle stampe in forma di libro dal Prof. Joe B. Wilson dell'Università di Wilmington, North Carolina. Dopo il suo laborioso e diligente lavoro, io pubblicai ancora due volte il testo, aggiungendo all'inizio un capitolo sulla biografia di Jang-kya, l'autore del testo Tibetano che è servito come base per il Commentario ed altre aggiunte a piè di pagina. Senza l'attenta cura di Joe Wilson, l'opera non sarebbe mai potuta essere completata.
Il libro non avrebbe potuto trovare riuscita senza il gentile insegnamento da me ricevuto, quasi giornalmente, da diversi Lama Tibetani nell'arco di ventitré anni. Un dialogo ravvicinato con essi ha permesso l'esposizione di queste dottrine che, altrimenti, avrebbero potuto sembrare di essere né più né meno che meri atteggiamenti occasionali da vivere.
Voglio anche ringraziare la Dott.ssa Elizabeth S. Napper, per i suoi numerosi suggerimenti editoriali, nonché Gareth Sparham e Guy M. Newland per la stampa di certi caratteri. E, come al solito, il Prof. Richard B. Martin della Biblioteca Alderman all'Università della Virginia mi ha fornito tutta la sua immensa assistenza bibliografica.
Charlottesville, Virginia Jeffrey Hopkins
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NOTE TECNICHE
I nomi e l'ordine degli Autori Tibetani sono espressi in "forma fonetica" per poter essere più facilmente pronunciati; per un dibattito sul sistema usato, vedere le Note Tecniche all'inizio del libro 'MEDITATION ON EMPTINESS', pagg. 19-22. I segni per i toni gravi sono dati solo nel primo capitolo e nelle note. La translitterazione del Tibetano nelle parentesi e nel glossario è fatta secondo un sistema derivato da Turrel Wylie (vedi "Un Sistema Standard di Trascrizione dal Tibetano", Harvard Journal of Asiatic Studies, Vol. 22, 1959, pp. 261-7). Per i nomi degli Eruditi (Pandit) Indiani e i sistemi usati nel corpo del testo, vengono usati <ch e sh> al posto di <c e s>, allo scopo di una più facile pronuncia da parte dei non specialisti.
Nella traduzione, quando è il caso, a ciascun titolo è annotato il relativo titolo Tibetano e Sanscrito. I titoli completi in Tibetano o Sanscrito possono essere ritrovati nella bibliografia, che è elencata alfabeticamente secondo i titoli dei Sutra e Tantra, e secondo i nomi degli autori nel caso delle altre opere. (In questa traduzione Italiana si è scelto di non tradurre la complessa Bibliografia, a causa della difficile e ripetitiva elencazione dei testi, riportati nelle svariate grafie linguistiche. Chiunque fosse desideroso di verificare titoli ed autori dei molti testi elencati, potrà tranquillamente farlo attingendo all'opera originale in lingua Inglese. Nota del Traduttore)
Spesso Jang-kya si riferisce solo o al titolo o all'autore di un'opera, mentre nella traduzione questi vengono dati insieme per ovviare l'obbligo di una ricerca avanti e indietro. Il testo di Jang-kya, senza commentario, è riportato poi in una sezione separata in fondo al libro; sei capitoli intestati sono stati aggiunti per facilitare la comprensione. Per un glossario di termini Tibetani, Sanscriti ed Inglesi, vedi il già citato Meditation on Emptiness (citato anche con la sigla M. o. E.) pp. 737-753. Le note a piè di pagina identificano spesso le corrispondenze in cui gli argomenti sono discussi in M. o. E., a cui si rimandano coloro che desiderano elaborarli maggiormente.
CAP. 1) BIOGRAFIA DI JANG-KYA
Andremo ora a considerare un testo sulle scuole delle dottrine, scritto in Tibetano dal grande Adepto ed Erudito Mongolo Jang-kya Rol-bè dor-jè (1), noto anche come Yeshe dem-pe dron-me (2), 1717-1786 (3). Jang-kya era nato il decimo giorno del primo mese (4) dell'anno Uccello Femminile di Fuoco nella regione più estrema del nord-est del Tibet – nel distretto ovest del Loto (5) dei quattro distretti di Lang-dru (6), ovvero l'Am-do (7), provincia nord di Dzong-ka (8). Suo padre, Guru Tendzin (9) era discendente di un ceppo nomade Mongolo; era un prete di villaggio e un soggetto del Chi-kya Bonpo (10); perciò era noto come Chi-kya tsam-pa (11), prete di Chi-kya. Sua madre si chiamava Bu-gyi (12) e, all'incirca quando il piccolo stava per nascere, ebbe un sogno insolito in cui vide il suo corpo diventare dorato ed accaddero molti fatti inusuali.
Finché gli ufficiali del Gun-lung-jam-pa-ling Monastery (13) e della residenza Jang-kya furono incerti di dove avesse preso rinascita il precedente Jang-kya-nga-wang-lo-sang-cho-den (14), essi cercarono l'assistenza degli anziani eruditi e dell'adepto Jam-yang she-pa che era stato tutore del precedente Jang-kya Nga-wang Losang Choden. Jam-yang she-pa indicò che Jang-kya era rinato presso una zona molto settentrionale, in cui si poteva entrare soltanto da una gola nella parte nord e che gli altri mezzi di divinazione erano tutti concordi. Jam-yang she-pa inoltre disse loro di prendere oggetti appartenenti al precedente Jang-kya, insieme con altri simili, per mettere alla prova i candidati e poi di mantenerlo informato su ciò che sarebbe accaduto.
Quando il figlio di Chi-kya tsang-pa e Bu-gyi fu chiamato per identificare gli oggetti, il ragazzo prese proprio quelli giusti, dicendo: "Questo è mio!". Jam-yang she-pa fu informato del fatto e, dopo che diversi scrupoli furono continuati in dettaglio, a dispetto della ricchezza, il figlio di un principe Mongolo fu proposto come candidato e, alla fine, il ragazzo di nome Drag-pa so-nam (15) fu riconosciuto come la reincarnazione di Jang-kya nga-wang lo-sang cho-den. Il biografo, Tu-gen lo-sang cho-gyi nyi-ma (16), criticò la corruzione politica che frequentemente accompagna l'identificazione delle reincarnazioni – ma l'importante era che quest'ultima, a suo parere, fosse stata propriamente scelta.
All'età di tre anni, nel primo giorno del quinto mese dell'anno Topo di Ferro (1720), il nuovo Jang-kya cominciò il viaggio verso il suo monastero, Gon-lung Jampa-ling, e nel decimo giorno del sesto mese vi arrivò, ben accolto da più di tremila monaci, in un tripudio di offerte, incenso, fiori, suoni di conchiglie e musica. Egli fu adornato con vesti color zafferano, tipiche di coloro che abbandonano la vita mondana, e fu condotto alle stanze della sua incarnazione precedente. Dopo aver ricevuto i voti come monaco novizio dalle mani di Chu-sang Rimpoche (17), gli fu dato il nome di Nga-wang cho-kyi drag-pa den-be Ghyal-tsen (18). Condotto alla sua residenza, all'interno del monastero, il ragazzo assunse la postura a gambe incrociate sul trono del "leone impavido".
A sei anni, Jang-kya ricevette i voti di monaco esperto, sempre da Chu-sang Rimpoche. Nello stesso anno (1723), il principe di Kokonor, Tendzin Ching-wang (19) si rivoltò contro la Cina, per cui fu inviata una spedizione punitiva nella provincia di Am-do. Furono dati alle fiamme un certo numero di monasteri della zona e i monaci di quei monasteri furono massacrati, presumibilmente a causa dell'aiuto da loro dato ai ribelli. Poi, nel 1724, un'unità Cinese arrivò a Gon-lung Jampa-ling; un gruppo di monaci presi dal panico tentarono di resistere, ma furono sconfitti. Il monastero fu raso al suolo e bruciato. Una biografia condensata di Gene Smith (20) dice:
"I guardiani del giovane Jang-kya (21) riuscirono a fuggire col loro carico nella circostante area desertica. Nel frattempo, l'Imperatore dette ordine che non venisse fatto danno al giovane reincarnato, ma che fosse condotto, via Zi-ling, in Cina come 'ospite'. I Cinesi costrinsero alla resa i profughi di Jang-kya minacciando la popolazione della zona. Il settenne Jang-kya fu portato nella tenda di Yo'u Chang-jun, il comandante in capo della spedizione, che lo accusò immediatamente di tradimento. Il coraggioso ragazzo resistette con spirito contro il grande comandante, tra lo spasso degli ufficiali riuniti…"
Così, Jang-kya a sette anni venne ad iniziare i suoi studi monastici a Beijing (Pechino). Lì fu preso in custodia da famosi eruditi Tibetani, compreso il II° Tu-gen, Nga-wang cho-kyi Ghyatso (22) (la cui reincarnazione divenne poi il biografo di Jang-kya), il quale ottenne in seguito (1729) l'autorizzazione a ricostruire il Monastero Gon-lung Jampa-ling, da cui Jang-kya era stato costretto a scappare, a causa dell'attacco e, quindi, ad arrivare a Pechino.
Sebbene l'Imperatore Yung-cheng (che regnò dal 1722 al 1735) fosse solo leggermente interessato al buddhismo, egli preferiva il buddhismo indigeno Cinese rispetto alla versione Tibetana e, anche se il diciassettesimo figlio dell'Imperatore K'ang-hsi (Secondo Imperatore Manciù, che morì nel 1722), keng-ze chin-wang, meglio noto come il Principe Yun-li Kuo (1697-1738), era un grande patrono del buddhismo Tibetano ed uno studioso di chiara validità, egli favorì le sette antiche e fu apertamente ostile alla setta Gelug-pa di Jang-kya. Jang-kya capì che per far prosperare la setta Gelug-pa in Cina, si sarebbe dovuto tradurre in Cinese, in Manciù ed in Mongolo gli insegnamenti del suo fondatore, Tzong-Khapa; quindi, egli cominciò a studiare questi linguaggi. Uno dei suoi studenti era il quarto figlio dell'Imperatore Yung-chen, che divenne un suo grande amico e, più tardi, divenne l'Imperatore Ch'ien-lung. Questa amicizia fu la chiave per la successiva enorme influenza di Jang-kya in Cina, Manciuria, Mongolia e Tibet.
Jang-kya studiò il buddhismo Cinese, giungendo alla conclusione che il sistema esposto in Tibet dall'abate Cinese Hwa-shang Mahayana, nel famoso dibattito di Sam-yè, intorno all'anno 775 (23), non esisteva ormai più in Cina. Egli scoprì che il più esteso punto di vista del buddhismo Cinese era simile a quello della Scuola della Mente Unica, o Solo-Mente (Vijinanavada-Chittamatra) ed aveva anche grande somiglianza con la scuola Tibetana Shi-je-pa (24). Jang-kya identificò Padam-pa sang-gyè, il fondatore Indiano della Scuola Shi-je-pa con Bodhidharma (26).
Gli insegnanti di Jang-kya volevano un Gelugpa nominato come suo tutore, ma il principe Keng-ze Chin-wang, il diciassettesimo figlio del precedente Imperatore, ne volle uno della Scuola Nying-ma-pa. Alla fine, gli insegnanti Gelugpa furono in grado di rendere vani i piani del principe e perciò fu invitato a Pechino Losang Tenpe Nyima (27), Detentore del Trono di Gan-den, che è la suprema posizione all'interno dell'ordine Gelugpa. Il dodicesimo figlio (dell'Imperatore K'ang-hsi) divenne un fedele patrono della setta Gelugpa e quindi le relazioni con il principe Keng-ze Chin-wang si deteriorarono rapidamente. Durante questo periodo Jang-kya fu investito degli stessi privilegi e titoli imperiali che aveva avuto la sua precedente incarnazione – Maestro dell'Impero. Quindi, all'età di diciassette anni egli aveva già assunto un considerevole ruolo.
Nel 1734 (o 1735), l'Imperatore ordinò al principe Keng-ze Chin-wang ed a Jang-kya di accompagnare a Lhasa il settimo Dalai Lama, Ghel-sang Ghya-tso (28), il quale era stato in esilio per sette anni a Gar-tar (29) (che non è molto distante da Li-tang nella provincia di Kham). L'Imperatore precedente, K'ang-hsi, era stato un protettore del settimo Dalai Lama, che era stato insediato nel 1720, dopo una serie di avvenimenti (30), tra i quali: 1) l'assassinio del Reggente nel 1706, con il sostegno morale dell'Imperatore, da parte di La-sang Khan (31)– il Mongolo chiamato 'Re del Tibet' – e di una piccola armata. 2) il riconoscimento di La-sang Khan come Governatore da parte dell'Imperatore. 3) la cattura del caparbio Sesto Dalai Lama e la sua morte (per omicidio?) sulla via per la Cina, con l'Imperatore che aveva ordinato di disonorare il suo corpo. 4) il tentativo di La-sang di insediare uno dei suoi protetti, come Dalai Lama. 5) l'assassinio di La-sang, da parte dei Mongoli di Dzun-gars, che era un sostenitore del precedente Reggente e che voleva insediare come Settimo Dalai Lama, un bambino scovato a Li-tang (32) e vivente al Monastero Gum-bum (33) nel lontano est del Tibet, sotto la protezione Manciù per la previdente politica dell'Imperatore. 6) un tentativo fallito da parte di 7000 soldati Cinesi di scacciare il Dzun-gars. 7) la ritirata del Dzun-gars dovuta ai ripetuti attacchi da parte di un seguace lealista di La-sang, Po-la-sonam-dopgyé (34) e dei suoi sostenitori Tibetani. 8) l'arrivo di una nuova armata Cinese, accolta come amica e liberatrice dall'odiato Dzun-gars, che aveva ampiamente depredato; i Cinesi restaurarono il giusto Dalai Lama, che era stato fino a quel momento nel suo esilio al Monastero Gum-bum.
Nel 1721, l'Imperatore K'ang-hsi decretò che lo Stato del Tibet era un vassallo tributario, ma i Tibetani hanno continuato a definire la relazione, in termini di "protettore e prete". In ogni caso, questo fu un periodo in cui fu stabilita un'influenza Cinese nel Tibet anche se, grazie ad un abile governo, la diretta interferenza Cinese fu ridotta al minimo. Quando K'ang-hsi morì. Nel 1722, il nuovo Imperatore suo figlio Yung-cheng, ritirò l'ingombrante e potente presenza Cinese da Lhasa, dopo ché problemi interni gradualmente sfociarono in guerra civile, ma alla fine furono ricomposti prima che arrivasse l'armata Cinese. Nel 1728, i rappresentanti imperiali chiamati "Ambans", con una forte presenza di truppe Cinesi, si stabilirono nuovamente a Lhasa (questa condizione continuò fino al 1911), e Po-la-sonam-dopgyé organizzò un governo che stette in carica per venti anni.
Riguardo a Po-la-sonam-dopgyé, Snellgrove e Richardson scrivono nella loro Storia e Cultura del Tibet (35):
"Nelle sue relazioni con la Cina, egli si accorse saggiamente che finché la politica Tibetana non danneggiava i più vasti interessi della Cina nell'Asia Centrale, la supremazia Cinese nel Tibet si riduceva ad una mera formalità per quanto potevano interessare gli affari interni e perfino le relazioni Tibetane coi suoi vicini Himalayani. Perciò la sostanza dell'indipendenza Tibetana era preservata grazie alla protezione Cinese, ma senza paura di una sua interferenza. Il suo successo fu completo; egli guadagnò la piena fiducia dell'Imperatore grazie alla sua competenza e affidabilità e a Lhasa, i suoi rapporti con gli Ambans, come venivano chiamati i rappresentanti Cinesi, furono fermi ma amichevoli, di modo che essi rimanevano poco più che osservatori ed agenti diplomatici del loro Imperatore".
Po-la sembra aver fatto coi Cinesi, ciò che il Quinto Dalai Lama aveva fatto coi Mongoli – usava il loro potere ma controllava la loro influenza.
Durante la guerra civile del 1727-1728, il Settimo Dalai Lama e la sua famiglia, furono sospettati di intrighi perché appoggiarono la parte perdente. Quindi, il Dalai Lama fu esiliato a Gar-tar nel Tibet orientale, nonostante il suo appoggio Cinese, e l'Imperatore, prima che Po-la prendesse il controllo della situazione, fece in modo che il Panchen Lama fosse il sovrano della sua regione per controbilanciare il potere del Dalai Lama, il quale, come dicono Snellgrove e Richardson, "non lo considerò mai come un referente, ma non più che la posizione subordinata simile a quella di un governante locale ereditario"(36). Dal 1734, in ogni modo, con Po-la che ebbe ripreso un saldo controllo, il Dalai Lama poté essere riportato indietro a Lhasa con quella scorta dell'Imperatore che includeva Jang-kya. Egli dunque incontrò il Dalai Lama a Gar-tar nel ventitreesimo giorno dell'undicesimo mese del 1734.
Durante un periodo di circa tre anni (secondo il calcolo Tibetano) cioè dal 1734 al 1736, nel Tibet Centrale Jang-kya ascoltò molti insegnamenti dal Dalai Lama sugli stadi del Sentiero, sugli studi tantrici, e così via. Benché la sua precedente incarnazione fosse entrata nel Collegio Go-mang dell'Università Monastica di Dre-pung, egli non entrò in un collegio monastico particolare; anzi, egli visitò diversi collegi monastici nell'area di Lhasa, facendo numerose offerte ed ascoltando insegnamenti da molti lama. Alla fine del 1735, egli prese la piena ordinazione a Dra-shi-lun-po (37) dall'anziano Pan-chen Lama Losang Yeshe (38), ricevendo in quell'0ccasione il nome di Yeshe denpe-dronme. Comunque, con la novità dell'improvvisa morte dell'Imperatore Yung-cheng l'8 Ottobre 1735, Jang-kya ritornò a Lhasa e poi a Pechino, nel 1736.
A Pechino, il suo amico, il quarto figlio dell'ultimo Imperatore, regnava ora col nome di Imperatore Ch'ien-lung. Il suo regno ebbe una durata di più di sessant'anni, dal 1735 al 1796. L'Imperatore lo nominò Lama del Sigillo (39), che è la più alta posizione per un Lama Tibetano, presso la Corte Cinese, detenuta precedentemente da Tu-gen, ora deceduto, e benché il rango fosse stato affidato a Tri-cen Losang denpe-nyima, quest'ultimo lo cedette a Jang-kya su richiesta dell'Imperatore.
L'Imperatore chiese a Jang-kya di sottoporgli il progetto di tradurre i Commentari Indiani del Canone (40) dal Tibetano al Mongolo. La parola del Buddha (41) era già stata tradotta in Mongolo, ma non i Commentari Canonici. Perciò, in preparazione del progetto, Jang-kya compilò un esteso Glossario bilingue (42), allo scopo di introdurre consistentemente equivalenti traduzioni, viste le grandi varianti dei dialetti Mongoli. Col patrocinio imperiale, il progetto del dizionario fu sottoposto ad un gran numero di studiosi, cosicché essi poterono completare questo compito monumentale in un solo anno ad iniziare dalla fine del 1741. L'incarico di traduzione dei Commentari Canonici fu portato a termine nel primo mese dell'estate 1749, avendo richiesto all'incirca sette anni.
Nel 1744, l'Imperatore e Jang-kya fondarono un monastero per insegnanti in Pechino. Primo del suo genere, nella capitale imperiale, il monastero aveva quattro collegi che insegnavano filosofia, tantra, medicina ed altri studi. Il monastero aveva cinquecento monaci e fu chiamato Ganden-jin-chak-ling (43). (Alla fine, esso arrivò a chiamarsi il "Tempio dei Lama", secondo l'usanza Cinese di marchiare il buddhismo Tibetano come "Lamaismo", quasi come se esso non fosse 'buddhismo'). Jang-kya richiese al Settimo Dalai Lama di nominarvi come abate un'alta e erudita incarnazione; quindi fu nominato Datsak-je-drung Losang-belden (44) e Jang-kya continuò i suoi studi con lui.
Durante questo periodo, Jang-kya insegnò spesso all'Imperatore. Nel 1745 (o 1746) Jang-kya conferì all'Imperatore l'iniziazione del Supremo Yoga Tantra di Chakrasamvara, che a quel punto stava già studiando il Tibetano da diversi anni. Durante l'iniziazione, l'Imperatore osservò la convenzione di prendere posto più in basso del guru, di prostrarsi, inginocchiarsi e così via, nei momenti appropriati. Il biografo, Tu-gen losang cho-kyi nyima, rievoca l'iniziazione, da parte del maestro Sakya Pag-pa (45), di Hevajra Tantra (46), data a Kubilai Khan, speculando che tanto Kubilai Khan quanto l'Imperatore Ch'ien-lung fossero entrambi incarnazioni di Manjushri (47). L'abilità linguistica di Jang-kya andò talmente avanti che egli divenne capace di predicare in Cinese, Manciù e Mongolo; queste capacità furono indubitabilmente le chiavi della sua influenza ed efficacia.
Nel 1748, la reincarnazione undicenne del secondo Tu-gen, e cioè Tu-gen losang cho-kyi nyima (che doveva poi diventare il biografo di Jang-kya), invitò Jang-kya a visitare il loro monastero, Gon-lung Jampa-ling, la cui distruzione conseguente avrebbe poi motivato i successivi avvenimenti della sua vita – come la sua fuga, la sua venuta in Cina, il suo diventare amico di colui che sarebbe stato Imperatore, ecc. Chiedendo all'Imperatore il permesso di poter andare, Jang-kya fu pregato di attendere fino all'anno seguente, quando sarebbe stato autorizzato da un decreto imperiale per sistemare il restauro e le riparazioni, non solo del Monastero Gon-lung Jampa-ling, ma anche di quelli Gum-bum (48) e Dzen-po-gon (49). Accadde poi che ciò fu autorizzato come promesso, e durante la visita nel 1749, Jang-kya diresse la cerimonia di piena ordinazione per la reincarnazione di Jam-yang-shepa; quest'ultimo, si ricorderà, lo aveva aiutato nella sua stessa identificazione come reincarnazione del precedente Jang-kya. Perciò, Jang-kya lo nominò Gon-chog jig-me wang-po (50); inoltre gli insegnò una versione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione e gli conferì le autorizzazioni tantriche per coltivare la meditazione di alcune divinità. Gon-chog jig-me wang-po doveva poi diventare il principale discepolo di Jang-kya.
Dopo soltanto due mesi passati in questo monastero, Jang-kya ritornò in Cina. Il periodo dal 1749 al 1757 vide la fondazione di un monastero per monaci Manciù, ad ovest del palazzo imperiale, la traduzione della liturgia in lingua Manciù ed una scuola di Studi Tibetani sistemata all'interno della burocrazia. L'Imperatore voleva introdurre la pratica di Anuttarayogatantra di Kalachakra in Cina e perciò chiese a Jang-kya di prepararla. Jang-kya richiese al Dalai Lama un esperto nel Kalachakra Tantra, il quale inviò Ghel-sang tse-wang (51), che era scappato dalle frustate del suo insegnante, Rin-chen lun-drup (52) ed era andato a Lhasa doveva aveva incontrato e ben impressionato il Dalai Lama per la sua preparazione nel sistema Kalachakra. Perciò non vi erano dubbi sull'abilità di questo maestro. Durante questo periodo, Jang-kya figurò anche in fatti politici, invocando l'Imperatore di illuminare la punizione degli assassini degli "Ambans" (gli ambasciatori dell'Imperatore), pacificando una rivolta in Khalkha grazie ad un'influenza da Lama a Lama e inviando una missione in Tibet.
Dopo l'arrivo a Pechino nel 1757 delle notizie circa la morte del Settimo Dalai Lama, l'Imperatore mandò Jang-kya a Lhasa per aiutare la ricerca e la corretta identificazione della sua reincarnazione. L'Imperatore indicò che era davvero duro per lui privarsi dell'Hutoktu (53) (titolo Mongolo per i grandi Lama) Jang-kya e lasciarlo andare così lontano, ma che lo avrebbe permesso perché ciò era un proposito molto importante per l'insegnamento Tibetano; tuttavia, dopo aver completato il suo incarico, Jang-kya sarebbe dovuto immediatamente ritornare. Giunti alle sorgenti termali di Me-dro-ru-tog (54), si unirono alla comitiva viaggiante per Lhasa, Gon-ciog jig-me wang-po (la reincarnazione di Jam-yang shepa) e Tugen losang chokyi nyima (che sarà poi il biografo di Jang-kya); la compagnia fece il viaggio assai piacevolmente, con stimolanti conversazioni.
Essi arrivarono a Lhasa durante il dodicesimo mese Tibetano, quindi nel Gennaio del 1758, in cui furono ricevuti dal reggente ed accolti con piacere da una folta assemblea di Lama maggiori e minori, con tutte le tipiche formalità Tibetane. Jang-kya fu portato prima alla Cattedrale di Lhasa, dove rese onore ed omaggi all'immagine centrale, Jo-wo Rimpoche; gli fu poi assegnata la residenza governativa, rimodernata per la sua visita, vicino alla stessa Cattedrale. Durante questo periodo, Jang-kya e Tu-gen visitarono tutti i grandi monasteri intorno a Lhasa, facendo offerte e così via. A richiesta del Collegio Tantrico, situato nella parte bassa di Lhasa, Jang-kya conferì l'iniziazione di Guhyasamaja a ben seimila monaci e fu inoltre invitato a dare insegnamenti a diversi collegi monastici.
Mentre un giorno stava facendo visita a Pur-bu-jog Jam-pa Rimpoche (55) (cui non aveva potuto far visita nella precedente venuta a Lhasa, poiché questo Lama sosteneva un rivale del Settimo Dalai Lama), Jang-kya, nonostante la sua vista carente, notò nella cappella del Lama un'immagine di Padmasambhava, che lo stesso Lama non aveva notato prima di allora, perciò quest'ultimo si sorprese veramente alla visione del suo ospite. Tu-gen, il biografo, racconta anche di una volta in cui egli stava ricevendo insegnamenti da Jang-kya insieme con Gon-ciog Jig-me ed un altro reincarnato (tulku); la vista di Jang-kya era così scarsa, che egli fece leggere ad alta voce le sue opere a qualcun altro, nondimeno Jang-kya dimostrò una stupefacente abilità, senza alcun errore, nel saper andare a tempo ed anche di anticipare colui che leggeva. Jang-kya inoltre li sorprese per la sua capacità di individuare la qualità e la provenienza delle statue, nonché dei tipi di metalli con cui erano fatte, semplicemente passando la sua mano sopra di esse. Egli era anche capace di identificare la qualità artistica dei rotoli dipinti semplicemente ondeggiando la sua mano davanti ad essi. Preso da riverente soggezione, un certo filosofo disse scherzando che, secondo i suoi manuali, per un Buddha era contraddittorio avere la capacità di realizzare tutte le cose con la sua coscienza corporea e poi, nei fatti, non essere capace di vedere coi propri occhi.
Nel quarto mese del 1758, Jang-kya si recò a Drashi-lumpo per incontrare il giovane Terzo Pancen Lama, Palden Yeshe (56) e per chiedergli di aiutarlo ad identificare la reincarnazione del Dalai Lama. Dopo il ritorno di Jang-kya a Lhasa, il Pancen Lama stesso fu ivi invitato con riferimento all'identificazione del nuovo Dalai Lama. A richiesta di Jang-kya, il Pancen Lama eseguì l'intera iniziazione di Kalachakra, con tutte le fasi di preparazione, compresa la costruzione di un mandala di sabbie colorate, le sette iniziazioni nel sentiero infantile, le quattro alte iniziazioni, le quattro iniziazioni ancora più alte e l'iniziazione del grande Signore Maestro di Vajra.
In quel periodo, vi erano tre forti candidati che potevano essere riconosciuti come Dalai Lama e, siccome i cinque grandi oracoli non potevano essere d'accordo, Jang-kya si raccomandò che fosse lo stesso Pancen Lama a fare il riconoscimento. La raccomandazione di Jang-kya fu accettata ed il Pancen Lama scelse il candidato della sua stessa Provincia Dzang (57). Jang-kya eseguì la consacrazione del reliquiario del defunto Dalai Lama e scrisse la biografia ufficiale a richiesta unanime del reggente e di un gran numero di ufficiali (58).
Decisa dunque la reincarnazione del Dalai Lama, Jang-kya fece ritorno a Pechino nel 1760, in cui scelse il sostituto dell'Abate del monastero di Pechino, che era morto in sua assenza (lo stesso sostituto inoltre morì subito dopo). Durante questo periodo, l'Imperatore chiamò Tu-gen a Pechino, per cui insegnante e discepolo (Jang-kya e Tu-gen) s'incontrarono ancora. Inoltre, per volere dell'Imperatore, Jang-kya ordinò il terzo Getzun Dampa (59) di Khalkha, imponendogli il nome di Yeshe Dempe Nyima (60). Ancora durante questo periodo, egli compose una biografia del Detentore del Trono di Gan-den, Tricen Ngawang Chokden (61), tutore del Settimo Dalai Lama.
Nel 1763, dopo aver avuto la notizia della morte di suo padre, Jang-kya eseguì immediatamente il rito di Achala per sette giorni e, secondo il consiglio della divinazione, fece la trascrizione con inchiostro dorato, del "Sutra della Liberazione" e del "Sutra del Loto", come strumenti per purificare le ostruzioni karmiche del genitore. In relazione a questo lutto, l'Imperatore dette a Jang-kya il permesso per una breve visita nella Provincia di Am-do e, poiché doveva passare per la Mongolia, anche al suo originario monastero, Gon-lung Jam-pe-ling. Sulla via per il monastero, egli fu affiancato da una notevole scorta e fatto segno di felicitazioni da parte di grandi e piccoli Lama della zona, come pure dai monaci e dai laici. Giunto al monastero, Jang-kya fece offerte di tè e denaro ai monaci ed offrì anche una serie di cinquanta rotoli dipinti con la biografia di Shakyamuni Buddha, per tutto il monastero in generale.
Mentre si trovava al monastero Gon-lung Jam-pe-ling, Jang-kya fece un ritiro intensivo, meditando sulle divinità Vajrabhairava e Mahakala. Il risultato fu così di successo, che egli ebbe diverse visioni meditative ed accadde che perfino la birra bollita offerta nella sua ciotola, messa di fronte a se, formò delle bollicine gorgoglianti che emanavano una gradevole fragranza. Un altro giorno, inoltre, mentre stava meditando, egli chiese al suo attendente di portargli una ciotola per le offerte; mise la ciotola, che era fatta di metallo, in cima alla sua testa e, quindi, si mise a meditare per un po' di tempo. Quando la restituì al suo attendente, questa era così calda che sembrava esser stata tolta direttamente dal fuoco. Jang-kya sorridendo, disse: "Questo è il segno della mia realizzazione".
Quando finì il ritiro, egli insegnò le "Sacre Parole di Manjushri"(62) del Quinto Dalai Lama, le Istruzioni sugli stadi del sentiero, con tutti i dettagli, a duemila e cinquecento persone, monaci e laici, con Gon-chog Jig-me Wang-po (reincarnazione di Jam-yang She-pa) come patrono, che era a capo dell'assemblea degli astanti. E, proprio allorché Gon-chog Jig-me Wang-po si fu ritirato da Abate, egli chiese a Jang-kya di assumere la carica che, sull'insistenza di tutto il monastero, fu poi accettata; così Jang-kya divenne il nuovo Abate. In tale posizione, egli istituì nuovamente lo studio del "Commentario di Dharmakirti, sul Compendio di Dignaga, degli Insegnamenti sulla Cognizione Valida"(63), prima usando il testo aggiuntivo di Jam-yang She-pa e poi quello di Ge-tzun Cho-kyi Ghyal-tsen (64) del Collegio Sera-je di Lhasa. Inoltre, Jang-kya preparò una nuova incisione del testo letterale composto da Ge-tzun Cho-kyi Ghyal-tsen, con l'incisione che aveva avuto a Pechino e con i tipi conservati al Monastero Gon-lung Jam-pe-ling. Poi, avendo nominato un altro Lama al suo posto, nel 1764 egli fece ritorno a Pechino, sempre passando dalla Mongolia.
Anche Gon-chog Jig-me si recò a Pechino, ove ricevette insegnamenti da Jang-kya sulla pratica del sentiero secondo il lignaggio orale di En-sa-wa (65). Durante questo periodo, Gon-chog Jig-me scrisse un commentario sul "Canto della Visione" di Jang-kya (66) e da lui molte volte predicato, anche se non aveva con sé i testi per poter fare il commentario. Perciò egli li imparò a memoria, recitandoli tre volte al giorno e facendo preghiere a Jang-kya, col risultato che quando quest'ultimo ne insegnava il significato, egli istantaneamente se lo imprimeva nella sua mente, al punto che lo stesso Gon-chog riferì che ciò era avvenuto per il potere della compassione e delle benedizioni di Jang-kya. Sempre durante questo periodo a Pechino, Jang-kya dette a Gon-chog, dietro sua richiesta, la trasmissione orale e la spiegazione del Commentario di Lama Tzong Khapa "La Lampada che illumina" i "Cinque Stadi" di Nagarjuna(67), relativo agli stadi del sentiero del Guhyasamaja Tantra.
Intanto in Tibet, Tra-di Ghe-she (68) stava tentando di promuovere come autentico Dalai Lama, uno dei candidati meno probabili, avendolo insediato come tale al ritiro di Ghe-tsang (69). Un certo numero di persone si erano convinte e i rapporti del caso raggiunsero gli Ambans (gli ambasciatori dell'Imperatore) che informarono Pechino. L'Imperatore ordinò che sia il candidato e sia Tra-di Ghe-she fossero condotti a Pechino per essere puniti, ma Jang-kya intervenne, suggerendo che il ragazzo fosse messo al servizio del Pancen Lama a Tra-shi Lun-po, togliendolo al suo promotore. L'Imperatore accettò il consiglio e gli intriganti furono salvati dalla punizione. Jang-kya dette altri opportuni consigli allorché fosse ancora sorta una situazione simile, rispetto alle rivendicazioni di qualcuno che voleva prendere il posto dell'incarnazione Ge-tzun Dam-pa.
Nel 1767, Jang-kya cominciò la pratica annuale di passare da quattro ad otto mesi in ritiro solitario a Wu-tai-shan, la catena di montagne dei Cinque Picchi (70), un luogo consacrato a Manjushri. Dal 1768 al 1771, le sue attività furono l'esecuzione di potenti rituali per aiutare le sottomesse tribù della zona di confine Yun-nan, consacrando diecimila statue di Amitayus per designare il sessantesimo compleanno dell'Imperatore (1770) e consacrando, nella città di Jehol, un modello del Potala, il famoso palazzo del Dalai Lama a Lhasa, dopo aver dato i voti monastici al Ge-tzun Dam-pa. Tra il 1772 ed il 1779, egli organizzò, a richiesta dell'Imperatore, la traduzione della Parola del Buddha in lingua Manciù, verificando minuziosamente ogni volume e sottoponendolo all'approvazione dell'Imperatore. L'Imperatore, inoltre, ordinò che Jang-kya traducesse il Surangama Sutra dal Cinese al Tibetano. Poi, quando la madre dell'Imperatore, l'Imperatrice Hsiao-sheng (nata nel 1693), nel 1777 trapassò, Jang-kya eseguì i riti funebri per sette giorni. Come leggiamo dal testo di Samuel M. Grupper (71):
"Il fatto che il suo funerale fosse presieduto dal clero Tibetano, guidato dal più preminente Lama residente in Cina, sembrerebbe indicare che il buddhismo Tibetano era un integrante motivo di fede, nei dominanti circoli Manciù, indipendentemente dalla necessità di mostrare tolleranza rispetto alle credenze dei Mongoli, alleati dei Manciù"
Sotto molti aspetti, l'Imperatore Ch'ien-lung sembrerebbe essere stato un devoto del buddhismo Tibetano. Su invito dell'Imperatore, il Terzo Pancen Lama, giunse a Jehol nel 1780 e fu accasato nel palazzo modello completamente rinnovato di Tra-shi lun-po, che era stato costruito appositamente per la sua visita. Il Pancen Lama e Jang-kya passarono l'inverno con la Corte Imperiale a Pechino, ma il Pancen Lama contrasse un fatale morbo di vaiolo; Jang-kya ne condusse poi le spoglie mortali a Ch'ing-hai.
Nel 1781, l'Imperatore e Jang-kya visitarono il Tempio di Tin-ting-phu, pochi giorni di viaggio ad ovest di Pechino, dove a Jang-kya fu chiesto di eseguire i riti di propiziazione consacratoria ad un'immagine di Avalokiteshvara dalle mille braccia, che era stata da poco restaurata per ordine imperiale. Inoltre, tra il 1781 ed il 1786, Jang-kya eseguì rituali propiziatori ad una potente divinità della montagna, che aveva il controllo dei rami principali del Fiume Giallo, in cui l'Imperatore Ch'ien-lung aveva ordinato di costruire dighe per controllare le alluvioni. L'Imperatore espresse il suo apprezzamento per il Lama, ordinando una prodigiosa e generosa celebrazione del suo settantesimo compleanno. Nel sistema Mongolo-Tibetano di riconoscere l'età, si contano gli anni in cui uno ha vissuto e, quindi, nel 1786 Jang-kya stava vivendo il suo settantesimo anno. Si provvide ad erigere per lui, un trono di legno di sandalo rosso, adornato con metalli e pietre preziose, durante la celebrazione, che durò per parecchi giorni.
Benché solitamente Jang-kya andasse a Wu-tai-shan nel quarto mese, per il suo ritiro annuale, l'Imperatore decise di spostarsi lì nel terzo mese del 1786, per cui comandò al Lama di aspettare. Prima di partire da Pechino, Jang-kya fece insolite ed estese offerte e preghiere in tutti i templi. Poi, a Wu-tai-shan, Jang-kya comandò un'assemblea di persone che pregavano di fronte all'immagine di Manjushri; l'Imperatore si unì alle preghiere, che furono condotte come quelle del grande festival annuale di preghiere a Lhasa. Il biografo commenta che la loro venuta insieme, in questo speciale luogo, per un gran festival finale di preghiere e richieste augurali, fosse essa stessa un effetto del loro aver fatto tali richieste ed aver avuto tali intenzioni altruistiche, da un lungo periodo di vite e servisse anche come mezzo per creare in futuro, l'insorgere-dipendente di una simile caritatevole attività per la salvezza degli esseri senzienti.
Nel suo viaggio verso Wu-tai-shan, la salute di Jang-kya cominciò a peggiorare e, una volta giuntovi, malgrado gli sforzi dei dottori Cinesi e Tibetani, nel secondo giorno del quarto mese del 1786, al tramonto egli assunse la posizione a gambe incrociate con le mani nella posa di equilibrio meditativo. Egli cessò di respirare all'incirca all'imbrunire, "manifestando la Chiara Luce della morte, come Corpo di Verità del Buddha".
Come sua volontà, Jang-kya aveva richiesto che il suo corpo non fosse stato conservato in un reliquiario d'oro e d'argento, ma che i suoi resti fossero bruciati, le ceneri fossero usate per fare piccole immagini impresse, che potevano essere messe in un piccolo reliquiario di rame nel tempio di Wu-tai-shan. Tuttavia a Pechino, l'Imperatore, essendogli state presentate le ultime volontà di Jang-kya, rifiutò, dicendo che egli non aveva mai deviato dalla parola del suo Lama, ma ora, su questo punto non lo avrebbe seguito, poiché nella zona non vi era un maestro 'vajra' che fosse stato abile nei riti della cremazione e poiché era impensabile cremare i resti di un simile Lama, che erano come un gioiello che esaudisce i desideri. Al contrario, egli ordinò che fosse costruito a Wu-tai-shan un grande reliquiario d'oro e d'argento per i suoi resti, come oggetto di venerazione per tutti gli esseri; approssimativamente furono usate settemila once d'oro. Nel timore che con il passar del tempo, il monumento, che era stato decorato anche con materiali preziosi, potesse venir sconvolto da individui malvagi, l'Imperatore fece costruire nelle profondità, una grande stanza in pietra, proprio sotto quella in cui Jang-kya aveva dato insegnamenti ed il reliquiario fu installato lì su un trono di materiali preziosi, circondato da inconcepibili articoli di offerta, con i resti messi al suo interno, nel ventiquattresimo giorno del sesto mese, insieme con le spoglie mortali di altri grandi esseri. Dato che il monumento era concepito come oggetto di venerazione per dei ed umani fino alla fine di questo eone, l'Imperatore fece costruire al di sopra di esso un tempio, appropriato per gli occhi di tutti gli esseri, alti e bassi, con una pietra reliquiaria in esso. Il sale benedetto che fu usato per seccare e preservare i resti di Jang-kya, fu poi messo nel monumento di pietra.
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DISCEPOLI FAMOSI
L'ultimo capitolo della biografia di Jang-kya riporta una lunga lista di suoi ragguardevoli discepoli. Essa include:
- sette che furono in una mutua relazione con lui, come insegnante e come studente,
- il suo primo discepolo Gon-chog Jig-me wang-po,
- dodici reincarnati dal Tibet Centrale,
- undici reincarnati dal Tibet Orientale,
- diciannove reincarnati dalla Mongolia,
- sette Abati di Gan-den,
- ventitré Abati degli altri monasteri del Tibet Centrale,
- diciassette Abati e studiosi del Tibet Orientale,
- sette eruditi da Pechino,
- otto famosi studiosi dalla Mongolia,
- cinque traduttori da Pechino,
- dodici meditanti ascetici,
- tre attendenti,
- e sette discepoli avanzati (72).
Non ha importanza quanto questa lista possa essere esagerata, nel senso di includere meramente i nomi dei Lama che ricevettero iniziazioni tantriche da lui, essa indica comunque i vasti effetti raggiunti dalle attività di Jang-kya Rolla Dorje, attraverso l'estesa area del buddhismo Tibetano.
Uno dei suoi discepoli, avendo coltivato amore e compassione in meditazione, ottenne una così grande esperienza che restò a piangere per giorni sulle condizioni degli esseri senzienti. Un giorno, quel discepolo, tanto povero da non aver nulla da offrire, si tagliò un dito e lo offrì a Jang-kya in un mandala di offerte a Wu-tai-shan. Più tardi, quando Jang-kya stava in ritiro, egli ripeté il mantra di Achala e bruciò quel dito nel fuoco che, subito dopo, emanò un odore fragrante. Il discepolo voleva anche offrire il suo corpo, come se fosse stato una lampada avvolta in un vestito inzuppato di olio e voleva bruciarlo davanti all'immagine di Manjushri, ma Jang-kya rifiutò e gli negò il permesso; così, il discepolo si diresse a sud, a Ninghai, dove fece numerose petizioni e preghiere, offrendo alla fine il suo corpo ad Avalokitesvara e mettendo fine alla sua vita. Il biografo riporta che Jang-kya ebbe numerosi discepoli che realizzarono la vacuità.
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GLI SCRITTI DI JANG-KYA
Una prima svolta decisiva nella vita di Jang-kya fu l'incendio del suo monastero da parte dei Cinesi, quando egli aveva sette anni. Questo fatto lo costrinse a fuggire, fino a quando l'Imperatore lo obbligò a risiedere a Pechino, dove egli passò la maggior parte della sua restante vita. Qui, egli alla fine ottenne una posizione di considerevole influenza, agevolando la ricostruzione del suo monastero e, tramite la sua abilità nelle lingue e stretta vicinanza col successivo Imperatore Ch'ien-lung, promuovendo insegnamenti buddhisti in generale, grazie alle sue traduzioni in Mongolo ed in Manciù, nonché espandendo gli insegnamenti di Lama Tzong-Khapa in Cina, Mongolia e Manciuria.
Nonostante i suoi tanti viaggi ed attività, è importante notare che Jang-kya rimase in ritiro quattro mesi all'anno, durante i suoi ultimi diciannove anni di vita, mentre per il resto, compose all'incirca duecento opere in otto volumi (73). I suoi scritti includono biografie del Settimo Dalai Lama e del Detentore del Trono di Ganden, Tricen Ngawang Chokden; un commentario sul "Elogio alla Originazione-dipendente" di Tzong Khapa; un commentario alle "Preghiere di Samantabhadra"; una breve grammatica (74); i Riti del Guru Yoga; libretti su Wu-tai-shan e Kvan-lo-ye; un dizionario Tibeto-Mongolo (75); una Storia dell'Immagine su legno di sandalo e Inventari del Bianco Stupa sulla Porta Occidentale di Pechino; numerose preghiere, inclusa una sulla morte, stato intermedio e rinascita ed un'altra sulla disamina dei segni della morte; molti brevi testi tantrici collegati alle specifiche divinità; testi di istruzioni sulla visione della Via di Mezzo; saggi sui punti di addestramento nell'altruismo; saggi epistolari in risposta alle domande dei discepoli; testi sull'esorcismo di autoconcentrazione e iconografie di trecento dèi e trecentosessanta divinità (76).
Un testo sugli Stadi del Sentiero fu dettato da Jang-kya, dopo che fu visitato in sogno da Manjushri, nel primo giorno del nono mese del 1785 a Pu-ting-phu. Egli era stato in ritiro a Wu-tai-shan e nella notte del diciassettesimo giorno del sesto mese aveva avuto una profonda esperienza mistica, ed il sogno arrivò quando il periodo di isolamento era finito (77).
Tra gli otto volumi della Raccolta di Opere di Jang-kya, il suo lavoro filosofico più importante è la "Chiara Esposizione delle Presentazioni della Dottrina, Meraviglioso Ornamento per il Meru dell'Insegnamento del Conquistatore" (78), più comunemente conosciuto come "Presentazione della Dottrina" (79). Jang-kya lo scrisse nel periodo che va dal 1736 al 1746; Gene Smith (80) specula che "lo stimolo iniziale fu forse a causa del suo interesse nel Vijnanavada (la Scuola dell'Unica e Sola Mente), che fu poi preservata nelle Scuole buddhiste Cinesi"; notando che Jang-kya completò prima questo capitolo.
Nella "Presentazione della Dottrina", Jang-kya discute i maggiori dogmi delle scuole non-buddhiste e le quattro scuole buddhiste dell'India, nonché un breve trattato sul Mantra. Benché egli chiaramente attinga, occasionalmente anche criticandolo, alla "Grande Esposizione della Dottrina" di Jam-yang She-pa (81), il suo stile è assai differente. Laddove l'opera di Jam-yang She-pa presenta un'antologia letteraria di vasta portata sulla Dottrina, spesso citata in forma abbreviata con commentari talvolta criptici a causa della brevità e complessità, Jang-kya propone una discussione più liberamente fluente di svariati estratti. Inoltre, mentre Jam-yang tenne più in sottordine le opere di Tzong Khapa (il fondatore della setta Ghelugpa, che era anche il suo ordine), Jang-kya mise Tzong Khapa in primo piano, probabilmente perché, con la sua posizione di enorme influenza a Pechino, egli voleva introdurre le dottrine di Tzong Khapa nella regione, come una forma vitale di buddhismo.
Jang-kya si riferisce frequentemente a Tzong Khapa come "L'Eccelso, o Eccellente" (rje), un termine comunemente usato in Tibetano per un grande leader religioso, che in questo caso assume un rilevante significato speciale poiché è utilizzato quasi esclusivamente per Tzong Khapa. Nella sezione tradotta in questo libro, Jang-kya lo chiama "l'Eccelso" (82)per tre volte, cinque volte "L'Eccellente Padre"(83), undici volte "L'Eccelso Grande Essere"(84), dodici volte "L'Eccellente Lama"(85), nove volte "L'Eccelso Onnisciente"(86), una volta "L'Eccelso Padre Onnisciente"(87), e "l'Onnisciente Padre"(88) un'altra volta ancora. Il termine "Onnisciente" è usato piuttosto facilmente in Tibet, talvolta perfino per persone istruite che confutano un erudito, ma in questo testo il suo pressoché esclusivo utilizzo per Tzong Khapa rivela un senso di voler promuovere e glorificare un personaggio centrale che ha interpretato gli insegnamenti del Buddha per una particolare epoca. Jang-kya sta definitivamente esplorando e cercando di determinare il pensiero di Tzong Khapa, con l'implicita comprensione che le opere di questa grande figura, grazie alla sua penetrazione degli insegnamenti, provvedono l'accesso a ciò che, in altre situazioni, sarebbe impenetrabilmente arcano.
E' chiaro che, dal punto di vista di Jang-kya, l'erudizione e l'introspezione yogica di Tzong Khapa abbia permesso l'accesso alle profonde realizzazioni del fondatore Buddha, come pure dei principali interpreti Indiani della dottrina della Vacuità, e cioè Nagarjuna, Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva.
Nella sezione che qui abbiamo discusso, Jang-kya cita ventitré volte (89) le opere di Tzong Khapa, laddove Jam-yang Shepa, nella corrispondente sezione della sua "Grande Esposizione della Dottrina", cita Tzong Khapa solo undici volte, malgrado la sua più vasta enfasi sulle citazioni delle fonti (90). Una ragione per questa disparità potrebbe essere che Jam-yang, benché ugualmente votato a comprovare il pensiero di Tzong Khapa, è più interessato ad esplorare le fonti del fondatore, all'interno di un'atmosfera in cui le opere di Tzong Khapa sono accettate come una doverosa autorità per quest'era, mentre Jang-kya, vivendo e scrivendo a Pechino, è più interessato a stabilire Tzong Khapa proprio per la sua figura.
L'introduttoria natura dell'esposizione di Jang-kya è il motivo della sua chiarezza, ma senza dubbio lo stesso Jang-kya fa una presentazione semplicistica per agevolare la chiarezza. Piuttosto, egli frequentemente introduce il lettore a complessi sbocchi e lo fa con una riduzione di molti punti minori, ai quali Jam-yang Shepa presta maggior attenzione, come la formazione del termine Sanscrito per la dottrina cardinale del Buddha, l'originazione-dipendente, 'pratityasamutpada'. I due testi – il primo di Jam-yang Shepa, che agevolò il processo di ricerca della reincarnazione di Jang-kya, ed il secondo proprio di tale reincarnazione, Jang-kya Rolpa Dorje stesso, che divenne l'insegnante della reincarnazione di Jam-yang Shepa, Gon-chog Jig-me Wang-po (che peraltro scrisse un breve testo sulle Scuole della Dottrina (91) – si completano l'un l'altro, in quanto l'attenzione di Jam-yang al dettaglio spesso rende le abbreviazioni di Jang-kya sugli stessi punti, più accessibili; e la generosa presentazione di Jang-kya dei grandi sbocchi, spesso riduce in prospettiva l'ampia schiera di informazioni di Jam-yang Shepa (92).
Jang-kya mostra il suo orientamento pratico non solo nella sua diretta e conclusiva esposizione, ma anche nei suoi frequenti riagganci quando, come più avanti vedremo, egli critica sia coloro che tentano di meditare senza aver studiato le grandi questioni, sia coloro che chiacchierano sulla dottrina senza applicarsi essi stessi nella meditazione.
Dedichiamoci ora all'esposizione di Jang-kya, che ha per argomento ciò che in Tibet è considerata la più elevata introspezione nella natura dei fenomeni e gli strumenti per liberarsi dalla sofferenza, la visione della Vacuità dell'esistenza inerente, così com'è presentata nella Scuola Conseguente della Via di Mezzo (93). Io darò spiegazioni, estratte dalle tradizioni orali e scritte del buddhismo Tibetano e, in alcune occasioni, dai miei sforzi personali degli ultimi ventitré anni, per provare ad interiorizzare il significato. Questi commenti sono a margine del testo di Jang-kya e, poiché molte informazioni celate devono essere date prima che quelle basilari comincino ad acquistare il loro proprio impeto, i primi capitoli sono principalmente costituiti dai maggiori punti di riferimento identificabili all'interno di una visione del mondo, dopodiché diventerà accessibile il funzionamento all'interno di questa visione del mondo, confrontando le implicazioni tormentose ma liberatorie di una Vacuità dell'esistenza inerente, che è in totale opposizione alle radicate emozioni afflittive ed è la base della trasformazione verso una efficacia altruistica.
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CAP. 2 = I CONSEGUENZIALISTI
Il titolo di questa sezione del testo di Jang-kya è:
"BREVE ESPRESSIONE DEL SISTEMA DELLA GLORIOSA SCUOLA DELLE CONSEGUENZE
DELLA VIA DI MEZZO, VERTICE SUPREMO DI TUTTE LE SCUOLE DELLA DOTTRINA,
CHE SOSTENGONO IL SISTEMA STESSO DEL CONQUISTATORE"
Sono buddhisti coloro che, dal profondo del loro cuore, accettano i Tre Gioielli come loro sorgenti di rifugio insieme con una comprensione di ciò che essi sono. I Tre Gioielli sono: il Buddha, che mostra dove si può ottenere il Rifugio; il Dharma, cioè la sua Dottrina o vera cessazione e vero sentiero, che sono il reale Rifugio; e il Sangha, o Comunità Spirituale che aiuta nel raggiungimento del Rifugio. I proponimenti del Dogma buddhista, in aggiunta all'essere buddhisti, asseriscono i quattro Sigilli che certificano di appartenere alla Dottrina buddhista:
Tutte le cose prodotte sono impermanenti.
Tutte le cose contaminate sono miserevoli.
Tutti i fenomeni sono privi di un sé sostanziale.
Solo il Nirvana è 'PACE'.
Il testo di Jang-kya è incentrato sull'asserzione di questi quattro Sigilli, da parte della Scuola delle Conseguenze della Via di Mezzo (94).
Il "Conquistatore" è Shakyamuni Buddha che insegnò quattro tipi di dottrine – o, più letteralmente, stabilì delle conclusioni (95) – basate sulle capacità dei differenti praticanti. Questi quattro tipi, sono le due scuole del Veicolo Minore (96) - la Scuola della Grande Esposizione e la Scuola dei Sutra – e le due del Grande Veicolo – la Scuola della Mente Unica e la Scuola della Via di Mezzo (97) -. I loro dogmi, non importa quanto possano essere differenti, sono "conclusioni stabilite", nel senso che essi sono stati stabiliti per le menti di coloro che li sostengono e, almeno per questa era temporale, non saranno abbandonati per nessun'altra cosa (98). In Tibet, la Scuola della Via di Mezzo dei dogmi è considerata, pressoché universalmente, essere la più elevata e, quando essa si divise in 'Scuola Autonoma' e 'Scuola delle Conseguenze', quest'ultima venne considerata la più elevata, quella che rappresentava il reale pensiero del Buddha.
La presentazione delle Quattro Scuole – le prime due del Veicolo Minore (Hinayana) e le altre due del Grande Veicolo (Mahayana) – è usata come un dispositivo per mettere ordine nelle numerose posizioni filosofiche delle forme di buddhismo Indiano. Ovviamente, la vera storia non è stata così netta; la presentazione delle Scuole dei dogmi non è principalmente intesa come una descrizione storica orientata, ma piuttosto come il tentativo di provvedere ad una struttura per stimolare l'immaginazione metafisica con una varietà di visioni opposte, di modo che la natura dei fenomeni possa venir più facilmente penetrata. Tutti i desideri, l'odio, le inimicizie, le gelosie e così via, sono visti come se fossero basati su una falsa valutazione della reale natura di se stessi, delle altre persone e degli altri fenomeni; perciò, la penetrazione della realtà va messa al cuore della pratica di purificazione, in quanto la realizzazione della vera natura delle cose serve per minare ed eliminare tutte le emozioni afflittive. Lo scopo è di elevarsi come una fonte di aiuto e di felicità per tutti gli altri esseri, che sono visti come intimi amici che vagano nella prigionia della ripetizione ciclica di nascita, vecchiaia, malattia e morte.
Le Quattro Scuole sono divise secondo la loro propria visione dell'assenza del sé; le due scuole del Piccolo Veicolo presentano soltanto la mancanza del sé delle persone e quelle del Grande Veicolo presentano anche una mancanza del sé di tutti i fenomeni. La visione suprema, tra queste, è considerata quella della Scuola delle Conseguenze della Via di Mezzo. La spiegazione di questa visione suprema è presentata in due parti: la definizione e le asserzioni dogmatiche.
LA DEFINIZIONE DI UN CONSEGUENZIALISTA
La definizione di un Conseguenzialista è:
"Un Proponente della Scuola della Via di Mezzo, che asserisce che non è necessario stabilire le modalità di un qualche ragionamento, dal punto di vista della comune apparenza del soggetto (della discussione) alle cognizioni valide non-erronee di entrambi i disputanti, tramite la forza di un modo oggettivo di sussistenza delle cose, ma piuttosto che una coscienza inferenziale, che conosce l'assenza del sé, sia generata da un ragionamento che ha tutte e tre le modalità e che, essendo indotto soltanto dalle asserzioni dell'altra parte, viene approvato veramente da quell'altra parte".
"La Scuola della Via di Mezzo", come dice il nome, si riferisce a coloro che seguono una via intermedia tra gli estremi di esistenza sostanziale delle cose ed annichilimento o nullità totale. I Proponenti della Scuola della Via di Mezzo evitano entrambi gli estremi: quello dell'esistenza sostanziale, col rifiutare ogni asserzione di una qualche realtà dell'esistenza dei fenomeni e quello dell'annichilimento, tramite il rifiuto di qualsiasi asserzione che dichiari che le cose non esistano per niente e che esse non esistono nemmeno convenzionalmente. Le "COSE" sono fenomeni esistenti 'convenzionalmente', come le persone, le sedie, le montagne e così via. Nessuno potrebbe asserire l'esistenza delle corna di una lepre o una stoffa fatta di peli di tartaruga, esempi tradizionali di cose 'veramente' non-esistenti.
Le due sottoscuole della Scuola dogmatica della Via di Mezzo, la "Scuola Autonoma" e la "Scuola Conseguenziale", si chiamano così per i mezzi che usano onde generare negli altri una coscienza inferente che conosca la Vacuità – la prima usa sillogismi autonomi (99) e l'altra le conseguenze (100).
Una coscienza inferente è veramente cruciale nella meditazione; perciò è importante comprendere come poterla produrre. Un Conseguenzialista usa le conseguenze (prasanga) per produrre questa coscienza cruciale. Una conseguenza è una dichiarazione logica di questo tipo:
"Ne consegue che il soggetto, la tavola, non esiste inerentemente a causa del suo 'essere una originazione-dipendente'"
Questa è chiamata una "Conseguenza" perché "non esiste inerentemente" è la "consecutio", come una conseguenza dell'essere un'originazione-dipendente, e la dichiarazione è formulata nella forma di "Ne consegue che…"
Nell'esempio, la prima parte, il soggetto o base del dibattito, è "la tavola". La seconda parte – il fatto che ne consegue dal ragionamento – è chiamata il chiarimento. Nell'esempio, questo è "non esiste inerentemente". La terza parte è la ragione o il segno, "originazione-dipendente".
Quando una corretta conseguenza, come quella fatta dianzi e che esprime la visione personale della Scuola della Conseguenza, è dichiarata, vi sono tre modi in cui possiamo ricavare il significato da essa tramite l'applicazione, per così dire, delle regole dei sillogismi: 1) La "presenza della ragione nel soggetto" è la tavola, che è a sua volta una <originazione-dipendente>. 2) La conseguenza inevitabile (o compenetrazione) è che tutte le istanze dell'originazione-dipendente sono necessariamente istanze di un'assenza di esistenza inerente, oppure con altri termini, tutto ciò che è dipendente da un'originazione-dipendente, necessariamente non può essere inerentemente esistente. 3) La contro-conseguenza inevitabile, è che tutte le istanze di inerente esistenza, sono necessariamente non-istanze di <originazione-dipendente>, ovvero tutto ciò che esiste in modo inerente necessariamente non può essere dipendente dalla originazione-dipendente. E queste sono, all'incirca, i tre aspetti della ragione in un valido sillogismo – presenza della ragione nel soggetto, conseguenza inevitabile e inevitabile controconseguenza – qui applicata ad una <conseguenza>.
Queste sono tutte e tre le qualità della tavola. Esse non sono soltanto prolissità verbali; il fatto che una tavola sia essa stessa una originazione-dipendente, è chiamato "la presenza della ragione nel soggetto". Il fatto che ogni istanza del sorgere-dipendente in ogni cosa che può essere indicata nel mondo sia un'istanza di non-esistenza inerente, è una "compenetrazione o conseguenza inevitabile". Ed infine, il fatto che, se fosse possibile indicare un'istanza di esistenza inerente nel mondo, questo sarebbe un caso di non-originazione-dipendente, è la "inevitabile controconseguenza".
Termini come "conseguenza inevitabile" o "compenetrazione" sono modi tecnici di riferirsi a qualità che sono per natura nei fenomeni. Se l'essere una originazione-dipendente della tavola non fosse una componente della sua natura, una comprensione di ciò non aiuterebbe a generare una cognizione della sua assenza di inerente esistenza. Potreste proprio rischiare di produrre una qualche cognizione di un altro fiore nel cielo, un'altra stoffa fatta di peli di tartaruga. Non potreste mai arrivare ad un punto di cognizione incontrovertibile, perché il processo del pensiero non potrebbe rivelarvi ciò che veramente vi è lì.
Noi abbiamo due modi per scoprire incontrovertibilmente ciò che è reale, la cognizione inferenziale e la cognizione diretta. Allorché comprendete che vi sono due mezzi – quindi non solo la percezione diretta sensoriale, come siamo portati a pensare – voi vi aprite alla cognizione inferenziale, che è un modo di realizzare ciò che non è visibile. L'inferenza è molto importante; è la chiave per uscire dall'esistenza ciclica. Voi potreste avere l'idea che l'inferenza coinvolga sempre la discorsività; al contrario, una vera cognizione inferenziale non è esprimibile a parole. Non è come leggere continuamente dei capitoli di un libro, rimuginando continuamente sulle parole.
Una cognizione inferenziale è ciò che noi, nella nostra ignoranza, possiamo ritenere come se fosse una cognizione diretta. Perché, quando arrivate al punto di una vera cognizione inferenziale della vacuità, per esempio, voi conoscerete solo una vacuità di esistenza inerente. A quel punto, non è voi che sarete andati oltre la ragione; non avrete neanche fattivamente carpito la ragione alla mente. L'effetto del vostro ragionare sarà, in quel momento, la vostra cognizione dell'assenza di esistenza inerente, per esempio, del vostro corpo.
Sempre per esempio, se voi proprio adesso, guardando fuori dalla finestra, vedeste delle spire di fumo, potreste ben capire che vi è del fuoco, lì vicino. Non dovreste continuamente ripetervi mentalmente: "Dove vi è fumo, vi è il fuoco. Qui c'è fumo, perciò, qui c'è anche il fuoco. Dove vi è il fumo, lì vi è il fuoco. Qui c'è il fumo, perciò deve esservi il fuoco…ecc.", ma avreste immediatamente la cognizione inferenziale. Sareste tutt'uno con la vostra cognizione del fuoco e agireste di conseguenza. E' proprio la stessa cosa con la vacuità.
Tutto questo è molto importante. È possibile essere così abituati a ragionare che, se per caso foste giunti abbastanza vicini al punto di avere la cognizione della vacuità, voi potreste tralasciarla e ritornare di corsa al ragionamento. Se vi accorgete che uno di questi adamantini strumenti, abituati a ragionare, sta operando, mettetevi giù e restate calmi con esso, diventando assuefatti al risultato del ragionamento, (ciò sarà) una cognizione di vacuità.
Restare calmi con la cognizione che risulta dal ragionamento, è chiamato "stabilizzazione meditativa". Come prima cosa si esegue la meditazione analitica e, dopo, la meditazione stabilizzata – alternandola ancora con la meditazione analitica nonappena la cognizione diventa più labile, e così via. Certo, è alquanto difficile e duro. Le persone che si abituano solo a leggere ed a studiare, hanno grosse difficoltà con l'avanzare ed il fermarsi ad una conclusione e non vogliono restare nella comprensione. Una cognizione inferenziale è concettuale ma, in questo caso, ciò non significa articolare un mare di verbosità. Anzi, siccome non state vedendo direttamente l'oggetto, vi è ancora un'immagine di vacuità come fattore di comprensione; quindi, solo una immagine e non un flusso indiscriminato di parole.
La cognizione diretta è l'altro modo in cui noi conosciamo incontrovertibilmente ciò che esiste. Le cognizioni valide, sia diretta sia inferenziale, sono cognizioni non-erronee circa i loro oggetti; esse concepiscono correttamente il loro oggetto principale. Esse differiscono tra loro per il fatto che la cognizione diretta è quella di un oggetto stesso senza l'intermediazione di un'immagine mentale di quel dato oggetto, mentre l'inferenza si appoggia ad un'immagine mentale.
Il sistema dell'ordine Ghelugpa del buddhismo Tibetano, che segue dalla fine del quattordicesimo ed inizi del quindicesimo secolo, l'erudito nonché yogi Tzong Khapa (101), implica che perché noi si possa conoscere correttamente ogni cosa, le nostre percezioni devono avere un elemento di cognizione valida. Così, almeno in modo astratto, potremmo parlare di cognizioni valide perfino nelle nostre percezioni ordinarie, quindi non solo nelle percezioni durante la meditazione. Ma, quando parliamo della cognizione valida, nelle percezioni ordinarie della nostra vita quotidiana, vi è poco che possiamo indicare; percezioni errate e percezioni non errate sono così strettamente mescolate.
Se prendiamo gli insegnamenti di Tzong Khapa sulla cognizione valida, allora essi affermano che noi percepiamo il modo di esistere delle cose in maniera sbagliata. Noi di solito percepiamo le cose come esistenti inerentemente, o come se potessimo trovarle nel caso che le cercassimo, mentre in realtà i fenomeni sono "vuoti di esistenza inerente" e, analiticamente, sono introvabili. Inoltre, se prendiamo il modo in cui le cose appaiono come modo di una loro esistenza convenzionale, siamo in errore. L'esistenza convenzionale è un'esistenza validamente stabilita e questo non è ciò che appare alla nostra abituale percezione. Noi, abitualmente, concepiamo le cose come se esistessero inerentemente, ma ciò non rende l'esistenza inerente convenzionalmente valida; "convenzionale" non significa "abituale"; essa implica la validità.
Se decidiamo che le nostre attuali percezioni siano completamente corrette, allora avremo enormi e molte difficoltà nel cercare di praticare il buddhismo del Mahayana dato che, nel buddhismo del Grande Veicolo, è importante cogliere che un'infinità di tempo e di spazio può adattarsi ad un solo momento o ad una singola particella, mentre di solito noi siamo congelati in un modo assai ristretto di vedere il tempo e lo spazio. Parlare di cognizioni valide nelle percezioni ordinarie, può solo congelarle ancora di più. Comunque, l'insegnamento della cognizione valida nella percezione ordinaria è importante perché spinge nella necessità di distinguere tra il giusto e l'errato delle apparenze ordinarie. Nonostante l'insegnamento di Tzong Khapa pure affermi che la percezione ordinaria può essere valida, egli peraltro sostiene che perfino una valida cognizione sensoriale diretta è errata, riguardo al modo di esistenza del suo oggetto.
Ad esempio, guardando una tavola, noi vediamo qualcosa che ricopre un certo spazio. Tuttavia, applicando il ragionamento della Via di Mezzo, possiamo comprendere che non vi è nulla che copre le parti; a quel punto, dobbiamo accettare che ogni valida cognizione, che finora abbiamo avuto, è errata rispetto a questo punto importante, perfino se queste cognizioni sarebbero giuste circa la mera presenza o assenza di quel dato oggetto. Tutte le cose appaiono ai nostri sensi ed alla nostra mente, come se fossero inerentemente esistenti e riscontrabili per loro conto, ma non è così. Oppure, per dirla diversamente, tutte le cognizioni valide dirette che ora noi abbiamo, sono contagiate da questa apparenza di esistenza inerente. Una volta che l'oggetto è apparso nel modo errato, la nostra mente abitualmente lo fraintende e tende a conservare questo falso modo di esistenza delle cose. La mente afferra il nudo dato della falsa apparenza di esistenza inerente e la rafforza.
Qual è lo strumento che possiamo usare contro questa errata concezione dell'esistenza inerente? E' l'inferenza. La cognizione inferenziale può rivelare la natura di questi oggetti, di modo che essi possano essere concepiti in maniera differente. Se questa appropriata cognizione della natura delle cose dovesse essere sempre concettuale, sarebbe come se sovrapponesse una copertura sulla realtà, ma essa diventa non-concettuale grazie alla abitudine della meditazione e dell'analisi costante, per cui alla fine, con il raggiungimento della buddhità, rimuove tutti gli errori della falsa apparenza.
Per prima cosa voi generate una cognizione inferenziale e poi vi ci abituate, diventandone esperti. Sempre uniti alla cognizione inferenziale, svilupperete una calma dimorante (102) – profonda, unicentrata concentrazione mentale – e quando questa calma dimorante è stata ottenuta e stabilizzata, potrete penetrare in un'analisi particolarmente energica che, quando è alternata con la meditazione stabilizzante, apporta gradualmente una speciale introspezione. Quando poi la meditazione stabilizzante e la meditazione analitica raggiungono un'eguale forza e si supportano vicendevolmente, otterrete una ancor più speciale visione profonda della vacuità ed avrete raggiunto il Sentiero della Preparazione (103). Nel tempo in cui questo avviene, sarete passati attraverso quattro stadi, durante i quali l'immagine di vacuità, che è l'oggetto della cognizione concettuale, sparirà.
All'inizio del Sentiero della Preparazione, ciò che appare alla vostra mente è un'immagine di completa e totale vacuità – un'assenza di esistenza inerente dell'oggetto. Quando la cognizione inferenziale è spinta così in avanti, nessuna cosa apparirà più alla mente se non questa vacuità – un'assenza, negativa, di esistenza inerente.
Tuttavia, finché siamo così abituati, ed obbligati, a vedere l'esistenza inerente, benché non ci sia più, per noi sembra come se non ci sia nulla. Quindi vi sono due tipi di persone che possono avere due modi di coltivare la cognizione inferenziale della vacuità. Alcuni non possono riuscire a stare con essa e preferiscono risalire al ragionamento quando non dovrebbero. Essi hanno bisogno di applicare la meditazione stabilizzante sulla vacuità che è la conclusione del loro ragionamento. Altre persone, invece, si sentono così oppresse dalla vacuità che appare, da dimenticare perfino ciò che stanno facendo; non vedono più alcuna sensazione di una specifica negatività di esistenza inerente. Tutto diventa solo non-esistenza. Essi arrivano ad una completa vacuità di esistenza inerente, ma questa diventa una vacuità totale e assoluta che è un annichilimento di ogni cosa. A questo punto essi dovrebbero rinfrescare il ragionamento tramite la meditazione analitica. Una sola parola, o meglio una sola frase, può essere sufficiente.
Quando siete arrivati a capire il modo in cui si sviluppa la cognizione di vacuità, potete comprendere il perché sia così importante generare un'inferenza tramite appropriati strumenti – cioè tramite conseguenze e sillogismi. I Conseguenzialisti affermano che non appena stabilite un sillogismo, come ad esempio: "Il soggetto, cioè una casa, non esiste inerentemente a causa del suo essere una originazione-dipendente", allora potreste immediatamente essere congelati in ciò che voi pensate possa essere il modo di esistere della casa. Finché noi sentiamo che la coscienza che dà validità all'oggetto, cioè il soggetto del sillogismo (in questo caso, una casa) convalida anche la sua esistenza inerente, noi siamo immobilizzati nella nostra ordinaria percezione scorretta della natura dell'oggetto. Ciò specialmente accade quando si pensa che la cognizione valida che stabilisce e certifica la sua esistenza per noi sia la stessa rispetto alla cognizione valida che stabilisce e certifica l'oggetto per un Conseguenzialista. Per esempio, se io fossi un Conseguenzialista mentre voi non lo foste, allora nel vostro sistema la cognizione valida che stabilisce l'esistenza di questa casa stabilirebbe anche la sua esistenza inerente, la sua esistenza dalla sua propria parte. Invece, nella Scuola della Conseguenza, la coscienza certifica e stabilisce la mera esistenza dell'oggetto, non la sua esistenza per suo proprio diritto.
Ora, se voi, foste non-Conseguenzialisti, pur essendo comunque buddhisti, e quindi proponenti della originazione-dipendente, io potrei dirvi:
"Ne consegue che il soggetto, cioè la casa, non è una originazione-dipendente a causa del suo esistere inerentemente".
Questo potrà esservi di peso perché, essendo buddhisti, voi desiderate precisamente affermare che una casa è una originazione-dipendente. Ma se essa esiste inerentemente, allora non può essere una originazione-dipendente. Questo vi darà da pensare. Probabilmente, a questo punto, voi non accettereste la cosa. Potreste dire, "Nessuna inevitabile conseguenza" e ciò significherebbe che voi non accettate che qualsiasi cosa che sia una cosa esistente inerentemente, non sia necessariamente una originazione-dipendente. Se ve ne uscite col dire: "Nessuna inevitabile conseguenza", allora io dovrò faticare con voi. Per rendere tutto più chiaro, potrei dire:
"Ne consegue che il soggetto, la casa, non dipende dalle sue cause, a motivo dell'esistenza inerente".
Oppure, potrei discutere con voi circa ciò che il termine "esistente inerentemente" vuole significare, spiegando che ciò implica, per estensione, - esistere in e di per sé, senza dipendere su cause, e così via. Oppure, potrei dire:
"Ne consegue che il soggetto, la casa, non dipende dalle sue parti, a motivo dell'esistenza inerente".
Invero, io probabilmente dovrei dichiarare molte conseguenze diverse, dato che è assai duro smuovere qualcuno dalla sua posizione in cui si è fissato. Se non fosse così difficile, chiunque potrebbe essere un Conseguenzialista. Chiunque sarebbe convinto del fatto che le cose non esistono nel modo in cui esse appaiono.
Quando state meditando, potreste lanciare queste medesime conseguenze, a voi stessi. Prendete il modo in cui una casa vi appare, potreste pensare: "Questa è veramente una bella casa" oppure, "Questa casa è brutta, in primo luogo perché sono entrato qui?". Voi dovete osservare il modo in cui state concependo la casa. Dovete individuare la vostra propria sensazione della sua inerente esistenza. Dovete acchiappare la vostra mente mentre sta aderendo all'apparenza di una casa come concreta e riscontrabile. Perfino se non vi sembra al momento di essere presi in questa sensazione, cercate di ricordare i momenti in cui siete stati presi da essa e dichiarate questa conseguenza a voi stessi:
"Ne consegue che il soggetto, la casa, non è una originazione-dipendente a causa del suo esistere inerentemente".
Se vi dichiarate buddhisti, vi sentirete angosciati, perché l'originazione-dipendente è un caposaldo del buddhismo – la pietra miliare della Dottrina del Buddha. Da una parte, siete spinti ad abbandonare l'originazione-dipendente a causa del vostro sentire che la casa è esistente inerentemente, oppure dall'altra, ad abbandonare l'esistenza inerente perché la casa è una originazione-dipendente. Un altro metodo è quello di prendere voi stessi come soggetto. Potreste dirvi:
"Ne consegue che il soggetto, io stesso, non dipende dalle sue parti, a causa dell'esistenza inerente".
Se voi gettate uno sguardo su come stavate pensando di voi stessi, quando oggi passeggiavate per la città, sentendovi importanti (o sentendovi meschini), facendo progetti, e così via, potete identificare la vostra sensazione di esistenza inerente. Voi stessi, e non un oppositore esterno con cui dibattete, state "asserendo" l'esistenza inerente. Questa "asserzione" è implicita nel vostro vivere con un continuo senso di esistenza per vostro stesso diritto, dalla vostra parte. D'altro canto, poiché avete riflettuto sulla vostra natura dipendente, molto spesso siete spinti ad affermare che voi dipendete dalle vostre componenti. Cosicché vi trovate ad essere sottoposti ad un conflitto interiore.
L'importanza di questa conseguenza, espressa come un sillogismo, è: "Il soggetto, io stesso, non esiste inerentemente perché dipende dalle sue parti". Per costruire un sillogismo da una conseguenza che implica il suo opposto, dovete 1) portare l'opposto, come ragione, nella conseguenza – l'esistenza inerente – e rendere questo il predicato del sillogismo – il non esistere inerentemente – e 2) portare l'opposto del predicato, nella conseguenza – il non dipendere dalle parti – e rendere questa la ragione del sillogismo – il suo dipendere dalle parti.
Una conseguenza vi obbliga a vedere che siete in una posizione in cui non vorreste essere, mentre un sillogismo cerca di spingervi in una posizione in cui, in questo momento, non vorreste essere. Però, una conseguenza non è necessariamente un'obbligazione che v'impone di vedere che siete in una posizione indesiderata. Prima dovreste lavorare. E' necessario ricordare, tenere a mente, che proprio di recente, stavate 'sentendo' che voi esistete inerentemente. Per esempio, se qualcuno in precedenza vi ha colpito e voi vi siete arrabbiati, dovreste esaminare, "Chi è colui che è stato ferito?". Potete puntare su questa vostra sensazione del 'sé' e poi potete esprimere la conseguenza circa quella persona. Dalla conseguenza, vedrete che se state sostenendo che voi esistete inerentemente, allora dovete sostenere che voi non siete imputati in dipendenza su una base di designazione – come la mente, o il corpo; dovete sostenere che voi non siete una originazione-dipendente.
Se, prima, non avete una sensazione della vostra propria esistenza concreta, allora le vostre sono tutte chiacchiere. Non state dimostrando nulla. State tirando una freccia ma non avete un bersaglio. State dislocando le truppe ma non avete alcun senso di dove sia il nemico. Il Quinto Dalai Lama così disse (104): "Se tanto il Sé (cioè la persona validamente esistente) quanto (il sé che è) il non-esistente oggetto di negazione, non sono intimamente individuati, allora è come disporre un'armata senza conoscere dov'è il nemico, oppure come scagliare una freccia senza aver scovato il bersaglio".
Se il bersaglio del ragionamento non è identificato, siete costretti a rifiutare tanto più l'oggetto stesso piuttosto che solo la sua esistenza inerente, oppure qualche mera idea intellettuale sovrapposta, che abitualmente non è possibile trovare, nella nostra percezione degli oggetti. Molto spesso, una conseguenza è meno astratta di un sillogismo, perché quando esprimete il ragionamento, "a causa dell'esistenza inerente", avete identificato che questo è il modo che voi 'sentite', riguardo al soggetto. A quel punto, voi siete giusto all'interno della vostra sensazione. Quindi siete spinti dentro qualcosa che non volete accettare. "Ne consegue", in questo caso, significa che un'assurdità deriva a causa dei dogmi che voi sostenete abitualmente – a motivo del modo con cui guardate alle cose. Questa è chiamata una 'conseguenza indesiderata'. (Come abbiamo visto sopra, non tutte le conseguenze sono indesiderate, perché i Conseguenzialisti possono utilizzare le conseguenze per dichiarare le loro posizioni).
Il nocciolo del contendere, tra i Conseguenzialisti e tutti gli altri sistemi dogmatici, è se dopo aver espresso una conseguenza voi dobbiate o no dichiarare apertamente il corrispondente sillogismo. Tutti i sistemi filosofici usano le conseguenze per abbattere l'incisività o la risonanza (105) del punto di vista sbagliato di una persona. Quindi, secondo i sistemi non-Conseguenzialisti, voi dovete esprimere un sillogismo a tale persona, ribaltando la vostra originale conseguenza ed esprimendola nella maniera contraria. Per esempio, avendo dichiarato precedentemente questa conseguenza:
"Ne consegue che il soggetto, una persona, non è imputato in dipendenza delle sue parti, a causa del suo esistere inerentemente".
Poi, una volta che la resistenza dell'oppositore è stata un po’ abbattuta – oppure nella meditazione, una volta che la vostra stessa resistenza si è indebolita – voi dichiarate il corrispondente sillogismo:
"Il soggetto, la persona, non esiste inerentemente a causa del suo essere imputato in dipendenza delle parti".
I Conseguenzialisti affermano che se voi avete un abile oppositore o se, trattando con voi stessi, non siete troppo pigri, non è necessario riformulare la conseguenza convertendola in sillogismo. Se siete voi stessi abili, potete raffigurare che il significato del sillogismo è ovviamente contenuto nella conseguenza che avete dichiarato. Perciò, in breve, i Conseguenzialisti affermano che non è necessario dichiarare un sillogismo dopo aver espresso una conseguenza, per far sorgere una cognizione inferenziale circa l'assenza di esistenza inerente.
I Conseguenzialisti affermano inoltre che quando essi dibattono con i non-Conseguenzialisti, i tre aspetti – la presenza della ragione nel soggetto, la conseguenza inevitabile e la controconseguenza inevitabile – non possono essere stabiliti nel contesto di soggetto, predicato e ragionamento, essendo stabiliti come esistenti allo stesso modo nei loro sistemi e nei sistemi dei loro oppositori. In queste condizioni, apparirebbero i fenomeni entrambi in modo simile, nel senso che essi fenomeni sarebbero similmente stabiliti in entrambi i sistemi? Soltanto se i fenomeni avessero un modo oggettivo di sussistenza, un modo di esistenza intrinseco ai fenomeni stessi, anziché essere proposti dalla mente. In quanto, nel sistema in cui qualcuno ha bisogno di imparare la visione della vacuità di esistenza inerente, la cognizione valida che stabilisce il soggetto, e così via, è ritenuta anche stabilire la loro inerente esistenza.
"Modo oggettivo di sussistenza" significa che una cosa è lì, davanti a noi, proprio con le sue parti. Prendiamo, per esempio, un gatto. Il gatto è un oggetto, e proprio grazie alle sue parti – mente e corpo – il gatto può essere lì, non solo designato, ma col corpo e la mente del gatto – in, di e per se stesso. L'oggetto sarebbe auto-esistente; esisterebbe lì in se stesso.
Allorché riconoscete che state pensando, "Naturalmente, esso deve esistere da se stesso" – quando notate che state sentendo la cosa in maniera opposta al modo in cui i Conseguenzialisti asseriscono che le cose devono essere – vi state sintonizzando per la prima volta con questo sistema. Perché, è innegabile che i fenomeni ci appaiono come se esistessero di per sé, dalla loro parte. Ma voi state facendo progressi grazie al vostro notare questa apparenza fondamentale, perfino se non avete ancora realizzato che essa è falsa.
Se i fenomeni esistessero inerentemente, la cognizione valida che stabilisce correttamente la loro esistenza sarebbe simile, sia per i Conseguenzialisti e sia per i non-Conseguenzialisti. Invece, i Conseguenzialisti asseriscono che i fenomeni non esistono inerentemente e che, quindi, non è necessario, e di fatto, è impossibile, costruire sillogismi in cui i tre aspetti di una ragione siano stabiliti nel contesto del soggetto, predicato, motivo ed esempio, che appaiono tutti simili ad entrambe le parti, nel senso che entrambe le parti sostengono visioni similari su ciò che la cognizione valida che li stabilisce, veramente li stabilisca. Benché questi fenomeni appaiano simili ad entrambe le parti, nel senso che questi appaiono ad entrambi come essere inerentemente esistenti, un non-Conseguenzialista sostiene che la cognizione valida di un oggetto stabilisce anche l'esistenza inerente dell'oggetto, laddove un Conseguenzialista lo nega. In questo senso, la Scuola della Conseguenza affermò che non vi sono soggetti comunemente apparenti e così via, nei dibattimenti riguardanti il modo ultimo di esistenza dei fenomeni.
Per i Conseguenzialisti, i metodi migliori per aiutare gli altri hanno inizio con le loro asserzioni. Essi favoriscono una conseguenza che mostra, come se fosse un oltraggio, la contraddizione interna di una presa di posizione. Per questo motivo, Jang-kya afferma:
"Per di più, in tal modo offre Le Chiare Parole (106) di Chandrakirti, insieme col (mostrare la sua) correttezza, la ragione del perché una tesi è comprovata da una ragione approvata dall'altra parte, e perché autonomi (sillogismi) non dovrebbero essere dichiarati:
- Rispetto ad una inferenza per il proprio scopo personale, (perfino tu dici che) solo ciò che è stabilito per se stessi è più importante di tutto, non ciò che è stabilito per entrambi (se stessi ed un oppositore, perché in un'inferenza per il proprio scopo, non vi è oppositore). Quindi, esprimere le definizioni di logica (così come sono rinomate nei sistemi degli Autonomisti ed inferiori) (107) non è necessario, perché i Buddha aiutano gli esseri – i seguaci che non conoscono la talità – con un ragionamento che è famoso a quegli (gli esseri)."
Vi sono due tipi di inferenza: l'inferenza per il proprio personale proposito e l'inferenza per lo scopo altrui. L'inferenza per il proprio scopo è una coscienza prodotta dal dichiarare le ragioni a se stessi come, per esempio, nella meditazione. L'inferenza per lo scopo altrui è compresa dai suoni verbali dichiarando un ragionamento verso un oppositore, durante un dibattito, e quindi ciò è detta non essere una vera inferenza, che obbligatoriamente è uno stato di coscienza. Nella meditazione, il ragionamento dovrebbe essere applicabile a se stessi; nel dibattimento si dovrebbe applicarlo al vostro oppositore. Aryadeva, che era il capo dei discepoli di Nagarjuna, disse che non si può insegnare ad un barbaro, usando un linguaggio sofisticato (108):
"Proprio come un barbaro non può essere avvicinato con un altro linguaggio
"Che non sia il suo, così il mondo non può essere istruito, se non col mondano!"
Quando si vuole avvicinare un barbaro, bisogna farlo col suo linguaggio. Proprio allo stesso modo, un Buddha aiuta le persone usando i loro stessi termini. Anche Chandrakirti indica ciò, con un esempio mondano; il suo testo "Chiare Parole", dice (109):
" E' solo da un ragionamento stabilito per se stessi, e non da qualcosa stabilito da altri (disputanti),
"ché in tal modo è visto nel mondo. Nel mondo, talora (una parte) prevale, mentre (l'altra)
"è sconfitta a causa delle parole di un giudice, che pure prende per valide entrambe;
"altre volte egli valuta soltanto la sua stessa parola e vittoria, o sconfitta, non dipendono
"dalla parola dell'altro. Proprio come accade nel mondo, così pure avviene nella logica,
"poiché soltanto le convenzioni del mondo sono adeguate per poter trattare con la logica…"
Considerare l'importanza di (essere) un Conseguenzialista in tal modo, è il perfetto pensiero del testo di Chandrakirti.
La definizione di Jang-kya di un Conseguenzialista, segue quella delle "Chiare Parole" di Chandrakirti. Chi fu a presentare il pensiero di Chandrakirti in questo modo? La "Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione" di Tzong Khapa, dice:
"Comprovare una tesi con un ragionamento che è stabilito per entrambe le parti,
"con valide cognizioni, come se fossero state precedentemente spiegate, è chiamato
"un ragionamento autonomo. Colui che comprova una tesi non in questo modo,
"ma tramite i tre aspetti (di un ragionamento) approvati dall'altra controparte,
"è considerato un Conseguenzialista. È chiaro che questa (spiegazione del significato
"dell'essere un Conseguenzialista) è il pensiero del Maestro (Chandrakirti)…"
In questo caso, un Conseguenzialista può anche essere definito un Proponente della Scuola della Via di Mezzo il quale, senza accettare l'autonomia, asserisce che una coscienza inferente che conosce l'assenza di vera esistenza, è generata semplicemente tramite ciò che è approvato dalla controparte. Per di più, è opportuno dare la definizione di un Conseguenzialista come: un Proponente della Scuola della Via Mediana che non accetta, nemmeno convenzionalmente, i fenomeni che siano stabiliti in base alle loro proprie caratteristiche.
E' inoltre importante notare che Jang-kya definisce i Conseguenzialisti, da quanto dicono alcuni interpreti Occidentali della Scuola della Conseguenza, che il principale dogma della scuola è che i fenomeni sono vuoti e privi di definizioni. Essi sostengono che ciò che la presentazione della vacuità della Scuola Conseguenzialista rifiuta, è che i fenomeni abbiano essenza, nel senso di caratteristiche definibili, che avvengano con qualsiasi istanza di tale fenomeno. Dal punto di vista di Jang-kya e dei Gelugpa in generale, una tale posizione corre il rischio di cadere nell'estremo del nichilismo; piuttosto, secondo loro, ciò che è rifiutato è uno stato "reificato" dei fenomeni e, questo stato "reificato" di esistenza inerente o lo stabilire gli oggetti in base alle loro caratteristiche, non può esistere né in modo convenzionale e né in modo assoluto o ultimo.
"Inoltre, la radice conclusiva dei numerosi metodi non comuni dei Conseguenzialisti di
considerare le due verità, è questa non-asserzione circa lo stabilire gli oggetti in
base alle loro caratteristiche, nemmeno in maniera convenzionale."
Nei sistemi non-Conseguenzialisti, se qualcosa esiste, essa allora deve essere riscontrabile tra le sue basi di designazione; quindi, essi affermano che i fenomeni sono stabiliti in base alle loro caratteristiche, almeno a livello convenzionale. Perfino quando i proponenti dei sistemi non-Conseguenzialisti sostengono che le persone non esistono sostanzialmente, nel senso di essere autosufficienti, e perfino quando gli Autonomisti della Via Mediana sostengono che non vi sono fenomeni che possiedono il loro proprio modo di sussistenza, non basato tramite la forza di apparire ad una consapevolezza non-difettosa, essi sostengono che bisogna considerare un fenomeno, identico a qualcosa che sia tra le sue basi di designazione. Altrimenti, non vi sarebbe differenza tra un vero serpente ed uno erroneamente imputato su una corda.
Un serpente imputato su una corda non può eseguire le funzioni di un serpente, infatti non può mordervi; il suo veleno non può essere usato per le medicine. L'insieme delle parti della corda non è il serpente. Le singole trecce non sono il serpente. Da qualunque suo aspetto, guardandolo in qualsiasi modo, non vi è alcun serpente lì.
I soli Conseguenzialisti affermano che, nello stesso modo, quando è presente un vero serpente arrotolato, l'unione delle sue parti non può essere in nessun caso un serpente. La base di designazione di un serpente, è un non-serpente. In dipendenza da qualcosa che non è un serpente, viene imputato un serpente. Il pensiero imputa un serpente in dipendenza di ciò che non è un serpente – ma, tutte le parti di un serpente, tanto separate che unite insieme, non sono il serpente.
La stessa cosa accade con noi. La mente ed il corpo – cioè le parti individuali, l'insieme di esse, le parti fin oltre il tempo – sono le nostre basi di designazione, ma esse non sono <noi>, e noi non siamo esse. Ancora, se la base di designazione non ha certe qualità come una coscienza, allora essa non ha i prerequisiti per essere chiamata <una persona>. Queste qualità rendono possibile essere una base di designazione di una persona, ma non di essere una persona. Una persona è convalidata da un pensiero che è in dipendenza di queste qualità.
La questione è, che cosa significa essere un oggetto? Che cosa significa essere? Noi erroneamente prendiamo tutto questo, come significato che un fenomeno, in qualche modo, governi o ricopra un certo campo, che è la sua base di designazione. Questo è il modo in cui noi viviamo; questo è il modo in cui le cose appaiono alla nostra mente. Ma questo non è il vero modo in cui le cose esistono e sono!
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CAP. 3° IL SE'
Jang-kya continua…
"L'Autocommentario di Chandrakirti sul Supplemento al "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna, (110) dice…
Quando Nagarjuna scrisse il "Trattato della Via di Mezzo" (111), ancora non erano apparsi né la Scuola della Mente Unica (Cittamatra) né i Sistemi dell'Autonomia, però essi esistevano entrambi, al tempo in cui Chandrakirti scrisse il suo "Supplemento al Trattato sulla via di Mezzo". Perciò, Chandrakirti sentì il bisogno di stabilire l'errore nell'interpretare il Trattato della Via di Mezzo secondo i sistemi dell'Autonomia o della Mente Unica. Egli lo fece mostrando che non si sarebbe dovuto asserire che i fenomeni sono stabiliti dalla l0ro propria parte ed anche mostrando che la concezione che i fenomeni sono stabiliti dalla loro parte è un ostacolo ostruttivo alla liberazione dall'esistenza ciclica. In tal senso, la sua opera è un 'Supplemento' (112) al "Trattato" soprattutto perché contiene insegnamenti profondi sulla Vacuità. Inoltre, basandosi sulle stesse opere di Nagarjuna "La Preziosa Ghirlanda"(113) e il "Compendio dei Sutra" (114), il Supplemento al Trattato espone anche insegnamenti sulla Compassione, spiegandola in tre modi. Il primo ha come suo oggetto di osservazione la sofferenza degli esseri senzienti. Il secondo punto osserva che gli esseri senzienti, qualificati da impermanenza o da assenza di sostanzialità come entità esistenti, si sostengono da loro stessi. La terza osservazione è che tutti gli esseri senzienti sono qualificati di vacuità.
Per esempio, provate a pensare in che modo, in questa città, le cose appaiono agli esseri senzienti – se come inerentemente esistenti nonché come se esistessero in e per se stesse. Le cose sembrano non dipendere dal pensiero ma sembrano essere oggettivamente riscontrabili. Esse sono concepite allo scopo di soddisfare desiderio e odio ed in base all'accettazione della loro apparizione, le persone si coinvolgono in numerose attività sconvenienti che arrecano solo preoccupazioni future. Quando poi, dopo aver realizzato ciò, voi osserverete gli esseri, non solo come aventi sofferenza, ma anche come qualificati di vacuità (privi cioè dell'esistenza inerente), allora è assai più facile generare una maggior compassione, dato che la radice della sofferenza è stata accertata come un errore non necessario.
Le persone non sono sintonizzate con la realtà – cercando di soddisfare un <sé> concepito in modo falso, esse vivono in un mondo in cui gli oggetti sembrano esistere per loro proprio diritto. Salvo per coloro che hanno realizzato la vacuità, tutti vivono come se gli oggetti fossero esistenti dalla loro propria parte.
Se qualcuno di voi ha anche solamente un po’ di comprensione riguardo alla vacuità, riuscirà a capire che è possibile superare l'angoscia della sofferenza. Allorché potrete vedere questa possibilità, sarà poi anche possibile aprirsi maggiormente al sentimento della compassione, col sentire quanto sarebbe piacevole se gli esseri potessero superare l'errata concezione della natura delle cose, in quanto proprio questa è la radice della sofferenza. Perciò, quando voi vedrete che vi è una via d'uscita dalla sofferenza, la stessa compassione diventa possibile e "sensibile". Ora, per esempio, noi sentiamo che questa tortura non è necessaria, ma la sofferenza della nascita, della malattia, dell'invecchiamento e della morte sono inevitabili. Ed allora, cosa accadrebbe se vi fosse qualcosa da poter fare perfino per queste sofferenze?
In fin dei conti, tutto ciò deriva da un semplice errore. Allorché realizzerete la vacuità, dovrebbe apparir chiaro che la liberazione non è complicata e che vi è un mezzo per condurre ogni individuo a quel punto. Un piccolo errore produce un così grande problema, proprio come salire su un aereo sbagliato.
Il "Supplemento" di Chandrakirti, oltre ad aumentare l'insegnamento della compassione, propone la coltivazione della motivazione altruistica nel voler diventare illuminati, come pure la comprensione non-dualistica per il livello di un essere ordinario. Basato sulla "Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna, il testo presenta i "Dieci Livelli" (Bhumi)(115) del Bodhisattva e le qualità dello Stato di Buddha. Chandrakirti dimostra la necessità, per un discepolo del sistema di Nagarjuna, di ascendere i dieci livelli, al fine di diventare un Buddha. Quindi, il testo di Chandrakirti amplia il "Trattato della Via di Mezzo" di Nagarjuna, non solo dal punto di vista della profonda vacuità, ma anche dal punto di vista della vastità del metodo.
Jetsun-pa (116), l'autore del Manuale per il Collegio (117) Je del Monastero di Se-ra (118), afferma che la vacuità, chiamata "Profonda", è ampiamente insegnata nel "Trattato " di Nagarjuna, ma che il vasto fatto della compassione, i sentieri e così via, non sono insegnati in maniera così ampia. Jam-yang-shepa (119), l'autore del Manuale per il Collegio Go-mang (120) del Monastero di Dre-pung (121), afferma che sia la profonda vacuità e sia i vasti sentieri di compassione, e così via, sono esplicitamente e ampiamente insegnati nel "Trattato" di Nagarjuna, pur se egli ammette che i vasti sentieri della compassione e così via non sono tenuti nella massima considerazione. Egli afferma che non è necessario che un libro su un certo soggetto sia tanto lungo da dover essere insegnato in maniera estesa. Per esempio, "L'Ornamento per la Chiara Realizzazione" di Maitreya (122), che è il testo radice per lo studio dei sentieri nella Scuola della Via di Mezzo, è corto ma ampiamente esteso. Diversamente, il "Supplemento" di Chandrakirti è più lungo del "Trattato" di Nagarjuna, ma quest'ultimo presenta la vacuità da molti più punti di vista che non quello di Chandrakirti, il quale neanche li menziona, e perciò il "Trattato" di Nagarjuna deve essere considerato più ampiamente esteso nel suo trattamento della vacuità che non il "Supplemento" di Chandrakirti.
Ma, secondo Jam-yang-shepa, in che modo il "Trattato" di Nagarjuna presenta 'estesamente' i sentieri? La sua risposta è che Nagarjuna, nel capitolo sulle quattro nobili verità, non solo parla di come i convenzionalismi possono essere considerati all'interno della vacuità di esistenza inerente, ma anche, ad esempio quando Nagarjuna parla delle quattro nobili verità, egli menziona gli otto livelli dell'entrare e del dimorare, e così via, come i "Distruttori del Nemico". Ciò, secondo Jam-yang-shepa, è sufficiente per dire che il "Trattato" di Nagarjuna tratta 'estesamente' le varietà dei sentieri, e così via.
In ogni caso, il "Trattato" di Nagarjuna non offre esplicitamente nemmeno un'enumerazione ad uso del Grande Veicolo. Anzi, la citazione dei sentieri e così via, è fatta maggiormente in un contesto nella loro presentazione, come base per rifiutare il fatto che essi esistano inerentemente. Se una simile enumerazione in un processo di rifiutare l'esistenza inerente fosse sufficiente per poter decidere che un testo presenti estesamente i sentieri e così via, allora si dovrebbe dire che i Sutra della Perfezione della Saggezza (Prajnaparamita) presentano in maniera esplicita questi sentieri. Invece, i manuali monastici sono unanimi nel concordare che i Sutra della Perfezione della Saggezza presentano i sentieri solo in una maniera nascosta, né esplicita e né implicita. Perciò credo che la posizione di Jetsun-pa che il "Supplemento al Trattato di Nagarjuna" di Chandrakirti, integri il testo di Nagarjuna proprio in termini dei vasti sentieri, tramite un'estesa presentazione di quelle cose che Nagarjuna non insegnò nel suo "Trattato", sia migliore di quella di Jam-yang-shepa, in cui è riferito che Chandrakirti fece più estesamente ciò che già estesamente ed esplicitamente era stato presentato nel "Trattato".
L'Autocommentario sul "Supplemento al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna", di Chandrakirti dice (123):
"Gli studiosi possono accertarsi che, riguardo alla dottrina della Vacuità,
il sistema che appare in questo (trattato) –presentato insieme alle obiezioni
ed alle risposte verso gli altri sistemi – non esiste negli altri trattati."
Egli intende dire che il suo stesso sistema (La Scuola della Conseguenza) non deve essere confuso con i commentari degli altri Proponenti della Scuola della Via di Mezzo (come quelli degli Autonomisti, incluso Bhavaviveka). Volendo spiegare il significato di questo passaggio, il Più Grande degli Esseri (Tzong-Khapa) afferma nel suo "L'Essenza della Buona Spiegazione" (124):
"Nel sistema proprio dei Conseguenzialisti, i fenomeni
che sono stabiliti per via delle loro caratteristiche proprie,
non sono asseriti reali nemmeno convenzionalmente,
al contrario di coloro (cioè i Proponenti della vera esistenza)
che considerano (tutti i fenomeni) solo nel contesto di questo
(lo stabilire gli oggetti per via delle loro caratteristiche proprie)."
La Scuola della Conseguenza ha molteplici lineamenti fuori del comune, ovvero speciali dottrine, che non spartisce con gli altri sistemi, a causa del fatto che essa non asserisce in nessun caso la stabilità o esistenza degli oggetti in base alle loro caratteristiche proprie. Gli altri sistemi asseriscono così e, come risultato, asseriscono pure molti altri fenomeni che i Conseguenzialisti non accettano.
Per esempio, nella Scuola della Conseguenza non vi è una mente "base-di-tutto"(125), nemmeno convenzionalmente. Nella Scuola della Mente Unica (o Sola Mente) questa mente-base-di-tutto è necessaria per poter trasportare i semi karmici e le predisposizioni dal tempo e vita particolare in cui l'azione fu eseguita. Comunque, i Conseguenzialisti affermano che quando un'azione è finita, essa non cessa completamente senza assolutamente nessuna continuità, come una cessazione inerentemente esistente implicherebbe. Perciò, nessuna cosa extra è necessaria per trasportarla da una vita all'altra. Nella Scuola della Conseguenza lo stato di cessazione di un'azione, essendo impermanente e vuota di esistenza inerente, è sufficiente a causare un effetto che potrebbe risorgere molti eoni dopo.
"Anche i primi studiosi Tibetani usarono, per i Conseguenzialisti, il termine "Proponenti
Totalmente Non-Dimoranti della Scuola della Via di Mezzo". Questa è una dichiarazione
che appare nel "Saggio sugli Stadi di Coltivazione della Mente Assoluta di Illuminazione"
del maestro Shura (cioè Asvaghosha) (126).
"Attraverso sinonimi per indicare la Vacuità
(Talità, Quiddità o Realtà Assoluta) e così via,
Illimitati esempi che hanno somiglianza con
Le illusioni create da un mago, oppure sogni,
Miraggi e così via e gli abili mezzi di una varietà
Di veicoli, (il Buddha) caratterizzò il significato
Della Via di Mezzo che è Non-Dimorante
(In nessun estremo né grosso né sottile)."
Per di più, nei rapporti di dichiarazioni del Maggiore tra gli Anziani (Atisha), appare questa convenzione (del chiamare i Conseguenzialisti "Proponenti Totalmente Non-Dimoranti della Scuola della Via di Mezzo), mentre non appare quella del Principale Padre (Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub) (127) la rifiutarono.
Malgrado vi siano almeno un paio di studiosi che affermano che il testo di Shura non fu scritto dal maestro Shura (Asvaghosha), questa tesi è così assimilata da essere meramente senza prove. Sembra che tutti i grandi "carri" (cioè le guide che tracciarono un sentiero) della nevosa terra del Tibet, come pure tutti i suoi studiosi (Ghelugpa) ed adepti che apparvero negli anni, l'accettassero come valida.
Una descrizione delle diverse divisioni interne nella Scuola della Conseguenza nella Via di Mezzo, come quella degli Autonomisti, non appare in nessun altro testo e nemmeno fu mai vista una simile spiegazione dal Padre Superiore e dai suoi figli spirituali (Quindi, non vi furono sottoscuole di un certo valore all'interno della Scuola della Conseguenza).
ASSERZIONI DI DOGMI
Questa sezione ha quattro parti:- Come stabilire la visione delle basi; in dipendenza di ciò, i lineamenti di come è fatta una presentazione delle due verità; come progredire sul sentiero; ed i frutti (del sentiero). In questo libro, ci occuperemo solamente della prima di queste parti (128).
Come stabilire la Visione delle Basi
Questa sezione ha due parti: spiegare ciò che è negato in relazione a quali basi e stabilire l'assenza del sé che è la negazione dell'oggetto negato.
Vi sono due modi di stabilire, o delineare, la vacuità. Il modo comune – quello che Jang-kya si accinge qui a descrivere– è di presentare "una visione delle basi". Questa è la spiegazione di una vacuità – una negazione di esistenza inerente – come qualità di una base od oggetto. Tutti i fenomeni sono "basi" – sostrati del predicato, cioè vacuità.
L'altro modo di descrivere la vacuità è nel contesto stesso della sua realizzazione, nel modo in cui la vacuità appare al momento della cognizione diretta, durante l'equilibrio meditativo. In quel momento, non vi è base, cioè nessun oggetto o soggetto, che appare assolutamente, ma vi è solo vacuità – essendo cessato qualunque tipo di elaborazioni. Da questo punto di vista, una vacuità è un'assenza dell'oggetto qualificato come tale. Nel contesto dell'equilibrio meditativo si pensa che la vacuità si presenti in tal modo, ma in generale, non è la stessa cosa nello stato ordinario. La vacuità deve essere concepita come una qualità di una base, di un oggetto, come suo ultimo e finale modo di essere.
Cosa è negato in relazione a che
I Proponenti della Sola Mente e dell'Autonomia, asseriscono che i due <sé> - le cui assenze sono considerate tramite la negazione di essi nelle persone e nei fenomeni, – sono differenti e che anche le modalità per concepirli sono diverse.
La Scuola-Conseguenza, la Scuola-Autonomia e la Scuola Sola-Mente includono le tre maggiori divisioni del sistema dogmatico del Mahayana o Grande Veicolo, i primi due essendo suddivisioni della Scuola della Via di Mezzo. Tutte e tre spiegano la vacuità dal punto di vista della mancanza di un <sé> nelle persone e nei fenomeni. Una persona è un certo essere senziente – voi, io, gli altri esseri umani, gli animali, insetti, e così via. "Fenomeno", così com'è interpretato dalla Scuola della Conseguenza, include tutti i fenomeni che non sono persone – rocce, case, menti, corpi, carri, spazio, vacuità e tutte le istanze dei cinque aggregati fisici e mentali, salvo una. La sola eccezione è la persona, il mero <Io> che è considerato un'istanza del quarto aggregato, cioè i fattori composizionali. Tutti i fenomeni impermanenti, in ogni sistema di mondi, sono inclusi all'interno dei cinque aggregati – forme, sensazioni, discriminazioni volitive, fattori composizionali e coscienza.
Nell'intelaiatura del <sé< delle persone e del <sé< dei fenomeni, vi è inoltre una distinzione che bisogna fare tra i <sé> grossolani e sottili. Il <sé> sottile è più duro da superare che non quello grossolano. Qui, in questo testo, Jang-kya si riferisce al <sé> sottile, come la sottile concezione del <sé>, vale a dire una coscienza che sottilmente concepisce il <sé>.
Nella Scuola-Conseguenza, il <sé> sottile equivale all'esistenza inerente, erroneamente imputata sia alle persone e sia agli altri fenomeni. Negli altri sistemi del Grande Veicolo, tuttavia, vi sono due tipi di <sé sottile>, uno riguardo alle persone e l'altro riguardo ai fenomeni in generale, incluse le persone. Nella Scuola Sola-Mente, il <sé sottile> delle persone è un'entità sostanziale autosufficiente della persona, ed il <sé sottile> dei fenomeni è che l'entità dei fenomeni è differente dalla mente che li percepisce. I Proponenti della Scuola Sola-Mente inoltre stabiliscono un secondo <sé> dei fenomeni che è un'entità stabilita di un oggetto a causa delle sue stesse caratteristiche, come base di un nome, come ad esempio "un carro".
Nella Scuola-Autonomia, proprio come nella Sola-Mente, il <sé sottile> delle persone è un'entità sostanziale autosufficiente della persona; il <sé sottile> dei fenomeni, tuttavia, è una "vera esistenza" del fenomeno – il suo essere stabilito a causa del suo non-comune modo di sussistenza, che non è imputato grazie alla forza dell'apparire ad una coscienza non-difettosa (129).
Nella Scuola-Conseguenza, il <sé sottile> sia delle persone e sia dei fenomeni è l'esistenza inerente. Nelle persone, essa è il <sé> della persona e, nei fenomeni al di fuori delle persone, essa è il <sé> del fenomeno.
In tutti i sistemi dogmatici del Grande Veicolo, all'infuori della Scuola-Conseguenza, le due forme di "assenza del sé" sottile sono differenziate, non per l'oggetto rispetto al quale il <sé> è negato, ma proprio per il tipo di <sé> che viene negato. Nella Scuola-Conseguenza, comunque, una negazione di esistenza inerente come predicato della persona è un'assenza del sé sottile della persona, ed una negazione di esistenza inerente come predicato di un fenomeno al di fuori delle persone è un'assenza del sé sottile del fenomeno. Quindi, i Conseguenzialisti differenziano le due assenze del sé per via degli oggetti rispetto ai quali, il relativo <sé> cioè l'esistenza inerente, è negato e non per via di ciò che è negato.
Nelle Scuole non-Conseguenzialiste, l'assenza del sé sottile di una persona è la negazione (mancanza o assenza) dell'esistenza della persona come entità sostanziale o autosufficiente. Secondo Jang-kya, in una parte precedente ma non tradotta qui (130), questo tipo di assenza del sé ha solo le persone come sue basi o sostrati, ecco perché è chiamata "assenza del sé" di una persona. Come si potrebbe parlare che il concepire una tavola sia il <sé> di una persona? Nondimeno, Jang-kya non mostra come l'assenza del sé delle persone può essere collegata ai fenomeni, poiché tutti i fenomeni sono vuoti di essere oggetti di uso di una persona sostanzialmente esistente. Quando voi realizzerete che una persona non esiste come entità sostanziale ed autosufficiente, potrete capire che questi altri fenomeni non esistono come oggetti d'uso di tale persona. Cambierete il modo di vedere gli oggetti che usate.
La presentazione di Jang-kya è basata sulla divisione di tutti i fenomeni in utenti e usati, o gaudenti e goduti. Le persone, voi stessi, siete gli utenti e tutti i fenomeni del mondo con cui siete in contatto, sono gli usati. Potrebbe sembrare come se la distinzione tra utenti ed usati – per esempio, la città in cui viviamo è da noi usata – sia solo una creazione intellettuale, ma spesso noi non guardiamo le cose in questo modo? Io sono l'utente e tutti questi oggetti in mostra sono le cose usate. Questo è l'unico modo in cui noi sperimentiamo il mondo.
Se una persona, esistente sostanzialmente o in maniera autosufficiente, non esiste, allora come potrebbe una persona avere sostanziale o autosufficiente esistenza? Se io penso, o dico, "La mia mente", "Il mio corpo", "Il mio libro" e così via, io sembro essere prima, avanti a tutto, e quindi la cosa posseduta appare dipendere da me. L'Io è il possessore, il controllore. Sembra che questo <Io> non dipenda dalla mente, o dal corpo; anzi, gli aggregati del corpo e della mente sembrano dipendere dall'Io. A causa della grande forza con cui noi concepiamo così il fatto, l'Io e gli aggregati mentali e fisici appaiono essere, rispettivamente, il controllore e gli oggetti controllati. La presa degli aggregati sembra dipendere dall'apprendimento dell'Io, mente il fatto reale è che l'apprendimento dell'Io dipende dalla "presa" degli aggregati mentali e fisici. Questo è il modo in cui la mente innata, che fraintende l'esistenza autosufficiente, vede l'Io. Perciò, l'esistenza autosufficiente non è un concetto solo filosofico; è innato, generato con noi a causa del condizionamento delle azioni precedenti e delle emozioni afflittive. Noi, fin dal nostro venire al mondo, percepiamo in modo errato la nostra propria natura.
Sebbene l'Io e gli aggregati siano appresi come se fossero fondamentalmente diversi, la differenza non è necessariamente di entità, bensì piuttosto di cos'è che dipende da cosa. Per esempio, in un supermercato i venditori devono fare ciò che dice il capo-vendita. Egli ordina e gli altri non possono dire al capo-vendita ciò che deve fare; essi devono chiedere il permesso, "Potrei fare questo?" e così via. In merito a ciò, essi sono dipendenti e dipendono dal capo-vendita e non che quest'ultimo dipenda da loro. Ovviamente, per altri versi, il capo del personale deve dipendere da loro per acquistare le cose da vendere, e così via, ma non è questo il punto, in questo caso il punto è che il capo-vendita è il "capo", non certo totalmente diverso dai lavoranti del negozio, eppure è in una posizione di controllo sugli altri lavoranti. Secondo Jam-yang-shepa (131) questo è il modo in cui una persona sembra essere un'entità sostanziale o autosufficiente. Come un "capo" all'interno di un gruppo, l'Io sembra controllare la mente ed il corpo.
Secondo la maggior parte degli altri scrittori sull'argomento, l'Io e gli aggregati ci appaiono, in questo innato e grossolano fraintendimento, alla stregua di un Sovrano con i suoi sudditi. Il sovrano non dipende dai suoi sudditi, però essi dipendono da lui. L'Io ha una posizione privilegiata in relazione agli aggregati. Tuttavia, Jam-yang-shepa mette in guardia contro un'errata interpretazione di questo esempio. Secondo lui, fare l'esempio dell'Io e degli aggregati come un maestro ed i suoi sottoposti suggerirebbe che l'Io e gli aggregati potrebbero sembrare essere entità differenti, perché un sottoposto non è il sovrano né il sovrano è un suddito, come invece il capo-vendita che è comunque anche un venditore. È importante mantenere nella mente che nell'innato modo erroneo di concepire, tanto grossolano quanto sottile, il <sé> e gli aggregati fisici e mentali non devono essere concepiti come se fossero entità diverse.
Il Dalai Lama fece il punto della questione in una conferenza, dicendo che solo la persona è concepita come essere autosufficiente in tale modo, mentre ciò non accade per gli altri fenomeni. Talvolta noi sentiamo fortemente come se l'Io fosse collocato nel centro del petto; è una sensazione che ci viene in modo naturale, ma non abbiamo, con la stessa naturalezza, una tale sensazione di una casa che sia collocata nel centro della casa. Il modo in cui vediamo una casa è che essa è una cosa, benché abbia cinque stanze, che non è il modo in cui noi vediamo la persona come esistere autosufficientemente. Allorché, per esempio, vi trovate a passeggiare su una scogliera e vi prende la paura di cadere di sotto, l'Io che subito appare è un Io autosufficiente, che sembra avere caratteristiche proprie.
Quando si medita per distruggere la concezione di un sé della persona come sostanziale ed autosufficiente – per sbarazzarsi di ogni possibilità di avere una coscienza che concepisce una persona come sostanziale o autosufficiente – voi dovete prima accertarvi bene di questa apparenza dell'esistenza sostanziale dell'Io. Poi dovete analizzare di scoprire se una tale persona sente realmente di esistere o meno. Considerate se l'Io sia o no differente dagli aggregati fisici e mentali, oppure se dipenda o no da questi aggregati che sembrano essere sotto il suo controllo. Voi dovreste essere in grado di vedere, che una tale persona non è un'entità differente dalla mente e dal corpo, che essa non esiste in se stessa ma dipende proprio dal corpo e dalla mente.
Dopo aver pensato e meditato su questo, considerate poi il vostro corpo e la mente, rigettando mentalmente ognuno di essi come (se fosse) l'Io autosufficiente. Poiché, inoltre, non vi è alcuna persona separata da questi due, quantunque voi cerchiate una tale autosufficiente e sostanzialmente esistente persona, voi non potrete trovarla.
Il luogo in cui avete più probabilità di trovare un Io sostanzialmente esistente, è nei vostri aggregati fisici e mentali e non certo, per esempio, tra i fenomeni esteriori. Quindi, prima di tutto, osservatevi all'interno dei vostri propri aggregati; quando questa ricerca avrà avuto termine e voi avrete riscontrato che in essi non vi è nessun Io sostanzialmente esistente, cercate tra tutti gli altri fenomeni esterni che appaiono nella mente; vedrete, ovviamente, che una tale persona non può esistere neanche altrove. Questo è ciò che Jam-yang-shepa vuole intendere quando afferma che si può sensatamente parlare dell'assenza nei fenomeni di una persona autosufficiente nei fenomeni, oltre che nelle persone (132).
Brevemente, il modo di meditare sulla non esistenza di un'entità sostanziale autosufficiente è il seguente: Prima, bisogna provocare che l'Io che sembra essere un'entità autosufficiente appaia alla mente e accertarne l'apparenza come un Io sostanzialmente esistente. Poi, considerare se la mente ed il corpo dipendono dall'Io o se l'Io dipende da essi. Avendo osservato tra gli aggregati e deciso che un Io sostanzialmente esistente non esiste in essi, potreste avere un leggero dubbio che esso possa esistere in qualche altra parte. Perché? La concezione di un Io sostanzialmente esistente è assai persistente e tenace. La mente ha sostenuto e supportato ciò che l'Io ha voluto fare, per un periodo immaginabile e lunghissimo. Ed ha creduto fermamente in esso. Perciò, verificate tutti i fenomeni all'esterno del vostro corpo e mente – decidendo totalmente e completamente che esso non esiste in nessun luogo.
Questo è il sistema di Jam-yang-shepa. Per Jang-kya, il passo successivo sarebbe quello di scoprire che gli altri fenomeni non sono affatto oggetti di uso di un Io sostanzialmente esistente. I due metodi sono alquanto compatibili.
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CAP. 4 = LA FALSA APPARENZA
Per i Conseguenzialisti, l'esistenza sostanziale, autosufficiente, è rifiutata come il sé grossolano di una persona. Per i Proponenti delle Scuole della Grande Esposizione, dei Sutra, Sola-Mente ed Autonomia, l'esistenza sostanziale e autosufficiente è rifiutata come il sé sottile di una persona. Nella Scuola-Conseguenza, l'assenza del sé sottile di una persona equivale ad "assenza dell'esistenza inerente della persona". In questo caso, l'assenza del sé di una persona è ugualmente tanto sottile quanto l'assenza del sé degli altri fenomeni; le persone e gli altri fenomeni sono meramente i diversi oggetti con cui il meditante sta trattando. Se voi meditate sulla vacuità di esistenza inerente di una persona, state meditando sulla sottile assenza del sé di quella persona. Parimenti, se voi meditate sulla vacuità di esistenza inerente di qualche altro fenomeno, voi state meditando sulla sottile assenza del sé di quel dato fenomeno.
Negli altri sistemi del Grande Veicolo, tuttavia, ogni fenomeno è adatto ad essere una base dell'assenza del sé dei fenomeni, persone comprese. Per esempio, nel sistema Sola-Mente, la realizzazione che la forma della lettera <A> non esiste come entità diversa dalla coscienza visiva che la comprende, rende la lettera <A> come la base che è vuota e indi vi è una realizzazione della sottile assenza del sé del fenomeno stesso, che è la lettera <A>. La realizzazione che la persona che apprende la lettera <A>, essa stessa non esiste, come entità diversa dalla lettera <A> che la persona concepisce, è inoltre una realizzazione della sottile assenza del sé del fenomeno e della persona.
In modo simile, nella Scuola-Autonomia, l'assenza di vera esistenza di una persona è una sottile assenza del sé di un fenomeno, non una sottile assenza del sé della persona. Per essi, la sottile assenza del sé del fenomeno è più sottile della sottile assenza del sé della persona. Gli autonomisti affermano che non è necessario realizzare la sottile assenza del sé dei fenomeni per esimersi dall'esistenza ciclica; è sufficiente la realizzazione e la prolungata meditazione sulla sottile assenza del sé delle persone, che è grossolana in relazione a quella dei fenomeni. All'interno della Scuola Autonomia, che è la posizione della Scuola Autonoma dei Sutra (133), fondata da Bhavaviveka, gli Uditori (Shravaka) ed i Realizzatori Solitari (Pratyekabuddha) riflettono e meditano sulla sottile assenza del sé delle persone; i Bodhisattva, su quella dei fenomeni. Nella Scuola dell'Autonomia Yogica (134), fondata da Shantaraksita, gli Uditori meditano sull'assenza del sé delle persone, mentre i Realizzatori Solitari (135) meditano sulla grossolana assenza del sé dei fenomeni, che è la non-esistenza di soggetto ed oggetto, come entità differenti – non esistendo un oggetto come entità diversa dal soggetto che lo percepisce e non esistendo un soggetto come entità differente da tale oggetto percepito. I Bodhisattva meditano sulla sottile assenza del sé di tutti i fenomeni.
I Conseguenzialisti affermano che in una persona, la vacuità di essere un'entità autosufficiente o sostanzialmente esistente è la grossolana assenza del sé delle persone; perciò, molte persone erroneamente non sentono di meditare su questa assenza del sé più grossolana, impegnandosi soltanto a meditare su quella più sottile. Tuttavia, è detto che è assai di aiuto, meditare e comprendere prima l'assenza grossolana del sé. Perché se non potete comprendere quella grossolana, come potrete mai comprendere quella più sottile?
Perfino nei manuali di istruzione per coltivare la visione con la meditazione, ciò che è identificato è spesso l'assenza grossolana del sé, anche quando è chiamata sottile. Per esempio, qualcuno viene accusato ingiustamente e, da ciò, sorge una forte sensazione di <Io>. È la "posizione accusata". Inoltre, quando qualcuno ci aiuta in una maniera veramente significativa, questo <Io> è la "posizione aiutata". I testi di istruzioni per meditare sulla giusta visione, vi indirizzano a riflettere per tempo quando l'<Io> appare prepotentemente, come se fosse sostanzialmente esistente o capace di sussistere da se stesso. Questo è un grossolano senso del sé; l'individuarlo serve come strumento per identificare gradualmente la più sottile concezione erronea dell'esistenza inerente.
In ogni sistema buddhista, è necessario superare le ostruzioni afflittive al fine di venir liberati dall'esistenza ciclica. Per i Conseguenzialisti, una coscienza che concepisce l'esistenza inerente è la causa maggiore (il capo delle afflizioni); quindi, qualunque fenomeno che si ritiene esistere inerentemente – sia esso una persona o un vaso – la relativa coscienza che lo concepisce come esistente inerentemente è un'afflizione e deve essere rimossa per poter ottenere la libertà dall'esistenza ciclica.
Nella Scuola-Autonomia della Via di Mezzo, comunque, una coscienza che concepisce la vera esistenza è un'ostruzione all'onniscienza; come tale, essa deve essere rimossa per poter ottenere lo Stato di Buddha, ma non per potersi liberare dall'esistenza ciclica. Secondo gli Autonomisti, la principale tra le ostruzioni alla liberazione è una coscienza che concepisce la persona come entità autosufficiente e sostanzialmente esistente. Perciò, essi sostengono che la liberazione dall'esistenza ciclica è ottenuta tramite la cognizione e abituandosi al fatto che la persona non è un'entità in grado di sussistere da se stessa. I Conseguenzialisti non sono completamente d'accordo, dicendo che per arrivare alla liberazione dall'esistenza ciclica è necessario avere la cognizione che sia le persone e sia gli altri fenomeni sono senza una vera o inerente esistenza. Per essi, la concezione che le persone e gli altri fenomeni siano inerentemente esistenti, sono istanze di afflizioni che imprigionano gli esseri nell'esistenza ciclica.
Jang-kya presenta le posizioni della Scuola Sola-Mente e della Scuola Autonomia come contrarie a quelle della Scuola Conseguenza.
"Quindi, benché uno realizzi l'assenza sottile del sé delle persone (così come presentata dai
"Proponenti della Sola-Mente e dell'Autonomia) non è necessariamente la stessa cosa in cui
"dovrebbe anche aver cognizione dell'assenza sottile del sé dei fenomeni. Essendo così,
"(i Proponenti della Sola-Mente e gli Autonomisti) asseriscono che non è necessario
"realizzare l'assenza sottile del sé dei fenomeni, per ottenere meramente la Liberazione."
Naturalmente, i Conseguenzialisti non sono d'accordo con questo. Come fu accennato in precedenza, vi sono due tipi di cognizione valida, "diretta e inferenziale". Quando la vacuità di una persona è realizzata tramite la cognizione diretta, allora – secondo i Conseguenzialisti –voi avrete anche cognizione della vacuità di tutti i fenomeni. Perciò, quando realizzerete direttamente la vacuità di una singola cosa, voi realizzerete la vacuità di tutte le cose.
Quando avrete cognizione della vacuità di una persona grazie alla cognizione inferenziale, voi non realizzerete simultaneamente la vacuità degli altri fenomeni, ma potrete da allora in poi comprendere immediatamente anche la loro vacuità. Supponete di star meditando su una vacuità col sillogismo:
"Il soggetto, una persona, non esiste inerentemente, perché è un'originazione-dipendente".
Attraverso il ragionamento – è un'originazione-dipendente – voi realizzate la tesi che una persona non esiste inerentemente. Quindi, per la forza del funzionamento di questo ragionamento, senza bisogno di dichiarare nessun'altra ragione, potete immediatamente realizzare la vacuità di un diverso soggetto, come per esempio il corpo.
Fintanto che voi restate compenetrati nello stato di non dimenticare la vostra realizzazione della vacuità delle persone, potete all'istante realizzare la vacuità, rispetto ad ogni altro fenomeno. Aryadeva afferma nel suo "Quattrocento Stanze sulle Azioni Yogiche dei Bodhisattva" (136):
"Ciò che ha il potere di vedere una sola cosa, si dice che abbia il potere di vedere tutte le cose.
"Ciò che testimonia la vacuità di una singola cosa, non può che testimoniare la vacuità di tutto!"
Questo è compreso nelle tradizioni dei Commentari Ghelugpa, per significare che una persona che vede la vacuità di un singolo fenomeno, anche solo con la cognizione inferenziale, è in grado di avere immediatamente la cognizione della vacuità di ogni altro fenomeno, semplicemente rivolgendo la mente ad esso.
Basandosi su quella strofa, alcuni altri studiosi sostengono che la vacuità di una cosa è la vacuità di ogni altra cosa. La vacuità di una persona è la negazione della sua esistenza inerente; la vacuità di una casa è la negazione della sua inerente esistenza, e così via; com'è possibile che le mere negazioni siano differenti? Numerosi passaggi suggeriscono ciò. Gli studiosi Ghelugpa, tuttavia, affermano che la vacuità di una cosa e la vacuità di un'altra cosa sono differenti, malgrado il fatto che l'oggetto che viene negato, l'esistenza inerente, non è di tipo diverso. A parer loro, se tutte le vacuità fossero una sola, allora le basi di queste vacuità – persone, case, alberi, e così via – sarebbero la stessa cosa.
Ritorniamo ora al punto di Jang-kya. I Proponenti della Sola-Mente e gli Autonomisti asseriscono che la vacuità sottile delle persone e la vacuità sottile degli altri fenomeni sono due vacuità di tipo diverso di un errato modo di concepire l'essere. Per essi, le persone sono vuote (cioè prive) di esistenza (pur apparendo erroneamente) come entità autosufficienti e sostanziali e – la posizione della Scuola Sola-Mente – tutti i fenomeni sono vuoti (cioè negati) di essere entità differenti dalla coscienza che li percepisce, oppure – la posizione Autonomista – tutti i fenomeni sono vuoti (cioè privi) di vera esistenza. Essi dicono, anche, che una volta distrutta la concezione che una persona sia un'entità autosufficiente, si diviene liberi dall'esistenza ciclica. Perciò, per essi, una cognizione dell'assenza del sé delle persone non conduce necessariamente subito alla cognizione dell'assenza del sé degli altri fenomeni, che deve essere indotta da un diverso tipo di ragionamento. Il ragionamento comprovante che una persona non esiste come un'entità sostanziale e autosufficiente, non proverà che un fenomeno non è un'entità diversa da una coscienza che lo percepisce o anche che esso non esiste realmente.
Quindi, secondo le spiegazioni delle Scuole Sola-Mente e Autonomista, quando gli Uditori meditano sull'assenza del sé della persona, essi realizzano che una persona è vuota (cioè è mancante) di essere un'entità autosufficiente e sostanzialmente esistente. Essi lo realizzano solo come una qualità della persona, perché l'esistenza autosufficiente è una qualità che erroneamente non è congenialmente affermata per gli altri fenomeni.
Similmente, i filosofi dell'Hinayana – non sto parlando del Piccolo Veicolo, come seguaci della Scuola della Conseguenza, che asseriscono i dogmi di tale scuola, ma che hanno la minore motivazione di cercare principalmente la loro propria liberazione dall'esistenza ciclica invece della più alta motivazione di cercare il raggiungimento della Buddhità da parte di tutti, ma sto parlando dei Proponenti delle Scuole della Grande Esposizione e dei Sutra – affermano che la persona non esiste, però gli aggregati mentali e fisici, si. Se essi avessero realmente capito l'assenza sottile del sé delle persone – la mancanza di esistenza inerente come insegna la Scuola Conseguenza – la loro realizzazione sarebbe immediatamente applicabile per tutti, come ha ben detto Aryadeva. In ogni modo, essi stabiliscono una differenza tra lo stato di una persona e lo stato degli altri fenomeni; essi applicano l'assenza del sé soltanto alle persone e non agli altri fenomeni. Questo è un segno che essi non hanno compreso l'assenza sottile del sé – cioè l'assenza di esistenza inerente – chiaramente stabilita nella Scuola Conseguenza. Essi basano il loro sistema sul rifiuto di una concezione erronea che riguarda solo la persona, quella di essere un'entità sostanziale o autosufficiente.
Questo, come vari studiosi Ghelugpa lo interpretano, è l'insegnamento di Chandrakirti. Ciò però non implica che nessun Yogi del Piccolo Veicolo ebbe mai realizzato la più sottile vacuità e che, quindi, nessuno fu capace di liberarsi dall'esistenza ciclica. Il punto di Chandrakirti è che vi sono Yogi del Piccolo Veicolo che non seguono le scuole dogmatiche dell'Hinayana, ma una presentazione della vacuità che si accorda con quella della Scuola Conseguenzialista. Per cui, gli studiosi Ghelugpa sostengono che le scritture del Piccolo Veicolo insegnano la vacuità più sottile. Dunque, secondo i Conseguenzialisti, quando gli Uditori meditano sull'assenza del sé delle persone, essi realizzano subito la vacuità che è in relazione con tutte le cose. Siccome i Conseguenzialisti non fanno alcuna distinzione di sottigliezza, tra gli oggetti negati nell'assenza sottile del sé delle persone e l'assenza sottile del sé dei fenomeni, essi affermano che quando gli Uditori realizzano l'assenza del sé delle persone, non possono far altro che realizzare anche l'assenza del sé dei fenomeni.
Forse i filosofi del Piccolo Veicolo spiegarono il sentiero in un modo particolare, tale che un insegnamento in cui gli aggregati mentali e fisici non esistevano inerentemente, provocò il fatto che la gente cadesse nel nichilismo. Dal punto di vista della Scuola-Conseguenza, questa fu la ragione per cui insegnò tali sistemi. Nondimeno, se viene presa come valore di facciata, l'asserzione di questi sistemi che la persona, alla fin fine, non esiste, mentre gli aggregati esistono, che la persona è meramente un raggruppamento degli aggregati, mostra che la loro realizzazione dell'assenza del sé non viene estesa agli stessi aggregati mentali e fisici. Inoltre, è importante comprendere che la forza principale della loro argomentazione è contraria all'esistenza delle persone come entità sostanziali e autosufficienti e che la realizzazione di questo livello di assenza del sé è apprezzabile.
In ogni caso, secondo Tzong-Khapa ed i suoi seguaci, che la concezione di un sé dei fenomeni sia la causa della concezione del sé delle persone, è l'insegnamento che è affermato nella Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna (136):
" Fintantoché gli aggregati sono (erroneamente) concepiti,
" Da questo fatto vi è la (erronea) concezione di un <Io>".
Quindi, perfino se ritiraste la vostra mente dalla concezione di una persona inerentemente esistente, nel caso che la concezione del sé dei fenomeni rimane, ad un certo punto la concezione del sé delle persone si ripresenterà nuovamente. La mente ed il corpo sono le basi di designazione di una persona; se non si è in grado di realizzare pienamente la loro vacuità, come si potrà aver realizzato la nostra propria vacuità? È, dunque, necessario distruggere la concezione di esistenza inerente rispetto a tutti gli oggetti, dalle radici, per poter superare l'esistenza ciclica.
" Questo sistema (Conseguenzialista) asserisce che è necessario riconoscere
l'assenza sottile del sé, per arrivare ad ottenere una delle Tre Illuminazioni
(di un Uditore, un Realizzatore Solitario, o un Buddha). In quanto, è detto
nei Sutra della Prajnaparamita (137) che coloro che fanno distinzioni circa
la vera esistenza (138), non saranno liberati. Shantideva afferma (139): "Le
Scritture dicono che senza questo Sentiero, non vi è vera Illuminazione!"
Per ottenere, tra le Tre Illuminazioni di Uditore, Realizzatore Solitario e un Buddha, almeno la minore, è necessario aver distrutto tutte le afflizioni (140). Allorché i Sutra della Perfezione della Saggezza dicono che chiunque ancora concepisca l'esistenza come vera, non ha ancora raggiunto la liberazione, questo significa che la concezione dell'esistenza come vera – una coscienza che concepisce che i fenomeni esistono inerentemente – non è solo un ostacolo all'onniscienza, ma soprattutto un'ostruzione afflittiva che ostacola l'ottenimento della liberazione. Gli ostacoli all'onniscienza, d'altra parte, impediscono la conoscenza diretta e simultanea di tutti i fenomeni – l'onniscienza di un Buddha – e sono molto sottili.
" Quindi, le due forme di "assenza del sé" sono differenziate per via delle basi
che possiedono gli attributi (dell'assenza del sé), cioè le persone e gli altri
fenomeni, quali gli aggregati (mentali e fisici). Non è tuttavia affermato che
essi siano differenziati dal punto di vista di due diversi <sé> non-esistenti".
Riguardo ad un' assenza del sé, si devono considerare tre fattori. Primo, vi è la base della vacuità (141) che è un fenomeno senza una tale qualità erroneamente imputata. Poi, vi è il <sé>, ovvero la qualità erroneamente imputata di esistenza inerente, che però è negata nella visione dell'assenza del sé. E, infine, vi è l'assenza del sé, o vacuità, la mancanza di una qualità falsa come un'esistenza inerente erroneamente imputata sull'oggetto.
Quando i Conseguenzialisti dividono l'assenza del sé in quelle di una persona e degli altri fenomeni, essi stanno facendo una divisione dei diversi tipi di vacuità, in termini non dell'oggetto negato, ma delle basi, o fenomeni, che hanno l'attributo di vacuità. Gli altri sistemi dogmatici del Grande Veicolo, la Scuola Autonoma e la Sola-Mente, asseriscono anch'essi una distinzione tra diversi tipi di vacuità, ma solo in termini della negazione dell'oggetto. Resta il fatto che, nella Scuola-Conseguenza, il termine "fenomeni" (142) – nel contesto della divisione di tutti gli oggetti della conoscenza in persone ed altri fenomeni – non si riferisce alle persone. In generale, i fenomeni includono anche le persone, ma nel contesto delle "due vacuità" il termine 'fenomeni' si riferisce a fenomeni che non siano persone, vale a dire una mente, un corpo, una casa, ecc.
"Proprio allo stesso modo in cui, una vacuità di vera esistenza di un fenomeno,
al pari di un aggregato (mentale o fisico), è considerata un'assenza del sé di
quel fenomeno, così una vacuità di vera esistenza di una persona deve essere
considerata come un'assenza del sé della persona. Proprio perché il ragionamento
(di far così in entrambi i casi) è lo stesso. Questo è il pensiero (della Scuola-Conseguenza).
È importante capire che, di solito, si medita su 'una' vacuità – come, per esempio, una vacuità del nostro corpo. Riguardo una diretta cognizione della vacuità, possiamo parlare con più validità di vacuità in generale, invece che di 'una' vacuità particolare, poiché tutte le vacuità devono essere realizzate nel momento, all'interno del contesto del loro non apparire essere diverse. Comunque, prima di questo livello, è assai più pratico orientarsi su 'una' o 'più' vacuità, anziché su una vacuità amorfa, perché un ragionamento con uno specifico soggetto, predicato e segno, comprova 'una' vacuità. Perfino nella pratica tantrica, quando si visualizza una divinità che appare fuori dalla sfera della vacuità, questa è la vacuità o natura ultima di se stessi e della divinità; prima si contempla la specifica vacuità di esistenza inerente di se stessi, e poi la divinità appare venendo fuori da questa vacuità.
Quindi, il Supplemento di Chandrakirti, al Trattato della Via di Mezzo (di Nagarjuna) dice (143):
" Per far si che gli esseri trasmigratori si liberino (dalle ostruzioni afflittive e
dalle ostruzioni all'onniscienza), fu stabilita fermamente quest'assenza del sé
nel suo duplice aspetto, a motivo di una divisione in fenomeni e persone…"
Gli esseri senzienti sono chiamati "trasmigratori" perché, tramite la forza delle varie azioni virtuose e non-virtuose, essi vagano da una nascita all'altra nei sei reami dell'esistenza ciclica – esseri infernali, spiriti affamati, animali, umani, semidei e dèi – spostandosi da un livello all'altro, ma sempre prigionieri all'interno dell'esistenza ciclica samsarica, come una mosca intrappolata in una bottiglia.
Le persone e gli altri fenomeni sono le basi per l'imputazione di un falso predicato – <il sé>, o esistenza inerente. Al momento, sebbene noi si sappia che certe cose esistano, non sappiamo come queste cose esistono. Tutte le persone ed i fenomeni che appaiono alla nostra mente, sembrano esistere inerentemente. Perciò, benché queste basi di vacuità siano realmente la persona convenzionalmente esistente e gli altri fenomeni convenzionalmente esistenti, noi non abbiamo conoscenza del loro modo di esistere solo convenzionalmente. Noi li vediamo con una rivestitura che ci impedisce di poterli vedere così come realmente sono.
Supponete che voi stiate da sempre portando degli occhiali colorati di verde; avreste visto come verde un palazzo bianco. Se veniste a sapere, semplicemente per informazione, che il palazzo è bianco, anziché conoscere direttamente che cos'è il bianco, non potreste certo dire che sapete che il colore del palazzo è bianco. Ecco, noi siamo in una situazione simile.
Per esempio, quando una certa cosa, come una casa, è dichiarata come soggetto di un sillogismo, in realtà essa è una casa esistente solo convenzionalmente o semplicemente in modo nominale, ma noi non sappiamo che cosa realmente sia quella tal cosa. Un Proponente della Via di Mezzo non sostiene che la sua coscienza che certifica il soggetto di un dibattito – per esempio, una casa – certifichi anche che essa esiste dalla sua propria parte. Quindi, egli non può sostenere che vi siano oggetti che appaiono comunemente, dato che i suoi oppositori asseriscono che la coscienza che certifica il soggetto del dibattito certifica anche la sua esistenza dalla sua propria parte. Mi sembra pure, che la preferenza dei Conseguenzialisti per le conseguenze più che per i sillogismi, rifletta una preferenza per l'uso di una forma di comunicazione, che le altre persone realizzano operando all'interno delle loro asserzioni, onde farli scuotere dal pensiero che la coscienza che certifica il soggetto certifichi anche che esso è stabilito dalla sua propria parte.
La casa, che è il soggetto del dibattito o di una meditazione, appare esistere inerentemente; la vera cosa che voi state cercando di rifiutare è totalmente mescolata con ciò che sta apparendo alla vostra coscienza ed è la vostra coscienza che certifica l'esistenza del soggetto, ma non certifica anche la sua esistenza inerente.
Tuttavia, anche se le apparenze, giuste o sbagliate, del soggetto sono totalmente mescolate, la realizzazione della vacuità non è un fatto di vedere semplicemente la giusta apparizione dell'oggetto. Per cui, la maggioranza degli eruditi Ghelugpa sostiene che, nel sistema dei Sutra, durante l'esplicita realizzazione della vacuità da parte di chiunque, eccetto un Buddha, l'oggetto sparisce completamente (144). Ciò accade perché voi state cercando di determinare se l'oggetto esiste inerentemente o no, tramite l'esaminare se l'oggetto può resistere all'analisi e, alla fine, non potrete che arrivare a niente nello stabilire l'oggetto come un oggetto. Voi siete rimasti nella mera vacuità, che è l'assenza dell'esistenza inerente dell'oggetto, e allora, restate in equilibrio meditativo in maniera così vivida per quanto più vi è possibile senza perdere la forza del non-trovare l'oggetto sotto assoluta analisi. Poi, dopo esser rimasti quanto più possibile in questa vacuità di esistenza inerente, cominciando ad allentare l'equilibrio meditativo, è opportuno osservare la riapparizione dell'oggetto, seppur qualificato da un'assenza di esistenza inerente.
Potreste anche pensare che ciò sarebbe l'ordine esistente da sempre, che l'apparente esistenza inerente dell'oggetto stia cambiando proprio davanti ai vostri occhi e diventa qualcosa che, in se stesso, era qualificato da un'assenza di esistenza inerente. Questo, tuttavia, non è il modo in cui procede la meditazione sulla vacuità, almeno secondo la maggioranza delle spiegazioni dei Ghelugpa. Quando si medita sulla natura ultima di una casa, per esempio, voi cercate di vedere se potete trovare o meno una sua esistenza inerente, cosi come sembra apparire ora, facendovi una ragione del fatto che la casa è un'originazione-dipendente e, alla fine, comprendendo che una casa inerentemente esistente non può essere trovata con tale analisi. A quel punto, l'apparenza dell'oggetto, la casa stessa, svanisce; per cui una casa convenzionalmente esistente non appare quando la sua vacuità è realizzata.
Benché non vi sia niente di niente da trovare e l'oggetto sia completamente sparito, voi non dovete cadere nell'estremo del nichilismo, poiché siete all'interno dell'analisi ultima. Per cui, finché una casa esiste solo convenzionalmente, se apparisse durante quest'analisi ultima, dovrebbe essere esistente in modo assoluto.
Allorché l'oggetto è scomparso e non appare nient'altro che una totale vacuità, è importante mantenere a mente che questa vacuità non è una vacuità di inesistenza, ma è solo l'assenza di una casa esistente solidamente, o concretamente, che include le sue parti, e che tale casa in verità non esiste, così come al momento appare alla nostra mente.
Quando è ottenuta una cognizione inferenziale di vacuità, essa si presenta tramite l'apparizione di una immagine della negazione – o assenza – di esistenza inerente. Allorché ci si avvicina di più alla cognizione diretta, questa apparenza immaginaria lentamente scompare, lasciando alla fine soltanto la totale vacuità che, comunque, non è ancora una inesistenza, ma una specifica assenza di esistenza inerente o concreta. La cognizione diretta, sebbene sia senza concettualizzazione, non è senza contenuti; l'assenza di esistenza inerente deve essere realizzata, deve essere conosciuta, deve essere compresa!.
Dopo aver dimorato in questo stato per qualche tempo, lasciate che la casa riappaia. Dovrebbe esservi un cambiamento nella sua apparenza, come se la sua vera apparenza significhi che essa è indefinibile a livello concettuale analitico.
Dato che ora noi non abbiamo il beneficio di una tale meditazione, l'apparenza di una casa richiama fortemente la nostra convinzione che essa esista inerentemente. Tuttavia, quando un meditante si è abituato a questo tipo di investigazione ragionata, la forte adesione alla falsa apparenza di esistenza inerente diminuisce notevolmente. Ciò, a sua volta, provoca un cambiamento nell'apparenza dell'oggetto. Tecnicamente parlando, voi non vi mettete più veramente a rimuovere l'apparenza di esistenza inerente, ma l'apparenza della casa come realmente solida dovuta all'adesione alla sua falsa apparenza, comincerà parzialmente a scomparire. Inoltre, tramite il familiarizzarsi con la profonda portata del ragionamento che stabilisce che una casa non è inerentemente esistente, alla fine perfino l'apparenza della sua esistenza inerente comporta la comprensione della sua reale mancanza di esistenza inerente. A quel punto, il conflitto tra apparenza e realtà deve essere realizzato al livello che la stessa falsa apparenza induce una consapevolezza della sua falsità. Il Dalai Lama ha paragonato ciò, ai colori visti quando si inforcano occhiali da sole; la reale apparenza del colore distorto induce una consapevolezza che esso non è veritiero.
Voi potete solo completare tutto ciò cercando di trovare un oggetto inerentemente esistente, scoprendo che esso non può essere trovato e poi, sapendo che non può essere trovato, mettersi ancora a cercare un simile oggetto. Inizialmente, c'era qualcosa alla fine del vostro dito che voi stavate indicando, e che era una casa, perché l'esistenza inerente è il fatto che si può indicarla. Poi, dopo l'analisi, voi vedete che in realtà non vi è nulla che potete indicare; l'apparenza di una simile casa, concreta e solida, è riconosciuta come falsa. Diventando abituati a investigare le cose tramite il ragionamento, arriverete a realizzare che siete sempre stati ingannati. Come afferma "Il Trattato della Via di Mezzo" di Nagarjuna (145):
"Tutti i fenomeni condizionati hanno l'attributo ingannevole della falsità;
Quindi, essi sono falsi e ingannevoli…"
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5) LA COSA PROPRIA
Qual è il <sé> che deve essere negato nelle persone e negli altri fenomeni? Il "Commentario di Chandrakirti sul "Quattro Centinaia" di Aryadeva" dice:
"In questo caso, <sé> è una natura inerente (146) dei fenomeni, vale a dire
quando non vi è dipendenza uno dall'altro. La non-esistenza di questo <sé>
è ciò che si chiama "assenza del sé". L'Assenza del Sé è realizzata in duplice
essenza, tramite una divisione in fenomeni e persone- vale a dire che vi è
un'assenza del sé dei fenomeni ed un'assenza del sé delle persone".
Anche se, in generale, il termine <sé> significa il nucleo della persona o <Io>, in questo contesto dell'assenza di un sé, il <sé> significa "esistenza inerente", costituzione di oggetti dalla loro propria parte. Quindi, il <Sé> connota una esistenza indipendente. Un oggetto che avesse questo <sé>, non dipenderebbe sulle altre cose, come ad esempio una coscienza che lo imputa; esso avrebbe solamente una sua "propria proprietà".
Spesso le persone parlano riguardo alle vostre" proprietà"; perfino gli oggetti come le arance, si dice che abbiano la loro proprietà. Tutte le cose infatti, possiedono le loro proprie caratteristiche definite, ma sembra che quando le persone parlano di oggetti aventi la loro propria proprietà, esse includano la costituzione degli oggetti a motivo delle loro caratteristiche proprie. Questa è una concezione artificiosa di esistenza inerente – artificiosa nel senso di essere acquisita intellettualmente opposta al senso innato. Noi abbiamo molte di queste concezioni artificiali di un'esistenza inerente, appoggiate su visioni mondane e ragionamenti che affermano il nostro assenso al modo in cui le cose appaiono essere stabilite dalla loro propria parte. In più, considerare l'intima "proprietezza" degli oggetti ci agevola nel dirigerci verso la rozza sensazione senza alcuna copertura concettuale, perfino se questa esperienza che tutte le cose abbiano la loro propria essenza indipendente è falsa.
Basandoci sulla visione che tutte le cose hanno la loro propria proprietà, noi affermiamo il modo in cui gli oggetti ci appaiono, sviluppando così un senso perfino più forte del fatto che un'arancia o un libro abbiano la loro propria proprietà. Se vi basate su ciò che innegabilmente appare, in pratica, voi state riaffermando il possesso di quella certa "proprietezza" da parte degli oggetti. Tuttavia, valutare l'esperienza diretta, mette una volta di più le radici nella sostanza dell'apparenza e meno nel pensiero, e rende possibile apprezzare ciò che la Scuola-Conseguenza della Via di Mezzo sta cercando di far capire – il rifiuto dell'apparente costituzione degli oggetti in base alle loro proprie caratteristiche.
Allorché voi scendete al livello di saper essere in grado di accertare l'apparenza degli oggetti come se fossero stabiliti dalla loro propria parte, nel caso foste buddhisti, potrebbe esservi una lotta in quanto potrebbe sembrare che il Buddhismo sia sbagliato dato che rifiuta l'oggettività propria dei fenomeni. Tuttavia, questo è un passo cruciale, perché se voi non vi addentrate nella vostra esperienza, entro ciò che vi sta apparendo, voi potreste trattare "l'assenza di esistenza inerente" tanto semplicemente quanto un argomento astratto e sentirvi sicuri che esso è esatto senza però nessuna comprensione sulle sue implicazioni, con la conseguenza che un vero progresso sul sentiero sarà poi difficile.
Per conoscere o anche ottenere una comprensione preliminare della vacuità, è necessario prima avere una qualche chiara sensazione dell'oggetto negato, che è l'esistenza inerente. Se voi la possedete, sarà assai più facile. Dunque, prima dovreste affermare l'oggetto di negazione in maniera vivida nell'esperienza. Uscite e cercate di sperimentare la "proprietezza" di un fiore, per esempio, provate a sentirla veramente. La sensazione potrà essere molto forte e vivida, ma se lo fate abbastanza, potreste avere una sensazione di esser stati ingannati. Ad esempio, sentite la proprietà di una sedia, la sua "sediezza", la fattualità della sedia. Dopo, andate fuori da casa vostra e lasciatevi dietro la sedia; essa non c'è più.
Successivamente, tornate indietro e sperimentate il modo in cui vi sedete, con le vostre mani ed il corpo sistemati in un certo modo. Metteteci dentro tutta la vostra comprensione che se la vostra postura esistesse nel modo in cui appare, per voi non sarebbe possibile nemmeno cambiare la posizione delle mani. Quando vedrete che le cose cambiano, dovrete generare una teoria dell'impermanenza e dopo dovrete convincervi che le cose sono impermanenti. Perché dobbiamo parlare così tanto con noi stessi? Perché le cose ci stanno apparendo in un modo falso.
Questa dovrà essere ben più che una comprensione intellettuale. Dovete sentirlo in profondità, sperimentare che nessuno potrebbe nemmeno picchiare sulla tavola, se essa esistesse nel modo che appare. Prendete qualcosa che vi sta a cuore e immaginate che qualcuno sia entrato e stia camminandoci sopra, distruggendola cosicché non vi è più niente lì che voi possiate serbare caro. Si dice che se le cose esistessero nel modo in cui ci appaiono esistere, esse dovrebbero essere permanenti e quindi mai cambiare. Voi dovreste considerare e sentire e sperimentare che le cose sembrano esistere in e per se stesse.
Noi dobbiamo radicarci nella cognizione diretta al fine di realizzare la vacuità, eppure tutta la cognizione diretta che possiamo avere adesso è inquinata da un falso elemento. Perfino ogni sensazione diretta dell'esperienza è inquinata dalla falsa apparenza degli oggetti come se essi esistessero per loro proprio diritto. Inoltre, appunto aspettando a venir fuori appena diventiamo coinvolti in qualcosa, è dovuto alla pesante forza dell'attivo consenso a questa falsa apparenza.
Quindi, noi non possiamo proprio metterci seduti ad aspettare che la vacuità spunti da sola. Noi dobbiamo raffigurarci un modo per ottenere internamente questa cognizione diretta. Per prima cosa, generate un vivido senso di esistenza inerente e poi rifletteteci con un ragionamento, scoprendo in profondità che non potete trovare questi concreti oggetti. L'apparenza delle cose cambierà; un tale ragionamento farà in modo di farvi penetrare dentro la sostanza della realtà. Voi dovete realmente diventare impegnati in questo. Se voi, appunto, continuate a ripetervi noiosamente: " Ciò non esiste nel modo in cui appare", questo non vi sarà d'aiuto. Noi, alla fine, non stiamo mirando a pensare o recitare qualcosa a noi stessi, ma proprio a realizzare la verità.
"Perciò, se la base è una persona o un fenomeno, l'innato modo di
concezione del <sé> è di concepire che esso esiste oggettivamente,
per mezzo della sua propria entità e non che esso è stabilito tramite
la forza della concettualizzazione…"
Voi non sentite che la sedia in cui siete seduti, debba essere confermata dal pensiero e non sia realmente lì in se stessa. Con l'investigazione, forse deciderete che il nome è stabilito col pensiero, ma se non la pensate, vedreste perfino il nome come se fosse tutt'uno con l'oggetto. Guardatevi intorno, vi è una sveglia, un bicchiere, una tavola; anche i nomi talvolta sembrano apparire insieme con gli stessi oggetti. Questo è il modo in cui impariamo a identificare facilmente gli oggetti. Io vedo voi ed il vostro nome schizza verso di me, dalla posizione in cui voi siete. Dovremmo almeno praticare a fare ciò, di modo che i nomi delle cose non schizzino fuori da esse, da lì fino a noi, qui. L'esistere del nome oggettivamente colà, è un vero fraintendimento grossolano, assai più facile da riconoscere che non la concezione di esistenza inerente.
" L'oggetto concepito di questa concezione, è il <sé> che deve essere
negato in questa occasione ed è l'ipotetica misura della vera esistenza."
Una coscienza che concepisce o apprende l'esistenza inerente è una coscienza pensante; l'oggetto che appare ad essa, chiamato l'oggetto apparente, è un'immagine mentale di esistenza inerente. L'immagine mentale esiste, ma l'oggetto a cui si riferisce – il suo oggetto referente, ovvero l'oggetto che è concepito come tale – non esiste. Per esempio, l'immagine di una tavola inerentemente esistente appare ad una coscienza pensante; l'oggetto concepito da questa coscienza pensante non esiste, anche se l'immagine, come pure la coscienza mentale che apprende o concepisce una tavola inerentemente esistente, esiste. Una coscienza che concepisce l'esistenza inerente viene smontata e distrutta dalla meditazione sulla vacuità, ma il<sé>, l'esistenza inerente, non è mai veramente esistito e quindi non essendo mai stato, non ha bisogno di essere distrutto. L'errata concezione, vale a dire l'erronea coscienza, è sradicata col vedere la non-esistenza del suo oggetto che è l'esistenza inerente.
Nei due termini "vera esistenza" e "assenza di vera esistenza", qual è il significato di "vera"?. Ipoteticamente (dato che non esiste), essa è l'esistenza oggettiva di un fenomeno, tramite la sua proprietà di entità, senza che sia accreditata dal pensiero. Questo modo di esistere è l'oggetto referente di una coscienza che concepisce il sé; è la "misura" della vera esistenza, l'opinione di sé o esistenza inerente in quel dato sistema. È il<sé> imputato nella visione di "assenza del sé" nella Scuola-Conseguenza.
La traduzione letterale dell'originale Tibetano di "ipoteticamente", sarebbe: "Sostenere un estremo a scopo di analisi" (147). La "vera esistenza" deve essere valutata anche senza tale cosa. Gli ipotetici sinonimi di vera esistenza sono: esistenza inerente, esistenza propria dalla parte dell'oggetto, esistenza oggettiva, esistenza causata dalla caratteristica stessa dell'oggetto, esistenza ultima, esistenza scaturita dall'interno delle basi di designazione, esistenza nella propria talità, esistenza nella propria realtà, esistenza nel proprio modo di sussistenza, esistenza per via della propria entità, (148) e così via. In questo contesto, "esistenza" e "costituzione" (149), significano la stessa cosa; quindi, gli ipotetici sinonimi includono anche costituzione inerente, costituzione dalla parte dell'oggetto, costituzione oggettiva, costituzione causata dalle caratteristiche proprie dell'oggetto, costituzione ultima, costituzione proveniente dall'interno delle basi di designazione, costituzione per la propria talità, costituzione per la propria realtà, costituzione come proprio modo di sussistenza, e così via.
Jang-kya descrive il <sé> come esistenza oggettiva. Perciò, un'assenza del sé è un'assenza di esistenza oggettiva, una mancanza di esistenza inerente del fenomeno; similmente, una concezione o apprendimento del <sé> è una concezione di esistenza oggettiva – esistenza legittimata dall'oggetto, integrata alle basi di designazione dell'oggetto. Per esempio, se una tavola esistesse oggettivamente, essa dovrebbe sussistere dalla sua propria parte anche senza essere imputata, o designata, dalla parte del soggetto. Questa è chiamata "esistenza sulle basi di designazione". Le basi di designazione di una tavola sono formate da tutte le parti di quella tavola – le sue quattro gambe, la parte superiore, i lati, e così via; su di esse, per esse, proprio a causa di esse, essa è una <tavola>. Questo è il modo in cui il <sé>, l'esistenza inerente, appare e questo è il modo in cui noi lo percepiamo; questo è il motivo del perché noi lo concepiamo. Ma, in effetti, esso non esiste in quel modo, non esiste come suo proprio diritto personale.
"I Proponenti della Scuola Autonoma della Via di Mezzo, fanno una distinzione
rifiutando le tre forme di esistenza – vera esistenza, esistenza ultima e quella
dovuta alla propria realtà (150) – ma non rifiutando le altre tre – quella inerente,
quella dovuta alle proprie caratteristiche e quella dovuta alla propria entità (151).
Tuttavia, in questo Sistema (della Conseguenza), tutte queste forme di esistenza,
dalla prima all'ultima, sono dichiarate avere tutte il medesimo significato…"
Gli Autonomisti rifiutano – sia in modo assoluto che convenzionale – la vera esistenza, l'esistenza ultima e l'esistenza di un oggetto come sua propria realtà. Tuttavia, essi sono propensi ad accettare le altre categorie, - l'esistenza inerente, quella per le caratteristiche proprie dell'oggetto, quella oggettiva dalla sua propria parte e l'esistenza causata dalla entità stessa dell'oggetto – in modo convenzionale, ma non in modo assoluto. Ciò significa, che gli Autonomisti rifiutano che gli oggetti abbiano un modo di sussistenza, che non sia convalidato tramite la forza dell'apparire ad una consapevolezza non difettosa. Malgrado ciò, per la Scuola Autonoma è ammissibile che un oggetto abbia un modo di sussistenza, che è convalidato tramite l'apparizione ad una coscienza non difettosa.
I Conseguenzialisti rifiutano tutti questi modi di esistenza, tanto convenzionalmente che in modo ultimo o assoluto, affermando che tutti questi termini sono ipotetici sinonimi. Quindi, la differenza di definizioni tra i due sistemi appare ovvia, benché la differenza nei significati sia difficile da intuire bene. Fondamentalmente, per gli Autonomisti, una tavola può essere trovata convenzionalmente, come unione di parti in un contesto in cui il suo modo di esistere sia convalidato tramite la forza del suo apparire alla mente. La tavola, perciò, possiede un suo modo di sussistenza, che è convalidato proprio grazie alla forza del suo apparire ad una consapevolezza non difettosa, cioè ad una coscienza visiva che non sia alterata. Tuttavia, essa non ha un suo distinto modo di sussistenza, che non sia convalidato grazie all'apparire ad una coscienza non difettosa.
Secondo gli Autonomisti, la coscienza "non difettosa" che convalida gli oggetti, può essere tanto una coscienza sensoriale quanto mentale, mentre nella Scuola Conseguenzialista, solo la coscienza mentale concettuale può convalidare gli oggetti. Per gli Autonomisti, un oggetto appare ad una coscienza non difettosa ed è dunque in tal modo convalidato. "Non difettosa" significa, per esempio, non trovarvi in viaggio su un veicolo, sul quale i vostri occhi vedono gli oggetti in movimento (mentre non lo sono), oppure quando siete immuni da una malattia della bile, che vi fa vedere come gialli perfino gli oggetti totalmente bianchi. Significa ancora che la coscienza non è inquinata dall'idea o concezione di una vera esistenza; in quel caso, una tavola sarebbe convalidata come realmente esistente in se stessa. Tramite il suo apparire ad una simile coscienza "non difettosa", un oggetto consegue il suo modo di sussistere.
La differenza pratica tra la Scuola Autonoma e quella Conseguenzialista poggia sul fatto se voi siete un praticante che opera con gli oggetti come se essi fossero una unione delle loro parti o se voi operate con gli oggetti come cose che sono meramente imputate, in dipendenza della loro composizione. Questo crea una gran differenza nel modo in cui voi affrontate l'esperienza del mondo.
Perciò, il testo "Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo" (chiamato anche
"L'Essenza della Buona Spiegazione") di Tzong-Khapa, afferma: - L'esistenza di un modo
oggettivo di sussistenza, (significa) un'entità indipendentemente autopotenziata".
"Entità autopotenziata" potrebbe anche essere tradotta come "Un'entità che dipende dal suo proprio potere". Nella Scuola dell'Autonomia, un modo oggettivo di sussistenza è possibile se è convalidato dalla mente. Ciò può sembrare contraddittorio e, per i Conseguenzialisti, lo è, ma non per gli Autonomisti. Si supponga, per esempio, che un mago abbia creato proprio qui per noi, l'apparenza di un delizioso pezzo di torta. Anche se non ha alcun modo di sussistenza che sia convalidato dalla nostra coscienza ingannata e sotto l'influenza dell'incantesimo, il dolce deve avere un suo proprio modo di sussistenza dato che ha un effetto che provoca la nostra attrazione. Proprio così dunque, secondo gli Autonomisti, tutti questi fenomeni hanno il loro modo di sussistenza, anche se non quello di essere poggiati sulla mente. Falsamente, a noi può sembrare come se gli oggetti abbiano un modo indipendente e non comune di esistere, che non sia appoggiato sulla mente; questo è il nostro errore di base.
Gli Autonomisti, da un lato cercano di negare un modo oggettivo di esistenza, mentre dall'altro vi si tengono ben stretti. Un certo Lama disse che quando gli Autonomisti affermano che la coscienza mentale <è> la persona, ciò è come se volessero gettare qualcosa in un fiume cercando contemporaneamente di tenerla ben stretta. Nella Scuola Conseguenza, voi la lascereste andare. Non si può indicare una qualsiasi cosa e paragonarla ad una persona. Quindi, un modo oggettivo di sussistenza implica entità autopotenziate.
"Poiché è affermato che autonomo (153) ed autopotenziato (154) sono sinonimi,
quando gli Autonomisti della Via di Mezzo sostengono che le tre modalità (155)
(di un ragionamento) sono stabilite dalla loro propria parte, ciò ha il completo
significato di "vera esistenza", in questo sistema (della Scuola Conseguenzialista).
Il testo "Quattro Centinaia" di Aryadeva (156) stabilisce: 'poiché tutte queste
non sono autopotenziate, non vi è il <sé> (l'esistenza inerente)'. Inoltre, nel
Commentario di Chandrakirti sulle Quattro Centinaia di Aryadeva, è detto
che tutte queste hanno l'identico e medesimo significato di: –entità propria,
esistenza inerente, autopotenziamento e non-dipendenza da qualcos'altro" (157).
Fenomeni indipendenti e vacuità sono incompatibili, allo stesso modo, i fenomeni che sono dipendenti da altri fenomeni e sono, quindi, meramente nominali, sono incompatibili con l'esistenza inerente.
Domanda: Poiché il sé che è stato rifiutato in questa occasione è (una cosa) che
esiste per via di un modo di sussistenza non sostenuto tramite la forza della
concettualizzazione, nella frase predetta a quale concettualità ci si riferisce?
Come sono le cose che si appoggiano alla loro stessa forza? Qual è la differenza
tra questa e l'affermazione della Scuola Autonomista, che non esiste un modo
di sussistenza che non sia poggiato tramite la forza di una consapevolezza?"
Gli Autonomisti sostengono che l'esistenza è convalidata da una consapevolezza (158), mentre i Conseguenzialisti affermano che essa è sostenuta dalla concettualità (159). La consapevolezza, o facoltà conoscitiva della coscienza, è assai più vasta della concettualità; tutte le istanze della consapevolezza – tutte le facoltà della conoscenza – non sono necessariamente istanze concettuali, sebbene che tutte le istanze della concettualizzazione, le facoltà concettuali della coscienza, sono necessariamente consapevolezza e coscienza conoscente. Una coscienza visiva è consapevolezza, e non coscienza concettuale.
Risposta: Riguardo al modo in cui le cose sono sostenute tramite la forza della
concettualizzazione, il testo delle Quattro Centinaia di Aryadeva, afferma:
"Senza (imputazione da parte) della concettualità (come nel caso
dell'imputazione di un serpente sulla corda), non si può trovare
l'esistenza del desiderio e così via. Se così fosse, chi potrebbe mai
sostenere con intelligenza che un oggetto reale è prodotto (con una
dipendenza) dalla concettualizzazione? (Pertanto, essere imputati
dalla concettualità ed esistere per propria realtà, è contraddittorio).
Il Commentario di Chandrakirti, su questo passaggio sopradescritto, ci dichiara (161):
Non vi è dubbio che ciò che esiste meramente a causa dell'esistenza
della concettualità e che non esiste senza questa stessa concettualità,
come un serpente che è imputato su una corda avvoltolata, deve venir
accertato in modo non convalidato a motivo della sua propria entità".
Se qualcosa esiste soltanto perché esiste la concettualità, vale a dire se è la concettualità della coscienza che la sta imputando, e questa stessa cosa non esiste, se non esiste la concettualità che la rende esistente, allora essa non esiste inerentemente. Tuttavia, non si può negare che le cose ci appaiano come se fossero esistenti inerentemente e che, basandoci su ciò, noi le concepiamo come se esistano inerentemente.
In Occidente, alcuni hanno detto che se non esistessero le persone che vedono le cose, non esisterebbe nulla, ma anche costoro hanno l'idea che le cose ci sono in e per se stesse, quando vi siano persone che le vedono. Questi Occidentali hanno un po’ di comprensione nei riguardi della dipendenza degli oggetti sulla concettualizzazione, ma non realizzano che essi vedono le cose in un modo esattamente opposto. Noi vediamo noi stessi, gli altri e le nostre relazioni con gli altri, come se esistessero in un modo inerente, come se l'esistenza di tutto ciò fosse indipendente dalla concettualizzazione, come se tutte queste persone, e cose, fossero oggettivamente lì, di sicuro non come se dipendessero dalla nostra concettualità. Questa sedia, per esempio, appare come se esistesse per suo proprio diritto. Quindi, quando superficialmente noi dichiariamo che l'esistenza di tutte le cose dipende dalla concettualità, è un'astrazione; noi non stiamo realmente applicando quest'approfondimento al modo in cui le cose stanno apparendo, proprio qui ed ora, davanti a noi.
"Quindi, concettualità (in questo caso si riferisce) a questa nostra ordinaria e innata
consapevolezza che propone designazioni di forme e così via, essendosi abituata in
maniera continuativa, da tempi senza inizio, a pensare ancora e ancora – Questa è
una forma; questa è una sensazione; questa è una persona…e così via – "
Una designazione, o coscienza imputante, non necessariamente è errata. In quanto, anche se una coscienza concettuale che imputa una vera esistenza è errata, non tutte le conoscenze concettuali necessariamente implicano una concezione di vera esistenza, come nel caso di una conoscenza concettuale che apprende una tavola. Inoltre, l'oggetto di una qualunque coscienza concettuale, appare esistere inerentemente ma, essendo dunque apparso, solo talvolta esso è concepito o ritenuto esistere inerentemente.
Poiché le cose ci appaiono continuamente come se esistessero inerentemente, può sembrare alquanto astratto parlare di concettualità, come se essa non fosse necessariamente errata. Tuttavia, Tzong-Khapa spiega che, in generale, vi sono tre tipi di concettualità o coscienze concettuali: quelle che concepiscono il loro oggetto esistente in modo inerente, quelle che concepiscono che il loro oggetto non esiste inerentemente e quelle che non subiscono nessuna di queste due concezioni (162). Poiché gli oggetti di tutte e tre queste coscienze appaiono esistere inerentemente, tutte e tre sono in errore riguardo all'apparizione del loro oggetto, ma non lo sono necessariamente riguardo alla loro concezione dell'oggetto, dato che esse non necessariamente concepiscono, o apprendono, che l'oggetto esiste in modo inerente.
Per poter abbandonare l'esistenza ciclica (samsara), noi dobbiamo conoscere direttamente la vacuità; per far ciò, è necessario generare una inferenza della vacuità, che è anch'essa un tipo di coscienza concettuale. Questa coscienza inferenziale non è totalmente indenne da difetti poiché, come qualche erudito Ghelugpa ricorda, perfino la vacuità che appare a quella coscienza, appare esistere inerentemente, anche se essa non concepisce la vacuità che esiste in modo inerente. Essa sta apprendendo l'assenza di esistenza inerente dell'oggetto.
Nel contesto della coscienza che convalida gli oggetti, "Concettualità" si riferisce ad una mente innata, ordinaria. In generale, vi sono due tipi di mente innata; una innata coscienza che concepisce l'esistenza inerente e la comune mente innata che apprende questo o quello senza una considerazione di esistenza inerente. Quest'ultima è anche conosciuta come una cognizione valida di un fenomeno convenzionale, ovvero una cognizione valida innata, e può essere ognuna delle sei coscienze sensoriali: occhio, orecchio, naso, lingua, corpo o coscienza mentale. In questo caso, la mente innata ordinaria o comune è una coscienza concettuale che tende ad imputare i vari fenomeni.
È importante fare una precisazione tra l'erroneo ed il non-erroneo (163) da un lato, e l'errato ed il non-errato dall'altro (164); per esempio, una mente che concepisce l'Io è di entrambi i tipi. Una mente che concepisce l'Io come se esistesse inerentemente è sia erronea che errata. La cognizione valida – che tutti a volte hanno – è una leggera cognizione di <Io>; non è errata, ma è comunque erronea perché l'Io appare esistere inerentemente. Anche con questa varietà non errata, non appena prestiamo maggior attenzione all'Io, la concezione di vera esistenza diventa dominante. Il confine tra queste due varietà è difficile da evidenziare nella nostra esperienza poiché, senza generare la realizzazione della vacuità, noi non possiamo differenziare tra esistenza convenzionale ed esistenza inerente.
La cognizione valida comune dell'Io, apprende un Io convenzionalmente esistente. Tuttavia, quando sia stata generata la visione corretta della Via Mediana, è possibile concepire e comprendere che l'Io è esistente solo convenzionalmente. Perfino se, occasionalmente, noi già abbiamo una valida cognizione dell'Io ed anche se l'Io che appare a questa coscienza valida esiste solo convenzionalmente, noi non comprendiamo questa sua esistenza convenzionale. Noi concepiamo soltanto l'Io (come Io).
Per esempio, provate a pensare: "Devo andare al supermercato", senza mettere l'enfasi sull'Io. Questa è una cognizione valida dell'Io, ma questa vaga sensazione di <Io> senza una patina di errata concezione, non offrirà nessuna opposizione a concezioni successive in cui l'Io esisterà inerentemente. Il che potrà soltanto essere fatto tramite la comprensione penetrante che l'Io non è stabilito a ragione delle sue caratteristiche, dopodiché si potrà comprendere che l'Io esiste solo in una maniera imputata.
Poiché i fenomeni richiedono una conoscenza per certificare la loro esistenza, una cognizione valida innata di fenomeni convenzionali serve anche allo scopo di certificare quei dati fenomeni. Si dice che Manjushri, la divinità che rappresenta la manifestazione fisica della saggezza di tutti i Buddha, abbia detto a Tzong-Khapa, in una esperienza visionaria, che doveva dare valore alle apparenze e perciò, nel sistema di spiegazione della Scuola-Conseguenza della Via di Mezzo di Tzong-Khapa, è detto che vi siano, anche nel continuum di tutti noi esseri ordinari, coscienze che certificano perfino l'esistenza dell'Io. La presentazione di questa percezione di Tzong-Khapa, in ogni caso, non dovrebbe essere presa come fine a se stessa, come se noi dovessimo mettere in risalto il fatto che abbiamo cognizioni valide. In quanto, poiché a questo punto noi non possiamo trovare la differenza tra l'esistenza (convenzionale) e l'esistenza inerente, noi non possiamo usare la nostra occasionale, quantunque corretta, percezione dell'Io o degli altri fenomeni, per comprendere la loro natura. Inoltre, il riconoscimento che questi oggetti sono validamente stabiliti, anche se noi non possiamo comprendere in maniera appropriata il loro modo di sussistenza, ci aiuterà a guardarci da una visione estrema, qual è il nichilismo.
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6 – VALIDITA'
Vi sono stati grandi filosofi e yogi in ognuno dei quattro maggiori ordini del buddhismo Tibetano: Nying-ma, Kaghyu, Sakya e Ghelug (165). Un solo approccio, piuttosto diverso da quello di Tzong-Khapa, interpreta la Scuola-Conseguenza, la quale dichiara che non vi è una valida coscienza che certifica universalmente l'esistenza dei fenomeni, nemmeno una simile costituzione valida. In questa interpretazione, tutto ciò che appare alle nostre menti come inerentemente esistente è erroneo e, quindi, non-esistente, salvo che per una coscienza ignorante. Il non-esistente appare in maniera vivida; perché questa asserzione non è nichilismo? Anche se i succitati filosofi, oltre ad ammettere meramente ciò che appare ad una coscienza ignorante, negano qualunque validità di ciò che ora appare a noi, essi insegnano che ciò che sottostà a queste apparenze – oppure, in altre parole, ciò che le rimpiazza una volta che noi le abbiamo superate – è l'unica grande sfera di realtà (166). Simili insegnamenti impediscono che un praticante cada nel nichilismo, fino a quando la diretta cognizione della grande sfera di realtà non si manifesti. Anche se, soltanto grazie ad un Lama che ve ne parla, voi potete arrivare a conoscere che non vi è un <nulla>.
In questa interpretazione, è sbagliato dare valore alle attuali apparenze, dato che questo convaliderebbe il modo in cui le cose stanno apparendo ora a noi, rinforzando il modo ordinario in cui noi ci coinvolgiamo con queste cose. Quando poi si arriva alla pratica, le sottili presentazioni di una mescolanza di apparenze vere e errate, potrebbero essere fuorvianti. Perché? Perché, come gli stessi studiosi Ghelug-pa inoltre ammettono, noi non sappiamo come distinguere con cognizione valida tra l'esistenza inerente e l'esistenza convenzionale, fino a che non abbiamo realizzato la vacuità di esistenza inerente.
L'insegnamento di Tzong-Khapa su questo punto, è complesso. Nella sua interpretazione, le apparenze corrette o false sono mischiate. Per esempio, una coscienza visiva apprende un tappetino che appare essere inerentemente esistente. Insieme con il tappetino inerentemente esistente, appare anche un tappetino esistente convenzionalmente o in modo non-inerente. Poiché questi due appaiono mischiati l'uno con l'altro, la nostra sensazione del tappetino è così fusa con l'esistenza inerente che diventa un'astrazione parlare di una coscienza visiva che certifica l'esistenza del tappetino, anche se Tzong-Khapa parla frequentemente di questo fatto. Per di più, in termini di esperienza, l'oggetto che appare a noi ora, sembrerebbe essere negato nel processo di adesione alla visione della Via di Mezzo.
La mente innata ordinaria che è abituata a pensare pensieri di questo tipo: "Questa è una forma", e così via, è detta generalmente dai seguaci di Tzong-Khapa, essere una innata cognizione valida. Ma, è estremamente difficile, nella nostra propria esperienza, tracciare una linea tra ciò che è valido e ciò che non lo è. Noi abbiamo una mente che pensa, "Questo è un tappetino" e, finché l'apparenza del tappetino giunge come inerentemente esistente, la mente è tratta in inganno. Come possiamo tracciare una linea di demarcazione sul lato soggettivo, tra la mente che sta giusto pensando, "Questo è un tappetino", ed un'altra che concepisce e aderisce all'apparenza di un tappetino inerentemente esistente? I fenomeni sono correttamente convalidati dal pensiero mentale, ma la loro apparizione è completamente soffusa con una erronea apparenza di esistenza oggettiva.
"(L'esempio della corda e del serpente illustra) come le cose sono
stabilite tramite la forza (di una ordinaria concettualità innata).
Quando su una corda cala l'oscurità, essa è immaginata come se
fosse un serpente, poiché la forma e i variegati colori della corda
ed il modo in cui è arrotolata, la fanno sembrare un serpente ed
in più essa è vista in un luogo indistinto. In quel momento, né il
colore della corda, la sua forma, le sue altre parti, e nemmeno la
riunione di queste sue parti, si possono stabilire come un qualcosa
che sia un serpente (167). Il serpente visto in questa occasione,
è soltanto una mera designazione, imputata dalla concettualità,
in dipendenza dall'aver visto (in modo erroneo) una corda".
Una corda appare alla mente e, in dipendenza da questa e da altre condizioni avventizie, viene imputato un serpente. Tuttavia, in quel dato posto, non vi è nulla che sia un serpente.
Similmente, quando il pensiero <Io> sorge sotto forma dei cinque
aggregati (mentali e fisici), che sono le sue basi di designazione, né
gli aggregati individualmente presi, né il loro raggruppamento, né
il loro <continuum> e neppure le loro parti, possono essere stabilite
come qualcosa che sia un <Io> (168). In più, non vi è il benché minimo
fenomeno, che sia un'entità separata da quegli aggregati (mentali e
fisici) e che possa essere appreso come un qualcosa che sia un <Io>.
L'Io è meramente stabilito soltanto dalla concettualità, in dipendenza
degli stessi aggregati (fisici e mentali)."
Il pensiero <Io> sorge nel contesto dei cinque aggregati di corpo e mente, ma questo non significa che tutti e cinque gli aggregati debbano apparire con ciascuna concezione. Ognuno di essi, insieme o collettivamente – qualsiasi cosa stia apparendo nel momento che si pensa <Io> - è adeguato. L'unione o raggruppamento degli aggregati, sarebbe qualsiasi gruppo di aggregati fisici e mentali che appaiono nel medesimo tempo. Un continuum è un raggruppamento o continuità di momenti nel tempo. Vi può essere il continuum del corpo, della mente o di entrambi – qualunque cosa stia apparendo. Di solito, esso appare sotto forma di sensazione, respirazione, una qualche parte del nostro corpo, un particolare stato di coscienza, oppure una combinazione di questi.
Benché il modo in cui tutti i fenomeni sono imputati dalla concettualità
sia, in siffatta maniera, come l'imputazione di un serpente sulla corda,
quest'ultimi due nonché tutti i fenomeni, come le forme, non sono proprio
la stessa cosa, riguardo al fatto se essi esistano convenzionalmente o no.
In quanto, poiché essi sono diversi nei termini di stabilire se la cognizione
valida convenzionale sia o meno dannosa all'asserzione, fatta in accordo
con ciò che deve essere imputato".
In un unico caso, "il serpente" sta per essere imputato su una corda, che in nessun modo però, può assolvere le funzioni di un serpente. Non sarebbe proprio possibile estrargli del veleno per usarlo in medicina. Quindi, una cognizione valida convenzionale della corda – come nel caso in cui si accende una lampada su di essa e si vede chiaramente che non è un serpente – sarebbe in grado di danneggiare, o invalidare, un'asserzione come "Questo è un serpente", oppure "Esso può assolvere tale e tal'altra funzione…". Benché tutti i fenomeni siano convalidati dalla mente, nessuna cosa stabilita dalla mente esiste.
Inoltre, rispetto al fatto che i fenomeni siano mere imputazioni nominali,
ci si impegni nell'adottare le virtù e nel rifiutare le non-virtù, che pure
dipendono sulle mere nominalità, che sono convenzioni designate su tali
fenomeni, come le forme, ecc., pensando "Questa è una forma", oppure
"Questa è una sensazione" e così via, e con ciò vengono portati a termine
gli scopi desiderati. Per di più, in un contesto di mera concettualità, sono
possibili tutte le affermazioni e le negazioni di esattezza ed inesattezza,
ecc., come pure tutti gli agenti, le azioni, e gli oggetti. Tuttavia, se uno
non è soddisfatto dalle mere nominalità e si accinge ad una ricerca, onde
trovare l'oggetto imputato sotto l'espressione "forma" (cercando di scoprire)
se può essere bloccato come colore, figura, o qualsiasi altro fattore, oppure
l'associazione di tutti questi, e così via, costui non potrà trovare alcunché,
e tutte le presentazioni (dei fenomeni) diventeranno alla fine impossibili."
Noi presumiamo che gli oggetti con cui siamo correlati siano oggettivamente fusi con le loro parti o componenti. Non operiamo mai dal livello del loro essere soltanto imputati in dipendenza delle loro basi di designazione. Noi uniamo entrambi, le basi di designazione e l'oggetto, in un unico insieme.
Se voi vi sentite soddisfatti di queste mere nominalità, allora l'esistenza, il cambiamento e così via, sono possibili. Se invece non siete soddisfatti, dovete trovare qualcosa che sia il fenomeno designato. Ma, dopo aver cercato, non sarete potuti giungere a nulla. Per esempio, noi diciamo che questo libro è "una forma", che è un oggetto della coscienza visiva. Bene, che cos'è la forma? La forma è il colore nero, bianco, e così via? Oppure è la fattezza? Se il libro è identico con tutti i molteplici colori, allora il colore nero è il libro? Certo, lo è. È il colore bianco, il libro? Sicuro. In questo caso, vi sono due libri. Oppure, se avete qualcosa che è tutto di un unico colore, potete dividerlo in questa o quella porzione. Ma, naturalmente, quando noi diciamo "libro" non intendiamo un colore. È insieme foggia e colore? Oppure è di un'altra qualità, come una dimensionalità che occupa spazio, o forse l'associazione di tutte queste cose? Noi sentiamo fortemente che un oggetto è un intero, ma dov'è questo intero? Potete indicarlo? È questo l'intero? O è quello, l'intero?
Presentare ciò che è o non è corretto, nel contesto delle mere nominalità,
è quanto mai possibile. Per esempio, c'erano due contadini che stavano
recandosi in città per vedere ciò che c'era di bello. Essi entrarono in un
tempio e cominciarono ad osservare i dipinti, allorché uno di essi disse:
"Questo qui che reca un tridente in mano è Narayana; quest'altro che in
mano tiene una ruota è Maheshvara". L'altro villico disse: "Sei in errore;
quello che regge il tridente è Maheshvara, invece l'altro che tiene la ruota
è Narayana". E così cominciarono a litigare.
Li vicino vi era un sant'uomo errante. Essi si recarono da lui e ciascuno
espose il proprio pensiero. Il pellegrino pensò, "Essendo affreschi su un
muro, questi in realtà non sono né Maheshvara né Narayana". Sebbene
egli sapesse questo, ancora non disse: "Questi non sono gli dèi che dite,
ma sono solo dipinti". Invece, in conformità con le convenzioni del mondo,
egli affermò ai due paesani che uno di essi aveva ragione e l'altro torto.
Grazie al suo parlare, quindi, i desideri dei due contadini furono esauditi
ed anche il pellegrino non incorse nella disgrazia di poter dire una bugia.
Similmente, benché tutti i fenomeni non abbiano un'oggettiva costituzione,
presentazioni come "Questo è giusto e questo è sbagliato", sono possibili
in un contesto di mere nominalità. Benché il Vittorioso Supermondano
(cioè il Buddha) vede che tutti i fenomeni non esistono in modo reale,
perfino lui insegna che bisogna adottare le virtù e rifiutare le non-virtù,
usando la terminologia del mondo, allo scopo di far accadere che tutti
gli esseri che trasmigrano possano averne i benefici."
Sebbene non vi siano in realtà fenomeni che esistono in accordo con il loro apparire ora a noi, i Buddha danno insegnamenti usando la nostra stessa terminologia e così, grazie ad essa, possono guidarci fuori dall'esistenza ciclica.
Potete vedere, come le persone penserebbero facilmente che questo esempio sta a significare che non vi è nessuna valida costituzione dei fenomeni. In effetti, è assai difficile spiegare certi passaggi all'interno di un contesto di valida costituzione. Per esempio, è stato detto che Chandrakirti estrasse il latte da una mucca dipinta per far superare agli altri l'idea che le cose esistano realmente (169). Non è difficile a dirsi, allora, che una mucca dipinta è validamente stabilita come una pittura? Oltretutto, non potrebbe accadere che quando voi realizzate che le cose non esistono realmente, esse diventino multifunzionali in maniera incrociata – cioè che un dipinto di una mucca possa essere in grado di funzionare come una mucca? Ancora, è detto che ogni minima particella ha un campo-di-Buddha in essa; e allora non è possibile per qualunque cosa essere in quel luogo? Come potete dire che questa cosa quadrata davanti a noi sia validamente stabilita come una tavola?
La risposta Ghelugpa è che le trasformazioni della materia, come il latte munto da Chandrakirti ad una mucca dipinta, sono dovute a poteri speciali degli yogi, laddove una tale presentazione di costituzione valida risulta stare all'interno delle convenzioni grossolane del mondo, che gli yogi non contraddicono – essi possono meramente operare ad un livello più sottile. In altre interpretazioni, comunque, è detto che queste convenzioni grossolane appaiono semplicemente tramite il potere dell'ignoranza. Personalmente, io penso che è possibile portare insieme queste due interpretazioni, in modo tale che voi possiate praticarle unitamente riconoscendo che l'enfasi Ghelugpa, a questo punto, è posta sulle percezioni ordinarie, mentre per la maggior parte degli altri ordini del Buddhismo Tibetano, vengono enfatizzate le percezioni straordinarie degli yogi. Inoltre, anche nel sistema di Tzong-Khapa, un Buddha non è limitato dai limiti del tempo-spazio, come invece accade ora a noi, nonostante che le nostre percezioni sono validamente stabilite all'interno del reame delle convenzioni grossolane.
"Questo modo (di presentare le nominalità) fu insegnato da Buddhapalita,
un grande maestro che ottenne i Siddhi (poteri yogici), nel suo Commentario
al diciottesimo capitolo del "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna.
Inoltre l'Onorevole Chandrakirti ed il Reverendo Shantideva, grazie a
numerosi ragionamenti ed esempi, spiegarono anche altri metodi in cui
l'agente, l'oggetto e l'azione sono adattabili all'interno di un contesto di
mere nominalità. Qui, io non elaborerò più di tanto quest'argomento."
Jang-kya dichiara ora che ciò che egli ha spiegato nella stanza precedente, è realmente il punto di vista della Scuola delle Conseguenze.
"Questa presentazione delle convenzionalità è il metodo non comune in cui
i tre Maestri (Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva) hanno commentato
il diretto pensiero dell'Eccellente Superiore (cioè Nagarjuna).
Questo metodo di spiegare l'opportunità delle convenzioni o designazioni nominali, non è comune in quanto altri maestri Indiani spiegarono la filosofia del Superiore Nagarjuna in maniera differente. In generale, un Superiore è una persona che ha raggiunto, tra i cinque sentieri (di accumulazione, preparazione, visione, meditazione e non più apprendimento) almeno il sentiero della Visione. Un Superiore, quindi, ha sperimentato una diretta "visione" o cognizione della Vacuità.
Il Migliore tra i Padri Onniscienti (Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali
(Ghyel-tsab e Ke-drub) furono sovente dell'avviso che soltanto questo è
il difficile punto finale della Visione della Scuola della Via di Mezzo.
Che le cose esistano validamente in modo convenzionale, eppure che non si possano trovare alla luce di un'analisi ultima e approfondita, è dura da riuscire a comprendere.
Riguardo a questo metodo (di presentare le convenzionalità),
il Sutra "Le Domande di Upali" dice (170):
"Quegli allettanti e meravigliosi fiori che sbocciano in svariati colori
E quelle brillanti ed affascinanti dimore intarsiate di oro prezioso,
Sono qui del tutto senza un fabbricatore (inerentemente esistente)
Perché sono stabilite soltanto tramite il potere della Concettualità;
il mondo stesso è imputato grazie al potere della nostra concettualità."
Ed il "Sutra del Re della Stabilizzazione Meditativa" afferma (171):
"Il Nirvana non può essere trovato/ Nel modo in cui il Nirvana è insegnato,
"in cui, a parole, si dice che è profondo / Le parole stesse non hanno fondamento…"
Il profondo stato del Nirvana può essere, fino ad un certo punto, descritto a parole; tuttavia, il Nirvana è ottenuto cercando di vedere molto intimamente se è possibile o meno trovare i fenomeni – proprio come lo stesso Nirvana o perfino le parole per descriverlo – e perciò scoprendo che non si può trovare. Questa realizzazione non può essere descritta tramite le parole nel modo esatto in cui essa è sperimentata.
Ed il "Sutra Perfezione della Saggezza" aggiunge: " Il metodo è questo:
Questo "Bodhisattva" è soltanto un nome. Ed è proprio questo il metodo.
Questa "Illuminazione" è soltanto un nome, e proprio questo è il metodo.
Questa "Perfezione di Saggezza" è solo un nome… e questo è il metodo!"
L'Abate Tantrico Kensur Ngawang Lekden disse che la frase " Questo è il metodo", che fa uso dell'approssimativo termine "questo", è una indicazione che il Buddha vede la verità in modo diretto – "Cioè nel modo in cui essa è".
E la "Preziosa Ghirlanda" del Superiore Nagarjuna, afferma:
Che il "solo nome", non esiste assolutamente per niente (172):
Poiché tutti i fenomeni composti di forme, sono "solo nomi",
Perfino lo stesso spazio, a questo punto, è solamente un nome.
Senza gli elementi, come potrebbero le forme esistere (inerentemente)?
Perciò perfino il "solo nome " non può (inerentemente) esistere.
Se è possibile determinare che le forme sono solo nominalità, allora lo stesso spazio è pure "solo nome", poiché lo spazio è l'assenza di ostruzionalità delle forme. Ma siccome noi sentiamo che le forme esistono inerentemente, Nagarjuna ci dice: "Senza gli elementi, come potrebbero le forme esistere?" Quindi, alla fine, questa linea di ragionamento si basa su un rifiuto della vera esistenza degli elementi – terra, acqua, fuoco ed aria.
Per avere forma, l'elemento terra – cioè la solidità – deve essere presente. Inoltre, per far sì che le minuscole particelle formino un'aggregazione, l'elemento acqua – la capacità della coesione – deve essere anch'esso presente. Perché ve ne sia uno, anche l'altro deve essere presente; la stessa cosa è per la temperatura (l'elemento fuoco) e la motilità (l'elemento aria). Se essi fossero assolutamente in un solo punto, non sarebbero quattro. In più, se uno ha bisogno della presenza degli altri, allora non vi sarebbe né il primo elemento e né il secondo elemento; non vi sarebbe modo di separare ciascun elemento dagli altri.
La conclusione di Nagarjuna è che la vera nominalità degli elementi non esiste oggettivamente e in modo che possano essere trovati dalla loro parte, e che il "solo nome " è appunto solo il nome. Una volta che non esistono fenomeni realmente esistenti, che però possiedono il nome, allora anche quei nomi non esistono veramente. Il nome si accompagna al fenomeno; una volta che non potete trovare quel fenomeno, come sarà possibile avere un nome inerentemente esistente per esso?
Questa è la chiave per poter comprendere la legge di causa ed effetto, l'insorgere dipendente, il modo come funzionano le cose. Al punto in cui siamo adesso, noi ci muoviamo tra il sostenere l'estremo di esistenza inerente e l'estremo di una totale non-esistenza. Non conosciamo per niente una via di mezzo. Per far ciò, non serve mettere insieme i modi in cui noi già conosciamo le cose – per esempio, mescolando un po’ di esistenza inerente con un po’ di nichilismo – ma occorre costruire qualcosa di totalmente nuovo.
Taluni che chiamano se stessi Proponenti della Scuola della Via di Mezzo, dicono che i fenomeni non esistono, poiché non possono essere trovati sotto analisi. Essi sentono che i fenomeni non compiono funzioni, che quando si conosce la vacuità, non vi è nulla. Questa, tuttavia, non è l'esatta visione della via di mezzo. Quando siete incapaci di trovare le cose dopo un'attenta ricerca, significa che esse non sono trovabili nel modo in cui voi siete abituati a pensare. E questo fatto non rende le cose assolutamente non-esistenti. Deve essere fatta una distinzione tra il non trovare qualcosa e trovare che essa sia non-esistente; l'esistenza inerente di una tavola è sia il non trovarla sotto analisi e sia il trovare che essa è non-esistente, ma benché una tavola non sia trovabile sotto tale analisi, anche la sua non-esistenza non è trovabile. Perciò, l'esistenza convenzionale di una tavola, o di qualunque altra cosa, è oltre la sfera di competenza dell'analisi ultima. L'analisi ultima o assoluta può solo determinare se un oggetto esista inerentemente o no.
Inoltre, quando scopriamo che le cose non sono trovabili, per noi è duro impegnarci in un qualsiasi tipo di partecipazione sensibile nel mondo di tutti i giorni. La partecipazione richiede attenzione e, una volta che noi prestiamo attenzione, dimentichiamo la nostra "comprensione" della vacuità. Per di più, quando noi siamo completamente incapaci di trovare la cosa che stiamo cercando, specialmente se essa è una cosa che desideriamo intensamente, si stabilisce un grande scoraggiamento; a quel punto non vogliamo più avere nulla a che fare con quell'oggetto e la mente si dirige verso qualcos'altro. Quando scopriamo che le persone non esistono inerentemente, non ci interessano più e diventiamo indifferenti verso di esse. Tuttavia, questo è solo dovuto al nostro posizionarci costantemente sugli estremi; perché in realtà, la vacuità deve essere intesa come la chiave alla compassione. La nostra costrizione agli estremi contamina perfino il nostro approccio alla vacuità.
E' difficile sostenere una mente che non può trovare i fenomeni, allorché voi avete abbandonato la meditazione. In quel dato momento, avete bisogno di una mente che sappia che i fenomeni sono "solo nomi". Per esempio, quando state andando in macchina, anche se state conversando con qualcuno, voi avrete sempre memoria di star guidando l'automobile; altrimenti, sareste assai spaventati nel guardar fuori dal finestrino e vedere il mondo che scorre velocemente. Proprio allo stesso modo, è importante mantenere una comprensione della vacuità proprio mentre ci si impegna nelle attività, sapendo bene sin dal principio che queste cose sono soltanto nominalmente imputate e che sono analiticamente introvabili. Conformemente alla forza della propria realizzazione, uno ha più o meno comprensione di questa verità, qualunque cosa stia facendo.
Ed il Consiglio della Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna (173) dice
anche che, eccetto ciò che è meramente stabilito dal potere delle
designazioni nominali, nessuna cosa assolutamente esiste:
"Oltreché come una convenzione,/ Quale mondo può esservi, infatti
Che dovrebbe essere "esistente" o "non esistente" (inerentemente)?"
In base ad una non comprensione di questi ragionamenti, gli Autonomisti della Via di Mezzo e gli inferiori (cioè, i Proponenti della Sola Mente, i Proponenti dei Sutra e i Proponenti della Grande Esposizione) sostengono che quando è imputata l'espressione, "Questa persona ha fatto queste cose", si può stabilire un "accumulatore di azioni" (174) e così via, solo se arriva ad esserci qualcosa di stabilito, come una persona dopo averla trovata – per esempio come una parte, una aggregazione di parti, oppure il "continuum" tra le basi di designazione (di tale persona). Se non si può trovare nulla (di tutto ciò), non può essere stabilito ("un accumulatore di azioni").
Per costoro, cioè gli Autonomisti e gli inferiori, deve esservi "qualcosa" tra le basi di imputazione di un fenomeno, che sia quel fenomeno. Quindi, in tutti i sistemi dogmatici buddhisti, tranne la Scuola Conseguenza, un fenomeno che è solamente imputato dalla concettualità è una cosa che non esiste separatamente dalle basi della sua designazione, cioè non è una entità indipendente.
Ciò è evidente in alcuni sistemi contemporanei di Meditazione buddhista. Essi dicono, "La persona non esiste, in quanto essa è solo coscienza", oppure, "La persona non è nulla, è solo l'aggregazione di mente e corpo".
"La persona non esiste" significa che essa non ha un'entità indipendente e separata; piuttosto, essa è uno degli aggregati ovvero la loro riunione – nella frase "E' solo questa aggregazione di mente e corpo". Secondo tali sistemi, se non vi è nulla tra le basi di designazione della persona, che sia una persona, allora non vi è persona. Invero, è assai difficile comprendere che qualcosa possa essere introvabile analiticamente, eppure esistere!
Nel sistema della Scuola Conseguenza, benché tutte le cose siano in qualche modo effettive, esse sono come le illusioni di un mago. Un mago mette una pomata su un sassolino e lancia un incantesimo, che colpisce la coscienza visiva degli spettatori, come pure la sua stessa, provocando che tutti vedono il sasso come una mucca. Voi vedete lì una mucca e pensate che sia reale, ben intenzionata, e provvista di gustoso latte. La mucca appare anche alla coscienza visiva del mago, ma egli sa la verità e non la concepisce come una mucca. Mentre voi e tutti gli spettatori, la concepite proprio come una mucca. Essa appare a lui esattamente come appare a voi, ma egli non ne è ingannato. Non vi è nulla che lo attira a pensare al ruminare della mucca oppure al suo latte gustoso; egli, senza alcun dubbio, sa bene che quella non è una mucca.
Allo stesso modo, tutti i fenomeni appaiono esistere inerentemente, ma non lo sono. Coloro che rimangono saldi all'interno della loro forza di realizzazione della vacuità, sono come il mago; avendo la cognizione della vacuità, ed in più mai dimenticandola, essi non concepiscono i fenomeni in nessun modo come se esistessero inerentemente. È come quando si inforcano verdi occhiali da sole; voi di solito vi ricordate, almeno a livello subliminale, che li state portando, sapendo così che i colori degli oggetti che state vedendo sono ingannevoli. Benché essi appaiono tutti di color verde, voi non ne siete sorpresi.
Similmente, sebbene un <sé> concretamente esistente non esista, esso appare in tale modo, ma è concepito come non-esistente da coloro che rimangono saldi nella forza della realizzazione di vacuità.
Le persone ordinarie sono come il pubblico del mago, che assumono l'esistenza inerente di ciò che appare. Un Buddha è come un viandante che passa, la cui coscienza visiva non è stata colpita dall'incantesimo del mago e che quindi vede solo un sasso. Niente potrà apparire ai Buddha come esistente inerentemente; dalla loro conoscenza di ciò che percepiscono, soltanto oggetti non esistenti inerentemente appariranno ad essi. Finché non si giunge allo Stato di Buddha, tutti i fenomeni sono come le illusioni del mago, che appaiono in un certo modo, ma che esistono in un altro modo; ciononostante, in essi vi è comunque una effettività validamente stabilita.
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7 – NON E' SUFFICIENTE RITRATTARE
Coloro che hanno compreso solo un po’ la mancanza del sé delle persone, occasionalmente potrebbero pensare: "Sembra che la persona non esista inerentemente." Tuttavia, essi potrebbero sentire ancor più che, siccome viene compiuta un'azione, deve perciò esservi un agente che esista inerentemente; "Posso fare questa cosa, non sono forse io che la faccio? Di conseguenza, io devo esistere dalla mia parte". E, benché essi abbiano cercato l'Io e siano stati incapaci di trovarlo, essi non possono fare a meno di pensare che, siccome le persone agiscono, le persone debbano esistere per loro proprio diritto. Per cui, nel suo Trattato sulla Via di Mezzo, Nagarjuna mostrò vari metodi per analizzare le azioni, come quella parte delle tre forme di analisi – azione, agente e oggetto – che è importante per la comprensione della vacuità.
Poiché le azioni sono una ragione primaria per "sentire" che vi è una persona veramente esistente, esse debbono essere analizzate. Per esempio, c'è un parlatore che parla? O parla un non-parlatore? Quest'ultimo caso è impossibile, ma anche il primo è abbastanza impossibile. Se voi state già eseguendo (l'atto) di parlare, per cui siete chiamati "un parlatore", allora a che pro serve un altro parlatore? E' stato detto che studiando il secondo e l'ottavo capitolo del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna e meditandoci sopra per un lungo periodo, si può comprendere che anche gli agenti dell'azione sono falsi, apparendo come esistere inerentemente, mentre non è così. Inoltre, poiché essi compiono azioni false, essi sono falsi esecutori e non possono essere trovati con l'analisi. Le vere e proprie azioni che furono simboli di esistenza inerente, diventano simboli di vacuità.
Per contro, al giorno d'oggi, noi pensiamo che poiché queste azioni appaiono alla nostra mente, esse siano inerentemente esistenti e che, perciò, la persona che le compie deve essere anch'essa inerentemente esistente. Per esempio, potreste pensare, "Io potrei ben non essere identico o diverso dai miei aggregati fisici e mentali, però <Io> sono nato, o no?" oppure, "Io ho una famiglia", "Io possiedo una casa", "Io ho un corpo, non è forse così?".
Talvolta, quando voi meditate in questo modo sulla mancanza di un <sé> della persona, non state veramente arrivando a comprendere la persona inerentemente esistente, ma un qualche cosa di più grossolano, la persona autosufficiente. In una conferenza pubblica tenuta in India, nel 1972, il Dalai Lama spiegò come esaminare la sottigliezza della propria comprensione della vacuità: se voi pensate di aver identificato la persona inerentemente esistente e di averla affrontata, allora poiché, come spiegato in precedenza, la vostra cognizione della sua vacuità dovrebbe essere applicata senza sforzo sugli altri fenomeni, spostate la vostra attenzione da voi stessi alla vostra testa o ai vostri denti e cercate di vedere se la vostra comprensione di vacuità si può applicare a questi. Se non ci riuscite, allora vuol dire che la vacuità che era stata compresa è ad un livello grossolano rispetto alla vacuità di esistenza inerente. Se siete in grado di applicarla immediatamente agli altri fenomeni, allora probabilmente voi avete colto il bersaglio. Similmente, se voi realmente avete compreso che la persona è priva di esistenza inerente, allora quando le azioni compiute da una persona, che è essa stessa vuota di esistenza inerente, appaiono alla vostra mente, voi dovreste immediatamente capire queste azioni come prive di esistenza inerente.
Spesso si devono analizzare un mucchio di faccende - produzione, proprietà, andamenti –verso cui la nostra mente si dirige. Talvolta voi dovreste fermarvi proprio sull'argomento che state analizzando, per poterlo meglio penetrare. Altre volte dovreste muovervi verso altri svariati fenomeni, fino ad arrivare al punto di convincimento che la stessa analisi si dovrà applicare ad essi. Alcune persone, tuttavia, tramite il solo analizzare la persona, lo fanno in maniera così approfondita che la loro comprensione diventa sufficiente ad essere applicata a qualsiasi altra cosa.
È importante ricordare che il Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna contiene ventisette capitoli di analisi – tutti incentrati sulla vacuità dei diversi tipi di fenomeni del mondo. Gli studiosi Ghelugpa si appoggiano fortemente sul relativo Commentario di Chandrakirti, Le Parole Chiare, ed una buona ragione può essere che egli, nelle obiezioni e risposte, illustra i tipi di espedienti e sotterfugi che la mente mette in atto. Chandrakirti cura le introduzioni a ciascun capitolo ed a ciascun sviluppo dell'argomento.
Un Bodhisattva utilizza molti metodi diversi per meditare sulla vacuità, al fine di abbandonare la falsa struttura dei ragionamenti che congelano le cose nell'esistenza inerente. La varietà degli approcci rende la forza dell'analisi ancora più potente.
Alla fine, è stato tramandato di sperimentare l'incapacità di trovare il fenomeno designato, sia tra le sue basi di designazione e sia separato da esse. Secondo l'interpretazione di Tzong-Khapa, questa pone i Conseguenzialisti al di sopra delle altre scuole dottrinali. Nei sistemi più bassi, se non si può trovare nulla che possa essere indicato come l'oggetto designato, allora quell'oggetto non si può dichiarare esistente.
È la stessa cosa anche per la Scuola dei Sutra, che stabilisce come spazio,
La negazione non-affermativa che esso non sia che una mera eliminazione
Di una qualunque tangibilità ostruttiva; ed è la medesima cosa anche nelle
Presentazioni dei sistemi superiori (con l'eccezione dei Conseguenzialisti).
Secondo le Scuole minori, una qualsiasi cosa nelle basi di designazione di un particolare fenomeno - <è> quel fenomeno, perfino nel caso di un fenomeno negativo e non-composto, come lo spazio.
In questo sistema (della Scuola Conseguenza), è ammissibile, senza dover
in tal modo ricercare e trovare l'oggetto designato, stabilire ogni agente
nonché le azioni, come nel caso di una persona (che sia) un accumulatore
di effetti (legge del Karma). Questa è una meravigliosa raffigurazione
distintiva (della Scuola della Conseguenza). Gli Autonomisti sostengono
che (nella frase) "Un modo di sussistenza, non stabilito tramite la forza di
una consapevolezza, deve essere preso come l'oggetto da negare (dal punto
di vista dell'assenza del sé)", la parola "consapevolezza" si riferisce ad una
coscienza non erronea e non ingannevole. Tuttavia, nell'asserzione fatta
dai Conseguenzialisti, circa i fenomeni e del loro essere stabiliti tramite la
forza della concettualizzazione, la concettualità è dichiarata essere una
forma di coscienza errata. Ragion per cui, essi non sono d'accordo.
Una coscienza non-ingannevole, oltre ad essere priva dell'errore circa la concezione di vera esistenza, è anche senza alcun errore che provenga da una difettosa facoltà sensoriale, come una vista affetta da itterizia che provoca il fatto che tutto ciò che si vede è di color giallo, oppure come quando si viaggia in automobile o su una barca, che fa sembrare che gli oggetti immobili siano essi in movimento, ecc. Secondo gli Autonomisti, una coscienza non-ingannevole è anche non erronea riguardo all'esistenza inerente dei suoi oggetti; per loro, essa percepisce come inerentemente esistente ciò che è davvero inerentemente esistente. Tuttavia, essa potrebbe essere erronea in altri casi; per esempio, ogni scuola accetta che le cognizioni inferenziali sono erronee in quanto, per dirla in breve, l'immagine mentale dell'oggetto appare come essere quell'oggetto. Come abbiamo già menzionato due capitoli fa, una tale coscienza non ingannevole può essere ciascuna delle cinque coscienze sensoriali o mentali.
Quando i Conseguenzialisti sostengono che le cose sono meramente stabilite dalla concettualità, essi stanno riferendosi alla designazione dei fenomeni da parte di una coscienza che è in errore circa il modo di esistenza degli oggetti – dato che ciò che non esiste inerentemente appare esistere dalla sua parte – ma è comunque corretta per ciò che riguarda in generale il modo in cui l'oggetto è concepito. In tal modo, i due termini, "consapevolezza (o coscienza)" per gli Autonomisti e "concettualità (o coscienza concettuale)" per i Conseguenzialisti, non si riferiscono per niente allo stesso tipo di coscienza.
Quindi, i Conseguenzialisti stabiliscono perfino il mero <Io> o la mera
persona, come oggetto di osservazione di un'innata (e falsa) visione
della aggregazione transitoria (175) (che sia alla stregua di un <sé>
esistente inerentemente); essi, perciò, non considerano gli aggregati
(mentali e fisici), ecc., come i loro oggetti (di osservazione).
L'innata falsa visione della aggregazione transitoria è la principale forma d'ignoranza e, di conseguenza, la causa maggiore del trascinarsi nell'esistenza ciclica. Il termine "aggregazione transitoria" si riferisce ai cinque aggregati che sono impermanenti e riuniti in una aggregazione; quindi, l'oggetto della falsa visione dell'aggregazione temporanea e transitoria, se vogliamo proprio pensarla in modo superficiale, sembrerebbero essere gli aggregati mentali e fisici, poiché noi stiamo parlando dal punto di vista dell'aggregazione transitoria. Infatti, non è un caso che noi abbiamo appreso prima gli aggregati fisici e mentali, concependoli come inerentemente esistenti, e poi concependo una persona esistente inerentemente; per di più, nella Scuola Conseguenza, l'oggetto di osservazione di una falsa visione dell'aggregazione transitoria – vale a dire, di una coscienza che concepisce erroneamente un <Io> esistente inerentemente – è lo stesso mero Io, e non gli aggregati mentali e fisici. Il termine "mero" esclude proprio l'esistenza inerente. Il continuum di questo mero Io, o mera persona, è da sempre esistito, fin da tempi senza inizio. Esso è l'Io convenzionale e convenzionalmente esistente, e non una mente collettiva o universale. Il continuum di ogni essere-mente è esistito da sempre, fin da tempi senza inizio, ma una mente umana non lo è (sempre esistita), poiché quella persona ha avuto forme mentali diverse (animale, spirito, divinità, e così via) nelle vite precedenti.
L'oggetto di osservazione dell'innata erronea visione dell'aggregazione transitoria – vale a dire, l'Io esistente convenzionalmente – esiste; ciononostante, il suo oggetto concepito, vale a dire, un Io esistente inerentemente, non esiste. Di conseguenza, c'è una coscienza erronea riguardo al suo oggetto concepito, che sostiene di essere esistente, mentre invece non lo è.
Sebbene il mero Io sia l'oggetto di osservazione dell'innata falsa visione dell'aggregazione transitoria, se gli aggregati fisici e mentali non compaiono, allora non lo farà nemmeno il mero Io, perché prima ancora del suo essere concepito come inerentemente esistente, appaiono gli aggregati e sono essi a venir concepiti come inerentemente esistenti. È da questo punto di vista, che essa viene chiamata una falsa visione dell'aggregazione transitoria.
La concezione degli aggregati come esistenti inerentemente, serve come causa necessaria perché l'Io venga concepito come inerentemente esistente. Nondimeno, inizialmente quando uno medita, non si concentra sulla concezione di un sé dei fenomeni, che è la causa, ma sulla concezione di un sé delle persone, che è l'effetto, dato che è più facile da raggiungere. Dopodiché, poiché il sé dei fenomeni è simile, lo stesso ragionamento potrà essere applicato ad esso.
L'oggetto di osservazione di un'innata (falsa) visione dell'aggregazione
transitoria che concepisce in maniera sbagliata <il Mio> è lo stesso "mio".
<Il Mio>, in generale, può essere incluso sia nel vostro continuum, come la vostra mano, oppure no, come nel caso della vostra camicia, ma qui ci si riferisce ai fenomeni inclusi nel continuum. Alcuni dicono che <mio> si riferisce ai fenomeni inclusi nel continuum personale, che sono considerati essere di "mia" proprietà, però Jam-yang-shepa prende il termine più come ciò che io dovrei tradurre come "di me", che quindi è una persona. Nella prima interpretazione, affinché sia incluso nella categoria del <mio>, un fenomeno, come ad esempio una mano, deve essere distinto come "mio". È distinto come appartenente ad un <Io> che esiste inerentemente e, questa errata concezione dell'Io come inerentemente esistente, che è necessariamente coinvolto nel concepire erroneamente anche <la mia> mano, è la falsa visione dell'aggregazione transitoria esistente inerentemente come <mia>. Perciò, un oggetto deve essere distinto come <mio>, per far sì che l'Io concepisca se stesso come inerentemente esistente, da qualificare come una falsa visione del concepimento transitorio del <mio> inerentemente esistente.
Jam-yang-shepa (176) afferma che "mio" (come già affermato prima, secondo la sua interpretazione, <mio> sarebbe meglio tradurlo con "di me") è una persona. Per lui, il "me" è l'unico che porta le cose dentro il "mio". Solitamente, quando noi diciamo "mio", pensiamo ad un oggetto posseduto, ma potete anche guardare al "mio" più nella forma "di me" e quindi ad una persona, cioè il possessore. Perfino se l'Io e Mio sono entrambi persone, ciò non significa che vi siano due persone; essi stanno a significare la stessa entità.
Perché Jam-yang-shepa fa una spiegazione di questo tipo? Se "mio" indicasse gli oggetti verso il cui possesso è inteso, allora questo tipo di innata concezione errata dell'aggregazione transitoria sarebbe una concezione di un <sé> dei fenomeni e non delle persone, come invece dovrebbe essere. Tuttavia, come già chiarito in precedenza, altri dicono che l'innata falsa visione dell'aggregazione transitoria che concepisce il "mio", è una speciale concezione di un sé delle persone. Dato che l'Io deve essere erroneamente concepito esistere inerentemente prima di concepire erroneamente il <mio> nella stessa situazione, quest'ultimo può indirettamente essere considerato una propaggine del primo. Sia che voi distinguiate o meno l'oggetto come "mio", una mente che concepisce il vostro corpo, per esempio, come realmente esistente non è una falsa visione dell'aggregazione transitoria, ma una concezione di un <sé> dei fenomeni, diversamente da quello della persona.
Mi sembra alquanto possibile poter usare entrambe queste interpretazioni. Jam-yang-shepa sta indicando che nella persona, vi è una sensazione di essere un possessore,– il me – e una ulteriore sensazione, che è l'Io: questi infatti sono diversi; l'Io è più isolato, il "mio (di me)" più attivo. L'altra interpretazione tende più ad enfatizzare un <Io> compreso in maniera sbagliata, che è coinvolto nel considerare un qualcosa come essere appartenente a quel dato <Io>. In entrambe queste interpretazioni, l'innata falsa visione dell'aggregazione transitoria è di due tipi, erronee concezioni dell'Io e Mio come esistenti inerentemente, e considerazione di entrambi come essere concezioni erronee di un <sé> delle persone.
Una coscienza, che concepisce il continuum delle altre persone,
come se fossero stabilite dalla loro parte a causa delle loro proprie
caratteristiche, non è una innata ( e falsa) visione dell'aggregazione
transitoria, ma una innata concezione di un <sé> delle persone.
Quando voi concepite voi stessi come se foste inerentemente esistenti, questa è sia una concezione di un <sé> delle persone e sia una falsa visione dell'aggregazione transitoria, che concepisce l'Io come se fosse inerentemente esistente. Quando concepite qualcun altro come se fosse inerentemente esistente, questa è una concezione di un <sé> delle persone, ma non un'innata falsa visione dell'aggregazione transitoria, che concepisce l'Io come se fosse inerentemente esistente.
Gli oggetti dell'innata concezione di un <sé> dei fenomeni, sono
gli aggregati della forma, e così via, sia che questi siano o meno
inclusi nel (vostro) continuum mentale. Sebbene in questo modo
gli oggetti di osservazione di una coscienza che concepisce il SE'
delle persone ed una coscienza che concepisce il SE' dei fenomeni
siano differenti, i loro aspetti soggettivi sono identici, dato che
(entrambe) concepiscono che l'oggetto è stabilito a causa delle
sue proprie caratteristiche. E, quindi, non vi è errore nella sua
(assurda) conseguenza sul fatto che vi siano due modi discordanti
di concezione, i quali sono le radici dell'esistenza ciclica.
Il modo in cui questi due tipi di concezione sbagliano nel concepire i loro oggetti è esattamente lo stesso – cioè stabilire l'esistenza inerente, perciò, non vi sono due radici dell'esistenza ciclica, bensì una soltanto, la concezione di esistenza inerente.
Il modo in cui un'innata coscienza, che concepisce la vera esistenza,
concepisce una persona inerentemente esistente, nel contesto degli
aggregati di forma, e così via, è di non concepire così, avendo essa
analizzato se la persona (e gli aggregati fisici e mentali) siano identici
o siano diversi. Piuttosto, essa concepisce così tramite la forza della
ordinaria familiarizzazione, senza nessuna evidente ragione che sia.
Questa innata coscienza non ha alcun modo in cui poter concepire
l'uguaglianza, la differenza, e così via (nei confronti della persona
e degli aggregati fisici e mentali).
Una coscienza che in modo innato concepisce che una persona esiste in maniera inerente, non analizza se la persona e gli aggregati fisici e mentali, che sono le sue basi di designazione, siano una cosa sola o siano differenti. Essa concepisce la persona come se fosse inerentemente esistente, nel naturale condizionamento del dover fare così.
Se, passeggiando lungo una scogliera, voi avete paura di poter cadere giù, la comparsa dell'Io è sempre unita insieme alla comparsa della mente e del corpo. Pur essendovi un Io solido e tangibilmente esistente, la mente che lo concepisce non lo differenzia da sé (cioè dalla mente stessa) e dal corpo e non lo considera neppure come se fosse la stessa cosa della mente e del corpo. Quando vi si conficca una spina nella vostra mano, voi gridate e dite di sentir dolore. Il Quinto Dalai Lama dice che le apparenze di mente, corpo e di un Io inerentemente esistente, sono mescolate insieme, proprio come il latte con l'acqua (177).
Questo, non per dire, che non si può differenziare l'Io dagli aggregati – soltanto che questa coscienza non li differenzia. Perciò, noi non dobbiamo cercare un <sé> che sia in modo innato concepito essere un'entità diversa dagli aggregati, poiché una coscienza innata che concepisce erroneamente la natura della persona non rientra in una tale analisi, che le basi di designazione e l'oggetto designato siano una cosa sola o siano diversi. Non vi è una mente che in maniera innata concepisca una persona come entità diversa dagli aggregati fisici e mentali.
Ciò potrebbe sembrare una contraddizione. È detto che la mente innata non concepisce come un'unica cosa, la persona e gli aggregati e non li concepisce come diversi. È anche detto che la comparsa degli aggregati e della persona sono mischiate come latte ed acqua. Per di più, è detto che la persona è come se abbia una sua propria entità. Tutto ciò dimostra un unico modo di apparizione e concezione; nel contesto delle apparizioni di mente, corpo ed <Io>, essendo mescolate come latte all'acqua, l'Io appare esistere in e per 'se stesso', capace di mettere se stesso in posizione preminente, autoistituita. Anche se esso e gli aggregati appaiono essere fusi insieme, è essenziale individuare quella parte che appare essere un <Io> inerentemente esistente. Inoltre, sembra talvolta che sia pressoché impossibile separare l'Io dalle cose che sono le sue basi di designazione. Come ripetutamente afferma Kensur Ngawang Lekden (178), ognuno di noi è un fenomeno designato che è fuso insieme con le sue basi di designazione, proprio come l'acqua mescolata nel latte, tanto se siamo coinvolti con l'Io, con gli aggregati, con un libro, col letto, o con qualsiasi altro fenomeno, all'infuori del Buddha, che non lo è.
"Quindi, il Più Onnisciente di Tutti (Tzong-Khapa) parlò spesso
anche della innata concezione non-analitica della vera esistenza".
Una coscienza che concepisce la vera esistenza è "non-analitica" perché non si addentra nell'analisi, (per vedere) se l'oggetto designato e le basi di designazione siano un'unica cosa o siano differenti.
In precedenza, abbiamo parlato riguardo alla concezione sottile di un <sé> delle persone, vale a dire persone inerentemente esistenti, e riguardo alla concezione grossolana di un <sé> delle persone – di una persona autosufficiente come entità sostanzialmente esistente. Vi è una terza forma di concezione di un <sé> delle persone, considerata dai Conseguenzialisti ancora più grossolana delle altre due – quella cioè di una persona permanente, tutta unita e indipendente. Tzong-Khapa descrive questo modo di concezione come meramente artificiale, semplicemente dovuta all'accettazione di falsi dogmi, non essendovi nessuna forma innata di essa. Il grande studioso Sakya Dag-tsang Sherab Rinchen (179), tuttavia afferma che assurdamente, allora ne conseguirebbe che non vi è la concezione che la persona di ieri e quella di oggi siano la stessa persona, perché secondo Tzong-Khapa, non vi sarebbe concezione innata di una persona permanente. Per di più, dice Dag-tsang, ne conseguirebbe assurdamente che le persone non avrebbero nessuna innata concezione di se stessi come la stessa persona, quando camminano verso est o quando camminano verso ovest. Da ciò ne conseguirebbe anche che non vi sarebbe nessuna innata concezione degli aggregati fisici e mentali come oggetti d'utilizzo di un Io indipendente.
È chiaro che invece noi abbiamo queste concezioni innate. Noi sentiamo automaticamente che questo è il libro che abbiamo letto ieri, che noi siamo la stessa persona che ieri è andata al supermercato, e così via. Possiamo facilmente confermare ciò; quindi, dobbiamo accettare che queste siano forme innate.
Tzong-Khapa, tuttavia, deve essersi riferito alla concezione di una persona permanente, unitaria e indipendente, così come la presentano i sistemi filosofici non-buddhisti. Noi non abbiamo una innata falsa concezione della natura del "sé", come le tre sopradescritte – permanente nel senso che non muta, unitario nel senso di essere senza parti, e indipendente nel senso di non dipendere dagli aggregati fisici e mentali.
Dag-tsang sembra voler dire che quando si rifiuta una mostruosità filosofica, cioè una concezione artificiale, si giunge sempre ad una concezione innata. Egli spiega che noi abbiamo in modo innato una concezione di uniformità ed una concezione di diversità della persona e degli aggregati, dicendo a Tzong-Khapa che sarebbe una perdita di tempo voler rifiutare gli altri sistemi se non vi fossero forme innate di queste erronee concezioni. La risposta che ci viene dalla tradizione di Tzong-Khapa è che il rifiuto della concezione artificiale è un ramo del rifiuto della concezione innata; altrimenti sarebbe davvero senza senso - il fatto che noi non concepiamo l'Io in modo naturale, che sia la stessa cosa o che sia diverso dagli aggregati che sono le sue basi di designazione. Nondimeno, se esistesse davvero un simile solido <Io> inerentemente esistente, dovrebbe essere la stessa cosa degli aggregati oppure differente da essi. Quindi, se voi rifiutate i sistemi che propongono l'identità e la differenza, voi state anche rifiutando l'innata concezione di esistenza inerente, fino a quando voi non identificherete l'oggetto sottile della negazione, realizzando che esso è lo scopo del ragionamento.
Sembra che tanto Tzong-Khapa che Dag-tsang abbiano quasi detto la medesima cosa – cioè che il rifiuto della maniera artificiale di concepire il <sé> si estenda alla forma innata. Il loro disaccordo è sul "come e perché". Dag-tsang sostiene che il rifiuto della forma artificiale si applica a quella innata perché la stessa forma innata concepisce l'Io e gli aggregati a volte come la stessa cosa ed altre volte come differenti. Tzong-Khapa ha detto che la forma innata concepisce l'Io e gli aggregati né come se fossero la stessa cosa e né come diversi. Questo è il punto irto di difficoltà. Tzong-khapa vuole forse intendere che l'innata concezione sottile non farebbe concepire qualcuno come la stessa persona vista ieri? Sicuramente voi considerereste che questa persona debba essere la stessa persona che voi avete visto ieri, ma una simile concezione significherebbe che voi dovete concepire che quella persona sia la stessa della persona che avete visto ieri? Può starci che la persona di oggi e la persona di ieri siano concepite nel loro essere indifferenziate, ma non che siano esattamente la stessa (cioè, la differenza temporale fa sì che una persona vista ieri, non può essere però concepita identicamente alla persona vista oggi. Pur essendo la stessa persona, la concezione si basa su due avvenimenti diversi, quindi la persona vista oggi NON è esattamente la stessa che è stata vista ieri. N. d. T.).
Il sistema di Tzong-Khapa descrive una sensazione, di una persona concreta che non è esplicitamente concepita come l'identica stessa persona di ieri. Se fosse l'identica stessa, se ve ne fosse una soltanto, ovviamente erroneamente concepita, - forse noi l'avremmo di già sottoposta ad analisi. Inoltre, Tzong-Khapa qui sta ipotizzando, se noi percepiamo qualcosa e le sue basi di designazione in modo innato, come se fossero o la stessa cosa o diverse, e non riguardo al fatto se noi concepiamo in modo innato qualcuno visto oggi come se fosse la stessa persona vista ieri.
Invece, quando Dag-tsang dice che l'Io e gli aggregati sono concepiti come se fossero un'unica cosa, egli intende forse che questa coscienza sta pensando "un'unica cosa"? Ne dubito. Altrimenti ciò farebbe credere che Dag-tsang e Tzong-Khapa stiano dicendo la stessa cosa. Perciò, quando Tzong-Khapa descrive l'innata concezione di una esistenza inerente come "non-analitica", egli vuole significare che questa coscienza non ragiona concludendo, o specificatamente pensando, ad un 'unica cosa o ad "una cosa diversa".
Noi stiamo vivendo all'interno di una mente innata e non-analitica che concepisce, per la maggior parte del tempo, l'esistenza in modo inerente; essa deve essere individuata e osservata. Per poterci sbarazzare di essa, è necessario trovarla.
Sebbene perfino una coscienza che concepisca l'esistenza come reale,
È stabilita come un oggetto da doversi rifiutare tramite il ragionamento,
il principale (oggetto da rifiutare per mezzo di questo ragionamento)
è lo stesso oggetto concepito (vale a dire l'esistenza inerente).
Vi sono due oggetti che devono essere rifiutati tramite il ragionamento, uno che è esistente e l'altro che non lo è. L'oggetto di rifiuto che è esistente è la coscienza che concepisce l'esistenza inerente, mentre quello non-esistente è l'oggetto concepito da tale coscienza – cioè l'esistenza inerente.
Una coscienza che concepisce l'esistenza inerente è la radice dell'esistenza ciclica; quindi, essa deve essere fermata. Per poterla bloccare, noi dobbiamo prima rifiutare il suo oggetto concepito. Una volta che non crederemo più in quell'oggetto, cioè l'esistenza inerente, la coscienza stessa che concepisce l'esistenza inerente scomparirà.
È pertanto possibile far ritrattare la vostra mente dall'aspetto più grossolano di una simile concezione, e ciò deve essere fatto nella meditazione. La produzione di una coscienza errata che concepisce il sé, almeno nelle sue forme più grossolane, potrà temporaneamente cessare; tuttavia, questo non è il massimo aiuto risolutivo. Per sradicare la coscienza che concepisce l'esistenza inerente, voi dovete coltivare nella meditazione il suo antidoto. Il solo antidoto è una coscienza che comprende l'oggetto in un modo esattamente opposto a come vi appare, cioè in un modo esattamente opposto alla concezione di esistenza inerente. Quando ciò si sarà sviluppato, la coscienza che concepisce l'esistenza inerente diminuirà gradatamente. Diversamente, è come quando siete arrabbiati e poi vi dimenticate di questo fatto. In un certo senso, vi siete tolti il pensiero della vostra rabbia del momento, dato che essa non vi importuna più, però non vi siete liberati per niente della rabbia in quanto tale, né in generale e nemmeno riguardo a quel dato oggetto.
Questo avviene durante la meditazione: noi troviamo un modo per smorzare i problemi, in modo tale che ne veniamo a conoscenza e non appena ne scorgiamo uno, possiamo scappare da esso in una presunta spiritualità. Tuttavia, ciò non ci aiuterà a superare la concezione di esistenza inerente. Per di più, è necessario scoprire il modo in cui si genera una coscienza che crede nell'esistenza inerente e tenerla ferma lì così che si possa rifiutarla;
poi, dovete lavorare su un antidoto che distrugga quel tipo di coscienza. Se voi non create una visione, che sia un antidoto, e semplicemente ignorate l'oggetto da negare, ciò è come "correggere" il vostro bambino capriccioso, togliendovelo dalla vista. Usare un antidoto è come lavorarci su e correggere il bambino, proprio quando esso sta facendo i capricci.
L'oggetto di meditazione, che agevola la distruzione della coscienza che concepisce l'esistenza inerente, non è nient'altro che semplicemente una negazione dell'esistenza inerente, un'assenza dell'esistenza inerente – cioè la vacuità. Voi dovete sapere che la vacuità si applica ad una persona inerentemente esistente, che è il non-esistente oggetto di negazione. Questo fatto deve invadere la vostra mente abituale, che è completamente convinta che una persona così stabilita, esiste realmente. Se voi non vi sentite alquanto distrutti, allora tutto ciò è solo un'astrazione. Voi dovete perseverare nella raffigurazione di come renderlo personale, facendovi rilevanti esempi, e così via.
Per distinguere i punti salienti di queste presentazioni, è necessario
correlarsi sulle numerose raccolte causali – istruendosi nei dettagli
dei maggiori testi, come pure collegandosi per lungo tempo, con un
saggio istruttore spirituale che abbia completamente penetrato le
istruzioni del Padre Superiore (Tzong-Khapa), dei suoi spirituali figli
(Ghyeltsab e Kedrup) e così via…
Prima che voi possiate meditare efficacemente sulla vacuità, sono necessarie numerose pratiche sussidiarie. Attraverso il servizio e grazie all'istruzione presso un insegnante spirituale, voi acquisirete una grande accumulazione di meriti. Ciò include pratiche come prostrazioni e la donazione di offerte, anche se la pratica principale è quella di ricevere ciò che la guida spirituale insegna. L'intenzione di diventare illuminati a scopo altruistico – che è il desiderio di ottenere la Buddhità per la salvezza degli altri esseri – è la più importante in quanto è un veloce mezzo per aprire la mente, in maniera che possa facilmente comprendere la vacuità.
Questi argomenti non sono dominio di quei professori vanitosi
influenzati da assurde meditazioni o di quei professori sempre
interessati a pubbliche conferenze, che sprecano in tal modo
la loro vita umana, meditando con critiche rivolte all'esterno,
come se quello, per loro, fosse veramente lo stato supremo.
Jang-kya sta qui rimproverando sia coloro che sono dediti a meditazioni semplicistiche, come se queste fossero le cose più fantastiche del mondo e sia coloro che sono tutti tronfi e pieni di boria, intenti solamente a criticare gli altri praticanti, i quali invero sono impegnati in una seria autodisciplina, fino al punto di credere che, per loro, i dibattiti e le critiche verso gli altri siano l'equivalente della coltivazione meditativa dello Stato di Buddha. Il termine Tibetano (mKhan-po) che indica la parola "Professore", di solito è usato per un esimio insegnante o un abate e, usando sarcasticamente questo termine per quei due tipi di pseudopraticanti, Jang-kya vuole indicare la perversione negativa che essi arrecano all'insegnamento buddhista. Il monito di questo messaggio è che i praticanti devono conoscere i lineamenti generali del sentiero completo ed assicurarsi di esprimere e mettere in pratica ciò che è adeguato per il loro livello.
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8 - RIFIUTO RAGIONATO
STABILIRE L'ASSENZA DEL SE', CIOE' RINNEGARE L'OGGETTO DI NEGAZIONE
Questa sezione contiene due parti: la prima è un'identificazione delle principali ragioni per rifiutare l'oggetto di negazione e, la seconda, riguarda in che modo questi ragionamenti rifiutano l'oggetto di negazione, cioè i due aspetti del <SE'>.
Identificazione dei ragionamenti principali per rifiutare l'oggetto di negazione
Anche questa sezione ha, a sua volta, due parti: lo scopo di rifiutare l'oggetto di negazione tramite il ragionamento e una identificazione del ragionamento principale.
Nella filosofia buddhista, le asserzioni vengono sostenute da ragionamenti e citazioni delle Scritture. Secondo gli insegnamenti del Buddha e dei grandi Maestri, il <sé> - cioè l'esistenza inerente – deve essere rifiutato tramite il ragionamento, perché il semplice credervi ed il mero affidamento hanno scarso potere per sradicare la radice dell'esistenza ciclica. Spesso gli estranei vedono i ragionamenti che stabiliscono la vacuità come meri argomenti completamente astratti, poco più che stabilire che una tavola non è un elefante. Essi non comprendono né i metodi per conoscere la vacuità e né i benefici (che ne deriverebbero).
Scopo del Rifiuto dell'Oggetto di Negazione
Essendo di ciò preoccupato, l'Onorevole Superiore Nagarjuna preparò un
Commentario sul pensiero dei Sutra definitivi e, altri due che chiarirono
Quest'argomento, a loro volta facendo commentari in esatta concordanza
Col suo significato, furono Buddhapalita e Chandrakirti. Inoltre, anche il
Grande maestro Shantideva ne espose in accordo con quest'ultimi due.
I Sutra dal significato definitivo (180) sono quelli in cui il Buddha insegnò principalmente ed esplicitamente la vacuità. I Sutra il cui significato richiede una qualche interpretazione (181), sono quelli in cui il Buddha non insegnò esplicitamente e principalmente la vacuità. Questa diversa spiegazione di "definitivo" e "richiedente interpretazione" deve essere fatta dal punto di vista dei metodi di espressione, cioè i Sutra stessi. Dal punto di vista del contenuto, la vacuità è definitiva e tutti gli altri fenomeni sono oggetti che richiedono interpretazione. Per esempio, la tavola non è il vero modo di esistenza della tavola; il suo modo di essere deve essere interpretato come qualcos'altro, che è la vacuità. Tuttavia, a noi la tavola appare essere nel suo modo definitivo di non essere che una tavola.
In accordo con le asserzioni di quei tre grandi Condottieri del Veicolo,
È il pensiero dei Sutra della categoria della Perfezione della Saggezza
Che, senza nemmeno considerare l'onniscienza, affermano che bisogna
Necessariamente realizzare la vera realtà delle persone e dei fenomeni
(Vale a dire, la Talità), allo scopo di ottenere (182) la pura e semplice
Liberazione dall'esistenza ciclica (cioè dal samsara). Perciò, i brani
Nei Sutra Perfezione della Saggezza affermano che 1) coloro che fanno
Discriminazioni circa la vera esistenza (183) non sono liberati, 2) che
Tutti i perfetti Buddha del passato, presente e futuro, come pure tutti
Coloro che sono Entrati nella Corrente, giù fino ai Realizzatori Solitari,
otterranno (ai loro rispettivi livelli) in dipendenza dalla loro perfezione
di saggezza, e 3) che 'anche coloro che vogliono addestrarsi nei livelli
degli Uditori, dovrebbero addestrarsi in questa perfezione di saggezza',
ecc. Questo è altresì il pensiero del Superiore Nagarjuna, per cui il suo
"Sessanta Stanze di Ragionamenti" (184) insegna che non può esservi
Liberazione per coloro che sono caduti nei due estremi (vale a dire,
l'esistenza inerente, da una parte, e l'assoluta non-esistenza, dall'altra).
- " Tramite la visione di esistenza inerente, non ci si può liberare;
ma anche tramite la visione di nessuna esistenza di tipo nominale,
non può esservi che l'esistenza ciclica (vale a dire : IL SAMSARA)"
L'estremo dell'esistenza è l'esistenza inerente dei fenomeni. L'estremo della non-esistenza equivale a negare qualunque esistenza convenzionale. Una volta che gli estremi sono stati identificati in questo modo, allora si può vedere che Nagarjuna ha dichiarato che non ci si può liberare dall'esistenza ciclica tramite la semplice meditazione sull'assenza grossolana del sé. Poiché la concezione dell'esistenza inerente dei fenomeni, è la causa della concezione dell'esistenza inerente anche delle persone, come potrebbe il meditare semplicemente sul non-sé delle persone, essere sufficiente a liberarvi dall'esistenza ciclica? Poiché potreste continuare a vedere i fenomeni come inerentemente esistenti, voi continuereste ancora a generare la concezione di esistenza inerente riguardo alla persona, che è designata in dipendenza da questi fenomeni.
"E, dunque, Nagarjuna (nelle Sessanta Stanze del Ragionamento)
afferma che le persone Superiori sono liberate dall'esistenza ciclica
tramite la non-erronea conoscenza della "talità" (cioè vera realtà)
delle cose e anche delle non-cose, esprimendolo in questo modo:
- Attraverso la completa conoscenza delle cose e delle non-cose,
un grande Essere, finalmente, così è liberato dal samsara –
Le cose e le non-cose, in questo caso, sono i fenomeni impermanenti e quelli permanenti. Quindi, Nagarjuna sta qui dicendo che le persone Superiori sono liberati tramite la conoscenza della vacuità di tutti i fenomeni, e non solo delle persone.
Ed inoltre, la Preziosa Ghirlanda, Consiglio per un Re, di Nagarjuna
Stabilisce che i metodi per raggiungere gli stati più elevati (185) (cioè,
La rinascita come umano o come un dio) si ottengono grazie alla fede
ed alla convinzione, e che per mezzo di una tale fede come precursore,
uno diventa un contenitore di saggezza, la quale poi è lo strumento per
raggiungere definitivamente la bontà (186) (di libertà e di onniscienza).
Egli aggiunge poi che la saggezza deriva dal conoscere che questi due:
– l'Io e il Mio -, non esistono in modo ultimo e assoluto. Perciò, in base
a questo ragionamento, egli afferma che quando uno sa che gli aggregati
(mentali e fisici) non esistono in maniera reale, la concezione di un Io
realmente e veramente esistente, alla fine è estinta.
Per far in modo che chiunque creda e concepisca un Io inerentemente esistente, gli aggregati mentali e fisici della persona debbono prima apparire alla mente ed essere concepiti come se esistessero inerentemente. Quindi, una volta che la concezione dell'esistenza inerente degli aggregati mentali e fisici è distrutta, la coscienza che concepisce l'Io come inerentemente esistente, non può più sorgere.
Inoltre, egli afferma che finché gli aggregati sono concepiti come se
fossero inerentemente esistenti e questa concezione non è estinta,
l'esistenza ciclica non è superata; ed ancora, che quando questa
concezione è finalmente estinta, l'esistenza ciclica è scavalcata.
Perciò, secondo Nagarjuna, coloro che propongono che le cose, oltre che le persone, sono (realtà) assolute, non possono uscir fuori dall'esistenza ciclica, anche se essi certamente si trovino in uno stato migliore del nostro.
Inoltre, egli afferma che tramite la visione di un'assoluta non-esistenza,
Una persona vaga in circolo in cattive trasmigrazioni, e che tramite la
Visione di un'esistenza inerente, uno vaga in circolo in trasmigrazioni
Felici; ma che, quindi, per essere liberi da entrambi questi due tipi di
Trasmigrazioni, uno deve comprendere la realtà che non è basata sui
due estremi di esistenza (inerente) e nessuna esistenza (nominale).
----- La Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna, dichiara: (187)
"Fintanto che un'errata comprensione degli aggregati, resiste,
per tanto così, quindi, esisterà una concezione errata dell'Io.
Inoltre, per tutto il tempo che esisterà l'errata concezione dell'Io,
Vi sarà l'azione (Karma), e da questa vi sarà nascita ( e morte).
Se voi cercate in maniera analitica di trovare la persona, troverete la vacuità della persona. Ma se la mente analitica cerca di trovare la vacuità della persona, non riuscirà a trovare nient'altro che la vacuità della vacuità della persona. Ciò che trova dipende da ciò che sta cercando. Sulla base di questo, numerosi yogi eruditi degli altri ordini del buddhismo Tibetano, affermano che in realtà non vi è la vacuità, dato che essa non può essere trovata, e perciò non esiste – la "realizzazione della vacuità", la quale è proprio questo non-trovare ciò che si sta cercando. Tutti sono d'accordo sul fatto che voi dovreste pensare che "una vacuità" è semplicemente il non-trovare, e che non potrebbe mai portare ad una identificazione positiva del tipo: "Questa <è> la vacuità", perché in quel caso voi stareste realizzando l'esistenza di una vacuità, anziché solo la negazione non-affermativa (188) che è la vacuità stessa. Sebbene la vacuità esista, voi potrete conoscere semplicemente questa "eliminazione" dell'esistenza inerente, e non la sua esistenza.
Per esempio, il Dalai Lama dichiara nel suo 'La Chiave della Via di Mezzo':
Perfino se il significato di una vacuità è stato accertato, allorché appare il pensiero "Questa
è una vacuità", allora uno sta acquisendo l'esistenza di una vacuità come se fosse una cosa
positiva. Quindi, quella tale coscienza allora diventa un valido conoscitore convenzionale,
e non è più l'accertamento di una vacuità.
Una mente che conosce l'esistenza di una vacuità, è una valida cognizione di un fenomeno convenzionale, e non una mente impegnata in un'analisi ultima. Al fine di sostenere l'asserzione che una cognizione valida della vacuità realizza solo una negazione non-affermativa, una mera assenza di esistenza inerente, è stato detto che una mente che realizza la vacuità non realizza l'esistenza della vacuità, ma anche che tramite la forza della realizzazione della vacuità, l'esistenza della vacuità è compresa a posteriori dopo aver lasciato andare quella realizzazione, senza nessun'altra ulteriore cogitazione. Quindi, una mente che realizza la vacuità NON conosce l'esistenza della vacuità né esplicitamente e né implicitamente, purtuttavia l'esistenza della vacuità è compresa grazie alla forza di questa realizzazione. Certamente, se voi realizzate la vacuità, dovrebbe essere sufficiente per voi metterla insieme al fatto che la vacuità esiste. Nondimeno, questa distinzione pignola ha l'aria di cercare di voler conservare un dolce e, allo stesso tempo, di volerlo mangiare. Perché, con un fenomeno come il tappetino, per esempio, le differenti coscienze che realizzano l'oggetto e che realizzano la sua esistenza non sono stabilite, non essendovi nessun bisogno e nessun modo di fare ciò. Gheshe Ghedun Lodro offrì un pensiero provocatorio, per spiegare che la certezza dell'esistenza della vacuità
è assai più facile da realizzare che non la vacuità stessa, in quanto si può comprendere – prima di generare una valida cognizione che realizza la vacuità – che senza vacuità, i fenomeni sarebbero impossibili.
Nella presentazione di Tzong-Khapa della Scuola della Via di Mezzo, la vacuità è essa stessa un fenomeno, una (cosa) esistente – che, ciononostante è una negazione non-affermativa. È importante ricordare che una vacuità è nient'altro che un'assenza, una eliminazione, una negazione dell'esistenza inerente; altrimenti, potreste rimanere confusi dal discorso dell'esistenza della vacuità e cercare soltanto di realizzare quella. Altre presentazioni evitano questa possibile trappola, dicendo che la vacuità è semplicemente un termine insegnato alla gente che non conosce la verità. Poiché, se voi cercate di trovare qualcosa, e non giungete a nulla, voi potreste dire: "Questa è la vacuità?". Invero, non appena voi pensate, o dite, "Questa è la vacuità", voi state sostituendo con una cosa positiva come vostro oggetto mentale, ciò che è una mera "assenza". Piuttosto, senza voler mettere qualcosa di positivo al suo posto, noi dobbiamo realizzare che l'oggetto negato non esiste per nulla. E' necessaria una coscienza che riconosca una mera negazione, per attaccare con tutte le forze la concezione errata.
Quindi, per evitare di essere spinti in una super-riflessione sull'esistenza della vacuità, alcuni affermano che essa è solo una convenzione, volendo significare che essa non è una cosa esistente, che non è un fenomeno. Altri affermano che una vera vacuità non esiste realmente. Per cui, quando voi cercate il fenomeno designato, troverete la sua vacuità. La coscienza che trova questo, è pienamente qualificata per investigare se i fenomeni esistano o no, e a questo punto, essa trova una vacuità, di conseguenza, costoro concludono che la vacuità deve esistere veramente. Secondo il sistema di Tzong-Khapa, comunque, anche se viene trovata la vacuità di una tavola, per esempio, quando si cerca analiticamente di determinare se esiste una tavola inerentemente esistente, questo non fa essere necessario che la vacuità di una tavola esista inerentemente. Certo, se una coscienza analitica che cerca una tavola, trova una tavola, allora la tavola esisterebbe inerentemente, ma non è così; essa trova, o realizza, la vacuità della tavola. Similmente se, cercando la vacuità della tavola, essa trova la vacuità della tavola, la vacuità sarebbe inerentemente esistente. Ma non è così; essa trova, o realizza, la vacuità della vacuità della tavola. Perciò, tutte le cose, inclusa la vacuità, non esistono inerentemente. I due tipi di "scoperta" sono differenti; il primo è la scoperta di un fenomeno dopo averlo cercato, mentre il secondo non lo è.
Ora, parliamo ancora un po’ della "cognizione valida". Il fatto che le presentazioni non-Ghelugpa della Scuola della Via di Mezzo, non presentano ciò che, per i Ghelugpa, sarebbe una piena valida cognizione, significa che quando noi parliamo di cognizione valida nel metodo Ghelugpa, probabilmente non lo comprenderemo nel giusto modo. Inoltre, metteteci alla prova, perché una volta che lo avrete compreso, potrete evitare qualunque possibile trappola.
Prima di tutto, è possibile parlare di un elemento della valida cognizione nelle nostre ordinarie percezioni. Supponiamo di prendere come esempio, una coscienza visiva che osserva un bianco copriletto. Ciò che appare a questa coscienza visiva, è qualcosa di bianco che sembra ricoprire una certa area. Quindi, questo copriletto bianco sta apparendo in modo diverso da come in realtà esso esiste; esso appare come se fosse un copriletto realmente esistente in quel suo modo e che è in grado di nascondere le sue basi di designazione, che sono i numerosi fili bianchi che lo compongono. Perciò, la coscienza visiva alla quale esso appare è ingannata ed è errata dal punto di vista dell'apparenza del suo oggetto (190). Tuttavia, la coscienza visiva per se stessa, non è che concepisca erroneamente il bianco copriletto in quel modo; cioè, essa non prende quest'apparenza e la conferma. Di conseguenza, dal punto di vista dell'oggetto con cui è impegnata (191), che è proprio il bianco copriletto, essa non è errata. Poiché la coscienza visiva apprende il copriletto come un copriletto, si dice perciò che essa non sia ingannata circa il suo oggetto principale e, quindi, che questa sia una cognizione valida.
È anche possibile, per una coscienza visiva, apprendere erroneamente il suo oggetto. Per esempio, se inforcate un paio di occhiali con le lenti da sole colorate di rosso, voi vedrete un copriletto rosso e lo apprenderete in tal modo. Oppure, se stendete il copriletto fuori sulla neve e lo vedete uguale alla neve, vi sembrerà che vi sia soltanto neve e quindi anche questa sarà una cognizione errata. Questi apprendimenti sbagliati sono completamente non-concettuali, non vi è coinvolgimento del pensiero, ciononostante essi risultano sbagliati, non sono cognizioni valide. Per contrasto, la maggioranza delle nostre percezioni ordinarie ha un elemento di cognizione valida nel fatto che non c'ingannano riguardo all'oggetto principale che esse apprendono. La parte sbagliata delle nostre percezioni sensoriali è l'apparenza degli oggetti, come esistenti in maniera inerente. Questo è, in realtà, un nostro difetto e non un difetto degli oggetti, benché esso non sia un difetto creato dopo che un oggetto appare ai nostri occhi. Le nostre proprie predisposizioni erronee causano che l'oggetto, fin dal primissimo momento di percezione, appaia come se ricoprisse le sue basi di designazione. Questa falsa apparenza degli oggetti è inclusa all'interno delle ostruzioni all'onniscienza; essa è un risultato delle nostre precedenti concezioni errate circa l'esistenza inerente.
La coscienza visiva apprende un oggetto, come un copriletto che è un copriletto, e quindi è non-erronea circa il suo principale oggetto di apprendimento. Qualche volta, tuttavia, una coscienza mentale prende questo copriletto apparentemente esistente in modo inerente e acconsente alla falsa apparenza di questo suo modo di essere, concependolo come un copriletto inerentemente esistente. Questa concezione di vera esistenza è di due tipi: una basata sul ragionamento e sugli insegnamenti – cioè una concezione erronea artificiale – e l'altra che è il nostro ordinario, abituale consenso del modo in cui le cose ci appaiono, un'innata concezione erronea. Esempi del primo tipo sono le concezioni che abbiamo di noi stessi, che ci vengono da istruttori e insegnamenti erronei di sistemi psicologici e filosofici.
Quando prestiamo una forte attenzione ad un oggetto, viene subito fuori la concezione della sua vera esistenza. Essa non ha bisogno di venir manifestata in continuità; voi potete anche star pensando ad altre cose. Le Scritture ritengono che in noi funzioni una sola coscienza mentale alla volta e non importa quanto velocemente una coscienza mentale possa cambiare da un oggetto all'altro (192). Nelle situazioni in cui stiamo facendo più cose contemporaneamente, la mente si trova a spostarsi rapidamente da un oggetto all'altro. Tuttavia, quando voi state meditando e dovete osservare la vostra mente con una consapevolezza introspettiva, dovete osservarla nello stesso esatto momento in cui state meditando; non potete farlo in seguito. La coscienza mentale presta attenzione, per esempio, alla vacuità e la consapevolezza vi assicura che voi siete fermi sul vostro oggetto. Se non potete permettervi questa simultaneità nella vostra filosofia, ciò bloccherà la generazione di consapevolezza ed introspezione nella vostra pratica. Perciò, quantomeno, consapevolezza ed introspezione sono ritenute porzioni di una mente che vede la mente generale nel medesimo contempo.
Questo problema si presenta nelle discussioni sulla concezione di una vera esistenza, in quanto qualsiasi concezione è una coscienza-pensiero, una coscienza concettuale e sembra che i Sutra affermino che voi possiate avere un solo pensiero cosciente alla volta. Perciò, se voi state pensando al colore di un muro, durante quel tempo, non potete avere nessun'altra concezione di una qualche vera esistenza del muro, malgrado il fatto che il muro, per tutto il tempo, vi appaia come se fosse realmente esistente. Per tutta risposta, i seguaci di Jam-yang-shepa (193) spiegano che è possibile avere una coscienza che concepisce la vera esistenza come pensiero subliminale. Per esempio, quando state guardando un film, voi ricordate, almeno a livello subliminale, che ciò che state vedendo non è reale. Quindi, non potrebbe esservi sempre presente, una mente che affermi che il modo in cui le cose appaiono è di esistere inerentemente? È possibile che quest'affermazione sia solo sporadica, e che voi l'abbiate soltanto quando riscontrate una persona o una cosa su cui mettete una attenzione un po’ più forte? Quando stiamo prestando un'attenzione coinvolgente, non è questione che ci chiediamo come sia il modo in cui le cose ci stanno apparendo. Non c'è caso, per esempio, che quando ci arrabbiamo, prima ancora della rabbia, noi si affermi il modo in cui quegli oggetti ci appaiono; anzi, questo fatto in realtà ci procura parecchi problemi. Per di più, forse, noi siamo anche d'accordo sul modo in cui le cose ci appaiono per la maggior parte del tempo, quando siamo particolarmente afflitti, come nel caso di quando siamo arrabbiati, in cui la rabbia diventa ancora più solida e reale di quanto non lo sia negli altri periodi.
La parola Tibetana, che qui abbiamo tradotto come "subliminale" (194), significa letteralmente "misterioso, segreto". Nel sistema di Jam-yang-shepa essa è un punto a metà strada tra l'essere ancora allo stato di seme e l'essere completamente manifestato. Noi abbiamo numerose predisposizioni verso le sensazioni e così via, che si trovano nella nostra mente a livello di semi che, quando si avverano le giuste circostanze, diventano coscienze attualizzate. Le menti subliminali, d'altra parte, non sono più semi ma già reali coscienze. Tuttavia, esse non sono ancora emerse sulla superficie della coscienza. Per esempio, quando state parlando con qualcuno mentre guidate un'automobile, voi non necessariamente avete coscienza del vostro corpo ad ogni istante, ma siete subliminalmente consapevoli di essere in una macchina.
Ancora, se entrate in una stanza e chiudete a chiave le cose importanti che sono in quella stanza, voi non dovete preoccuparvi di ricordarvi di esse. Diventate velocemente avvezzi a quella stanza. Per esempio, quando fate un sogno, non siete rinchiusi in esso accettando qualunque scena appaia, non appena essa appare? Voi "sentite" che ciò che sta apparendo è reale, vi è una continua, subliminale decisione che ciò che sta accadendo sia reale.
La maggioranza dei testi di istruzioni per coltivare in meditazione la visione della Via di Mezzo, affermano che noi abbiamo una coscienza che concepisce un <Io> continuamente esistente in modo inerente; per esempio, il Quarto Pancen Lama dice che perfino nel sonno profondo noi abbiamo un continuato senso di un <Io> inerentemente esistente (195). Ancora, se voi potete avere soltanto una coscienza concettuale per volta, non vi è spesso possibilità di avere una coscienza che continuamente concepisce in modo erroneo la natura dell'Io; è ovvio che quindi noi abbiamo anche altri pensieri. Io ritengo che di solito noi prima stabiliamo di avere un Io inerentemente esistente e poi vi restiamo attaccati, sigillandolo, congelandolo e operando ancora partendo da questa base. Il continuo fluire di questa concezione dell'Io, è una coscienza subliminale che concepisce poi la vera esistenza. Noi non verifichiamo se esistiamo inerentemente o no; noi continuiamo passivamente e ininterrottamente ad accettare questo fatto.
Tutti i filosofi Ghelugpa concordano nell'accettare che vi è una concezione subliminale di vera esistenza, ma essi divergono su che cosa significhi "subliminale" – se vi sia una reale coscienza o se sia meramente in forma di seme, come un gatto pronto a scattare. Che esiste in forma di seme, significa che non è al momento attiva come coscienza, ma che è pronta a fuoriuscire a tutta forza. Un gatto accucciato ha già il potenziale per scattare e ciò ha effetto sulla posizione in cui si trova. Io sto rimarcando questi punti perché, dato che una coscienza che concepisce l'esistenza inerente è la radice della stessa esistenza inerente e dato che essa deve essere superata per poter uscire dall'esistenza ciclica, è molto importante individuare e identificare le sue forme.
… E il testo " L'Elogio dell'Ultramondano" di Nagarjuna, dice:
…Tu, o Buddha, hai insegnato che senza aver realizzato
l'assenza di qualsiasi Segno, non vi è Liberazione!"
L'Assenza di un qualunque Segno, è una delle tre porte della Liberazione, - che sono: "assenza di segno, assenza di desiderio e vacuità". "Segno", in questo contesto, significa "Causa" e, perciò, "assenza di segno" si riferisce al fatto che i fenomeni non sono inerentemente prodotti da cause. Al di fuori di questo contesto, sembra che "segno" si riferisca ai segnali di esistenza inerente e, in questo caso, una cognizione di assenza di segno è una cognizione, per esempio, di un tappetino che non dovrebbe contenere nessun segno di esistenza inerente. In ogni caso, Nagarjuna sta dicendo chiaramente che senza realizzare la vacuità di esistenza inerente, non può esservi ottenimento di Liberazione. …E così via…
"Questi brani della "Preziosa Ghirlanda" e delle "Sessanta Stanze",
provano principalmente che la realizzazione della vacuità sottile
è necessaria definitivamente per un sentiero, che abbia l'effetto
di dover portare un individuo alla Liberazione dall'esistenza ciclica."
Perché è stato continuamente detto che voi dovete arrivare alla cognizione della vacuità, per poter essere liberi dall'esistenza ciclica? È per poter assorbire pian piano l'importanza che la comprensione della vacuità ha per la vostra mente. Dato che se voi arrivate ad una sua cognizione ravvicinata, sarete così scossi che a volte potrete facilmente essere trascinati verso un'altra via. Salterete su dal vostro cuscino di meditazione e andrete di corsa a mangiare o ad accendere la TV – qualsiasi cosa, pur di evitare l'ansietà che può esservi arrecata da una simile indagine sulla natura delle cose. Sebbene col meditare sulla vacuità, potreste arrivare a star meglio e farvelo sembrare assai più facile, perché dovreste voler rimanere su di essa se vi creasse dei problemi? Nondimeno, se avete riflettuto a lungo su questa cognizione di vacuità e vi siete familiarizzati con essa, alla fine ciò vi permetterà di liberarvi dall'esistenza ciclica e allora voi vorrete restare con la vostra meditazione, fintanto ché non si sarà sviluppata una facilità tale, al punto che essa diventerà una fonte di gioia.
Questa è anche la ragione del perché noi parliamo così tanto riguardo alla sofferenza. Voi dovete essere realistici ed aprirvi alla sofferenza del mondo intero, realizzando che queste sofferenze non stanno manifestandosi soltanto come dolori fisici o mentali, ma che perfino i piaceri ordinari e addirittura le sensazioni neutre sono sofferenze. Infatti, i piaceri ordinari conducono facilmente al dolore e tutte le sensazioni, perfino quelle neutrali, restano impigliate in un contaminato ed incontrollato processo di condizionamento. Con un tale nudo riconoscimento della sofferenza ed un senso di esser impigliati in essa, come un prigioniero in una cella carceraria, voi rivaluterete la meditazione sulla vacuità, come un ottimo strumento per scavalcare la sofferenza. Ecco perché anche la mente altruistica di illuminazione (Bodhicitta) è così enfatizzata. Voi farete continuamente il voto di aiutare le persone, cosicché quando arriverete a qualcosa di simile alla vacuità che frulla un po’ nella vostra mente, voi non vorrete più lasciarla, dato che la realizzazione della vacuità è così vitale nella pratica di aiutare gli altri, in un modo efficace e molto ampio. Se non riuscite a mantenere la vacuità a quel punto, allora il vostro parlare di provare "compassione", è solo un insieme di vuote parole e null'altro.
Noi siamo condizionati da una sorta di apatia, che ci viene da innumerevoli anni di errata osservazione e false convinzioni su di noi stessi e del resto del mondo. Quando cominciate ad approcciare la vacuità tramite il ragionamento, voi state cercando di rendere molto più forte il vostro pensiero, cioè la vostra mente, al fine di superare questa tendenza apatica. Quando il pensiero ha come oggetto la vacuità, esso ha una valida base e quindi può diventare molto più potente.
Questo non significa che la cognizione della vacuità arrivi sempre a rilento. Se voi vi bloccate nell'idea che essa si sviluppi sempre lentamente, un bel giorno potreste perdere la possibilità che la comprensione della vacuità si presenti all'improvviso. Nel Tantra, vi sono tecniche con le quali, se siete abituati a lavorare con la vacuità, potrete generare velocemente un diverso tipo di coscienza, molto sottile, che immediatamente vi fa superare e vi libera del letargo mentale che bloccava la comprensione.
Perciò, L'Oceano del Ragionamento, Spiegazione del "Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna" del buon Tzong-Khapa, dice:
"In questo "Elogio dell'Ultramondano" ed anche negli altri due
(Le Sessanta Stanze sul Ragionamento e La Preziosa Ghirlanda
di Consiglio per il Re) vi sono invero numerosi insegnamenti
sulla talità dell'Originazione Dipendente, che è la negazione
dell'esistenza inerente tanto nelle persone che nei fenomeni.
Tuttavia, essi appaiono come ramificazioni che comprovano
l'asserzione principale – che il comprendere che il significato
della realtà non si basa sui due estremi, è la ragione necessaria
di un sentiero definitivo che libera uno dall'esistenza ciclica."
La cognizione (o comprensione) della vacuità di esistenza inerente di tutti i fenomeni non riguarda soltanto i Bodhisattva, ma è per tutti coloro che vogliono abbandonare l'esistenza ciclica (Samsara), inclusi gli Uditori (Sravaka) ed i Realizzatori Solitari (Pratyekabuddha).
"Inoltre, è necessario realizzare la <Talità> con una mente
che sradichi l'errato modo di comprensione di una coscienza
innata che concepisce il <sé>. Semplicemente non aderendo
con la mente ai due tipi di <sé> (cioè all'esistenza inerente
della persona ed all'esistenza inerente degli altri fenomeni)
o anche semplicemente impedendo alla mente di dirigersi
verso gli oggetti esterni, non può essere stabilito che uno
abbia realizzato la vacuità. Poiché, altrimenti, per assurdo
ne dovrebbe conseguire che perfino (una tale mente così)
quando dorme o sviene, ecc. avrebbe realizzato la Vacuità."
Se la mente si è ritirata dagli altri oggetti (esterni o interni, non importa) e si è stabilizzata, allora possono essere ottenuti beatitudine, chiarezza e non-concettualizzazione. Può essere ottenuta perfino una leggera chiaroveggenza. A quel punto, poiché tutto (vi sembrerà) così diverso, voi potreste presumere di essere nella fase di comprensione della vacuità o che siete usciti fuori dall'esistenza ciclica. Inoltre, se avete ancora una sensazione grossolana di ciò che è l'esistenza inerente e sapete che voi non ci siete coinvolti, potreste pensare di aver compreso la vacuità, mentre vi siete soltanto ritirati dalle concezioni errate più grossolane. Sebbene sia necessario sviluppare la stabilizzazione meditativa di calma dimorante – una concentrazione vigile ed unidiretta –, affinché abbiate la concentrazione necessaria a distruggere quella coscienza che concepisce l'esistenza inerente, lo scopo della meditazione sulla vacuità, non è semplicemente quello di ritirarvi da una coscienza che concepisce l'esistenza inerente, in un'altra forma di coscienza che risvegli quella concezione. Deve essere esattamente l'opposto. Se non fosse così, allora quegli stati mentali come il sonno senza sogni, potrebbero essere valutati come cognizione della Talità (cioè vacuità).
"Tutti i Grandi Condottieri del Grande Veicolo hanno riferito –
ad una sola voce e con un solo pensiero – della necessità di
rifiutare in modo analitico l'esistenza inerente." Aryadeva
disse: < Quando l'assenza del sé è vista in tutti gli oggetti,
i semi dell'esistenza ciclica sono finalmente distrutti>. E,
l'Onorevole Chandrakirti (196), disse: < Le concezioni
estreme sorgono insieme alle cose (cioè con una coscienza
che concepisce le cose come esistenti inerentemente).
E' stato più volte completamente analizzato, il fatto che
tutti i fenomeni non esistono in maniera inerente>.
Ed anche il maestro Bhavaviveka, ha affermato che:
< Con la mente in equilibrio meditativo, in tal modo
la Saggezza analizza le entità di questi fenomeni, che
sono concepiti solamente in maniera convenzionale>.
Inoltre, anche il Venerabile Shantideva così disse:
< Quando queste cose sono cercate nella loro realtà,
Chi è attaccato e in che cosa vi è attaccamento?> etc.
Ed infine, lo stesso glorioso Dharmakirti, aggiunge:
< Senza smettere di credere agli oggetti, di quest'errata
concezione, è impossibile abbandonare questa falsità!>
Aryadeva dice che una volta che voi "vedete" che gli oggetti sono privi di un <sé>, avrete distrutto l'efficacia dei semi che producono l'esistenza ciclica. Chandrakirti parla di analizzare completamente il modo in cui non vi è l'esistenza inerente. Bhavaviveka disquisisce sul fatto che l'analisi va compiuta con la Saggezza; è necessario fare luce sull'oggetto ed analizzarlo – non si deve soltanto ritrarre la mente da esso. Shantideva dice che, quando voi cercate ogni cosa che vi appare, dovete vedere se essa ha una sua propria realtà, così potrete scoprire che non c'è niente da desiderare e, quindi, niente che desideri qualcosa. Implicitamente, si intende che quando voi non potete trovare in nessun modo l'oggetto del desiderio, questa stessa analisi invaderà il vostro stesso pensiero – Io voglio! -. Perciò, tramite la forza della precedente realizzazione dell'oggetto del desiderio, voi immediatamente realizzerete che colui che desidera, cioè l'Io, anch'esso non esiste inerentemente. Comunque, talora può accadere che voi analizziate e non possiate trovare l'oggetto, ma ancora lo desideriate a causa di una carenza di forza e profondità nell'analisi. Allora, dovreste girargli intorno ed identificare chi è colui che sta pensando –Io voglio! – e, intenzionalmente, analizzare colui che vuole. Se la vostra analisi dell'oggetto desiderato era migliore al primo punto – se lo avete preso proprio alla fine e vi ha portato alla vacuità – si dovrebbe automaticamente applicarlo allo stesso momento in cui la vostra mente si è rivolta all'Io.
Dharmakirti dice che è impossibile distruggere una coscienza che concepisce falsamente un oggetto, senza il rifiuto dell'oggetto di tale concezione. Benché sia d'aiuto prendere i voti e astenersi dal far danno agli altri con certe cose, questo fatto non rimuove l'origine del danno. Noi dobbiamo smettere di credere nella vera esistenza degli oggetti; dobbiamo rimuovere tutti i puntelli degli stati dannosi della mente, cosicché essi non possano più prendere avvio.
Quindi, uno deve analizzare bene ciò che è concepito erroneamente da una coscienza
che concepisce (persone e fenomeni), come due tipi di <sé> inerentemente esistenti.
Prima di poter procedere al rifiuto dell'esistenza inerente, è necessario fare una completa analisi, proprio allo scopo di trovare che cos'è una coscienza che concepisce l'esistenza inerente di persone e fenomeni e che cos'è che essa concepisce.
Dopo aver analizzato ciò, è necessario determinare un crollo di questa falsa costruzione
dell'errore, inducendo una convinzione tramite le pure scritture ed il ragionamento in cui
si può capire che (le cose ) non esistono così come esse sono concepite da questa (erronea
coscienza). E che per questo, è necessario un eccellente e indispensabile metodo essenziale
(del sentiero). Quindi, è importante analizzare ancora e ancora, con la saggezza di una
continua investigazione personale.
Prima di tutto, noi dobbiamo trovare esattamente ciò che è concepito in modo erroneo: abbiamo bisogno di una forte sensazione dell'oggetto da rinnegare. Poi, rifacendosi alle Scritture e riflettendo col ragionamento, dobbiamo comprendere che ciò che è concepito non esiste nel modo in cui è concepito. Dobbiamo comprendere che l'esistenza inerente, benché sia così concepita, è purtuttavia inesistente.
È importante continuare ad investigare in questo modo, ancora ed ancora, per poter mantenere in piedi questa analisi. Se vi lasciate prendere dallo sconforto, per poter reinstallare l'entusiasmo per l'analisi, pensate alle conseguenze della non-analisi – cioè all'ignoranza, all'esistenza samsarica ed alla sofferenza per voi stessi e per innumerevoli altri esseri.
Una comprensione inferenziale che realizza la vacuità è generata tramite un ragionamento ordinario – realizzando cioè la presenza della ragione nel soggetto e la penetrazione della ragione nel predicato (197) – in cui noi siamo capaci ora di correggerci. Studiare i Sutra del Buddha ed i commentari dei grandi maestri, sostiene il processo del ragionamento e vi permette di sapere che siete sulla buona strada. Questo tipo di comprensione inferenziale non può dare conoscenza di cose come la struttura dell'Universo o le sottili relazioni di Causa ed Effetto; per questo, è necessaria un'inferenza scritturale. Tra le tre classi di oggetti della comprensione – il manifesto, sotto forma di oggetti delle coscienze sensoriali, il leggermente nascosto, come l'impermanenza sottile, ed il più segretamente nascosto, come i più minuti dettagli della Causa-Effetto e del Karma – la vacuità, per fortuna, è solamente leggermente nascosta, e non più profondamente nascosta; perciò, possiamo arrivare ad essa tramite il ragionamento. Questo non è un processo secco; voi dovete essere abili nel sentire l'oggetto da negare e dovete sentire la vacuità che è la sua negazione.
In tal modo, il Sutra Superiore del Gioco di Manjushri, dice anche (198):
" Oh figlia, come un Bodhisattva potrà essere vittorioso nella battaglia?-
- Manjushri, quando sono analizzati, tutti i fenomeni sono introvabili!"
Ed il Sutra Superiore del Re della Stabilizzazione Meditativa dice (199):
"Se viene analizzata l'assenza del sé dei fenomeni,
- e se quest'analisi è coltivata nella meditazione,
ciò causa l'effetto di ottenere il Nirvana. In nessun
altro modo è possibile ottenere come causa, ciò che
riesce a portare la pace nel cuore di qualcuno".
Ed il Sutra Superiore della Nuvola di Gioielli, afferma per suo conto (200):
"Analizzare con una speciale visione interiore profonda e dopodiché
realizzare la mancanza di essenza inerente, equivale ad entrare nella
"Assenza di Segni". Inoltre, il Sutra Le Domande di Brahma, afferma (201):
"Coloro che investigano i fenomeni in modo appropriato,
sono detti 'Intelligenti', ciascuno al suo livello individuale"
Quindi, in generale, i Grandi Condottieri hanno stabilito,
- tramite rifiuti e approvazioni – molte vie di ragionamento
che differenziano, oltre alla parola del Conquistatore,
ciò che è definitivo e ciò che richiede interpretazione.
In particolare, le dichiarazioni di vari modi di ragionare,
Per delineare la Talità, furono fatte soltanto allo scopo
di portare all'Illuminazione coloro che sono destinati
ad entrare nel fortunato sentiero verso la Liberazione.
Non furono fatte per interessarsi ai dibattiti e dispute.
Molte persone pensano che il ragionamento serva solo per dare spiegazioni o per avere un dibattito, e non per una meditazione; per queste persone, il ragionamento non potrebbe mai generare alcuna sensazione di vacuità – ma solo una sorta di verbosità. Tuttavia, il ragionamento è il miglior strumento con cui possiamo giungere alla sorprendente e profonda comprensione della Vacuità.
Dal Commentario di Buddhapalita sul Trattato della Via di Mezzo
di Nagarjuna, che è chiamato semplicemente col suo nome, si legge (202):
"Qual è lo scopo dell'insegnamento dell'Originazione-Dipendente?
Il Maestro Nagarjuna, la cui natura è la Compassione, disse che gli
Esseri senzienti, sono tormentati ed oppressi da svariate sofferenze;
per poterli liberare da queste, Egli si assunse il compito d'insegnare
la vera Realtà delle cose, proprio così come essa è; per questo motivo,
decise di dare avvio all'insegnamento dell'Originazione-Dipendente.
E, da parte sua, Il Supplemento di Chandrakirti, afferma inoltre (203):
"Le analisi fatte nel Trattato di Nagarjuna, non sono per attaccarsi
alle dispute, ma soltanto per la Liberazione; esse insegnano la Vacuità!"
Ed il Migliore tra i Grandi Esseri (Tzong-Khapa), a sua volta, dichiara:
"Tutte le svariate e ragionate analisi stabilite nel Trattato Via di Mezzo
di Nagarjuna, sono soltanto per la salvezza di tutti gli Esseri senzienti!"
Si dovrebbe comprendere bene, ciò che deve essere escluso di fare,
con le parole <non per il piacere di attaccarsi alle dispute > nella
prima frase e con < soltanto >, nella successiva e conclusiva frase.
Il metodo analitico è insegnato non semplicemente per costruire un bel sistema filosofico, ma per essere meditato, allo scopo di liberare gli esseri dall'esistenza ciclica. Quando Tzong-Khapa dice che questo insegnamento è stabilito "soltanto" affinché gli esseri senzienti possano ottenere la liberazione, egli implicitamente esclude che lo scopo sia quello di dispute e dibattiti esteriori.
In generale, l'analisi di investigazione individuale che accompagna
Scritture valide e ragionamento, come strumenti d'attestazione (204),
è importante sia che voi lo ascoltiate, che lo pensiate o che lo meditiate.
Per di più, se la vostra pratica è congiunta con le speciali motivazioni
causali e continuative, che coinvolgono direttamente queste analisi
come mezzi per poter ottenere, sia voi stessi e sia gli altri, liberazione
ed onniscienza, voi sarete in pieno accordo col significato di ciò che,
tanto l'Insuperato Maestro (il Buddha) stesso, quanto tutti i grandi
Condottieri, insegnarono con grandi sforzi ed energia. Perciò, coloro
che vogliono il benessere, è giusto che si sforzino in questo modo."
La speciale motivazione del Grande Veicolo è di puntare a stabilire tutti gli esseri senzienti nella buddhità. Per poter adempiere a questo scopo, è necessario impegnarsi in pratiche che permettano una sicura continuità progressiva di vita in vita. È utile realizzare che se si pratica la generosità, per esempio, con una buona motivazione, uno degli effetti sarà che si avranno molte buone risorse in una vita futura; queste risorse, dovrebbero essere a loro volta dedicate ad una ulteriore pratica per il benessere degli altri. Però, se la pratica del donare è fatta semplicemente con la speranza di avere buone risorse nelle vite future, questa non è per niente una motivazione bodhisattvica. Inoltre, quando i Bodhisattva praticano la virtù dedicandone i frutti per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, ad essi arrivano le migliori risorse possibili, molte di più che se dedicassero i meriti per i loro propri scopi.
Dato che i praticanti sia del Minore che del Grande Veicolo, devono realizzare la stessa vacuità di esistenza inerente, la motivazione e le sue conseguenti azioni determinano se voi diventerete un Distruttore del Nemico o un Buddha. L'ottenimento dello Stato-di-Buddha non è un risultato automatico della meditazione sulla vacuità; piuttosto, il benessere degli altri deve essere il vostro scopo primario, con il desiderio di raggiungere la buddhità, visto come strumento per esaudire quello scopo. Le azioni altruistiche sono i requisiti che lo accompagnano.
La direzione che noi diamo alla nostra mente, è molto importante. Per esempio, al nostro livello è utile determinare coscientemente che se noi comprendiamo la vacuità, non avremo più desideri, odio ed ignoranza. Se la vostra meditazione sulla vacuità non vi porta verso uno stato di libertà da questi tre veleni, vuol dire che non l'avete compresa in maniera adeguata. Cercate dunque di esplorare quale comprensione di quale cosa possa permettere di opporsi al desiderio ed all'odio; c'è forse una cosa che, una volta compresa, renderebbe impossibili l'odio ed il desiderio?
Poiché ora noi stiamo lavorando con una debolissima mente concettuale, dobbiamo raccogliere insieme tutti questi punti, ragionando e pensando: " Come si può diminuire questo desiderio? Come si può rendere impossibile l'avvento del desiderio?". Anche se la vostra meditazione sulla vacuità non sembra lavorare contro il desiderio, potete pretendere che sia giusto esplorare queste sensazioni. Ciò vi darà un indizio sulla struttura e la portata della comprensione della vacuità.
Simulare di avere una tale comprensione coi conseguenti risultati potrebbe risultare spiacevole, poiché potrebbe sembrare che una comprensione della vacuità dovrebbe essa stessa sopraffarvi e far abbandonare all'istante il desiderio. Invero, alla fine lo farà; tuttavia, ora siamo abbastanza lontani da questo. Noi abbiamo numerose ostruzioni che ci impediscono perfino di avere il tempo di essere colpiti dalle implicazioni della vacuità. Quindi, è necessario sistemare la mente in maniera che possa essere colpita dalla vacuità e che possa far partire tutto il processo. Per esempio, quando voi leggete un libro che stabilisce molti ragionamenti per far generare una cognizione della vacuità, è meglio non insistere di voler a tutti i costi cogliere il senso immediatamente, ma piuttosto è bene essere disposti a dedicare un po’ di tempo e di energia alla scoperta del significato. Generalmente, noi non abbiamo né il tempo né la comodità per addentrarci in queste profondità. La nostra mente di solito è piena di ogni altra cosa e, quella parte di mente che è attratta da esse, non può liberamente stabilirvisi. Per esempio, dopo aver scoperto una pratica opportuna, noi abbiamo prima bisogno di creare una mente che aspiri alla consapevolezza per far sì che si possa mantenere quella pratica. Proprio l'avere interesse nella vacuità, indica buone predisposizioni ma, anche con queste buone predisposizioni, è necessario instillare attenzione e consapevolezza nella mente, perché essa è così abituata a divagare che la distrazione è costantemente e prepotentemente in agguato, quasi come se il non divagare fosse contrario alla natura della mente.
Per arrivare alla consapevolezza ed avere una forte attenzione, riflettete con i (e sui) ragionamenti. Colpendosi la testa con le mani, il Lama Nying-ma Khetsun Sangpo disse: " La distrazione mi ha procurato tutti questi problemi, ed ora io qui ci sto cascando ancora!". Riflettete sugli errori di ciò che state facendo. Per esempio, supponete di avere una vescica che, grattandola continuamente, vi produce un'infezione. Realizzando ciò, quando voi più avanti avrete ancora una vescica e avrete ancora voglia di grattarla, automaticamente penserete: "Questo è da stupidi!", dato che la fareste peggiorare. Benché voi stiate facendo un tentativo di aiutare gli altri esseri senzienti, state rovinando voi stessi a causa della distrazione. Come può una persona rovinata aiutare gli altri? Una persona rovinata normalmente rovina anche gli altri; come Nagarjuna afferma nella Preziosa Ghirlanda (205):
"Impauriti dalla Dimora-senza-paura e rovinati, essi rovinano gli altri.
O Re, agisci dunque in modo tale che chi è rovinato non rovini anche te!"
Noi stessi saremo un giorno dei Buddha. Poiché le nostre menti sono vuote di esistenza inerente, prima o dopo, anche se non in questa vita, saremo Buddha. I Buddha hanno speciali caratteristiche, tra le quali vi è un intenso altruismo; tutto quello che essi fanno, lo fanno per il vantaggio degli altri esseri senzienti. Anche noi possiamo cominciare a fare così, poiché le nostre menti sono vuote di una loro propria esistenza inerente, non congelate in stati afflitti come ora a noi sembra. Dato che la vacuità della mente e la mente che comprende questa vacuità hanno una valida base, e dato che le qualità mentali hanno una base stabile, diversamente dai risultati fisici, noi nel corso di abbastanza vite, diventeremo dei Buddha (206).
Sebbene la mente possa svilupparsi verso un benessere infinito, non vi è possibilità alcuna che la mente possa all'infinito decomporsi. Menti erronee – come le coscienze che concepiscono la stessa esistenza inerente, oppure desideri, odio e oscurazioni – non hanno un valido fondamento. Vi è una naturale facoltà di errore in queste menti, per il fatto che esse non si accordano per nulla con la realtà e quindi, non possono essere incrementate illimitatamente.
Così come quando si impara una nuova lingua, allo stesso modo nello sviluppare una motivazione di aiutare tutti gli altri esseri senzienti, noi ci sentiamo spesso nervosi o imbarazzati. Ciò è perché le nostre menti sono radicate in modo inveterato ad inseguire i nostri propri interessi personali. Noi potremmo essere imbarazzati nel diventare una grande persona superiore; non saremmo più come i nostri simili. Ciò potrebbe sembrare antidemocratico e, perciò, facciamo resistenza – ma cosa c'è di più umile che servire ai bisogni degli altri esseri?.
Dobbiamo aprirci alla motivazione altruistica del Buddha ed accettarne tutte le conseguenze. Un forte incentivo a ciò, proviene dal guardare in faccia il fatto che tutti noi stiamo andando verso la morte. Sotto questa luce, salvo il mettere in atto la nostra motivazione, accumulare la virtù e comprendere la natura dei fenomeni, tutto il resto, cioè quello che si fa di solito, è senza alcun valore. Se stessimo per fare un lungo viaggio per andare, per esempio, in Alaska, dovremmo prepararci per questo; quindi, perché allora non ci prepariamo per la nostra morte e la successiva rinascita? La sola cosa utile che possiamo fare a lungo andare, è di trasformare la nostra mente, accumulando una serie di realizzazioni e virtù che potranno avere un effetto sulla morte, sullo stato intermedio (bardo) e sulla successiva rinascita. È vantaggioso lavorare sulla comprensione della vacuità, con la motivazione di voler abbandonare l'esistenza ciclica, ottenere la Buddhità ed aiutare tutti gli esseri senzienti (a raggiungere gli stessi risultati). La motivazione è causale, nel senso che inizialmente è essa che spinge all'azione, ed è continuata, nel senso che dovrebbe operare per tutta la durata delle azioni.
Il massimo dell'udire (207), pensare e meditare, come pure spiegare,
dibattere e scrivere, fatto da coloro che si vantano di praticare il Dharma
e si vantano di aiutare l'insegnamento del Buddha, è non solo inutile
per se stessi e gli altri, ma è anche causa di contaminazione per il loro
continuum mentale, per le molte azioni malvagie che si frammischiano
con la Dottrina. Dovrebbe essere compreso che, alla fine, coloro che
pensano che stanno rispettando l'insegnamento tramite il lottare,
il litigare, il tirare pietre o altro (208), e il brandire armi e bastoni,
a causa della motivazione impura, sono soltanto come una medicina
che è andata a male, diventando un veleno, oppure come divinità
che si sono trasformate in demoni. Per questo motivo, Aryadeva disse
che uno allontana la sofferenza dell'esistenza ciclica, anche se soltanto
ha dei dubbi riguardo alla verità della profonda natura dei fenomeni(209).
"Coloro che hanno pochi meriti, non hanno dubbi su questa dottrina.
Anche semplicemente avendo dei dubbi, il samsara è ridotto a brandelli".
Sono tre i tipi di dubbi descritti nei testi basilari sulla psicologia, chiamati Consapevolezza e Conoscenza: 1) dubbio tendente al non-reale, come sospettare che i fenomeni esistano inerentemente; 2) uguale dubbio circa il sospetto se i fenomeni possano o non possano essere inerentemente esistenti e, 3) dubbio tendente ad un sospetto che i fenomeni non esistano affatto inerentemente. Tutti i dubbi hanno una duplice disposizione, cioè vanno in entrambe le direzioni, ma nel primo e nel terzo caso, la mente è tendente in modo preminente verso una sola direzione (210). Aryadeva qui è interpretato come se parlasse del dubbio che tende verso una corretta opinione che i fenomeni non esistano inerentemente.
Come è stato detto in precedenza, anche nel caso che sia concordante, il dubbio porta la mente ad occuparsi in qualche modo al modo di sussistenza finale dei fenomeni – cioè la vacuità della loro esistenza inerente. Se è mentalmente disgregante avere dubbi riguardo ad un amico, immaginatevi quanto sia dirompente avere dubbi sul fatto che i fenomeni esistano inerentemente; sospettare che se stessi, gli altri e tutti i fenomeni esterni non esistano nel modo in cui appaiono.
In particolare, il glorioso Chandrakirti dice (211) che al tempo della fine degli insegnamenti
del Buddha, è davvero una grande fortuna avere anche un semplice interesse – anche solo
per un momento – in questi argomenti così profondi. Egli, infatti, dichiara:
"In questa era tumultuosa, in cui il buddhismo è destituito del
significato essenziale insegnato dall'Onnisciente, chiunque si
ponga il merito di schiarire le due direzioni della mente, anche
solo per un momento e riconosca la vacuità, è un fortunato!"
Il Capitolo "Ammansire i Demoni" (212) del Ajatashatru Sutra (213), afferma che,
poiché l'avere interesse in questa profonda natura dei fenomeni, purifica perfino
le ostruzioni karmiche che porterebbero ad una istantanea rinascita negli inferni (214),
qual è la necessità di menzionare qui le sue meno purificanti infrazioni (di riti ed etica)?
Essendovi ben convinti di ciò, voi dovreste sforzarvi per espandere questa potenzialità
(nel vostro continuum) di questo tipo di dottrina. Perciò, il Più Grande degli Esseri dice:
"Quindi, voi dovreste piantare semi di voler ascoltare i testi,
memorizzandoli, pensando a come meditare sul loro significato,
avendo nel contempo fiducioso interesse (nella profonda vacuità)
in tutte le vostre vite, all'interno di una vantaggiosa convinzione
nella Legge di causa ed effetto e dell'Originazione-Dipendente.
Poiché la comprensione della Vacuità nega l'esistenza inerente, ma non i fenomeni stessi, la vacuità è compatibile con la legge di Causa ed Effetto. Per di più, è detto che una realizzazione della vacuità agevola nel comprendere <causa ed effetto> e che la comprensione di <causa ed effetto> agevola la comprensione della vacuità. Le realizzazioni dell'Originazione Dipendente e della Vacuità, non solo sono compatibili, ma sono anche favorevoli ad agevolarsi vicendevolmente. Quindi, si deve esprimere il desiderio di essere in grado di continuare gli studi, contemplare e meditare sulla profonda natura dei fenomeni, nell'arco di una continuità di vite, non venendo disorientati riguardo alla vacuità, dato che la vacuità e l'Originazione Dipendente sembrano essere opposte e differenti. Questo desiderio può essere una forma di meditazione che ha una profonda influenza sul modo in cui il futuro si manifesterà.
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9) – I PRINCIPALI RAGIONAMENTI
IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI RAGIONAMENTI
In generale, le innumerevoli forme di ragionamenti, che servono per accertare l'assenza
del <sé> e che sono state stabilite nei testi della Via di Mezzo, sono incluse all'interno di
due tipi: ragionamenti per accertare l'assenza del <sé> delle persone e ragionamenti per
accertare l'assenza del <sé> dei fenomeni. Ciò è dovuto al fatto che le basi di adesione ai
due tipi di <sé> - che sono il principio di ciò che trascina gli esseri nell'esistenza ciclica –
sono le persone ed i fenomeni e, quindi, le principali basi riguardo alle quali è accertata
l'assenza del <sé>, che deve altresì essere sia delle persone che dei fenomeni.
Le basi della nostra concezione dell'esistenza inerente sono le cose che noi concepiamo esistere in maniera inerente. Esse, pur esistendo, sono però oggetti di osservazione di una coscienza che concepisce qualcosa che invece non esiste – cioè l'inerente esistenza di tali oggetti. Quindi, la persona, che è una base per la concezione di un <sé> delle persone, è la persona esistente in maniera convenzionale, erroneamente concepita come se esistesse dalla sua stessa parte oggettiva. L'Io non è solo un illusorio spettro dell'immaginazione come il serpente visto al posto della corda, ma è anche un fenomeno esistente; tuttavia, ora noi non lo conosciamo nel modo in cui esiste veramente, e cioè qualificato da una mera esistenza vuota.
A tal riguardo, il testo di Tzong-Khapa "Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo", dice (215):
Le catene principali, che legano un individuo all'esistenza ciclica,
sono l'aderire ai due <sé>, 1) riguardo alla persona, che è oggetto
di osservazione che fa generare il pensiero <Io>, e 2) riguardo ai
fenomeni del continuum di quella persona. Pertanto, questi due
sono anche le basi principali, rispetto alle quali la concezione di
un <sé> è rifiutata tramite il ragionamento. Ne consegue quindi,
che anche i ragionamenti sono inclusi nel rifiuto dei due tipi di <sé>.
La vostra stessa persona è il fenomeno convenzionalmente esistente che è oggetto di osservazione di una mente che correttamente concepisce un <Io>. Quando, allora, noi concepiamo l'esistenza inerente di questa persona e degli altri fenomeni nello stesso continuum, come gli aggregati mentali e fisici, noi siamo imprigionati nell'esistenza ciclica (samsara). Quindi, tra le numerose diverse concezioni di esistenza inerente, quella dell'esistenza inerente di se stessi come persona e dei propri aggregati mentali e fisici, sono le più virulente. Perciò, queste due forme (di concezione dell'esistenza inerente), della persona e dei fenomeni del proprio continuum, sono gli oggetti principali su cui bisogna meditare riguardo alla loro mancanza di esistenza inerente. Inoltre, i ragionamenti che attaccano l'esistenza inerente, sono maggiormente rilevanti nel contesto della stessa divisione in persone ed altri fenomeni.
In questo caso, Tzong-Khapa sta parlando dei principali legami che ci vincolano nell'esistenza ciclica. Nel sistema Conseguenzialista, la concezione della vera esistenza sia delle persone che dei fenomeni, è un'afflizione – cioè un'ostruzione alla liberazione dall'esistenza ciclica. Se si concepisce una casa come esistente inerentemente, o si concepiscono le cose che non ci appartengono, come se anch'esse esistessero in modo inerente, anche queste sono ugualmente afflizioni, ma non sono quelle principali che ci vincolano nel samsara; la concezione principale è proprio qui, il danno o pericolo maggiore siamo noi e ciò che è incluso nel nostro proprio continuum, se considerato come esistente inerentemente. Quindi, i ragionamenti devono organizzarsi intorno al rifiuto del <sé> della persona e del <sé> degli altri fenomeni.
"Per di più, tra tutti quelli, il ragionamento principale per determinare
l'assenza del <sé> dei fenomeni, è proprio il ragionamento che rifiuta
qualsiasi produzione (che provenga) dai quattro estremi.
I Quattro tipi estremi della produzione sono: una cosa che si sia prodotta da se stessa, da qualcos'altro, sia da se stessa che da qualcos'altro, oppure prodotta senza cause. La serie dei ragionamenti che rifiutano questi estremi, sarà discussa in dettaglio nel prossimo capitolo.
Per cui, quando il Superiore Nagarjuna spiegò il pensiero contenuto
nella frase del Sutra dei Dieci Livelli (216), in cui si afferma che un
Bodhisattva entra nel Sesto Livello tramite le Dieci Identità, egli ha
voluto intendere che, soltanto dimostrando col ragionamento che
tutti i fenomeni sono identici, nel loro essere senza una produzione
(e senza esistenza inerente), anche tutte le altre identità sarebbero
state assai più facilmente dimostrabili.
Le Dieci Identità sono i differenti modi in cui tutti i fenomeni sono identicamente vuoti di esistenza inerente. Nagarjuna, nel suo Trattato della Via di Mezzo, prova a spiegarli con la considerazione che ritiene identica la non-produzione di tutti i fenomeni, perché questo è il metodo più facile per comprendere gli altri.
Di conseguenza, all'inizio del Trattato della Via di Mezzo, Nagarjuna dice (217):
"Non vi è alcuna produzione di sorta,
di nessuna cosa che si produca da sé
stessa, da altro, da entrambe, oppure
che sia totalmente senza cause…"
E, nel Supplemento al Trattato di Nagarjuna, del glorioso Chandrakirti,
la dimostrazione del ragionamento per determinare l'assenza del <sé>
dei fenomeni, è vista soltanto come ragionamento che intende rifiutare
i quattro tipi estremi della produzione: - Se nulla può sorgere da se stesso,
come potrebbe sorgere da qualcos'altro?… Coloro che analizzano questo,
saranno rapidamente liberati – (218). Per questo motivo, Tzong-Khapa,
nel suo Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo, dichiara (219):
"Il principale ragionamento che comprova l'assenza del <sé> dei fenomeni
è la ragione che rifiuta la produzione (proveniente) dai quattro estremi".
Il ragionamento principale per determinare l'assenza del <sé> della persona
è il Settuplice Ragionamento di Chandrakirti, che si trova nel Supplemento
al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, in cui è detto che proprio come
un carro non si può trovare tramite il cercarlo nei sette modi, ma è supposto
ed imputato come essere esistente – imputato in dipendenza dalle sue parti –
così una persona deve essere stabilita allo stesso modo, ed è detto che solo
questo è il metodo per scoprire facilmente quella profonda visione (220).
"Ciò che non può esistere in questi sette modi,
come si potrebbe dire che esiste (inerentemente)?
Neppure gli Yogi possono trovare l'esistenza
realmente (inerente) di questo carro.
Dato che tramite questo (metodo, lo Yogi)
può penetrare facilmente dentro la Talità,
anche la costituzione di questo carro
dovrebbe essere accettata in questo modo.
Il Settuplice Ragionamento è una serie di sette punti focali, utili per indicare un'assenza di esistenza inerente; essa è illustrata tramite l'esempio di un carro. Se voi cercate un carro, 1) che sia una sola cosa con le sue parti, 2) che sia inerentemente tutt'altra cosa delle sue parti, 3) che dipenda inerentemente dalle sue parti, 4) che le sue parti dipendano inerentemente da esso, 5) che possieda le sue parti in maniera inerente, 6) che sia una mera collezione delle sue parti, e infine 7) che sia formato con le fattezze delle sue parti, non sarete mai capaci di trovarlo. Benché un carro non possa essere trovato quando è osservato in uno di questi sette modi e quindi non possa esistere inerentemente, esso è comunque stabilito come esistente in modo designato, o imputato, nel senso che è designato in dipendenza delle e dalle sue stesse parti. Chandrakirti prima insegna questo metodo, dato che è più facile comprendere l'applicazione di questo settuplice ragionamento ad un carro, e poi fa in modo che la stessa analisi possa essere applicata alla persona ed agli altri fenomeni, così da poter arrivare alla loro natura finale o ultima. Chandrakirti raccomanda la settuplice analisi come un facile metodo per penetrare, e realizzare, la Talità – cioè la vacuità di esistenza inerente.
Jang-kya continua mostrando perché il settuplice ragionamento è il principale metodo per constatare la mancanza di un <sé> delle persone:
Poiché in questo Supplemento di Chandrakirti, l'accertamento
dell'assenza del <sé> delle persone è fatto solamente per mezzo
del Settuplice Ragionamento, e poiché anche nell'esimio testo
di Tzong-Khapa Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo
questo ragionamento è dichiarato come il principale di tutti (221)
Ora, Jang-kya dichiara qualcosa che sembra contraddire ciò che aveva appena detto:
Il ragionamento sull'Originazione-Dipendente è, in questo sistema,
il principale di tutti i ragionamenti. Tutte le altre precedenti forme
di ragionamento derivano proprio da quello sull'origine dipendente.
L'Originazione Dipendente è il ragionamento principale per accertare l'assenza del <sé>, nel senso che è la base fondamentale e la fonte di tutti i ragionamenti che stabiliscono la mancanza del <sé> sia delle persone che dei fenomeni esterni alle persone. Tuttavia, questo non lo rende il solo che gli Yogi principalmente usano – che è il settuplice ragionamento. Tutti gli altri ragionamenti possono essere fatti risalire a quello sull'Originazione Dipendente che comunque, è così succinto da essere molto spesso duro da capire. La settuplice investigazione è assai più comprensibile.
È stato detto che il Settuplice Ragionamento è adatto per le persone, che gli altri tre ragionamenti sono validi per l'accertamento dell'assenza del <sé> dei fenomeni e che il ragionamento sull'Originazione Dipendente è utile per entrambi. Tuttavia, nella pratica, il settuplice ragionamento è applicabile a tutti i fenomeni e, gli altri tre, possono anche essere applicati alle persone. La settuplice analisi è affermata particolarmente per accertare l'assenza del <sé> delle persone, ma anche per applicarla alle persone voi dovete prima abituarvi ad utilizzarla sulla base del carro; poi, quando vi siete familiarizzati con questa settuplice analisi sulla base delle persone e sia emersa una qualche esperienza, potrete applicarla a qualunque altra cosa, proprio come prima avevate fatto col carro. Perciò, l'associazione di questi ragionamenti sulla base sia delle persone che dei fenomeni indica un aumento dei vantaggi, e non una limitazione.
Di conseguenza, l'onorevole Chandrakirti, si esprime in questo modo (222):
"Dato che le cose sorgono in maniera dipendente,
esse non possono essere sostenute da queste concezioni
(di essere prodotte da se stesse, da altro, e così via).
Quindi, questo ragionamento sull'Originazione Dipendente
taglia ed elimina tutti gli intrecci delle visioni perverse.
È molto difficile realizzare in che modo, tutti gli altri ragionamenti debbano
derivare da questo (cioè dal ragionamento sull'Originazione Dipendente) e
non avere una così eccezionale capacità di troncare le trame delle visioni
perverse, nello stesso modo come invece questo fa. Perciò, il Grande Padre
(Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub) la elogiano,
dicendo che il ragionamento sull'Originazione dipendente è il Re dei ragionamenti.
Da inesperti quali siamo, noi ci troviamo ad un livello in cui dovremmo fare gli altri ragionamenti, quelli che derivano dall'Originazione Dipendente; poi, quando saremo diventati abili in questi, potremo versare tutto ciò che avremo compreso dentro l'Originazione Dipendente, accrescendo ancor più la nostra comprensione di essa.
La stessa Originazione Dipendente rifiuta contemporaneamente entrambi gli estremi. Le cose sono originate in maniera interdipendente; il fatto che le cose siano interdipendenti, nega che esse possano esistere inerentemente ed il fatto che esse si originano e compaiono, nega che esse siano del tutto inesistenti. Quindi, esse non esistono inerentemente ma esistono in maniera imputata (cioè convenzionale).
Il rifiuto della produzione dell'esistente e non-esistente
ed il rifiuto di produzione delle quattro possibilità alternative
sono ragionamenti che stabiliscono l'assenza del <sé> dei fenomeni.
Le tre serie di ragionamenti, che furono dichiarate utili per accertare la mancanza di un <sé> dei fenomeni, diversi dalle persone, sono: 1) il rifiuto di produzione dei quattro tipi di estremi – cioè produzione da sé, da altro, da entrambi, e da nessuno dei due; 2) il rifiuto di produzione da parte delle quattro possibilità alternative – cioè una sola causa che produce un solo effetto, più cause, un solo effetto; una sola causa, numerosi effetti; e più cause per numerosi effetti. 3) il rifiuto della produzione di un effetto esistente, quello di un effetto non-esistente, di un effetto che sia esistente e non-esistente, e infine di un effetto che non sia esistente né non-esistente.
La mancanza di essere uno solo o molteplice, è applicato a entrambe
le assenze del <sé> (di persone e fenomeni). L'insegnamento esteso
del ragionamento in questione, cioè la mancanza di essere uno solo
o molti, in base all'analisi delle quattro essenzialità, dichiarate nella
"Piccola Esposizione degli Stadi del Sentiero" (223) di Tzong-Khapa,
è basato sul diciottesimo capitolo del "Trattato s.V.d.M." di Nagarjuna.
Tzong-Khapa scrisse tre esposizioni degli stadi del sentiero. Quella chiamata "Piccola" è in realtà la versione di queste tre, che ha una lunghezza intermedia, poiché quella più corta è chiamata "Concisa Spiegazione degli Stadi del Sentiero" ed è in versi. Queste tre esposizioni degli stadi del sentiero, sono scritte dal punto di vista dei sentieri comuni ai praticanti del Piccolo e del Grande Veicolo; essi non solo sono cataloghi di pratiche religiose, ma anche metodi che una persona che aspiri al Grande Veicolo, deve praticare come sentieri del Piccolo e del Grande Veicolo. Non vi è in essi, alcuna rappresentazione che sia peculiare o limitata al solo Piccolo Veicolo. Per esempio, se voi praticate la sezione che riguarda gli esseri di capacità media, voi non svilupperete la motivazione soltanto per tirarvi fuori dall'esistenza ciclica. Piuttosto, voi riconoscerete i difetti dell'esistenza ciclica e così via, al fine di formarvi una base di pratica come un essere di capacità elevate. Perciò, senza un crudo riconoscimento della sofferenza, la grande compassione e lo sforzo che tale duro riconoscimento produce, sono impossibili da realizzare. Dunque, questi stadi sono una serie coerente di pratiche per quella persona. Non crediate che, dato che volete diventare un essere di grandi capacità, voi pensiate di trascurare le pratiche degli altri due tipi inferiori di esseri. Per diventare un essere di capacità elevate, dovrete aver praticato e padroneggiato i livelli che sono stati spiegati anche per gli esseri di bassa e media capacità.
Nella "Piccola Esposizione degli Stadi del Sentiero", Tzong-Khapa descrive chiaramente la meditazione sulla vacuità, per mezzo di una serie di passaggi in quattro elementi essenziali, quattro movimenti fondamentali. Il primo è di accertare l'oggetto di negazione, cioè l'esistenza inerente; il secondo è di accertare che qualsiasi cosa che non sia inerentemente unica o inerentemente multipla non esiste (quindi) inerentemente; il terzo è di stabilire che una persona e gli aggregati mentali e fisici, che sono le basi di designazione della persona, non sono inerentemente un'unica cosa; e il quarto è di stabilire che una persona e gli aggregati mentali e fisici, che sono le basi di designazione della persona, non sono inerentemente multipli, o plurali o differenti (dalla persona stessa). Quindi, senza ulteriori indugi, voi realizzerete che voi stessi non siete inerentemente esistenti.
È perciò detto che questo (diciottesimo) capitolo, spiega i significati di
tutti gli altri ventisei capitoli del Trattato della Via di Mezzo, del sommo
Nagarjuna, che è sistemato in livelli di pratica; allora (l'insegnamento dei
Quattro Essenziali di Tzong-Khapa) fatto in questo modo, è veramente
molto importante. Vi sono numerose ragioni perché sia così, ma io le
lascerò (ai posteri) per i tempi che verranno…
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10 – PUO' QUALCOSA AVERE ORIGINE DA SE STESSA?
IN CHE MODO QUESTI RAGIONAMENTI RIFIUTANO GLI OGGETTI DI NEGAZIONE, CHE SONO I DUE TIPI DI <SE'>.
Questa sezione comprende tre parti: 1) Ragionamenti che rifiutano il <sé> dei fenomeni, 2) Ragionamenti che rifiutano il <sé> delle persone, e 3) il Re dei Ragionamenti, cioè quello dell'Originazione-Dipendente, che rifiuta il <sé> tanto delle persone che dei fenomeni (224).
Ragionamenti che rifiutano il <sé> dei fenomeni
Nagarjuna, nel suo Trattato sulla Via di Mezzo, spiegando le ragioni dei Frammenti di Diamante che Rifiutano la Produzione dei Quattro Tipi di Estremi (225), presenta quattro tesi di non-produzione dai quattro estremi (226):
"Non vi è mai produzione di alcunché in nessun luogo,
Né da se stesso, da altro, da entrambi o senza causa."
Inoltre, queste quattro tesi sono negazioni meramente non-affermative, cioè non implicano nessun'altra possibilità positiva per (la produzione) dei fenomeni. Questo è il capitolo Uno e la strofa Uno del Trattato. Non vi è mai nessuna produzione di qualsivoglia cosa in alcun luogo che si produca da se stessa, da altre cose, da entrambe le possibilità, oppure che sia (prodotta) senza alcuna causa. Queste sono le quattro tesi.
Alcune persone pensano che, poiché i Conseguenzialisti usano "conseguenze" basate sulle posizioni dei loro oppositori, essi non abbiano tesi proprie. Benché sia in un certo modo corretto che spesso i Conseguenzialisti usino conseguenze tratte dall'assurdità delle tesi oppositorie, non è comunque del tutto vero, almeno secondo la tradizione Ghelugpa, che essi non asseriscano anche una loro propria posizione. In genere, vi sono due tipi di tesi, cioè inclusive ed esclusive. Secondo Jam-yang-shepa (227), Nagarjuna e Chandrakirti usano entrambe. Che Nagarjuna usi tesi inclusive ed esclusive, è chiaro dal suo "Saggi sulla Mente di Illuminazione", in cui egli dice: - Io asserisco che le attività sorgono in maniera dipendente, e sono come i sogni o le illusioni di un mago". Inoltre, nel suo "Rifiuto delle Obiezioni", dice ancora: - Noi non dichiariamo una non-asserzione di argomenti convenzionali – e, nel suo "Sedici Strofe di Ragionamenti", continua:
"Coloro che asseriscono che i fenomeni dipendenti,
come, ad esempio, la luna che si riflette nell'acqua,
non sono in sé cose reali e nemmeno non irreali,
questi non sono di sicuro ingannati dalle visioni."
Il suo "Elogio del Supermondano" afferma: - Tu, (o Signore Buddha) hai insegnato che sia l'agente e sia l'oggetto sono mere convenzioni. La tua asserzione dichiara che essi sono stabiliti come mutualmente dipendenti -. Infine, anche Chandrakirti nel suo "AutoCommentario al Supplemento del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna" dice: " Il saggio dovrebbe pensare che questa posizione è senza errori e assai benefica e, perciò, dovrebbe definitivamente asserirla come tale". E ancora, " Quindi, poiché l'imputazione dipendente è asserita in accordo con l'asserzione che le originazioni dipendenti sono proprio condizionate, per le nostre posizioni non ne consegue che tutte le convenzionalità non siano annullate; è augurabile che anche i nostri oppositori possano asserire ciò"- Quindi, è chiaro che tanto Nagarjuna quanto Chandrakirti abbiano tesi positive, come dovrebbe anche essere chiaro dal loro uso dell'originazione-dipendente come ragione del perché i fenomeni non esistano inerentemente.
Riguardo alle tesi esclusive, o negative, le quattro tesi che negano la produzione esistente inerentemente sono esempi di tesi esclusive; esse meramente escludono o negano, senza stabilire una qualche asserzione positiva al posto di ciò che viene negato. Nondimeno, quando voi comprenderete le conseguenze che comprovano queste tesi, sarete in grado di comprendere maggiormente che, per questa ragione, i fenomeni sono senza una produzione che possa inerentemente esistere. Queste quattro tesi fungono da quattro ragioni per comprovare che le cose non sono prodotte in modo inerente. E ancora, avendo compreso ciò, voi sarete maggiormente in grado di concludere che le cose non esistono inerentemente. Perciò, benché le negazioni non-affermative non implichino alcun altro fenomeno positivo al loro posto, esse possono implicare altre negazioni non-affermative dello stesso tipo; le quattro ragioni implicano, o provano, un'assenza di produzione inerentemente esistente che, a sua volta, implica o prova, che le cose non esistono inerentemente.
Domanda: - Perché sono state affermate solo quattro tesi?-
Risposta: - Se le cose fossero prodotte inerentemente, allora (questa produzione)
sarebbe necessariamente una dei quattro tipi di estremi della produzione. A causa
di questo fatto, se sono state stabilite queste quattro tesi, si evince facilmente che
non può esservi produzione inerentemente esistente. Quindi, il ragionamento che
rifiuta i quattro estremi (della produzione), è un ragionamento decisivo.
Le possibilità di produzione inerentemente esistente sono determinate per essere (per forza) quattro; quindi, se potete negare queste quattro possibilità, arriverete a concludere che non vi è produzione inerentemente esistente, così come ora ci appare. Se voi non aveste determinato che le possibilità sono limitate a quattro, avreste potuto pensare che potevano essere cinque o più e sareste rimasti in attesa dell'arrivo delle altre possibilità; sareste rimasti perpetuamente in attesa di nuove filosofie da rifiutare. Questa non è la procedura della Scuola della Via di Mezzo; non si sta semplicemente rifiutando tesi correntemente accettate, ma si stanno scoprendo tutte le possibilità e le si sta rifiutando, di modo che si possa generare una conclusione che non può esservi un'esistenza inerente.
Obiezione: Quando si è rifiutata la produzione dei quattro tipi di estremi, se ciò fa
implicitamente stabilire una negazione della produzione inerente, non ne consegue
allora che queste tesi non siano negazioni non-affermative?
Risposta: Non può esservi una simile falsa deduzione. Per essere una negazione che
affermi, una certa cosa dovrebbe implicare, o comprovare, un altro fenomeno che sia
anch'esso positivo.
Il punto focale di questa obiezione è che poiché le quattro tesi che rifiutano i quattro estremi sono negazioni non-affermative, il fatto di stabilirle non può portare alla cognizione della vacuità, perché in tal caso esse dovrebbero comprovare qualcos'altro – una vacuità di inerentemente esistente produzione – al posto di ciò che è negato, e cioè la produzione (da parte di uno) dei quattro tipi di estremi. Tuttavia, la risposta è che la realizzazione di esse, può portare a quella tale cognizione; sebbene una negazione non-affermativa non possa affermare, comprovare, o implicare un fenomeno positivo, essa può affermare, comprovare o implicare un'altra negazione non-affermativa. Queste tesi provano una negazione di produzione inerente. Questa negazione di produzione inerente è essa stessa una negazione non-affermativa, non un fenomeno positivo, ma una semplice assenza di produzione autoesistente. A sua volta, essa comprova un'assenza di esistenza inerente, che è un'altra negazione non-affermativa.
La ragione per cui, se vi fosse una produzione inerentemente esistente,
essa sarebbe necessariamente una dei quattro tipi estremi di produzione,
è che di sicuro quella produzione sarebbe tanto con una causa quanto senza
una causa e, se essa fosse causata, sarebbe limitata a questi tre tipi – cioè
produzione di un effetto che 1) sia della stessa entità delle sue cause, 2) sia
di diversa entità rispetto alle sue cause, e 3) sia una composizione formata
tanto dall'essere della stessa entità, quanto dall'essere di diversa entità,
rispetto alle sue cause. L'Elevato Onnisciente (Tzong-Khapa), nell'affermare
tutto ciò nella sua "Grande Spiegazione", sia del Trattato della Via di Mezzo
di Nagarjuna, quanto del Supplemento di Chandrakirti – dà una spiegazione
assai importante e valida, sulla base della sua esperienza di questi grandi
testi. Comunque, sembra che la maggior parte di coloro che scrissero
argomenti sulla Scuola della Via di Mezzo, li relegarono in una sorta di
categoria di importanza minore. In ogni caso, essi ne discussero in maniera
molto succinta.
Il punto di vista di Nagarjuna, che limita le possibilità di produzione a quattro, non è normalmente spiegato. Le quattro tesi sono spiegate, ma perché esse siano limitate a quattro non si trova menzionato che in rari casi. Tuttavia, Tzong-Khapa enfatizza questa riduzione a quattro delle possibilità, nel fatto che una volta deciso che non vi erano altre possibilità, se si rifiutano queste quattro, allora si rifiuterebbe in toto la produzione inerentemente esistente e, quindi, l'esistenza inerente dei fenomeni. Di conseguenza, la convinzione di una limitazione a quattro ha una sua importanza.
Il solo tipo percepibile di produzione è (quello che proviene) da qualcos'altro, quindi perché considerare le altre alternative? Una ragione è che vi sono altri sistemi dottrinali, che asseriscono che vi sia produzione da se stessi, sia da se stessi che da altri insieme e anche in casi totalmente diversi da questi, e perciò è necessario confrontare le loro asserzioni sul loro stesso terreno. Ma soprattutto perché, se voi volete meditare su ciò, dovete trattare tutte le possibilità di produzione, non importa quanto immaginarie o illogiche esse possano apparire. Se dovete arrivare a convincervi che queste negazioni sono comprensibili, dovete affrontarle e approfondirle.
Per prima cosa, dovete vedere che tutte queste cose devono essere dei prodotti, che esse sono tutte prodotte da cause e condizioni. Dovete usare la vostra immaginazione, dovunque vi troviate e qualsiasi cosa stiate facendo, facendo sì che tutto ciò che sta apparendo, di apparire nel suo contesto di essere una cosa prodotta. Voi dovrete andare in giro, indicare le cose e dire, "Questo albero è un prodotto dei semi, del terreno, dell'acqua e dell'aria" e così via. La vostra immaginazione è così vasta; estendete questo pensiero più lontano che potete. Allora potrete cominciare ad accorgervi del modo in cui le cose vi appaiono. Qui c'è un sistema che dice che tutte queste cose non esistono nel modo in cui vi appaiono; questo sistema prende di petto queste apparenze col ragionamento. Voi dovete solo aprire la vostra mente e osservare bene in che modo gli
oggetti appaiono.
Ed anche dopo, quando avrete ottenuto una certa facilità nei ragionamenti ed avrete compreso qualcosa in più riguardo alla vacuità, queste produzioni continueranno ad apparirvi come se fossero inerentemente esistenti, stabilite dalla loro parte. Vi sarà ancora una mente che, sebbene possa essersi un po’ consumata lentamente tramite la meditazione sull'assenza di produzione stabilita inerentemente, ancora pensa che vi sia una produzione riscontrabile. Prendete di mira questa mente e dirigetela in una investigazione verso il fatto se questa produzione sia vera o no. Dovete diventare, almeno per un certo tempo, alquanto dubbiosi e confusi circa il fatto di come le cose possano essere prodotte da cause e, contemporaneamente, essere vuote di simile esistenza riscontrabile analiticamente.
Rifiuto della produzione da se stesso. Il rifiuto della produzione ( o dell'effetto)
da una causa che provenga dalla stessa entità (o da quel dato effetto) è questo:
Se un germoglio che è stato prodotto, fosse prodotto ancora dalla sua stessa entità,
quella produzione sarebbe senza senso. Perché, la stessa entità propria del germoglio,
avrebbe già ottenuto esistenza ancor prima del tempo (dell'entità) delle sue cause.
L'Abate Tantrico Kensur Lekden un giorno osservò che un seme aveva prodotto un germoglio alto un piede. Quindi, ora stiamo considerando due cose - sia il seme che il germoglio – che ovviamente sono differenti. Noi possiamo anche non giocare sulla sottile distinzione tra due cose molto simili, un seme ed un minuscolo germoglio che era proprio spuntato da esso. Benché c'è certamente il caso che vi sia un minuscolo germe di germoglio all'interno del seme, il germoglio di cui stiamo parlando è la pianticella che ha sviluppato radici e così non è più un qualcosa che assomigli ad un seme.
Superficialmente, questo argomento è principalmente diretto contro il sistema Samkhya, un'antica Scuola Indiana di filosofia non-buddhista, che ha le sue posizioni in tema di produzione. Essi dicono che un effetto esiste in maniera non manifestata all'interno della sua causa: quindi un germoglio esiste nella sua stessa entità come seme, ma non si è ancora manifestata nel periodo che è seme.
Jang-kya applica la terminologia buddhista alla posizione Samkhya. Se il germoglio è esistente al momento del seme che è la sua causa e se il germoglio è una cosa impermanente, esso è, quindi, qualcosa che è già stato prodotto, malgrado che la produzione debba riferirsi all'ottenimento di una esistenza dell'entità. Perciò, se il germoglio ha bisogno di essere prodotto ancora, malgrado il suo essere già stato prodotto una volta, questo è un caso in cui ciò che è già stato prodotto necessita di essere prodotto ancora.
Potrebbe sembrare ingiusto criticare la posizione Samkhya, manipolandola e giocando sui termini. Inoltre, per poter decidere se ciò sia giusto o meno e, quindi, se sia applicabile o no come ragionamento, è necessario continuare ancora un pò col gioco e impararlo; solo dopo aver fatto questo, potrete fermarvi e criticarlo. Se vi bloccate proprio per reclamare che questo argomento non è valido, non andrete mai oltre la prima base e non vedrete mai come questa cosa funziona. Alcuni hanno l'opinione che se voi proiettate la vostra mente in cose come queste, voi diventerete fissati in queste cose e perderete la vostra personale prospettiva. In questo caso ne conseguirebbe che voi non sareste in grado di osservare nessuna cosa senza poi avere la capacità di ravvedervi. Se fosse così, per noi non ci sarebbe speranza – noi non potremmo mai essere in grado di investigare nuovi argomenti e saremmo costretti a rimanere bloccati per sempre nell'esistenza ciclica. Tuttavia, può accadere che imparando a condurre il gioco in modo adeguato, voi sarete ancor più capaci di metterlo da parte.
"Vi è una inevitabile conseguenza del perché la produzione è (fatta) in maniera
di avere come scopo l'ottenimento (da parte di un effetto) della sua propria entità."
Il ragionamento è pervaso dal seguente predicato: " Tutte le istanze dei germogli che hanno già avuto la loro entità al momento delle loro cause, sono necessariamente istanze di cose la cui produzione ripetuta sarebbe senza senso". Questa diffulgenza, o conseguenza obbligata, è stabilita a causa del fatto che c'è una produzione tesa allo scopo di ottenere un'entità e se qualcosa ha già ottenuto la sua propria entità, essa è stata prodotta e non ha bisogno di venir prodotta nuovamente. Quindi, ogni istanza di questo tipo di produzione è un'istanza che non ha nessun senso. Se qualcosa esiste, essa ha già la sua propria entità e, perciò, si può dire che essa ha già ottenuto la sua propria entità. Non c'è alcuna questione riguardo a quest'ultimo punto; il Shamkhya dovrebbe accettarlo. Se, per giunta, la produzione significa che qualcosa ottiene la sua propria entità, allora dobbiamo senz'altro rifiutare la posizione Shamkhya.
Secondo i filosofi Shamkhya, tuttavia, la produzione è la manifestazione di ciò che non è manifesto, anche se già esistente. In ogni caso, questa può essere soltanto una mera sostituzione di termini, perché l'entità manifesta è ciò che si sta producendo, e qualcosa che prima non era manifesta ora si sta manifestando – perciò essa ottiene un'entità manifestata.
Obiezione: Non si può ritenere contraddittorio che qualcosa abbia già
ottenuto la sua propria entità, ma dover essere prodotta.
Risposta: Se il caso fosse questo, allora le continuità simili agli effetti
– come i germogli – non potrebbero mai essere prodotte e le continuità
simili alle cause – come i semi – sarebbero prodotte continuamente
senza interruzioni, fino al termine dell'esistenza ciclica. Perciò, proprio
ciò che era già stato prodotto, dovrebbe nuovamente essere prodotto
ancora e ancora, come duplicato senza fine.
L'oppositore ha or ora appena detto che non vi è contraddizione se qualcosa che ha già ottenuto la sua propria entità, venga ancora prodotta. Tuttavia, se non vi fosse contraddizione, per un seme che ha già ottenuto la sua propria entità, di essere ancora prodotto, non vi sarebbe possibilità di poter emergere per gli effetti di quel seme, e cioè il germoglio. Lo stesso seme, benché prodotto nel senso di aver ottenuto la sua propria entità, avrebbe necessità di essere nuovamente prodotto ancora e sempre, all'infinito.
Una volta che si dica che ciò che esiste deve essere stato prodotto per poter essere manifestato, allora si potrebbe essere forzati a dire che anche ciò che è manifesto esiste ed anche che esso richiederebbe una continua produzione, ancora e ancora, per sempre. Invero, lo stesso seme e non il successivo momento di quel seme, verrebbe ad essere prodotto all'infinito.
Il Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna, dice: (228)
Non può assolutamente esservi produzione di qualcosa (che sia prodotta) da se stessa.
Inoltre, la successiva produzione di ciò che è stato prodotto non è proprio ammissibile.
Se si pensa che ciò che è stato prodotto, possa essere prodotto ancora e nuovamente,
Non si potrebbe mai trovare produzione di quelle cose, tipo i germogli, qui nel mondo,
Ed un seme potrebbe solo essere prodotto alla fine dell'esistenza ciclica…
Mi sembra che noi non si debba limitarci a considerare questo ragionamento dal punto di vista Shamkhya, cioè di un effetto prodotto da cause che sono della stessa entità (o essenza). Piuttosto, provate ad immaginare che un oggetto riproduca se stesso all'infinito – non come nel caso che un dato momento precedente produca il momento successivo, ma proprio come se una cosa producesse se stessa continuamente, senza alcun cambiamento. Non c'è dubbio che questa sarebbe completamente una follia e che una simile produzione andrebbe avanti all'infinito. È facile vedere primariamente l'errore in questo modo.
Nonostante l'evidente impossibilità di questa posizione, della produzione da sé, il rifiuto di essa può lasciare alquanto sconcertati, poiché sorge un dubbio riguardo a questa inerente esistenza che appare in maniera così vivida. Per di più, questo rifiuto attacca la visione che l'impermanenza significhi una continua produzione all'infinito del medesimo oggetto. Se voi avete una grezza sensazione che l'esistenza temporanea significhi il balenare di ciascun momento nell'esistenza, per esempio, di uno stesso filo d'erba, questo ragionamento vi ci farà arrivare.
Procedendo in questo ragionamento, ci si può sentire un po’ sospinti. Voi avevate quattro possibilità per una produzione inerentemente esistente e adesso vi sentite spinti verso le altre tre. Incidentalmente, non è necessario meditare su questi quattro tipi estremi della produzione, nell'ordine dato dal testo di Nagarjuna. Nel suo "Chiave alla Via di Mezzo", il Dalai Lama mette prima la produzione senza-causa, probabilmente perché questa è la più facile da collocare. Poi, egli spiega le negazioni della produzione da sé e produzione da altro, con ultima la produzione sia da sé che da altro, dato che il ragionamento che li rifiuta individualmente, è portato a sostenere i due messi insieme. Noi cadiamo nella fortissima attrazione verso la produzione da altro, ma la produzione da sé e da altro, viene rifiutata per ultima perché la negazione di produzione da altro deve rifiutare un'asserzione dualistica. Se allora voi vi mettete a considerare la produzione senza-causa, la forza del vostro pensiero potrebbe disperdersi, perché al momento di rifiutare la produzione da altro, il vostro interesse era maggiormente diretto su di essa. Probabilmente questa è la ragione per cui il Dalai Lama considera prima la produzione senza-causa.
Cercate di usare qualsiasi metodo che sia il migliore per voi; non come se vi fosse un solo ordine e voi doveste fare solo in quel modo. Meditando con questi ragionamenti, noi dobbiamo lavorare con la nostra propria mente e, perciò, possiamo determinare il metodo migliore e più facile per noi.
Riguardo a questo, poiché gli Shamkhya asseriscono che seme e germoglio
sono mutualmente differenti, essi non asseriscono che un germoglio (230)
è prodotto da un germoglio; ciononostante, essi asseriscono che la natura
del germoglio e la natura del seme è la stessa ed è unica e che, perciò, le
loro rispettive nature sono mutualmente l'una e l'altra. Di conseguenza,
le erronee ragioni precedentemente spiegate si applicano (alla loro posizione).
Gli stessi filosofi Shamkhya sostengono che un seme ed il germoglio, che è il suo effetto, siano mutualmente differenti: il seme è differente dal germoglio e il germoglio è differente dal seme. Tuttavia, essi dicono anche che la natura del seme e la natura del germoglio è la stessa. Essi ritengono che se il seme ed il germoglio non avessero la stessa natura, allora tutte le cause ed effetti si confonderebbero. Per esempio, gli Shamkhya dicono che sebbene un germoglio abbia diverse cause, esse producano un solo effetto, mostrando così che le diverse cause hanno una sola e stessa natura. Se voi volete far crescere del granturco, è necessario avere una serie di cause; se volete costruire una casa, avete bisogno di altre cause. Vi deve essere una stretta relazione tra cause ed effetti. Altrimenti, non vi sarebbe alcuna certezza che semi di mela producano mele, pere producano pere e pesche producano pesche. Quindi, gli Shamkhya dicono che un particolare gruppo di cause possiede la stessa natura dei suoi effetti. Perciò, causa ed effetto non sono una cosa sola, ma differenti stati manifesti all'interno di una stessa natura – stato di causa e stato d'effetto, cioè stato di seme e stato di germoglio.
Noi abbiamo il dovere di scoprire a quale "natura" si riferisce il Shamkhya. Forse afferma che sia il modo in cui le cose appaiono in questo momento? Che sia un modo per stabilire l'esistenza inerente della produzione? Nel sistema Shamkhya, ogni cosa è prodotta dalla Natura (231) e si dissolverà nella Natura. Inoltre, quando qualcosa si è prodotta, essa ha ancora la stessa entità di questa Natura. Per il Shamkhya, produzione e disintegrazione equivalgono a manifestazione e dissolvimento.
Se voi vi trovaste a fare la meditazione Shamkhya, dovreste sedervi giù e annullare il mondo, attraversando tutto il processo di evoluzione e dissolvimento del mondo, fuori e dentro la Natura. Giunti al punto di totale dissolvimento, non vi sarà più apparizione di fenomeni convenzionali, e si coglierà ciò che è chiamato "il Sé", che è pura consapevolezza. Similmente, nel sistema Conseguenzialista, se vi mettete a meditare e riuscite a cogliere direttamente la vacuità, la mente sarà totalmente fusa con la vacuità, senza alcun'altra apparizione di sorta. Questa condizione è qualcosa di simile, nella meditazione Shamkhya, alla coscienza che è sola dopo che tutte le manifestazioni si sono dissolte nella Natura. Per di più, nel buddhismo si dice che il Corpo di Verità (Dharmakaya) di un Buddha pervade ogni cosa e che non esiste alcun luogo in cui non vi sia il Corpo di Verità.
Dal punto in cui siamo, gli insegnamenti buddhisti e Shamkhya stanno indicando quasi la stessa cosa; quindi, chiunque voglia avere l'esperienza della visione buddhista del mondo, deve aver molta cura nel rifiutare i sistemi non-buddhisti. In quanto, vi sono meditazioni simili sull'evoluzione e dissolvimento, nei Tantra buddhisti, in cui tutti i fenomeni appaiono e successivamente si dissolvono dentro un'unica sillaba; tuttavia, quando tutte le cose scompaiono e riappaiono, esse sono qualificate con una analisi di introvabilità, con la vacuità, rendendo il processo diverso da quello Shamkhya, a meno che l'esperienza Shamkhya della pura consapevolezza permetta che i fenomeni siano qualificati da una sensazione di radicale interdipendenza, che neghi la loro apparente solida sembianza.
È importante sapere ciò che è da rifiutare e ciò che non lo è. Per esempio, i Vedantini parlano di un <Sé> che pervade tutti i fenomeni. Il <sé> convenzionale, soggetto a sofferenza ed impermanenza, ha un'immediatezza diretta, è vividamente presente qui. Nella ricerca del Brahman, la realtà ultima, le qualità limitate del <sé> sono cancellate e perdono questa immediatezza. Per essi, il Brahman è la verità ultima, la soggiacente natura di tutto, che è considerata normalmente distante. Nella meditazione, la sensazione di distanza del Brahman è annullata e l'ammorbata natura limitata del <sé> è cancellata, nel mentre la sensazione del Brahman come realtà è acquisita sotto forma di immediatezza del <sé>; perciò queste due sensazioni sono poi equiparate. Nella frase del Vedanta, "TAT TVAM ASI" (Tu Sei Quello), "Tu" diventi puro e "Quello" diventa immediato, essendosi i due fusi insieme.
Se voi rivendicaste che nulla di ciò esiste nel buddhismo, potreste incorrere in un grosso errore. In quanto, quando una cognizione diretta di vacuità è presente nella Scuola della Via di Mezzo, essa è detta essere come acqua versata nell'acqua – la saggezza consapevole è fusa insieme con la vacuità, o natura ultima, di tutte le cose. Il rifiuto del Vedanta da parte della consorteria buddhista potrebbe prevenire ed ostacolare l'aprirsi alle essenziali pratiche del buddhismo. Per esempio, prendere in giro gli Yogi Induisti perché essi dichiarano di "vedere Dio" in tutte le cose, potrebbe bloccare la mente e impedirle di scoprire che la "Vacuità" è la "sostanza" delle apparenze, che i fenomeni sono una sorta di divertimento (232) della vacuità. Per i praticanti, la linea del rifiuto deve venir tracciata con molta attenzione.
"Gli stessi Shamkhya non asseriscono ciò, ma poiché i due, seme e germoglio,
per loro, sono una sola cosa con la natura inerente, il loro essere una cosa sola
diventa il modo in cui seme e germoglio sussistono, mentre dovrebbero essere
indifferenziati. I filosofi Shamkhya logicamente, sono stati costretti a tenere
questa posizione, dopo di che la cui erroneità è stata dimostrata. (Quando la
produzione da sé) è stata rifiutata nel "Supplemento " di Chandrakirti e nel suo
relativo Commentario, i ragionamenti usati sono stati quelli che egli ha fatto sia
nel commento come pure in ragionamenti (citati) dal Trattato della Via di Mezzo
di Nagarjuna. Il primo di essi è:
1) "Se la causa e l'effetto fossero un'unica entità,
ne dovrebbe conseguire assurdamente che seme e germoglio non differirebbero
rispetto alla loro forma, colore, sapore e capacità…"
Ciò che Chandrakirti ci sta dicendo, alla fine è che se due cose sono un'unica natura, o una sola entità, e sono inerentemente esistenti, allora esse sono una sola cosa. Voi dovrete confrontare quest'asserzione e decidere se sia o meno valida. Se la loro natura è una sola, allora in che modo potrebbe esservi una differenza?
Per esempio, se la mano – le dita, il palmo, le unghie e così via – fosse inerentemente un'unica entità, allora anche tutte le sue parti sarebbero una sola cosa. Potete indicare tutte le cose che sono le basi di designazione di una "mano". Vi è forse qualcos'altro che sia la "mano", che sia apparsa prima in maniera così convincente? Non potete indicare nessun'altra cosa, qui e ora, che sia proprio la mano. Senza allargare mentalmente una sorta di unicità della vostra mano, come si farebbe spargendo maionese su una fetta di pane, non vi è nulla che sia in se stessa. Il punto è che non è possibile trovare una cosa che sia analiticamente proprio una mano. Ciò è assai arduo; avrete un bel po’ da lavorare su questo. Una volta che avrete provato un po’ a giocare, seguendo i ragionamenti dati nei testi, dovrete interiorizzarli e penetrare in ogni loro sfaccettatura.
Un seme, ed il germoglio che è il suo effetto, sono insieme la stessa cosa e due cose differenti. Se essi fossero inerentemente la stessa natura, qualsiasi cosa che sia realmente un seme, dovrebbe essere anche realmente il germoglio. Se il seme è bianco, il germoglio dovrebbe essere bianco. Se voi potevate tirar fuori della farina da quel seme, dovreste essere in grado di tirar fuori la stessa farina dai germogli. Se il seme è amaro, anche il germoglio dovrà essere amaro, e così via. Non è detto che la mera esistenza implichi che due cose, che siano la stessa entità, debbano essere la stessa cosa in tutti gli aspetti; anzi, se le cose esistessero nel modo come appaiono – cioè se esistessero per loro propria proprietà, dalla loro parte,- allora, due cose che sono la stessa entità dovrebbero essere la stessa cosa in tutti gli aspetti.
2) Ancora, ne conseguirebbe (assurdamente) che quando
il suo precedente stato (cioè, come seme) è stato perduto, la natura
unica del seme e del germoglio dovrebbe anch'essa essere perduta.
Lo stato di seme è perduto quando lo stato di germoglio si manifesta. Tuttavia, una volta che il seme è andato, come potete arrivare a dire che la natura del seme e quella del germoglio sono la stessa cosa?
Questo tipo di problema appare anche nel buddhismo. Dicendo che tutti i fenomeni convenzionali sono un gioco della vacuità, manifestazioni della vacuità, sembra quasi di voler dire che gli oggetti siano solo differenti stati della vacuità. Questa visione non appartiene solo ai Tantra; essa appare anche nei sistemi dei Sutra. Per esempio, il Quarto Panchen Lama parla di vedere le apparenze come il gioco della vacuità (233).
In conseguenza dell'equilibrio meditativo, tutti i fenomeni – cioè l'Io e così via, - dovrebbero essere meditati come il divertimento della Vacuità, come le apparizioni illusorie di un mago. In altre parole, impegnandoci a sviluppare una fortissima convinzione di rifiuto dell'idea di realtà delle cose (cioè cominciando a credere che i fenomeni non esistano inerentemente), durante l'equilibrio meditativo e anche successivamente, ciò conduce alla visione che tutto ciò che appare, seppure sembra apparire come inerentemente esistente, altro non è che il divertente gioco (della vacuità), tale come le illusioni di un mago, false e prive di verità.
Poiché la vacuità di esistenza inerente rende possibile l'apparenza, i fenomeni sono in un certo senso, il gioco della vacuità. Si può anche dire che la loro sostanza di base sia la vacuità. Tuttavia, la vacuità è una negazione non-affermativa, nient'altro che la mera assenza o mera eliminazione dell'esistenza inerente, e non implica null'altro al posto dell'esistenza inerente, anche se può essere compatibile con il sorgere in maniera interdipendente dei fenomeni. Quindi, la vacuità non è una sostanza positiva (o concreta) che dà origine ai fenomeni. Eppure, la vacuità diventa in questi casi, quasi una sostanza, qualcosa da cui ogni cosa prende forma. Ciò è qualcosa di simile alla conosciutissima posizione Induista che ogni cosa è un'apparenza di una sostanza fondamentale.
3) Ne conseguirebbe (assurdamente) che durante ciascuno degli
stati di seme e germoglio, sia il seme che il germoglio sarebbero insieme
ugualmente conoscibili, oppure non lo sarebbe nessuno dei due.
Nel momento in cui è manifesto il seme, il germoglio ancora non c'è; tuttavia, poiché secondo gli Shamkhya seme e germoglio sono della stessa natura, se il seme è conoscibile, anche il germoglio dovrebbe essere c0ntemporaneamente conoscibile. Allo stesso modo, nel momento della manifestazione del germoglio, lo stesso seme dovrebbe ancora poter essere afferrabile. In modo similare, i logici buddhisti sostengono che quando un verme che era stato un elefante nella sua vita precedente si trova sulla cima di un filo d'erba, c'è realmente un elefante sulla punta di quel filo d'erba. Di certo, gli Shamkhya sarebbero d'accordo che su quel filo d'erba vi sia un elefante non-manifesto. Ciò appare assurdo; si è costretti ad attaccare col dibattito una teoria facendo in modo che la loro posizione appaia inadeguata in termini mondani ordinari.
4) La rinomata usanza mondana condanna (quella posizione)
che dichiara che il seme ed il germoglio siano di un'unica natura.
Sebbene il mondo, cioè le ignoranti persone ordinarie, non hanno alcun tipo di conoscenza di queste cose, come "l'unicità di identità di seme e germoglio", il mondo stesso sa che non si può vedere il germoglio quando ancora vi è il seme. Tuttavia, se la rinomanza mondana fosse tanto grande da distruggere una qualche cosa, allora la vacuità non si fermerebbe mai. I Conseguenzialisti riportano ciò che disse il Buddha: "Io sono d'accordo con ciò che il mondo accetta" ma, di certo, egli non fu d'accordo sul modo di essere dei fenomeni nel modo in cui il mondo li concepisce.
Rifiutando la produzione da sé, (Chandrakirti) usa anche i ragionamenti
del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, cioè che ne conseguirebbe
(assurdamente) che il produttore ed il prodotto sarebbero una sola cosa,
e che le tre cose – azione, agente e oggetto – sarebbero una sola cosa (234).
Se il produttore, - cioè il seme – fosse la stessa entità di ciò che esso produce – cioè il germoglio – allora l'agente e l'oggetto sarebbero la stessa cosa. Se l'agente e l'oggetto fossero la stessa cosa, una spada potrebbe tagliare se stessa, un dito potrebbe toccare se stesso nel medesimo punto, e così via. A causa di tali assurdità, non si può accettare che una causa ed il suo effetto siano la stessa entità, o la stessa natura.
Il semplice parlarne non è sufficiente; il rifiuto deve essere contemplato in meditazione, fino al punto in cui sia sviluppata una profonda convinzione che quelle posizioni sono impossibili e, di conseguenza, l'apparente concretezza degli oggetti, il loro supposto esistere dalla loro parte, comincia ad essere disturbato ed a tentennare. Voi stessi comincerete a meravigliarvi del modo come avevate concepito questi oggetti; inizierete ad esserne profondamente scossi.
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11) MA UNA PIANTA CRESCE?
Rifiuto di produzione da altro. In questa proposizione, "Altro" non significa semplicemente "un'altra cosa"; ma è un
"altro" stabilito per via delle stesse sue proprie caratteristiche.
Questo "altro" che viene rifiutato non è qualcos'altro – convenzionalmente esistente. È un altro che esiste per via delle sue proprie caratteristiche, cioè che è presunto esistere inerentemente, un effluvio di ciò che è, o dovrebbe essere, un "altro" riscontrabile attraverso un'analisi.
Vi sono molte conseguenze indesiderate che provengono da un asserire che gli effetti sono prodotti da cause, riconoscibili come qualcos'altro che sia inerentemente esistente; per esempio, una correlazione di certi effetti con certe cause sarebbe impossibile, in quanto tutte le cose, incluse quelle che solitamente non sono considerate come cause di una certa cosa, sarebbero ugualmente un qualcos'altro che esiste in maniera inerente.
Potrebbe qui accadervi di sentire, che una qualità di esistenza inerente che non appartiene alla vostra normale concezione di causa, debba essere imposta su questo "altro". I Conseguenzialisti sono d'accordo; essi dicono che noi non siamo in grado di concepire in modo innato la causa e l'effetto, come se fossero "altre cose" inerentemente esistenti. Noi le concepiamo, in modo innato, come se esistessero inerentemente, come esistenti a causa delle loro proprie caratteristiche, ma in modo innato noi non penetriamo all'interno di un certo pensiero per sapere se esse siano la stessa cosa o qualcosa d'altro, almeno quando consideriamo le cause ed i loro effetti sostanziali.
Se pensiamo ad un albero, come una quercia, che possa essere cresciuto da una ghianda, potrebbe sembrare che si stia considerando la quercia e la ghianda come due cose diverse una dall'altra. Tuttavia, appare Chandrakirti a contestare ciò, indicando che noi diciamo: "Ho piantato quest'albero", mentre, in realtà, noi abbiamo soltanto piantato il suo seme; "Io ho generato questo bambino", direbbe un maschio che, in realtà, ha semplicemente piantato il suo seme in un utero (235).
"Gli esseri del mondo, soltanto perché piantano i loro semi, dicono: -
Io ho generato questo bambino - e pensano anche di aver piantato alberi.
Invece, una produzione da qualcos'altro non esiste, neanche nel mondo!"
In questa dichiarazione, Chandrakirti si sta riferendo, probabilmente, a quelle volte che noi consideriamo la produzione di questo da quest'altro, in quanto in questo contesto, la differenza sembrerebbe suggerire che causa ed effetto non siano collegati.
Tuttavia, dato per scontata l'esistenza di causa ed effetto, essi debbono essere tanto la stessa cosa che qualcosa d'altro e, spesso, noi di certo enfatizziamo la differenza di cose che risultano essere cause ed effetti – come ad esempio, quando percepiamo una mela e immaginiamo i semi di mela che l'hanno prodotta. Se vi trovate in una frutteria e chiedete al venditore una mela, se egli vi dà un seme di mela, di sicuro voi sarete in grado di capire che un seme di mela è diverso da una mela, cioè è qualcosa d'altro. Tzong-Khapa dice che noi non siamo in grado di concepire in maniera innata che causa ed effetto siano cose diverse inerentemente esistenti e che, certamente, una differenza di entità di causa ed effetto non è ben stabilita da una certa prospettiva mondana (236). Eppure, io stesso mi meraviglio se in realtà noi li concepiamo come cose diverse inerentemente esistenti, in questo contesto.
In ogni caso, l'istanza dei Conseguenzialisti non riguarda il fatto se noi percepiamo in modo innato causa ed effetto come cose diverse tra loro, inerentemente esistenti e quindi come qualcosa di diverso e non collegato.
Quanto piuttosto, essi rivendicano che se causa ed effetto esistessero nel modo in cui essi appaiono (cioè, come inerentemente esistenti), allora essi sarebbero certamente qualcosa d'altro non collegato.
Inoltre, coloro che propongono la produzione da un'altra cosa,
asseriscono che allo stesso modo in cui un chicco di riso è così
stabilito, per via delle sue proprie caratteristiche, come diverso
da un germoglio di riso, che è il suo proprio effetto, così anche
cose come il fuoco ed il carbone sono stabilite, per via delle loro
proprie caratteristiche, come diverse quanto il germoglio di riso.
Se a questo punto, ci limitiamo a considerare semplicemente quella parte della loro asserzione che riguarda "l'altro", allora proprio allo stesso modo in cui le cause di un libro – cioè l'albero da cui fu fatta la carta, l'inchiostro, lo stampatore, e così via – sono stabilite per via delle loro proprie caratteristiche come diverse dal libro, così il libro e la sedia su cui voi siete seduti, sono stabiliti per via delle loro proprie caratteristiche, come diversi l'uno dall'altra. Riguardo alla loro condizione di diversità, essi sono esattamente la stessa cosa.
In questa analisi, non c'è il minimo indizio verso una qualche cosa, se non consideriamo l'altra cosa con cui di solito ci si correla. Per esempio, abbiamo qui un seme di mela ed una mela. Essi sono diversi. Voi non potete mangiare il seme e provare il gusto di una mela; esso è chiaramente qualcosa d'altro rispetto alla mela. Esso perfino appare, dalla sua parte, essere diverso. Una volta che voi avete considerato il seme, concentratevi sulla mela; anch'essa sembra, dalla sua parte, essere proprio qualcosa di diverso; e quella sembra essere la sua natura.
Se questi due modi di essere diversi sono asseriti come essere simili,
allora una densa oscurità che (si suppone essere) rischiarata (dalla luce)
sarebbe (per assurdo) sorta anche da una fiamma splendente che (si
suppone) debba rischiarare (l'oscurità), e nessuna cosa proverrebbe da
un qualcosa d'altro, tanto se essi siano causa ed effetto o meno. In quanto
essi avrebbero tutti una uguale diversità, che è stabilita dalle loro proprie
caratteristiche.
Nessuna cosa potrebbe sorgere da qualcos'altro, che le si consideri o meno solitamente come causa ed effetto. Dato che voi avrete perso ogni criterio per specificare quale sia la causa e quale il suo effetto. Se è possibile avere causa ed effetto tra due cose normalmente stabilite come diverse, allora dato che ogni cosa è ugualmente diversa, potremmo avere causa ed effetto tra ciascuna delle due cose diverse.
Insomma, dipende dal tipo di relazione che c'è. Due cose sono (tra loro) causa ed effetto; esse devono essere uguali o diverse. In quale categoria mettereste la relazione di causa ed effetto? Gli Shamkhya intendono metterla in quella dell'uguaglianza; i Buddhisti desiderano mettere la relazione nella categoria della diversità. Perfino per i Conseguenzialisti, almeno volendo interpretare Tzong-Khapa ed i suoi seguaci, causa ed effetto sono entità diverse, ma esse non sono diversità inerentemente esistenti, perché una relazione di causa non può essere sostenuta tra cose diverse inerentemente esistenti.
Questo è il ragionamento insegnato nel ventesimo capitolo
del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna (237):
"Se la causa e l'effetto avessero diversità,
tanto la causa che la non-causa sarebbero eguali"
Questo ragionamento è insegnato anche nel Commentario
di Buddhapalita, riguardo a questo punto, e dal glorioso
Chandrakirti, il quale così afferma (238):
"Se, a partire dalle diversità, qualcosa sorgesse da
qualcos'altro di diverso, allora la densa oscurità sorgerebbe
perfino da una luminosa lingua di fuoco e tutto si potrebbe
produrre da tutto, dato che perfino tutto ciò che non produce
ugualmente avrebbe la propria diversità…"
Obiezione: Le cose non sono sottoposte ad essere causa ed effetto semplicemente perché
sono cose diverse così stabilite per via delle loro proprie caratteristiche. Le cose sono
considerate come causa ed effetto soltanto perché sono un tipo speciale di cose diverse –
avendo (la causa) la capacità di determinare l'effetto, e così via. Quindi, la determinazione
di cause e non-cause (rispetto ad un particolare effetto) è sicuramente possibile.
Jang-kya ebbe precedentemente a dire che le "altre cose", nel rifiuto della produzione da "altro", non sono semplicemente "altre cose", ma cose diverse stabilite, per via delle loro proprie caratteristiche, come "altre cose". Ora, un obiettore trova da dire che le cose non sono meramente sottoposte ad essere cause ed effetti solo perché esse sono quelle "altre cose"; costui sta cercando di eliminare le "altre cose" non correlate. Quindi, noi dovremo davvero chiamare le cose "cause" ed "effetti", non solo perché sono differenti tra di esse, ma perché esse possiedono una certa relazione. In altre parole, se vi fossero cose diverse inerentemente esistenti, sarebbe accettabile un unico criterio per causa ed effetto, invece vi è un criterio aggiuntivo di essere correlato – nel senso che la causa ha la capacità di produrre l'effetto. Ciò che è "altro" ed assiste nella produzione di un effetto è la sua causa; ciò che è "altro" ma non agevola la produzione di quel particolare effetto non è la sua causa. La causa deve aiutare la produzione dell'effetto; essa deve precedere l'effetto e deve essere "altro", cioè diversa dall'effetto.
Risposta: Anche questa obiezione non è corretta, perché una volta che le cose sono ben
stabilite, per via delle loro proprie caratteristiche, come diverse, diverso deve essere il
loro modo di sussistenza. Essendo questo il caso, esse devono essere effettive diversità
completamente svuotate di ogni relazione l'una con l'altra. Quindi, sarebbe totalmente
impossibile per un seme di riso ed un seme di orzo differire (tra essi) rispetto all'avere
o non avere la capacità di produrre un germoglio di riso, di orzo, e così via…
Poiché cose diverse naturalmente esistenti non sono correlate a cose diverse, noi non possiamo stabilire una relazione che leghi insieme un seme ed il germoglio, che è il suo effetto. Perciò, noi non possiamo dire che un seme di riso abbia una speciale capacità di produrre un germoglio di riso e che un seme di orzo sia senza questa speciale capacità. Dato che essi sono entrambi ugualmente diversi dal germoglio di riso e poiché questa differenza è nella loro propria natura, uno non può in qualche modo essere meno diverso dell'altro. Noi però possiamo almeno dire che questo ragionamento assalirà il nostro modo di percepire, quando talvolta vediamo una cosa diversa totalmente distinta, anche se questa sensazione è artificiale e non innata.
Per di più, se la produzione da "altro" esistesse per via della sua stessa entità,
l'effetto dovrebbe essere esistente ben prima di essere stato prodotto. Perché
una volta che la produzione è asserita, le due cose – la cessazione della causa
e l'avvio alla produzione dell'effetto – dovrebbero essere simultanei, in tal caso
anche le due azioni di produzione e cessazione dovrebbero essere simultanee,
mentre anche gli stessi eventi di causa ed effetto dovrebbero essere simultanei!
Il germoglio che diventerà alto un piede, sta crescendo già da quando voi versate acqua sul seme. Se io coltivo il frumento, anche la spiga di grano crescerà. Non importa quanto piccola sia la cosa che si trova nella fase di crescita, noi avremo comunque un problema, perché la cosa che qui sta crescendo, non sarà ancora cresciuta abbastanza.
Quando un germoglio sta crescendo, è presente un'azione di crescita e, quest'azione necessita di un agente, un qualcosa che stia crescendo. Questo qualcosa è il germoglio, la piantina; l'azione di crescere riguarda esso. Tutto ciò può sembrare molto tecnico; eppure, noi stiamo parlando della "crescita" come se essa esistesse proprio qui, in e per se stessa, e dovessimo esaminare se questa cosa, a cui diamo il nome di "crescita", sia sostanzialmente esistente come ci appare, oppure sia solo una imposizione della mente.
La ragione per (la conseguente simultaneità di causa ed effetto) è che un'azione
per avviare la produzione, deve per forza dipendere da qualcosa, per esempio
un germoglio che sia l'agente nell'espressione: "Questo effetto sta crescendo!"
Pertanto, essi (causa ed effetto) sono rispettivamente sostenuto e sostenitore.
Il sostenitore è l'effetto, il germoglio, la cosa che cresce. Ciò che è sostenuto è la sua attività, l'atto del crescere. L'agente, il germoglio, è la base dell'attività.
Se questi, sostenitore e sostenuto, fossero stabiliti per via delle loro proprie
caratteristiche, allora ogni qualvolta dovesse esistere l'attività della crescita,
il germoglio dovrebbe anch'esso esistere. Perché, in alcun modo la sua natura
non cambierebbe. Perciò Chandrakirti, nel suo Supplemento al "Trattato sulla
Via di Mezzo" di Nagarjuna, afferma (239): "Senza un agente, anche questa
crescita non è riscontrabile come un'entità che sia in alcun modo possibile!"
Se il sostenitore, il germoglio, e la cosa sostenuta, la sua crescita, esistessero dalla loro parte, essi devono esistere nel medesimo tempo. Il germoglio, che è l'agente che adempie all'attività di crescere, deve esistere contemporaneamente alla sua crescita. In quanto, sarebbe senza senso esservi un'attività senza un agente. Una volta che il germoglio sia inerentemente stabilito come l'agente che è il supporto dell'attività del crescere, esso è immutabile. Una volta che qualcosa sia inerentemente data per stabilita, la sua natura è bloccata in quella stessa cosa.
È importante qualificare questo rifiuto, che si riferisce ad "altre cose diverse", che siano stabilite per via delle loro proprie caratteristiche, perché nel sistema Conseguenzialista la produzione convenzionale è asserita – una produzione che sorge dipendentemente e che è analiticamente non riscontrabile.
In termini di produzione nominalmente esistente, se le cose diventassero
contemporaneamente sostenitore e sostenuto, non sarebbe necessario che
esse siano in tal modo per tutto il tempo. Quindi, (una mera produzione,
di tipo convenzionale) non avrebbe queste incongruenze. Il Più Grande tra
gli Onniscienti (Tzong-Khapa) sostiene che questo è un ragionamento assai
sottile (240) e molto significativo, in questo sistema che rifiuta la cosiddetta
"produzione da qualcosa di diverso", cioè la produzione da altro…
In una crescita esistente convenzionalmente, voi non fareste questo tipo di indagine all'interno della crescita. Qualcosa cresce senza che sia presente o visibile la cosa che cresce; noi diciamo che una spiga di grano sta crescendo, ma ancora qui non c'è. L'analisi riguardo al fatto se la cosa che cresce ora sia qui o no – l'identico pensiero che hanno molti bambini e che ci infastidisce ora e sempre – è l'analisi ultima. In più, la validità della produzione esistente convenzionalmente non ci conferma il modo in cui noi sentiamo rispetto al crescere delle cose, e così via. La crescita che noi ora conosciamo, è così totalmente mischiata con l'esistenza inerente e con un senso di evidente riscontrabilità che è impossibile individuare nella nostra esperienza, la convenzionale esistenza della produzione. Se vi capita di passare per un campo e vi accorgete soltanto che il grano sta crescendo, senza mettere una particolare attenzione a ciò, la vostra sensazione di quella crescita potrebbe accordarsi col fatto di una sensazione, che non vi faccia attivamente sovrapporre su di essa una base di esistenza inerente. Tuttavia, una tale conoscenza della crescita, anche se non erronea circa lo status della crescita stessa, non permetterebbe una comprensione della sua reale natura. In altre parole, per poter comprendere qualcosa che sia esistente solo convenzionalmente, dobbiamo prima riconoscere la sua vacuità.
La produzione da "altro", non è asserita da questo sistema,
neanche solo convenzionalmente, ma è asserito che nessuna
innata coscienza concepisce causa ed effetto come cose altre
che siano diverse e differenti per via delle loro caratteristiche.
I Conseguenzialisti non asseriscono la produzione da "altro", nemmeno convenzionalmente. Essi però asseriscono la produzione convenzionale; causa ed effetto sono comunque diversi, ma essi non sono cose diverse riscontrabili in modo analitico.
La coscienza innata include sia le innate forme di ignoranza come pure alcune cognizioni valide; la sola che qui viene discussa è l'ignoranza, essa apprende causa, effetto e produzione come (se sono) stabiliti per via delle loro caratteristiche. Tuttavia, essa non apprende gli effetti come cose diverse che sono stabilite per via delle loro proprie caratteristiche. Noi concepiamo causa ed effetto come inerentemente esistenti oppure come riscontrabili, ma lo facciamo non in modo innato, bensì entrando naturalmente nell'investigazione del fatto se esse siano una cosa sola o cose diverse.
Il Supplemento di Chandrakirti (241) dice: "In tutto il mondo,
non vi è assolutamente nessuna produzione da cose diverse".
Il mondo non si mette a pensare se qualcosa sia prodotta da se stessa o da qualcos'altro. Come lo stesso Nagarjuna afferma (242): "Allorché vi è questo, quest'altro sorge". Così, se voi avete un seme, il sole e l'acqua ed altre condizioni favorevoli, allora spunta un germoglio. In termini di nominalità, "Allorché vi è questo, quest'altro sorge", il mondo è nel giusto. Tuttavia, il mondo ha in più una sensazione molto forte che queste cose esistano in modo inerente, sebbene il mondo ordinario non costruisca false filosofie per riaffermare questa innata comprensione erronea.
Forse che vi sono persone che studiano le filosofie, come gli Shamkhya ed altri, che siano peggiori delle altre? Dal punto di vista della Scuola Conseguenza, essi certamente sono indotti a rafforzare le loro problematiche innate, con queste incrostazioni acquisite intellettualmente ma, come riferisce l'Abate tantrico Kensur Lekden, per comprendere la Scuola della Via di Mezzo occorre una buona mente e, comunque studiare un sistema come il Shamkhya, addestra la mente e serve come una buona preparazione per lo studio della Scuola Madhyamika ( cioè della Via di Mezzo). Per esempio, secondo certe correnti filosofiche popolari, voi dovete avere un vostro proprio essere sostanziale. Allorché voi generate un senso di questo, ovviamente fortificherete questa idea e, quindi, il problema; tuttavia, spingendovi con forza ancor più in profondità nei confronti di questo problema, viene favorita una consapevolezza che rende più fattibile il riconoscimento della via intermedia.
RIFIUTO DI PRODUZIONE TANTO DA SE' CHE DA UN'ALTRA COSA.
Quella parte, che è la produzione da sé, viene rifiutata col ragionamento
che nega la produzione da sé; quella parte, che è la produzione da "altro",
viene rifiutata dal ragionamento che nega la produzione da qualcos'altro.
Il Supplemento di Chandrakirti (243) afferma:
"La produzione da entrambi questi modi, anch'essa non è
una entità ammissibile, perché incorre nelle incongruenze
già spiegate in precedenza per gli altri due tipi di produzione"
Alcune persone pensano di poter prendere le parti migliori della produzione da sé e della produzione da qualcos'altro e poter permettere una sorta di riscontrabile produzione in quel modo. Essi vogliono mantenere il piede in entrambi i campi per ottenerne il miglior frutto di entrambe. Tuttavia, essi ricevono anche le parti peggiori di ciascuna delle due: essi vengono tormentati dalle pulci in un campo e dai topi nell'altro campo. Sebbene vorrebbero far uso delle virtù di tutt'e due le posizioni, essi devono anche accettare le incongruenze endemiche di entrambe; se voi potete negare la produzione da sé e la produzione da qualcos'altro, allora non avrete problemi a negare una produzione che sia tanto da se stessa che da qualcos'altro.
RIFIUTO DI PRODUZIONE SENZA CAUSE
Uno dei gruppi filosofici Indiani non-buddhisti, quello cioè dei Nichilisti o Edonisti (244), afferma che almeno alcune cose sono prodotte senza cause. Essi prospettano che siccome nessuno può vedere qualcuno che dipinga i colori dei fiori, o che scolpisca i piselli facendoli così rotondi, queste cose sono così senza alcuna causa; esse sono prodotte in tal modo proprio a causa della loro natura. Mi ricordo che, da bambino, avevo spesso pensieri di questo tipo. Da dove può essere derivata la forma di una spina? Nessuno l'ha foggiata così. Una possibile risposta è che questa è semplicemente la sua propria natura, il modo in cui è, che è non causato.
I Nichilisti prendono una cosa molto concreta, come ad esempio la punta di una spina, che appare come se fosse stabilita così per suo proprio diritto e fortificano quest'apparenza dicendo che essa è prodotta senza cause. Questo è un tipo di manifestazione; perciò, essi stanno parlando di cose impermanenti che ieri non erano qui e che oggi sono presenti. Essi dicono che tali cose sorgono dalla loro stessa natura.
Se (le cose) fossero prodotte senza cause, non vi sarebbe nessuna causa
per la produzione in un dato luogo e tempo e di una certa natura. Quindi,
qualcosa che è prodotta da una certa cosa, sarebbe prodotta da qualsiasi
altra cosa, ed ogni opera sarebbe proprio senza alcun senso.
Se voi piantate semi di grano in quel campo lì, essi non potranno crescere e svilupparsi in quest'altro campo qui. Inoltre, essi cresceranno in estate e non durante l'inverno. Infine, allorché avete piantato semi di grano, voi non potete far a meno di aspettarvi una produzione di una specifica natura – cioè grano e non mele. Questi limiti obbligati sarebbero impossibili in una produzione senza cause.
Ancora, poiché non ci sarebbero cause per fare una produzione specifica in un dato periodo, luogo e natura, qualsiasi cosa che venga prodotta potrebbe essere prodotta da qualcosa d'altro. Quindi, sarebbe senza alcun senso iniziare qualsiasi impresa o produrre qualsiasi tipo di sforzi.
Riflettete su questi ragionamenti in relazione alle cose che fate ogni giorno. Di sicuro, non è bene pensarvi in modo superficiale, come se voi aveste una lavagna davanti a voi. Come potrebbe cambiare la vostra vita se qualsiasi cosa potesse essere prodotta da qualcosa di diverso? Se la produzione fosse senza cause e non vi fosse una qualche certezza su qualsiasi cosa, che cosa significherebbe tutto questo per voi?
Chandrakirti dice (245): Se si potesse vedere che (le cose) siano
prodotte solamente senza cause, allora ogni cosa sarebbe sempre
prodotta da qualunque altra cosa, e perfino in questo mondo non
si coglierebbero in tanti modi, cose come semi a causa dei loro effetti.
Noi facciamo una enormità di cose, nell'attesa anticipata dei loro previsti effetti futuri. Siamo certi di acquistare un dentifricio al supermercato, così da averlo pronto quando dovremo lavarci i denti, stasera a casa nostra.
Rifiutando in questo modo la produzione dai quattro tipi di estremi, è così
negata la produzione che viene stabilita in base alle proprie caratteristiche.
Questo ragionamento è un'analisi delle cause. Essa investiga sul fatto se gli effetti sono prodotti da cause che siano identiche all'effetto, diverse dall'effetto, entrambe o senza alcuna causa. Le cose, cioè il soggetto, non possiedono una produzione inerentemente esistente perché 1) esse non sono prodotte da se stesse, 2) esse non sono prodotte da cose diverse inerentemente esistenti, 3) esse non sono prodotte da entrambe le possibilità e 4) esse non sono prodotte senza cause. Queste quattro ragioni sono negazioni non-affermative. Insieme esse provano che non vi è assolutamente una produzione inerentemente esistente.
Una volta che voi abbiate eliminato questi quattro modi di produzione, allora poiché non vi sono altri modi in cui la produzione inerentemente esistente potrebbe allignare, arriverete alla decisione che non vi è affatto una produzione esistente inerentemente. Vedendo che non può esservi produzione inerentemente esistente, potrete vedere altresì che non vi è l'esistenza inerente. Perciò, se tutte queste cose stanno esistendo in modo inerente, allora poiché esse sono tutte prodotte, esse dovrebbero essere prodotte in modo inerente. Allorché esse non sono prodotte in modo inerente, esse nemmeno esistono in modo inerente. Voi dovete fare tutti questi passaggi, seguendo tutte queste implicazioni; esse non potrebbero entrarvi nella mente da sole, siete voi che dovete portarcele. È la stessa cosa di una caccia al tesoro: dovete prima avere una mappa e seguirla bene, ma quando poi arrivate alla fine, il tesoro è lì sul posto, e non sulla mappa. È a quel punto che esso ha una forza reale; voi avete raggiunto un punto in cui non state più cercando di convincervi di qualcosa. Ora, noi siamo qui, comunque, al punto in cui dobbiamo convincerci noi stessi. Questo significa che dobbiamo sederci ed, effettivamente, fare quella data cosa; il solo prestare ascolto non è più sufficiente.
Il punto di rifiutare totalmente gli altri sistemi è quello di arrivare a cogliere il nostro senso innato dell'esistenza inerente riguardo alla produzione, e così via. Questo è il punto dolente. Perciò, Jang-kya ha detto proprio che, sebbene noi non abbiamo un senso innato dei quatto modi di essere riguardo a "causa ed effetto", dovremmo rifiutare quei sistemi che li propongono. Anche se, in modo innato noi non analizziamo se causa ed effetto siano inerentemente la stessa cosa o siano differenti, questo tipo di analisi ricopre tutte le possibilità di produzione inerentemente esistente; così, se queste possono essere rifiutate, non vi sarà spazio per la produzione inerentemente esistente.
Questo rifiuto analitico della produzione, spezzerà e distruggerà il nostro senso di credere alla produzione come stabilita dalla sua propria parte. Dato che, volgarmente parlando, la produzione inerentemente esistente è il solo tipo di produzione che noi attualmente conosciamo, potrebbe sembrarci che, una volta che essa sia stata distrutta, non vi sarà più produzione alcuna, risultandone un nichilismo. Quindi, a questo punto, quando state facendo l'analisi, voi dovete tenere a mente che non state negando tutta la produzione in toto ma, grazie alla comprensione della vacuità, potrete ottenere un diverso senso di ciò che è un seme, ciò che è un germoglio, e di ciò che è in fase di crescere.
Comunque, il rifiuto della produzione dei quattro tipi estremi, non è
tanto un rifiuto della produzione convenzionale in quanto tale. Per cui,
la produzione meramente convenzionale non deve essere uno dei quattro
modi estremi di produzione. Non solo ciò, ma anche la stessa produzione
dipendente stabilisce che le cose non sono prodotte dai quattro estremi.
Il Grande Commentario di Tzong Khapa al "Trattato della Via di Mezzo"
(di Nagarjuna) dice :
"Perciò, il fatto che, dalla concreta necessità di dover accettare che
un germoglio sia prodotto in dipendenza di un seme, si può essere
in grado di rifiutare questi quattro (estremi tipi di produzione), è
una rappresentazione distinguibile del ragionamento del Sorgere
Interdipendente, che è il Re di tutti i ragionamenti".
In precedenza, avevamo parlato sull'approvazione della vacuità con negazioni non-affermative. Adesso, useremo qualcosa di positivo – cioè che un germoglio è prodotto in dipendenza di un seme. La stessa produzione dipendente è valida per rifiutare la produzione da sé, da altro, da entrambi e da nessuno dei due. Questo suggerisce il modo in cui tutti i ragionamenti che comprovano la vacuità sfociano nel ragionamento dell'Originazione Dipendente.
Per questa ragione, il maestro Buddhapalita, che ottenne i poteri yogici, dice:
"Qui qualche obiettore potrebbe dire: - Mostrami in che modo,
ciò che è chiamata <produzione>, sia solo una convenzione "
Risposta: " Ciò è dapprima mostrato (nella prima strofa del primo
Capitolo del Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna") (246):
Non vi è mai nessuna produzione
di qualsiasi cosa, in alcun luogo,
né da se stessa, né da qualcos'altro
né da entrambe, e né senza cause!
Secondo Jam-yang-shepa (247), questa introduzione alla prima strofa di Nagarjuna da parte di Buddhapalita è la causa del gran dibattito occorso tra Bhavaviveka (fondatore della Scuola Autonomia) e Chandrakirti e Buddhapalita stesso (entrambi Conseguenzialisti). Nel primo Capitolo del Trattato della Via di Mezzo, Nagarjuna dichiara, con una negazione non affermativa, la vacuità dei fenomeni in generale. In che modo ciò è provato? Tramite la prova che le cose non sono prodotte da sé, da altro, da entrambi i casi o da nessuna causa. Quindi, vi sono quattro negazioni non-affermative, la cui realizzazione conduce a realizzare un'unica negazione non-affermativa. Quattro negazioni non-affermative, cioè che i fenomeni non sono prodotti da se stessi, né da altro, né da entrambi e né senza cause, implicano una sola negazione non-affermativa, e cioè che i fenomeni impermanenti non sono prodotti in maniera inerente. Questa negazione non-affermativa implica a sua volta, un'altra negazione non-affermativa, e cioè che tutti i fenomeni non esistono inerentemente. Assodato che i fenomeni impermanenti non possono esistere inerentemente, anche i fenomeni permanenti non possono esistere inerentemente. Poiché tutti i fenomeni permanenti sono in una qualche relazione coi fenomeni impermanenti, come nel caso dello spazio contenuto in un vaso ed il vaso stesso.
Buddhapalita, comunque, sembra voler dire che il primo capitolo del Trattato fu scritto per dimostrare come la produzione sia solo una convenzione. Una produzione convenzionalmente esistente è un fenomeno positivo e non una negazione non-affermativa. Allora Nagarjuna starebbe dando la prova di una negazione affermativa, quando egli rifiutò la produzione da sé, da altro, da entrambi e senza cause – cioè, le quattro negazioni negherebbero la produzione inerentemente esistente, ma implicherebbero una produzione convenzionalmente esistente. Tuttavia, questa non era l'intenzione di Nagarjuna, perché quando voi riconoscerete la vacuità, realizzerete una mera eliminazione di tutte le elaborazioni di esistenza inerente. Se arrivaste a qualcosa di concreto, in luogo dell'oggetto di negazione, non sareste giunti a conoscere la vacuità, ma una negazione affermativa che implicherebbe un fenomeno positivo. Perciò, Bhavaviveka rigettò, assai giustamente, questa teoria. La questione è se veramente Buddhapalita voleva significare ciò che sembra abbia inteso dire.
Jam-yang-shepa difende Buddhapalita, precisando che la dichiarazione di Buddhapalita non è veramente una introduzione specifica a questo ragionamento, ma una dichiarazione generale per dire che la produzione non esiste in modo ultimo, ma solo in modo convenzionale. Comunque, la frase di Buddhapalita non sembra aver chiarito il perché questo capitolo fu scritto. Chandrakirti difende Buddhapalita dicendo che anche se quest'ultimo sembra abbia voluto dire ciò, non era sua intenzione voler dire ciò che fu detto. Secondo le convenzionalità del discorso, non si può sostenere che qualcuno sia ritenuto voler dire qualcosa che non aveva intenzione di dire.
Inoltre, il Commentario di Buddhapalita, dice: "Quindi, poiché
non vi è produzione (inerentemente esistente), questo qualcosa
che è chiamata produzione, è soltanto una semplice convenzione".
Questa dichiarazione compare alla fine della prova di Buddhapalita, che le cose non sono prodotte da se stesse, da altre cose, da entrambe o senza cause. Inoltre, Buddhapalita parla di questa negazione come se egli stesse affermando una produzione convenzionalmente esistente. Egli sta tracciando una conclusione positiva dal fatto che non vi è nessuna produzione inerentemente esistente.
La conclusione qui è non proprio formale, ma ha a che fare col modo in cui ciascuno medita. Voi, state forse cercando, tramite il ragionamento, di arrivare alla conclusione che la produzione sia solo convenzionalmente esistente? No, provando a ricercare la produzione, voi non sarete in grado di arrivare a nessuna cosa che possiate identificare come una produzione. Ciò che state cercando nella meditazione è la vacuità, cioè l'assenza di una produzione analiticamente riscontrabile. Certamente non starete a questo punto cercando un rimpiazzo positivo. Tutto quello che potrete trovare nella vostra mente è che non vi è una simile produzione, e neppure può esistere quel tipo di produzione che, ora come ora, appare così baldanzosamente alla vostra mente.
Cap. 12 = INDURRE LA REALIZZAZIONE
COMMENTI SUL RIFIUTO DELLA PRODUZIONE
Sebbene noi si viva in mezzo a queste cose che sembrano esistere inerentemente, qualcosa di profondo nella nostra mente, deve preoccuparsi di questa solidità. A seconda delle nostre predisposizioni, vi è in superficie una certa tensione, che più o meno ci colpisce, circa la questione di queste concrete apparenze. Però, in ogni caso, noi abbiamo una sensazione di non volerla considerare, una sensazione che essa non può essere risolta. Dato che noi ci confrontiamo con la preponderante apparenza delle cose, come inerentemente esistenti. Anche quando siamo esposti all'insegnamento del Buddha ed ai ragionamenti che rifiutano la vera esistenza, noi manteniamo ancora la sensazione che queste apparenze siano "li fuori" e che questi ragionamenti siano del tutto non-credibili. Ciò che ai nostri occhi è apparso per infinite continuità di esistenze, fa sì che noi si resista all'approssimarsi di una convincente conclusione e, perciò, alla fine quando comprendiamo almeno un po’ riguardo alla vacuità, questa cosa sembra crearci addirittura una certa paura.
Noi abbiamo una tale struttura di ansia e, in base ad essa, una ramificazione di desideri ed avversioni. Se non investighiamo gli oggetti e li giudichiamo soltanto dalle apparenze, può sembrare come se sottostiamo ad una nuda realtà. Sentiamo che vi è qualcosa che ha importanza, qualcosa che è in gioco, per esempio, per la nostra vita, per il nostro futuro, o per la nostra felicità.
A sostegno di un Io inerentemente esistente e di questa struttura di desideri ed avversioni, noi ci siamo creati il bisogno di una produzione inerentemente esistente di vantaggi e danni. Tuttavia, vacuità significa che non vi è produzione inerentemente esistente di danni, quando qualcuno vi blocca di notte in una strada buia, vi picchia e vi deruba. Certamente voi sentireste che lì vi sia stato un effetto inerentemente esistente – siete stati picchiati e non avete più una lira! Tuttavia, se riuscite a comprenderla bene, non vi è nessuna forma di qualche tipo di produzione che stia avvenendo, qualificata di esistenza inerente, come se potessimo conoscerla!
Possiamo distruggere le esagerate visioni di un danneggiatore ed un danneggiato, che sono create dalla concezione di vera esistenza –essendo questa la causa di quasi tutto quello che sperimentiamo. Inoltre, noi non possiamo negare l'esistenza convenzionale sempre più dannosa, senza biasimare ciò che esiste per davvero. Vantaggi e danni sono, ovviamente, convenzionali ma validi. Tuttavia, noi abbiamo una forte e convintissima sensazione che vantaggi e danni siano verificabili in maniera analitica, concreti e assai palpabili, proprio esistenti dalla loro parte. Convenzionalmente, non essendo analiticamente riscontrabile nel contesto di causa ed effetto, è importante valutare causa ed effetto, anche se questi non sono verificabili analiticamente. Dato che, se esageriamo la condizione di causa ed effetto, la rimozione di questa esagerazione non indica che siano stati rimossi causa ed effetto; anzi, la rimozione dell'esagerazione, genera una amplificazione di comprensione e valutazione di causa ed effetto. Qui sta la difficoltà. Come potreste voi non riscontrare concretamente che ad una persona è stato tagliato un braccio e ad un'altra no? Però, se voi potete provare questi ragionamenti, si dice che voi sarete in grado di poter vedere il vostro braccio che è stato tagliato, e non vi sarà più differenza tra il tagliare un braccio, la persona a cui è stato tagliato il braccio ed il braccio che è stato tagliato, tutto ciò da dentro una situazione di non negare che pure un braccio fu tagliato.
Per esempio, alla fin fine non vi è produzione da altro, però convenzionalmente vi è produzione di effetti che sono diversi dalle loro cause. Inoltre, questo non significa che vi siano due livelli di realtà, uno che sia il livello ultimo di vacuità e l'altro che è il nostro mondo ordinario convenzionale. Sarebbe sbagliato dire che, quando noi riemergiamo dalla meditazione di vacuità, dimentichiamo l'assenza di esistenza inerente e torniamo a precipitare nell'ignoranza, allora siamo tornati nel livello convenzionale. Perché la nostra errata percezione ordinaria degli oggetti esistenti in modo inerente non costituisce un "livello convenzionale". L'esistenza inerente è un oggetto della nostra ignoranza e perciò, in realtà, non esiste, neanche in modo convenzionale. Piuttosto, noi dovremmo vedere la "compatibilità" dell'assoluto ultimo e del convenzionale. Noi dobbiamo agire dall'interno del contesto di comprensione della non-concretezza dei fenomeni, ben sapendo che queste cose sono (analiticamente) introvabili.
Tzong-Khapa ed i suoi seguaci hanno detto che la coscienza che certifica, o stabilisce, l'esistenza di una verità convenzionale, è una cognizione valida. Tuttavia, altri dicono che i fenomeni convenzionalmente esistenti sono basati sull'ignoranza. Per il sistema Ghelugpa, l'ignoranza certifica falsamente quella parte di percezione che è l'apparenza di esistenza inerente, ma vi è anche una porzione di corretta apparizione che viene certificata da una valida cognizione convenzionale. L'apparenza degli oggetti è in parte corretta ed in parte erronea, ma non è che la parte sottostante sia sbagliata e quella in superficie sia corretta. Tutte le cose che si manifestano con l'apparenza sono qualificate da falsità. In altre interpretazioni della Scuola Conseguenza si è pensato che, poiché ciascuna parte dell'oggetto è affetta da falsa apparenza di esistenza inerente, l'intero oggetto è supposto per ignoranza.
Dal modo in cui tante persone parlano di verità ultima e verità convenzionale, può sembrare che vi siano due livelli di operabilità del medesimo oggetto. Tuttavia, lo scopo è di ricongiungere le due verità, facendo in modo di realizzare che la verità convenzionale esiste solo nominalmente e che la verità ultima nega soltanto l'esistenza inerente e non l'esistenza in generale.
"Verità convenzionale" (samvrti-satya) può essere anche tradotta con "verità che occulta", oppure "verità per una coscienza oscurata". Ciò che occulta, o nasconde, o oscura, è l'ignoranza, in quanto l'ignoranza occulta, nasconde o ostruisce la percezione della reale natura dei fenomeni. Questi oggetti sono 'verità' per una coscienza ignorante e oscurata; tuttavia, una "verità occultante", non è un oggetto che è stabilito dall'ignoranza, ma è un fenomeno che, a causa dell'ignoranza, è stabilito come "verità". Una "verità" è ciò che esiste nel modo in cui appare, laddove gli oggetti convenzionali appaiono, in maniera falsa, essere esistenti inerentemente– perfino nella percezione diretta -; quindi, gli oggetti convenzionali, non sono verità di fatto. L'Ignoranza afferma questa falsa apparizione di esistenza inerente e, perciò, è l'occultatrice della Talità, cioè della vera realtà. Ogni cosa che noi vediamo è "occultatrice" della verità, per ignoranza ritenuta esistente nel modo in cui appare, ma realmente apparente in un certo modo e esistente in un altro modo; ecco perché queste "apparenze" sono fraudolente. Bisogna usare l'investigazione meditativa per penetrare a fondo queste falsità.
IL RAGIONAMENTO.
Quasi tutto ciò con cui veniamo in contatto è un "composto" o prodotto e noi abbiamo un forte e convinto senso che tutti questi "prodotti" siano proprio lì fuori, in e per se stessi. Volessimo scoprire se questi prodotti sono veramente "lì" nel modo in cui appaiono, c'è una sola tecnica che è quella di esaminare in che modo essi sono stati prodotti. Per cui, se potessimo rifiutare la loro sostanziale e stabilita produzione, potremmo anche negare questa esplicita, schietta e solida apparenza, come se essi fossero veramente lì fuori per loro proprio diritto.
Prima di tutto, bisogna decidere se queste apparenze siano o non siano permanenti. Questo può essere fatto facilmente. Questi oggetti sono impermanenti e quindi devono essere stati prodotti. Perciò, se sono stati prodotti, abbiamo solo quattro possibilità. La produzione può essere stata tanto con causa che senza cause; se è con cause, allora vi sono tre possibilità – l'effetto deve essere stato prodotto da una causa che sia simile a se stessa, o diversa, oppure che sia stata tanto simile quanto diversa.
Per far sì che ciò succeda, dovete aggiungere un ragionamento a queste apparenze così fortemente potenti. Ciò che di solito noi facciamo, è di prendere come dati di fatto le cose che appaiono e, di conseguenza, cercare di rappresentarci un metodo intellettuale che sia in accordo con esse. Quello che ci serve ora è alquanto diverso. Dobbiamo rappresentarci un certo modo di sbrogliare la nostra mente da questa apparenze erronee, in modo che ci si possa volontariamente liberare di esse; perciò dobbiamo distruggere le stesse false apparenze, per far sì che le cose possano apparirci nel modo corretto. Questo sistema buddhista è l'opposto di ciò a cui siamo abituati.
Molte persone parlano di acquietare la mente, facendo cessare il congelato modo di ricoprire le cose e sperimentandole di più nel modo in cui esse sono realmente. Può darsi che questo sia un modo di avvicinarci maggiormente alla mente innata; dato che le concezioni artificiali sono in qualche modo acquietate e la mente viene tirata via da idee acquisite intellettualmente. Non è un caso che se ci comportiamo così, riusciremo a percepire il mondo in maniera differente. Tuttavia, anche se voi manteneste la mente completamente fuori perfino dalle concezioni innate, l'apparenza dei fenomeni sarà ancora erronea. Calandovi profondamente nelle apparenze, voi scendereste sempre più in profondità nel problema e, in un certo senso, lo individuerete maggiormente, ma la vostra realizzazione non sarà altrettanto profonda. Come abbiamo già accennato prima, non è sufficiente semplicemente allontanare la mente dalle cose. Benché stiano tentando di portare la gente più in contatto col momento presente, questi sistemi non possiedono alcun mezzo di opporsi realmente alle nostre concezioni erronee e, quindi, alle false apparenze. Il loro modo di opporsi è meramente di levarsele di torno, fuori dalla propria vista.
Questo sistema qui, al contrario, propone di procurarsi un'arma, fronteggiando esplicitamente le concezioni erronee. Dobbiamo puntare al punto in cui, quando ci mettiamo ad osservare il nostro oggetto nella meditazione, saremo capaci di comprendere che l'unica sua qualità è di non essere stato prodotto né da se stesso, né da altro, né da entrambe le cose e nemmeno senza cause. Questi quattro punti faranno andare più in profondità la vostra mente; essi dovranno essere in grado di mostrarvi che le cose non esistono nel modo in cui vi appaiono. La non-produzione delle cose (in questi quattro modi), contraddice il modo in cui le cose appaiono. Perciò, con questo metodo, la vera apparenza dei fenomeni comincerà a manifestarsi. Il rifiuto della produzione nei quattro tipi estremi, è come un diamante usato come arma.
Sia che per voi operi questo ragionamento o sia che avete trovato qualche altro ragionamento, è ciò che dovete scoprire voi stessi usando questi ragionamenti e buttandovici a capofitto, imparando in che modo essi operano. Le quattro posizioni della produzione, da se stessa, da altro, da entrambe o senza cause, sono le sole possibilità di una produzione inerentemente esistente. Noi operiamo un rovesciamento, poiché sembra quasi che i buddhisti forzino le persone, come gli Shamkhya ed i Nichilisti, in posizioni che non accetterebbero nemmeno essi stessi. Noi possiamo perfino sentire di sostenere il lato che deve essere rifiutato. Tuttavia, quando voi meditate, dovete necessariamente buttarvi dalla parte dei buddhisti; utilizzare per un po’ il gioco proposto dal buddhismo e poi approfondirlo, buttandovici dentro. Proprio questo fatto potrà esso stesso operare in profondità nella vostra mente e causare la vostra naturale resistenza ad voler uscirne fuori. Solo allora, voi realmente state cominciando ad osservare questo problema dall'interno.
Dato che questi fenomeni non sono permanenti, essi devono essere prodotti. Se, quindi, sono prodotti e questa produzione è verificabile – come se sia da se stessa, da altro, da entrambe le cose o senza cause – allora questa apparenza delle cose se è trovabile, è corretta. Se la loro produzione non può essere trovata, allora ciò che sta apparendo non è esatto. Qui abbiamo un punto molto importante da valutare; esso dovrà essere applicabile a tutti i fenomeni. Spingete totalmente la vostra mente e metteteci tutte le vostre energie dentro questo fatto. Ci sarà un po’ da soffrire e da restare al palo: se non è trovabile alcuna produzione, allora noi abbiamo sbagliato tutto nel nostro modo di vivere. Queste meditazioni cambiano il modo di essere (cioè l'apparenza) delle cose. Normalmente, quando le cose appaiono e noi aderiamo al loro modo di apparire, l'apparenza diventa ancor più indurita. Perciò, dobbiamo attivare i metodi e tutt'al più congelare questa apparenza di esistenza inerente. Ragionamenti come questi che rifiutano la produzione inerentemente esistente, producono proprio un metodo opposto; essi cambiano il modo in cui le cose appaiono alla nostra mente, rendendo più facile il non aderire a questa apparenza. La meditazione sulla vacuità è il vero antidoto.
Questo ragionamento in cui i quattro tipi estremi di produzione sono rifiutati è un'analisi della causalità. Jang-kya la chiama sia un "rifiuto della produzione dai quattro estremi" (248) e sia "frammenti di diamante" (249). Il ragionamento che rifiuta la produzione di un effetto che sia esistente, non esistente, sia esistente che non esistente, oppure nessuna delle due cose, talora è anche chiamato "rifiuto di produzione dai quattro estremi", benché qui Jang-kya lo chiama un "ragionamento che rifiuta la produzione di esistente e non-esistente" (250). Un simile ragionamento è una precisa investigazione all'interno degli effetti. Per investigare sia le cause che gli effetti, si dovrebbe usare il ragionamento che Jang-kya chiama "rifiuto di produzione delle quattro alternative" (251) – che sono, di una sola causa che produca un solo effetto, una sola causa che produca più effetti, più cause che producono un solo effetto e più cause che producono più effetti -. Il ragionamento di assenza di essere una sola o più, e il settuplice ragionamento, sono analisi di entità.
Quando si analizzano le cause, voi non state prendendo ciò che vi sta davanti, pensando che sia una causa, ma state pensando alle cause che lo hanno prodotto. Poiché davanti a voi non vi sono le sue cause, per poter fare questo ragionamento dovete riflettere su qualcosa che non state vedendo. Questo, secondo me, rende difficile che un simile ragionamento possa comparire nella mente. Sebbene molti trattati presentino questo tipo di investigazione sulla produzione dovuta alla causalità. Chandrakirti consiglia agli Yogi di cominciare usando il Settuplice Ragionamento (che sarà spiegato più avanti, dal quattordicesimo al diciannovesimo capitolo). Forse sarà più facile capire il perché vi sia un'investigazione all'interno di una entità, un'investigazione della cosa stessa. In base a come l'entità al momento ci appare, non è necessario pensarlo di una qualunque altra cosa.
Inoltre, col ragionamento che rifiuta la produzione di esistente, non-esistente, entrambi insieme e nessuno dei due, voi dovete pensare al vostro oggetto di meditazione come un effetto. Voi non state solo pensando all'entità dell'oggetto stesso, ma al fatto che esso sia un effetto. Voi dovete pensare all'oggetto, in termini di qualsiasi altra cosa, e non solo all'entità che sta ora apparendo davanti a voi. La stessa cosa è valida per il ragionamento che rifiuta la produzione dei quattro tipi alternativi – cioè una sola causa che produce un solo effetto, una sola causa che produce diversi effetti, diverse cause che producono un solo effetto e diverse cause che producono diversi effetti. Voi dovete pensare a qualcosa che non sta apparendo ora davanti a voi, perciò non potete avere un sufficiente vivido senso di ciò che state rifiutando per il ragionamento che lo riguarda.
Tanto nel ragionamento che rifiuta la produzione dai quattro estremi, quanto nel ragionamento che rifiuta l'esistente o il non-esistente, oppure nel ragionamento che rifiuta le quattro alternative, dovete pensare a qualsiasi altra cosa che sia in relazione al soggetto del ragionamento; essi dipendono tutti dalla vostra comprensione del fatto che la produzione sia essenziale a quel dato soggetto. Ad esempio, per lavorare con i "frammenti di diamante", la vostra mente deve essere convinta che qualsiasi cosa voi stiate prendendo come vostro oggetto, sia per davvero un prodotto. Paragonato al settuplice ragionamento, questo potrebbe quasi apparire astratto o immaginario ad un principiante, anche se in realtà non lo è.
Nel settuplice ragionamento, voi state fondamentalmente rifiutando due posizioni, l'identicità e la differenziazione delle basi di designazione e del fenomeno designato, entrambi i quali stiano proprio nella vostra immaginazione. Potete indicare qualcosa che sia proprio lì, identificando le basi di designazione – come per esempio, una composizione di braccia, gambe ed un tronco – ed il fenomeno designato – cioè un corpo. Tuttavia, se voi analizzate le cause, esse non sono del tutto nel vostro campo visivo. Dovete mettere molto del vostro pensiero in ciò. Quando voi state analizzando gli effetti, è assai più vero che il vostro oggetto sia un effetto, ma questo fatto non è particolarmente ovvio attraverso la sua sola apparenza. Noi non sempre siamo colpiti dal fatto che una cosa sia un effetto; tuttavia, siamo colpiti dalla cosa in quanto tale.
Tutto ciò, solo per dire che può essere difficile applicare il ragionamento dei "frammenti di diamante". In più, allorché riusciste ad usare questi ragionamenti, essi potranno essere applicati a tutto ciò che sta proprio di fronte a voi. Se qualcosa esistesse nel modo in cui vi appare, allora essa dovrebbe essere prodotta da se stessa, da qualche altra cosa, da entrambe le possibilità oppure da nessuna di esse. Se voi potete penetrare con calma, dentro queste possibilità ed eliminarle una ad una, vedreste che la negazione non-affermativa, qual è la vacuità di una produzione veramente esistente, è la qualità stessa di quel dato oggetto. Questo vi mostrerebbe che la sua attuale solida apparenza è scorretta e che, perciò, voi non dovreste aderire a questa apparenza. Sebbene voi dobbiate intraprendere questo ragionamento tramite un bel po’ di riflessioni, alla fine dovrete riportarlo sempre a ciò che state vedendo.
Tanto per fare un esempio, se voi riducete solo a mere parole, l'analisi di produzione da qualcos'altro che sia inerentemente esistente, ciò non vi porterà granché. Dovete invece sviluppare il senso della diversità, proprio così come potete osservare, ad esempio, la vostra sedia come se fosse un qualcos'altro. Una volta che siete stati capaci di vedere le cose come se, nella loro natura, fossero qualcosa di diverso, allora potrete usare questi ragionamenti che portano ad una diversità inerentemente esistente.
Noi prendiamo le cose come se fossero separate e diverse dalla loro parte, e nondimeno assumiamo una relazione tra di esse, a dispetto della loro presunta diversità. È necessario investigare questa sensazione di diversità e vedere proprio in che modo noi siamo sensibili ad essa. Per esempio, se voi scrivete delle lettere a casaccio su una lavagna, è facile appurare che esse sono tutte diverse. Ma quando voi le mettete insieme in un'unica parola, voi non effettuate più un'attività di vederle così diverse. Prendiamo per esempio la parola "lavoro". Essa è una parola sola; le lettere sono collegate e normalmente sono viste come una sola unità. Tuttavia, se voi mettete le stesse lettere in un ordine sbagliato, allora esse diventano molto diverse. Rimettetele di nuovo nel giusto ordine e, immediatamente, percepite che esse si ricongiungono insieme. Ad un certo punto, quando le state rimettendo insieme ed esse sono più vicine, cominciano subito a diventare collegate in una unità. C'è un qualcosa di molto potente che rende le cose sostanziali, ben oltre e di più di quanto esse siano in realtà.
Se non avessimo la tendenza a rendere sostanziali le cose, se questa aggregazione fosse alleggerita e considerata soltanto una fabbricazione mentale, saremmo abbastanza facilmente convinti dell'errore di tale enorme sostanzializzazione. Comunque, non è questo il problema. Questa sostanzializzazione è ciò che rende diverso e separato il mondo esterno da noi stessi.
Noi dovremmo essere disponibili ad accettare, almeno a livello filosofico, che il mondo esterno non sia così fortemente diverso e separato così come lo vediamo, ma invece, quando siamo di fronte ad un qualche cosa di esternamente esistente che sembra avere una sua propria essenza, noi sentiamo in maniera completamente definita che questa cosa esiste per suo proprio diritto. In quel momento, essa preme su di noi con una forza tremenda e noi ci sentiamo fortemente obbligati a doverla accettare come se fosse autonoma e indipendente.
Tutte le sere, noi andiamo a dormire; le apparenze ci opprimono e noi ne siamo totalmente convinti. Il fatto stesso che perfino i sogni siano erronei non ci fa prendere coscienza dell'errore nello stato di veglia, ma anzi la stessa forte tendenza verso la sostanzializzazione che ci convince che gli oggetti del sogno siano reali oggetti esterni, ci convince ora che il mondo esterno esista proprio dalla sua stessa dimensione.
Un altro modo per guardare a questo, è di prendere tutte queste cose che appaiono e spazzare via questa sensazione di sostanzialità che vi rende convinti che esse siano proprio lì in e per se stesse. Identificare ciò che c'è che vi opprime nei sogni; cercate di comprenderlo, di sentirlo, di capirlo e poi eliminatelo, sopprimetelo completamente, nel riportarvi all'esperienza di veglia. Quando l'avrete fatto, cercate di giungere a qualcosa che possa provarvi che queste apparenze dello stato di veglia siano davvero oggetti esterni sostanzialmente stabiliti.
Per esempio, se all'improvviso vicino a voi accade di sentire un gran rumore, deve esservi qualcosa di veramente schietto, esplicito e solido, proprio lì. Se siete sintonizzati sulla vostra esperienza, sentirete proprio che i ragionamenti fatti sin qui sono magari sbagliati, che le cose accadono davvero e che questi avvenimenti sono riscontrabili. Tuttavia, se analizzate bene e vi addentrate nella vostra indagine, tentando intenzionalmente di trovare ciò che sta apparendovi, voi non sarete capaci di raggiungere questi massicci, solidi, schietti, apparentemente riscontrabili ed espliciti avvenimenti, così come stanno apparendo alla vostra mente. Questi eventi espliciti sono una produzione – qualcosa che sta accadendo o apparendo di fronte a voi. Inoltre, la produzione non è solo una produzione di un'entità; ma si produce anche il vostro venire a conoscenza di un prodotto – la vostra percezione di esso.
Questi prodotti ricoprono un certo punto, ma anche le attività ricoprono questo punto. Quando accade un certo cattivo evento, questa è una produzione di preoccupazione. Essa si produce e poi cessa. Sembra proprio una cosa riscontrabile e poi non è più lì. Supponete, per esempio, che la vostra casa sia stata distrutta. Voi avete una sensazione di esistenza inerente della casa, ma anche della sua distruzione e di ciò che vi costerà il rimpiazzare tutti i vostri beni e di ciò che resta ora. Questo tipo di danno, il danno indotto dalla concezione di una vera esistenza, potrà essere eliminato.
E che dire, se io sono qui seduto vicino a voi e qualcuno entra e mi taglia via un orecchio? Certamente voi percepireste che il mio orecchio è stato tagliato, ma perfino un'esperienza di un qualcosa così forte, se voi sapete come analizzarla, può venire trasformata. Poiché, questa analisi non è un vago processo di distogliere la vostra mente via dagli eventi. E quando voi fate l'analisi, sarete assai più impegnati ed interessati di quanto non lo siete mai stati in vita vostra. È stato detto: "Chiunque conosce la vacuità è consapevole"; assai più percettivo, più sveglio, più coscienzioso. Non è che quando accade un evento, voi dovete sovrapporgli la vacuità o girare la testa via da esso, per rammentarvi della sua vacuità. Il solo modo per poter penetrare nella vacuità è di penetrare maggiormente negli oggetti. Quando avrete realizzato la vacuità, avrete maggiore familiarità con gli oggetti e la vostra mente sarà più chiara e più brillante. Se distogliete la mente via dalle esperienze, non arriverete mai alla vacuità. Dovete entrare proprio nella cosa stessa che sta accadendo e lasciarla accadere mentalmente ancora e ancora. Dopodiché analizzatela. Voi potreste, senza fare un'analisi, distogliere la mente e dirigerla verso una qualche sorta di vacuità, ma così facendo state soltanto imbrogliando voi stessi.
Nella sofferenza, vi è una vacuità differente che è l'assenza di esistenza inerente. Se la sofferenza non fosse vuota di vera esistenza, se lì non vi fosse questa vacuità, la sofferenza sarebbe solida e imponente. Sarebbe sempre lì e voi non potreste più uscirne; se essa esistesse dalla sua propria parte, sarebbe senza causa e, quindi, non causata dall'ignoranza; essa non sarebbe soltanto un errore di comprensione. Se questo fosse stato il caso, allora la corretta comprensione non potrebbe sbarazzarsi della sofferenza. Tuttavia, malgrado che noi potremmo sentire che ora il dolore è davvero imponente ed esistente di per sé, esso non è per niente in quel modo. La sofferenza è vuota di esistenza di per sé, essa è causata dall'ignoranza e la completa comprensione della vacuità riuscirà a sbarazzarsi di essa.
Una così forte esperienza del nostro dolore ci è indotta dalla nostra concezione di esistenza inerente, tanto che, se riuscissimo a sbarazzarci di un po’ di questa erronea concezione, potremmo dire che non vi sarebbe più sofferenza, perché qualunque angustia fosse rimasta sarebbe quasi irriconoscibile. E per di più, è anche detto che quando sarete ancor più avvezzi a riconoscere la vacuità, vi sarà piacere in ogni cosa. Questo è uno dei poteri speciali della meditazione e, si dice pure, che anche molti che non comprendono la vacuità, possono avere alcuni di questi poteri.
Quando provate a cercare un oggetto con uno di questi ragionamenti, potrebbe accadere che non sarete in grado di trovare alcunché, cosicché alla vostra mente potrà apparire una sorta di vacuità. Questa vacuità è l'assenza di esistenza inerente, "l'introvabilità analitica", dell'oggetto che state cercando. L'apparizione di una simile vacuità è l'immagine mentale, cioè "l'apparente oggetto" della visione iniziale della Via di Mezzo. Nonappena sarete diventati abituati a questa vacuità, l'immagine scomparirà. Alla fine, sarà rimasta soltanto la vacuità – la vacuità stessa sarà l'oggetto apparente. Quella è la cognizione diretta. Sul sentiero della preparazione (il secondo dei cinque sentieri, che sono: accumulazione, preparazione, visione, meditazione e non più apprendimento), l'elemento raffigurante e così pure la sensazione di soggetto e oggetto diventano sempre più deboli, fino a che scompaiono completamente allorché si giunge al sentiero della visione. Fino a quel momento, la vacuità come rifiuto e negazione dell'esistenza inerente, è realizzata tramite la mediazione di un'immagine.
All'inizio del sentiero della preparazione, gli yogi possono ancora constatare un soggetto ed un oggetto – la coscienza-saggezza (prajna) ed il suo oggetto, cioè la vacuità. Progredendo nel sentiero della preparazione, essi possono non constatare più la sensazione di un oggetto, anche se stavano riflettendo su di esso. Allorché giungono alla fase finale del sentiero della preparazione, essi arrivano a non constatare più nemmeno l'apparenza del soggetto. Tanto il soggetto che l'oggetto possono ancora presentarsi come apparenze, ma essi possono non constatarne più la presenza né dell'uno né dell'altro. Alla fine, la sensazione di soggetto ed oggetto svanisce e gli yogi hanno così la diretta cognizione della vacuità. A questo punto, essi sono sul sentiero della visione; la loro coscienza mentale <è> il sentiero della visione.
Tutte le scuole dottrinarie buddhiste citano i cinque sentieri: Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e Non Più Apprendimento. Questi sentieri sono stadi di sviluppo di una coscienza nel tempo. Questo ci aiuta ad immaginarli. Immaginate di scoprire la vacuità, che è la negazione di esistenza inerente – essendovi ancora una sensazione di soggetto ed oggetto. Poi immaginate il soggetto e l'oggetto che spariscono in termini di loro constatazione, ma ancora appaiono alla mente in modo sottile. Poi immaginate che vi sia semplicemente una vacuità fusa insieme alla nostra mente e questo sarebbe già il sentiero della Visione, che è non-duale, nel senso che non vi è più alcuna apparenza di soggetto ed oggetto, né apparenza di fenomeni convenzionali, né apparenza di esistenza inerente, né apparenza di immagini concettuali e nemmeno apparenza di differenziazioni. Poi, immaginate che il significato della vacuità sia così vivido da eliminare un certo grado della concezione di esistenza inerente. Tramite la cognizione della vacuità nel sentiero della visione, le cose sono superate e vengono chiamate oggetti abbandonati grazie alla visione e, per merito di questa sola cognizione, voi non avrete più quel grado di contaminazione mentale per il resto della vostra esistenza. Tra le quattro nobili verità, verità della sofferenza, verità dell'origine, verità della cessazione e verità del sentiero, questo fatto di abbandonare i fenomeni corrisponde alla verità della cessazione. La verità della cessazione dura per sempre.
Allorché prendete rifugio nel Buddha, nel Dharma, che è la sua Dottrina e nel Sangha, che è la Comunità Spirituale, il vostro vero rifugio è la Dottrina, sia verbale che realizzativa – soprattutto quest'ultima. Perciò, prendendo rifugio nella Dottrina, la verità della cessazione dovrebbe apparire nella vostra mente. Essa non è soltanto qualcosa di temporaneo, come il non aver fame in certi momenti. La verità della cessazione è realmente l'assenza di cose che non vi accadranno più. Vi sarà un tempo in cui, grazie alla cognizione della vacuità, il desiderio non si manifesterà più. Diventerà completamente inesistente, grazie al potere del suo antidoto, che è una coscienza con un diverso ed opposto modo di concepimento. La verità della cessazione non è soltanto un'assenza di cose dovuta all'incompletezza delle condizioni per la loro produzione, come la mancanza del desiderio per il cibo che vi è quando si è coinvolti in qualche altra attività; essa è proprio l'assenza di emozioni afflittive, causata dalle realizzazioni coscienziali che agiscono come suoi antidoti.
Il rifugio più importante è la verità della cessazione. E come si ottiene? Tramite la verità del sentiero. Perciò, la verità della cessazione e la verità del sentiero sono i veri oggetti di pratica e, quindi, il vero rifugio. Colui che ha insegnato questo rifugio è il Buddha, che spiegò ciò che dovrebbe essere praticato per ottenere esattamente ciò che ottenne egli stesso. La Comunità Spirituale è composta dagli indispensabili amici che ci aiutano a comprendere ed a praticare questo rifugio del vero sentiero, allo scopo di ottenere la vera cessazione.
La cognizione diretta della vacuità è la causa che ci apporterà la vera cessazione di un certo grado di afflizioni. Sebbene la soppressione meditativa possa generare un senso di beatitudine, chiarezza, non-concettualità e perfino grandi poteri intellettuali, se voi volete totalmente e per sempre sbarazzarvi di desiderio, odio ed ignoranza, non è sufficiente semplicemente il sopprimerli. Voi dovete distruggerli per mezzo del loro antidoto, che è la cognizione diretta della vacuità. Come potete fare per arrivare a questa cognizione diretta della vacuità? Tramite l'inferenza. Il significato della vacuità che appare ad una cognizione inferenziale è che questi avvenimenti così concreti e gli oggetti a cui siamo abituati, non sono esistenti nel modo in cui appaiono. Questa vacuità deve mantenere questo significato per voi, altrimenti essa sarà una vacuità da nulla.
Al livello della cognizione diretta, voi non dovete preoccuparvi né sforzarvi di mantenere il significato della cognizione; non dovete pensare riguardo al fatto se la forza della vostra cognizione intenzionale sia ancora presente o meno; non dovete continuamente ricordarvi di che cosa state cercando senza che lo troviate. La vostra mente sarà già ad un livello in cui tutte queste cose sono già presenti. Tuttavia, col nostro tipo di cognizione concettuale o, anche più di questa, con la sua precedente corretta assunzione, noi dobbiamo fermamente sostenere l'intenzione della nostra cognizione.
Potrebbe succedere di dover mantenere una forte sensazione di incapacità di trovare ciò di cui si era certi in precedenza – e una volta che ciò sia avvenuto, dovete mantenere questa impressione. Se, meditando sulla vacuità, voi semplicemente vi gettate a capofitto in questi ragionamenti, e raggiungete il punto di vacuità assoluta, ma non restando più impressionati da questo, quella vacuità è diventata un mero <nulla>. A quel punto, voi state coltivando una visione errata, un impedimento al sentiero, perché avete perso il senso dell'oggetto da negare, cioè l'esistenza inerente, ed ora vi state abituando ad una visione in cui non esiste nulla.
Quando invece la cosa è fatta in maniera adeguata, allora uno rimane profondamente impressionato dalla propria incapacità a trovare l'oggetto da negare. Per esempio, quando io stavo studiando al Centro di Insegnamenti buddhisti Tibetani del New Jersey, un giorno arrivò uno studente che voleva incontrare Gheshe Wangyal, fondatore e insegnante principale del Centro, in un periodo però, in cui Gheshe-là non c'era. Lo studente rimase molto impressionato dal fatto che Gheshe-là non vi fosse, perciò, entrando nel monastero prese a chiedere ad un tale, che sicuramente doveva aver conosciuto il Gheshe, se per caso fosse lì. Questa persona gli rispose che non c'era. Probabilmente lo studente, che pure aveva visto che "la macchina di Gheshe-là non c'era", poteva pensare ch'egli si fosse allontanato e che stesse nelle vicinanze del monastero, perciò si recò a vedere se fosse stato lì nei dintorni. Egli fu davvero molto impressionato dall'assenza di Gheshe – ne restò impressionato per mesi. Non riuscì a dimenticare che Gheshe-là non fosse presente, anche perché egli era molto importante per lui.
L'assenza di un oggetto da negare è una "negazione". Proprio qui, adesso, con noi vi è una negazione, che è la nostra assenza di esistenza inerente. Questa "Negazione" non è una negazione effettuata da una persona. "negazione" può essere vista in due modi, dal punto di vista di due tipi di agenti: il primo tipo di negatore – non certo il tipo di negazione di cui stiamo parlando qui – è una persona che sta pensando a meditare sulla retta visione, con ciò negando e rifiutando la visione errata; l'altro tipo di negatore è una forma negativa che nega qualcosa, nel senso di esservi l'assenza di quella cosa – in questo caso, una vacuità di esistenza inerente.
Quest'ultima negazione non è come se vi sia un qualcosa che sta sempre lì a colpire l'esistenza inerente per distruggerla. È solo il fatto che questa esistenza inerente non esiste, cioè vi è una mera assenza dell'oggetto di negazione.
Questa forma negativa, però, esiste. Non è una cosa non-esistente, come la parola potrebbe sembrare di voler intendere. Perfino le negazioni non-affermative sono fenomeni, ma questo no significa che, quando è conosciuta la vacuità, il meditante debba pensare che questa negazione sia una vacuità. La realizzazione della vacuità è semplicemente il non-trovare l'oggetto di negazione. Voi non dovete entrare in ogni pensiero, e dirvi: "Ecco, questa è la vacuità!". Una coscienza che dovesse pensare così, sarebbe una cognizione valida di fenomeni convenzionali, in quanto essa si sta occupando dell'esistenza di qualcosa, in questo caso della vacuità, (come un oggetto).
Inoltre, anche se una negazione non-affermativa esiste, riconoscere questa negazione non-affermativa non significa riconoscere la sua esistenza. Ciò è tecnicamente tanto vero quanto utile da sapere. Per esempio, se avete cognizione di un libro, voi avrete cognizione dell'esistenza di quel libro. La vostra coscienza visiva è il testimone che certifica tanto il libro quanto la sua esistenza. Tuttavia, quando voi avete cognizione della vacuità, la cosa è differente, perché voi non state conoscendo l'esistenza della vacuità. Quindi, la non comune certificazione della vacuità è una coscienza che conosce la vacuità direttamente, e grazie al suo potere – o anche grazie al potere di una realizzazione inferenziale della vacuità – l'esistenza della vacuità è compresa successivamente senza ulteriori altre cogitazioni.
Quando la vacuità è direttamente conosciuta, tutte le vacuità di tutti i fenomeni, inclusa la vacuità stessa, sono direttamente conosciute, ma senza nessuna sensazione di differenze tra di esse. Dato che la cognizione è diretta, la cognizione dell'assenza di esistenza inerente di tutti i fenomeni e la cognizione dell'assenza di esistenza inerente di tale assenza (di esistenza inerente), non deve essere sequenzialmente seriale. Con la cognizione inferenziale (che è necessariamente una cognizione concettuale), essa è seriale, ma la cognizione diretta <è> un diverso tipo di mente. Una cognizione diretta della vacuità è una coscienza-saggezza di equilibrio meditativo che realizza simultaneamente la vacuità di esistenza inerente di tutti i fenomeni.
Il punto di questa discussione è di enfatizzare che noi stiamo cercando di trovare l'esistenza inerente degli oggetti, e questo è ciò che bisogna ricordare; altrimenti, mentre state cercando, voi potreste pensare che state cercando la vacuità. Infatti, voi state cercando di trovare l'esistenza inerente di un oggetto, come il vostro corpo, ma siete costretti a raggiungere una vacuità assoluta. Questa assolutezza sembra indicare una vacuità riscontrabile, sebbene voi non stiate cercando di identificarla come tale. Voi restate con la sensazione che gli oggetti concreti, come quelli che ora stanno apparendo alla nostra mente, non abbiano esistenza. Ciò che rimase impresso allo studente che cercava il Gheshe, è che egli non lo trovò perché non era al monastero. Egli non si mise ad andare in giro a dire: "Questa è l'assenza di Gheshe-là nel monastero!".
Cap. 13) = ALTRI RAGIONAMENTI
RIFIUTO DELLA PRODUZIONE DALLE QUATTRO ALTERNATIVE.
Questo ragionamento investigherà tanto le cause che gli effetti. Esso è un'analisi se, in definitiva, una sola causa possa produrre o meno un solo effetto, una sola causa possa produrre più effetti, più cause possano produrre un solo effetto, o più cause possano produrre più effetti. Jang-kya non si addentra ora in ciò, perciò neanche noi ci addentreremo in questa materia.
(Alcuni) dei nostri attuali studiosi applicano i ragionamenti spiegati
nel testo base e nel commentario dell' (Autonomista) Jnanagarbha,
"Discriminazione delle Due Verità" (nella Scuola di Conseguenza).
(Tuttavia) la maggioranza dei testi concernenti la Scuola, descrive
proprio i ragionamenti dei "frammenti di diamante", come rifiuto
delle Quattro Alternative. Eccetto questo, non ci sembra che quello
che Jnanagarbha spiega nella Discriminazione delle Due Verità,
venga sostenuto con troppa enfasi nella Scuola della Conseguenza.
Nei testi della Scuola Conseguenza, i "frammenti di diamante" (che Jang-kya chiamò anche "rifiuto della produzione dai quattro tipi di estremi") sono anche chiamati "rifiuto della produzione dalle quattro alternative". In quanto, produzione da sé, da altro, da entrambi e senza cause sono, dal punto di vista delle cause, quattro tipi alternativi di produzione. Perciò, quando si discutono le quattro alternative, di solito esse non si riferiscono all'analisi di Jnanagarbha, di effetti singoli o multipli derivanti da cause singole o multiple.
Tutti gli insegnanti hanno un loro preciso ragionamento che è la loro punta di diamante per attaccare la falsa apparenza degli oggetti, sembra però che nessuno dei Maestri Indiani della Scuola Conseguenza abbia avuto particolare interesse verso questo ragionamento spiegato da Jnanagarbha, che era un Autonomista. Asvaghosha, nel suo Coltivazione della Mente Ultima di Illuminazione, usa i 'frammenti di diamante'. Anche Chandrakirti ha tra i suoi favoriti, i frammenti di diamante ed il Settuplice Ragionamento. Aryadeva, in un'opera chiamata "Lunghezza di un Avambraccio" (253), insegna la meditazione sulla vacuità tramite un'analisi dell'intero e delle parti, che è anche detto essere il ragionamento preferito dagli Autonomisti, sebbene anche i Conseguenzialisti lo usino spesso.
Inoltre, non si dovrebbe pensare che solo perché l'analisi dell'intero e delle parti fu preferita, per esempio, da Shantarakshita, essa sia non utilizzabile nel contesto della Scuola Conseguenza. Aryadeva stesso la usò, ed egli, in definitiva, è considerato un Conseguenzialista, almeno secondo gli stessi Conseguenzialisti. Non solo quello, ma anche un ragionamento simile è assai appropriato al sistema Conseguenzialista, com'è il ragionamento che rifiuta la produzione degli effetti singoli e multipli da singole e multiple cause. La Grande Esposizione della Dottrina di Jam-yang-shepa spiega questo ragionamento nel contesto della Scuola Conseguenza; egli si trova tra coloro che Jang-kya implicitamente critica per averlo portato fuori dalla Scuola Conseguenza (254).
RAGIONAMENTO CHE RIFIUTA LA PRODUZIONE DI ESISTENTI E NON-ESISTENTI
Come in precedenza, questo ragionamento potrebbe anche essere chiamato un rifiuto di produzione dai quattro tipi di estremi, o dalle quattro alternative, dato che è un rifiuto di produzione inerentemente esistente, considerando quattro tipi di alternative.
Questo ragionamento investiga su un effetto. Quale tipo di effetto è prodotto? È esistente, non-esistente, sia esistente e non-esistente, oppure né esistente e né non-esistente? Il ragionamento può essere strutturato in due modi. Nel primo caso, voi state considerando un effetto al momento delle sue cause. È un effetto prodotto che, al momento delle sue cause, è già esistente, non-esistente, sia esistente che non-esistente, oppure né esistente e né non-esistente? Oppure, potete considerare l'effetto al momento dell'effetto. È un effetto prodotto inerentemente esistente, non-esistente, in entrambi i modi, o in nessuno dei due?
Nel primo caso, voi considerate un prodotto al momento delle sue cause – se quel prodotto era esistente in quel dato momento, se era non-esistente, entrambi i casi o nessuno dei due. A parte queste quattro possibilità, non ve ne sono altre. Sta accadendo uno smisurato aumento della produzione – macchine, palazzi, autobus, odori, aerei, persone; tutto è un prodotto. Se queste cose esistono, devono essere prodotti. Noi abbiamo già eliminato i prodotti non causati, nei precedenti ragionamenti; ora andiamo a considerare i prodotti causati. Quante possibilità di scelta avrete? L'effetto è tanto qui al momento delle sue cause, oppure non c'è – questo è quanto. Voi potete andare avanti a considerare che sia lì o che non lo sia, ma ciò è da stupidi. Oppure potete dire che non è lì e nemmeno non lì, ma anche questa è un'assurdità. Così, o esso è esistente, oppure è non-esistente, al momento delle sua cause. L'unico punto che restringe a quattro le possibilità, è che vi sono sistemi filosofici che lo asseriscono; inoltre, le sole opzioni sensibili da considerare sono l'esistenza e la non-esistenza, dato che questa è la dicotomia.
Possono le cause produrre un effetto esistente? Se l'effetto è esistente al momento delle sue cause, non vi sarebbe nessun punto nella sua produzione, perché la produzione sarebbe una ri-produzione senza senso. D'altra parte, se l'effetto è non-esistente al momento delle sue cause, come potrebbe essere prodotto? Come potrebbero le cause produrre quel dato effetto? Noi diciamo, "produrre quell'effetto", ma qui non vi è un effetto che produce. In generale, i Conseguenzialisti Ghelugpa dicono che, convenzionalmente, un precedente effetto non-esistente è nuovamente prodotto e che un effetto esistente è prodotto. Quindi, un germoglio alto un piede che ha una sistema di radici esiste come entità del seme, ma è non-esistente durante il tempo del seme. Il seme esiste, i suoi effetti no; il germoglio esiste come entità del seme. Questo è come viene asserita la produzione convenzionale.
Io sto scrivendo questo libro "Emptiness Yoga". Se esso fosse già esistente, per me sarebbe follia scriverlo. E se fosse non-esistente, come potrei scriverlo? È come se vi fosse un bambino che, gridando nelle vostre orecchie, vuole sapere come sono le cose – è pressoché insostenibile. Eppure questa è la vera prospettiva in cui noi dobbiamo sprofondare la nostra mente. Dobbiamo convincerci che, malgrado una così solida apparenza della produzione, non vi è nessuna produzione analiticamente trovabile. È questo, ciò che deve colpirvi ed impressionarvi.
Le cause non producono effetti esistenti in maniera inerente,
le cose inerentemente esistenti non necessitano di cause (255).
In precedenza, noi abbiamo investigato la possibilità di un effetto che esista al momento delle sue cause. L'analisi è anche applicabile al momento dell'effetto. Se un effetto fosse inerentemente esistente, che necessità vi sarebbe di cause per produrlo? Noi viviamo in un mondo in cui le cose appaiono come se fossero esistenti inerentemente; se queste esistessero per davvero inerentemente, allora non sarebbero causate, così noi dovremmo opporci all'idea soverchiante che questi effetti inerentemente esistenti possano avere cause. Dovremmo ripassare e rammentare l'insegnamento circa la causa e l'effetto. Perché? Perché causa ed effetto contraddicono il modo in cui le cose ci appaiono. Anche se voi poteste intellettualmente decidere che un'assenza di causa e di effetto sarebbe assurdo, resta comunque il fatto che il mondo ci appare come se esistesse dalla sua parte e noi aderiamo convinti a questa apparenza. Quindi, se un effetto esiste inerentemente, allora che bisogno ci sarebbe di cause? Se questo effetto esiste inerentemente nel momento dell'effetto, dovrebbe già essere esistente da sempre. Se stiamo accettando il modo in cui le cose ci appaiono, dovremmo eliminare la causa ed effetto, ma poiché causa ed effetto non possono essere sensibilmente eliminati, noi dobbiamo eliminare la credenza nella concreta apparenza delle cose come se esistessero dalla loro parte, per loro proprio diritto.
Effetti non-esistenti sono anche non-prodotti, in quanto le cause
Non potrebbero mai generare nessuna cosa che sia non-esistente.
Una volta che voi avete esaudito queste due opzioni – effetti inerentemente esistenti ed effetti non-esistenti – si potrà decidere che non vi è nessuna produzione che possa esistere dalla sua propria parte, ma il ragionamento continuerà allo scopo di generare un senso di esauriente completamento.
Effetti che siano esistenti e non-esistenti, anch'essi non sono prodotti,
in quanto non potrà accadere che vi sia una composizione di questi due.
Nessuna cosa è insieme esistente e non-esistente, dall'identico punto di vista.
Ancora, le cause non producono effetti che non siano esistenti e neppure
non-esistenti, perché non avviene che una cosa non sia nessuna di queste.
Qualcosa che sia insieme esistente e non-esistente, oppure che sia né esistente e né non-esistente, è impossibile anche dal punto di vista convenzionale.
Questo (ragionamento) è spiegato nel testo base e Commentario (Supplemento)
di Chandrakirti, nel "Bodhicharyavatara" (L'impegno di Azione del Bodhisattva)
di Shantideva e nella "Lampada sul Sentiero dell'Illuminazione" di Atisha (256).
Ora, Jang-kya ci informa che non darà una spiegazione separata del ragionamento della mancanza di essere una sola cosa o più – singolare o plurale –, perché una spiegazione di questo argomento è contenuta nella successiva, assai lunga spiegazione del Settuplice Ragionamento.
Una persona potrà comprendere (il ragionamento) che spiega l'assenza
di essere uno o molti, tramite la spiegazione del settuplice ragionamento.
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14) IL SETTUPLICE RAGIONAMENTO: AMBIENTAZIONE
RAGIONAMENTO PER ACCERTARE L'ASSENZA DEL SE' DELLE PERSONE
La spiegazione che segue consta di tre parti: 1) accertare che il <sé>
non è inerentemente esistente, 2) mostrare che ciò stabilisce che
anche <il mio> non è inerentemente esistente, e 3) in che modo
questo ragionamento si applica agli altri fenomeni.
Dovunque accada di incontrare il termine <sé>, diventa necessario determinare quale sia il significato più appropriato di <sé> in tale contesto. L'Io, la persona ed il <sé> sono, in generale, sinonimi. Tuttavia, il <sé> nel termine "assenza del sé", non è sinonimo di 'persona', ma vuole intendere "l'esistenza inerente", l'esistenza di qualcosa che copre le sue basi di designazione. Questo tipo di <sé> non esiste, laddove il <sé> che è sinonimo di "persona" o "Io" è proprio la persona convenzionalmente esistente. Quindi, quando Jang-kya parla del ragionamento per accertare l'assenza del <sé> delle persone, egli intende parlare del ragionamento per accertare che le persone sono senza esistenza inerente – volendo significare con <sé> l'esistenza inerente e con "persone" gli esseri convenzionalmente esistenti. Perciò, quando Jang-kya parla di ragionamenti per accertare l'assenza del <sé> delle persone, egli intende riferirsi a ragionamenti che accertino la non-esistenza inerente delle persone – proprio perché <sé> significa 'esistenza inerente', e "persone" significa gli esseri convenzionalmente esistenti. Tuttavia, quando egli si riferisce all'accertamento dell'assenza di esistenza inerente del sé, questo <sé> significa proprio le persone convenzionalmente esistenti.
Dunque, l'oggetto di osservazione di una coscienza (257) che concepisce falsamente se stessa come esistente inerentemente, è il mero <Io>, cioè la persona convenzionalmente esistente; esso è un fenomeno e quindi esiste. L'apparente oggetto (258) – volgarmente parlando, l'oggetto che appare a questa coscienza che concepisce in modo errato – è un'immagine mentale di un Io inerentemente esistente. L'oggetto concepito (259) di questa coscienza erronea è un Io inerentemente esistente. L'oggetto appariscente esiste, in quanto oggetto di osservazione: il primo è un'immagine mentale, mentre il successivo è l'Io convenzionalmente esistente. Tuttavia, l'oggetto cui questa immagine mentale sembra volersi riferire, cioè l'oggetto concepito – un Io inerentemente esistente – questo non esiste.
In questo modo, l'assenza del sé è un predicato di qualcosa che esiste. La persona esiste, ma il <sé> che indica e avvalora un'esistenza inerente non esiste. Per esempio, Franco è una persona e vi è anche un'assenza del sé di un Franco esistente. Tuttavia, il Franco che state indicando, quella cosa vera indicata dal vostro dito, è un Franco che appare come se fosse realmente esistente. Perciò, per scoprire lo 'status' della persona convenzionalmente esistente, che è la base del predicato, cioè l'assenza del sé, voi dovete realizzare la vacuità e l'assenza del <sé>.
Non avendo questa comprensione, quando sentiamo i seguaci di Tzong-Khapa dire che le persone esistono, ma il <sé> (cioè l'esistenza inerente) non esiste, probabilmente potremmo dedurre che le persone esistono nel modo in cui appaiono, anche se esse hanno il predicato di assenza del sé. A causa di ciò, noi perdiamo completamente la bussola. Perciò, molti insegnanti degli altri ordini scolastici Tibetani hanno detto che le persone NON esistono, poiché le persone, nel modo come noi le vediamo e conosciamo – nella nostra adesione a questa apparenza di esistenza oggettiva – davvero non esistono. In ogni modo, volendo evitare questa trappola, Tzong-Khapa può darci qualche altra riflessione, in modo che noi si possa affrontare la questione da due lati. Da un lato positivo, noi stiamo cercando di rappresentarci che questa persona è qualcosa che esiste. Dal punto di vista negativo, noi stiamo cercando di arrivare all'assenza di esistenza inerente di tale persona. Quando rifletterete su questi due modi di assenza del sé, diventerete doppiamente sconsolati per la vostra ignoranza. Anche quando sarete nel coinvolgimento mondano, voi cercherete di raffigurarvi ciò che dovrebbe esistere, senza nessuna sovrapposizione. Perciò, voi starete sempre, direttamente o indirettamente, lavorando sulla vacuità.
Nella Scuola Autonomia, la persona convenzionalmente esistente è una forma sottile di coscienza mentale (260). Gli Autonomisti asseriscono anche che una persona temporanea è il mero raggruppamento o composto degli aggregati, il quale anch'esso esiste solo convenzionalmente. La persona convenzionale, che è una sottile coscienza mentale, è un fenomeno impermanente che, però è sempre presente, permettendo così che la continuità del karma sia resa possibile. Anche i Conseguenzialisti accettano l'esistenza di questa sottile coscienza mentale, ma per loro, essa non è la persona, in quanto la sottile coscienza mentale è la base di designazione della persona.
Nel sistema Conseguenzialista, la persona convenzionalmente esistente è il mero <Io>, che è imputato, o designato, in dipendenza tanto sui quattro che sui cinque aggregati – invero, su qualunque numero di aggregati in cui al momento siete implicati. "Quattro o cinque" è un modo di dire, perché gli esseri del Reame del Desiderio o del Reame della Forma hanno cinque aggregati – forma, sensazioni, discriminazioni volitive, fattori composizionali e coscienza – mentre gli esseri del Reame Senza-Forma, hanno solo gli ultimi quattro, non avendo alcuna forma grossolana. Tuttavia, non è necessario per tutti e quattro o cinque aggregati apparire alla mente per avere una opportuna base di designazione. La mente si sposta continuamente in tutte le direzioni e perciò, vi sono numerosi e diversi <Io>. Quindi, talvolta la base di designazione è solo la sensazione e talvolta solo il respiro. Potrebbe essere la forma, l'intero insieme che un'altra persona identifica come voi stesso, quando vi vede entrando in questa stanza. Ve ne sono molte, molte altre. Per esempio, quando voi nel buio urtate contro qualcosa, cercate di guardare lì il senso dell'Io. Dovrete afferrarlo forte per cominciare a riflettere sulla vacuità.
Nel sistema Conseguenzialista, ciò che per gli Autonomisti è un Io convenzionalmente esistente, - la sottile coscienza mentale ed il mero raggruppamento composito degli aggregati – sono solo basi di designazione per l'Io, e non l'Io stesso. Per esempio, quando voi nel buio urtate contro qualcosa, cercate di guardare lì il senso dell'Io. Dovrete afferrarlo forte per cominciare a riflettere sulla vacuità.
Nel sistema Conseguenzialista, ciò che per gli Autonomisti è un Io convenzionalmente esistente, - la sottile coscienza mentale ed il mero raggruppamento composito degli aggregati – sono solo basi di designazione per l'Io, e non l'Io stesso. Per la Scuola Conseguenza, la base di designazione ed il fenomeno designato sono differenti e vicendevolmente esclusivi – uno non è l'altro. Se voi studiate questo e vi sembra di avere una comprensione di come insieme si adatti – a ciò che significa la differenza tra la base di designazione ed il fenomeno designato – senza che ciò vi crei un disturbo come se foste caduti battendo la testa, ciò significa che la sua importanza non vi ha neppure scalfito.
Accertare il Sé come Non Esistente Inerentemente
In questo caso, <Sé> è la persona convenzionale, l'Io convenzionalmente esistente, tanto il vostro che l'altrui.
Il Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna descrive un quintuplice ragionamento (261):
Il Così Andato (Il Tathagata) non è gli aggregati, né egli
è diverso dai suoi aggregati. Gli aggregati non sono in Lui,
né Egli è in essi. Il Così Andato non possiede gli aggregati,
perciò, quale Così Andato (Tathagata), può esservi qui?
Questo è tratto dal ventiduesimo capitolo del Trattato sulla Via di Mezzo, il capitolo sul Tathagata ("Colui che ha, è, o sarà il Così Andato"), cioè un Buddha. Poiché, alla fine, tutto procede sul comune sentiero verso la Buddhità, un Tathagata è perciò una persona (262), proprio come sia Io che voi siamo persone.
L'Abate Tantrico Kensur Lekden disse che alcune persone hanno obiettato che non si dovrebbe diventare pazzi con queste analisi su che cosa sia un Buddha, in quanto egli è una persona molto speciale. Tuttavia, sempre secondo l'Abate, questa obiezione è completamente fuori dalle regole. Il Dalai Lama disse in una conferenza, che voi dovreste assumere come Guru, qualcuno che sia assai rispettato e che abbia un grande significato per voi, così da poterlo usare come esempio. Questo è forse il motivo per cui Nagarjuna usò (come esempio) il Buddha stesso. Comunque, voi potreste 'sentire' che una simile persona elevata possa non esservi veramente, almeno non tra di noi e che, questa analisi potrebbe perciò diventare un inutile e futile esercizio. Inoltre, se il Buddha Shakyamuni entrasse ora in questa stanza, voi potreste provare forti sensazioni nei suoi confronti. Perciò, prendete qualcuno di cui avete grande ammirazione. Per quanto profonda sia la vostra conoscenza della sua realizzazione, oppure per quanto grande la vostra sensazione, allorché questo essere entra nella stanza, voi dovreste proprio "sentire" che egli sta entrando nella stanza.
Se voi state cercando un Tathagata ('Così andato') tramite questi cinque modi descritti da Nagarjuna, allora realizzerete che non vi è alcun Tathagata che possa essere qui trovato tramite l'analisi. Il più meraviglioso tra tutti gli esseri, la perfetta persona suprema, non è assolutamente trovabile. L'unico segno certo che il Buddha non fu un mistificatore è che egli non si dichiarò come un essere realmente esistente. Egli disse che, perfino lui stesso, era simile ad una bolla d'aria.
Tre posizioni, le due di interdipendenza e l'altra di possesso,
Sono incluse nelle due posizioni di uguaglianza e di diversità.
Nagarjuna disse: "Colui che è Così Andato non è gli aggregati, e non è neppure diverso dagli aggregati" e queste sono le prime due posizioni – uguaglianza e diversità tra il fenomeno designato e le basi di designazione. Poi egli disse: "Gli aggregati non sono in lui e né egli è negli aggregati". E queste sono le due posizioni di dipendenza reciproca, in quanto il Tathagata dipende dagli aggregati e gli aggregati dipendono da lui. In un certo modo, gli aggregati sono come una foresta e la persona è come un leone in quella foresta – questo vuol dire che la persona dipende dagli aggregati. La persona e gli aggregati sono diversi, proprio come la foresta può dirsi che è un raggruppamento composito di alberi e che il leone è un animale che talora si trova tra quegli alberi, ma non fa parte di essi. In un altro modo, si può dire che la persona sia come la neve che pervade la foresta e si estende tutta al di sopra di essa. La foresta si trova nella neve e, in un certo senso, dipende da essa, un po’ come gli aggregati che dipendono dal <sé>, cioè dall'Io.
Questo "dipendere dal" è come "essere in, nel", oppure "essere sul". Per esempio, voi potreste immaginare che la vostra mano sia un entità che pervade tutte le sue parti. È forse proprio qualcosa un pò più grande, perché incorpora tutte le dita, e così via, che dipendono da essa? O c'è forse un qualcosa di più piccolo all'interno delle parti che formano la mano e che quindi sia dipendente da queste parti?
Un leone in una foresta o una foresta nella neve, sono cose radicalmente diverse una dall'altra. Ragionevolmente, dove vi è dipendenza, debbono esservi due cose; cioè, se la persona dipende dagli aggregati, deve essere necessariamente diversa dagli aggregati. Tuttavia, essi possono non sembrare diversi tanto quanto un leone ed una foresta. Potrebbe di più essere che la persona sia lo spazio che accoglie l'intera foresta, e gli aggregati siano la foresta – gli aggregati nella persona. Oppure, rivoltando tutto e portando l'esempio della persona negli aggregati, potrebbe di più essere come una persona in una tenda. Questi esempi, anche se alquanto esagerati, sono molto d'aiuto per scovare ed afferrare il senso di sé.
Le due posizioni di dipendenza possono essere raccolte in una posizione in cui gli aggregati e la persona sono differenti. Certamente, se la persona è all'interno degli aggregati, voi dovreste essere capaci di tirarla fuori e identificare la persona come separata dagli aggregati. Così come voi potete estrarre lo yogurth da una tazza, una persona può uscire da una tenda, un leone da una foresta e la foresta può essere rasa al suolo cosicché la neve non potrebbe più ricoprirla.
Noi abbiamo cinque posizioni: uguaglianza, diversità, due posizioni di dipendenza reciproca ed una di possesso. Le due posizioni di dipendenza sono incluse nella posizione in cui il Tathagata e gli aggregati, che sono la base della designazione del "Colui che è Così Andato", sono differenti. Quella che il "Così Andato" (Tathagata) possiede gli aggregati è inclusa in entrambe le posizioni di uguaglianza e diversità, poiché invero vi sono due tipi di possesso – tanto all'interno dell'uguaglianza o identità di entità quanto all'interno della differenza o diversità di entità. Un Tathagata potrebbe possedere gli aggregati allo stesso modo in cui Devadatta possiede una mucca; e questa è la posizione di diversità – cioè la persona e gli aggregati sono entità diverse. Oppure, un Tathagata potrebbe possedere gli aggregati nel modo in cui un albero possiede il suo fusto – cioè, una posizione in cui la persona e gli aggregati sono la stessa unica entità. Questa è la profonda analisi del "avere" o "possedere" – "Io ho un corpo," oppure "Io ho una mente".-
Perciò, le cinque posizioni possono ridursi a due. Quindi, perché darsi la briga per cinque?
Tuttavia, in considerazione dei vari modi di concepire, in cui la falsa visione
dei composti transitori opera, sono state stabilite cinque posizioni nel decimo
e nel ventiduesimo capitolo (del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna).
La falsa visione dei composti transitori è la nostra concezione della nostra stessa esistenza inerente. Se noi dovessimo semplicemente applicare un'analisi tecnica, per fare una mappa dell'introvabile <sé> da apporre su di un muro, dovremmo proprio usare le posizioni di uguaglianza e differenza e fare a meno del resto. Tuttavia, vi sono molte sfaccettature nelle posizioni di uguaglianza e differenza, in termini di come opera la falsa visione del composto transitorio (cioè l'unione degli aggregati). Nagarjuna insegnò questi ragionamenti non per lo scopo di dibattere o semplicemente per stabilire un meraviglioso sistema filosofico, ma per la meditazione. Se questo insegnamento non fosse stato dato per meditare, non ci sarebbe alcuna ragione di aver stabilito cinque posizioni.
Alcuni di essi attireranno più di altri la vostra mente; l'elaborazione delle cinque posizioni protrae il significato più di quanto non facciano le due sole posizioni di uguaglianza e differenza. Secondo me, le sole uguaglianza e differenza sono troppo limitate, mentre la quintuplice analisi è in grado di ampliarle e la settuplice analisi lo permette ancora di più. Queste ampliano maggiormente il tema di quanto non possano fare le due posizioni.
Ricordiamo che Tzong-Khapa disse che una coscienza innata che comprende erroneamente un Io inerentemente esistente, non concepisce l'Io come se fosse una cosa sola con gli aggregati fisici e mentali e neppure come se fosse differente da essi. Per di più, essa talvolta tende verso l'una o l'altra possibilità.
Obiezione: (Il Buddha) disse nei Sutra che 1) Le forme non sono il sé,
2) il sé non possiede forma, 3) il sé non si trova nella forma e 4) non
vi sono forme nel sé; ed ancora allo stesso modo egli parlò riguardo ai
rimanenti quattro aggregati. Pertanto, egli insegnò gli antidoti alle
venti parti della (falsa) visione del composto transitorio. Perciò, forse
che la quadruplice analisi potrebbe non essere appropriata? Perché
essa è quindi spiegata come avente cinque aspetti?
Il Buddha parlò di venti false visioni del composto transitorio (cioè dell'unione degli aggregati), venti modi in cui la concezione di vera esistenza del vostro proprio Io opera. In considerazione di queste venti coscienze errate, egli insegnò venti antidoti – la realizzazione che le forme (o la forma) non sono l'Io, che l'Io non possiede forma, che l'Io non è nella forma, che le forme non sono nell'Io; che le sensazioni non sono l'Io, che l'Io non possiede sensazioni, che l'Io non è nelle sensazioni e che le sensazioni non sono nell'Io; che le discriminazioni non sono l'Io, che l'Io non possiede discriminazioni, che l'Io non è nelle discriminazione e che le discriminazioni non sono nell'Io; che i fattori compositi non sono l'Io, che l'Io non possiede fattori compositi, che l'Io non è nei fattori compositi e che i fattori compositi non sono nell'Io; che la coscienze non sono l'Io, che l'Io non possiede le coscienze, che l'Io non è nelle coscienze e che le coscienze non sono nell'Io. Le venti visioni false del composto transitorio sono come venti vette montagnose. I venti antidoti sono come strumenti adamantini che spezzano e distruggono queste montagne. Si paragonano queste venti false visioni alle montagne, per far capire quanto solide siano nella nostra mente e quanto sia difficile superarle. Inoltre, poiché ciascuno di noi dipende dalle proprie predisposizioni, voi dovreste essere capaci di distruggerle subito non appena avrete l'antidoto nelle vostre mani; ancor meglio, voi dovrete proprio farle a pezzi. Per lo più, il processo è molto difficile a causa delle dense e pesanti predisposizioni ed ostruzioni karmiche.
Il Buddha insegnò venti, e non venticinque, antidoti; egli ne descrisse quattro per ciascuno dei cinque aggregati, mentre Nagarjuna ne dette cinque. In aggiunta ai quattro del Sutra, Nagarjuna insegna un antidoto alla posizione che le forme, e così via, sono differenti dall'Io. Jang-kya spiega la discrepanza indicando che il Buddha aveva già rifiutato il fatto che gli aggregati mentali e fisici sono di entità diversa dall'Io e quindi non menzionò quest'altra posizione quando spiegò le altre (263).
Risposta: (Il Buddha) espose questo modo nei Sutra, dato che la falsa visione
del composto transitorio è incapace di concepire il sé senza che vi sia prima
un apprendimento degli aggregati e, quindi, l'osservare gli aggregati in questi
quattro modi, coinvolge (nella concezione) di una (esistenza inerente) del sé.
Gli aggregati devono venir coinvolti. Inoltre, l'oggetto di osservazione di una concezione innata di un Io realmente esistente, non è gli aggregati ma l'Io convenzionalmente esistente. Nondimeno, il solo Io viene ad esistere in dipendenza di quegli aggregati e, perciò, noi prima concepiamo in modo errato la natura dell'Io che è designato in dipendenza di essi, gli aggregati che sono le basi di designazione dell'Io, prima che esso venga concepito come inerentemente esistente. Prima, prendendo gli aggregati come oggetto di osservazione, interviene la concezione di un sé dei fenomeni e poi, prendendo come oggetto di osservazione l'Io che è imputato in dipendenza di quegli aggregati, quest'Io è concepito come se esistesse in modo inerente.
Il nodo più difficile da risolvere è che, a differenza di quanto fece Nagarjuna, nella risposta data all'obiezione, il Buddha non rifiuta la posizione che determina come differenti l'Io e gli aggregati. Dato che egli aveva già rifiutato questa posizione, il Buddha in effetti, dichiarò e rifiutò diverse posizioni di differenza – per esempio che l'Io non è nelle sensazioni, le sensazioni non sono nell'Io, e così via. Forse dovremmo dire che in nessuno di questi casi vi è una differenza senza rapporto. E voi dovreste ben dire, allora, che il Buddha aveva in precedenza insegnato che non vi è una innata concezione di un Io come un qualcosa di diverso, anche se il rifiuto delle posizioni di dipendenza e un certo tipo di possesso ricorrono periodicamente e costringono a rifiutare questa differenza priva di rapporto.
Quindi, una quinta base di conoscenza del sé, come un qualcosa
di diverso dagli aggregati, non è ammessa se non nelle filosofie
dei Non-buddhisti Cercatori del Guado (264). Questa è la ragione
per cui il Buddha non parlò mai di una quinta posizione.
La traduzione Tibetana (mu stegs pa) della parola Sanscrita tirthika, significa letteralmente "Colui che possiede una zattera, o una piattaforma, o un sentiero, per arrivare allo scopo". Qual è questo scopo? Esso è tanto la liberazione dall'esistenza ciclica, quanto una rinascita nel samsara però in uno stato molto elevato come essere umano o divino. Gli Indiani non-buddhisti sono chiamati "Cercatori del Guado" perché hanno come scopo la ricerca di un guado, un sentiero che li renda capaci di uscire dall'esistenza ciclica o, almeno, di arrivare allo stato più elevato.
Solo nelle filosofie non-buddhiste vi è la concezione di una persona che è un'entità diversa dagli aggregati, che sono le sue basi di designazione; è altresì detto che quando il Buddha stabilì le venti visioni, egli aveva già rifiutato la visione che il <sé> fosse un'entità diversa dagli aggregati fisici e mentali.
Nagarjuna rivelò una quinta posizione nel suo Trattato sulla Via di Mezzo,
poiché egli intese rifiutare decisamente i sistemi dei "Cercatori del Guado".
Ora, la domanda che ci si pone è: " Perché preoccuparsi di rifiutare i sistemi non-buddhisti?".
E inoltre, uno dovrebbe intendere (il rifiuto dei sistemi Cercatori del Guado)
come una parte del processo per arrivare ad una conclusione decisiva in cui
si rifiuta il sé innato tramite lo stabilire l'assenza del sé nel proprio continuum.
Il rifiuto degli altri sistemi fa parte del processo di rifiutare la nostra propria concezione di se stessi, come se si fosse persone realmente esistenti. Per cui, se una persona esistesse veramente, essa dovrebbe essere sia l'identica entità e sia una entità diversa dagli aggregati, e gli altri sistemi prendono entrambe queste due posizioni. Benché una coscienza innata che concepisca l'esistenza inerente non possa specificare se stessa come suo oggetto, che sia o una entità diversa o una entità identica alle sue basi di designazione, eppure se tale oggetto esistesse, esso dovrebbe essere sia lo stesso che gli aggregati o anche diverso da essi. Perciò, quando si rifiuta un sistema che sostiene che una persona possa essere un'altra, si sta rifiutando questa possibilità riguardo alla persona inerentemente esistente che pure appare qui e ora così vividamente alla nostra mente. In realtà, voi non dovete rifiutare gli altri sistemi; voi potete solo concentrarvi sulla vostra concezione. Rifiutare gli altri sistemi è un modo di manifestare all'esterno questa negazione e lavorarci sopra; comunque, dopo noi dovremmo rivolgere tutto quanto all'interno. Ciò è molto importante, dato che è facile lasciarsi trascinare via dal rifiuto esteriorizzato.
Qui, vi è un punto difficile. La mente che concepisce un <sé> inerentemente esistente, non si addentra in alcun tipo di analisi. Quindi, a noi può sembrare innaturale e infondato fare queste analisi; è come se stessimo opponendoci alla vera struttura, al vero ordito e trama dell'universo. Ed infatti, lo stiamo facendo. Però, la non-analisi è un grave errore; quindi, noi decidiamo di analizzare e di opporci alla usuale maniera con cui andiamo incontro alle cose.
Alcuni ci spingono ad aprirci ed a diventare una cosa sola con la natura, facendo cessare le nostre chiacchiere analitiche e accettando di trastullarci col modo in cui le cose si presentano. In realtà, ciò che loro stanno tentando di dirci è che noi dovremmo fluire insieme all'ignoranza. Una mente controllata dall'ignoranza è come una palla che va di qua e di là, sulla superficie di un impetuoso torrente che scorre velocemente. In tali condizioni, sembra che sia la natura della mente a restare coinvolta con tutto ciò che le appare. Tuttavia, questa non è veramente la sua natura; anzi, per eludere questo coinvolgimento al quale siamo diventati abituati, dobbiamo piuttosto opporci al suo corso "normale".
Vi sono molte tecniche per opporci a questo nefasto ed errato coinvolgimento. Una è quella di cercare di fermare proprio in un unico punto questa palla rimbalzante, come se si volesse fermare il corso della corrente. Un'altra tecnica è lasciare che la palla vada dove le capita, ma non diventarne coinvolti, cioè disinteressandosi a tutto, solo restando in osservazione della luminosa e cognitiva natura della mente. Questo è molto complicato, perché voi dovrete stare in guardia di non preservare l'ignoranza automatica da sempre in vostro possesso. Per aggirarla, è utile l'analisi che cerca di trovare la persona, sviluppando una coscienza che è consapevole di non poterla trovare e che è ben certa della sua irreperibilità. Poi, lasciate pure che le cose appaiano, senza diventarne coinvolti nei confronti di nessuna di esse, ma anzi con la piena consapevolezza della loro infondatezza. Io credo che questo sia il punto più eccelso nei modi di opporsi al restare coinvolti ed attaccati agli oggetti. Lasciando che tutto ciò che deve apparire appaia, voi permetterete alle potenzialità della mente di svilupparsi senza soffocarle, facendo sì che l'energia della mente giunga a fruizione. Comunque, cercate di non venir travolti da tutto ciò perché, tramite prima l'analizzarla, voi avrete compreso la natura delle cose e, dopo, sarete in grado di mantenere questa comprensione. È come se qualcuno entrasse nella sala e recitasse tutta una serie di buffonate, accusandovi di diverse cose e così via, e voi che siete proprio seduti qui, foste tutti molto attenti ma per niente trascinati e coinvolti da esso. Nell'ordine buddhista Tibetano dei Nying-ma, questa situazione è chiamata come quella di un ladro che entra per rubare in una casa vuota; tutte quelle cose multiformi appaiono alla mente, ma la mente non viene catturata da esse, la mente non vi si immerge e non diventa intrisa di queste cose.
Noi non stiamo proponendo una analisi eterna. Quando avrete capito come fare quest'analisi, non avrete più bisogno di sedere parlando tra voi e voi continuamente – voi, che state comprendendo la vacuità, applicherete questa cognizione a questo e quel fenomeno. Voi renderete qualificante tutto il vostro essere a farla finita; sarà come se voi vi "sentiste" vacuità. Potrà essere concettuale solo nel senso che voi non state conoscendo la vacuità in maniera diretta, ma non vi sarà nemmeno un minimo di verbalizzazione. A me sembra che anche questo sia il vero modo di diventare una cosa sola con la propria natura, o anche di fluire con essa.
L'Onorevole, glorioso Chandrakirti, produsse un Settuplice Ragionamento,
aggiungendo due elementi in più a queste negazioni: (cioè negando) che il
mero composto (delle basi di designazione) sia il <sé> e, parimenti, che la
forma (del corpo) sia il <sé>.
In questa strofa, <sé> significa <persona>. Entrambe queste due posizioni sono varianti della prima posizione, cioè che la persona e gli aggregati mentali e fisici siano identici. La posizione che una persona sia la mera raccolta (cioè il composto) delle sue basi di designazione, è quella delle scuole buddhiste inferiori. La posizione che la forma del corpo sia la persona è forse quella di una delle Scuole della Grande Esposizione, che asserisce che i cinque aggregati, presi individualmente, siano la persona. Quando noi vediamo certe forme, di solito diciamo: "Quello è Bob e quell'altro è Bill". L'esempio prediletto di Kensur Lekden era quello della mucca (le mucche sono esseri senzienti ed anche persone): noi vediamo qualcosa con quattro gambe e con una cosa che si protende dal collo, con le mammelle che penzolano, e così via, e pertanto noi diciamo: "Quella è una mucca". Come possiamo quindi non dire che la forma sia la mucca, cioè la persona?
(Chandrakirti) aggiunse (queste due negazioni) per rifiutare i dogmi di alcune
scuole dogmatiche buddhiste che proponevano la vera esistenza, nonché certi
altri Autonomisti che dichiaravano la mente come il <sé>, o che stabilivano
alcuni attributi di una persona, come il composto degli aggregati o anche la
loro forma, (come se fossero il <sé>).
Jang-kya dice letteralmente: "Le scuole dogmatiche buddhiste propongono il 'bhava'. Il 'bhava' (tibet. Dngos po) è di solito tradotto come "cosa", volendo significare con essa ciò che è in grado di svolgere una funzione, quindi un fenomeno impermanente; qui, tuttavia, si vuole intendere come "vera esistenza". Il termine Sanscrito 'bhava' ha tre significati: 1) un fenomeno esistente che può essere sia permanente e sia impermanente, così come nel Sutra della Perfezione della Saggezza (Prajnaparamitasutra) si dice che tutte le cose (dngos po, bhava) sono vuote; 2) un fenomeno impermanente, oppure 3) la vera esistenza. In questo caso si riferisce al terzo aspetto. Quindi i bhavavadins sono i Propugnatori della Vera Esistenza. I Buddhisti bhavavadins sono i Proponenti della Grande Esposizione, Proponenti dei Sutra e Proponenti della Sola Mente; spesso il termine include anche gli Autonomisti (265).
E inoltre, il Sutra insegna che le convenzionalità del <sé> e del carro
sono similmente stabilite (come convenzioni):
"Il <Sé> è una mente diabolica.
Tu sei sotto il controllo di una visione nefasta.
Questi aggregati condizionati sono vuoti.
Qui non esiste nessun essere senziente.
Proprio come un carro, che è designato
in dipendenza all'unione delle sue parti,
così, in modo convenzionale, un essere senziente
(è designato) in dipendenza degli aggregati".
Per di più, Chandrakirti dichiara il settuplice ragionamento per chiarire
che (la Scuola Conseguenza) ha uno speciale sistema per stabilire una
somiglianza (tra un carro ed una persona) che non è condivisa dagli
Autonomisti o dalle altre scuole inferiori (dei sistemi dogmatici).
Questo può essere facilmente capito in dettaglio da chi è diventato
abile ed esperto nelle parole del Più Grande (cioè Tzong-Khapa).
I Conseguenzialisti dicono che una persona esiste convenzionalmente, ma non è, nemmeno convenzionalmente, nessuna delle cose che formano le sue basi di designazione. Una persona è solamente imputata in dipendenza degli aggregati mentali e fisici; non è assolutamente nessuno di essi. E questo è così, tanto per le persone che per gli altri fenomeni.
Perciò, il settuplice ragionamento non è né troppo lungo né troppo breve
ed ha numerose sfaccettature. Il testo La Grande Esposizione degli Stadi
del Sentiero verso l'Illuminazione di Tzong-Khapa, dice:
"Questa presentazione, come già spiegato dianzi,
partendo (dall'esame) di un carro, ha, in breve, tre
caratteristiche: 1) l'aspetto di rifiutare facilmente
la visione di permanenza che è una sovrimpressione
di esistenza inerente su tutti i fenomeni, 2) l'aspetto
di rifiutare facilmente la visione di annichilimento
che è il pensare che l'originazione-dipendente non
sia fattibile in un contesto in cui non vi sia alcuna
esistenza inerente, e 3) gli stadi dell'analisi di uno
Yogi, attraverso la pratica di quello dei primi due
aspetti, che sono stati raggiunti.
Il terzo aspetto è spiegato come un convincimento facilmente raggiungibile
circa l'illusorietà dell'Originazione-dipendente, quando uno analizzi le cose
con questo metodo di analisi.
Anche se le negazioni non-affermative non provano nulla di positivo, questo non significa che non vi sia nulla di positivo che possa venir fuori con la meditazione di questi ragionamenti. Tramite questo processo ragionativo, si comprende che le originazioni-dipendenti sono come illusioni, in quanto esse appaiono in un certo modo, ma esistono in un altro modo – cioè esse appaiono esistere inerentemente mentre invece non è così.
Il settuplice ragionamento ha nove fattori essenziali. Il primo è quello di accertare l'oggetto di negazione. Il secondo è di accertarne l'implicazione, la compenetrazione. Il terzo essenziale è di accertarsi dei sette ragionamenti uno dopo l'altro.
Noi abbiamo già discusso l'accertamento dell'oggetto di negazione, la cui essenza è che l'immagine dell'Io inerentemente esistente, in cui crediamo così fermamente, deve apparire alla mente nel modo più chiaro possibile. Il fattore essenziale dell'accertamento dell'implicazione conseguente o della compenetrazione di questo oggetto, è di sviluppare una ragionata convinzione che qualsiasi cosa che non esista in qualunque dei sette modi, non può esistere necessariamente in modo inerente. Se l'Io e gli aggregati esistessero inerentemente, essi dovrebbero esistere in uno o più di questi sette modi.
Tutti i tipi di ragionamento – i frammenti di diamante, il non-essere una cosa sola o più cose, il settuplice ragionamento, ecc. – implica questi primi due essenziali. I rimanenti variano numericamente secondo il numero dei ragionamenti che devono essere accertati. Il primo essenziale è di focalizzare ogni cosa che viene negata. Il secondo è di accertare che se quella data cosa fosse esistente, essa dovrebbe essere questa, quella, tutte le altre, ecc. e, se non fosse nessuna di queste, essa non esisterebbe. I rimanenti essenziali sono le negazioni che sia questa, quella o tal'altra cosa, ecc. Dopo i primi due essenziali, o punti-chiave, vi sono tanti più aspetti quante possibili sono le posizioni. Talvolta ve ne sono quattro, come nei frammenti di diamante, tal'altra ve ne sono due, come nel non-essere una o più cose; in questo caso, ve ne sono sette.
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15) L'ESEMPIO: UN CARRO
Ora mi accingerò a spiegare il settuplice ragionamento stesso. La spiegazione avviene in due parti: esposizione dell'esempio ed utilizzazione di esso per il significato.
ESPOSIZIONE DELL'ESEMPIO
Il Supplemento di Chandrakirti afferma che benché si analizzi in sette modi un carro – se sia una sola cosa con le sue parti, diverso da esse, e così via – esso non è riscontrabile, ed è proponibile per la cognizione valida, senza invalidazione, un carro designato in dipendenza delle sue parti e che similmente il <sé>, gli aggregati, e così via, sono stabiliti in una maniera simile. Il Supplemento dice (265a)
Un carro non è asserito essere diverso dalle sue parti,
E nemmeno non-diverso. E neanche esso le possiede.
Esso non è nelle parti e nemmeno le parti sono in esso.
Esso non è la mera raccolta (delle sue parti), e nemmeno
Esso è la loro forma. (Il sé e gli aggregati) sono simili.
"Simili", alla fine della dichiarazione, indica che il carro e le sue parti sono da considerare come un esempio. Proprio come un carro non è ammesso che sia diverso dalle sue parti, e nemmeno non-diverso, e così via, similmente il <sé> e gli aggregati, che sono le sue basi di designazione, non possono essere accettati come essere la stessa cosa, oppure differenti, e così via.
Un carro che non può essere trovato, ma è designato in dipendenza delle sue parti è tuttavia validamente stabilito. La Visione della Via di Mezzo è un composto di irreperibilità analitica e valida costituzione nominale di un dato oggetto. Queste due posizioni non sono affatto contraddittorie. La valida costituzione di un oggetto non significa che esso possa essere, sotto analisi, riscontrato come reale.
Jang-kya ora esamina attentamente ciascuna ragione del settuplice ragionamento e, mostrando errori e difetti che potrebbero sorgere nel caso di ognuna di esse, dimostra che non vi è possibilità di esistenza per un carro e le sue parti, in nessuno di questi sette modi.
Riguardo a questo soggetto, un carro non è inerentemente la stessa cosa
delle sue parti – assi, ruote, chiodi, e così via – poiché se così fosse, vi
sarebbe il difetto che 1) proprio come vi sono numerose parti, cosippure
dovrebbero esservi numerosi carri, 2) o anche diversamente, proprio
come il carro è uno solo, così anche le parti dovrebbero essere solo una,
e 3) tanto l'agente che l'oggetto dovrebbero essere uno soltanto, ecc.
Questo è il primo dei sette ragionamenti. Il sillogismo di base è: Il soggetto, un carro, non è stabilito per via delle sue proprie caratteristiche, a causa di queste sette ragioni. Le ragioni stesse, non sono evidenti ed ovvie, perciò esse devono essere provate singolarmente, cominciando con la prima, l'identità. La prova non sarà infinita perché ogni ragionamento deve alla fine ritornare a qualcosa che sia evidente ed ovvia. Come il Dalai Lama dice nel suo "La Chiave della Via di Mezzo" (266):
"Riguardo ad una saggezza non-concettuale che apprende una vacuità profonda, si deve
coltivare prima una coscienza concettuale che apprende una vacuità e, quando emerge
una chiara percezione dell'oggetto di meditazione, questa diventa una non-concettuale
saggezza. Inoltre, la generazione iniziale di quella coscienza concettuale deve dipendere
esclusivamente da un ragionamento corretto. Fondamentalmente, perciò, questo processo
riconduce unicamente ad un ragionamento, che in se stesso deve essenzialmente rifarsi
a valide esperienze comuni nostre ed altrui. Di conseguenza, questo pensiero di Dighnaga
e Dharmakirti, considerato il Re dei ragionamenti, è fondamentalmente un ragionamento
che deriva da una o più esperienze evidenti ed ovvie."
Se ciascuna ragione dovesse venir comprovata da un'altra ragione ad infinitum, non si potrebbe mai tornare a realizzare la tesi originale; uno dovrebbe sempre provare i ragionamenti. Quindi, ad un certo punto del processo voi dovreste arrivare a qualcosa di evidente ed ovvio. Il ragionamento deve avere una base. Noi cominciamo dal punto finale, "Questo e questo non è inerentemente esistente, perché…". Dunque noi aggiungiamo un po’ di 'perché', ma alla fine si deve ritornare a qualcosa che sia evidente ed ovvio. È come quando qualcuno che vi sta mostrando un luogo in cui non siete mai stati prima, vi descrive quel certo posto che è più segreto, costruendolo in base a ciò che voi già conoscete.
Se, a parer vostro, il ragionamento non vi riporta a qualcosa di ovvio, allora non è il momento opportuno per farvi conoscere quella tesi. Quindi, anche se alla fine il processo dipende da esperienze di base condivisibili, alcune persone non possono descrivere queste esperienze, nel qual caso diventa improprio anche un ulteriore ragionamento; per esse, un insegnante dovrà avvicinarsi all'argomento in modo periferico, cioè aggirandolo, fare con esse un certo tipo di attività, guidarle in qualche altro modo e poi riportarle alla realizzazione in un tempo successivo. La correttezza di un ragionamento dipende dalla capacità della persona che lo sta ascoltando; il ragionamento non è una costrizione astratta e coercitiva.
Jang-kya ha proposto il ragionamento dimostrando il perché un carro non è la stessa cosa delle sue parti. Ora proviamo a ripeterlo, passo per passo.
Il soggetto, un carro, non è inerentemente la stessa cosa
delle sue parti – cioè assi, ruote, chiodi, e così via.
Fate apparire un'automobile nella vostra mente; puntatevi sopra il vostro dito. L'auto è una cosa sola con le molte parti che vi sono apparse? Ciò che io sento proprio ora, è così. L'importante è che vi sia qualcosa da indicare. Voi dovete essere in grado di dire: "Queste sono le parti: le ruote, gli assi, le porte, il pianale, i lati, il motore", e "Questa è l'automobile". Non potete passare a qualcosa di astratto, no di sicuro se vi mettete a farlo con un'auto concreta.
Perché quest'auto non è la stessa cosa delle sue parti?
Perché, se lo fosse, vi sarebbe il difetto che 1) proprio come
vi sono numerose parti, così vi sarebbero numerosi carri.
Per esempio, la porta sinistra della vostra auto è l'auto stessa? Qualche volta io penso di sì e qualche altra volta, no. Ora penso che si, lo è. E allora, l'altra porta è la vostra auto? Se pensate che lo sia, allora osservandola, vedreste "l'auto" immersa nella porta. Prendete il nome, oppure prendete se possibile una piccola immagine di una macchina intera ed infilatela proprio dentro la porta. Vi sono molte cose che si potrebbero fare per stimolare la mente.
Perciò, voi avete immerso tutto il nome, "automobile", dentro una parte sola. Ciò non è male; molte persone direbbero che ogni qualsiasi parte di una cosa sia la cosa stessa. Se voi infilaste una spilla nel mio dito, io potrei dire che avete infilato una spilla in me. Qualcuno, giocando con questo tipo di analisi, potrebbe replicare, "Quello non sei tu, quello è il tuo dito!", ed io potrei rispondere, "Certo che esso è me, non è certamente te!" Benché io stia concependo me stesso, io non penso, "Il dito è me", se non ne sono obbligato. Sembra che l'ultima risposta sia una sensazione artificiale, mentre la prima sia innata. Ebbene, noi le abbiamo entrambe.
Quando l'oggetto dell'analisi è un carro, o un'automobile, esso è abbastanza chiaro. D'altra parte, se state considerando un'altra cosa, come una banana, dovete assicurarvi di identificare ciò di cui vi state interessando. Voi potreste star considerando sia che la banana è lunga sei pollici ed ha la buccia e può essere tagliata in dieci fettine della stessa misura, oppure una certa sostanza chiamata banana. Quando cercate di scoprire se una banana esiste inerentemente o no, è prima necessario identificare quale banana state prendendo come vostro oggetto di osservazione. Altrimenti, voi potreste giustamente sentire che quando tagliate a fette la banana, ciascuna fetta è ancora la banana. Infatti, essa è la sostanza, la banana. Voi avete spostato l'analisi di una cosa a quella di un'altra.
La stessa cosa avviene con il tè. Ciò che andate considerando deve essere chiaro. State pensando ad una tazza di tè, o state pensando alla sostanza, il tè? In generale, sembra più facile lavorare con qualcosa tipo una banana, per identificarla come una singola intera banana che può venire tagliata in seppure molte parti, o, se invece state trattando con il tè, è più facile lavorare su una tazza di tè. Eppure, anche se decidete di cercare l'esistenza inerente della sostanza banana, voi ne avete una certa quantità nella mente. Similmente, se avete qualche problema nel pensare a che cosa sia un'automobile, potete specificarne gli attributi come nella frase, "la mia auto che ha quattro ruote, un motore ed è in grado di trasportare sei persone". Allorché "auto" non sia più una idea vaga, allora voi potrete decidere con certezza che la porta sinistra non è quell'auto. La porta non è un'auto che ha quattro ruote, un motore, e che può trasportare sei persone.
Esaminate l'oggetto di meditazione, pezzo per pezzo, attentamente. Noi spesso ci interessiamo alla nostra macchina ed ora dobbiamo determinare se la cosa di cui stiamo trattando, sia o meno esistente concretamente nel modo in cui appare. Se la mia auto e le sue parti sono esattamente la stessa cosa, allora poiché la mia auto ha tutte queste diverse parti, devono esservi proprio tante numerose auto. Dato che un mio amico ha bisogno di una macchina ed io ne possiedo dieci – poiché vi sono almeno dieci parti della mia auto – io potrò dargliene una e me ne resterebbero ancora nove! Ma questo è un ragionamento da pazzi.
Esaminate tutta l'intera cosa con il vostro occhio della mente per vedere se ciascuna di quelle parti individuali sia o no la vostra auto. A questo punto, noi non considereremo più il raggruppamento di quelle parti; adesso, considerate ciascuna di esse individualmente, finché non si generi l'idea di non-auto, rispetto a ciascuna di esse – ogni parte non è l'auto, è una non-auto. Voi non state determinando che queste parti siano qualcos'altro, ma solo che esse non sono l'auto. "Non-auto" e "nessuna auto", in questo caso sono la stessa cosa; che qualcosa di positivo sia o meno implicita, dipende dal contesto. Tutte le parti, a voi devono apparire come "non-auto". Questa è la parte davvero importante del ragionamento. La porta deve essere "non-auto", il motore è "non-auto", e così pure il parabrezza, la porta posteriore, la carrozzeria, il tetto, la scocca, le ruote, le luci direzionali, e così via. Tutte queste parti sono "non-auto". Ogni singola parte di essa, deve chiaramente essere "non-auto".
A questo punto, voi non state più considerando se le basi di designazione, come le luci, e così via, siano luci o qualsiasi altra cosa. Voi state semplicemente considerando se esse siano l'auto o no. Se voi permettete alla vostra mente di andare immediatamente su qualcos'altro, manchereste il bersaglio. Voi dovreste cercare di restare fermi qui sulla "non-auto".
Portate quest'analisi fino al punto in cui potete vedere ogni cosa che vi appare, come una "non-auto", dalle sue più recondite profondità. Ovviamente da ogni parte vi è il "non-auto". Se lo fate nel modo giusto, sarà pure vostra cura di rifiutare che il composto (cioè l'unione) delle parti sia l'auto. Perché, una volta che ogni cosa che vi sta apparendo è "non-auto", vi sentireste fuori posto dicendo che un intero (la somma delle parti "non-auto") possa essere l'auto. Perciò, dovreste rifiutare questa condizione. Voi capite che questo burro, o maionese, che state spalmando sopra tutte le parti e che voi chiamate l'intero, non esiste; è solo una fabbricazione mentale. Se voi vedete ogni cosa come una parte e poi parlate di "tutto" o di "intero", manipolandoci sopra come se voleste riunirle tutte insieme in una sola massa, questa è una sostanzializzazione ben al di là di ciò che realmente vi è, una esagerazione della coscienza.
Durante una conferenza a Dharamshala, il Dalai Lama disse che, se questa persona che sta sedendo e parlando in un certo modo, fosse realmente il Dalai Lama in e per se stesso, allora egli dovrebbe essere incapace di produrre qualsiasi cambiamento, come per esempio sollevare le sue mani. Se voi non vedete già una simile discordanza nella vostra ordinaria percezione, quest'analisi dovrebbe aiutarvi. Voi arriverete a sentire che se le cose esistessero nel modo in cui appaiono, sarebbe impossibile far accadere qualsiasi cambiamento, oppure che, essendo il cambiamento già avvenuto, voi dovreste già essere stati ingannati in precedenza. Di conseguenza, potreste chiedervi in che modo sareste stati raggirati, dato che l'apparenza dell'auto o della banana era solo una delle cose prestabilite. O è impossibile uno scambio nelle apparizioni oppure l'apparenza originale è stata una sorta di inganno. In un certo qual modo voi sentite che il tagliare la banana a fette è ingannevole, perché in precedenza la banana vi era vividamente apparsa ricoperta da una buccia. Oppure, mettendo l'enfasi sull'affettare la banana, voi sentirete che eravate stati ingannati in precedenza, quando vi era apparsa la banana intera. Ma poiché esse sono entrambe cose ugualmente prestabilite, come potreste essere stati ingannati? Qui, l'intelletto diventa debole e non può comprendere queste situazioni e così si ritrae rinunciando a rifletterci su.
Quando noi ci osserviamo in uno specchio a grandezza intera, ci ripetiamo continuamente: "Questa è solo un'immagine allo specchio…" Tuttavia, se ci acquietiamo e guardiamo fissi nello specchio per un po’ di tempo, lì vi è una persona. Da qualsiasi lato guardiamo, davanti a noi c'è una persona che appare in maniera vivida. Coltivate questa sensazione di una persona e poi riaffermate la vostra realizzazione che, benché ciò che sta apparendo a voi sia una persona da qualsiasi punto di vista, non lo è – "Questa immagine nello specchio, non è una persona". Oppure, quando vi risvegliate di colpo dopo un sogno, fate in modo che la persona appena apparsa nel sogno appaia nuovamente alla vostra mente; poi, riflettete deliberatamente sul fatto che ogni parte di quella persona che, mentre stavate sognando, sentivate essere una vera persona, venga ora qualificata come non essere una persona. Allo stesso identico modo, i fenomeni appaiono essere riscontrabili, appaiono essere concreti, ma da qualsiasi lato li si osservi, da qualsiasi parte, essi sono qualificati dal non essere così. Jang-kya continua:
2) Oppure, in un altro modo, proprio come il carro è uno solo,
così anche le sue parti dovrebbero essere una sola…
Spesso, tali cose sembrano essere molteplici; talvolta sembrano essere una sola. Altre volte, per esempio, quando occorre ripararla, voi sentite che la vostra auto è (composta) di tanti pezzi; in altri momenti voi la vedete come una cosa sola. Le persone fanno lo stesso con le nazioni. Per esempio, talvolta noi vediamo tutte le parti del territorio come un'unica nazione. Ascoltando alcuni politici, potete dire che sebbene essi non ignorino volontariamente le altre cose, le regioni, le città, le vie, i gruppi familiari, le persone individuali, e così via, essi mettono in rilievo la singola nazione escludendo quelle altre cose. Tutto ciò che vi è dall'Atlantico al Pacifico, fa sorgere il pensiero di "America"; c'è una inconsapevole assenza di distinzioni. Se voi riflettete su questa singola America, vi troverete quasi subito in subbuglio. Forse a voi apparirà per primo un solo stato. E allora? "Questa è America, o il Wisconsin?". Alcuni direbbero che essenzialmente esso è il Wisconsin ed altri direbbero che essenzialmente è l'America. L'America copre tutta l'espansione; mentre il Wisconsin non ricopre tutto il territorio, ma solo una parte. Cercate di mantenere in mente questi due aspetti contemporaneamente. Quando è solo una parte che sta generando il vostro pensiero "Wisconsin", può l'intero, compresa quella parte, generare l'altro pensiero "America"? Qual è delle due? Non potete contemporaneamente avere entrambe le idee in un modo così sostanziale; vi sembrerà di dover trascurare l'una per pensare all'altra.
Se voi identificate che quest'area stessa genera il senso di "America" e che quest'area stessa genera il senso di "Wisconsin", scoprirete che in se stessa, NON possono esservi entrambe le sensazioni nello stesso momento, che c'è qualcosa di erroneo. America e Wisconsin sono, nei fatti, solo nominalità, cose designate in dipendenza delle loro parti, capaci di esprimere funzioni ma non esistenti realmente per loro diritto. Jang-kya continua:
3) Pertanto, l'agente e l'oggetto dovrebbero essere uno solo.
L'agente è il carro; potrebbe essere una cosa alquanto sciocca, ma esso trasporta le sue parti. L'attività del carro è il dover trasportare e l'oggetto di tale attività sono le parti trasportate del carro. Un carro, o anche un'automobile, può trasportare diverse cose ma, in ogni caso, anche le loro parti vengono trasportate. Allo stesso modo, anche quando voi vi muovete, voi la persona, siete il trasportatore e ciò che viene trasportato è il vostro corpo.
Trasportatore e trasportato, presi in questo senso, non possono essere completamente separati. Voi non potete avere un'auto per trasportare le sue parti da qui a lì, come se stesse portandole a rimorchio. Per esempio, è innegabile che quando le vostre mani si muovono, il vostro dito indice è trasportato insieme ad essa. Questa divisione in trasportatore e trasportato è provocatoria, in quanto mostra l'assurdità del fatto che questa mano ci appare come se coprisse una certa area. Se quella mano è una sola cosa con le sue parti, allora tutta l'area ricoperta è "mano", il che è assurdo, ma è purtuttavia innegabile che quando voi muovete quella mano da un posto all'altro, le dita sono trasportate insieme alla mano.
Se riflettete con attenzione su questo ragionamento, potrete avere una strana sensazione per il fatto che non potete indicare nessuna cosa che possa essere chiamata "trasportatore". Infatti, con nessuna cosa che produce una funzione, è duro indicare la cosa che effettua quella funzione. Tuttavia, non è la funzionalità che deve essere rifiutata; invece è piuttosto il fatto che l'oggetto sembra esistere per suo proprio diritto, che bisogna rifiutare.
Il secondo dei sette ragionamenti è che un carro non è inerentemente differente dalle sue parti. Così come in precedenza, questa asserzione è dichiarata, a scopo di prova, come tesi di un sillogismo.
Il soggetto, un carro, non è inerentemente differente dalle sue parti,
poiché altrimenti essi sarebbero entità differenti e qualsiasi cosa sia
di entità differente e simultanea, deve essere senza rapporto con le
altre entità; quindi, così come un cavallo ed un bue, un carro potrà
essere visto separatamente dalle sue parti, ma così non può essere.
Quando pensiamo che un carro sia differente dalle sue parti, noi immaginiamo un carro nonché le parti, che possiamo indicare. Quindi, noi abbiamo già erroneamente concretizzato il carro, in un "carro riscontrabile" diverso dalle sue riscontrabili parti. Noi abbiamo immaginato una differenza analiticamente verificabile ovvero inerentemente esistente. Il sillogismo si riferisce a questo essere inerentemente differente, per evitare di rifiutare ogni differenza tra il fenomeno designato e le sue basi di designazione. In quanto, il carro e le sue parti non sono veramente la stessa cosa; essi non sono differenti entità, ma convenzionalmente essi sono differenti. Una differenza inerentemente stabilita comporta che un carro sarebbe una entità differente dalle sue parti.
I Conseguenzialisti Ghelugpa trattano ampiamente della differenza nominale e della differenza convenzionale ma, in termini negativi, alla fine non vi è nessuna riscontrabile differenza analitica tra i due significati. E ciò si spiega col fatto che così tanti insegnanti non-Ghelugpa non si preoccupano di qualificare il termine "differenza" con l'aggiunta di "esistente inerentemente", ma piuttosto affermano soltanto che un carro non è differente dalle sue parti. Essi sentono che noi stiamo investigando la natura ultima delle cose e, quindi, non vi è necessità di appiccicare la qualifica "inerentemente", dato che se noi lo facessimo nella nostra mente, non daremmo importanza al nostro senso della differenza – che già concepiamo erroneamente come riscontrabile – ma lo considereremmo come qualcosa che va al di là, sentendo che abbiamo soltanto bisogno di rifiutare una qualsiasi esistenza inerente che sia aggiunta a ciò che sta apparendo. Una volta che il rifiuto è visto in tale modo, più nulla di significativo verrà negato. Perciò, si dovrebbe capire che, quando è aggiunta al rifiuto la qualifica "inerentemente esistente", ciò non è fatto per escludere il nostro ordinario senso della differenza, il quale è impregnato con un senso di esistenza dell'oggetto dalla sua propria parte e per suo proprio diritto.
"Ordinario" non ha lo stesso significato di "convenzionale", e viceversa. Alla fine, quando avrete capito la differenza convenzionale, semplicemente osservando che la mano e le sue parti – il palmo, le dita, ecc. – sono convenzionalmente differenti, ciò è sufficiente per generare una continuata cognizione che né la mano e né le sue parti possono essere trovate (in se stesse).
Una prevalente concezione erronea circa la vacuità è di pensare che, quando meditiamo usando questi ragionamenti, noi si decida qualcosa di intellettuale in un campo astratto e che, una volta che abbiamo compreso l'irreperibilità dei fenomeni, dovremmo ritornare alle nostre ignoranti presupposizioni per poter lavorare con essi. Noi dobbiamo lavorare con i fenomeni, ma con una mente congiunta alla comprensione della loro infondatezza. Perciò, la realizzazione della vacuità può essere una continua, significativa, efficiente cognizione che alla fine può imprimersi per sempre. Noi dobbiamo risolvere come armonizzare la realizzazione dell'introvabilità dei fenomeni con tutti gli aspetti della nostra vita. E non è certo facile.
Ora, cerchiamo di esaminare la negazione di una differenza inerentemente stabilita, punto per punto:
Il soggetto, un carro, non è inerentemente diverso dalle sue parti,
perché altrimenti essi sarebbero entità differenti.
Una differenza inerentemente stabilita risulta in una differenza di entità. Molte volte può sembrare che queste regole, valide per l'esistenza inerente, siano così assurde che non si rapportino con il modo in cui di solito noi concepiamo le cose. Tuttavia, la differenza di entità significa proprio che è possibile indicare, "Questo è un carro e queste sono le parti di un carro", con una sensazione di concreta riscontrabilità di ciascuno di essi. Differenza di entità significa che voi potete indicare le due cose in modo separato.
Visualizzate un carro di color blu e poi le basi di designazione del carro, cioè le sue parti componenti, di color rosso. Allora, prima voi avete qui un carro blu, e poi colorate tutte le parti in color rosso. Che cosa avete lasciato in sospeso, che possiate dire essere il carro, senza colorarlo di rosso? Non c'è nessun carro separato dalle sue parti. Jang-kya continua:
E qualunque cosa che sia di entità differente e simultanea,
deve essere un'entità di tipo diverso e priva di rapporto….
E questo è vero anche nell'aspetto convenzionale. Se il carro e le sue parti fossero entità differenti, significherebbe che il carro potrebbe essere qui e le sue parti, invece, laggiù in un altro posto. Ciò potrebbe sembrare un'astrusa follia, dato che mai voi potreste pensare che le parti della vostra auto – i paraurti, la scocca, i sedili, il motore e tutte le sue altre componenti – possano stare laggiù mentre la vostra auto si trova qui. Tuttavia, talvolta noi abbiamo la sensazione che sebbene una certa auto e le sue parti si trovino nello stesso posto, l'auto stessa sia un'entità pervasiva che riunisce insieme tutte le sue parti. Questa entità coesiva è l'auto.
Certamente è possibile immaginarla in tal modo, ma nel caso che l'auto e le sue basi di designazione fossero così, noi dovremmo essere in grado di prendere tutte le parti e gettarle via ed avere ancora un auto.
… Quindi, così come un cavallo ed un bue, un carro dovrebbe
venir osservato separatamente dalle sue parti, ma così non è.
Tanto per fare un esempio, nella concezione di un Io che sia autosufficiente o che sia un'entità sostanzialmente esistente, vi è una forte sensazione di quest'Io con una precisa collocazione. Spesso può perfino capitare di sentire come se è possibile sbarazzarsi di corpo e mente, ma questa persona sarebbe ancora li, presente nello spazio. Dovremmo considerare se abbiamo mai sentito questa sensazione.
Se siete giunti ad una persistente e vivida sensazione di esservi liberati di mente e corpo, potete usare un'altra analisi: Questa persona auto-sufficiente è la metà destra o la metà sinistra della sua vivida apparenza? Essa è vigorosa ed esplicita, ma poiché è qualcosa che si manifesta all'esterno, si può tracciare una linea dividendola a metà. Allora, la parte destra sono io? Si. Ed allora chi è la parte sinistra? Se entrambe sono persone autosufficienti, devono esservi due "me stesso". Altrimenti, se tutta la cosa intera genera il pensiero "me", come può essere possibile che io abbia anche solo l'idea che in esso vi siano due lati? Dunque, il "Me" è solo designato in dipendenza delle sue basi di designazione e non esiste dalla sua propria parte, né per suo proprio diritto.
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Che un carro e le sue parti non sono inerentemente differenti, era il secondo dei sette ragionamenti.
Ora, Jang-kya presenta rapidamente il terzo ed il quarto ragionamento – cioè che un carro non dipende inerentemente dalle sue parti e che le parti del carro non dipendono inerentemente da esso.
Riguardo al carro, il soggetto è che anche le due posizioni
di dipendenza – cioè che un carro dipenda inerentemente
dalle sue parti o che le sue parti dipendano inerentemente
da esso – non sono sostenibili. In quanto, se fosse il caso di
queste due (posizioni), (il carro e le sue parti) dovrebbero
essere entità differenti, mentre questo caso è già stato
spiegato come impossibile.
Noi abbiamo appena deciso che il carro e le sue parti, per via delle loro caratteristiche, non possono essere stabiliti come differenti, perché se così fosse, noi dovremmo essere in grado di conoscere il carro separatamente dalle sue parti. Questo ragionamento è sufficiente per rifiutare queste due posizioni, ma dovrà ora essere ripetuto nei dettagli. Quando il ragionamento della mancanza di differenza inerentemente stabilita opera nel giusto modo, la sua applicazione a queste posizioni di dipendenza è sorprendente.
Le parti di un carro dipendono dal carro in modo simile ad una foresta innevata. Quando la neve ricopre la foresta, essa è sopra e dappertutto. Il carro, o l'auto, è il luogo in cui tutte quelle parti sono attaccate, è l'entità di coesione. Ancora, un carro che dipende dalle sue parti è come lo yogurt in una tazza. Il carro, o l'auto, dipende da esse intimamente. Le parti sostengono e mantengono insieme questa cosa intera. Entrambe le posizioni richiedono che il carro e le sue parti siano differenti. Quindi, la precedente negazione della differenza qui dovrà essere applicata passo per passo.
Il quinto ragionamento rifiuta il possesso delle parti da parte del carro. In più, vi sono due modalità, una in cui il possessore ed il posseduto sono la medesima entità ed un'altra in cui essi sono entità differenti.
Riguardo al carro, il soggetto, anche nei due modi in cui
esso sarebbe inerentemente in possesso delle sue parti –
nel senso, per esempio, in cui Devadatta possiede un bue,
o anche nel senso in cui Devadatta possiede le orecchie –
non è sostenibile perché, secondo il primo dei due modi
di possesso, il carro e le parti dovrebbero essere stabiliti
inerentemente come entità differenti e, secondo l'altro,
essi dovrebbero essere stabiliti inerentemente come una
sola ed unica entità, ed entrambe sono già state rifiutate.
Nel caso in cui Devadatta possiede un bue, Devadatta ed il bue sono entità differenti. Mentre nel caso in cui Devadatta possiede i suoi orecchi, questo è un esempio di possesso di qualcosa che è la stessa entità. Eppure, dov'è il Devadatta che ha le orecchie? Voi potreste quasi provare una sensazione che Devadatta sia separato dalle sue orecchie, così che egli possa venirne in possesso.
Entrambe queste posizioni sono state rifiutate dai primi due ragionamenti. Tuttavia, in questo contesto noi dobbiamo applicare queste negazioni lentamente ed attentamente per giungere gradualmente alla sensazione che è impossibile per un carro possedere le sue parti, nel contesto di una costituzione riscontrabile. Dobbiamo sentire che un'auto non può possedere le sue parti nel modo in cui una persona possiede un bue, perché se così fosse, noi dovremmo essere in grado di conoscere le due cose in modo separato, mentre non lo possiamo. D'altro canto, se l'auto possedesse inerentemente le sue parti come una persona umana possiede le orecchie, vi sarebbe il problema che l'auto e le sue parti sarebbero una cosa sola. Noi non potremmo indicare le parti singole e dire, "Questa è la scocca", "Questa è la porta", e così via. Oppure, da un altro punto di vista, noi dovremmo avere tante auto quante sono le sue parti.
È necessario esaminare le stesse negazioni che abbiamo discusso col primo ed il secondo ragionamento, mettendo la cosa sul piano di doverci sradicare la sensazione di un'auto inerentemente stabilita che possiede le sue parti. Non si può solo decidere che questa negazione era comunque celata al momento di rifiutare l'uguaglianza e la differenza tra l'auto e le sue parti. Piuttosto, ciò deve essere fatto ancora con un intenso coinvolgimento. Noi abbiamo due possibilità e se ne l'una né l'altra di esse funzionano, l'auto non possiede le sue parti nel modo in cui pensiamo che sia; dobbiamo essere decisi. E voi dovete farlo come se fosse in gioco la vostra vita; dovete prendere questa decisione in un attimo.
Noi da sempre abbiamo pensato che le persone possiedono delle parti, cosippure le automobili, i libri, ecc. Sentivamo che queste erano parti di una sostanza reale. Quando ero bambino, io ritenevo la mia vita tutta imperniata sul fatto che la mia casa paterna aveva dieci stanze. E certamente io avevo basato molte delle mie sensazioni sul fatto che avevo le gambe. È pressoché impensabile che cio potesse non essere una valida base per fabbricare la realtà. "Che vuoi dire? Bè, non avrei forse dovuto preoccuparmi se avessi perso una gamba?". Immediatamente, noi traiamo assurde conclusioni che rafforzano la sensazione di dover possedere una gamba inerente.
Questa stanza ha quattro mura, ma dov'è la stanza che ha quattro mura? Se vi fosse una gru che buttasse giù una delle quattro pareti, voi potreste pensare: "I Conseguenzialisti dicono che la relazione di 'avere' non può essere messa sotto analisi. Facciamoli venire qui e congeliamoli!". I Conseguenzialisti non hanno mai negato la funzionalità. Al contrario, essi si sono occupati della funzionalità delle cose.
Secondo me, l'analisi del possesso è una delle parti più toccanti ed utili del settuplice ragionamento. All'interno del 'possedere' vi sono le posizioni di uguaglianza e differenza. Perciò, potete completare tutto il ragionamento all'interno del ragionamento sul possesso. Il significato del settuplice ragionamento sta tutto nel verbo "avere" e ciò è particolarmente di aiuto per sviluppare l'altruismo, perché dopo aver visto quanta sofferenza viene indotta dal credere in queste apparenze in modo così solido, noi possiamo avere un più forte e più realistico desiderio che tutti gli altri possano essere liberi da questa sofferenza indotta a causa di tale percezione erronea.
Ora abbiamo raggiunto il sesto dei sette ragionamenti.
Riguardo ad un carro, il soggetto non è sostenibile stabilirlo
come se fosse la mera raccolta delle sue parti, poiché in quel
caso, ne conseguirebbe assurdamente che allorquando tutte
le parti del carro – ruote, assi, ecc – senza tralasciarne alcuna,
fossero ammucchiate in ordine sparso in un certo posto, anche
in questa mera raccolta sparpagliata vi sarebbe sempre il carro.
La posizione che viene qui rifiutata è proprio quella che, alla fine, voi dovreste pensare come il fatto cruciale – cioè che le cose siano composizioni (o composti) delle loro parti. Può esservi una indistinta raccolta di parti che è separatamente collegata, ma qui c'è una raccolta (o composto) di parti proprio unite lì e che è il carro. Questo è ciò che noi comunemente pensiamo.
Tuttavia, se il carro fosse la mera composizione (il composto), ovvero l'interezza delle sue parti, allora se voi ammucchiaste una sull'altra tutte le parti, voi dovreste ottenere un carro. È alquanto facile mettersi a separare una sedia di legno. Quando poi la rimettete insieme, voi sentite che vi è solo un modo in cui la sedia si ricompone assieme – qualcosa di irresistibile e convincente proprio lì nelle basi di designazione.
I nostri stessi Proponenti (buddhisti) della Vera Esistenza (cioè la Scuola
della Grande Esposizione, la Scuola dei Sutra e la Scuola della Sola Mente)
sostengono che sebbene non vi sia un intero (267), vi è un mero composto
(268) delle parti. Tuttavia, anche questo composto non è sostenibile come
carro, perché (secondo loro) siccome l'intero non esiste, quindi, anche le
parti non possono esistere.
Le scuole che non fanno parte della Via-di-Mezzo, dicono che non vi è un intero che sia separato – vi è semplicemente una mera composizione delle parti. Il rifiuto della loro posizione dipende dal fatto che le parti stesse esistono solo in relazione all'intero. Noi abbiamo diverse parole per evocare una sensazione di interezza; una è "l'intero", un'altra "l'unione" ed un'altra ancora "il tutto". In quest'ultimo caso, prendete "il tutto" come soggetto del ragionamento e vedete se potete trovare la relazione tra tutto e le sue parti. E' questa una parte del tutto? Oppure è quella, una parte del tutto? Avendo esentato queste, potrete sentire allora che la mera unione è il tutto. A quel punto, rivolgetevi ad osservare quella unione.
All'asilo, io ero solito chiedere al maestro cosa voleva dire la parola "dozzina", nel composto "una dozzina di uova". Sembrava darmi l'impressione che vi fosse una qualche sorta di "dozzina" lì. Mi ricordo che a casa, guardando il cesto delle uova nel frigorifero per vedere se potevo trovare questa "dozzina", tiravo fuori una ad una le uova per vedere in quale momento la dozzina sarebbe sparita.
Dato che "dozzina" è solo una designazione dipendente dall'unione di dodici uova, anche l'uovo stesso è una designazione dipendente da un'unione, composta dal guscio, e così via. Proseguendo nel ragionamento, alla fine arriverete alle più piccole particelle e, ad un certo punto, sembra che non si possa andar più oltre. Dentro la parte interna avviene uno stravolgimento, una sensazione che debba esservi ancora qualcosa li, qualcosa che esiste di per sé dalla sua propria parte.
L'ultimo dei sette ragionamenti è di rifiutare che la forma delle parti sia il carro.
Riguardo al soggetto, un carro, non è neanche ammissibile
stabilire la particolare forma delle sue parti come se fosse esso,
in quanto non è sostenibile che le forme delle parti singole
siano il carro, e nemmeno è sostenibile che la forma di tutta la
composizione delle parti sia il carro.
Voi potreste pensare che il carro sia la sua forma particolare. Quando vi capita di andar per strada in cerca della casa di qualcuno, voi sapete che quella casa ha una certa forma che la identifica. Arrivereste a dire che quella forma non sia la casa? Allora, qual è e cos'è la casa?
Vi sono diverse possibilità riguardo alla forma in questo ragionamento. Qualcuna sembra stupida, ma è necessario esaminarle bene tutte. Davanti a voi c'è una casa; ma sono le forme singole delle sue parti, sono queste la casa? O forse la forma di tutte le parti unite insieme? Avendo prima indicato i due modi in cui un carro potrebbe essere considerato una forma, ora Jang-kya mostra singolarmente che ciascuno dei due è impossibile.
Il primo ragionamento (cioè che non è sostenibile che le forme
delle parti singole siano il carro) viene dichiarato in quanto non
è possibile per le forme stesse, che non sono differenti dalle forme
delle parti prima che fossero assemblate come carro, e neppure
è possibile per altri tipi di forme, che sono come erano le forme
prima del loro venir assemblate per diventare un carro.
Le forme delle singole parti, prima che fossero assemblate e fatte diventare un carro, non possono essere il carro. Inoltre, dopo l'assemblamento, non vi sono nuove forme delle stesse parti che siano differenti dalle forme delle parti prima che fossero state assemblate, e che ora possano essere il carro. Se distendete per terra davanti a voi le ruote, gli assi, le porte, e così via, forse che queste cose prese singolarmente hanno forme diverse quando poi le unite insieme? Di certo noi sentiamo che la forma delle parti assemblate è il carro. Tuttavia, prese da sole hanno esse nuove forme quando vengono assemblate? È un fatto incontrovertibile che le singole parti non abbiamo una forma diversa quando le si mettono insieme.
Jang-kya dette proprio due ragioni dimostrando il perché non è possibile essere un carro, per le forme delle singole parti; ora egli ci darà la prova di ciascuna di esse.
La prima ragione (che è non ammissibile per le forme che non
sono differenti dalle forme delle parti, prima che esse fossero
assemblate come carro) è dichiarata perché, altrimenti, poiché
non vi è differenza nelle forme delle ruote, delle assi, e così via,
prima e dopo essere state assemblate, proprio come non c'era
il carro prima (che le parti) fossero state assemblate, così non
non vi sarebbe nessun carro neanche dopo che (le parti) furono
assemblate.
Tutte queste parti hanno le loro singole forme e le forme dopo il loro ordinamento sono identiche a prima che fossero state sistemate. Quindi, proprio come non vi è un carro prima che le parti del carro vengano assemblate, così non ci sarebbe nessun carro dopo che le parti sono state assemblate.
La seconda ragione (che è non ammissibile per altri tipi di forme
simili alle forme stesse, prima che esse fossero state assemblate
come carro) è dichiarata perché, se le ruote, le assi, e così via,
avessero avuto altri tipi di forme differenti dopo essere state
assemblate, e che non avevano prima di venir assemblate, questo
avrebbe dovuto essere osservato, mentre invece non lo fu.
Ricordate che questo è parte del ragionamento che rifiuta la posizione in cui le forme delle singole parti del carro sono il carro. Se il carro fosse le forme delle sue parti, allora, poiché il carro è ovviamente lì dopo che le sue parti sono state assemblate e non prima, le parti dovrebbero avere una nuova forma dopo che esse furono messe insieme. Se, invero, le parti avessero forme nuove, queste dovrebbero essere osservabili. Tuttavia, quando voi osservate ciascuna parte, potete vedere che nessuna parte ha cambiato forma.
La seconda parte della precedente ragione – che la forma dell'unione
delle sue parti non può essere posta come il carro – ed è così perché
nei sistemi dei Proponenti della Vera Esistenza, l'unione delle parti
non è sostanzialmente stabilita e, quindi, non è possibile per la forma
di tale (composto) di essere stabilita sostanzialmente, laddove essi
asseriscono che un carro sia sostanzialmente stabilito.
Se voi non potete trovare un composto sostanzialmente esistente, non vi sarà modo di trovare una forma, di tale composto, che sia sostanzialmente esistente. Un altro sistema di arrivare a questo è di considerare, come è stato fatto in precedenza col primo dei sette ragionamenti, se la forma dell'intero carro sia le forme delle singole parti. Un carro ha diverse forme; la forma generale (cioè dell'intero) è inerentemente identica o differente da esse?
Dobbiamo stare attenti con questo. Se le apparenze non fossero come magnetiche attrazioni per la nostra mente, obbligandoci a credere in esse, noi non saremmo mai diventati così coinvolti nella confusione, come invece siamo. Noi dovremmo aver imparato da molto tempo che tutto ciò è sbagliato; anche se abbiamo cominciato con l'essere ignoranti di ciò, potremmo averlo immaginato da molto prima. Tuttavia, vi è un'attrazione fondamentale, come il bisogno di mangiare o bere, un magnetismo che ci fa concepire queste cose come esistenti nel modo in cui appaiono.
Per tutti noi, questa prepotente sensazione di cose riscontrabili è di un'evidenza incontrovertibile. Come potremmo vivere se queste cose non fossero vere, così come ci appaiono? Cosa faremmo? Cosa saremmo? Dovremmo cambiare in maniera così radicale che sarebbe come se la stessa terra fosse estirpata via da sotto i nostri piedi. Ciò che prendiamo tranquillamente per casa nostra, dove siamo nel tempo, spazio, e così via, dovrebbe tutto essere rimesso in discussione. Perciò, il Grande Veicolo (Mahayana) è detto essere "senza base", in quanto non ci permette di avere una base per la nostra sensazione di esistenza inerente. I Conseguenzialisti ci stanno dicendo che la competenza della mente è di raffigurarsi che la condizione degli oggetti che ci appaiono è falsa.
Jang-kya ha fatto menzione dei sistemi che asseriscono la vera esistenza. Se noi possiamo rifiutarli, ciò ci aiuterà a rifiutare il nostro innato senso di vera esistenza.
Inoltre, vi è il caso (in cui essi asseriscono sostanzialmente un
carro esistente) in quanto questi sistemi sostengono che le basi
di designazione di tutti gli imputati esistenti sono esistenti in
modo sostanziale. Per di più, il nostro stesso sistema, in cui le
basi di designazione di un imputato esistente non è asserito
(come) sostanzialmente esistente, la forma dell'unione delle
parti è la base di designazione di un carro, e non il carro stesso.
Numerose cose diverse possono essere identificate come basi di designazione di un carro, tra le quali vi sono il collegamento delle parti (cioè il composto) e la stessa forma di questo composto. In più, le basi di designazione variano a seconda di chi le osserva e di ciò a cui l'osservatore sta dirigendo l'attenzione in un dato momento. Per esempio, voi non potrete mai vedere la forma di un'automobile nella sua interezza. Potrete vedere solo una porzione, un'angolazione di essa; e questo è ciò che la base di designazione "automobile" è per voi, in quel dato momento. Un insieme di parti, che è una non-automobile, viene correttamente designata "automobile". Ciò significa che, stando ed agendo in questo mondo, noi possiamo produrre una comprensione della effettiva natura convenzionale degli oggetti e delle attività e farne i veri mezzi per favorire la comprensione della vacuità. Non è detto che, quando agiamo nel mondo, noi si debba per forza agire nell'ignoranza.
Obiezione: Da quanto visto in questi sette metodi, un carro non è stato trovato
e, quindi, non esiste un carro. Tuttavia, tutto ciò non è sostenibile, perché con
espressioni di tipo: "Prendi il carro!", "Compra un carro!" e "Prepara il carro!"
si intende qualcosa che nel mondo convenzionale è ritenuto noto ed abituale.
Pensate forse che le persone sarebbero d'accordo sul fatto che un carro esiste, malgrado non vi sia affatto una certa cosa da indicare e da poter dire, "Questo è un carro?". Questo è il principale scrupolo che ciascuno ha nell'operare per diventare un Proponente della Via di Mezzo. Se noi non arriviamo ad avere la sensazione che, a causa della irreperibilità analitica, non può esservi un carro, non potremo essere Proponenti della Via di Mezzo.
Risposta: Non può esservi una simile falsa credenza. Nel nostro sistema, quando
un carro è analizzato in questi sette modi, esso non viene trovato; ed esso non è
trovabile né come verità ultima e né come verità convenzionale, ma ciò non rende
non-esistente il detto carro. Perché, 1) l'asserzione del carro non avviene a causa
del ragionamento che stabilisce il suo essere, analizzando se detto carro esista
inerentemente o no, ma è stabilita solamente da una coscienza non-difettosa,
ordinaria e mondana – vale a dire convenzionale – senza alcuna analisi, che cerca
l'oggetto designato, e 2) per di più, il modo in cui (un carro) è stabilito, è che esso
è stabilito solo come esistente in modo imputato, nel senso di essere designato
in dipendenza delle sue parti, le ruote, gli assi, e così via…
Un carro non è asserito (cioè convalidato) dal punto di vista del suo essere stabilito da quella coscienza qualificata a determinare se esso sia analiticamente trovabile o meno; piuttosto, esso è asserito come esistente, dal punto di vista di una coscienza ordinaria e non-difettosa. Vi sono coscienze convenzionali che conoscono oggetti straordinari e non-usuali, come la cognizione della vacuità oppure che il libro di Jang-kya sulla Dottrina esiste solo in una mera maniera designata; queste sono coscienze convenzionali, ma non coscienze ordinarie. Una ordinaria coscienza convenzionale è la coscienza convenzionale di una persona che non ha rivolto la sua mente verso la vacuità; essa non ricerca i suoi oggetti in nessuno dei modi che abbiamo or ora discusso. Poiché essa è ciò che stabilisce l'esistenza del carro, il non trovare un fenomeno quando lo si cerca nei sette modi, non rende quei fenomeni non-esistenti.
Talvolta può sembrare che, nella Scuola della Via di Mezzo, si accetti (l'esistenza) di un carro quando non vi sia l'analisi e non quando vi sia. Questo è vero solo in parte, perché, quando vi è un'analisi non è possibile giungere a qualcosa che sia anche solo un carro esistente convenzionalmente. Sotto un'analisi definitiva, voi non potete arrivare né a colui che designa le cose, né alla designazione e né all'atto del designare. Il carro esistente convenzionalmente è qualcosa di percepito da una valida coscienza che non effettua una tale analisi. Nondimeno, questo non significa che il carro, che è asserito quando non vi è un'analisi, sia esistente nel modo in cui appare alla nostra mente; dato che esso appare esistere dalla sua propria parte, anche quando noi non stiamo attivamente aderendo alla sua apparizione. Cosa potrebbe significare il sapere sempre che il carro e tutti gli altri fenomeni sono introvabili analiticamente ed essere sempre in grado di agire con tale comprensione? Questo è ciò per cui dobbiamo lavorare: cioè per conoscere i fenomeni convenzionalmente esistenti solamente come fenomeni che esistono in modo convenzionale e ingannatorio.
Il Supplemento di Chandrakirti dice (269):
Che (il carro) non sia stabilito in questi sette modi,
tanto nella (sua propria) talità, che nel modo mondano,
ma è qui designato, senza adeguata analisi, proprio
dal punto di vista mondano, dipendente dalle sue parti.
L'Autocommentario di Chandrakirti al "Supplemento sul Trattato della Via di Mezzo" di Nagarjuna, descrive chiaramente come i fenomeni siano stabiliti in maniera nominale:
Non solo questa posizione stabilisce assai chiaramente
la designazione convenzionale del carro, dal punto di
vista di ciò che è considerato valido nel mondo, ma pure
queste nominalità dovrebbero essere asserite, dal punto
di vista della rinomanza mondana, senza alcuna analisi.
Il discorso di Chandrakirti, parlando della necessità di asserire tali nominalità, rinnega quelli che dicono che i Conseguenzialisti non hanno asserzioni positive. È chiaro che, nel sistema proprio di Chandrakirti, egli accetta le cose convenzionalmente esistenti, come interdipendenti e introvabili analiticamente.
Gli Autonomisti e gli altri sistemi dottrinali più bassi –
avendo visto che se il collegamento delle parti, ecc. non
fosse stabilito come una raffigurazione dell'intero, ecc.
(poiché nessun fenomeno potrebbe essere stabilito)
allora non vi è l'intero, ecc., che sia una entità separata
da quelli – asseriscono che (qualcosa) dall'interno (270)
delle basi di designazione è posto come questo o quel fenomeno.
I sistemi dottrinali inferiori pensano che se non si può determinare qualcosa – il collegamento delle parti o anche solo una di quelle parti – come il fenomeno in se stesso, allora quel tale fenomeno non esiste. Tuttavia, essi rinnegano i non-buddhisti, come i Vaishesika che dicono che vi è un intero che è un'entità separata dalle parti. Noi tendiamo a pensare che l'intero sia davvero qualcosa di separato dalle sue parti, perché quando voi unite qualcosa insieme, voi siete in grado di creare qualcosa di nuovo; per tale ragione, questi sistemi concludono che l'intero abbia un'entità sostanziale separata. Ma, dov'è questa nuova entità sostanziale? I buddhisti hanno visto che non si può trovare alcun intero come entità separata dalle parti, come separata entità dalle basi di designazione, ma le scuole buddhiste non-Conseguenzialiste asseriscono poi che un carro è un certo fenomeno che (sorge) dalle basi di designazione – in questo caso, dall'unione stessa delle parti.
Essi non sanno come stabilire un fenomeno,
se l'oggetto che è stato designato come quel
fenomeno, non è trovato quando lo si cerca.
Essi (i non-Conseguenzialisti) pensano che un fenomeno non può essere dichiarato esistente se non può essere indicato come qualcosa che sia la cosa designata. Questo è il vero punto cruciale di tutta la situazione; noi non sapremmo come vivere con questi fenomeni stabiliti in modo non-oggettivo. Il test per provare che qualcosa sia inerentemente esistente noi lo facciamo tanto se esso può compiere la sua funzione o no. Se esso può compiere la sua funzione, allora merita quel posto e, se non può compiere la sua funzione, allora non lo fa. Questo è il nostro modo estremo per identificare un esistente; noi non sappiamo in che modo le cose possano eseguire le loro funzioni ed essere, malgrado tutto, senza esistenza inerente.
Quindi, poiché non accettano che i carri, e così via, siano
mere designazioni nominali, essi asseriscono che i carri,
e così via, sono convenzionalmente stabiliti per via delle
loro proprie caratteristiche.
Gli Autonomisti e le altre scuole inferiori pensano che nessun fenomeno avrebbe più stabilità di un serpente imputato erroneamente su una corda, se i fenomeni fossero tutti meramente esistenti in maniera designata. Anche noi lo pensiamo. Verbalmente, gli Autonomisti potrebbero accettare che le cose esistano meramente come designazioni, ma questo per loro significherebbe solo che le cose non sono separate dalle loro basi di designazione, dato che essi asseriscono che un fenomeno può essere trovato nell'insieme delle sue basi di designazione. Bhavaviveka, per esempio, dice che la coscienza mentale <è> la persona (271), mentre Chandrakirti non è d'accordo che una qualunque delle basi di designazione di un fenomeno sia il tale fenomeno. Questo è la differenza cruciale tra le Scuole dell'Autonomia e della Conseguenza.
Sebbene questo supremo sistema non sostenga che una cosa
che sia l'unione delle parti, oppure qualcosa all'interno come
una raffigurazione dell'intero, e così via, possa essere in grado
di presentare al meglio tutte le azioni e gli agenti, nel contesto
di una mera designazione nominale dell'intero, ecc. Eppure,
il Maggior Onnisciente (Tzong-Khapa) consigliò che poiché
questo modo di commentare sul significato delle Scritture sia
proprio il pensiero personale e straordinario del Conquistatore
(il Buddha), coloro che stanno discriminando dovrebbero
addestrarsi in questo sistema di interpretare il pensiero del
Buddha. Sembra che questo modo (di stabilire i fenomeni
in un contesto di mera designazione nominale) è un punto
estremamente difficoltoso che non era nella competenza
della mente di molti che furono famosi come grandi Pandit
nella terra dei Superiori (India) e, ad eccezione del Padre
Onnisciente (Tzong-Khapa) e dei suoi figli spirituali (Ghyel-
Tsab e Kedrup), la maggioranza degli eruditi e degli adepti
nel Tibet innevato furono anch'essi incapaci di vedere pure
perfino una sola parte di questo.
Questo è un avvertimento per lo speciale metodo in cui Tzong-Khapa presenta la vacuità ed i fenomeni convenzionali. Io mi sforzo di tenere a mente la dichiarazione dell'attuale Dalai Lama, che tutti i diversi ordini in Tibet possiedono armi per distruggere la concezione di esistenza inerente e che tali armi sono tutto ciò che serve. Alcune di queste armi potrebbero essere descritte meglio di altre; alcune potrebbero essere più adatte per certe persone piuttosto che per altre. In ogni modo, tutti hanno armi per arrivare a comprendere l'esistenza inerente. Si può solo domandarsi come tutto ciò sia possibile, malgrado la lunga storia di controversie.
Questo modo di analisi è un profondo mezzo per trovare velocemente la visione
della vacuità. L'Autocommentario di Chandrakirti al Supplemento del "Trattato
sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna, dice (272):
Poiché queste convenzionalità mondane non esistono,
quando le si investiga in questo modo, ma esistono per
via della rinomanza non-analitica, allorché gli Yogi le
analizzano in quelle fasi, essi le penetreranno in modo
assai veloce fino ai recessi della profonda Quiddità!
Il Settuplice Ragionamento è prima di tutto utilizzato a causa della sua proprietà di conferire velocemente la comprensione.
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16 – PORTARE IL RAGIONAMENTO NELLA VITA
COMMENTI
Un esempio è più facile da capire che non la cosa in se stessa. Giudicando dalle apparenze, questo dovrebbe significare che è più facile capire l'assenza di esistenza inerente di un carro che non comprendere l'assenza di esistenza inerente di una persona. Tuttavia, è tradizionalmente detto che l'assenza del sé delle persone è più facilmente comprensibile che non l'assenza del sé dei fenomeni e questa è la ragione del perché prima si deve meditare sull'assenza del sé delle persone. Come Tzong-Khapa dice nel suo "Esposizione Mediana della Speciale Visione Profonda" (273):
Il Commentario "Parole Chiare" di Chandrakirti e il Commentario sul "Trattato della
Via di Mezzo di Nagarjuna" di Buddhapalita, spiegano che quando si penetra nella
Quiddità, all'inizio vi si entra tramite la ricerca dell'assenza del sé delle persone: Anche
Shantideva dice la stessa cosa. La ragione del perché deve essere fatto in questo modo
è che, benché non vi sia differenza nella sottigliezza dell'assenza del sé da accertare, in
termini tanto di persone che di fenomeni che sono le sue basi, l'assenza del sé è più
facile da accertare in termini della persona, a motivo dell'essenzialità del sostrato,
mentre è più difficile accertarla in termine degli (altri) fenomeni. Per esempio, dato
che è più difficile accertare l'assenza del sé dei fenomeni, nei termini di un occhio, un
orecchio, e così via, ed è più facile accertarla nei termini di una autoriflessione, e così
via, quest'ultima viene posta a livello di esempi per stabilire l'assenza del sé anche
dei primi (cioè degli altri fenomeni).
Tzong-Khapa dice chiaramente che <l'assenza del sé> deve prima venir accertata nei riguardi delle persone e dopo nei riguardi degli altri fenomeni; egli afferma che ciò è dovuto "all'essenzialità del sostrato", ma non dice di quali "essenzialità" si tratta. Lati Rimpoce, al momento Abate dello Shar-dzè College dell'Università Monastica di Gan-den in Mundgod, Stato di Karnataka, nel Sud dell'India, ha spiegato che la persona è sempre presente e perciò è più facile realizzare la sua vacuità, piuttosto che quella degli altri fenomeni. Ciononostante, anche la nostra mente è sempre presente e, anch'essa, è un (altro) fenomeno diverso rispetto alla persona.
Il Dalai Lama ha spiegato che noi abbiamo già qualche sospetto circa lo stato della persona, dato che i buddhisti delle scuole inferiori sostengono che solo le persone sono vuote di una sostanziale e autosufficiente esistenza. Quindi, dato che noi abbiamo già un certo sospetto che le persone non esistano in accordo con le loro apparenze, è più facile realizzare la vacuità nei termini di una persona che non nei termini degli altri fenomeni.
Ancora, nel Settuplice Ragionamento, Chandrakirti sembra voler usare l'assenza del sé dei fenomeni (il carro) oltre che della persona, come esempio per l'assenza del sé delle persone. Aggiungendo questo a ciò che hanno detto Tzong-Khapa ed il Dalai Lama, può darsi che, nello stretto uso degli esempi nel ragionamento buddhista, benché il predicato di una tesi (come l'assenza di esistenza inerente) sia realizzata prima in base all'esempio e dopo in base al soggetto, qui non sia questo il caso; anzi, qui non si sta per niente conoscendo la vacuità di un carro ma si sta semplicemente acquisendo una certa familiarità con i procedimenti del ragionamento. Forse la tradizione prima vuole esaminare un carro, dato che esso è un oggetto esteriore, così che quando lo si analizza e lo si estrae dal contesto, esso non abbia tanto effetto su di noi quanto ne avrebbe il distinguere il nostro proprio senso del <sé>, e perciò risulta più facile per ottenere una sensazione di come opera il ragionamento.
In ogni caso, noi dobbiamo profondarci nell'analisi di un carro, dopodiché tale comprensione dovrà essere applicata alla persona, a se stessi. Poiché è la persona che vaga nell'esistenza ciclica e che è il centro focale, o il nodo, di tutto il problema, l'enfasi deve essere posta su di essa. Può accadere che finché noi lavoriamo sulla distruzione delle pesanti incrostazioni dell'esistenza inerente, che sono sovrapposte su questo <Io> che è la vittima più importante nell'essere prigioniera dell'esistenza ciclica, è impossibile realizzare l'assenza del sé di un fenomeno diverso, non importa con quanta facilità la forma di quel ragionamento possa apparire alla nostra mente.
È un fondamentale dogma della Scuola Conseguenza, che quando si è realizzata la vacuità di esistenza inerente di un solo soggetto, tutte le sovrapposizioni di esistenza inerente sono state rimosse anche nei confronti di tutti gli altri fenomeni, grazie al fatto che voi avrete soltanto bisogno di rivolgere la mente verso gli altri fenomeni per realizzare la loro vacuità. Quindi, superare le sovrapposizioni di esistenza inerente e realizzare la vacuità è un compito terrificante e, senza esplicitamente toccare la persona, l'Io, che è il nucleo centrale di tutti i problemi dell'esistenza ciclica, come base della vostra meditazione, è impossibile penetrare la tela, i veli e le incrostazioni delle sovrapposizioni di esistenza inerente nei confronti degli altri fenomeni, per arrivare a realizzare la vacuità. Benché vi sia il caso che se voi applicate il settuplice ragionamento ad un carro, o ad un'automobile, potreste essere colpiti nel profondo, dal fatto che il vostro essere non sia un'entità analiticamente trovabile come in precedenza avevate creduto, eppure, la realizzazione effettiva della vacuità è ancora più profonda. Il Dalai Lama descrive che sviluppare una corretta assunzione della vacuità è come essere colpiti da un fulmine, e perciò lo sviluppo di una realizzazione inferenziale deve essere mille volte più scioccante. Quindi, la ragione per cui la vacuità di un carro è portata come esempio della vacuità di una persona può essere che è più facile imparare la forma del ragionamento per mezzo di questo meno sensibile soggetto, anche se poi non è così facile realizzare la vacuità di questo soggetto meno sensibile (274).
ESSERE INTROVABILE EPPURE AVERE UNA VALIDITA'.
Un carro è analiticamente introvabile ma è nondimeno validamente stabilito. Noi di solito pensiamo che se qualcosa è valido, deve essere accertabile. Per esempio, una valida automobile deve essere utilizzabile, in grado di eseguire le sue funzioni. Supponete che io vi abbia detto di aver comprato una grossa macchina nuova e volessi farvi fare un giro con essa. Se andassimo fuori e vi fossero soltanto i paraurti ed un pezzo di motore, voi direste, "Quella non è un'auto, non può compiere le funzioni di un'auto". Questa non è l'introvabilità di cui stanno parlando i Proponenti della Via di Mezzo. Un'auto che abbia una valida costituzione nominale può eseguire le funzioni di un'automobile, anche se non è possibile riscontrarla sotto la settuplice analisi.
Se andaste al cinema e la pellicola fosse montata così male da farvi vedere solo la metà sinistra dell'immagine, non c'è alcun dubbio che il film non starebbe effettuando la sua appropriata funzione. Voi sareste alquanto seccati per questa situazione e lascereste la sala, andando forse a vedere un altro film. Sareste stati alquanto scoraggiati da quella pellicola. Oppure, supponete di andare in un magazzino per comprare un po’ di oggetti pesanti, scatolame, latte, e cose così ed il commesso vi da una busta di carta umida per mettervi dentro quelle cose. Voi direste subito, "Questa non è una busta" e iniziereste a pensare come poter avere una busta di carta in buono stato per mettervi dentro i generi alimentari. La vostra mente correrebbe verso qualcos'altro. Allo stesso modo, dato che noi non siamo avvezzi alla visione della Via di Mezzo, quando cerchiamo di trovare le cose e non le troviamo, diventiamo scoraggiati e depressi. Le nostre menti corrono subito su qualcos'altro e non vengono impressionate da questa irreperibilità delle cose, dato che noi la prendiamo come un tipo di introvabilità a cui siamo già abituati.
Noi non abbiamo che una minima scelta per lavorare con la nostra propria mente, ed invero questo è il solo modo in cui la nostra mente è stata condizionata ad operare. Tuttavia, lo sconforto per la mancanza di reperibilità analitica è un errore; esso proviene dalla nostra stupida abitudine alla sensazione di esistenza inerente. In questa guisa, il Quinto Dalai Lama disse che l'esperienza della vacuità, per un principiante, porta con sé un senso di paura di perdere se stessi (275).
Se voi non avete nessuna predisposizione per la vacuità, che vi provenga da una vita precedente, vi farà sembrare che una cosa che era nelle vostre mani improvvisamente sia perduta. Se, invece, avete delle predisposizioni, allora può sembrare che un gioiello che credevate di aver perduto dalle vostre mani, sia improvvisamente ritrovato.
La vacuità è la chiave per la trasformazione mentale e fisica; quindi, per uno che sia abituato ad essa, non è assolutamente come la perdita di qualcosa. La schiera dei principianti, tuttavia, avrebbero un bel daffare nel seguire il processo di realizzazione, a causa della loro sensazione di perdita; noi abbiamo tendenze radicate per abbandonare una condizione simile.
Noi dobbiamo essere capaci di cercare gli oggetti, non di trovarli, e quindi rimanere nella vivida realizzazione che essi non possono essere trovati. Noi dobbiamo realizzare, per esempio, che qui vi è un libro di Jang-kya, La Presentazione della Dottrina, che egli scrisse, eppure noi non possiamo analiticamente trovare nessuno scrittore che lo scrisse, né soggetto con cui fu scritto, e neppure lettori per i quali fu scritto. Dobbiamo inoltre capire che questa introvabile scrittura nominalmente compie una funzione e fa realizzare che l'introvabilità non è una ragione per rinunciare a qualcosa.
Perciò, è all'interno del contesto del loro essere introvabili, che le cose sono validamente stabilite. Non è che l'introvabilità contraddice o contrasta la costituzione valida dell'oggetto, essa contraddice soltanto l'esistenza inerente dell'oggetto. E ancora, non è neanche da pensare che voi dovete prima sviluppare una consapevole saggezza che non riscontra l'esistenza inerente e poi, quando avete cessato la meditazione, l'ignoranza ritorna, nel contesto della quale le cose sono validamente stabilite e tornano ad esistere.
Possiamo anche dire che una tavola convenzionalmente esistente sia negata come esistente in modo ultimo, ma ciò significa soltanto che nella tavola convenzionalmente esistente è negata una tavola esistente inerentemente. L'analisi ultima non può negare una tavola esistente in maniera convenzionale, può solo negare la riscontrabilità di una tavola che esista in modo ultimo. Noi dobbiamo anche contrastare la tendenza a considerare perfino l'esistenza nominale come se fosse riscontrabile, come se potesse sostenere un'analisi ultima.
La cognizione della vacuità ha un gran significato; nel tempo, essa ci condurrà fuori dall'esistenza ciclica. Se noi all'improvviso la comprendessimo direttamente, apprezzeremmo naturalmente il suo importante valore, ma se ci avviamo sul sentiero che porta a questa realizzazione diretta e arrivassimo sul punto di deprimerci o di voler rinunciare per rivolgerci a qualcos'altro, dobbiamo stare molto attenti a non cambiare idea e di non abbandonare questo sentiero. Quindi, per la meditazione occorre che voi abbiate una ferma motivazione, determinazione e perseveranza. Se nel vostro continuum sono presenti eccezionali buone predisposizioni, sarete in grado di apprezzare pressoché subito il valore di questa introvabilità (dei fenomeni). Altrimenti, avrete solo da dovervi ricordare che quella è la vera natura degli oggetti, oppure se avete il desiderio di aiutare gli altri, dovrete tenere a mente che questo è il modo migliore di determinarne la causa. Nel coltivare l'altruismo, voi state sviluppando amore e compassione per tutti gli esseri senzienti e la determinazione di voler ottenere l'illuminazione proprio per aiutare loro. La diretta cognizione della vacuità è necessaria per ottenere questa posizione tramite la quale voi potete aiutare su vasta scala gli esseri senzienti. Se non riuscite a fare lo sforzo di realizzare la vacuità, allora il vostro desiderio di voler aiutare gli altri è un mero parlare a vanvera. Perciò, questo è quello che dovete fare: voi dovete stare con questa realizzazione che vi aiuterà a chiarire bene la vostra mente, cosicché alla fine voi potrete liberare tutti gli altri esseri. Se non fate questo, cosa altro potreste fare?
Nella sua Preziosa Ghirlanda, Nagarjuna dice (276) che se voi vedeste un miraggio in distanza e, dopo esser andati a vedere se vi sia acqua e visto che non c'era, pensaste: "Quell'acqua che avevo visto, non esiste più!", sareste ben stupidi, perché quell'acqua in realtà non era mai esistita!. Voi stavate vivendo erroneamente, con un sogno; ora vi siete risvegliati e vi state lamentando per la perdita degli oggetti del sogno. Allo stesso modo, benché da tempi senza inizio voi siate ben convinti che l'oggetto da negare, cioè l'esistenza inerente, sia realmente esistente, ora dovete realizzare che esso è solo inventato, che non è mai stato lì e che finalmente ora noi stiamo vedendo la realtà che c'era sempre stata. Le persone superbe ed arroganti non hanno la minima speranza di realizzare tutto ciò. Le persone che insistono nel credersi nella ragione non hanno nessuna speranza. Dovrà accadere che quando realizzerete la vacuità, voi capirete che stavate sbagliando con le percezioni che avevate avuto finora. Noi abbiamo sbagliato tutto dall'inizio alla fine, completamente all'oscuro sulla reale condizione degli oggetti. L'ignoranza può realmente essere una piccola cosa quando avrete conosciuto la verità – essendo saggezza ed ignoranza solo due possibilità, come se ad un bivio si prenda una strada o un'altra; eppure, essa produce un errore gravissimo. I superbi e coloro che vogliono sempre avere ragione non possono proprio rendersi conto di quanto in errore essi siano. Non è un errore di una sola persona, ma di tutti noi.
All'inizio del 1965, al Centro di Insegnamenti buddhisti Tibetani nel New Jersey, ho passato un mucchio di tempo proprio meditando sul fatto che io ero erroneo, dato che in ogni mia percezione tutto mi appariva come se esistesse realmente dalla sua propria parte. Mi ripetevo continuamente, "Sono in errore, sono in errore, sono in errore", immaginando persone che puntavano il dito su di me e mi dicevano che io ero in errore. Col tempo, arrivai a pensare, "Non c'è alcun dubbio, devo accettare completamente il fatto che io sono in errore". Noi abbiamo paura di essere in errore; questo però ci dona coraggio, di essere capaci di accettare l'essere in errore. Se siete disposti ad accettare il vostro errore, voi svilupperete una più grande forza di carattere proprio dal fatto che siete erronei. Voi potete perfino sopportarlo e permettervi di sbagliare in qualsiasi circostanza in cui qualcuno penserebbe che la cosa poteva essere tanto giusta che sbagliata, perché senza badare a quale situazione fosse, voi stavate realmente sbagliando – riguardo al modo di esistenza dell'oggetto. È più importante il modo in cui l'intero mondo realmente esiste oppure ciò che può aver detto al riguardo un qualunque tal dei tali? Perfino se vincete il dibattito, voi siete comunque in errore; dovreste affrontare il fatto che siete in errore.
Voi potreste inorgoglirvi per il fatto che state affrontando il vostro essere in errore, ma questo significa che state prendendo la cosa nel modo sbagliato. Voi dovete prendere questo fatto in un modo più ampio, come quando state facendo tutto per il bene degli altri esseri. Potete prendere proprio quell'orgoglio che vi sta gonfiando e meditarci sopra, riflettendo che quest'orgoglio stesso deve essere per la salvezza di tutti gli esseri senzienti. Nel vostro interno, dove voi lo vorreste per voi, è tutto annodato; se voi portate quest'orgoglio all'esterno, per la salvezza di tutti gli esseri senzienti, il nodo si scioglierà. Non ci sarà più lo stesso tipo di orgoglio che c'era prima.
Il punto principale è di realizzare come e quanto si sia in errore. Noi dobbiamo sbarazzarci dell'orgoglio che vorremmo tenerci sempre stretto ed accettare il nostro essere errati riguardo alla cosa più importante. Supponete che quando eravate bambini, avevate imparato che tutte le persone di un dato paese fossero cattivi. Questo fu poi rafforzato sempre di più, grazie ai mezzi di informazione, come giornali e così via. Se poi, successivamente, aveste studiato e scoperto che tutte quelle persone di quella data nazione non erano cattive, voi dovreste tornare indietro nella vostra memoria del passato per annullare questo condizionamento, vedendo voi stesso in errore in ognuna di quelle circostanze in cui si era rafforzata l'opinione che tutte quelle persone erano cattive. La meditazione sull'erroneità (della mente) è simile.
DETERMINARE LA CONSEGUENZA INEVITABILE
Una volta che avete compreso qualcosa riguardo a come operano questi sette ragionamenti, si può determinare se da essi ne consegua che un carro sia o no inerentemente esistente: se qualcosa non esiste in nessuno di questi sette modi, non ne consegue allora che essa non sia inerentemente esistente?
Per prima cosa, voi dovete essere in grado di decidere che se un carro esiste in base alla sua apparenza concreta davanti a voi – come pure la vostra macchina e la vostra casa – voi dovreste essere in grado di "trovarlo". Una volta che abbiate determinato ciò, la questione diventa, "Quale tipo di mente è qualificata per scoprire una tale concreta esistenza?". Se voi, per esempio, pensaste di avere delle termiti in casa vostra, dovreste adoperare un mucchio di energia per cercare di scovarle e, semmai vi fossero realmente, dovreste cercare di trovare qualcuno che sappia dove esattamente possano trovarsi le termiti. Allo stesso modo, dovete dare all'esistenza inerente ogni possibile chance per esservi, perciò andate fuori e cercate di trovare realmente dove sia la vostra automobile.
Se voi avete deciso che l'oggetto non debba esistere inerentemente, se dopo aver guardato in tutte le sette posizioni ancora non potete trovarlo, allora voi avrete stabilito il secondo dei "nove essenziali", cioè l'inevitabile conseguenza. A parer mio, queste sette posizioni coprono tutte le possibilità. Prendete un auto, ad esempio. Voi avete certe parti, metallo, vernice, sedili, motore, e così via, e in questo modo avete un'automobile. Questa auto, se fosse realmente lì, dovrebbe anche essere, in breve, la stessa cosa di queste parti, oppure essere differente da esse. È proprio così, non c'è niente di ingiusto nel dire questo. Inoltre, nonappena voi realizzate che, se qualcosa esiste inerentemente deve esistere in uno di questi sette modi, voi già vi sentite cogliere dai dubbi circa la sua esistenza inerente. Quando voi realizzate la conseguenza inevitabile, la pervasione, voi già avete cambiato un pò la vostra idea. Voi non avete ancora trovato che la macchina non sia esistente in uno di questi sette modi, ma la vostra mente abituale, che è sopraffatta dall'apparenza di una macchina, si è interrotta.
Non c'è dubbio che ora noi siamo sommersi e sopraffatti da ciò che ci appare. Perché mai noi dovremmo essere così ingannati dai sogni se non fossimo sommersi da queste apparenze? Noi sentiamo che la sostanza fondamentale dell'universo ci sta venendo incontro e noi siamo doverosamente obbligati a correlarci con queste apparenze. Io ho fatto molti sogni in cui andavo avanti e indietro con gli autobus in cerca di un luogo; e non appena vi giungevo, c'era un altro autobus ed io salivo su quello. Il desiderio di salirvi ed il desiderio di trovare un certo posto erano insieme presenti ed io non consideravo nemmeno se volevo trovare questo posto o no; la mente che faceva questo era già lì proprio in questo modo. Ero totalmente immerso in questa scena già preparata, eppure essa stava semplicemente avendo inizio. Ed io l'accettavo come se fosse stato tutto logico e sensibile, come se ci fosse un'intera sequenza di eventi che portava ad essa. Ma, in realtà, tutto quello che avevo fatto era stato di appoggiare la mia testa su un cuscino. Per essere d'accordo con ciò, noi vediamo l'apparenza come molto potente e credibile; noi dobbiamo essere assuefatti ad accettare le apparenze. Noi abbiamo acquisito questa necessità e siamo obbligati ad esaudirla. Nella meditazione sulla vacuità, il ragionamento deve essere usato a proposito, per contrastare queste tendenze.
Se una qualunque cosa fosse esistente in maniera inerente, essa dovrebbe esistere in uno di questi sette modi. Se essa non esiste in uno di questi sette modi, non è inerentemente esistente e, quindi, non esiste nel modo in cui appare. Ciò che sembra così fastidioso circa il ragionamento è la sua decisiva risolutezza. Noi potremmo decidere che benché sia possibile considerare queste cose da diversi punti di vista, non vi è nulla che si possa realmente fare riguardo a queste apparenze di base e quindi noi dovremmo solo rassegnarci a sopportarle. Oppure, noi potremmo decidere semplicemente che il ragionamento sia incapace di indicarci una qualche cosa riguardo questa apparenza di base. Tuttavia, ciò che stiamo facendo qui è l'opposto; noi stiamo calandoci nella materia sostanziale dell'esistenza stessa, opponendoci e sfidando, tramite il ragionamento, il reale modo in cui le cose ci appaiono e non intrattenendoci inutilmente con astratte teorie. Al giorno d'oggi, quasi tutte le persone pensano che il ragionare sia alquanto inutile e che è migliore l'esperienza diretta; tuttavia, in questo caso il ragionamento è usato proprio per rifiutare l'esperienza diretta, dicendoci qualcosa che è come un terribile terremoto nei confronti di essa: e cioè, che gli oggetti appaiono possedere falsamente una costituzione molto più sostanziale di quanto realmente abbiano.
Attualmente, noi siamo parte del risultato finale di un processo di iper-concretizzazione. Oggetto e soggetto sono già presenti e ci appaiono lì, davanti a noi. Quindi, prendere una qualsiasi decisione circa il modo in cui le cose appaiono, sembra contraddire la nostra stessa costituzione. Non dandoci pensiero nel ricercare, nei sette modi, il fenomeno designato, perfino l'accertamento della conseguenza inevitabile per noi sarà come sfidare il processo dell'apparire. Chi siamo noi, per dare un simile giudizio? Sembra quasi come se volessimo creare le nostre proprie premesse. Noi sentiamo che questo non è del tutto il nostro posto, che il nostro posto deve essere preso da qualcuno che sia proprio colui che dà le risposte.
La nostra sensazione abituale è che la realtà sia Madre Natura stessa; noi sentiamo che non c'è nulla che potremmo fare al riguardo, che è proprio così. La settuplice analisi va ad interferire con tutto questo. Essa cambia la nostra posizione in questo carnevale di apparizioni – anziché essere il risultato conclusivo dell'apparire, noi stiamo andando al di dietro di tutto ciò. Noi stiamo prendendo questo risultato finale, la mente che risponde e che aderisce alle cose così come sembrano apparire, e la stiamo analizzando, "Ma queste cose, esistono davvero nel modo in cui esse appaiono?"
Dopo aver iniziato ad analizzare in questa maniera, non è che all'improvviso ci troviamo ad avere un altro tipo di mente. Noi stiamo consumando il carburante dell'erronea concezione, col fuoco stesso della pura concezione. Noi stiamo accendendo il fuoco del giusto pensiero che brucerà via il pensiero errato, cosicché alla fine non vi sarà più per nulla un pensiero concettuale. Il "Capitolo di Kashyapa" del Sutra del Tesoro dei Gioielli, dice (277):
"Così è, o Kashyapa; per esempio, il fuoco si alimenta quando il vento sfrega insieme
due rami secchi. Una volta che il fuoco è acceso, i due rami saranno bruciati. Proprio
allo stesso modo, o Kashyapa, se tu hai un corretto intelletto analitico, viene generata
una facoltà di Saggezza Superiore (Mahaprajna). Grazie a questa sua generazione, il
corretto intelletto analitico è poi esso stesso consumato."
Usando la concettualità, per bruciare via la concettualità stessa, ciò che resta è la "percezione diretta" dello stato della Buddhità. Questo tipo di pratica è emozionalmente atroce e straziante, perché la nostra mente deve essere convinta a rimanere al suo posto per eoni ed eoni. Per troppo tempo, ancora e ancora, tutto ci aveva convinto che sarebbe stato meglio stare come si stava e lasciar essere così le cose. L'inerzia di restare in questo 'status-quo' è grande. Noi sentiamo che diversamente non ci sarebbe alcun modo per noi di andare avanti, mentre in effetti ce la faremmo molto meglio se potessimo comprendere la vera costituzione degli oggetti.
Questa mente concettuale, cioè la coscienza mentale, deve prendere una decisione, deve attivare un pensiero inusuale. Anziché prendere tutto per dato certo, deve mettersi a contrastare le apparenze. Spesso i bambini si trovano a fare questo tipo di pensieri indagatori; ma alla fine, tuttavia, essi vengono così condizionati da non fare più quel tipo di domande. Ad un certo punto, tutti noi accettiamo le cose come realtà, non pensando più a quelle domande, dato che la "realtà" non sopporterà queste domande. Se questa è in fase di diventare realtà, la sua vera pre-condizione è che voi non facciate più domande su di essa. Perciò, se e quando voi continuate a farle, essa ne viene sconvolta. Noi dobbiamo diventare abituati ad usare questo metodo; abbiamo bisogno di una volontà per una nuova esperienza, perfino se essa comporti la riapertura di ferite emotive avute a causa delle visioni sulla realtà. Questo tipo di analisi implica ansia e paura. È necessario costruirsi un tipo di mente che non voglia essere sommersa e affondata o sottomessa dall'inerzia, una mente desiderosa di cambiare, desiderosa di veder cambiare tutte le cose.
Le pratiche che danno un immenso aiuto per riuscire in questi cambiamenti sono l'amore, la compassione, nonché l'intenzione altruistica di diventare illuminati. Realizzare la vacuità aiuta a sviluppare quell'altruismo, ma anche l'altruismo stesso aiuta nella facoltà di comprendere la vacuità. Non importa quali di queste pratiche voi facciate, il potere meritorio aiuta, e l'altruismo è il miglior tipo di meriti acquisiti. Esso libera la mente e la rilassa così tanto che, quando sono in atto questi cambiamenti, le cattive azioni non hanno più la possibilità di presentarsi.
Se potete sfidare le apparenze, potreste chiedervi se queste sette questioni siano sufficienti. Noi dobbiamo determinare se, attraverso l'impiego di questi sette ragionamenti, possiamo crearci uno stato di coscienza che sia come un guardiano che ci tenga alla larga dagli scarafaggi perché sa come scovare questi animali nocivi. Questa coscienza, che applica questi sette criteri, è dunque sufficiente per scoprire l'esistenza inerente? Per esempio, un poliziotto applica dei criteri per scoprire se qualcuno sia o meno un killer. Questi sette criteri, sono dunque sufficienti per investigare sull'esistenza inerente?
Se voi lasciate che sia il resto del mondo a decidere, le altre persone direbbero che voi non dovreste porvi questo tipo di questioni. Essi direbbero che voi state prendendo tutto troppo alla lettera e che, poiché tutto è strettamente correlato e mutualmente dipendente, non è necessario essere così ligi alla lettera. Per loro, però, dipendenza significa "esistenza inerente". Essi sentono che il modo in cui le cose appaiono è corretto. Inoltre, se voi doveste chiedere ad esperti filosofi quanto siano d'accordo su questi sette criteri, se essi siano sufficienti per stabilire o rigettare, una volta per tutte, l'esistenza delle cose così come noi le concepiamo, io credo che non molti sarebbero d'accordo nel "sentire" che essi siano sufficienti. E questo è troppo definitivo.
Noi necessitiamo di una mente competente, una mente che possa trovare l'esistenza inerente, se vi fosse. Forse voi sentite di avere già una mente che possa trovare l'esistenza inerente. Dato che quando voi pensate alla vostra auto, essa c'è. Voi avete già una mente capace di trovarla, perché cercarne un'altra? Perché doverne ristrutturare una, perché usare un mucchio di parole? Quest'auto è una valida apparenza, o no? Questa è, comunque, per accettare il dato, il risultato finale vivente dell'apparenza. Ma una tale mente, è realmente competente? Solo perché quando voi andate fuori e la macchina vi appare esistere dalla sua propria parte e voi pensate in questo modo di essa, quella è una cosa valida?
Il Lama Nying-ma Khetsun Sangpo racconta una storia di un tale che trovò uno scorpione e, non sapendo cosa fosse uno scorpione, lo prese nelle mani. Guardandolo, egli disse, "Com'è fantastico! Che bello, così tutto nero!" Poi, qualcuno gli disse, "Ma è uno scorpione!" ed allora egli gridò "Eek!" e morì. Ora, cosa era quella meravigliosa cosa che aveva visto? La sua mente, fu competente? Supponete di pensare di avere le termiti a casa vostra e voleste andar a cercarle fuori da dove esse vengono. Una persona entra in casa vostra, un vagabondo, che oltrepassa la vostra porta e dice: "Signore, vi è una scia di termiti, datemi cinquecento dollari ed io vi sbarazzerò delle termiti!". Voi vi domandereste se egli sia competente. Egli è entrato ed adesso è qui, è davvero apparso concretamente davanti a voi. Tuttavia, è egli competente? Come mai non ha con sé gli strumenti? Sarà davvero addestrato a far fuori le termiti? Mi conviene o no, dargli cinquecento dollari?
La mente-di-sogno che accetta così le vivide apparenze-di-sogno è competente? Di solito noi non ci soffermiamo sui sogni e né pensiamo ad essi più di tanto; è assai raro che la nostra mente si relazioni ai sogni in questa maniera. Tuttavia, la nostra mente-dei-sogni è una mente competente? Allorché, in un sogno, io cerco di capire se sto sognando o meno, se queste cose che mi appaiono sono false apparenze o no, a volte scopro di essere proprio sopraffatto dalle apparenze. Sebbene io stia quasi realizzando di star sognando, avendo un forte pensiero che mi dice, "E' un sogno, è un sogno!…", dopo un po’ accade come se io fossi oppresso dal trattenere il pensiero che mi avvisa di essere in un sogno e, alla fine, mi arrendo. Dopo, mi sveglio e capisco che stavo sognando e mi sento uno stupido. Questa esperienza mi fa chiedere se perfino la mente del non-sogno sia competente o no, nel suo accettare il modo in cui le cose appaiono, proprio perché esse appaiono in maniera così vivida.
Ora voi potreste pensare, "Dato che le nostre menti sono state condizionate da tempi senza inizio, ad aderire a queste apparenze degli oggetti, come se essi fossero stabiliti per via delle loro proprie caratteristiche, come potremmo noi possibilmente avere una mente competente nel determinare la verità o la falsità di queste apparenze?". Se fosse possibile sviluppare una ignoranza illimitata, ma non lo è, noi dovremmo davvero essere disperati senza alcuna speranza. Se dovessimo far giungere l'ignoranza ad una piena e totale completezza, non ci sarebbe possibilità di cercare di contrastarla. Ma l'ignoranza non si accorda con questo fatto, mentre ciò che si accorda con questo fatto, può sviluppare forza con l'andar del tempo. La vacuità ha un valido sostegno. Quindi, anche la saggezza che riconosce la vacuità ha una valida base e può essere sviluppata illimitatamente e portata alla massima fruibilità.
Il principio di una saggezza-coscienza che riconosce la vacuità è sviluppato riflettendo sulle ragioni comprovanti la vacuità stessa. Il processo ragionativo è una concatenazione che conduce da ciò che c'è nell'esperienza a qualcosa che non è così ovvio. Eppure, non è che voi prendete due cose ovvie, le mettete insieme, e ottenete un'altra cosa ovvia. Voi dovete penetrare in quello che potrebbe sembrare un oscuro passaggio, in cui voi iniziate con le cose un po’ ovvie e poi progredite verso l'ignoto. Non è come passare da una stanza all'altra, ma piuttosto come scoprire che vi è un castello fatto di gioielli, proprio qui al di sotto delle vostre fondamenta. Il ragionamento non è come studiare una mappa per imparare la strada che porta a qualche altra città. Si dice che quando la vacuità è realizzata, voi state facendo qualcosa di un certo tipo, di cui non avevate mai fatto esperienza prima di allora.
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17) L'IO COME BASE PER LA VACUITA'
Noi abbiamo studiato come esempio un carro; adesso consideriamo il significato dell'esempio, cioè la persona.
APPLICARE L'ESEMPIO ALLA PERSONA
Si dovrebbe considerare la cosiddetta persona, ovverosia il sé,
che è la base per la concezione del pensiero <Io>, se sia identica
ai propri aggregati (mentali e fisici) oppure differente da essi.
La persona, ovvero il <sé>, è la base di una coscienza che concepisce <l'Io> ed è l'oggetto che genera il pensiero "Io". Essa è esistente in modo convenzionale e questa coscienza, che concepisce ed apprende, è corretta e valida, perché un <Io> esistente convenzionalmente esiste per davvero. Questa spiegazione, malgrado il fatto che sia tecnicamente corretta, a questo punto è solo teorica, dato che prima di realizzare la vacuità, è impossibile realizzare che una persona o qualunque altro fenomeno può esistere solo in maniera convenzionale.
Così come per il carro, ciò che noi stiamo considerando è la relazione tra il fenomeno designato e la sua base di designazione. Una persona del nostro stato di esistenza, cioè il Reame del Desiderio, è inestricabilmente coinvolta con gli aggregati mentali e fisici che sono le sue basi di designazione. Nessuna intelligente valutazione di ciò che è una persona, deve arrivare a termini come mente e/o corpo.
(Si dovrebbe considerare se la persona sia uguale o differente dagli
aggregati mentali o fisici) in quanto, se essa esiste, deve essere una
sola di queste due. Poiché, in generale, nel mondo si è visto che, se
qualcosa è affermata dalla mente come avente una controparte, essa
non può essere senza controparte; e, se qualcosa è affermata come
non avente una controparte, è escluso che essa abbia una controparte.
Quindi, uguaglianza e diversità sono due termini dicotomici che si
escludono vicendevolmente.
Se il <sé> esistesse in modo solido, esso dovrebbe essere una cosa sola con la sue basi di designazione – cioè mente e corpo – oppure dovrebbe essere differente. Queste sono le uniche possibilità.
(Negazione dell'Uguaglianza tra il <Sé> e gli Aggregati) –
Se il <sé> e gli aggregati fossero una cosa sola, allora vi sarebbero tre difetti o
errori: 1) affermare il <sé> sarebbe un non-senso; 2) in una persona vi sarebbero
numerosi <sé> e, 3) il <sé> avrebbe sia produzione che disintegrazione.
Se il <sé> fosse <gli aggregati>, allora perché mai un simile forte interessamento intorno al <sé>? Esso sarebbe soltanto un sinonimo di mente e corpo, oppure di una certa parte di mente e corpo. Ed anche se dicessimo che l'Io è proprio la coscienza mentale, noi dovremmo prendere in considerazione i singoli momenti individuali di questa coscienza mentale. Perfino allora, se ci mettessimo a considerare i più piccoli momenti di coscienza e dicessimo che questi sono ciò che è il <sé>, questi stessi momenti hanno ancora delle parti – cioè un inizio, una parte intermedia ed una finale. E infine, se queste "produzione e disintegrazione" fossero inerentemente esistenti allora, quando il <sé> si disintegra e cessa di esistere, vi sarebbe una completa cessazione, senza che possa mai più riapparire.
Jang-kya ora propone un'elaborazione di questi tre ragionamenti.
1) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa,
affermare un <sé> sarebbe insensato, perché questo <sé> sarebbe
semplicemente un sinonimo di <aggregati>, come la "luna" ed il
"luogo dei conigli".
Prendete qualsiasi cosa che ritenete essere la base di designazione di questo "Io". Se l'Io è la stessa cosa delle sue basi di designazione, allora sarebbe insensato stabilirlo o enfatizzarlo. L'esempio di Jang-kya che dice, "sarebbe come la luna ed il luogo dei conigli", si riferisce al fatto che quest'ultimo, nelle lingue Sanscrita e Tibetana, è uno dei nomi della stessa luna. Noi diciamo che nella luna c'è un uomo; essi dicono che vi sono dei bianchi conigli. Perciò, sarebbe stupido dimostrare un così grande interesse tanto per "la luna" quanto per il " luogo dei conigli", dato che essi indicano la stessa identica cosa. Cosippure, quando diamo troppa importanza al corpo-mente, o anche all'Io. Se l'Io è il corpo-mente, allora a quale scopo dobbiamo interessarci all'Io?
Nagarjuna, nella parte chiamata "Saggezza" del suo 'Trattato sulla Via di Mezzo', dice (278):
"Quando è dato che non vi sia un <sé>, eccetto per gli appropriati
(aggregati), allora proprio questi giusti (aggregati) sono il <sé>,
e perciò, nel qual caso, il vostro <sé> non è esistente".
Gli appropriati, sono gli aggregati mentali e fisici; essi sono ciò di cui noi ci "appropriamo" nelle rinascite.
Può esservi allora qualcosa che noi possiamo indicare, che sia "il luogo dei conigli", ma che non sia la luna? Ed inoltre, se non avete più nulla da indicare, sarete soddisfatti? Questa mente potrà mai pensare che vi sia qualcosa di accertabile, per poter essere soddisfatta con qualcosa di introvabile?
2) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa,
allora, proprio come vi sono numerosi aggregati, allo stesso modo,
vi sarebbero numerosi <sé>.
Sfruttate questo ragionamento per tutte le esperienze che potrete fare. Ad esempio, se Franco fosse la stessa cosa dei suoi aggregati, allora vi sarebbero numerosi "Franchi". Quindi, se qualcuno viene in casa a chiedere, "C'è Franco?", egli dovrebbe decidere quale Franco dovrebbe rispondere. E' importante essere un po’ spiritosi, perché voi potreste mettere un Io qui ed un altro Io lì, ed essere abbastanza soddisfatti malgrado che esso sia inconsistente. È facile per voi sentire che state pervadendo tutto il vostro corpo, se non ci pensate sopra.
Quando penetrate in profondità il sottile oggetto della negazione, in cui il <sé> e gli aggregati mentali e fisici sembrano essere fusi e indifferenziati, il <senso di sé> sembra così vero e naturale che bisogna proprio sforzarsi per poter decidere quale di questi numerosi <sensi di sé> debba andare ad aprire la porta.
Chandrakirti nel suo "Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)" dice (279):
"Se il <sé> fosse gli aggregati, allora, poiché essi sono numerosi,
anche questi <sé> dovrebbero essere numerosi…"
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3) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa,
ne conseguirebbe, per assurdo, che il <sé> sarebbe soggetto alla
produzione e disintegrazione, perché gli aggregati sono soggetti
a produzione e disintegrazione.
Nagarjuna, nel suo "Trattato sulla Via di Mezzo", dice (280):
"Se il <sé> fosse gli <aggregati>, anch'esso
avrebbe produzione e disintegrazione…"
Che cosa c'è di sbagliato in ciò? Non dovrebbe essere permanente, il<sé>?
Obiezione: Che errore c'è nel fatto che il <sé> abbia
produzione e disintegrazione?-
Risposta: Se produzione e disintegrazione sono considerate
solo convenzioni, allora non c'è errore.
Davvero non vi è errore nel fatto che il <sé> sia prodotto e disintegrato, se produzione e disintegrazione sono soltanto nominalità analiticamente introvabili. Per cui, in realtà è convenzionalmente asserito che il <sé> abbia produzione e disintegrazione esistenti solo in modo nominale.
Tuttavia, se il <sé> possedesse produzione e disintegrazione, che
fossero stabilite per via delle loro proprie caratteristiche, tre errori
vi sarebbero: a) sarebbe impossibile ricordare le precedenti
rinascite; b) le azioni compiute sarebbero sprecate e c) si andrebbe
incontro ad (effetti) di azioni non compiute (da se stessi).
Quando e come potremmo mai ricordare un'altra vita, fintanto che si concepisce in modo così concreto la nostra attuale vita? Comunque, se comprendessimo che questo <Io> è una mera nominalità senza esistenza inerente, sarebbe probabilmente molto più facile ricordare le vite passate, dato che l'Io non sarebbe commisto con una particolare forma. Anche il Karma andrebbe perso; non ci sarebbe più scopo di compiere azioni virtuose ed evitare quelle non-virtuose. E, infine, noi faremmo esperienza degli effetti di azioni non compiute da noi stessi.
Inoltre, questi tre errori sorgerebbero a causa (della conseguenza)
che, se i <sé> delle rinascite precedenti e successive fossero singole
individualità, stabilite per via delle loro proprie caratteristiche, essi
sarebbero scollegati e senza rapporto con altre effettive realtà.
Allorché i <sé> delle diverse vite fossero individuali, in e per se stessi, allora essi sarebbero completamente senza rapporto tra di loro. Voi potreste sentirlo – vi è questa vita qui e quella vita lì, ed esse sarebbero separate in e per se stesse. Dato che esse sarebbero così individualmente isolate e separate, voi non sareste in grado di ricordare nessun'altra vita. E anche ciò che noi avessimo fatto in una vita precedente, andrebbe sprecato perché non giungerebbe in questa vita- non vi sarebbe alcuna connessione. E poiché le vite sarebbero scollegate, gli effetti delle azioni di una vita precedente, non sorgerebbero in questa vita. Inoltre, le caratteristiche positive e negative del corpo e mente che abbiamo ora e che dovrebbero aver avuto origine da cause precedenti, sarebbero per assurdo sorte da una forma di Karma non compiuto da noi stessi. Sarebbero venute da una vita passata che non è nel nostro continuum di questa vita. – "Guarda tutto quello che devo sopportare, adesso, dato che quel tipo era un assassino!". Cioè, vedrei "me" che ricopro questo ruolo qui (in questa vita) ed il precedente "tizio" che ricopriva quell'altro ruolo lì (nella vita precedente). Come sarebbe possibile per essi essere collegati?
Obiezione: Questo non è un errore. In quanto, benché (le precedenti
e le successive rinascite) siano individui che sono stabiliti per via di
loro proprie caratteristiche, essi sono nello stesso unico continuum.
Risposta: Ciò non è nemmeno pensabile, perché se (le vite passate e
future) fossero differenti dalle loro proprie entità, esse non potrebbero
essere un solo ed unico continuum, proprio come per esempio, quelle
di Maitreya e Upagupta, che non lo sono.
Il Supplemento di Chandrakirti dice (281):
I fenomeni che dipendono su Maitreya e Upagupta, sono proprio
diversi tra loro e quindi non appartengono allo stesso continuum.
Non è ammissibile che le cose, stabilite come individuali per via di
loro proprie caratteristiche, appartengano al medesimo continuum.
Maitreya e Upagupta sono due persone contemporanee, come (per esempio) Dick e Jane; perciò essi non possono essere un unico continuum. Come potrebbe un unico continuum essere sovrapposto su queste vite inerentemente separate? La loro natura è la diversità; come potrebbe avvenire una continuità in esse?
(Negazione della Posizione che il <Sé> e gli Aggregati siano differenti)
Se il <sé> fosse stabilito per via delle sue proprie caratteristiche,
come differente dagli aggregati (mentali e fisici) esso non avrebbe
il carattere degli aggregati: produzione, durata e disintegrazione.
Per cui, (il sé) sarebbe una diversa entità scollegata dai suoi stessi
aggregati. Sarebbe, per esempio, come un cavallo che, essendo ben
differente da un bue, non avrebbe (le specifiche caratteristiche di
un bue, che sono) le corna, una gobba sulle spalle, e così via…
Se gli aggregati (mentali e fisici), che sono le basi di designazione del <sé>, e lo stesso <sé>, fossero due cose diverse e distinte, allora il <sé> non potrebbe avere le caratteristiche degli aggregati. In questo caso, "aggregati" significa quegli aggregati che sono le specifiche basi di designazione della persona; se la persona è diversa da essi, non può condividere le loro caratteristiche. Inoltre, se il <sé>, o la persona, non è esso stesso un aggregato, non può possedere produzione, disintegrazione, impermanenza e così via, che sono specifiche caratteristiche degli aggregati, inclusi tutti i fenomeni prodotti.
Se ciò viene interpretato nel senso più recente, come rifiuto che la persona sia diversa dagli aggregati in generale piuttosto che dagli aggregati specifici, sue basi di designazione, allora è evidente che la persona non potrebbe affatto avere la caratteristica di essere nata, di vivere e di morire, poiché essa non potrebbe essere impermanente. Per cui, essa sarebbe totalmente differente dagli aggregati, i quali includono tutte cose impermanenti. Tuttavia, se ciò è interpretato nel primitivo senso come considerazione del fatto che la persona è differente dagli aggregati, sue basi di designazione, allora non ne conseguirebbe che essa non potrebbe avere nascita, morte e così via, poiché le cose diverse da questi specifici aggregati, che sono le proprie basi di designazione – come un albero – possiedono produzione e cessazione. Pertanto, io stesso non dovrei avere le caratteristiche di produzione e disintegrazione di quegli aggregati che sono le mie basi di designazione. Io non dovrei avere la stessa morte che ha il corpo, ma sarebbe assurdo però avere qualche altro tipo di morte.
Se così fosse, (gli aggregati mentali e fisici) non esisterebbero come
basi di designazione per la convenzionalità di un <sé> e nemmeno
essi esisterebbero come oggetto di una (coscienza) che concepisca
il <sé>. Di conseguenza, il <sé> sarebbe un fenomeno non-composto,
(cioè irreale) come un fiore nel cielo.
Chi potrebbe mai chiamare un <sé> qualcosa che sia non-composta e non-prodotta? Un fenomeno non-prodotto non ha né cause e né effetti, mentre il <sé> deve avere queste e quelle, sapere questo e quello, nascere e morire, ecc. Un "fiore nel cielo" è come una torta che sta sospesa nel cielo, cioè una cosa non-esistente; se il <sé> fosse differente dagli aggregati mentali e fisici, sarebbe come una "torta nel cielo", oppure come un "nirvana" che, malgrado sia esistente, è un fenomeno non-composto, tale che nessuno potrebbe mai chiamarlo "Io" o <sé>.
Chandrakirti dichiara tutto ciò nel suo "Parole Chiare",
sotto forma di un sillogismo "noto anche all'oppositore".
Chandrakirti insegnò ciò che abbiamo spiegato in una nota forma di sillogismo; egli non lo riportò come una "conseguenza". Questo tipo di sillogismo è chiamato "noto anche all'oppositore" perché in un dibattito, l'altra persona, l'oppositore, alla fine è d'accordo col ragionamento ed è d'accordo col predicato della tesi che segue dal ragionamento – o almeno egli lo dovrebbe, sulla base delle precedenti asserzioni.
Per di più, se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente differenti,
(il sé) dovrebbe essere osservato come un'entità affatto diversa dalle
caratteristiche degli aggregati, tale da poter essere chiamato forma,
così come forma e coscienza che, per esempio, sono ritenute differenti.
Fondamentalmente, questo argomento è lo stesso di prima. Se il <sé> è inerentemente differente dagli aggregati mentali e fisici, non può avere le loro caratteristiche. In precedenza, sono state considerate le caratteristiche generali di tutti gli aggregati – produzione, durata e disintegrazione. Ora, ci riferiamo alle caratteristiche degli aggregati individuali.
La definizione standard di "forma", come si trova nei testi elementari chiamati "Raccolta di Valide Cognizioni" è "ciò che si adatta ad essere formato" (282). Alcuni studiosi Tibetani dicono che essa significa "ciò che è adeguato ad essere chiamato forma". Perciò, la definizione dice poco. Voi potreste dire poi che la definizione di un vestito è "ciò che è idoneo ad essere chiamato vestito". Il termine Sanscrit0 per dire "essere idoneo come forma" è rupana e, alcuni studiosi, come Ajitamitra, l'unico commentatore Indiano della Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna, lo presero come significato di "ciò che è fragile, distruttibile", poiché la radice verbale 'rup' significa "rompere". Tuttavia, ciò incorse forse in un problema tecnico dato che, secondo Gheshe Ghedun Lodro, una singola particella non può essere fisicamente rotta eppure possiede la forma. Probabilmente, questo è il motivo per cui rupana, alla fine, fu preso semplicemente per indicare "ciò che è idoneo ad essere chiamato forma" anziché "ciò che è distruttibile".
Nella presentazione di Chandrakirti, nel suo "Parole Chiare", delle caratteristiche determinanti dei rimanenti aggregati, la caratteristica della sensazione è ciò che sperimenta; la caratteristica della discriminazione è ciò che apprende segni e differenze: la caratteristica dei fattori composizionali è quella che compone, o produce, le cose. La caratteristica della coscienza è quella di conoscere i suoi oggetti.
Se il <sé> e gli aggregati mentali e fisici fossero entità differenti, essi sarebbero come la forma e la coscienza. Perciò, siccome la forma ha certe caratteristiche e la mente-coscienza ne ha certe altre, esse possono venir conosciute separatamente. In modo simile, se il <sé> fosse un'entità differente dalle sue basi di designazione, dovrebbe essere osservabile separato da esse. Vi è forse un qualche <sé> che può essere percepito come separato da colui che conosce, o che pensa, che agisce, che sente o che possiede un corpo, e così via? Di sicuro non il <sé> di colui che vediamo come la persona che è entrata nella stanza.
Questo ragionamento dimostra che non vi è alcun <Io> che sia inerentemente stabilito come separato da mente e corpo, ma non dimostra che non vi siano stati in cui noi non percepiamo il nostro corpo. Per cui, vi sono parecchi periodi in cui noi prestiamo attenzione proprio alla mente, piuttosto che al corpo. Ed anche, quando la vacuità è percepita in maniera diretta, solo la vacuità è percepita; a quel punto, il meditante non ha percezione del suo corpo, della mente, o di qualunque altra cosa, ma percepisce solo la vacuità. Similmente, quando uno medita sullo spazio illimitato, il primo degli assorbimenti meditativi senza-forma, egli non presta volontariamente attenzione al corpo o alla mente, ma soltanto al vuoto spazio.
Il primo ragionamento è insegnato nel diciottesimo capitolo del
"Trattato sulla Via di Mezzo" (di Nagarjuna) il quale dice (283):
"Se il <sé> fosse diverso dagli aggregati, esso
non avrebbe le caratteristiche degli aggregati".
A volte può sembrare che pure se gettassimo via tutto, ci rimarrebbe ancora una distinta sensazione del <sé>. Ma avremmo da dire che questo distinto senso del <sé> non è il conoscitore, perché la mente è stata messa da parte. Dovremmo anche dire che questo distinto <sé> è senza corpo, perché il corpo è già stato messo da parte, e così via. Quando mai allora qualcuno potrebbe chiamare questa cosa un <sé>? È forse ragionevole?
L'altro ragionamento è insegnato nel ventisettesimo capitolo del
"Trattato sulla Via di Mezzo" (di Nagarjuna), il quale dice (284):
"Se (il sé) è diverso, allora dovrebbe essere appreso
senza appropriazione; ma esso non è appreso così"
In questo verso, "appropriazione" significa gli aggregati mentali e fisici. Se il <sé> fosse un'entità differente dagli aggregati, noi dovremmo essere in grado di apprenderlo separatamente, mentre ciò non è possibile.
Riguardo a questi ragionamenti, che negano l'uguaglianza e la differenza, vi sono molti punti assai difficili da poter essere spiegati, perciò ora io non li elaborerò qui.
(Come negare, con questi Ragionamenti, le Rimanenti Posizioni)
Dopo aver rifiutato queste due (posizioni di) uguaglianza
e differenza dell'entità, ora verranno rifiutate anche le due
posizioni di dipendenza – cioè che il sé esista in dipendenza
degli aggregati e che gli aggregati esistano dipendendo dal sé.
Negando l'uguaglianza e la diversità inerentemente stabilite, sono affermati tutti gli altri cinque ragionamenti rimanenti, dato che essi sono varianti di queste due posizioni. Le due posizioni di dipendenza sono varianti soltanto della posizione in cui il <sé> e gli aggregati sono inerentemente stabiliti come differenti e, quindi, sono completamente negati dal ragionamento che rifiuta una differenza stabilita inerentemente.
Perciò, sebbene queste due (posizioni di dipendenza) sarebbero
possibili se (il sé e gli aggregati) fossero entità differenti, questa
posizione che essi sono differenti entità è già stata rifiutata.
Se noi rifiutiamo che il<sé> e gli aggregati siano esistenti inerentemente come diversi, abbiamo anche rifiutato queste due possibilità, ma è necessario ancora esaminare accuratamente la negazione di diversità, cosicché si possa sentirne la sua importanza.
Anche la posizione che il sé possiede gli aggregati, non è ammissibile.
Per cui, come è stato spiegato nell'esempio del carro, le due modalità
di possesso, non vanno oltre le posizioni di uguaglianza e diversità.
Quando io ho mal di testa, sono sicuro di possedere una testa. Ma possiedo forse questa testa, come se essa fosse qualcosa di separato da me, così come un uomo possiede un tavolo, un bue, o una casa? Oppure la possiedo nel senso di identica entità, nel modo in cui io possiedo un orecchio, o un corpo, o anche nel modo in cui una tavola possiede le gambe?
Io ho una testa. Io ho una testa. Io ho una testa. Dov'è quest'Io che ha la testa? È lui la testa? La testa è parte di me? Io ho una testa che è la testa, come pure una testa che è, almeno, parte dell'Io che possiede la testa. Quindi, Io ho due teste.
Questa analisi è una vera e propria sfida all'idea di possessione; cioè un possesso che si trasforma in essenza, quindi l'avere in essere. Ciò può chiaramente essere visto nel considerare una casa che abbia dieci stanze. Non vi è null'altro se non le dieci stanze. Perciò, quale casa può esservi che possieda le dieci stanze? Quando io dico che io possiedo la mia testa, vi è ancora tanto di quel corpo al di sotto di essa, perché io possa identificarmi con quello e da quella prospettiva, possedere la mia testa. Ma quando io considero il possesso di un tronco, due braccia, la testa e le due gambe, allora dov'è l'Io che possiede tutti questi?
Allora vengo spinto a prendere la posizione che Io sono come un pezzo di marmo che è stato lasciato cadere giù all'interno di mente e corpo. Questo è giusto un modo fabbricato, e non innato, di vedere il <sé>, ma spesso mi sento molto vicino a concepirlo così. Certamente, se mai un marmo entrasse rotolando dentro la stanza, nessuno potrebbe dire che quello sia Jeffrey. È come se voi lasciate cadere un marmo giù all'interno di una massa di carne e in qualche modo ne veniste fuori con la folle idea che il marmo possedesse la carne. Togliete via tutta la carne dal corpo; questo marmo è rimasto. Allora adesso prendete questa cosa rotonda: avrete una sensazione che qualcosa ancora aderisca, ma essa ha una metà in alto ed una metà in basso. Questa cosa così aderente è forse la stessa, tanto nella parte alta che nella bassa?
Fermatevi in un qualunque punto dove sia giunto il messaggio; gli altri ragionamenti non sono necessari, benché l'ultimo di essi possa accrescere la comprensione. Una volta che si sa che il <sé> non è rintracciabile, non è necessario mantenere in applicazione diversi ragionamenti. Restate con questa realizzazione; poi, quando la sensazione di quella conoscenza diminuisce, rinfrescatela con ulteriori ragionamenti.
Inoltre, è parimenti impossibile che la mera riunione o composto degli aggregati
sia il <sé>. In quanto, poiché è detto che il sé è designato in dipendenza dei suoi
cinque aggregati, questi cinque aggregati sono le basi di designazione mentre la
persona è il fenomeno designato; e non potrà mai essere possibile che le basi di
designazione siano lo stesso fenomeno designato.
Questa è la ragione per cui il mero composto transitorio (cioè il raggruppamento degli aggregati) non può essere il <sé>. Il raggruppamento degli aggregati mentali e fisici è la base di designazione, e la persona è il fenomeno designato; quindi, il primo non può essere il successivo.
L'impatto di questo ragionamento (cioè che le basi di designazione non possono
essere il fenomeno designato) è alquanto difficile da realizzare. Per di più, questo
dovrebbe essere compreso da 1) il non comune metodo di interpretazione (della
Scuola Conseguenza) circa la forza delle parole nei Sutra precedentemente citati:
Proprio come un carro è designato in dipendenza
del raggruppamento delle sue parti, così un essere
senziente (è designato) a livello convenzionale, in
dipendenza dei suoi stessi aggregati (mentali e fisici).
Le scuole minori citano questo passaggio per indicare che proprio come un carro non è altro che il raggruppamento delle sue parti e non è un qualcosa di separato da esse, così una persona deve essere trovata tra le sue basi di designazione, sia in tutti i cinque aggregati mentali e fisici che in una coscienza, o nel continuum della coscienza, e così via. La Scuola Conseguenza, tuttavia, ritiene che questo passaggio indichi che proprio così come un carro è designato in dipendenza delle sue basi di designazione e non può essere stabilito come qualcosa di separato da queste basi di designazione, così una persona è designata in dipendenza degli aggregati mentali e fisici ma non può essere stabilita come qualcosa di diverso da o fra quegli aggregati.
2) da una realizzazione dettagliata (285) dei ragionamenti essenziali nel
"Autocommentario di Chandrakirti al Supplemento sul Trattato della Via
di Mezzo (di Nagarjuna)", che rischiara questo ragionamento attraverso
dichiarazioni comprovate. Inoltre, se il composto o (raggruppamento degli
aggregati) fosse il <sé>, vi sarebbe anche la falsa ipotesi che tanto l'agente
quanto l'oggetto sarebbero la stessa identica cosa.
Il proprietario e la cosa di cui esso si è appropriato sarebbero la stessa cosa. Quando si dice: "Egli, così, ebbe una nuova vita", significa che la persona si è di nuovo appropriata di corpo e mente. Gli aggregati mentali e fisici sono le cose di cui ci si appropria e la persona è il proprietario. Se il composto di mente e corpo fosse il <sé>, proprietà e proprietario assurdamente sarebbero la stessa cosa.
Questo fatto permette anche di negare l'asserzione fatta da qualche scuola
dottrinaria nostrana (cioè, buddhista) che (dice che) il <sé> è il continuum
degli aggregati. E, lo stesso non è ammissibile che la forma degli aggregati
sia il <sé>, perché la forma esiste solo nelle cose fisiche, e di conseguenza,
(se il sé fosse la forma) il <sé> non potrebbe essere stabilito in dipendenza
della mente, del corpo, e così via.
Molto spesso noi associamo le persone alla loro forma – in special modo le altre persone, ma qualche volta anche nel caso di noi stessi. Malgrado ciò, una persona non è affatto soltanto fisica.
COMMENTI
Noi abbiamo in un unico insieme mente, corpo e la persona. Perciò, dobbiamo tenere conto della loro reciproca relazione. Parlando di una tavola, non è affatto necessario prendere in considerazione un elefante, ma è necessario considerare le parti della tavola (legno, chiodi, ecc). similmente, per stabilire una persona, bisogna tener conto di corpo e mente.
Una mente che concepisce che una persona è realmente esistente, ha una mera concezione che quella persona sia esistente per suo stesso diritto; quindi, cominciare a pensare ad un corpo ed una mente, riuscirà ad interferire con questa errata concezione di vera esistenza della persona. Il problema è: dato che corpo e mente ci sono, come pure la persona, qual è la loro relazione? Di solito noi accettiamo meramente qualunque cosa che appare, spostandoci continuamente da una concezione all'altra, a volte prestando attenzione al nostro corpo, altre volte alla mente ed altre ancora all'Io – senza mai chiederci se tutte queste cose sono coerenti.
Jang-kya dice che noi dovremmo considerare se la persona è la stessa cosa degli aggregati mentali e fisici, oppure se è diversa da essi. Se voi vi domandaste: "La persona convenzionalmente esistente è la stessa cosa o è diversa dagli aggregati?", la domanda dovrebbe essere formulata come se voi già sapeste che cosa sia realmente una persona esistente in maniera convenzionale. Tuttavia, quando viene fatta quest'analisi, è necessario cominciare con la persona che sta apparendo alla nostra mente e, in conformità a questo sistema, questa persona che stiamo considerando, sta apparendo in maniera inesatta – poiché essa sembra esistere inerentemente – ed è concepita erroneamente come se fosse inerentemente esistente, aderendo tacitamente così a tale modo di apparire. Perciò la vera base, il nostro soggetto, è già errato nel senso che esso appare essere inerentemente esistente. Sebbene sia detto che noi non sempre lo qualifichiamo specificatamente come inerentemente esistente, esso appare sempre come se lo fosse.
Questo <Io> che appare solidamente esistente è l'oggetto che si deve negare; una volta che lo avete sottoposto ad osservazione, potreste quasi toccarlo con mano. La sua base di designazione è proprio qui – il corpo-mente, o qualunque altra base di designazione che sia presente al momento. Allora, questa persona è o no la stessa cosa delle sue basi di designazione? Se fossimo in grado di indicarla e dire, "Ecco, questo è l'Io, e queste sono le sue basi di designazione", noi dovremmo indicare una cosa sola o più di una?
Decidere se la persona e gli aggregati siano una cosa sola o due cose diverse, significa dover pensare all'impensabile. Le persone arretrano di fronte a ciò, - sentendo di non poter giungere ad una conclusione e che nessuna di queste possibilità appare esatta. Di fatto, vi è questa opprimente esperienza degli oggetti concretamente esistenti e, dato che nessuna di queste due opzioni è definitivamente corretta, in certo qual modo, a che serve pensarci?
Comunque, se noi esistessimo nel modo in cui appariamo, noi dovremmo essere riscontrabilmente tanto la stessa cosa della mente e corpo che differenti da essi. Se non siamo nessuna delle due opzioni, allora di sicuro noi non esistiamo nel modo in cui ci sembra. Prendere una decisione in tal senso, vuol dire tagliare ed interrompere per davvero la fabbricazione del mondo.
Se vogliamo opporci a tutto il peso dell'esistenza ciclica, dobbiamo convincerci che arrivare, per esempio, ad una decisione nei riguardi dell'esistenza inerente dell'uguaglianza e della diversità, è sufficiente per sentirci decisi nei riguardi della falsità o della verità dell'apparentemente concreta esistenza. Noi dobbiamo diventare sicuri che una mente che cerca un'uguaglianza o una differenza inerentemente esistenti, è qualificata per giungere alla conclusione riguardo alla verità delle cose che stanno apparendo. È come se fossimo diventati iperrealisti e non stessimo più muovendoci come pupazzi, non accettando più le cose così come arrivano. (Alla fine, comunque, quando cessiamo di sovrapporre un'esistenza concreta alle cose, allora possiamo muoverci come pupazzi, tanto niente potrà apparire senza che noi si venga oppressi).
Quindi, la prima cosa è di prendere questa decisione: "Non ci sono altre possibilità di scelta, se non che io sono una cosa sola con questo corpo e mente, definitivamente lì, oppure che sono diverso da essi". Inoltre, lo stesso <Io>, non è identico o diverso dall'intero complesso degli aggregati mente-corpo; esso potrebbe essere la stessa cosa con una parte di questo complesso, oppure potrebbe essere una parte adesso e un'altra parte in un altro momento.
Questo metodo richiede una fortissima fede nella mente. Qui noi, piccole futili persone, stiamo stabilendo criteri per gli altri sei miliardi di umani in questo mondo, dicendo che se essi esistessero nel modo in cui appaiono, allora dovrebbero soddisfare certe qualificazioni. Quasi come se stessimo prendendo metodi di lavoro dal resto del mondo.
E' utile fin da subito decidere che qualcosa sia sbagliata. Perché vi sono così tante persone che scrivono poesie sull'impermanenza? Perché tutte le religioni ci tengono a battere il tamburo sulla transitorietà. E' forse perché noi siamo ingannati, con lo sperimentare le cose in un modo diverso dalla loro reale condizione? Se possiamo decidere che deve esservi qualcosa di sbagliato nelle nostre abituali percezioni, allora il limitarci solo a queste due possibilità ed analizzare se il mondo sopravvive ad esse, favorisce un'attitudine più coraggiosa. Dopodiché, noi possiamo vedere che il problema non è esterno, ma proprio al nostro interno perché è un nostro proprio errore. È detto che, se purifichiamo questo nostro errore, l'intero processo apparirà in modo differente. Occorre coraggio, dato che vi è troppa inerzia. Spesso sembra che io sia una cosa così piccola, forse dovrei lasciar vincere la solida apparenza del mondo. Si tratta di stabilire CHI è che deve prevalere.
Ecco perché i meditanti fanno una vita così semplice e perché vanno sulle montagne, o altri posti tranquilli, per meditare. Essi non vogliono che così tanti oggetti appaiano alla loro mente; essi desiderano solo un luogo in cui lo scorrere di tutto ciò che appare non li coinvolgerà in una quantità di variazioni. Inoltre, nei luoghi tranquilli le cose non sono così pressanti, non c'è nessuno che venga a farvi visita, a derubarvi, e così via, come in una città. Potete stare fuori dal caos dei centri commerciali.
Ciò non significa che la vacuità non sia ugualmente vera in qualsiasi luogo. È solo che di solito, se non abbiamo buone predisposizioni generate dalle vite precedenti, non potremo scoprire che la verità è così potente. Noi dobbiamo familiarizzarci con la verità, costruendocela e rafforzandola. Quando arriveremo alla comprensione della vacuità e otterremo una certa esperienza in una situazione tranquilla e con una quantità limitata di oggetti, allora potremo ritornare per qualche tempo nel caos dei centri commerciali e, alla fine, saremo anche capaci di restare in questi luoghi pieni di confusione.
È bene avere almeno un luogo per fare i nostri ritiri ed anche attenersi a tornare nei centri commerciali per testare la nostra realizzazione. Inoltre, è bene non essere troppo sorpresi se, al vostro ritorno, verrete ancora sopraffatti dall'opposto di ciò che il vostro pensiero meditativo aveva compreso. E' detto anche che quanto più noi penetriamo profondamente nella natura delle cose, quanto più sorgono forti resistenze e grossi problemi. Per esempio, l'odio può manifestarsi in maniera così forte da farvi pensare di non riuscire mai a superarlo; un odio così forte, da farvi chiedere come avevate mai potuto pensare che esso non era esistente di per sé, dalla sua propria parte. Occorre un lungo addestramento per sapere che una simile esperienza non significa certo che esso (l'odio) sia davvero esistente per suo proprio diritto.
Per esempio, la mente deve diventare coinvolta in questo ragionamento che tratta dell'identità, specialmente nella parte che riguarda l'erroneità dei numerosi <sé>. Andate avanti e riflettete, "Ok, vi sono tanti <Io> quanti sono gli aggregati" e vivete con questa meditazione per qualche tempo. Alla fine voi vorrete scoprire se cio è una cosa sensata o meno, ma prima dovrete vivere con essa per un po’ di tempo, allo scopo di esplorarne tutte le possibilità.
Siate come un uomo in un deserto che vede i miraggi in ogni direzione. Egli, per cercare l'acqua, vede quattro bellissimi laghetti e, disperato, cerca di andare verso ciascuno di essi. Finalmente, benché desideri l'acqua, egli sa per certo che non ve n'è. Noi dobbiamo scendere proprio nel profondo di una mente interna desiderosa che vi sia un <sé> inerentemente esistente e poi, con tale mente, andare in cerca di esso. Ogni volta che perdete questa possibilità, diventerete sempre più disperati. E noi dobbiamo diventare disperati, profondamente convinti. Essere disperati significa non avere nessun'altra speranza.
Den-dar Lharampa, un grande adepto ed erudito Mongolo (di cui si dice che abbia appeso la sua pipa su un gancio di luce nella sua tenda, quando qualcuno era entrato per disciplinare lui, un monaco, a causa del fumo) disse che quando cercate di trovare l'esistenza inerente, voi dovete portarla al punto in cui realmente vi si generi la paura di non trovare nulla (286). Se voi non potete portarla a quel punto di disperazione ma, al contrario, siete soddisfatti di non approdare a nulla, allora voi state solo facendo sogni ad occhi aperti, inconsapevoli di tutte le emozioni e di tutte le attività costruite sulla base dell'essere totalmente e pienamente convinti dell'esistenza inerente. L'analisi dovrebbe commuoverci nel profondo.
Invero, talvolta questo tipo di analisi può essere solo frutto di fantasie; tuttavia, in altri momenti può sembrare come se voi vi strappaste via il cuore. Voi state distruggendo la fabbrica dell'esistenza ciclica e, poiché questa fabbrica è la vostra stessa mente, è molto difficile da sopportare. Ogni esperienza di vacuità non è come questa, ma grandi Yogi-studiosi, come il Quinto Dalai-Lama e Den-dar Lharampa, hanno parlato di comprensione iniziale (che deve avvenire) in questo modo. D'altra parte, è detto pure che vi sono persone che possono facilmente mettere insieme tutto ciò; a loro, la generosa natura rivelatoria della vacuità, in quanto chiave della trasformazione, conferma se stessa nella vivida esperienza vivente. Anche in una sola sera, tali persone possono prendere coscienza di essa. Sono, queste, delle persone straordinarie che sanno come applicare gli insegnamenti che vengono dati loro, che sanno come usarli per raggiungere il nucleo centrale della loro essenza mentre vivono e ne utilizzano ovunque il profondo significato. Tutto ciò si dice per voler indicare una persona di grande consapevolezza, di grande coscienziosità.
In ogni modo, la maggioranza delle persone non sono affatto così. Quasi tutti noi dobbiamo continuare ad avere esperienze in cui vogliamo qualcosa ma poi scopriamo che essa non esiste in quel dato modo – è necessario scoprire ripetutamente il modo sbagliato in cui siamo fatti, per poterla distruggere continuamente. Eppure, in altri momenti può essere proprio chiaramente emozionante scoprire che non dovete proteggere questa zona, che voi non state esistendo così concretamente. La meditazione sulla vacuità può rivelare gli elementi sottili che si trovano nel complesso corpo-mente, rendendo possibile diventare utili alle altre persone e proponendo la sensazione di come ogni attività possa essere spontanea. Vi è certamente una seppur minima spontaneità nella vita che noi stiamo vivendo in questo momento, eccetto che per la spontanea espressione delle emozioni afflittive che, alla nostra mente, appaiono mascherate come naturali.
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18) – COMPATIBILITA' DI VACUITA' ED ESISTENZA NOMINALE
L'introvabilità assoluta del <sé>, se analizzata poi con un ragionamento in
questi sette modi, è il significato dell'assenza di esistenza inerente del <sé>.
Qui, <sé> significa "la persona". Abbiamo già parlato parecchio riguardo alla mancanza di un sé, della vacuità, dell'assenza di esistenza inerente, e così via; ciò è – l'introvabilità della persona o di qualunque altro fenomeno, allorché li si analizza in questo modo.
Poiché questo fatto è simile in termini ad entrambe le due verità ,
non esiste, nemmeno convenzionalmente, un sé che sia stabilito
per via delle sue proprie caratteristiche. Tuttavia, quando non
vi è un'analisi per cercare l'oggetto designato( il sé), essendo la
persona stabilita da una cognizione valida, senza possibilità di
negazione, la si vede come un sé che è in grado di eseguire attività.
Qui, <sé> e "persona" si riferiscono alla stessa identica cosa, cioè l'Io convenzionalmente esistente.
Quindi, le persone convenzionalmente esistono. Inoltre, quando
viene prodotto un consapevole pensiero di <Io>, esso è prodotto
in dipendenza di aver preso come base i cinque aggregati che sono
nel nostro continuum. Perciò, (l'Io) esiste come mera designazione
dipendente dai cinque aggregati. Per di più, questi punti sono il
pensiero del testo radice ed autocommentario del Supplemento
di Chandrakirti, di cui abbiamo parlato in precedenza (287):
(E' detto) che in questi sette modi, il carro non
è stabilito, né nella sua quiddità e né nella sua
natura mondana; ma, senza l'analisi, viene qui
designato dal (punto di vista) del mondo, in
dipendenza sulle sue parti…"
Il Commentario di Chandrakirti sul "Quattro Centinaia" (di Aryadeva) dice che qualcosa di illusorio deve essere lasciato in sospeso, come una sorta di residuo:
Per questa ragione, quando poi è analizzata,
l'esistenza inerente delle cose non può essere
stabilita. Di conseguenza, essa viene lasciata
indietro, solo per una natura di tipo illusorio
come rimanenza rispetto alle cose individuali.
Il Grande Onnisciente (Tzong-Khapa) dice:
Questa combinazione dei seguenti due fattori
normalmente avviene – 1) senza residuo, col
rifiuto dell'oggetto di negazione (cioè l'esistenza
inerente) tramite una ragionata analisi, e 2)
con la possibilità di stabilire come illusioni,
lasciate dopo la negazione, senza perder nulla,
tutte le funzioni di cause ed effetti sorti in
modo dipendente. Quindi, è veramente assai
difficile ottenere la visione della Via di Mezzo.
Una comprensione di questa combinazione quasi non può esistere, dato che noi tendiamo a cadere in un estremo o nell'altro, sia rifiutando gli oggetti insieme con la loro esistenza inerente, oppure non rifiutandoli abbastanza (cioè accettandoli totalmente).
Allorché venga negata la sua esistenza inerente, un oggetto considerato illusorio è messo da parte, ma non viene messa da parte la sua esistenza inerente. L'esistenza inerente DEVE essere completamente rifiutata; la sua negazione totale deve essere realizzata. Successivamente, si realizzerà l'oggetto simil-illusorio. Esso è chiamato "simil-illusorio" dato che appare essere inerentemente esistente, mentre non lo è. Quando gli Yogi hanno questa realizzazione degli oggetti "simil-illusori", essi sono come dei maghi prestigiatori che hanno messo una pomata su di una pietra e un incantesimo sulle coscienze visive di tutti, incluse le loro, di modo che la pietra appare essere un elefante. Anche se vi è vividamente qualcosa che appare essere un elefante, essi però sanno che non lo è, che in realtà è soltanto una grossa pietra.
La comprensione che i fenomeni sono come illusioni, è chiamata successivo raggiungimento simil-illusorio. Quando gli Yogi riemergono dalla cognizione di vacuità, le cose riappaiono ancora vividamente, ma essi non credono più nella loro apparente esistenza inerente. Vi è, comunque, una grossa differenza tra la non-esistenza di un illusorio elefante, uomo, o donna e l'assenza di esistenza inerente di una persona, o qualsiasi altro fenomeno. L'elefante illusorio, creato dal prestigiatore, non può adempiere alle funzioni di un elefante convenzionalmente vero, laddove una persona può adempiere alle funzioni della persona. Eppure, essi sono entrambi identici, dato che né l'elefante illusorio e né la persona inerentemente non-esistente occupano "realmente" il luogo che sembrano occupare. Così, la comprensione ottenuta dall'osservare gli oggetti di sogno, decidendo che essi non esistono nel modo in cui seppur vividamente appaiono esistere, può venir applicata ai fenomeni del mondo.
La sensazione di esistenza inerente agisce come un magnete nei riguardi della mente e noi stessi siamo come magnetizzati dalle nostre azioni precedenti. Quindi, realizzare che qualcosa non esiste inerentemente è, per così dire, necessario per smagnetizzarci. Nondimeno, progredendo verso la comprensione, l'assenza di esistenza inerente ci rende ancor più impegnati. Nell'erronea percezione ordinaria, proprio mentre noi stiamo venendo spinti via dalle cose, nello stesso tempo ne veniamo trascinati dentro. Ne siamo fortemente attratti, pur se vi è una grande distanza tra noi e l'oggetto magnetico. È come se due cose diverse si stiano fortemente magnetizzando l'un l'altra. Tuttavia, quando si è compreso che tanto se stessi quanto l'oggetto, entrambi sono introvabili, la comprensione diventa molto più diretta, allo stesso modo di quando si guarda qualcuno intimamente negli occhi. È come se avessimo due magneti, ma uno dei due è sparito nell'altro. A quel punto gli oggetti possono essere visti come mai prima di allora. Nelle nostre percezioni abituali, l'oggetto è come se fosse ricoperto o protetto; esso vi ferma prima che voi possiate afferrarlo. È come se voi inforcaste degli occhiali da sole, qualcosa si è messa di mezzo, coprendolo. Ora, dopo la comprensione che un oggetto è introvabile e vuoto di esistenza inerente, voi potete essere completamente impegnati in quell'oggetto, senza null'altro di mezzo.
Perciò, quando meditiamo sulla vacuità, cercando ad esempio di "trovare" questo libro, stiamo attenti ad esaminare bene le basi di designazione del libro, applicando la settuplice analisi, profondamente coinvolti nel cercare di trovare il libro. Alla fine, quando siamo colpiti per non aver trovato nessun libro, accade perfino che quando poi il libro riappare, la sua vera apparenza diventa per voi significativa proprio perché non può essere trovata. Se, prima di questa analisi, noi riflettiamo troppo sulla introvabilità di questo libro, noi potremmo non aver più interesse in ciò, perché proprio adesso siamo totalmente convinti che il libro sia qui, nelle nostre mani, mentre occupa il suo posto nello spazio. In ogni caso, se e quando la settuplice analisi viene fatta correttamente, noi ci sentiamo molto più impegnati. A quel punto, non bisogna ritrattare la mente per riflettere sulla realtà. La vera apparenza del libro stesso fortifica la nostra sensazione dell'assenza di esistenza inerente; si potrà quindi comprendere che un libro è solo un oggetto imputato ed è totalmente introvabile facendo una siffatta analisi. Questi fenomeni convenzionali vengono compresi come mere convenzionalità, come falsità, come fraudolenti imbrogli, perché appaiono in un certo modo ed esistono in un altro modo.
Attualmente, noi ci blocchiamo in una generalizzata adesione alle nostre percezioni di tutti i giorni. Per esempio, ci blocchiamo nella sensazione: "Io sono sveglio". Quando andiamo a dormire, perfino nel sogno abbiamo ancora la sensazione di essere svegli; altrimenti, perché dovremmo entrare nelle attività del sogno, credendo che esse siano reali? Allo stesso modo, noi ci blocchiamo continuamente nella scena del momento, accettando passivamente che le cose esistano nel modo in cui appaiono. Di solito, noi pratichiamo addirittura l'immersione di noi stessi negli oggetti, perfino in quelli che sono riconosciuti falsi anche dal mondo. Compriamo specchi e li mettiamo di fronte a noi, sviluppando una certa relazione con l'immagine della persona che è nello specchio. Poi, andiamo al cinema e ci coinvolgiamo profondamente con gli attori; preferiamo i film in cui possiamo arrivare al punto di sentire che le figure sullo schermo siano persone reali. Ecco ciò che coltiviamo.
Tuttavia, comprendendo bene che le cose sono soltanto delle illusioni, noi possiamo impregnare tutte le apparenze e gli eventi con una apprezzabile valutazione per il loro essere "simil-illusori". Nel medesimo modo in cui noi sperimentiamo qualcuno o qualcosa che ci appare in sogno, quando sappiamo di star sognando, così possiamo sperimentare tutte le cose da svegli, in maniera da considerare che esse appaiono in un certo modo ed esistono in un altro modo. Mentre al momento la mente è immersa negli oggetti, che noi crediamo esistenti per loro proprio diritto, quando non crederemo più di tanto in tali concreti e solidi oggetti, allora essi appariranno ancora e sempre alla nostra mente, ma essa non sarà più così impregnata ed immersa in essi. La mente allora sarà in uno stato molto più ampio e vi sarà una sensazione di essere ovunque e di non essere diversi e separati dalle cose – anche se non vi sarà quel pesante sprofondamento nella sensazione. Sebbene gli oggetti non siano spariti, la dipendente attrazione per essi è rimossa per sempre.
Se, dopo aver cercato un oggetto e non essendo stati capaci di trovarlo, si rammenterà questa presentazione delle nominalità, effettivamente e validamente esistenti, potremo comprendere che questo libro è meramente designato, dipendendo dall'assemblamento delle sue parti. Avendo meditato con totale concentrazione sulla introvabilità dell'oggetto, allorché rilasciamo la meditazione e consideriamo che le cose tornano ad esserci, noi non le sperimenteremo più nel modo in cui facevamo prima. La nostra comprensione della vacuità contagerà il modo in cui le apparenze vengono percepite. Questa cognizione, quando emergiamo dalla meditazione, cioè quando abbiamo completato la unidirezionata concentrazione sulla vacuità, è una cognizione valida dei fenomeni convenzionali come tali (cioè, come fenomeni convenzionali), che sono falsi e che appaiono in un modo ed esistono in un altro modo.
Gli Yogi che hanno meditato sulla vacuità, emergendo dalla loro meditazione, vedono tutte le cose come oggetti di sogno (cioè come se fossero oggetti che si vedono nei sogni). Essi considerano queste apparizioni, che ci risucchiano dentro di esse, in una maniera diversa rispetto a quanto facciamo noi, cioè senza questa indurita materializzazione dell'apparenza. Noi possiamo illustrare ciò col mantenimento della visualizzazione degli oggetti-di-sogno, subito dopo il risveglio, cioè ricordando la visione di questi oggetti che pure sono apparsi, ma erano totalmente vuoti.
È importante rammentare, quando si studia l'esistenza nominale, che gli oggetti nominalmente esistenti non sono reperibili nemmeno sotto un'analisi ultima (cioè assoluta). L'esistenza nominale è, essa stessa, solo nominalmente esistente. Quindi, non si dovrebbe pensare che l'esistenza nominale, cioè l'esistenza convenzionale, in qualche modo preservi o conservi il nostro vecchio modo di vedere le cose.
Una simile combinazione di un'assoluta negazione degli oggetti di negazione, insieme ad una presentazione degli oggetti "simil-illusori" dell'originazione-dipendente, come descritta nei testi della Scuola Conseguenza, è davvero assai rara.
A tal riguardo, tutti i proponenti della dottrina, tanto delle scuole del Grande
Veicolo, come pure di quelle del Piccolo Veicolo, presentano i loro propri
sistemi, come sistemi che sono completamente liberi da tutti gli estremi.
Perfino le scuole dogmatiche non-buddhiste, come quella dei Nichilisti Induisti, presentano i loro sistemi come liberi dai due estremi, dato che essi dicono di evitare sia l'estremo della permanenza – cioè il rendere reale ciò che non esiste come reale – rifiutando l'inferenza, e sia l'estremo della non-esistenza assoluta – negazione totale di ciò che esiste – accettando come valida la percezione diretta. Essi dicono anche che ciò che si può vedere esiste. Si può vedere che c'è un vaso, per cui sia l'artefice del vaso e sia la composizione del vaso esistono. D'altra parte non si può vedere qualcuno che abbia colorato i fiori; quindi, il colore dei fiori sorge semplicemente per via della sua propria natura. Ciascun sistema ha il suo proprio modo di evitare i due estremi.
Ed, in particolare, gli altri grandi discepoli (non-Conseguenzialisti) delle Scuole
Sola-Mente e Via di Mezzo, hanno i loro propri modi di presentare il significato
intermedio libero dagli estremi e di presentare (le apparenze) "simil-illusorie".
Se voi comprendete bene che le asserzioni su quei modi, fatte dalle più elevate
Scuole dogmatiche, sono più pertinenti (288) e più difficili da realizzare che non
quelle dei sistemi dogmatici inferiori e che nondimeno tutte quelle (scuole dei
non-Conseguenzialisti) non contengono le essenzialità di essere libere da tutti
gli estremi, come nella presentazione delle due verità in questo sistema supremo
e se voi comprendete bene che solo questo sistema evita tutti gli estremi molto
sottili e subdoli e che esso ha anche profondi lineamenti completamente diversi
dagli altri sistemi, grazie al suo stabilire (le apparenze) come "simil-illusorie",
allora voi svilupperete una ferma e genuina fede, indotta tramite il sentiero del
ragionamento, presentato in generale nei testi del padre (Nagarjuna) e dei suoi
figli spirituali, ed in particolare nei testi dei grandi signori Adepti, che esposero
in maniera appropriata il sistema Conseguenzialista, come pure nelle maggiori
dichiarazioni del padre, il Più Grande degli Esseri (Lama Tzong-Khapa) nonché
dei suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Kay-drub).
Ora Jang-kya sta ponendo l'accento sul fatto che le presentazioni delle Scuole della Mente Unica e dell'Autonomia si avvicinano maggiormente a cogliere nel segno che non quelle dei filosofi dei Veicoli Inferiori; malgrado ciò, esse non penetrano direttamente nell'essenza e non presentano la vacuità e le apparenze simil-illusorie in maniera tale che tutti gli estremi siano distrutti. Jang-kya sta dicendo che quando qualcuno conosce bene le differenze tra la Scuola della Via di Mezzo, così come la spiegò Nagarjuna, e ciò che dicono le altre scuole, e conosce anche la differenza tra il sistema Conseguenzialista e gli altri sistemi, come pure conoscendo quanto bene Chandrakirti, Buddhapalita, Shantideva, e così via, elaborarono la Scuola Conseguenza, e quanto bene Tzong-Khapa ed i suoi due discepoli più anziani spiegarono questo sistema, allora una ferma fiducia sorgerà spontaneamente. Jang-kya sta certamente parlando dalla base della sua esperienza.
Voi dovete comprendere nella loro verità, le essenzialità dei ragionamenti in
precedenza spiegati, e le essenzialità della presentazione (delle apparenze)
come simil-illusorie, e dovete anche comprendere gli stadi in cui queste sono
tenute appropriatamente a mente, come pure la sottile distinzione nel generare
esperienza di esse. Queste comprensioni sorgono 1) tramite il penetrare bene in
profondità, e non solo superficialmente, le scritture in generale del Più Grande
(Tzong-Khapa) e la sua "Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione"
in particolare, sia quella piccola che la grande; 2) tramite il collegarsi in modo
appropriato con eccellenti amici spirituali i quali, insieme con la visione (di grandi
esseri, durante le meditazioni), abbiano ottenuto una certa sottile e segreta essenza
della parola del Più Grande tra gli Esseri (Tzong-Khapa), che fu data oralmente ai
più eccellenti tra i suoi figli spirituali, grandi Bodhisattva dimoranti sulle terre,
trasmessa in livelli e messa per iscritto dagli eruditi e adepti di questo sistema;
3) tramite il rammentare ripetutamente il significato di questi testi, per mezzo di
un appropriato pensiero, ragionandoci su, e 4) tramite la generazione di un
insolito grande sforzo nelle numerose aggregazioni causali esterne ed interne.
Oltretutto, è assai giusto sforzarsi in codesta maniera.
Qui, Jang-kya si sta raccomandando che le opere fondamentali del sistema siano comprese incontrando studiosi e adepti del lignaggio e quindi tenendo a mente il significato di questi libri, ancora e ancora, tramite il ragionamento. Inoltre, è importante un grande sforzo nell'accumulazione dei meriti, perché per poter meditare sulla vacuità è necessaria un'enorme quantità di energia positiva. Tali pratiche includerebbero il servizio detto in "sette rami" (cioè, prostrazione, offerta, confessione dei peccati, ammirazione per le virtù proprie ed altrui, implorazione, supplica e infine, dedica dei meriti). La vacuità è assai difficile da comprendere e le pratiche di preghiera in "sette rami" creano sensazioni positive e stabiliscono relazioni altruistiche con il proprio insegnante e con le altre persone. Tramite queste, si sviluppa una solida base per la meditazione sulla vacuità.
Ora, Jang-kya pone l'enfasi sulla grandezza della presentazione della compatibilità di originazione-dipendente e vacuità, fatta da Tzong-Khapa.
Poiché l'onnisciente Ghyel-tsab dice: (289) "Fino a quando io non trovai
il Più Grande Santo (Tzong-Khapa), io non avevo neanche parzialmente
realizzato l'Originazione-dipendente, il mediano che è libero dagli estremi,
il sentiero che spezza e distrugge le radici dell'esistenza ciclica samsarica.
Perfino (Ghyel-tsab) il Gran Signore del Ragionamento, che rivaleggia con gli stessi "sei ornamenti" (290) del Jambudvipa (la Terra dei Supremi – cioè l'India), non realizzò nemmeno una parte di questa visione della Via di Mezzo libera dagli estremi, prima di incontrare il Più Grande tra gli Esseri (Tzong-Khapa). Inoltre, (Ghyel-tsab) disse che egli realizzò il significato del mediano libero dagli estremi, grazie alla gentilezza del Più Grande Onnisciente (Tzong-Khapa)(291).
Nelle ottime spiegazioni dell'eccellente amico spirituale, è spiegato,
proprio così com'è, il significato dell'Originazione-dipendente, la via
mediana libera dagli estremi (di esistenza inerente e nichilismo), che
è proprio così come asserita dal protettore Nagarjuna, ed è lo stesso
identico pensiero unico di Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva…
(Ghyel-tsab) disse anche che è necessario lavorare duro, in questo modo (292), perché essa è l'eccellente vita del sentiero per la liberazione e l'onniscienza (293):
Se non si realizza il principio della (via) mediana libera dagli estremi,
non si possono raggiungere gli alti livelli (294) dei supremi Superiori.
Perciò, avendo concluso che la vacuità significa il sorgere-dipendente,
applicatevi nel praticare duramente, sforzandovi nel modo appropriato.
(Ghyel-tsab) dice anche che sulla base dell'aver compreso che questo supremo sistema è difficile da trovare e che fra non molto esso scomparirà, le persone che discriminano, dovrebbero assai velocemente generare uno sforzo(295):
Dandosi il caso che l'ottimo sistema delle due verità di Nagarjuna,
essendo così difficile da trovare, perfino durante un miliardo di eoni,
è peraltro destinato a sparire da questo mondo, tra non molto tempo,
coloro che discriminano dovrebbero rapidamente generare lo sforzo.
Questi punti sono assai importanti, mostrando di essere un monito proveniente dalla più estrema profondità.
Quando prendiamo nota di come il buddhismo sia diminuito in Tibet ed in Cina e come stia sparendo negli altri luoghi, a causa degli interessi materialistici, possiamo vedere quanto sia difficile trovare questo insegnamento.
Supponete di fare un grande sforzo per meditare sulla vacuità, e poi morire, prendere una nuova rinascita da qualche parte e riuscire a ricordare, "Io stavo studiando il sistema di Nagarjuna, che stava indirizzandomi verso la realtà. Ora devo trovare qualcuno che possa di nuovo insegnarmelo!". Allora voi andreste in cerca di qualcuno che possa insegnarvi quel supremo sistema. Potreste pensare che possano insegnarvelo i vostri genitori ed allora voi fareste ad essi alcune domande per vedere se essi sanno qualcosa riguardo alla vacuità, ma loro arriverebbero solo a pensare che le vostre domande sono alquanto strane. Potreste allora domandare a persone della scuola o della vostra chiesa. Chi mai potreste trovare? Non importa in quale luogo voi siate nati, sarà comunque molto difficile trovare un insegnante di questo tipo. Se voi foste nati in America, trenta o quaranta anni fa, sarebbe stato impossibile. Oggi, quasi impossibile. (Qui in Italia, ancora peggio! N. d. T.).
Sebbene noi si possa aver letto numerosi libri che trattano della Scuola della Via di Mezzo e pur avendo dato loro la massima importanza, l'insegnamento più importante di questa suprema Scuola che noi possiamo ricevere, deve essere dato da qualcuno che ce lo spieghi in un modo tale, così che noi si possa meditare realmente su di esso e finalmente realizzarlo.
"Poiché ora io qui desidero spiegare solo brevemente ciò che riguarda
la Scuola della Conseguenza (296), voi dovreste comprendere i punti
essenziali della dottrina di questo sistema, in modo esauriente, però
rifacendovi anche ad altri (testi)."
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19) AMPLIARE LA REALIZZAZIONE
Viene Ora Dimostrato Che Questo (Accertamento che le Persone
Non Sono Inerentemente Esistenti)Stabilisce che Anche Il "MIO"
NON è Inerentemente Esistente ------------------------------------------
Quando il <sé> è visto in questo modo, tramite il ragionamento che esamina
se esso sia o meno inerentemente esistente, questo <sé> non è trovato essere
in nessuno di quei sette modi, allora per suo mezzo l'esistenza inerente viene
negata rispetto al <sé>. A questo punto, è facile negare che anche "il Mio" sia
stabilito (inerentemente esistente) per via delle sue proprie caratteristiche.
Una volta stabilito che non vi è l'Io, non può più esservi nessun "mio" inerentemente esistente. Tuttavia, al nostro livello, quando normalmente cominciamo un po’ a capire l'assenza di un Io inerentemente esistente, noi dobbiamo estendere in modo deliberato questa realizzazione agli altri fenomeni; perciò, se essa non fosse forzatamente ampliata, non potrebbe essere estesa affatto. Talvolta, tuttavia, questa realizzazione è automaticamente ampliata grazie all'importanza di una particolare istanza del "mio", proprio in quel preciso momento. Se ci capita di essere alquanto preoccupati a causa di un certo fenomeno di nostra proprietà, allora quando poi cerchiamo di trovare l'Io e non lo troviamo, è come se subito non ci possa essere neanche un "mio" inerentemente stabilito. Eppure, il discernimento essendo debole, probabilmente non sarà esteso alle cose neutre, oppure alle cose di cui non ci importa nulla. In quel momento, questa 'realizzazione preliminare' si estende deliberatamente agli altri fenomeni. Chiedetevi, "Di chi è questa cosa?". Nel mezzo della realizzazione che l'Io non può essere trovato, chiedetevi, "Di chi sono questi pantaloni?", "Di chi è questa maglietta?", "Chi è che possiede questa pelle?", "Di chi sono queste unghie?", "Chi ha questi capelli?", "Di chi sono questi occhiali?".
Il Testo Fondamentale Chiamato "Saggezza" di Nagarjuna, dice (297):
"Se un <sé> (inerentemente esistente) non esiste, come
potrebbe esistere un "mio" (inerentemente esistente)?"
Come già accennato in precedenza, nella lingua Inglese può essere agevole considerare "il Mio" in due modi, cioè "il me" ed "il mio". Il "Me" differisce da "il mio" in quanto "me" è la persona che possiede, mentre "il mio" è il fenomeno posseduto. In una certa interpretazione, "il mio" si riferisce a quelle cose all'interno di un continuum che sono qualificate come essere di vostra proprietà. Quindi, il vostro proprio corpo e mente sono il vostro "mio". Nondimeno, una concezione di "mio" inerentemente esistente è una concezione di un <sé> delle persone, poiché esso si riferisce alla concezione dell'Io inerentemente esistente, che necessariamente è coinvolto nel discernimento, o qualificazione, di qualcosa, per esempio questa mano, come "mia".
Noi possiamo considerare "me" come un ulteriore modo per dire "Io", la persona che reputa le cose come "mie". "Me" è una versione più efficace ed attivamente estesa del termine "Io"(298).
Ed inoltre, sebbene soltanto una consapevolezza, che realizza che l'Io è
senza inerente esistenza, non apprende esplicitamente che "il mio" sia
senza esistenza inerente, quando la mente si rivolge verso il "mio", in una
certa maniera per analizzare se l'esistenza inerente esista o no, in base al
funzionamento della precedente consapevolezza, (il mio) viene facilmente
stabilito senza esistenza inerente. Dato che (questa mente) non considera
nessun'altra prova, nei grandi testi non viene dichiarato nessun altro tipo
di ragionamento separato (con lo scopo di rifiutare l'esistenza inerente).
Non è necessario nessun altro ragionamento. Il funzionamento della consapevolezza che, tramite il settuplice ragionamento, comprende l'assenza di esistenza inerente dell'Io, è tale che semplicemente muovendosi verso un nuovo oggetto, essa comprende l'assenza di esistenza inerente di quell'oggetto.
Ora appaiono due diversi modi per asserire ("il mio"). (Un sistema
spiega che) gli occhi, le orecchie, ecc., inclusi nel proprio "continuum",
sono rappresentazioni del "mio", ma non sono oggetti di osservazione
di una (falsa) innata visione del "composto transitorio" che concepisce
un "mio" (inerentemente esistente). Essi spiegano anche che questo è
il pensiero del Più Grande Padre (Tzong-Khapa) e dei suoi due figli
spirituali (Ghyel-tsab e Kay-drub).
Jang-kya poi fa riferimento alla "Grande Esposizione della Dottrina" di Jam-yang-shepa (299):
(Un altro sistema spiega che) gli occhi, le orecchie, e così via, sono le
basi di designazione (300) del "mio", ma non sono le rappresentazioni
(301) del "mio", perché non è ammissibile che una base di designazione
sia anche il fenomeno designato. (Jam-yang-shepa dice che) ciò che
viene spiegato in "Aprire gli Occhi dei Fortunati" di Kay-drub, e cioè
che gli occhi, le orecchie, e così via, sono rappresentazioni del "mio",
indica semplicemente che queste sono rappresentazioni di cose che
vengono prese come "il mio"; ciò non indica che siano lo stesso "mio".
(302)(Jam-yang-shepa dice ancora che) questo modo per spiegare il
"mio", è identico al pensiero di Tzong-Khapa, nel suo "Commentario
al Testo Fondamentale Chiamato Saggezza" (di Nagarjuna) (303).
Benché vi sia molto da investigare in entrambe queste asserzioni, è
mia ferma intenzione di elaborarle altrimenti in un'altra occasione.
Nella prima spiegazione, gli stessi oggetti sono "il mio". Nella seconda spiegazione, gli occhi, le orecchie, e così via, sono solo cose trasformate in "mio" e "non-mio". In quest'ultimo sistema "mio" è molto più che "me", inteso come persona.
I fenomeni sono divisi in persone ed altri fenomeni, dato che le persone sono gli utilizzatori, coloro che godono dell'uso, mentre gli altri fenomeni sono ciò che essi usano o di cui godono. Dal punto di vista della concezione di vera esistenza e della meditazione sulla vacuità, il "mio" (quando non lo si considera una persona) è il fenomeno più importante dopo la persona stessa. All'interno del "mio", cioè tra i vari tipi di "mio", interni ed esterni, quelli interni inclusi nel nostro "continuum", sono i più importanti – il mio corpo, la mia mente, le mie mani, ecc.-
Jang-kya ha descritto due modi di riflettere riguardo all'idea di "mio". Nella prima interpretazione, l'oggetto di osservazione di una falsa visione innata del composto transitorio (cioè la somma degli aggregati individuali) che concepisce un "mio" inerentemente esistente, è la "mio-entità" degli occhi, delle orecchie e così via, che sono qualificati dall'essere "miei". I nostri occhi ed orecchie, di per sé, non sono quindi, gli oggetti di osservazione di una innata concezione dell'esistenza inerente di ciò che è "mio". Essi devono prima essere visti come "mio", e poi questa "mio-entità" è appresa come inerentemente esistente. Occhi ed orecchie, qualificati come "miei", sono le rappresentazioni del "mio", cioè essi sono "me". In questa interpretazione, "mio" non è un altro modo per dare un nome alla "persona".
Il secondo modo di spiegare il "mio" ci viene da Jam-yang-shepa. Malgrado Kay-drub abbia detto nel suo "Aprire gli Occhi del Fortunato", che gli occhi, le orecchie e così via, siano rappresentazioni del "mio", il ché significa che essi devono essere "me", Jam-yang-shepa sostiene che il significato di Kay-drub è che queste cose sono rappresentazioni di ciò che è preso o trasformato in "mio", piuttosto che rappresentazioni dello stesso "Mio". Il "Mio" (o, più propriamente, il "me") è la persona che prende queste cose come "mie". La controversia su ciò che il "mio" è, ci spinge a specificare che noi qualifichiamo i nostri propri occhi ed orecchie come "ciò che è mio", cioè che un<Io> inerentemente esistente è il proprietario di queste cose che sono considerate mie, che la persona attivamente proprietaria di queste cose è il "me" e che, di converso, <l'Io> non è così attivo. In questo modo, entrambi i punti della controversia sono utili per la mente nell'individuare un modo comune di lavorare.
Come Questo Ragionamento E' Applicato agli Altri Fenomeni
Abbiamo parlato riguardo ad una settuplice analisi che possiede nove essenzialità, di cui le prime due sono l'identificazione dell'oggetto di negazione (l'esistenza inerente) e l'accertamento della inevitabile conseguenza (che se qualcosa non è trovabile in uno di questi sette modi, essa non esiste inerentemente) e le altre sette sono la costituzione dei sette ragionamenti. Queste nove chiavi aprono la porta, per così dire, alla realizzazione della tesi per cui <l'Io> non esiste inerentemente.
Questo ragionamento è applicato principalmente alle persone, ma può essere applicato anche agli altri fenomeni; per cui, ogni fenomeno può essere visto dai punti di vista della base di designazione e del fenomeno designato, cosicché questo ragionamento è un'analisi di questi due punti. Nella persona con gli aggregati mentali e fisici, gli aggregati sono la base di designazione e la persona è il fenomeno designato. In una casa, le sue numerose stanze sono le basi di designazione e la casa stessa è imputata in dipendenza di queste stanze. Se la casa e le stanze esistessero inerentemente, vi sarebbero sette possibili modi in cui potrebbero esistere. Se esse non esistono in uno di questi sette modi, allora la casa non esiste inerentemente.
Non vi è nessuna cosa a cui non si possa applicare questa settuplice analisi. Quando noi ci sediamo giù per tentare di meditare, la nostra mente comincia a girovagare su un certo numero di cose. Qualunque sia il numero delle cose che sono in circolo, alla fine noi ritorniamo ancora una volta sulla prima e ci mettiamo a pensarci su. Questa settuplice analisi può essere applicata qualsiasi cosa di quel circolo, qualsiasi cosa su cui la mente si posa.
Quindi, dopo aver esaminato la settuplice analisi riguardo alla persona, lasciate che la mente vada dove vuole ma, nel far questo, siate pronti ad applicare questa analisi a qualunque cosa.
Questo stabilirà un centro nella mente. Di solito ciò che succede è che la nostra mente divaga ed il centro la segue. In questo modo noi stiamo sostenendo il centro, applicando questa analisi ultima a qualsiasi cosa appaia.
Nel 1968, in una conferenza al Haverford College, Shibayama Roshi disse che quando noi pensiamo col pensiero ordinario è come se frantumassimo la ruota-macina, anziché frantumare i chicchi di granturco o di frumento. Noi siamo incapaci di lasciare che la nostra mente si stabilisca nel ricordo della realtà. Non importa se stiamo lavorando duramente su qualcosa, perfino quando stiamo meditando, la mente fuoriesce e se ne va di qua e di là. Tenete a mente la settuplice analisi, le sue conclusioni, o anche solo una parte di esse – almeno quella in cui vi è una base di designazione ed il fenomeno designato. Per qualche ora, lasciate che le cose appaiano alla vostra mente. È buona norma fare ciò subito, anche parlandone verbalmente, e non applicarlo a tutto ciò che vi appare soltanto quando avrete una più profonda comprensione. Lasciate dunque che le cose appaiano alla vostra mente, identificando le basi di designazione ed il fenomeno designato.
Allorché Jang-kya afferma che questo ragionamento si deve applicare agli altri fenomeni, egli intende dire che noi dovremmo applicarlo a tutti i fenomeni. Una volta che il settuplice ragionamento è stato interiorizzato, noi non abbiamo più bisogno di altri ragionamenti per capire la mancanza de <sé> degli altri fenomeni. Eppure, alcune persone pensano che vi siano un livello convenzionale ed un livello assoluto, e che noi non si possa vivere sempre nel livello assoluto, perché si sprecherebbe troppa energia. Elevando l'ultimo al livello di un assoluto indipendente, essi rendono quell'estensione del ragionamento-ultimo come un qualcosa di impossibile. In questo sistema, tuttavia, l'ultimo è la natura del convenzionale; quindi, dovrebbe essere fattibile lavorare insieme con entrambi i livelli, dato che l'effetto in qualunque situazione è quello di cancellare un errato modo di percepire le cose.
Il Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)
dice che tutti questi fenomeni, conosciuti nel mondo, non esistono quando sono
visti nei sette modi e che essi sono stabiliti come esistenti solo per una coscienza
convenzionale e non-analitica (304):
Parti, qualità, passioni, definizione, combustibile, e così via,
come pure l'intero, ciò che è da qualificare, gli appassionati
(305), la rappresentazione (306), il fuoco, e così via… --
Tutte queste cose non esistono, allorché soggette all'analisi
del carro, nei sette modi; esse esistono soltanto per mezzo
della rinomanza mondana, che è ben diversa da quella lì.
La prima riga è una lista di basi di designazione; le altre due sono una lista dei fenomeni designati in dipendenza di quelle. L'intero è designato in dipendenza delle parti; ciò che viene qualificato è designato in dipendenza delle qualità. Una persona appassionata è designata in dipendenza delle passioni, eccetera.
Per esempio, prendiamo un tavolo. Noi sentiamo che il tavolo è una sostanza, cioè qualcosa che viene qualificata in base a molte qualità. Il suo colore, la sua forma, la sua capacità, e così via, sono le qualità del tavolo. Se noi enumeriamo abbastanza a lungo le qualità, sarà difficile trovare qualcosa che sia il tavolo al di fuori di queste sue qualità; alla fine saremo perplessi su cosa sia il tavolo e quali siano le basi di quelle qualità. Se forma e colore sono qualità, dov'è il tavolo che possiede queste qualità? Dopo aver annotato diverse qualità, non viene rivelata nessuna sensazione della sostanza.
Ora prendiamo la definizione, cioè una caratteristica che definisce, e la rappresentazione, come qualcosa che è definita. La definizione è stabilita inerentemente come identica a ciò che essa definisce, oppure è differente? Il fuoco è identico al combustibile? Il fuoco è diverso dal combustibile? Il fuoco è basato sul combustibile, oppure è il combustibile che è basato sul fuoco? È il fuoco che possiede il combustibile o è il combustibile che possiede il fuoco?
Il fuoco è la forma del combustibile, oppure è la sua aggregazione?
Le persone spesso dicono che è impossibile illustrare la relazione tra le cose – che il ragionamento è inadeguato al compito. Eppure esse credono ancora in cose esistenti in maniera solida. Esse le cercano nei sette modi, però ancora lasciano il fuoco ed il combustibile, ovvero il <sé> e gli aggregati. L'analisi non disturba affatto le loro nozioni di base. Esse non vedono che sono proprio le loro nozioni a costruire la loro vera esperienza di questi oggetti.
Io credo che Nagarjuna presentò questi ragionamenti comprovanti la vacuità, proprio per contrastare le abitudini di base delle persone, con i numerosi esempi nel suo "Trattato sulla Via di Mezzo". I vari formati provvidero alle diverse vie analitiche così che il messaggio poté penetrare in profondità.
Nell'ultima strofa della citazione di Jang-kya, Chandrakirti afferma che sebbene i fenomeni non possano essere trovati sotto questa analisi, essi sono stabiliti come esistenti per rinomanza mondana, che deve essere interpretata come una coscienza convenzionale e non-analitica. Questa dichiarazione spinge spesso le persone a credere che noi siamo portati a coltivare una coscienza che non sa analizzare e, in un certo senso, noi stiamo coltivando una coscienza soddisfatta delle cose come mere nominalità. Nondimeno, ciò aggrava il problema, perché la consapevolezza degli oggetti può rapidamente portare ad una concezione di esistenza inerente dato che gli oggetti appaiono essere inerentemente esistenti anche nella sensazione naturale.
Tuttavia, se noi analizzassimo tutte le cose, noi non troveremo nulla, perciò se applicassimo sempre il ragionamento ultimo, non prendendolo dal lato positivo, che è la valida cognizione dei fenomeni convenzionali percepiti come oggetti realmente esistenti e non come le loro basi di designazione, noi non potremmo mai avere una possibilità di farcela. Per di più, è detto che noi vedremmo tutte le cose come se fossero le illusioni di un mago, cioè come "simil-illusorie"; noi ci troveremmo a generare un tipo di mente convenzionale che vede gli oggetti allo stesso modo di illusioni. Tale comprensione è fortemente influenzata dalla comprensione della vacuità; altrimenti, non potremmo mai vedere gli oggetti come se fossero illusioni. Una simile comprensione penetrante deve essere mantenuta viva durante tutto il nostro agire nel mondo.
Quindi, sebbene la dichiarazione, che gli oggetti sono stabiliti (esistenti) a fronte di una non-analisi, sembrerebbe incoraggiare la non-analisi stessa, non si potrà realizzare che queste cose siano come illusioni – e cioè che benché appaiano esistere inerentemente esse non esistono – se prima non si sia fatta quell'analisi. Di conseguenza, invece che una non-analisi, è necessaria una intensiva ultima analisi per ottenere un'appropriata comprensione degli oggetti convenzionali; l'analisi ultima deve dapprima essere fatta prima ancora che voi possiate comprendere che queste cose, sebbene esistenti, sono false illusorietà – prima ancora che voi possiate comprendere che queste cose (le cose che esistono nel modo in cui appaiono) sono vere soltanto per una coscienza ignorante.
Perciò, la dichiarazione che queste cose sono stabilite (esistenti) solo a causa della rinomanza mondana non-analitica, non è un richiamo per non-analizzare ma, anzi, è un forte richiamo per l'analisi, perché il solo modo in cui possiamo capire questo fatto è di analizzare. Avendo analizzato, noi troviamo la vacuità, dopodiché, con la forza della realizzazione della vacuità, anche senza applicarsi più di tanto nell'analisi ultima, noi permettiamo che le basi di designazione di questi oggetti possano rimanifestarsi e, a quel punto, noi realizziamo la loro esistenza nominale.
Pertanto, è possibile ottenere l'effetto dell'analisi ed anche agire ancora nel mondo. In quanto, ciò che è rifiutato in modo ultimo è rifiutato pure convenzionalmente. Anziché prestare attenzione solamente alla vacuità di un oggetto, ora noi agiremo e presteremo attenzione all'esistenza nominale di questi oggetti. Se ciò non fosse il giusto modo di agire riguardo agli oggetti, noi avremmo la sensazione che le cose possano esistere soltanto per coloro che sono ignoranti. In questo caso, come potrebbe l'analisi avere anche il pur minimo effetto, allorquando voi vi sentiste coinvolti con gli oggetti? E, in tal caso, la meditazione sulla vacuità sarebbe inutile nel bloccare e far tacere le emozioni afflittive. L'analisi è il cuore tanto dell'esperienza meditativa quanto di quella post-meditativa.
Nel Capitolo del Sutra che Mostra i Tre Voti, (il Buddha) dice che ciò
che ha valore e rinomanza nel mondo, non è negato dal ragionamento:
"Il mondo dibatte con me, ma Io non dibatto col mondo.
Tutto ciò che è accettato nel mondo, come esistente e non,
è ciò che anch'io accetto , nello stesso identico modo ".
Il mondo afferma: "Questo esiste, quello esiste; quest'altro non esiste e pure quell'altro non esiste" – e questa è la misura che il Buddha accetta ciò che il mondo accetta. Il Buddha però non accetta affatto il modo in cui il mondo concepisce o pensa che queste cose esistano. Per di più, il mondo pensa che se voi fate una doccia, il vostro corpo sarà pulito; è generalmente accettato che il corpo lavato di un bellissimo giovane o di una stupenda fanciulla sia pulito. Al contrario, uno Yogi sostiene che esso è sporco e impuro, non importa quanto sia stato lavato all'esterno. Lo stesso Nagarjuna nel suo "La Preziosa Ghirlanda", stigmatizza che voi dovete vedere il corpo come qualcosa di immondo, chiedendo se voi possiate considerare pulito e attraente un magnifico vaso colmo di escrementi (307). Perciò, il Buddha non accetta tutto ciò che il mondo dice essere in un certo modo.
Il mondo potrebbe discutere col Buddha dato che egli ha insegnato molte cose speciali, ben oltre quelle che il mondo dice riguardo al modo di esistenza delle cose. Purtuttavia, egli non si mette a discutere con ciò che è certificato da una valida cognizione convenzionale, in modo mondano. Un Buddha accetta che questo provenga da quello, ma ha una prospettiva radicalmente differente sul modo di essere e di esistere di queste cose. I Buddha non sostengono che gli oggetti sono nel loro modo di essere. Il modo di sussistenza degli oggetti è una vacuità di esistenza inerente, la base ed il fondamento dei fenomeni, totalmente in contrasto con l'ordinario modo di aderire a questi oggetti apparentemente concreti. Con questa realizzazione, si può conoscere il cambiamento e può essere completata la natura di Buddha, che permette la trasformazione in una apparenza compassionevole.
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20) L'ORIGINAZIONE-DIPENDENTE
IL RE DEI RAGIONAMENTI, IL RAGIONAMENTO SULL'ORIGINAZIONE-DIPENDENTE
Questa Sezione ha due parti: la spiegazione vera e propria e come tutti gli altri ragionamenti derivino da questo.
La Spiegazione Vera e Propria dell'Originazione-Dipendente
Il Sutra "Le Domande di Sagaramati" (308) dice che la costituzione inerente è negata tramite il ragionamento sull'Originazione-Dipendente:
Quelle cose che sorgono in maniera dipendente
sono totalmente prive di esistenza inerente…-
E il "Sutra Le Domande di Anavatapta, Il Re dei Naga", dice:
Tutte quelle cose che sono prodotte dalle condizioni
sono non prodotte. Esse non possiedono una inerente
natura di produzione. Quelle che dipendono dalle loro
condizioni, sono dette "vuote". Colui che comprende
questa "vacuità" è detto essere una persona risvegliata.
La seconda frase spiega il significato della prima; nessuna produzione significa non avere una inerente natura di produzione.
Per cui, la produzione da condizioni è il ragionamento.
Nessuna produzione è "ciò che deve essere provato". Il
significato del non essere prodotto, è indicato dalla frase
successiva. Non è che la mera produzione debba essere
eliminata; solo la produzione inerentemente stabilita
è ciò che deve essere eliminato.
Il sillogismo è, "Le cose non sono inerentemente prodotte, a causa del loro essere prodotte da condizioni".
A noi accade di "sentire" in modo opposto – cioè il fatto che le cose siano prodotte, per noi è un segno della loro inerente esistenza. Qualcuno dipinse questo quadro. Il seme produsse questo fiore. La produzione è proprio lì – cioè, la produzione sembra essere lì, riscontrabile dalla sua propria parte. Noi "sentiamo" che una casa deve essere costruita "proprio lì", tanto che possiamo puntare il dito alla sua produzione. Se, durante un momento di pausa nella costruzione, qualcuno dice: "Oggi loro non stanno lavorando sulla casa", noi diciamo, "Sarebbe meglio credere che essi oggi stiano lavorando. Stanno facendo così tanto rumore, che io a malapena posso sopportarlo".
Inoltre, nel "Sutra Discesa a Lanka", il Maestro (Buddha) stesso, chiarisce
il suo pensiero:
"O Mahamati, è perché ho pensato che non vi è nessuna
produzione esistente inerentemente, che io ho detto che
tutti i fenomeni sono non prodotti…"
(Nella citazione dal "Sutra Domande di Anavatapta") tramite la relazione
del (correlativo) "quelle" e del (relativo) "che", sono indicati i soggetti che
sono i sostrati (di un'assenza di produzione inerentemente esistente). Essi
sono le cose esterne, come i germogli, e le cose interne, come un'attività di
composizione.
In dipendenza di un seme, è prodotto un germoglio, cosippure dipendendo dall'ignoranza della natura delle cose, noi diamo origine alle nostre attività. Essendo i soggetti indicati ad essere privi di esistenza inerente, proprio questi qui sono i fenomeni esterni ed interni.
La terza frase indica che proprio dipendenza e assegnamento
sulle condizioni è il significato dell'essere vuoti di esistenza
inerente. Questa dichiarazione dimostra che una vacuità di
esistenza inerente è il vero significato del sorgere dipendente.
Esso non indica una vacuità che sia intesa come l'assenza di
capacità di effettuare funzioni – cioè una mera negazione di
produzione.
Come si potrebbe mai considerare che la vacuità e l'originazione-dipendente abbiano la stessa importanza se la vacuità fosse solo l'assenza di mera produzione! La mera produzione è analiticamente una produzione introvabile, una produzione solo convenzionalmente esistente. Se la vacuità fosse il rifiuto di questa, allora l'originazione-dipendente non avrebbe assolutamente senso né significato. Perciò, come potrebbe la vacuità avere la stessa importanza? Alcuni presentatori della Scuola della Via di Mezzo dicono che poiché non vi è in alcun modo una qualche originazione dipendente, la vacuità può avere lo stesso significato dell'originazione-dipendente, ma ciò è assurdo.
Tuttavia, come può la vacuità avere lo stesso valore dell'originazione-dipendente? Come potrebbe, la vacuità di questo tavolo, che sia permanente nel senso di non disintegrarsi momento dopo momento, essere sinonimo di un tavolo, che è un fenomeno impermanente originato dipendentemente? La vacuità stessa è un'originazione-dipendente, ma è una di tipo permanente. Il tavolo, invece, è di tipo impermanente. Come potrebbero una cosa permanente ed un'altra cosa impermanente essere sinonimi? La risposta, in breve, è che per i Proponenti della Scuola della Via di Mezzo – cioè per coloro che hanno compreso la visione della Via di Mezzo – il riconoscimento della dipendenza sulle cause di un qualcosa favorisce la loro cognizione che la stessa cosa è non inerentemente esistente, e non solo quello, ciò che è molto più difficile: riconoscere che una cosa è non inerentemente esistente favorisce la loro cognizione di essa come originazione-dipendente.
L'Originazione-Dipendente è il "re" dei ragionamenti in quanto rifiuta entrambi gli estremi – l'esistenza inerente e la non-esistenza assoluta – in modo esplicito e simultaneo. Per esempio, si prenda il sillogismo, "Questa tazza di tè è non inerentemente esistente, dato che è una originazione-dipendente". Quando si comprende questa tesi, l'estremo dell'esistenza inerente viene eliminato; e quando si comprende che è una originazione dipendente, anche l'estremo della non-esistenza è evitato. Inoltre, prendendo l'originazione-dipendente in se stessa, il termine "dipendente" elimina l'estremo di "esistenza", in quanto esso mostra che il tè non è inerentemente esistente; mentre il termine "originazione" elimina l'estremo di "non-esistenza", dato che esso mostra che la tazza di tè, esiste.
Vedendo che solo questo insegnamento di questo ragionamento, cioè
la negazione di tutti gli estremi, è un insuperabile distintivo aspetto che
eleva il suo insegnante, il Vittorioso Sovramondano, al di sopra di tutti
gli altri maestri, la mente di Nagarjuna fu affascinata da questo metodo
(dell'originazione-dipendente). Dopodiché, il glorioso protettore, cioè
il Superiore Nagarjuna, - nel suo "Testo Fondamentale che è Chiamato
'Saggezza' – Sessanta Stanze di Ragionamenti", la sua Raccolta di Lodi,
e così via – egli elogiò Il Vittorioso Sovramondano, proprio dal punto di
vista del suo riferirsi alla Originazione-Dipendente…"
Per esempio, all'inizio del suo "Testo Fondamentale Chiamato 'Saggezza'", titolato anche "Trattato sulla Via di Mezzo", Nagarjuna dice:
"Io mi prostro al perfetto Buddha, il migliore dei Proponenti,
che insegnò che tutto ciò che sorge in maniera dipendente
non ha cessazione, non ha produzione, né annichilimento,
e né permanenza, nessun venire e nessun andare, nessuna
differenza e nessuna uguaglianza; è libero dalle elaborazioni
mentali (di esistenza inerente e dualità), ed è in pace."
Ed anche il nostro eccellente capo spirituale, il Più Grande tra i Grandi Esseri (Tzong-Khapa) dice (309):
"Omaggio al Conquistatore che ebbe la percezione e dette
la sua istruzione sull'originazione-dipendente. Grazie alla
sua percezione e al suo dichiararla tenacemente, Egli così
ottenne l'insuperabile saggezza ed è l'insuperabile maestro."
E così via. Lodare il Buddha in questo modo equivale a dire puri elogi indotti
da genuina fede, a sua volta indotta dal sentiero del ragionamento; pertanto,
queste non sono inutili parole artificiali o vuote parole di adulazione.
Così come detto dal Dalai Lama, nel suo "Chiave alla Via di Mezzo" (310), l'originazione-dipendente è lo slogan del Buddha; "slogan" fu la sua traduzione preferita per il termine Tibetano "gtam", che normalmente viene tradotto come "discorso" o "conversazione". Senza di essa, non vi è Buddha e nessun insegnamento del Buddha. Essa è il cuore, il nucleo, la sostanza, la sentenza principale e la pietra miliare dell'insegnamento del Buddha.
L'originale Sanscrito per "Originazione-Dipendente" è "pratityasamutpadah"
(311). La maggioranza degli antichi maestri disse che "prati" è un distributivo,
(col significato di) variamente, e che "i" (radice verbale che significa) andare,
è usato (per significare) "allontanarsi e disintegrarsi da…"
Chandrakirti usa 'pratitya' per indicare il significato di "avere dipendenza", identificando 'ya' come particella continuativa. Studiosi precedenti, tuttavia, presero 'pratitya' come nome di un composto e dissero che, quando preso fuori dal composto, esso è un genitivo plurale, 'pratityanam' ("di quelle cose che se ne vanno e si allontanano variamente"). Essi identificarono 'ya' come particella formante un nome secondario derivativo, e non continuativo.
Tramite l'aggiunta del suffisso 'ya' a quello della (radice verbale 'i'), 'itya' è
preso come nome secondario derivativo, che acquista il significato di "cosa
che se ne va". Dunque, essi dicono che (pratityasamutpada) significa "ciò
che sorge e che possiede variamente le qualità di andare e di disintegrarsi".
Il termine, perciò, si riferisce alla composizione ed all'originazione di effetti che si disintegrano in ogni diverso momento ed hanno svariate, diverse e definite cause e condizioni.
Gli "altri maestri" che interpretano 'pratityasamutpada' in questo modo, sono identificati da Avalokitavrata (312), commentatore di Bhavaviveka, come altri Proponenti della Scuola Via di Mezzo, il che significa persone diverse da Buddhapalita e Bhavaviveka (e, per estensione, da Chandrakirti). Come lo stesso Jang-kya spiegherà, Bhavaviveka dà ad intendere che il termine 'pratityasamutpada' non dovrebbe essere etimologicamente trattato spezzandolo nelle sue parti, in quanto, secondo lui, in questo modo esso non ha senso. Chandrakirti specula che, secondo Bhavaviveka, accade la stessa cosa col termine "sesamo selvatico" (dgon pa'i thig le, aran–yetilaka) (313) che etimologicamente dovrebbe significare "sesamo trovato nella foresta", ma in realtà indica qualcosa che non risponde alle aspettative (proprio come il sesamo selvatico che non produce l'olio). Per esempio, se un cibo è inadatto, io potrei chiamarlo "sesamo selvatico", senza voler intendere che lì sul piatto vi sia del sesamo, selvatico o d'altro tipo. Il significato proviene dall'uso convenzionale e non si accorda con una traduzione letterale delle parole. Allo stesso modo, secondo Bhavaviveka, 'pratityasamutpada' ottiene il suo significato grazie all'uso convenzionale che se ne è fatto. Tuttavia, per Chandrakirti, l'etimologia di 'pratityasamutpada' si accorda col suo significato "sorgere avendo dipendenza".
Altri commentatori interpretano 'prati' come un distributivo, col significato di "variamente", piuttosto che come parte del continuativo 'pratitya', significante "avendo dipendenza", come lo intende Chandrakirti. "Variamente", a sua volta, si riferisce ad una molteplicità di effetti collegati a cause e condizioni. Chandrakirti ha da obiettare a questa interpretazione di 'prati' 1) perché allora 'pratityasamutpada' non si riferirebbe ad una specifica istanza del sorgere di un singolo oggetto, dato che uno solo non avrebbe il senso di oggetti multipli originanti in dipendenza di cause e condizioni e, 2) perché 'pratitya' è sovente usato al di fuori di un composto che sia un continuativo, senza in ogni caso essere una desinenza, mentre se fosse un nome, sarebbe richiesta una desinenza. Come esempio di tale uso al di fuori di un composto e senza desinenza, Chandrakirti porta: "Venendo a dipendere da potere e forme sensoriali di un occhio, si produce una coscienza visiva" (caksuh pratitya rupani ca utpadyate caksurvijnanam). Il fatto che 'pratitya' sia usato in questo modo al di fuori di un composto continuativo, suggerisce fortemente che esso dovrebbe essere trattato nello stesso modo in un composto e non di essere interpretato come un nome che abbia una implicita desinenza; la testimonianza di Chandrakirti è ottima.
In quel caso, salvo che per la generale originazione-dipendente, che è il
sorgere degli effetti dalle cause, quando ciascun caso particolare è come
tale specificato, come nella frase "Una coscienza sorge in dipendenza di
(potere sensoriale) un occhio", (l'etimologia) non è adatta perché in una
singola cosa non c'è modo di spiegare il termine "variamente". Avendolo
preso come nome derivativo secondario, neanche è possibile, poiché, in
tal caso, (nel testo) vi sarebbe un errore di lettura: "Venendo a dipendere
da potere e forme sensoriali di un occhio" (caksuh pratityam vijinanam
rupani ca)(ed è ovvio per chiunque abbia visto il testo che non è scritto
in questo modo). Poiché in nessun caso la desinenza deve essere vista (in
rapporto a pratitya) (314), è opportuno solo che sia un continuativo con
una indeclinabile desinenza.
Poiché 'pratitya' nella frase 'caksuh pratitya rupani ca utpadyate caksurvijnanam', ovviamente non si trova in un composto e non ha una desinenza, esso deve essere un continuativo indeclinabile (315).
Inoltre, il maestro Bhavaviveka non ha dato spiegazioni individuali sul
significato di 'prati', e così via. Egli lo ha spiegato solo come un termine
usato per significare che "Quando questo c'è, quello sorge", oppure, "A
causa dell'esservi questa condizione, quello sorge", allo stesso modo del
termine "sesamo selvatico". Chandrakirti, nel suo "Parole Chiare", dice:
"Tale è detto (da Bhavaviveka), poiché egli avendo
asserito che "pratityasamutpada" è un termine
convenzionale ( che non necessariamente segue
il suo significato etimologico) alla stessa stregua
di 'aran yetilaka' (sesamo selvatico), ecc.
Chandrakirti, sulla base dell'assenza di una esplicita etimologia in Bhavaviveka, specula sul fatto che Bhavaviveka indica 'pratityasamutpada' come un termine che acquista il suo significato tramite l'uso convenzionale.
Anche ciò non è ammissibile, poiché il maestro, il Superiore Nagarjuna, parlò
dividendo (il termine) nei suoi componenti individuali, 'pratitya' (brten pa)
e 'samutpada' ('byung ba), nel suo "Sessanta Stanze di Ragionamenti" (316).
"Ciò che è prodotto, avendo incontrato questo e quello
(essendosi riunito il composto di cause e condizioni),
non è inerentemente prodotto. (Tat tat prapya yad
utpannam notpannam tat svabhavatah ) (317).
Nagarjuna sta chiaramente usando 'prapya', un significato continuativo "avendo incontrato", oppure "avendo fatto assegnamento", al posto di 'pratitya' e sta chiaramente usando 'utpannam' al posto di 'samutpada', essendo 'utpannam' il participio passato senza il prefisso 'sam'. Appare ovvio che Nagarjuna stia rendendo etimologico 'pratityasamutpada' chiosando le sue due parti e quindi Bhavaviveka, suo seguace, sbaglierebbe se evitasse di rendere etimologicamente il termine, dichiarando che esso acquista il suo significato solo tramite un uso convenzionale. Poiché 'prapya' è usato come alternativo a 'pratitya' ed è un continuativo indeclinabile, anche Nagarjuna dà una chiara testimonianza di non prendere 'pratitya' come un nome senza una non-manifesta desinenza, per il suo essere in un composto. Dato che Bhavaviveka è un seguace di Nagarjuna e Nagarjuna sta ovviamente etimologizzando 'pratityasamutpada', la testimonianza di Chandrakirti per l'incongruità di Bhavaviveka nel non dare giusta etimologia a 'pratityasamutpada' è evidentemente giusta.
Pertanto, Chandrakirti ha un eccellente sostegno per le sue argomentazioni. Tuttavia, l'etimologia di Nagarjuna non sembra sostenere un'altra parte dell'argomento di Chandrakirti, e cioè quella che il termine 'prati' di 'pratitya' non possiede un significato distributivo, nel qual caso dovrebbe riferirsi a questa o quella occasione di raggruppamento delle cause e condizioni. Chandrakirti sostiene che in combinazione con 'itya', 'pratitya' arriva a significare solo "Avendo dipendenza", ma ciò sembra essere contraddetto dall'uso di Nagarjuna di 'tat tat', "questo e quello" come un apparente sostituto di 'prati'. Nagarjuna sembra voler sostituire 'prati' con 'tat tat' ed 'itya' con 'prapya'. Com'è stato già spiegato, Chandrakirti non accetta che 'prati' abbia un significato distributivo, perché sennò lo applicherebbe solamente in riferimenti generali, dato che un unico effetto ha soltanto un unico raggruppamento di cause e condizioni. Forse, Chandrakirti direbbe che con 'tat tat' Nagarjuna sta dando un esempio, e non una parte dell'etimologia.
Da notare che in " Ciò che è prodotto, avendo incontrato questo e quello (la riunione di cause e condizioni), non è inerentemente prodotto" (tat tat prapya yad utpannam notpannam tat svabhavatah), lo stesso Nagarjuna, usando la qualificazione "inerentemente" (svabhavatah), specifica il tipo di produzione, cioè che i fenomeni dipendenti non hanno una produzione inerentemente esistente.
Anche se (Bhavaviveka) intende dichiarare (questa posizione) come il
significato del passaggio della "Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna (318)
"Quando c'è questo (319), quello sorge, come il lungo quando c'è il corto"
egli deve spiegare (pratitya) col significato di "incontrare" ('phrad pa,
prapya/prapti). Ecco perché (320) egli deve giusto asserire che il lungo
arriva ad essere, solo avendo incontrato il corto ed essendo dipendente
dal corto, oppure essendo condizionato dalla presenza del corto.
Jam-yang-shepa fa rilevare che le tre espressioni "in dipendenza di questo, quello sorge", "incontrandosi con questo, quello sorge", e "essendo condizionato da questo, quello sorge" sono sinonimi (321). Chandrakirti, basandosi sull'uso di Nagarjuna di "avendo incontrato" (prapya) nel passaggio citato sopra dal suo "Sessanta Stanze di Ragionamenti" pone l'accento che "avendo incontrato" è un adeguato sinonimo di "avendo dipendenza". Chandrakirti propone questo, dato che Bhavaviveka criticò Buddhapalita per aver usato il termine. Sebbene Bhavaviveka non spiega le ragioni delle sue critiche, il suo commentatore Avalokitavrata, dice che è perché solo ciò che è simultaneo si può incontrare, e perciò causa ed effetto non possono incontrarsi (322). A causa delle critiche di Bhavaviveka, Chandrakirti enfatizza ripetutamente l'appropriatezza di "avendo incontrato" (prapya) come sinonimo di "avendo dipendenza" (pratitya).
Quindi, il sistema personale dell'onorevole maestro Chandrakirti è: Poiché
'prati' è usato come "incontrare" ed 'i' è usato per "andare", 'pratitya' – che
ha il suffisso continuativo 'ya' (323) sulla 'i' di base – con l'essere modificato
dal modificatore ('prati') è usato come "incontrare", vale a dire, "dipendere"
o "affidarsi". La radice verbale 'i' da sola è generalmente usata per "andare",
ma allorché è combinata con 'prati' (324) viene a significare "incontrare", e
così via. Il fatto che ciò sia così è, per esempio, come l'acqua del Gange che
è estremamente dolce, però, quando si mischia con quella dell'oceano, essa
viene ad avere un gusto salato. Inoltre, Chandrakirti nel suo "Parole Chiare"
dice in questo modo:
Pertanto, 'prati' ha il significato di "incontrare" ('phrad pa,
prapti). (La radice verbale) 'i' ha il significato di "andare".
Anche il termine 'pratitya' che è un continuativo, è usato
per "incontrare" – cioè "fare affidamento" – dato che la
radice è completamente modificata da un modificatore
(cioè il prefisso 'prati'). Di conseguenza, così è spiegato:
"Tramite la forza di un modificatore, il significato
della radice verbale è cambiato completamente.
Proprio allo stesso modo dell'acqua del Gange che,
sebbene sia dolce (viene completamente cambiata)
dall'acqua dell'oceano(quando vi si affida e la incontra)".
In breve, 'pratityasamutpada' significa "Originazione-dipendente". Se 'pratitya' non fosse un nome continuativo, bensì un derivativo, non significherebbe "originazione-dipendente", ma "il sorgere di ciò che si disintegra". Sapendo che 'pratitya' è un continuativo, e non un nome derivativo, potete capire il suo significato di dipendenza da cause, da parti e da una coscienza imputante. Diversamente, non potreste mai arrivare a quel significato; perciò è importante comprendere come è formato il termine.
Il termine 'pada', che è preceduto da 'samut', viene usato come "sorgente"
(o "originazione"). Può anche essere tradotto e spiegato adeguatamente
come "esistente" (yod pa, sat) o "stabilito", "istituito" (grub pa, siddha).
Se il termine "originazione" di "originazione-dipendente", ha dovuto sempre significare "sorgere", oppure "essere prodotto da cause e condizioni", allora le cose permanenti non potrebbero essere "originate-dipendentemente". Tuttavia, prendendo 'samutpada' col significato di "esistente" o "costituito", il significato di 'pratityasamutpada' diventa "esistente in dipendenza da", oppure "stabilito in dipendenza per" e, con ciò, si includono anche i fenomeni permanenti. Nella Scuola Via di Mezzo, tutti i fenomeni – permanenti ed impermanenti – sono "originazioni-dipendenti". Anche tra i fenomeni impermanenti, il fatto che un agente sorga dipendendo da un'azione non significa che un'azione produca un agente, con dapprima un'azione e poi un agente come secondo, come nel caso di una vera produzione. Piuttosto, un agente è stabilito in dipendenza da un'azione, cioè è designato dipendendo da un'azione. Anche un'azione è designata in dipendenza da un agente; tanto che le due cose sono così totalmente interdipendenti, che una non può sorgere prima dell'altra, e viceversa. In questo senso, l'andare è una causa del viandante, non come causa che produce un viandante, ma come necessaria condizione per la designazione di un viandante. Questo più ampio tipo di "causazione" è ciò che è pertinente a designare: noi non potremmo proprio chiamare quest'oggetto un tavolo se non ci fosse stato qualcuno che lo ha fatto, che è la causazione che lo ha preceduto. Vi è anche una "causazione" contemporanea, come nelle condizioni necessarie per la designazione ma, poiché i buddhisti non accettano la causazione simultanea, essa non è una vera causazione.
Poiché la produzione di un effetto dipende dalle sue cause, l'effetto stesso è dipendente da quelle cause. Le cause non dipendono dai loro effetti per la loro produzione, ma nondimeno sono dipendenti da essi nel senso che, per esempio, la causa di una mela, cioè il seme di mela, è designato in relazione al suo effetto, la mela. Una causa della designazione di "seme di mela" è la mela stessa. Quindi, un seme di mela sorge in dipendenza dalla mela che esso produrrà (o ha la capacità di produrre), ma esso NON è prodotto da quella mela. Questo fatto rende la causazione e l'originazione-dipendente ancor più interiori, collegati al pensiero.
Quindi, in breve, il nostro proprio sistema è questo: il significato di
'pratityasamutpada' è "esistenza, costituzione, o il sorgere delle cose
in dipendenza di cause e condizioni". Chandrakirti, nella sua opera
" Parole Chiare ", dice: "Allora, il significato di 'pratityasamutpada'
(325) è il sorgere delle cose, essendo obbligate a cause e condizioni".
Da notare l'uso della parola "cose" (326), che normalmente sta ad indicare le cose impermanenti. Come se, nel sistema di Chandrakirti, non vi fossero per nulla fenomeni permanenti, dato che tutte le cose sorgono in modo designato. In questo senso, tutto è un prodotto, tutte le cose sono composte. Tuttavia, vi sono pure fenomeni non-composti, non-prodotti, nel senso che vi sono fenomeni che non sono prodotti da cause e condizioni, nel senso usuale del termine.
Così, è molto importante conoscere bene i numerosi e diversi modi
in cui (questi grandi eruditi, chiamati) i grandi carri qualificarono la
"pratityasamutpada" perché, in dipendenza dalle loro etimologiche
definizioni, vi sono numerosi punti essenziali nei diversi metodi di
generare l'accertamento circa la vastità dei significati del termine
'Originazione-dipendente' e circa la profondità di penetrazione di
questa 'talità' (della vacuità).
La dipendenza da cause e condizioni è più ristretta; la dipendenza dalle parti è tanto più ampia quanto tutto ciò che esiste nell'universo; la dipendenza da una coscienza imputante, benché sia così vasta nel suo campo di applicazione è più difficile da realizzare.
Inoltre, siccome io voglio spiegare bene tutto ciò in un altro ambito,
qui esprimerò solo alcune delle asserzioni del glorioso Chandrakirti.
Il significato dell'Originazione-dipendente è spiegato così come una
sorta di: incontro, affidamento e dipendenza. La ragione è che, in linea
generale, incontrare, fare assegnazione e dipendere da qualcosa, sono
considerati sinonimi. Tuttavia, se noi li separiamo allo scopo di voler
facilitare la loro comprensione, "incontro" in quanto specifica ragione
(per l'assenza di esistenza inerente delle cose) porta con sé il senso di
'originazione-dipendente' come produzione di cose dalle loro proprie
cause. Questa è (un'asserzione costruita in) comune anche dai minori
sistemi dottrinali. Inoltre, poiché (i sistemi della Scuola Via di Mezzo
e quelli dottrinali minori) sono simili proprio in quel punto nelle loro
asserzioni sul significato dell'originazione-dipendente, questo è ciò che
viene detto "comune". In ogni modo, (i Proponenti della Scuola Via di
Mezzo) non asseriscono una originazione-dipendente esistente in un
modo reale così come la asseriscono quelli (dei sistemi minori); anzi,
(i sistemi dottrinali inferiori) non asseriscono nemmeno che l'assenza
di vera esistenza è proprio ciò che è provato (dall'originazione-dipendente).
I sistemi inferiori, contrariamente a quelli della Scuola Via di Mezzo, dicono che l'originazione-dipendente è un ragionamento che comprova la vera esistenza. Quando un Proponente della Via di Mezzo dice, "Il soggetto, l'Io, non è realmente esistente a causa dell'esservi una originazione-dipendente", i sistemi inferiori ribattono che in questa asserzione vi è un'incongruenza contraddittoria. Per essi, tutto ciò che è originato-dipendentemente deve essere realmente esistente.
Che cosa si incontra? Non certo l'effetto e la causa, i quali non si incontrano perché essi non hanno un'esistenza simultanea. Tuttavia, l'avvicinarsi della causa alla sua cessazione e l'avvicinarsi dell'effetto alla produzione esistono nel medesimo momento e, perciò, hanno la possibilità di incontrarsi. Quando la causa sta per cessare, la causa esiste ancora ma, quando l'effetto sta per essere prodotto, l'effetto ancora non esiste; eppure, le due azioni di avvicinamento di cessazione e produzione esistono nel medesimo tempo. Convenzionalmente, ciò è possibile ma allorché voi applicaste l'analisi ultima, se qualcosa sta per far avvicinare la produzione, quella deve essere lì; altrimenti, cos'è che si sta avvicinando? Questa mattina la mia compagna Anna mi ha mostrato un seme e mi ha detto: "Sto facendo crescere un albero di magnolie da mandar giù in Virginia", mentre lo teneva nelle sue mani. Ma, cosa stava crescendo, ora, lì? Se vi fosse stata un'azione del crescere e stesse crescendo un albero di magnolie lì, quest'albero di magnolie avrebbe dovuto essere presente.
In questo caso, "incontro" si riferisce all'incontro delle azioni di
produzione dell'effetto e cessazione della causa e non al fatto che
causa ed effetto possano "incontrarsi". Il termine "affidamento"
sta ad indicare una ragione (per l'assenza di esistenza inerente
dei fenomeni) che è l'ottenimento da parte dei fenomeni composti
e non-composti, delle loro proprie entità grazie alle loro proprie parti.
Personalmente trovo sbalorditivo questo ragionamento. Di sicuro le cose appaiono come se esse abbiano una loro propria entità; esse non mi appaiono nel modo come se fossero dipendenti dalle loro parti. Ora, se ci penso un pò su, ovviamente le cose devono per forza dipendere dalle loro parti, ma a noi ci si presenta una raffigurazione che poi si congela come una realtà totale. È come se vi fosse un sipario, che ci porta quasi a convincerci del fatto che vedendo l'esterno di un corpo, non possa esservi una parte interna nel corpo che vediamo. Allora, quando un chirurgo trapana un foro nel cranio di qualcuno e vi guarda dentro, noi restiamo sconcertati ed attoniti. Potremmo perfino agitarci e vomitare. La nostra percezione non solo non ci permette di vedere all'interno, ma addirittura ci impedisce anche qualunque tipo di pensieri sul fatto che vi sia un interno. È incredibile! Benché l'apparenza di esistenza inerente implichi questo, non vi è alcunché nell'apparenza stessa che sia obbligata ad essere in questo modo. Ecco ciò che deve essere ripulito. Io ero solito pensare che, essendo questo tutto ciò che si poteva vedere, noi quindi eravamo nei guai a causa di questo tipo di percezione, ma i Conseguenzialisti dichiarano che è ciò che noi siamo che, in qualche modo, ci produce quest'errore.
Kensur Lekden, l'ultimo Abate in ordine di tempo del Collegio Tantrico della parte più bassa di Lhasa, era solito dire che le ostruzioni all'onniscienza sono come se la mente urtasse contro una barriera, a causa del suo vedere una sola cosa alla volta; la percezione di questo muro blocca la possibilità di vedere cosa c'è oltre il muro. Le nostre percezioni, quindi, sono in modo tale da farci stare continuamente rinchiusi in tutto ciò che è superficiale. Siamo obbligati a questo a causa di come le cose appaiono alla nostra mente e siamo praticamente impediti dal poter fare qualunque supposizione su ciò che sta al di là di qualsiasi cosa si stia percependo. Dobbiamo intenzionalmente riflettere perfino sul fatto di avere delle budella all'interno del nostro corpo. Dobbiamo costantemente rammentarci di cose che non vediamo direttamente, come se fossimo sotto un terribile incantesimo.
Quando l'originazione-dipendente è presa come il fatto che l'oggetto è stabilito esistente in base alle sue parti, essa mostra drammaticamente l'assenza di esistenza inerente – cioè il fatto che gli oggetti non esistono nel modo concreto e solido che essi sembrano possedere. Allo scopo di includervi tutti i fenomeni, e non solo quelli impermanenti, qui 'samutpada' si dice che significhi non solo "originazione", ma anche "costituzione".
Pertanto, ciò ha per fine, di spiegare il termine 'samutpada' nel suo (significato) di
"costituzione" (327). (In quest'accezione, il significato di 'originazione-dipendente')
possiede un'applicazione più estesa della precedente (in quanto essa è applicata a
tutti i fenomeni, sia permanenti che impermanenti). Il significato puro e semplice
esplicitamente indicato (in "costituzione sulla base dell'assegnazione") è in comune
con gli altri sistemi dei Proponenti della Scuola della Via di Mezzo.
Come mai soltanto il significato esplicito è condiviso tra gli Autonomisti ed i Conseguenzialisti? Gli Autonomisti non sostengono che "costituzione sulla base dell'assegnazione", significhi per estensione che le cose non sono la mera raccolta delle loro parti.
"Dipendenza" sta ad indicare una ragione (per l'assenza di esistenza inerente
delle cose) che è la dipendente designazione di tutti i fenomeni – cioè la loro
costituzione basata sulle mere designazioni in dipendenza dalle loro proprie
basi di designazione.
Di solito, questo terzo termine viene spiegato allo stesso modo della costituzione, cioè come mere designazioni (o imputazioni) in dipendenza della coscienza concettuale che li designa, piuttosto che "in dipendenza delle loro proprie basi di designazione". Perciò, il secondo termine è descritto come 'dipendenza, assegnazione' in base alle parti, o basi di designazione. Le parti sono le basi di imputazione, però voi potete prestare attenzione alle parti, semplicemente come parti o come basi di imputazione. "Basi di imputazione" (o "basi di designazione") ci riporta alla mente il processo dell'imputazione dei nomi, mentre proprio parlando delle parti come parti, non produce necessariamente lo stesso effetto. Eppure, per un Conseguenzialista, dipendenza dalle cause, dipendenza dalle parti, dipendenza dalle basi di imputazione e dipendenza da una coscienza che imputa, tutte tendono all'argomento principale del processo di designazione. Questa terza interpretazione dell'originazione-dipendente, come "la designazione dipendente di tutti i fenomeni" è unica ed ascrivibile alla sola Scuola Conseguenza.
Questa è la caratteristica soltanto di questo sistema supremo;
essa non è comune con gli Autonomisti e con i sistemi inferiori.
Sebbene questa terza interpretazione dell'originazione-dipendente sia caratteristica distintiva dei Conseguenzialisti, ciò non significa che voi non possiate prendere, ad esempio, la seconda e trovare in essa il significato distintivo dei Conseguenzialisti, cioè la terza interpretazione. Benché i Conseguenzialisti le usino tutte e tre e vedano tutte e tre come assai profonde, Jang-kya sta parlando all'interno di un contesto di differenziazione, sempre più approfondito, dei tre livelli di significato.
Di conseguenza, se voi prendete il significato dell'originazione, nella frase
"originazione delle cose", dal passaggio che si trova nel "Parole Chiare" di
Chandrakirti, come mera 'produzione', allora ciò indica la prima "ragione"
e se voi lo prendete come 'costituzione, o esistenza', allora ciò indica le due
successive "ragioni". Se voi prendete "cause e condizioni" meramente come
il seme che è la causa sostanziale del germoglio, e l'acqua, il concime, e così
via, che sono le sue condizioni contribuenti, allora ciò indica ancora la prima
ragione. Se voi prendete "cause e condizioni" per significare la causa per cui
una certa cosa raggiunge la sua propria entità – cioè le basi di imputazione o
sue parti – allora ciò sta ad indicare la ragione intermedia (seconda di tre).
Da notare che egli include le basi di imputazione nella seconda ragione, anziché nella terza.
Se voi considerate "cause e condizioni", come essere la relativa coscienza
concettuale che imputa i fenomeni, allora ciò indica l'ultima ragione.
Quindi, "cause e condizioni" ha una triplice forma di significati – prima come "produttrici" di un oggetto, poi come le parti che sono le basi di designazione di quell'oggetto ed infine come la coscienza concettuale che designa quel dato oggetto. Se comprendete l'originazione di un oggetto in dipendenza delle sue parti, cercate di osservare quelle parti come la base di imputazione dell'oggetto e poi spostate la vostra attenzione alla coscienza che sta imputando. Tramite questo percorso, la totale forza della dipendenza che le cose hanno sulla mente, tornerà all'origine. Le basi di imputazione non sono i fenomeni imputati; quindi, vi è bisogno di una coscienza concettuale per imputare il fenomeno imputato in dipendenza di quelle basi di imputazione. Se non vi fosse una tale necessità, ogni cosa esisterebbe in modo indipendente.
Di conseguenza, le "cause e condizioni" nella frase di Chandrakirti: "facendo
affidamento su cause e condizioni", non dovrebbero essere considerate solo
come le cause e condizioni di fenomeni composti, come nel caso di semi, di
acqua, di concime, e così via. Occorre anche riferirsi alla coscienza concettuale
imputante, che è il pensiero speciale del glorioso Chandrakirti e del Maggiore
tra i Grandi Esseri (Tzong-Khapa). Nondimeno, la maggioranza di coloro che
discriminano, le cui teste sono adornate con i più aguzzi cappelli a punta usati
dai Pandit, non hanno neppure messo (nelle loro teste quest'argomento) (328).
Vi è anche un modo per spiegare – ciò che gli altri non hanno capito (329) – in
cui "incontrarsi, affidarsi e dipendere" (sono considerati come indicatori) solo
della terza ragione, dal punto di vista di trattarli come sinonimi. Io al momento
non elaborerò questo argomento. Inoltre, su di essi, il Più Grande tra gli Esseri
(Tzong-Khapa), nel suo trattato "Breve Esposizione degli Stadi del Sentiero per
l'Illuminazione" disse al riguardo:
"Quindi, le cose esterne, come i germogli, e le cose interne,
come l'attività composizionale, sorgono rispettivamente in
dipendenza dei semi, ecc. e dell'ignoranza, ecc."
E questo indica la prima ragione. Inoltre, la stessa opera dice ancora…:
"(Qualsiasi cosa che sia stabilita per via della sua propria essenza
di concretezza) deve essere inerentemente stabilita, vale a dire
che deve essere in grado di provocare essa stessa il suo proprio
potere, laddove sarebbe contraddittorio per essa, fare invece
assegnamento sulle cause e condizioni…"
E questo sta ad indicare la ragione intermedia…;
Così come dice la nota (330) dello studioso Mongolo Nga-wang-pal-den, chiosatore di Jam-yang-shepa, questa citazione di Jang-kya è alquanto misteriosa. Dato che la ragione intermedia è la dipendenza sulle parti e sulle basi di imputazione ed il solo modo in cui questa particolare citazione indicherebbe la seconda ragione sarebbe se "cause e condizioni" significassero le parti e le basi di imputazione, ma poiché dalla precedente citazione ne conseguirebbe un significato che è ristretto alla solita 'causazione' in cui un'unica cosa ne produce un'altra, tutto ciò sembra abbastanza inverosimile. Probabilmente, Jang-kya sta considerando "essere in grado di provocare da se stessa il suo proprio potere" come qualcosa di opposto all'avere una base di imputazione che egli, proprio appena sopra, descrisse come "la causa per cui qualcosa ottiene la sua propria entità concreta". Ordunque, è duro dover piegare le parole di Tzong-Khapa a questo significato. La suddetta opera dice ancora:
"Tramite ciò, voi dovreste comprendere che le persone, i vasi,
e così via, sono privi di costituzione inerente, essendo imputati
in dipendenza dell'aggregazione o raccolta (delle loro proprie parti).
E questo sta ad indicare la terza ragione….
Poiché questa dichiarazione è connessa con la designazione in dipendenza di una base di imputazione, essa starebbe ad indicare la terza ragione secondo la prima spiegazione di Jang-kya, ma indicherebbe quella intermedia, se diamo retta alla sua seconda spiegazione.
Tuttavia, (Tzong-Khapa) raccogliendole tutte e due in versione 'comune' e versione
'non-comune', afferma nella stessa opera: "Quelle sono le due presentazioni di uno
stesso ragionamento sull'originazione-dipendente".
Fra queste tre ragioni, la prima è in comune con la Scuola Autonomia e quelle inferiori, la seconda è in comune con la sola Scuola Autonomia; quindi, le prime due possono essere considerate ragioni usate in comune con le scuole più basse, mentre la terza è 'non-comune' e propria della Scuola Conseguenza. In questo senso, le tre interpretazioni sono incluse in due gruppi.
Eppure, gli stessi passaggi, allorché sono messi insieme e confrontati, non sembrano indicare chiaramente tutte e tre le ragioni. Permetteteci di proporre l'intera citazione di Tzong-Khapa, in un'unica trascrizione (331):
"Quindi, le cose esterne, come i germogli, e le cose interne, come un'attività composizionale,
sorgono rispettivamente in dipendenza dei semi, ecc. e dell'ignoranza, ecc.- Se fosse così che
quelli (germogli, attività composizionale, e così via) siano stabiliti per via della loro propria
natura, la cosa non sarebbe ammissibile perché qualsiasi cosa che è stabilita per via della sua
propria concretezza dovrebbe essere inerentemente costituita, cioè dovrebbe essere in grado
di provocare da se stessa il suo proprio potere, mentre per essa ciò è contraddittorio, dovendo
far assegnamento su cause e condizioni". Il testo "Quattro Centinaia" di Aryadeva, dice:
"Ciò che ha un'originazione-dipendente,
non può essere sotto il suo proprio potere.
Tutte queste cose non sono sotto il loro proprio potere;
Quindi, il <sé> (l'esistenza inerente) non esiste!"
Per mezzo di ciò, voi dovreste comprendere che le persone, i vasi, ecc., sono vuoti e privi di inerente costituzione a causa del loro essere imputati in dipendenza delle stesse aggregazioni (delle loro parti). Queste sono le due presentazioni del ragionamento dell'originazione-dipendente.
Forse potremmo dire che se qualcosa avesse una autocostituita entità, essa non dipenderebbe dalle sue parti. In questo caso, "cause e condizioni" significherebbe "parti". La terza ragione, se fosse imputata in dipendenza delle sue parti, dovrebbe essere una coscienza imputante. A me sembra che soltanto con questa manovra creativa, benché probabilmente ingiustificata, il passaggio possa sostenere le tre ragioni. Così come ci dice Nga-wang-pal-den (332):
"Che i precedenti due punti dei tre passaggi scritturali (cioè i tre appena dati ed i tre che
Jang-kya sta per citare) indicano rispettivamente le tre (interpretazioni dell'originazione-
dipendente) e, in particolare, che il passaggio intermedio dalla "Breve Esposizione degli
Stadi del Sentiero" indica il ragionamento intermedio, non appare chiaramente alla mia
mente oscurata e un po’ ottusa; di conseguenza, sarebbe meglio se altri (studiosi) obiettivi
e imparziali potessero ulteriormente analizzarli".
Jang-kya prosegue col citare i tre passaggi più problematici, cioè quell'altra serie a cui si riferiva Nga-wang-pal-den. "Non solamente in quello già citato, ma anche ne "La Grande Esposizione di Chandrakirti del –
Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna) –" troviamo:
"Il Supermondano Vittorioso disse, "L'essenza dei fenomeni è questa:
Quando questo è, quello sorge; poiché questo è prodotto, quello allora
è prodotto. Tramite la condizione di ignoranza, vi sono le composizionali
attività", e così via. E la "Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna, dice (333):
"Quando questo è, quello si origina,
come il corto allorquando vi è il lungo.
Quando questo è prodotto, quello pure si produce,
come la luce dall'originazione di una fiamma:"
Ed anche il "Testo Fondamentale Chiamato Saggezza" di Nagarjuna dice (334):
"Colui che agisce sorge in dipendenza di un azione
ed un'azione sorge in dipendenza proprio di quell'agente.
Salvo che per questo fatto, noi non vediamo
nessun'altra causa per la loro costituzione…"
Addirittura ognuno di questi tre passaggi che (Tzong-Khapa) cita in serie, è adatto per indicare
tutte e tre le presentazioni (del significato dell'originazione-dipendente), però in termini di ciò
che essi principalmente indicano ed in termini di sequenza, tutti stabiliscono le tre differenti
presentazioni del ragionamento (dell'originazione-dipendente).
La prima citazione indica la prima ragione, la produzione delle cose derivata dalle loro proprie cause. La seconda si presume che indichi la seconda ragione, e cioè la designazione in dipendenza delle parti o basi di designazione: benché 'lungo' e 'corto' non siano ciascuno la base di designazione dell'altro, nel senso di essere l'aggregazione delle parti in dipendenza delle quali l'altro è designato, si può però dire che ciascuno sia ciò che è, in relazione a come l'altro è designato. La terza citazione, infine, indica la costituzione dei fenomeni in dipendenza della loro designazione.
Se un agente è colui che fa qualcosa, ciò significa che questi ha già in sé un'azione di fare, per cui la persona <è> un agente. Un dattilografo è così chiamato perché batte con le dita su una tastiera. Può un dattilografo avere due modi di essere uno che scrive a macchina? Il modo per cui egli è un dattilografo, come pure l'attività stessa del dattilografare? Proprio oggi, la donna che sta trascrivendo questo libro ("Meditation on Emptiness") mi ha detto che vuole il doppio della paga, perché prima lei è una dattilografa e poi perché batte a macchina. Io fui d'accordo, ma a condizione che essa fosse una dattilografa inerentemente esistente.
Chi è che inizia a leggere? Chi inizia a parlare? È un parlatore colui che inizia a parlare? È facile poter vedere che il mondo può essere diviso in parlatori e non-parlatori. Un ascoltatore è un non-parlatore. Chi inizia a parlare? Se un parlatore è già uno che parla, come può egli cominciare a parlare? Però, un non-parlatore, per definizione, non parla.
Voi potreste pensare, "Bene, questo è giusto, ma qualcosa di detto c'è; dunque, deve esservi un parlatore". Ma, voi, cominciate a parlare allorché avete già parlato? O parlate il 'ciò-che-è-già-parlato'? Oppure parlate il 'ciò-che-deve-essere-parlato'? Se voi parlate il 'già-parlato', ciò è da stupidi. Con questo, non voglio dire che ripetere qualcosa è da stupidi. Il 'già-parlato' è qualcosa la cui azione è cessata; difficilmente essa può avere un senso nel ricominciarla. E ancora, non potrebbe essere che il 'già-parlato' ha incominciato a 'essere-parlato', perché se esso fosse 'stato-parlato', che bisogno ci sarebbe di cominciare a 'parlarlo'? E come potreste voi cominciare a parlare il 'ciò-che-deve-essere-parlato'?
Eppure, voi pensate che il parlare debba concretamente esistere dato che voi udite qualcosa. Ma che cosa state udendo adesso? Ciò che deve essere udito? Allora voi siete l'ascoltatore di ciò. Il ragazzo che stà nell'altra stanza non ode questo. E ciò che voi udite non è ciò che viene detto al piano di sopra. Deve esservi un'azione di udire per poter fare di ciò un 'essere-udito' ed una per fare di voi un 'uditore'. Quindi, vi sono due azioni dell'udire. Ma dove sono i due uditori per queste due azioni dell'udire? Forse un orecchio sta con l'azione dell'essere-udito' ed un altro orecchio sta per colui che compie l'azione! Essi sono tutti ben avviluppati insieme.
E ancora, quando guardiamo qualcosa, per esempio un muro, è quasi come se vi fosse un propagarsi di uno spettacolo che si espande dai nostri occhi fin sull'oggetto visto. La parte in vostro possesso, che vi fa essere il vedente, non è la parte che possiede il muro e che lo fa essere il visto. Allora, è il "vedere" che rende il muro ciò che è visto da voi? Se voi non possedete la parte del "vedere" che stà lì, potrete mai dire che siete voi che state facendolo? Esso dovrebbe essere il vostro atto del "vedere".
La parte di entità che produce il "visto" non è la parte che produce il vedente. Il 'vedere' che rende quell'area il "visto" non è messo in atto da quel vedente. Vi è un "vedere" che rende quella cosa "il visto". Quando voi mettete ciò completamente in chiaro, nella vostra mente, vi è un simile "vedere". Quella parte del grande "vedere" che rende quell'area laggiù il "visto" non è la parte che fa di me il vedente. Tagliate in due un uovo (sodo). Ciascun ragazzo mangia una di queste metà e non può mangiare la metà che mangia l'altro ragazzo. Qualunque cosa facciate, si ritorna al numero due. Non potete evitarlo.
Voi dovreste pensare che, prima, il vedere è qui con voi e poi esso va lì sull'oggetto. …Swoosh, come un'onda. Ma, se al primo momento quando voi eravate il vedente di quel dato oggetto, il vedere era qui con voi e non insieme all'oggetto, allora in quel primo momento l'oggetto non aveva il "vedere". Così, voi avete un vedente senza un visto. Voi stareste vedendo ciò che ancora non è visto, dato che esso non ha ricevuto ancora il "vedere". E così ancora, se nel medesimo istante in cui la corrente del "vedere" parte da qui e la corrente dell'essere-visto parte da lì, vedente e visto sarebbero indipendenti, ed il vedere con cui l'oggetto è detto essere visto, non sarebbe messo in atto dal vedente.
Ritornando all'udito, se vi è l'udire deve esservi un inizio dell'udire. Se voi potete eliminare l'inizio dell'udire, potete eliminare l'udire (o l'udito). Si potrebbe pensare che da ciò ne consegue che non vi sarebbe nessun ascolto della dottrina insegnata dal Buddha e, certamente se fosse richiesto un "udire" inerentemente esistente, allora non potrebbe esservi nessuna dottrina da ascoltare. Questa conseguenza viene scagliata contro i sistemi inferiori. Qualcosa che esista inerentemente non potrebbe contaminarvi a causa del suo obbligo a dover esistere in e per se stessa. Quindi, benché qui non vi sia un ascoltare inerentemente esistente, un ascolto nominalmente esistente introvabile da un'analisi di questo tipo, purtuttavia esiste.
La mia dattilografa mi disse: "Tu non mi hai detto di fare queste correzioni", ed io risposi, "Io te ne parlai!". Io sono in possesso di quel parlare al passato. Io glielo dissi. Io sento di avere precisamente un certo modo di parlare. E che cosa le dissi? "Se non hai altre cose da fare, prepara il materiale per la libreria!". Questo è ciò che io dissi! Ma lei, la mia trascrittrice ha pensato che non vi fosse un Jeffrey (cioè io) in possesso precisamente di quel tipo di linguaggio. Da una minuscola azione, l'intero fiore marcio dell'esistenza ciclica appare!
Questo tipo di analisi deve essere fatto frequentemente, perché è la sola cosa che ci può esimere dalle molteplici problematiche. In caso contrario, noi ci convinceremo che le cose esistono non appena esse appaiono. Fino a ché questo non diventi uno strumento che frantuma dal di dentro la nostra mente, noi non crederemo mai veramente ad esso. Non appena vi sia anche una sola cosa che noi immaginiamo possa essere rintracciabile, regrediremo nel confermarci che tutto è inerentemente esistente. D'altro canto, se a voi l'assenza di esistenza inerente sembra pressoché immediatamente ovvia, io dubito che voi l'abbiate veramente capita. Se fosse così ovvia, noi avremmo già da un pezzo abbandonato queste idee e la stessa esistenza ciclica.
Allorché Nagarjuna dice, nel passaggio citato da Jang-kya, "Noi non vediamo altra causa per la loro costituzione", ciò significa nessun'altra causa per la loro designazione. Noi non vediamo nessuna causa per la loro esistenza, "salvo che per l'originazione dell'azione in dipendenza di un agente". Questo significa che quando si è analizzato e non si è potuto trovare alcunché, allora in seguito si potrà comprendere cos'è l'esistenza nominale. Ciò dimostra che Nagarjuna accetta ciò che il mondo accetta. Il mondo dice che vi sono agenti ed azioni. Il fatto che egli dica "salvo che per quello, noi non vediamo nessun'altra causa per la loro costituzione", significa che vi è una causa per la loro costituzione. Vi è che l'azione dipende dall'agente e l'agente dipende dall'azione. Ciò dimostra che Nagarjuna accettò i nominalmente esistenti, interdipendenti, ma non-concreti 'agente ed azione'.
Questa (triplice interpretazione dell'originazione-dipendente) è anche asserita
dal glorioso Chandrakirti, il quale nel suo Commentario sul "Quattro Centinaia"
di Aryadeva, così dichiara (335):
"In questo caso, tutto ciò che possiede la sua propria intrinseca
esistenza, che ha un'esistenza inerente, ha il suo proprio potere,
oppure non ha dipendenza da altri, sarebbe auto-costituito; di
conseguenza non avrebbe un sorgere-dipendente. Tuttavia,
tutte le cose composte sono originate-dipendentemente. Per
tale motivo, le cose che hanno originazione-dipendente non
sono auto-potenziate perché esse sono prodotte in dipendenza
da cause e condizioni. Tutti questi (fenomeni) non possiedono
un auto-potenziamento; perciò nessuna cosa può avere un <sé>,
ovverosia nessuna cosa può avere esistenza inerente.
Nella frase "dipendenza da altri", gli 'altri' sono le cause, le parti, le basi di imputazione e la coscienza imputante. Noi non vediamo le cose all'interno di una totale comprensione dell'originazione-dipendente, ecco perché poi reagiamo nel modo che sappiamo ed ecco perché noi abbiamo desiderio ed odio. Non vi sarebbe alcun desiderio afflittivo e nessun tipo di odio o aggressività se noi vedessimo l'originazione-dipendente e tutte le sue implicazioni. Non è che la concezione di esistenza inerente renda il desiderio e l'odio ancora più forti; piuttosto si può dire che sia il loro totale fondamento basilare.
Tutte le cose, perfino i fenomeni permanenti, sono fenomeni composti nel modo speciale che abbiamo svelato, dato che tutte le cose hanno una base di designazione ed una coscienza designante che sono considerate come loro "cause e condizioni".
Se voi conoscete in dettaglio il modo di interpretazione (di Tzong-Khapa) del
significato di questa citazione (com'è stabilita) nella sua Grande Esposizione
della Speciale Visione Profonda, voi potrete comprendere (in che modo quel
passaggio indichi la triplice interpretazione dell'originazione-dipendente).
In dipendenza da alcuni di questi speciali punti, il grande studioso definitivo
Nor-sang-ghya-tso (336) è famoso per aver detto, "Tutto ciò che è una base
costituita (cioè, tutto ciò che esiste) è un fenomeno composto". Circa questo,
molte persone valide e meno valide hanno detto, "Per assurdo, ne consegue
che il soggetto, cioè lo spazio non-composto, sia un fenomeno composto, in
quanto vi è una base costituita" (337), ecc. Questi neofiti dalla epistemiologia
logica ed elementare dimostrano molti punti comunemente proclamati di un
danno (a tale posizione) e di una sprezzante derisione. Tuttavia, questo grande
studioso ed erudito adepto che penetrò tutti i sutra ed i tantra, come avrebbe
potuto non sapere questo semplice minimo ragionamento? Benché egli disse
ciò con la speranza che, in dipendenza dalle sue parole, (le persone) avrebbero
avuto un metodo efficace per formarsi una comprensione del significato della
originazione-dipendente, sembra però che esse siano diventate esempi di " Per
le persone addolorate dal karma, anche le medicine date diventano veleno!"…
Parlando dal punto di vista che tutti i fenomeni hanno "cause e condizioni", nel senso di essere designati in dipendenza dalle proprie basi di designazione e di essere costituiti in dipendenza da una coscienza imputante, Nor-sang-ghya-tso fece la profonda dichiarazione che tutti i fenomeni sono composti. Jang-kya rimproverò coloro che, non comprendendo la sua prospettiva, lo criticarono superficialmente e sprezzantemente rimarcando che se tutto era composto, allora perfino lo spazio 'non-composto' doveva essere 'composto'. Il punto di Nor-sang-ghya-tso è che perfino lo spazio incomposto è composto, in questo speciale senso, per il suo essere designato in dipendenza dalla base di designazione e dall'essere costituito in dipendenza da una coscienza imputante.
La succitata spiegazione del significato del ragionamento sulla
originazione-dipendente è la stessa dell'insuperabile pensiero
di Chandrakirti nella spiegazione etimologica di pratityasamutpada.
Se voi non comprendete la sua etimologia di 'originazione-dipendente', non potrete arrivare a questi tre significati. Quando voi prendete 'prati' come 'prapti' e 'prati+ì= pratitya', un indeclinabile continuativo che significa "essendo dipendente", come 'prapya', e quando prendete 'samutpada' col significato non solo di 'originazione', ma anche come 'esistente, o costituito', allora voi potrete arrivarci.
"Questo è certamente anche il pensiero conclusivo del Più Grande
tra gli Esseri (Tzong-Khapa), ma poiché sembra che gli altri non
lo abbiano ben chiaramente spiegato, ho voluto spiegarlo ancora un po’!"
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
21) LA CENTRALITA' DELL'ORIGINAZIONE-DIPENDENTE
Ora parlerò un po’ sul metodo in cui i due estremi vengono spiegati da questo
ragionamento (dell'Originazione-Dipendente). In merito alla realizzazione di
una visione corretta e pura, i principali punti di fraintendimento qui (secondo
i Sistemi Conseguenzialisti) sono di due tipi. Uno è la visione della permanenza,
ovvero la visione della sovrapposizione, avente un processo di recepire una
concezione di vera esistenza, cioè la concezione che i fenomeni esistano realmente.
Il secondo è la visione dell'annichilimento, ovvero un deprecabile modo di vedere
in cui il carattere dell'oggetto di negazione non è recepito e, anzi è considerato da
molto lontano, cosicché non si è in grado di indurre un accertamento in merito
a tutte le cause e gli effetti di una purificazione (338) ed una completa afflizione.
Ora, riguardo alla corretta visione, un estremo potrebbe essere qualcosa di non-esistente. Una concezione di un estremo, cioè una coscienza sostenente una visione estrema, potrebbe esistere, ma l'estremo stesso che essa sostiene potrebbe essere non-esistente. Gli estremi nel comportamento – indulgenza ed automortificazione ascetica – esistono, come pure gli estremi nella meditazione – eccitazione e lassismo apatico; tuttavia, in merito alla visione, i buddhisti non prendono posizione tra due cose esistenti quali il mangiare troppo o il mangiare troppo poco, oppure la salute e la malattia. I due estremi sono versioni totalmente non-esistenti dello stato dei fenomeni. Sostenendo uno o l'altro di essi è come il cadere in un baratro, in quanto una tale errata comprensione apporta sofferenza; ecco perché essi sono chiamati estremi. Ciò che si trova in mezzo ad essi è il fatto certo ed è un terreno sicuro, ove voi non vi farete del male; non è affatto una mescolanza tra i due estremi.
Perfino in termini di comportamento, la posizione intermedia non è una mescolanza di un po’ di debolezza ed un po’ di ascetismo mortificante. Allo stesso modo, nella meditazione l'intermedio non è una mescolanza di un po’ di eccitazione ed un po’ di apatico lassismo, bensì uno stato completamente libero da questi due estremi.
Di solito, nella visione della condizione fenomenica, le persone considerano l'oggetto da negare, o troppo alla lontana o troppo sul serio. Nel primo caso, anziché considerare il loro rifiuto, tramite il rifiutare l'esistenza inerente, come una concezione innata, esse rifiutano solamente un qualcosa di grossolano, mantenendo ancora la sovrapposizione dell'esistenza inerente. Nel secondo caso, essi prendono il rifiuto troppo sul serio, rifiutando i fenomeni stessi, non tenendo conto della funzionalità di causa ed effetti, ecc., cadendo così in un estremo di nichilismo, un annullamento di ciò che in realtà esiste. Entrambi i casi sono paragonati al precipitare in un baratro, cosa che arreca sofferenza a se stessi, dato che con la visione sovrapposta è impossibile realizzare la corretta condizione dei fenomeni e liberare se stessi dall'esistenza ciclica, mentre con la visione di totale rifiuto, si perde la convinzione nella legge di causa ed effetto del Karma, cosicché ci si imprigiona ancor più fortemente all'esistenza ciclica.
Entrambi questi (estremi) possono essere rifiutati senza residui, proprio in base
a questo ragionamento dell'originazione-dipendente. Tramite l'accertamento della
ragione, uno evita l'estremo del nichilismo e scopre una ragionevole certezza
riguardo al sorgere-dipendente di causa ed effetto e, tramite l'accertarsi di ciò che
è comprovabile, uno evita l'estremo dell'eternalismo o permanenza ed ottiene una
certezza riguardo all'assenza di esistenza inerente.
Nel sillogismo "Il soggetto, vale a dire, <Io> non sono inerentemente esistente, dato che sono una originazione-dipendente", l'accertamento della ragione significa capire che <Io sono una originazione-dipendente>. Comprendendo il sorgere-dipendente di cause ed effetti, l'estremo del nichilismo, cioè la assoluta non-esistenza, è evitato. L'accertamento di ciò che è comprovabile significa capire che <Io non sono inerentemente esistente>. Comprendendo l'assenza di esistenza inerente, l'estremo della sovrapposizione o reificazione permanente, è evitato. Quindi, per mezzo del solo ragionamento dell'originazione-dipendente, entrambi gli estremi di nichilismo ed eternalismo sono evitati.
Riguardo all'ottenere una tale certezza, ciò che ha così tanta forza è proprio il
ragionamento dell'imputazione dipendente. E per di più, questo è l'incomparabile
'ruggito del leone' delle ottime spiegazioni del Lama Migliore di tutti (Tzong-Khapa).
Il sillogismo è: "Il soggetto, <Io> non sono inerentemente esistente perché sono imputato dipendentemente. Vi è una imputazione in dipendenza delle parti, in dipendenza dalle basi di imputazione ed in dipendenza di una coscienza imputante". Questa terza versione del significato dell'originazione-dipendente è particolarmente potente.
Inoltre, entrambi gli estremi sono evitati anche tramite la certezza del ragionamento
e le rispettive tesi individuali. Per di più, in generale, l'estremo di esistenza è evitato
per mezzo dell'apparenza, e l'estremo della non-esistenza è evitato per mezzo della
vacuità. Queste sono le cosiddette caratteristiche distintive (339) della Scuola delle
Conseguenze della Via di Mezzo. In dipendenza dei segreti essenziali della parola del
Migliore di Tutti (Tzong-Khapa), voi dovreste arrivare a conoscere che vi è un modo
distinguibile per cui queste diventano caratteristiche distintive della Scuola delle
Conseguenze della Via di Mezzo, che non è propriamente ciò che è esplicitamente
indicato. Perché, altrimenti, anche in ciascuna delle quattro scuole della Dottrina,
vi sono spiegazioni affinché entrambi gli estremi di esistenza e non-esistenza siano
evitati per mezzo dell'apparenza ed ancora, entrambi gli estremi siano anche evitati
per mezzo della vacuità.
All'interno del ragionamento stesso – l'originazione-dipendente -, il comprendere che un fenomeno è dipendente, evita l'estremo della sovrapposizione di permanenza, dato che si viene a realizzare che il fenomeno non esiste in e per se stesso; d'altra parte, il comprendere che esso è originato, evita l'estremo del nichilismo. La realizzazione di ciò che è comprovabile, che un particolare fenomeno è privo di esistenza inerente, evita l'estremo della reificazione permanente dato che è stato compreso il vero opposto dell'esistenza inerente, ma esso può anche aiutare ad evitare l'estremo dell'annientamento dato che voi avete compreso la stretta delimitazione di ciò che è rifiutato – solo l'esistenza inerente e non l'esistenza in generale.
La maniera più congeniale per l'accertamento dell'apparenza è di trattenersi dall'estremo di annientamento o di nichilismo, mentre per l'accertamento della vacuità è di trattenersi dall'estremo della sovrapposizione reificante. Tuttavia, qui, perfino l'estremo dell'esistenza inerente può essere evitato tramite l'accertamento dell'apparenza e, per mezzo dell'accertamento della vacuità, può altresì essere evitato l'estremo dell'annientamento.
L'eliminazione dell'estremo di esistenza per mezzo dell'apparenza e l'eliminazione dell'estremo di non-esistenza tramite la vacuità, può sembrare inusuale, ma Jang-kya sta dicendo che questo stile di evitare i due estremi dovrebbe funzionare in qualsiasi sistema. Perciò, egli sta indicando che occorre una considerevole riflessione per determinare il suo modo di essere una caratteristica distintiva della Scuola Conseguenza.
In generale, vi è il modo che i due estremi siano evitati riguardo alle cose, dato che
esse sono originazioni-dipendenti. In particolare, vi sono i modi che i due estremi
siano evitati, in base al ragionamento, grazie alla consapevolezza di una persona,
al momento di udire e riflettere sui testi della Scuola della Via di Mezzo, come pure
modi che i due estremi siano evitati grazie alla propria consapevolezza, quando la
realizzazione che sorge dalla meditazione è stata generata – ai due livelli di un essere
ordinario e di un essere Superiore. In più, perfino tra i Superiori, a causa del
graduale accrescimento della forza mentale di coloro che sono ai più alti livelli,
vi sono numerose differenze di sottigliezza nel modo in cui, nella nostra mente, sono
evitati i due estremi, poiché ciò diventa molto più (340) profondo che nei livelli più
bassi. Per questo motivo, Shantideva dice (341):
"Perfino tra gli Yogi, a qualsiasi livello, il più elevato
reca danno (al più basso), a causa delle caratteristiche
della loro propria intelligenza".
Vi sono differenze nella comprensione, allorché si va dall'ascolto verso la riflessione e la meditazione, come pure andando dagli esseri ordinari a quelli Superiori e, poi, all'interno di ciò, quando anche voi avanzate sempre più in alto. Di conseguenza, lo studioso Sakya Dag-tsang (342) divide l'insegnamento, e quindi l'apprendimento, in tre periodi: 1) la fase non-analitica in cui si lavora sulla causa e l'effetto, e così via, 2) la fase dell'analisi leggera, in cui si analizza la vacuità, e 3) la fase estremamente analitica in cui si va oltre il vuoto ed il non-vuoto.
Jang-kya (343), tuttavia, dice che Dag-tsang non espone fonti Indiane, in questa sua elencazione. Per cui, la visione che Dag-tsang stabilisce nel primo stadio è distrutta nel secondo, e quella che egli stabilisce nel secondo è distrutta nel terzo. Secondo Jang-kya, Dag-tsang non necessita di oppositori; egli stesso si rifiuta. Eppure, Dag-tsang fu un grande yogi erudito che, come lo stesso studioso Ghelugpa Kensur Lekden riportò, scrisse un lavoro assai rispettabile sul sistema Kalachakra. Dag-tsang intendeva preparare le persone alla drammatica esperienza della cognizione diretta della realtà, che è parecchio differente da come la vacuità ci appare quando la si analizza. Quando la mente è matura, un praticante attraversa una nuova fase, che è qualcosa di completamente differente.
"Visione", qui, è molto personale. La nostra visione della vacuità dovrebbe modificarsi man mano che noi studiamo diversi sistemi. In un modo molto più astratto, la visione della vacuità non muta mai, ma la particolare visione della vacuità da parte di una persona cambia continuamente dall'inizio alla fine.
Di conseguenza, tutte le presentazioni delle due verità della Scuola Conseguenza
della Via di Mezzo, sono date dall'interno di una sfera di questo ragionamento di
originazione-dipendente, e vi sono anche molte importanti ragioni che riguardano
molte caratteristiche non comuni al tempo del sentiero e del frutto. Per di più, esse
possono essere ben conosciute da persone che hanno una completa comprensione
di 1) ciò che identifica il fattore di vacuità, per la ragione dell'aver accertato (344)
il fattore di apparenza, e 2) ciò che induce la certezza riguardo al fattore di apparenza
tramite l'aver preso il fattore di vacuità come la ragione. Comunque, non è possibile
che tutte queste potrebbero essere state compiute a mò di un inizio (di rozze idee
venute a qualcuno) che non ha capito bene la visione. Anzi, queste sono viste come
dipendenti dalla perfetta conoscenza del significato, di come ogni presentazione
dell'esistenza ciclica (samsara) e nirvana sia solo esistente in modo imputato e,
all'interno di ciò, ben sapendo ciò che è eliminato e ciò che è incluso, all'interno
del termine "mera nominalità, ovvero solo esistenza imputata".
Jang-kya spiegherà brevemente questi punti nella successiva sezione. Fortemente ispirato, in quanto egli ha menzionato molti punti approfonditi circa l'insegnamento centrale dell'originazione-dipendente, Jang-kya offre ora un breve poema prima di considerare in che modo tutti i ragionamenti provino che la vacuità deriva dal ragionamento dell'originazione-dipendente.
Orsù, io mi domando se questa buona spiegazione di Losang Dragpa –
Dotato di una schiera di raggi luminosi di ambrosia –
Che è venuto sul picco della montagna orientale, di non basso merito
Allo scopo di generare una gioia manifesta –
Sia gloriosa soltanto per la mia propria mente.
La presentazione di Jang-kya è dotata con la magnificenza della buone spiegazioni procurate da Tzong-Khapa, il cui altro nome era Losang Dragpa. Egli si sta chiedendo se qualcuno l'apprezzerà.
La forma arcobaleno del corpo sottile di un centinaio di testi dal
buon significato, scritti con la penna (345) del puro ragionamento
che sono completamente riflessi nello specchio della mia mente,
concede la gioia per mezzo di migliaia di visioni e trasformazioni.
Se la luce di questo ragionamento, riflessa nello specchio della mente di Jang-kya, potesse arrivare fino alle nostre menti, essa apporterebbe davvero migliaia di cambiamenti nelle nostre attitudini, facendoci comprendere il modo in cui noi percepiamo noi stessi, ci relazioniamo con gli altri, e così via.
Quel saggio che, dimorando nella foresta composta dai dieci milioni
di procedimenti di Nagarjuna, è qualificato a far comparire quelle due
meravigliose donne che sono la vacuità e l'originazione-dipendente,
grazie al messaggero della stabilizzazione meditativa dell'immacolato
ragionamento, è chiamato un Proponente della Scuola Via di Mezzo.
Coloro che hanno abbandonato da un canto, la beatitudine che deriva
dalla stabilizzazione mentale nella realtà, e che procedono ricurvi al
passo di spiegazioni e dibattiti nella generalità verbale, centinaia di
volte usano le loro bocche per parlare di originazione-dipendente, ma
tale è la vuotezza del significato, che è come una lampada a burro in un
un dipinto (346). Se coloro che casualmente studiano in testi limitati e,
benché privi di forza mentale per discriminare tra ciò che richiede una
interpretazione e ciò che è definitivo, nondimeno si caricano di una
responsabilità nel rendere totalmente uguali l'essere ed il non-essere
senza aver detto alcunché, come potrebbe non essere piacevole!
Perfino se io non avessi sperimentato il gusto supremo della vera
realizzazione derivante dalla meditazione, che è il frutto del lavoro
eseguito sui testi immacolati, quanto meraviglioso sarebbe ciò che
Losang, il Padre Migliore di Tutti, ha prodotto nel far nascere in me
la sorte di propormi l'originazione-dipendente proprio così com'è!
E queste sono le strofe nel mezzo delle sezioni…
COME GLI ALTRI RAGIONAMENTI DERIVINO DALL'ORIGINAZIONE- DIPENDENTE
L'essenza di tutti i ragionamenti (che comprovano la mancanza del sé e che sono casi di
non-osservanza di qualcosa di inestricabilmente correlato con l'esistenza inerente), ci
riporta (347) proprio a questo ragionamento dell'originazione-dipendente. Ciò è dovuto
al fatto 1) che lo scopo principale di tutti questi ragionamenti è solo quello di generare
nel continuum mentale la visione della Via di Mezzo e simultaneamente spazzare via i
due estremi, e giusto questo ragionamento dell'originazione-dipendente porta a termine
questo compito in modo esplicito; ed al fatto che 2) questi ragionamenti ci riportano ancora
proprio a questa modalità (dell'originazione-dipendente) allorché siano seguiti a puntino.
L'esistenza inerente ha bisogno di essere trovata almeno in uno dei sette modi. Essendo inestricabilmente collegata con tale possibilità di essere trovata, se ciò non è possibile in nessuno di questi sette modi, allora l'esistenza inerente è impossibile. Il fatto che non possano essere osservati quelli necessariamente collegati con l'esistenza inerente, quindi, può servire come strumento di prova, o come un segno di assenza dell'esistenza inerente.
Per esempio, qualunque cosa che sia un fenomeno, è necessariamente permanente o impermanente, e perciò se una certa cosa come un mantello fatto di peli di tartaruga non è né permanente e né impermanente, allora esso non è un fenomeno e quindi non è esistente. Allo stesso modo, ciò che è esistente inerentemente deve essere trovabile per mezzo dell'analisi nei sette modi, quindi qualcosa che non è trovabile in uno di questi sette modi, non esiste inerentemente.
Questa non-trovabilità di un oggetto in uno dei sette modi è una non-osservazione, la quale è un segno di non-inerente esistenza. L'altro modo di provare la vacuità è di osservare qualcosa che contraddica l'esistenza inerente, come una originazione-dipendente. L'osservazione che una casa è un'originazione-dipendente è sufficiente a comprovare che essa è vuota e priva di esistenza inerente, dato che l'esistenza inerente è impossibile all'interno dell'originazione-dipendente. Qui, Jang-kya sta dicendo che tutti i ragionamenti, che sono non-osservazioni di un dato oggetto, ritornano a, o derivano da, il ragionamento dell'originazione-dipendente, che è la più valida osservazione di un oggetto contraddittorio.
Così come stabilito in precedenza, i principali ragionamenti che questo sistema usa
per dichiarare le due "assenze del sé", devono essere considerate queste due, il rifiuto
di produzione dai quattro estremi ed il settuplice ragionamento. Il modo in cui i loro
elementi essenziali ritornano all'originazione-dipendente è chiaramente indicato nel
"Supplemento di Chandrakirti al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna", poiché
in quel testo (Chandrakirti) parla chiaramente di come il ragionamento del rifiuto di
produzione dai quattro estremi riporta a quello dell'originazione-dipendente. (348)
"Poiché le cose non sono prodotte 'senza-causa, o da Ishvara
e cause di questo tipo, o da se stesse, o da altro, o da entrambe,
allora esse sono prodotte solamente in modo dipendente".
Ed inoltre, nel medesimo testo (Chandrakirti) parla chiaramente di come il settuplice
Ragionamento riconduce verso l'originazione-dipendente (349):
"Che (il carro) non sia stabilito per la (sua propria) talità,
o anche nei sette modi in cui il mondo verifica le cose,
ma senza un appropriata analisi, proprio qui nel mondo,
esso è altresì imputato in dipendenza delle sue parti"
Per di più, quando si è cercato l'oggetto imputato nell'imputazione convenzionale,
per esempio, "Un germoglio sta crescendo", voi potrete avere la certezza che (quel
germoglio) non è prodotto da sé, né da altro, né da entrambi e neppure senza-causa,
ciò – grazie alla sua propria forza – induce certezza che la crescita del germoglio,
ecc., è solo una imputazione, ed inoltre anche quando vi sarete accertati che la
convenzionalità del "crescere" (ovvero la "produzione") è solo una imputazione,
ciò – grazie alla sua propria forza – induce certezza riguardo alla non-trovabilità,
quando l'oggetto, imputato nell'imputazione del crescere convenzionale, è visto.
Questo metodo (in cui la comprensione di uno aiuta nella comprensione dell'altro)
è il modo in cui gli elementi essenziali del ragionamento che rifiuta la produzione
dai quattro estremi, riportano alla originazione-dipendente. Il testo di Tzong-Khapa
"L'Essenza delle Buone Spiegazioni" dice (350):
"Tramite (il ragionamento che) le cose esterne, come dei
germogli e le cose interne, come l'attività composizionale,
sorgono in dipendenza di cause e condizioni – come un
seme e l'ignoranza - le loro produzioni e così via, esse sono
vuote di una natura inerente, nel senso che sono stabilite
per via delle loro proprie caratteristiche e non sono pro=
dotte da se stesse, da altro, da entrambi, oppure senza-causa.
Poiché (Chandrakirti) rifiuta in questo modo (i quattro tipi
estremi di produzione), (l'oggetto di negazione) viene a sua
volta rifiutato, in una maniera che riconduce proprio al
ragionamento dell'originazione-dipendente, che è il Re dei
ragionamenti e taglia tutti i fili delle cattive visioni errate."
Principalmente questo è il ragionamento sulle cose che sono prodotte in maniera
dipendente, ma allorché lo si consideri accuratamente, esso può altresì ricondurre
al ragionamento che le cose sono imputate dipendentemente. Quest'ultimo modo
è più difficile da capire che non il primo.
Di solito, quando le persone vedono un oggetto dipendentemente originato, esse immediatamente pensano che debba esistere in modo inerente. Costoro sentono che la cosa non sia come il serpente imputato su una corda e che essa è verificabile. Perché? Perché essa è stata prodotta da una causa. "Non l'ho certo creata io, questa!".
Per esempio, quando noi diciamo, "Ehi, tuo figlio sta crescendo molto in fretta!", oppure, "Il grano sta crescendo", o anche "Stanno crescendo i fiori!", se non ci sentiamo soddisfatti da queste mere nominalità e cerchiamo di vedere se vi è un qualcosa in se stesso, qualcosa da poter indicare, allora noi stiamo cercando l'oggetto imputato nell'imputazione di queste espressioni. Il mondo dice che noi dovremmo accettare che questi siano fenomeni riscontrabili senza frapporre eccezioni; le persone si arrabbierebbero se noi ci intrufolassimo troppo all'intorno. Esse rivendicherebbero che, secondo loro, quando noi diciamo, "Il grano sta crescendo", noi non abbiamo affatto intenzione di entrare in una simile analisi. Naturalmente, proprio questo è il punto: noi accettiamo l'apparenza di oggetti concreti, che appaiono tali solo per mancanza di analisi.
Ma, da questa mancanza di analisi, siamo forse vincolati a qualcosa di distruttivo? Forse che quest'assenza di analisi ci imprigiona a qualcosa di falso? Noi dobbiamo accorgerci delle nostre sensazioni di esistenza inerente, quando qualcuno ci dice: "Il grano non è cresciuto molto quest'ultima settimana", e noi gli rispondiamo, "No, anzi è cresciuto molto!"; oppure, quando non c'è stata pioggia e noi diciamo, "Quanto mi dispiace che il grano non sia cresciuto!". Noi non analizziamo queste cose e normalmente, se lo facciamo, creiamo uno scompiglio. È probabile che l'analizzare in questo modo vada contro l'ordito e la trama della realtà. In ogni modo, opponendoci a ciò che sentiamo essere la realtà non è un sicuro segno di inappropriatezza, poiché anche calmare la propria mente va contro al nostro ordinario senso della realtà. La mente è abituata a correre in ogni dove; noi siamo come gocce che schizzano sulla cresta delle onde oceaniche, senza alcuna idea di essere soltanto l'acqua. Tuttavia, è detto che la natura della mente è quella di stare a riposo, calma e concentrata.
Il mondo non riesce a riflettere riguardo al fatto se un oggetto sia o no prodotto in questi modi. Ciò avviene perché esso viene sconvolto quando gli si prospetta una simile analisi. "Che stai dicendo? Esso sta proprio crescendo!" Noi non siamo affatto d'accordo, limitando le possibilità a quattro. Noi dobbiamo essere rilassati con noi stessi. Ma, allora, perché non attuare una diversa linea di condotta? Lasciamo che le possibilità siano cinque o sei, o anche dieci o cento; aumentiamo le possibilità a nostro piacimento. Però, mettiamo un limite ad esse. Consideriamo quante possibilità vi sono realmente. In effetti, se quella cosa esiste in una maniera riscontrabile, allora essa deve essere stata prodotta da sé, da altro, da entrambi o da nulla di tutto ciò. Dopo un po’, la vera percezione degli oggetti sarà colorata dalla comprensione che essi non sono prodotti da sé, né da altri, né da entrambi e né senza-cause. Ciò farà incrinare, lì per lì, la nostra forte ed ostinata aderenza all'esistenza inerente dell'oggetto. Ogni cosa diventerà essa stessa una ragione per la sua propria assenza di esistenza inerente.
Nei capitoli precedenti, avevamo considerato l'entità di un oggetto in termini di intero e parti, oggetto designato e basi di designazione. Voi potreste pensare, "Bene, anche se io non posso capire la relazione che c'è tra l'intero e le parti, comunque la General Motors ha costruito la mia macchina, perciò non c'è assolutamente problema riguardo alla sua concretezza". La sua stessa produzione dovrebbe dirci che l'oggetto non è inerentemente esistente, ma ora sembra proprio presentarsi il caso opposto – la produzione afferma la concreta apparenza degli oggetti. Quindi, la nostra mente deve riportare all'indietro la produzione fino al punto in cui la stessa produzione è messa in discussione, come nel Grande Dubbio dello Zen. C'è mai stato qualcuno in qualche parte che abbia mai fatto qualcosa? Il Partenone fu edificato. Le Piramidi furono erette. La Sfinge fu costruita. Gli schiavi spinsero i blocchi di pietra qui e là; essi li fecero. Essi li produssero. Quanto frumento fu prodotto negli U.S.A. e nella Russia, lo scorso anno? Dobbiamo arrivare al punto in cui cominciamo a dubitare di queste cose. Gesù è nato. Buddha è nato. Potete realmente dubitare di questo?
Noi stiamo dubitando della nostra comprensione riguardo alla produzione, oppure riguardo alla "vera esistenza" della produzione? Dobbiamo giungere al punto in cui non vi è nulla da poter indicare come ciò che fu la produzione della Sfinge. Sottoposto all'analisi, tutto è messo in dubbio. In un certo senso, il dubbio è sempre collegato con l'esistenza inerente, l'oggetto di negazione, ma cosa significa una Sfinge che non è trovabile? Non tiriamoci indietro. Noi non vogliamo dimenticare causa ed effetto, ma questa vera indagine, se portata all'estremo, in realtà ci aiuterà a comprendere causa ed effetto. Anche se la vacuità è una mera negazione non-affermativa, la sua realizzazione indurrà una maggiore realizzazione di causa ed effetto – cioè di originazione-dipendente – e, similmente, la realizzazione dell'originazione-dipendente indurrà una più grande comprensione della vacuità.
Che una realizzazione della vacuità induca l'accertamento dell'originazione-dipendente non significa che una coscienza che realizza la vacuità di esistenza inerente comprenda esplicitamente o implicitamente l'originazione-dipendente. La Vacuità è una negazione non-affermativa e deve perciò essere realizzata nell'equilibrio dello spazio meditativo, in cui non appare nulla se non una vacuità di esistenza inerente. Nondimeno, comprendere la vacuità agevola la comprensione dell'originazione-dipendente, perché la vacuità significa l'assenza di indipendenza e quindi ha il significato di dipendenza.
Allorché si medita sulla produzione, ogni tanto ci si rivolga all'imputazione dipendente. Cercate di realizzare che le cose sono imputate in dipendenza delle loro parti e che esse non sono l'aggregazione delle loro parti, né individualmente le loro parti, e così via. Poi, vedete se avete avuto quello stesso senso di non-inerente esistenza di quando voi stavate riflettendo sulla loro produzione. Cercate di tenere insieme queste due impressioni, cosicché il ragionamento della produzione sarà proprio tanto forte quanto il ragionamento della imputazione dipendente. Di solito, non può essere così forte perché per noi la produzione sembra essere un segno dell'esistenza inerente. Tuttavia, quando esaminiamo l'entità e non possiamo trovarla né nell'intero e né nelle sue parti, raggiungiamo una sensazione di assenza di esistenza inerente. Vedete se potete forzarla, portandola all'interno della vostra comprensione della produzione. Il paragone tra i due, è una tecnica per vedere quanto profonda sia la nostra comprensione della produzione. Alla fine, la produzione dovrebbe essere proprio solo un potere.
Il modo in cui gli elementi essenziali del settuplice ragionamento riportano alla
originazione-dipendente è 1) che proprio l'introvabilità nei<sette modi>, induce
la certezza che la persona sia meramente imputata in dipendenza degli aggregati
(mentali e fisici) e 2), che proprio la realizzazione (che la persona sia) esistente
soltanto in modo imputato induce la certezza riguardo agli altri fenomeni (cioè
la certezza che i fenomeni non sono trovabili in questi sette modi). Il testo del
Grande Tzong-Khapa, "L'Essenza delle Buone Spiegazioni", dice (351):
"Anche questo riporta al ragionamento dell'originazione-
dipendente, poiché la introvabilità della persona in quei
sette, a causa dell'essere soltanto imputata in dipendenza
degli aggregati, è il significato dell'assenza del sé nelle persone."
Se noi non potessimo trovare qualcosa in questi modi, penseremmo: "Portami fuori da qui. Portami dove ci sia qualcosa di trovabile!". In ogni modo, dovremmo restare fermi con questa sensazione di introvabilità, perché questa vera introvabilità ci aiuterebbe a capire che cosa sono le originazioni-dipendenti. Alla fine, vedremmo che il suo essere introvabile rende inevitabile il suo essere meramente esistente per imputazione. Ecco perché questo è detto che è molto difficile da comprendere.
Quindi, anche gli altri ragionamenti comprovanti l'assenza del sé, che sono
non-osservazioni di fattori correlati, contengono tutte queste caratteristiche.
Ognuno di questi ragionamenti rifiuta la visione di permanenza tramite la
funzione separabile concettualmente del ragionamento in se stesso, il quale
è la sua negabile reperibilità alla fine della ricerca dell'oggetto imputato – in
cui questa reperibilità è qualcosa che è necessariamente collegata con la sua
costituzione inerente, vale a dire l'oggetto della negazione. (Ciascuno di questi
ragionamenti) rifiuta anche l'estremo di annichilimento, tramite la funzione
separabile concettualmente del fatto che essendo imputato meramente in modo
dipendente – l'opposto dell'oggetto di negazione, cioè la costituzione inerente –
diventa la ragione. Dovreste sapere che vi sono due impronte che dipendono
dalle funzioni individuali.
La non-reperibilità (o introvabilità) ha una particolare impronta – il rifiuto dell'estremo di permanenza, o esistenza inerente – mentre la sua controparte, l'imputazione dipendente, ha un'altra impronta – il rifiuto dell'estremo di annichilimento. La reperibilità (o trovabilità) è qualcosa che è necessariamente correlato con l'esistenza inerente poiché se qualcosa esiste inerentemente, essa deve essere trovabile, per esempio in uno dei sette modi. Quindi, il non trovare qualcosa secondo i sette modi, è chiamato il ragionamento che è una non-osservazione di qualcosa, che sia necessariamente correlato con l'oggetto di negazione, cioè l'esistenza inerente. D'altra parte, l'essere imputato dipendentemente è l'opposto dell'esistenza inerente e, quindi, quando è dichiarato come una ragione per la non-inerente esistenza, esso è chiamato una osservazione di qualcosa di opposto all'oggetto di negazione. Jang-kya sta dicendo che anche questi ragionamenti, come il non trovare la produzione nei quattro modi, oppure l'esaminare l'oggetto imputato e le basi di imputazione nei sette modi, che sono non-osservazioni di qualcosa che necessariamente è correlato con l'esistenza inerente, finiscono anche per causare una osservazione di qualcosa di opposto all'esistenza inerente, diventando così la ragione. Ecco perché l'essere imputato in modo dipendente diventa anche la ragione perfino quando soltanto la non-reperibilità è esplicitamente dichiarata. Una impronta o risultato è il rifiuto dell'estremo di permanenza, mentre l'altra è il rifiuto dell'estremo di annichilimento.
Nondimeno, voi dovreste anche ben differenziare come vi sia, in dipendenza del
modo (o della ragione) che è esplicitamente dichiarato, una osservazione di ciò
che è opposto oppure una non-osservazione di ciò che è necessariamente correlato.
Anche se un solo ragionamento possiede queste due funzioni, in termini del suo modo di esplicita dichiarazione, esso è sia una osservazione di ciò che è opposto all'esistenza inerente e sia una non-osservazione di ciò che è necessariamente correlato con l'esistenza inerente.
Somiglianze della vera grande abilità di questo ragionamento dell'originazione-
dipendente, che servono per togliere esplicitamente di mezzo i due estremi, non
ne esistono in altri ragionamenti che dichiarano che i fattori della vacuità (come
il non essere prodotti da sé, da altro, da entrambi o senza causa) sono la ragione.
Inoltre, all'interno stesso del ragionamento dell'originazione-dipendente, proprio
il ragionamento dell'imputazione dipendente è già molto potente.
(Gli Autonomisti della Via di Mezzo) Bhavaviveka ed il suo figlio spirituale (cioè
Jnanagarbha) come pure Shantarakshita ed il suo figlio spirituale (Kamalashila)
asseriscono pure che la radice dei ragionamenti che rifiutano la vera esistenza,
riconduce all'avere le parti e che l'avere le parti è il vero significato del sorgere-
dipendente. Comunque, il metodo che questi (Conseguenzialisti) hanno perché
gli altri ragionamenti riconducano all'originazione-dipendente è assolutamente
diverso. Inoltre, il modo in cui il ragionamento dell'originazione-dipendente
elimina esplicitamente i due estremi (nel sistema Conseguenzialista) non è come
(ciò che è asserito in) quegli altri sistemi. I maestri della Scuola dell'Autonomia
ed i loro discepoli dicono oltretutto che la vacuità e l'originazione-dipendente
hanno la stessa importanza, ma il modo in cui hanno la stessa importanza non è
come questo sistema (della Scuola Conseguenzialista). Per di più, principalmente
solo i Conseguenzialisti usano l'espressione "Re dei ragionamenti" per questo
ragionamento (dell'originazione-dipendente). Così, nel testo di Tzong-Khapa,
"La Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione", si dice:
"Quando gli altri esseri senzienti apprendono che (un fenomeno)
è prodotto in base a cause e condizioni, in dipendenza di ciò essi
apprendono (quel fenomeno) come se avesse una natura inerente
nel senso di esistere per via della sua stessa entità e, per questo
motivo essi sono imprigionati (nell'esistenza ciclica). Il saggio,
in base a questo segno (cioè che è un'originazione-dipendente)
rifiuta che il fenomeno abbia esistenza inerente e assume una
certezza rispetto alla sua assenza di esistenza inerente, (e così)
taglia i legami delle visioni che concepiscono i due estremi. Di
conseguenza, questa prova dell'assenza di esistenza inerente,
per mezzo dell'accertamento della originazione-dipendente,
è il migliore dei più mirabili e grandi mezzi abili del metodo."
E Tzong-Khapa, nel suo "L'Elogio del Buddha Sovramondano, dal Punto di Vista della
Originazione-Dipendente", così dice ancora:
"Proprio ciò che rende, per i bambini, più saldi i legami delle
concezioni estreme, allorché essi ne vengono a conoscenza,
per il saggio è la porta che introduce al taglio di tutti gli intrecci
delle elucubrazioni (della concezione di esistenza inerente)".
Il suo affermare che proprio il ragionamento dell'originazione-dipendente
è, per il saggio, la porta d'ingresso per tagliare tutti i legami delle concezioni
estreme, è fatto in considerazione che la vacuità e l'originazione-dipendente
debbano arrivare ad avere la medesima importanza.
La Vacuità e l'Originazione-Dipendente devono arrivare ad avere la medesima importanza, per coloro i quali le abbiano comprese pienamente. Noi ci troviamo spesso a pensare: "Cos'è che causa questo e quello?". Ma ciò, ci ha forse mai indotto a vedere le cose senza l'esistenza inerente? In meditazione, noi vediamo che una qualunque cosa non può essere trovata, ma poi, quando emergiamo dalla meditazione, la nostra mente ridiventa ottusa e stupida e noi dimentichiamo ciò che avevamo imparato. Dobbiamo intenzionalmente riflettere sulla causazione, come se ciò fosse un qualcosa di contraddittorio alla non-reperibilità delle cose. Tuttavia, quando tutti coloro che si sono adeguatamente addestrati in questi ragionamenti si chiedono, "Quali sono le cause per questo?", "Come potrò fare per quello?", "Quanto sarà grande, questa cosa?", e così via, queste domande stesse indurranno la certezza riguardo alla introvabilità sostanziale delle cose. Essi possono fare le due cose insieme.
Noi siamo come piccoli bambini arrabbiati: tanto quando stiamo in mezzo che quando ce ne stiamo in un cantuccio e rifiutiamo di fare qualsiasi cosa. Qualunque sia il senso di non-reperibilità che noi si abbia, dovremo sempre fare un grande sforzo per riportare (la nostra mente) all'originazione che sia dipendente da cause e condizioni.
Inoltre, ciò che Nagarjuna ed il suo figlio spirituale, come pure il Maggior
Onnisciente di tutti (Tzong-Khapa) dissero, è che la vacuità ha lo stesso
significato dell'originazione-dipendente, ma non è come considerare
tutto ciò che è tondeggiante come avente il significato di una pentola.
Una particolare definizione (o determinata caratteristica) – come ciò che ha una forma panciuta e tondeggiante, abbia una base piatta e possa contenere dei liquidi – e ciò che essa definisce, cioè una pentola, hanno lo stesso significato. Ma, la vacuità e l'originazione-dipendente sono anch'esse così? No, non lo sono.
Ed anche, non è così scontato che una coscienza che realizzi una realizzi
anche l'altra. Quindi, che la vacuità arrivi a significare, proprio per tutti,
l'originazione-dipendente non è sicuro, ma è considerato così solo nella
prospettiva di colui che ha già accertato la visione pura e non la ha più
dimenticata. Come Tzong-Khapa, nel suo "Oceano del Ragionamento,
Spiegazione del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna", così dice:
"Il significato della vacuità, che è diventato il
significato dell'originazione-dipendente, è così
per i Proponenti della Scuola della Via di Mezzo,
che hanno rifiutato l'esistenza inerente grazie
alla valida cognizione, e non per tutti gli altri."
Quindi, anche se qualcuno dei nostri studiosi (Ghelugpa) asserisse (in un
dibattito) che ciò è per le persone che pendono da altre parti, che hanno
ben maturato i loro continuum mentali (come nel caso in cui essi sono già
pronti a realizzare la vacuità) ed anche se altri asserissero che è per coloro
la cui analisi della visione è ormai completa, io credo proprio che ciò che è
stato spiegato sopra sia corretto. Il Più Grande Onnisciente (Tzong-Khapa)
ha detto (nel suo "I Tre Aspetti Principali del Sentiero") (352):
"Quando (le due realizzazioni di apparenza
e di vacuità) esistono simultaneamente senza
alternanza e quando, dal solo vedere come
infallibile l'originazione-dipendente, emerge
un accertamento di conoscenza che distrugge
interamente il modo errato di apprendere (gli
oggetti come inerentemente esistenti), allora
si è completata l'analisi della visione."
E, dopo questo, egli dice ancora:
"Inoltre(353), l'estremo di esistenza (inerente)
è evitato dalla (conoscenza della natura delle)
apparenze (in quanto esistenti solamente)
come mere designazioni nominali."
"E l'estremo della (totale) non-esistenza è
evitato dalla (conoscenza della natura della)
vacuità (come assenza di esistenza inerente
e non come assenza di esistenza nominale)."
"Se, dall'interno di questa vacuità, voi siete
in grado di conoscere il modo di apparenza
di causa ed effetto, allora voi non sarete
presi e imprigionati dalle visioni estreme."
La terza strofa potrebbe essere interpretata col significato di: "Se uno conosce come agisce la comprensione della vacuità, come causa di una migliore comprensione dell'originazione-dipendente e come questa comprensione dell'originazione-dipendente agisce nell'arrecare una migliore comprensione della vacuità, allora egli non verrà imprigionato, ecc…"
Tramite queste dichiarazioni, (Tzong-Khapa) ben chiarisce come la vacuità
arrivi ad avere la stessa importanza e lo stesso significato dell'originazione-
dipendente, ma il profondo significato di queste dichiarazioni è davvero assai
difficile da realizzare. Io non penso che sarebbe corretto asserire che il vero
significato del primo passaggio sia la mera capacità di avere un'apparenza
simultanea, riguardo ad un dato fenomeno, del suo essere un'originazione-
dipendente originata da cause e condizioni e del suo non essere esistente in
modo inerente. Anche il Grande Venerabile Rendawa (354) dice qualcosa
di assai simile a quella determinata dichiarazione:
"Quando le due saggezze, cioè la fede nella verità
non-illusoria di causa ed effetto e la realizzazione
che le originazioni-dipendenti sono tutte vuote,
sono alfine comprese in una inseparabile unione,
allora ciò vuol dire che uno è entrato nel sentiero
della Via di Mezzo, libero totalmente dagli estremi.
Ed, al momento stesso in cui (i fenomeni) appaiono,
essi sono visti e realizzati come vuoti; così quando
la vacuità è realizzata (355), l'apparenza non viene
rifiutata. Quando questa certezza è fondata, in base
al modo in cui queste due (saggezze) sono riunite,
allora il Pensiero del Vittorioso è stato realizzato."
Una comprensione della vacuità, da parte di un Buddha, è tale che egli non fa torto al riconoscimento della originazione-dipendente e, sempre per un Buddha, una comprensione dell'originazione-dipendente è tale che egli non fa torto al riconoscimento della vacuità. Le due cose non sono viste in contraddizione l'una con l'altra e neppure l'una rende impossibile l'altra.
Quindi, proprio così tanto quando uno analizza completamente con un immacolato
ragionamento, uno potrà generare una più grande certezza nei riguardi di come
questi e quei fenomeni siano privi di esistenza inerente, fino al punto di indurre
quella certezza, riguardo al fatto che tutti questi fenomeni siano mere imputazioni
dipendenti, a svilupparsi con sempre maggior forza. Ancora, proprio quanto più
l'induzione di certezza, riguardo al modo in cui i fenomeni sono solo imputazioni
dipendenti, aumenta con sempre maggior forza, tanto più l'induzione di certezza
riguardo al modo in cui i fenomeni sono vuoti di esistenza inerente, aumenterà con
sempre maggiore forza.
Inoltre, una volta che sia stata generata una certezza di coscienza – indotta da una
cognizione inferenziale del fatto che un germoglio sia senza esistenza inerente, per
il suo essere una originazione-dipendente – e allorché questa non si deteriori, è
evidente che vi siano molti diversi stadi di livelli di capacità, riguardo a come queste
due coscienze che hanno acquisito certezza si assistano l'un l'altra, grazie ad un
processo graduale e progressivo, che si eleva sempre più in alto.
Questa cognizione inferenziale è basata sul sillogismo, "Il soggetto, cioè un germoglio, non è inerentemente esistente a causa del suo essere una originazione-dipendente". Qualunque cosa sia un'originazione-dipendente deve necessariamente essere non inerentemente esistente. Un germoglio è una originazione-dipendente a causa del suo originarsi (o sorgere) dalle sue cause – cioè il seme, l'acqua, il concime e così via. Quindi, un germoglio NON è inerentemente esistente. Questa realizzazione inferenziale induce un susseguente accertamento coscienziale e, da questo punto in avanti, vi sono differenti livelli di capacità riguardo a come la comprensione dell'originazione-dipendente assista e conforti la realizzazione della vacuità e la comprensione della vacuità assista e conforti la realizzazione dell'originazione-dipendente. La comprensione di come queste due realizzazioni cooperano, permette di far si che uno possa progredire sul sentiero (dell'Illuminazione).
Nel sistema Conseguenzialista, la coscienza che accerta e che induce una cognizione inferenziale non è più una inferenza, bensì una percezione diretta (356), anche se è ancora concettuale. La ragione del perché è una cognizione diretta è che essa non è più relegata ad un ragionamento; il primo momento della cognizione induce il successivo. Alla fine, la percezione diretta concettuale si trasforma in una percezione diretta non-concettuale, dato che viene aggiogata dal potere della concentrazione unidirezionata e quindi avvicendata con la meditazione analitica finché la stessa analisi induce maggior stabilità e la stabilità induce ancor più analisi. Dopodiché, la parte concettuale e immaginativa della cognizione scompare gradualmente, lasciando come risultato una cognizione diretta e non-concettuale della vacuità.
Poiché questo argomento (di come le due realizzazioni si aiutino l'un l'altra)
è estremamente difficile da comprendere e, pure quando compreso, è
oltremodo stupefacente, il buon Protettore Nagarjuna ci dice:
"Relazionarsi sulle azioni e sui loro effetti,
senza conoscere questa vacuità dei fenomeni,
è ancor più sorprendente di tutte le sorprese
e anche più meraviglioso di tutte le meraviglie!".
Ed il Grande Essere Più Venerabile (Tzong-Khapa) dice, a sua volta:
"La cosa più stupefacente e più meravigliosa
di queste due certezze, è che tutte e due sono
totalmente vuote di esistenza inerente e che
questo loro effetto sorge da tale (causa) – cioè
l'assistersi l'un l'altra senza alcun impedimento!"
Essere un Proponente della Scuola della Via di Mezzo, questo è il proposito per la comprensione che si deve creare. La vacuità deve rimanere una negazione non-affermativa, ma la realizzazione di essa deve aiutare nella realizzazione dell'originazione-dipendente, e viceversa.
Senza una valida cognizione che supporti e convalidi l'apparenza dei fenomeni, come potrebbe questa essere una cosa che desidereremmo ottenere? Per sostenere la giusta apparenza dei fenomeni occorre proprio qualcosa che vada oltre l'ignoranza. Ma non dobbiamo cadere nella trappola di pensare che le cose stiano apparendo così come appaiono comunemente. Inoltre, nei testi Ghelugpa, a causa di un così tanto parlare di quest'argomento, circa la cognizione valida e l'importanza della realizzazione concettuale, voi potreste arrivare a pensare che lo scopo finale sia la comprensione concettuale; tuttavia, un Buddha non ha assolutamente nessuna concettualità. Il pensiero concettuale può essere di aiuto, ma poi deve portare ad un punto in cui non avete più bisogno di esso.
Vi sono ancora varie sfaccettature, nel significato della medesima importanza
che rivestono la vacuità e l'originazione-dipendente, che dovrebbero essere
comprese in maggior dettaglio di quanto spiegato finora. Le somiglianze di ciò
che appare negli scritti del Più Esimio Onnisciente (Tzong-Khapa) – e cioè,
"Grande Esposizione della Speciale Visione Interiore", "Esposizione Mediana
della Speciale Visione Interiore", ed il suo "Grande Commentario sul Trattato
Fondamentale Della Via di Mezzo, Chiamato 'Saggezza', di Nagarjuna" –
non appaiono in nessun altro dei saggi di istruzione sulla Visione, composti
dagli studiosi successivi, (benché questi siano) famosi per essere assai chiari.
Inoltre, (ciò che si trova nelle scritture di Tzong-Khapa) non appare nelle
presentazioni generali ed analisi critiche dei testi (degli altri autori), eccetera…
Quindi, è evidente che quando queste scritture del Lama Più Venerato (Tzong-
Khapa) sono spiegate da qualcuno che conosce bene come spiegarle e ascoltate
da qualcuno che sa bene come ascoltarle, vi sono innumerevoli ragioni per
generare una vera gioia da tali sorgenti.
Come è stato evidente durante tutta la presentazione di Jang-kya, egli ha una grande ammirazione per le opere di Tzong-Khapa. Qui, egli ci sta mettendo in guardia che, benché vi siano numerosi testi brevi, famosi per essere molto chiari e benché tutti i collegi monastici Ghelugpa abbiano i loro propri testi su questi argomenti, essi non eguagliano i veri scritti di Tzong-Khapa. L'attuale Dalai Lama propone assai spesso gli stessi punti in conferenze pubbliche, richiamando al fatto che i Ghelugpa li hanno eliminati dalle loro radici e sono diventati attaccati alle versioni popolari di filosofia e pratica. Le opere di Tzong-Khapa sono spesso lunghe e, almeno all'inizio, difficili da leggere, ma Jang-kya sta dicendo che opere, come questa sua, che provano a presentare l'essenza del pensiero di Tzong-Khapa, non devono essere considerate sostituti dell'originale.
Ora Jang-kya ha finito la sua presentazione dei ragionamenti che comprovano la vacuità, con una lode per la descrizione lineare di Tzong-Khapa sulla compatibilità di originazione-dipendente e vacuità – cioè che la realizzazione dell'una mutualmente sostiene l'altra. È chiaro che per lui, la visione della Realtà Ultima nella Scuola della Via di Mezzo non è agnostica e nemmeno nichilistica, ma è una profonda introspezione nella mutua dipendenza che vi è nell'assenza di una super-concretizzazione degli oggetti e nella loro effettiva e valida apparenza. Questa combinazione di vacuità ed apparenza permette una condizione di dinamico altruismo, in un sentiero di purificazione, producendo il benessere degli altri su scala altrimenti inimmaginabile. Il fondamento del sentiero è il riconoscimento che la vacuità non nega gli oggetti, ma uno 'stato rappresentato' degli oggetti. La realizzazione della vacuità non è uno sterile ritirarsi dagli oggetti ma, finalmente, un dinamico impegno, diretto in modo altruistico, con gli stessi oggetti. Jang-kya ci invita alla sua visione dell'armonia, che si evidenzia tra un'assoluta assenza di esistenza inerente ed i modelli di causa ed effetto.
(Qui finisce il Testo con Commento = ) FINE PARTE PRIMA
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SECONDA PARTE
TRADUZIONE
del Testo di Jang-kya senza Commentario
L'ARMONIA DI VACUITA' ED ORIGINAZIONE-DIPENDENTE NELLA
SCUOLA CONSEGUENZA DELLA VIA DI MEZZO
SOMMARIO DEL TESTO DI JANG-KYA
BREVE ESPOSIZIONE DEL SISTEMA DELLA GLORIOSA SCUOLA CONSEGUENZA DELLA VIA DI MEZZO,
VERTICE SUPREMO DI TUTTE LE SCUOLE DELLA DOTTRINA, CHE HA GENERATO IL SISTEMA PROPRIO DEI CONQUISTATORI =
I. Definizione
II. Asserzione dei dogmi della Dottrina
A) Come stabilire la Visione delle basi
1) Spiegare ciò che è negato in relazione a quali basi.
2) Stabilire l'assenza del <sé> che è la negazione nell'oggetto negato.
a)Una identificazione dei principali ragionamenti che rifiutano l'oggetto di negazione.
(1) Scopo del rifiutare l'oggetto di negazione tramite il ragionamento.
(2) Identificazione dei ragionamenti principali.
b) Come questi ragionamenti rifiutano l'oggetto di negazione, i due tipi di <sé>.
(1) Ragionamenti che rifiutano il sé dei fenomeni.
(a) Spiegare il ragionamento dei frammenti di diamante che rifiutano la
produzione dei quattro tipi estremi.
ì' Rifiuto di produzione da sé
ìì Rifiuto di produzione da altro (diverso da sé)
ììì Rifiuto di produzione da entrambi (sé ed altro)
iv Rifiuto di produzione senza-cause
(b) Rifiuto di produzione delle quattro alternative.
(c) Ragionamento rifiutante la produzione dell'esistente e non-esistente.
(2) Ragionamento che rifiuta il sé delle persone.
(a) Accertare il <sé> come non esistente inerentemente.
ì' Dichiarare l'esempio.
ìì Applicare l'esempio al significato.
a' Rifiuto dell'identità del sé ed aggregati.
b' Rifiuto della posizione che il sé e gli aggregati siano differenti.
c' Come da questi ragionamenti vengono rifiutate le rimanenti
posizioni.
(b) Mostrare come ciò stabilisca che anche 'il mio' non è inerentemente esistente.
(c) Come questo ragionamento viene applicato agli altri fenomeni.
(3) Il Re dei ragionamenti, il ragionamento dell'originazione-dipendente,
che rifiuta il sé, tanto delle persone che dei fenomeni.
(a) Vera spiegazione dell'originazione-dipendente.
(b) Come gli altri ragionamenti derivino dall'originazione-dipendente.
(P.S. I numeri delle note tra parentesi nel testo, corrispondono a quelli della Prima Parte).
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1) DEFINIZIONE DI UN CONSEGUENZIALISTA
( La spiegazione della Scuola Conseguenza ) è in due parti: definizione e asserzione della dottrina.
DEFINIZIONE
Il modo per stabilire, ovvero la definizione di, un Conseguenzialista è:
"Un Proponente della Scuola della Via di Mezzo che asserisce che non è necessario stabilire
le modalità di un ragionamento dal punto di vista della comune apparenza del soggetto (di
un dibattito) alle cognizioni valide non erronee di entrambi i disputanti, tramite la forza di
un modo oggettivo di sussistenza delle cose, quanto piuttosto che una coscienza inferenziale,
che conosca l'assenza del sé, sia generata da un ragionamento che ha le tre modalità e che,
indotto soltanto dalle asserzioni dell'altra parte, sia approvato da quella vera altra parte.
Inoltre, in quel modo "Le Chiare Parole " (106) di Chandrakirti offre, insieme col (mostrare la sua) correttezza, la ragione per cui una tesi è comprovata da una ragione approvata dall'altra parte e perché autonomi (sillogismi) non dovrebbero essere asseriti:
"Rispetto ad una inferenza per il proprio scopo personale, (perfino tu dici che) solo ciò che è
stabilito per se stessi è più importante di tutto, non ciò che è stabilito per entrambi (se stessi
ed un oppositore, perché in un'inferenza per il proprio scopo non vi è oppositore). Quindi,
l'espressione delle definizioni di logica (così come sono famose nei sistemi degli Autonomisti
e quelli inferiori) (107) non è necessaria poiché i Buddha aiutano gli esseri – i seguaci che non
conoscono la talità – con un ragionamento che è famoso a questi (esseri).
Chandrakirti indica anche tutto ciò con un esempio mondano: il suo "Parole Chiare" dice (109):
"E' solo da un ragionamento stabilito per se stessi, non da uno stabilito per altri (disputanti),
"ché in tal modo è visto nel mondo. Nel mondo, talora (una parte) prevale, mentre (l'altra)
"è sconfitta a causa delle parole di un giudice, che pure prende per valide entrambe;
"altre volte egli valuta soltanto la sua stessa parola, ma vittoria, o sconfitta, non dipendono
"dalla parola dell'altro. Proprio come accade nel mondo, così pure avviene nella logica,
"poiché soltanto le convenzioni del mondo sono adeguate per poter trattare con la logica…"
Considerare l'importanza di (essere) un Conseguenzialista in tal modo, è il perfetto pensiero del testo (di Chandrakirti). La "Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione" di Tzong Khapa, dice:
"Comprovare una tesi con un ragionamento che è stabilito per entrambe le parti,
"con valide cognizioni, come se fossero state precedentemente spiegate, è chiamato
"un ragionamento autonomo. Colui che comprova una tesi non in questo modo,
"ma tramite i tre aspetti (di un ragionamento) approvati dall'altra controparte,
"è considerato un Conseguenzialista. È chiaro che questa (spiegazione del significato
"dell'essere un Conseguenzialista) è il pensiero del Maestro (Chandrakirti)…"
In quel caso, un Conseguenzialista può anche essere definito un Proponente della Scuola della Via di Mezzo il quale, senza accettare l'autonomia, asserisce che una coscienza inferente che conosce l'assenza di vera esistenza, è generata semplicemente tramite ciò che è approvato dalla controparte. Per di più, è opportuno dare la definizione di un Conseguenzialista come: un Proponente della Scuola della Via Mediana che non accetta, nemmeno convenzionalmente, i fenomeni che siano stabiliti in base alle loro proprie caratteristiche.
Inoltre, la radice conclusiva dei numerosi metodi non comuni dei Conseguenzialisti di considerare le due verità, è questa non-asserzione circa lo stabilire gli oggetti in base alle loro caratteristiche, nemmeno in maniera convenzionale. L'Autocommentario sul "Supplemento al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna" (110), di Chandrakirti dice (123):
"Gli studiosi possono accertarsi che, riguardo alla dottrina della Vacuità,
il sistema che appare in questo (trattato) –presentato insieme alle obiezioni
ed alle risposte verso gli altri sistemi – non esiste negli altri trattati."
Egli intende dire che il suo stesso sistema (La Scuola della Conseguenza) non deve essere confuso con i commentari degli altri Proponenti della Scuola della Via di Mezzo (come quelli degli Autonomisti, incluso Bhavaviveka). Volendo spiegare il significato di questo passaggio, il Più Venerabile Grande Essere (Tzong-Khapa) afferma nel suo "L'Essenza della Buona Spiegazione" (124):
"Nel sistema proprio dei Conseguenzialisti, i fenomeni
che sono stabiliti per via delle loro caratteristiche proprie,
non sono asseriti reali nemmeno convenzionalmente,
al contrario di coloro (cioè i Proponenti della vera esistenza)
che considerano (tutti i fenomeni) solo nel contesto di questo
(lo stabilire gli oggetti per via delle loro caratteristiche proprie)."
"Anche i primi studiosi Tibetani usarono, per i Conseguenzialisti, il termine "Proponenti
Totalmente Non-Dimoranti della Scuola della Via di Mezzo". Questa è una dichiarazione
che appare nel "Saggio sugli Stadi di Coltivazione della Mente Assoluta di Illuminazione"
del maestro Shura (cioè Asvaghosha) (126).
"Attraverso sinonimi per indicare la Vacuità
(Talità, Quiddità o Realtà Assoluta) e così via,
Illimitati esempi che hanno somiglianza con
Le illusioni create da un mago, oppure sogni,
Miraggi e così via e gli abili mezzi di una varietà
Di veicoli, (il Buddha) caratterizzò il significato
Della Via di Mezzo che è Non-Dimorante
(In nessun estremo né grosso né sottile)."
Per di più, nei rapporti di dichiarazioni del Maggiore tra gli Anziani (Atisha), appare questa convenzione (del chiamare i Conseguenzialisti "Proponenti Totalmente Non-Dimoranti della Scuola della Via di Mezzo), mentre non appare quella del Principale Padre (Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub) (127) la rifiutarono.
Malgrado vi siano almeno un paio di studiosi che affermano che il testo di Shura non fu scritto dal maestro Shura (Asvaghosha), questa tesi è così assimilata da essere meramente senza prove. Sembra che tutti i grandi "carri" (cioè le guide che tracciarono un sentiero) della nevosa terra del Tibet, come pure tutti i suoi studiosi (Ghelugpa) ed adepti che apparvero negli anni, l'accettassero come valida.
Una descrizione delle diverse divisioni interne nella Scuola della Conseguenza nella Via di Mezzo, come quella degli Autonomisti, non appare in nessun altro testo e nemmeno fu mai vista una simile spiegazione dal Padre Superiore e dai suoi figli spirituali (Quindi, non vi furono sottoscuole di un certo valore all'interno della Scuola della Conseguenza).
2) IL SE'
Questa sezione ha quattro parti: come stabilire la visione delle basi, i lineamenti di come, in dipendenza di ciò, è fatta una presentazione delle due verità, come progredire sul sentiero ed i frutti (del sentiero). Qui è tradotta solo la prima parte.
Come Stabilire la Visione delle Basi
Questa sezione ha due parti: spiegare ciò che è negato in relazione a quali basi e stabilire l'assenza del sé che è la negazione dell'oggetto negato.
Cosa è negato in relazione a che. I Proponenti della Sola-Mente e dell'Autonomia asseriscono che i due <sé> - per mezzo della cui negazione nelle persone e nei fenomeni, le (due) assenze del <sé> sono stabilite – sono differenti e che anche le modalità per concepirli sono differenti. Quindi, benché uno realizzi l'assenza sottile del sé delle persone (così come presentata dai Proponenti della Sola-Mente e dell'Autonomia) non è necessariamente il caso in cui uno dovrebbe anche aver conosciuto l'assenza sottile del sé dei fenomeni. Così essendo, (i Proponenti della Sola-Mente e dell'Autonomia) asseriscono che non è necessario realizzare l'assenza sottile del sé dei fenomeni, allo scopo di ottenere la mera Liberazione.
Questo sistema (Conseguenzialista) asserisce che è necessario riconoscere l'assenza sottile del sé, per arrivare ad ottenere una qualsiasi delle Tre Illuminazioni (di un Uditore, di un Realizzatore Solitario o di un Buddha). In quanto è detto nei Sutra della Perfezione della Saggezza (137) che coloro che fanno distinzioni circa la vera esistenza (138) non saranno liberati. Shantideva afferma (139), "Le Scritture dicono che senza questo Sentiero non vi è illuminazione!"
Quindi, le due 'assenze del sé' sono differenziate per via delle basi che possiedono gli attributi (dell'assenza del sé), le persone e gli altri fenomeni quali gli aggregati (mentali e fisici). Non è asserito che esse siano differenziate dal punto di vista di due diversi non-esistenti<sé>. Proprio come una vacuità di vera esistenza di un fenomeno, come un aggregato (mentale o fisico), è considerata un'assenza del sé di un fenomeno, così una vacuità di vera esistenza di una persona deve anche essere considerata come un'assenza del sé di una persona. Perché il ragionamento (di far così in entrambi i casi) è lo stesso. E questo è il pensiero (della Scuola Conseguenza). Perciò, Il Supplemento di Chandrakirti al Trattato della Via di Mezzo (di Nagarjuna), dice (143):
" Per far si che gli esseri trasmigratori si liberino (dalle ostruzioni afflittive e
dalle ostruzioni all'onniscienza), fu stabilita fermamente quest'assenza del sé
nel suo duplice aspetto, a motivo di una divisione in fenomeni e persone…"
Qual è il <sé> che deve essere negato nelle persone e negli altri fenomeni? Il "Commentario di Chandrakirti sul "Quattro Centinaia" di Aryadeva" dice:
"In questo caso, <sé> è una natura inerente (146) dei fenomeni, vale a dire
quando non vi è dipendenza uno dall'altro. La non-esistenza di questo <sé>
è ciò che si chiama "assenza del sé". L'Assenza del Sé è realizzata in duplice
essenza, tramite una divisione in fenomeni e persone- vale a dire che vi è
un'assenza del sé dei fenomeni ed un'assenza del sé delle persone".
"Perciò, se la base è una persona o un fenomeno, l'innato modo di concezione del <sé> è di concepire che esso esiste oggettivamente, per mezzo della sua propria entità e non che esso sia stabilito tramite la forza della concettualizzazione… L'oggetto concepito di questa concezione, è il <sé> che deve essere negato in questa occasione ed è l'ipotetica misura della vera esistenza. "I Proponenti della Scuola Autonoma della Via di Mezzo, fanno una distinzione rifiutando le tre forme di esistenza – vera esistenza, esistenza ultima e quella dovuta alla propria realtà (150) – ma non rifiutando le altre tre – quella inerente, quella dovuta alle proprie caratteristiche e quella dovuta alla propria entità (151). Tuttavia, in questo Sistema (della Conseguenza), tutte queste forme di esistenza, dalla prima all'ultima, sono dichiarate avere tutte il medesimo significato…" Perciò, il testo "Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo" (chiamato anche "L'Essenza della Buona Spiegazione") di Tzong-Khapa, afferma: - L'esistenza di un modo oggettivo di sussistenza, (significa) un'entità indipendentemente autopotenziata".
"Poiché è affermato che autonomo (153) ed autopotenziato (154) sono sinonimi, quando gli Autonomisti della Via di Mezzo sostengono che le tre modalità (155) (di un ragionamento) sono stabilite dalla loro propria parte, ciò ha il completo significato di "vera esistenza", in questo sistema (della Scuola Conseguenzialista). Il testo "Quattro Centinaia" di Aryadeva (156) stabilisce: 'poiché tutte queste non sono autopotenziate, non vi è il <sé> (l'esistenza inerente)'. Inoltre, nel Commentario di Chandrakirti sulle Quattro Centinaia di Aryadeva, è detto che tutte queste hanno l'identico e medesimo significato di: –entità propria, esistenza inerente, autopotenziamento e non-dipendenza da qualcos'altro" (157).
Domanda: Poiché il sé che è stato rifiutato in questa occasione è (una cosa) che esiste per via di un modo di sussistenza non sostenuto tramite la forza della concettualizzazione, nella frase predetta a quale concettualità ci si riferisce? Come sono le cose che si appoggiano alla loro stessa forza? Qual è la differenza tra questa e l'affermazione della Scuola Autonomista, che non esiste un modo di sussistenza che non sia poggiato tramite la forza di una consapevolezza?"
Risposta: Riguardo al modo in cui le cose sono sostenute tramite la forza della concettualizzazione, il testo delle Quattro Centinaia di Aryadeva, afferma:
"Senza (imputazione da parte) della concettualità (come nel caso
dell'imputazione di un serpente sulla corda), non si può trovare
l'esistenza del desiderio e così via. Se così fosse, chi potrebbe mai
sostenere con intelligenza che un oggetto reale è prodotto (con una
dipendenza) dalla concettualizzazione? (Pertanto, essere imputati
dalla concettualità ed esistere per propria realtà, è contraddittorio).
Il Commentario di Chandrakirti, su questo passaggio sopradescritto, ci dichiara (161):
Non vi è dubbio che ciò che esiste meramente a causa dell'esistenza
della concettualità e che non esiste senza questa stessa concettualità,
come un serpente che è imputato su una corda avvoltolata, deve venir
accertato in modo non convalidato a motivo della sua propria entità".
"Quindi, concettualità (in questo caso si riferisce) a questa nostra ordinaria e innata consapevolezza che propone designazioni di forme e così via, essendosi abituata in maniera continuativa, da tempi senza inizio, a pensare ancora e ancora – Questa è una forma; questa è una sensazione; questa è una persona…e così via –
(L'esempio della corda e del serpente illustra) come le cose sono stabilite tramite la forza (di una ordinaria concettualità innata). Quando su una corda cala l'oscurità, essa è immaginata come se fosse un serpente, poiché la forma e i variegati colori della corda ed il modo in cui è arrotolata, la fanno sembrare un serpente ed in più essa è vista in un luogo indistinto. In quel momento, né il colore della corda, la sua forma, le sue altre parti, e nemmeno la
riunione di queste sue parti, si possono stabilire come un qualcosa che sia un serpente (167). Il serpente visto in questa occasione, è soltanto una mera designazione, imputata dalla concettualità, in dipendenza dall'aver visto (in modo erroneo) una corda".
Similmente, quando il pensiero <Io> sorge sotto forma dei cinque aggregati (mentali e fisici), che sono le sue basi di designazione, né gli aggregati individualmente presi, né il loro raggruppamento, né il loro <continuum> e neppure le loro parti, possono essere stabilite come qualcosa che sia un <Io> (168). In più, non vi è il benché minimo fenomeno, che sia un'entità separata da quegli aggregati (mentali e fisici) e che possa essere appreso come un qualcosa che sia un <Io>. L'Io è meramente stabilito soltanto dalla concettualità, in dipendenza degli stessi aggregati.
Benché il modo in cui tutti i fenomeni sono imputati dalla concettualità sia, in siffatta maniera, come l'imputazione di un serpente sulla corda, quest'ultimi due nonché tutti i fenomeni, come le forme, non sono proprio la stessa cosa, riguardo al fatto se essi esistano convenzionalmente o no. In quanto, poiché essi sono diversi nei termini di stabilire se la cognizione valida convenzionale sia o meno dannosa all'asserzione, fatta in accordo con ciò che deve essere imputato.
Inoltre, riguardo a come i fenomeni siano mere imputazioni nominali, ci si impegni nell'adottare le virtù e nel rifiutare le non-virtù, che pure dipendono sulle mere nominalità, che sono convenzioni designate su tali fenomeni, come le forme, ecc., pensando "Questa è una forma", oppure "Questa è una sensazione" e così via, e con ciò vengono portati a termine gli scopi desiderati. Per di più, in un contesto di mera concettualità, sono possibili tutte le affermazioni e le negazioni di esattezza ed inesattezza, ecc., come pure tutti gli agenti, le azioni, e gli oggetti. Tuttavia, se uno non è soddisfatto dalle mere nominalità e si accinge ad una ricerca, onde trovare l'oggetto imputato sotto l'espressione "forma" (cercando di scoprire) se può essere bloccato come colore, figura, o qualsiasi altro fattore, oppure l'associazione di tutti questi, e così via, costui non potrà trovare alcunché, e tutte le presentazioni (dei fenomeni) diventeranno alla fine impossibili.
Presentare ciò che è o non è corretto, nel contesto delle mere nominalità, è quanto mai possibile. Per esempio, c'erano due contadini che stavano recandosi in città per vedere ciò che c'era di bello. Essi entrarono in un tempio e cominciarono ad osservare i dipinti, allorché uno di essi disse: "Questo qui che reca un tridente in mano è Narayana; quest'altro che in mano tiene una ruota è Maheshvara". L'altro villico disse: "Sei in errore; quello che regge il tridente è Maheshvara, invece l'altro che tiene la ruota è Narayana". E così cominciarono a litigare.
Li vicino vi era un sant'uomo errante. Essi si recarono da lui e ciascuno espose il proprio pensiero. Il pellegrino pensò, "Essendo affreschi su un muro, questi in realtà non sono né Maheshvara né Narayana". Sebbene egli sapesse questo, ancora non disse: "Questi non sono gli dèi che dite, ma sono solo dipinti". Invece, in conformità con le convenzioni del mondo, egli affermò ai due paesani che uno di essi aveva ragione e l'altro torto. Grazie al suo parlare, quindi, i desideri dei due contadini furono esauditi ed anche il pellegrino non incorse nella disgrazia di poter dire una bugia.
Similmente, benché tutti i fenomeni non abbiano un'oggettiva costituzione, presentazioni come "Questo è giusto e questo è sbagliato", sono possibili in un contesto di mere nominalità. Benché il Vittorioso Supermondano (cioè il Buddha) vede che tutti i fenomeni non esistono in modo reale, perfino lui insegna che bisogna adottare le virtù e rifiutare le non-virtù, usando la terminologia del mondo, allo scopo di far accadere che tutti gli esseri che trasmigrano possano averne i benefici.
"Questo modo (di presentare le nominalità) fu insegnato da Buddhapalita, un grande maestro che ottenne i Siddhi (poteri yogici), nel suo Commentario al diciottesimo capitolo del "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna. Inoltre l'Onorevole Chandrakirti ed il Reverendo Shantideva, grazie a numerosi ragionamenti ed esempi, spiegarono anche altri metodi in cui l'agente, l'oggetto e l'azione sono adattabili all'interno di un contesto di mere nominalità. Qui, io non elaborerò più di tanto quest'argomento.
Questa presentazione delle convenzionalità è il metodo non comune in cui i tre Maestri (Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva) hanno commentato il diretto pensiero dell'Eccellente Superiore (cioè Nagarjuna). Il Migliore tra i Padri Onniscienti (Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub) furono sovente dell'avviso che soltanto questo è il difficile punto finale della Visione della Scuola della Via di Mezzo.
Riguardo a questo metodo (di presentare le convenzionalità), il Sutra "Le Domande di Upali" dice (170):
"Quegli allettanti e meravigliosi fiori che sbocciano in svariati colori
E quelle brillanti ed affascinanti dimore intarsiate di oro prezioso,
Sono qui del tutto senza un fabbricatore (inerentemente esistente)
Perché sono stabilite soltanto tramite il potere della Concettualità;
il mondo stesso è imputato grazie al potere della nostra concettualità."
Ed il "Sutra del Re della Stabilizzazione Meditativa" afferma (171):
"Il Nirvana non può essere trovato/ Nel modo in cui il Nirvana è insegnato,
"in cui, a parole, si dice che è profondo / Le parole stesse non hanno fondamento…"
Ed il "Sutra Perfezione della Saggezza" aggiunge:
" Il metodo è questo: Questo "Bodhisattva" è soltanto un nome.
Ed è proprio questo il metodo. Questa "Illuminazione" è soltanto un nome,
e proprio questo è il metodo. Questa "Perfezione di Saggezza" è solo un nome…
E la "Preziosa Ghirlanda" del Superiore Nagarjuna, afferma che il "solo nome", non esiste in modo ultimo (172):
Poiché tutti i fenomeni composti di forme, sono "solo nomi",
Perfino lo stesso spazio, a questo punto, è solamente un nome.
Senza gli elementi, come potrebbero le forme esistere (inerentemente)?
Perciò perfino il "solo nome " non può (inerentemente) esistere.
Ed il Consiglio della Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna (173) dice anche che, eccetto ciò che è meramente stabilito dal potere delle designazioni nominali, nessuna cosa assolutamente esiste:
"Oltreché come una convenzione,/ Quale mondo può esservi, infatti
Che dovrebbe essere "esistente" o "non esistente" (inerentemente)?"
In base ad una non comprensione di questi ragionamenti, gli Autonomisti della Via di Mezzo e gli inferiori (cioè, i Proponenti della Sola Mente, i Proponenti dei Sutra e i Proponenti della Grande Esposizione) sostengono che quando è imputata l'espressione, "Questa persona ha fatto queste cose", si può stabilire un "accumulatore di azioni" (174) e così via, solo se arriva ad esserci qualcosa di stabilito, come una persona dopo averla trovata – per esempio come una parte, una aggregazione di parti, oppure il "continuum" tra le basi di designazione (di tale persona). Se non si può trovare nulla (di tutto ciò), non può essere stabilito ("un accumulatore di azioni"). È la stessa cosa anche per la Scuola dei Sutra, che stabilisce come spazio, la negazione non-affermativa che esso non sia che una mera eliminazione di una qualunque tangibilità ostruttiva; ed è la medesima cosa anche nelle presentazioni dei sistemi superiori (con l'eccezione dei Conseguenzialisti).
In questo sistema (della Scuola Conseguenza), è ammissibile, senza dover in tal modo ricercare e trovare l'oggetto designato, stabilire ogni agente nonché le azioni, come nel caso di una persona (che sia) un accumulatore di effetti (legge del Karma). Questa è una meravigliosa raffigurazione distintiva (della Scuola della Conseguenza).
Gli Autonomisti sostengono che (nella frase) "Un modo di sussistenza, non stabilito tramite la forza di una consapevolezza, deve essere preso come l'oggetto da negare (dal punto di vista dell'assenza del sé)", la parola "consapevolezza" si riferisce ad una coscienza non erronea e non ingannevole. Tuttavia, nell'asserzione fatta dai Conseguenzialisti, circa i fenomeni e del loro essere stabiliti tramite la forza della concettualizzazione, la concettualità è dichiarata essere una forma di coscienza errata. Ragion per cui, essi non sono d'accordo.
Quindi, i Conseguenzialisti stabiliscono perfino il mero <Io> o la mera persona, come oggetto di osservazione di un'innata (e falsa) visione della aggregazione transitoria (175) (che sia alla stregua di un <sé> esistente inerentemente); essi, perciò, non considerano gli aggregati (mentali e fisici), ecc., come i loro oggetti (di osservazione). L'oggetto di osservazione di un'innata (falsa) visione dell'aggregazione transitoria che concepisce <il mio> in maniera sbagliata, è lo stesso <mio>. Una coscienza, che concepisce il continuum delle altre persone, come se fossero stabilite dalla loro parte a causa delle loro proprie caratteristiche, non è una innata ( e falsa) visione dell'aggregazione transitoria, ma una innata concezione di un <sé> delle persone.
Gli oggetti dell'innata concezione di un <sé> dei fenomeni, sono gli aggregati della forma, e così via, sia che questi siano o meno inclusi nel (vostro) continuum mentale. Sebbene in questo modo gli oggetti di osservazione di una coscienza che concepisce il SE' delle persone ed una coscienza che concepisce il SE' dei fenomeni siano differenti, i loro aspetti soggettivi sono identici, dato che (entrambe) concepiscono che l'oggetto è stabilito a causa delle sue proprie caratteristiche. E, quindi, non vi è errore nella sua (assurda) conseguenza sul fatto che vi siano due modi discordanti di concezione, i quali sono le radici dell'esistenza ciclica.
Il modo in cui un'innata coscienza, che concepisce la vera esistenza, concepisce una persona inerentemente esistente, nel contesto degli aggregati di forma, e così via, è di non concepire così, avendo essa analizzato se la persona (e gli aggregati fisici e mentali) siano identici o siano diversi. Piuttosto, essa concepisce così tramite la forza della ordinaria familiarizzazione, senza nessuna evidente ragione che sia. Questa innata coscienza non ha alcun modo in cui poter concepire l'uguaglianza, la differenza, e così via (nei confronti della persona e degli aggregati fisici e mentali). Quindi, il Più Onnisciente di Tutti (Tzong-Khapa) parlò spesso anche della innata concezione non-analitica della vera esistenza.
Sebbene perfino una coscienza che concepisca l'esistenza come reale, è stabilita come un oggetto da doversi rifiutare tramite il ragionamento, il principale (oggetto da rifiutare per mezzo di questo ragionamento) è lo stesso oggetto concepito (vale a dire l'esistenza inerente).
Per distinguere i punti salienti di queste presentazioni, è necessario correlarsi sulle numerose raccolte causali – istruendosi nei dettagli dei maggiori testi, come pure collegandosi per lungo tempo, con un saggio istruttore spirituale che abbia completamente penetrato le istruzioni del Padre Superiore (Tzong-Khapa), dei suoi spirituali figli (Ghyeltsab e Kedrup) e così via…Questi argomenti non sono dominio di quei professori vanitosi influenzati da assurde meditazioni o di quei professori sempre interessati a pubbliche conferenze, che sprecano in tal modo la loro vita umana, meditando con critiche rivolte all'esterno, come se quello, per loro, fosse veramente lo stato supremo.
3) SCOPO DEL RAGIONAMENTO
STABILIRE L'ASSENZA DEL SE' CHE E' LA NEGAZIONE DELL'OGGETTO DI NEGAZIONE.
Questa sezione contiene due parti: un'identificazione dei principali ragionamenti che rifiutano l'oggetto di negazione e in che modo questi ragionamenti rifiutano l'oggetto di negazione, cioè i due aspetti del <SE'>.
Identificazione dei ragionamenti principali per rifiutare l'oggetto di negazione
Anche questa sezione ha due parti: lo scopo di rifiutare l'oggetto di negazione tramite il ragionamento e una identificazione dei principali ragionamenti.
Scopo del Rifiuto dell'Oggetto di Negazione
Essendo di ciò preoccupato, l'Onorevole Superiore Nagarjuna preparò un Commentario sul pensiero dei Sutra definitivi e, altri due che chiarirono quest'argomento, a loro volta facendo commentari in esatta concordanza col suo significato, furono Buddhapalita e Chandrakirti. Inoltre, anche il grande maestro Shantideva ne espose in accordo con quest'ultimi due. In accordo con le asserzioni di quei tre grandi Condottieri del Veicolo, è il pensiero dei Sutra della categoria della Perfezione della Saggezza che, senza nemmeno considerare l'onniscienza, affermano che bisogna necessariamente realizzare la vera realtà delle persone e dei fenomeni (vale a dire, la Talità), allo scopo di ottenere (182) la pura e semplice liberazione dall'esistenza ciclica (cioè dal samsara). Perciò, i brani nei Sutra Perfezione della Saggezza affermano che 1) coloro che fanno discriminazioni circa la vera esistenza (183) non sono liberati, 2) che tutti i perfetti Buddha del passato, presente e futuro, come pure tutti coloro che sono Entrati nella Corrente, giù fino ai Realizzatori Solitari, otterranno (ai loro rispettivi livelli) in dipendenza dalla loro perfezione di saggezza, e 3) che 'anche coloro che vogliono addestrarsi nei livelli degli Uditori, dovrebbero addestrarsi in questa perfezione di saggezza', ecc. Questo è altresì il pensiero del Superiore Nagarjuna, per cui il suo "Sessanta Stanze di Ragionamenti" (184) insegna che non può esservi liberazione per coloro che sono caduti nei due estremi (vale a dire, l'esistenza inerente, da una parte, e l'assoluta non-esistenza, dall'altra).
- " Tramite la visione di esistenza inerente, non ci si può liberare;
ma anche tramite la visione di nessuna esistenza di tipo nominale,
non può esservi che l'esistenza ciclica (vale a dire : IL SAMSARA)"
E, dunque, Nagarjuna (nelle Sessanta Stanze del Ragionamento) afferma che le persone Superiori sono liberate dall'esistenza ciclica tramite la non-erronea conoscenza della "talità" (cioè vera realtà) delle cose e anche delle non-cose, esprimendolo in questo modo:
- Attraverso la completa conoscenza delle cose e delle non-cose,
un grande Essere, finalmente, così è liberato dal samsara –
Ed inoltre, nella Preziosa Ghirlanda, Consiglio per un Re, Nagarjuna stabilisce che i metodi per raggiungere gli stati più elevati (185) (cioè, la rinascita come umano o come un dio) si ottengono grazie alla fede ed alla convinzione, e che per mezzo di una tale fede come precursore, uno diventa un contenitore di saggezza, la quale poi è lo strumento per raggiungere definitivamente la bontà (186) (di libertà e di onniscienza). Egli aggiunge poi che la saggezza deriva dal conoscere che questi due: – l'Io e il Mio -, non esistono in modo ultimo e assoluto. Perciò, in base a questo ragionamento, egli afferma che quando uno sa che gli aggregati (mentali e fisici) non esistono in maniera reale, la concezione di un Io realmente e veramente esistente, alla fine è estinta.
Inoltre, egli afferma che finché gli aggregati sono concepiti come se fossero inerentemente esistenti e finché questa concezione non è estinta, l'esistenza ciclica non è superata; ed ancora, che quando questa concezione è finalmente estinta, l'esistenza ciclica è scavalcata.
Inoltre, egli afferma che tramite la visione di (un'assoluta) non-esistenza, una persona vaga in circolo in cattive trasmigrazioni, e che tramite la visione di un'esistenza inerente, uno vaga in circolo in trasmigrazioni felici e che, quindi, per essere liberi da entrambi questi due tipi di trasmigrazioni, uno deve comprendere la realtà che non è basata sui due estremi di esistenza (inerente) e nessuna esistenza (nominale). La Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna, dichiara: (187)
"Fintanto che un'errata comprensione degli aggregati, resiste,
così per tanto, quindi, esisterà una concezione errata dell'Io.
Inoltre, per tutto il tempo che esisterà l'errata concezione dell'Io,
vi sarà l'azione (Karma), e da questa vi sarà nascita ( e morte).
… E il testo " L'Elogio dell'Ultramondano" di Nagarjuna, dice:
…Tu, o Buddha, hai insegnato che senza aver realizzato
l'assenza di qualsiasi Segno, non vi è Liberazione!"
…E così via… Questi brani della "Preziosa Ghirlanda" e delle "Sessanta Stanze", provano principalmente che la realizzazione della vacuità sottile è necessaria definitivamente per un sentiero, che abbia l'effetto di dover portare un individuo alla Liberazione dall'esistenza ciclica. Perciò, L'Oceano del Ragionamento, Spiegazione del "Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna" di Tzong-Khapa, dice:
"In questo "Elogio dell'Ultramondano" ed anche negli altri due
(Le Sessanta Stanze sul Ragionamento e La Preziosa Ghirlanda
di Consiglio per il Re) vi sono invero numerosi insegnamenti
sulla talità dell'Originazione Dipendente, che è la negazione
dell'esistenza inerente tanto nelle persone che nei fenomeni.
Tuttavia, essi appaiono come ramificazioni che comprovano
l'asserzione principale – che il comprendere che il significato
della realtà non si basa sui due estremi, è la ragione necessaria
di un sentiero definitivo che libera uno dall'esistenza ciclica."
Inoltre, è necessario realizzare la <Talità> con una mente che sradichi l'errato modo di comprensione di una coscienza innata che concepisce il <sé>. Semplicemente non aderendo con la mente ai due tipi di <sé> (cioè all'esistenza inerente della persona ed all'esistenza inerente degli altri fenomeni) o anche semplicemente impedendo alla mente di dirigersi verso gli oggetti esterni, non può essere stabilito che uno abbia realizzato la vacuità. Poiché, altrimenti, per assurdo ne dovrebbe conseguire che perfino (una tale mente così) quando dorme o è svenuta, ecc. avrebbe realizzato la Vacuità.
Tutti i Grandi Condottieri del Grande Veicolo hanno riferito – ad una sola voce e con un solo pensiero – della necessità di rifiutare in modo analitico l'esistenza inerente." Aryadeva disse:
< Quando l'assenza del sé è vista in tutti gli oggetti,
i semi dell'esistenza ciclica sono finalmente distrutti>.
E, l'Onorevole Chandrakirti (196), disse:
< Le concezioni estreme sorgono insieme alle cose (cioè con una
coscienza che concepisce le cose come esistenti inerentemente).
E' stato più volte completamente analizzato, il fatto che
tutti i fenomeni non esistono in maniera inerente>.
Ed anche il maestro Bhavaviveka, ha affermato che:
< Con la mente in equilibrio meditativo, in tal modo
la Saggezza analizza le entità di questi fenomeni, che
sono concepiti solamente in maniera convenzionale>.
Inoltre, anche il Venerabile Shantideva così disse:
< Quando queste cose sono cercate nella loro realtà,
Chi è attaccato e in che cosa vi è attaccamento?> etc.
Ed infine, lo stesso glorioso Dharmakirti, aggiunge:
< Senza smettere di credere agli oggetti, di quest'errata
concezione, è impossibile abbandonare questa falsità!>
Quindi, uno deve analizzare bene cos'è ciò che è concepito erroneamente da una coscienza che concepisce (persone e fenomeni) come i due tipi di <sé> inerentemente esistenti. Dopo aver analizzato ciò, è necessario determinare un crollo di questa falsa costruzione dell'errore, per mezzo dell'indurre una convinzione tramite le pure scritture ed il ragionamento in cui si può capire che (le cose ) non esistono così come esse sono concepite da questa (erronea coscienza). E che per questo, è necessario un eccellente e indispensabile metodo essenziale (del sentiero). Quindi, è importante analizzare ancora e ancora, con la saggezza di una continua investigazione personale.
In tal modo, il Sutra Superiore del Gioco di Manjushri, dice anche (198):
" Oh figlia, come un Bodhisattva potrà essere vittorioso nella battaglia?-
- Manjushri, quando sono analizzati, tutti i fenomeni sono introvabili!"
Ed il Sutra Superiore del Re della Stabilizzazione Meditativa dice (199):
"Se viene analizzata l'assenza del sé dei fenomeni,
- e se quest'analisi è coltivata nella meditazione,
ciò causa l'effetto di ottenere il Nirvana. In nessun
altro modo è possibile ottenere come causa, ciò che
riesce a portare la pace nel cuore di qualcuno".
Ed il Sutra Superiore della Nuvola di Gioielli, afferma (200):
"Analizzare con una speciale visione interiore profonda e
dopodiché realizzare la mancanza di essenza inerente,
equivale ad entrare nella "Assenza di Segni".
Inoltre, il Sutra Le Domande di Brahma, afferma (201):
"Coloro che investigano i fenomeni in modo appropriato,
sono detti 'Intelligenti', ciascuno al suo livello individuale"
Quindi, in generale, i Grandi Condottieri hanno stabilito,- tramite rifiuti e approvazioni – molte vie di ragionamento che differenziano, oltre alla parola del Conquistatore, ciò che è definitivo e ciò che richiede interpretazione. In particolare, le dichiarazioni di vari modi di ragionare, per delineare la Talità, furono fatte soltanto allo scopo di portare all'Illuminazione coloro che sono destinati ad entrare nel fortunato sentiero verso la Liberazione. Non furono fatte per interessarsi ai dibattiti e dispute. Dal Commentario di Buddhapalita sul Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, si legge (202):
"Qual è lo scopo dell'insegnamento dell'Originazione-Dipendente?
Il Maestro Nagarjuna, la cui natura è la Compassione, disse che gli
Esseri senzienti, sono tormentati ed oppressi da svariate sofferenze;
per poterli liberare da queste, Egli si assunse il compito d'insegnare
la vera Realtà delle cose, proprio così come essa è; per questo motivo,
decise di dare avvio all'insegnamento dell'Originazione-Dipendente.
E, da parte sua, Il Supplemento di Chandrakirti, afferma inoltre (203):
"Le analisi fatte nel Trattato di Nagarjuna, non sono per attaccarsi
alle dispute, ma soltanto per la Liberazione; esse insegnano la Vacuità!"
Ed il Migliore tra i Grandi Esseri (Tzong-Khapa), a sua volta, dichiara:
"Tutte le svariate e ragionate analisi stabilite nel Trattato Via di Mezzo
di Nagarjuna, sono soltanto per la salvezza di tutti gli Esseri senzienti!"
Si dovrebbe comprendere bene, ciò che deve essere escluso di fare, con le parole <non per il piacere di attaccarsi alle dispute > nella prima frase e con < soltanto >, nella successiva e conclusiva frase.
In generale, l'analisi di investigazione individuale che accompagna Scritture valide e ragionamento, come strumenti d'attestazione (204), è importante sia che voi lo ascoltiate, che lo pensiate o che lo meditiate. Per di più, se la vostra pratica è congiunta con le speciali motivazioni causali e continuative, che coinvolgono direttamente queste analisi come mezzi per poter ottenere, sia voi stessi e sia gli altri, liberazione ed onniscienza, voi sarete in pieno accordo col significato di ciò che, tanto l'Insuperato Maestro (il Buddha) stesso, quanto tutti i grandi Condottieri, insegnarono con grandi sforzi ed energia. Perciò, coloro che vogliono il benessere, è giusto che si sforzino in questo modo.
Il massimo dell'udire (207), pensare e meditare, come pure spiegare, dibattere e scrivere, fatto da coloro che si vantano di praticare il Dharma e si vantano di aiutare l'insegnamento del Buddha, è non solo inutile per se stessi e gli altri, ma è anche causa di contaminazione per il loro continuum mentale, per le molte azioni malvagie che si frammischiano con la Dottrina. Dovrebbe essere compreso che, alla fine, coloro che pensano che stanno rispettando l'insegnamento tramite il lottare, il litigare, il tirare pietre o altro (208), e il brandire armi e bastoni, a causa della motivazione impura, sono soltanto come una medicina che è andata a male, diventando un veleno, oppure come divinità che si sono trasformate in demoni.
Per questo motivo, Aryadeva disse che uno allontana la sofferenza dell'esistenza ciclica, anche se soltanto ha dei dubbi riguardo alla verità della profonda natura dei fenomeni(209).
"Coloro che hanno pochi meriti, non hanno dubbi su questa dottrina.
Anche semplicemente avendo dei dubbi, il samsara è ridotto a brandelli".
E, in particolare, il glorioso Chandrakirti dice (211) che al tempo della fine degli insegnamenti del Buddha, è davvero una grande fortuna avere anche un semplice interesse – anche solo per un momento – in questi argomenti così profondi. Egli, infatti, dichiara:
"In questa era tumultuosa, in cui il buddhismo è destituito del
significato essenziale insegnato dall'Onnisciente, chiunque si
ponga il merito di schiarire le due direzioni della mente, anche
solo per un momento e riconosca la vacuità, è un fortunato!"
Il Capitolo "Ammansire i Demoni" (212) del Ajatashatru Sutra (213), afferma che, poiché l'avere interesse in questa profonda natura dei fenomeni, purifica perfino le ostruzioni karmiche che porterebbero ad una istantanea rinascita negli inferni (214), qual è la necessità di menzionare qui le sue meno purificanti infrazioni (di riti ed etica)?
Essendovi ben convinti di ciò, voi dovreste sforzarvi per espandere questa potenzialità (nel vostro continuum) di questo tipo di dottrina. Perciò, il Più Grande degli Esseri dice:
"Quindi, voi dovreste piantare semi di voler ascoltare i testi,
memorizzandoli, pensando a come meditare sul loro significato,
avendo nel contempo fiducioso interesse (nella profonda vacuità)
in tutte le vostre vite, all'interno di una vantaggiosa convinzione
nella Legge di causa ed effetto e dell'Originazione-Dipendente.
IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI RAGIONAMENTI
In generale, le innumerevoli forme di ragionamenti, che servono per accertare l'assenza
del <sé> e che sono state stabilite nei testi della Via di Mezzo, sono incluse all'interno di
due tipi: ragionamenti per accertare l'assenza del <sé> delle persone e ragionamenti per
accertare l'assenza del <sé> dei fenomeni. Ciò è dovuto al fatto che le basi di adesione ai
due tipi di <sé> - che sono il principio di ciò che trascina gli esseri nell'esistenza ciclica –
sono le persone ed i fenomeni e, quindi, le principali basi riguardo alle quali è accertata
l'assenza del <sé>, che deve altresì essere sia delle persone che dei fenomeni.
A tal riguardo, il testo di Tzong-Khapa "Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo", dice (215):
Le catene principali, che legano un individuo all'esistenza ciclica,
sono l'aderire ai due <sé>, 1) riguardo alla persona, che è oggetto
di osservazione che fa generare il pensiero <Io>, e 2) riguardo ai
fenomeni del continuum di quella persona. Pertanto, questi due
sono anche le basi principali, rispetto alle quali la concezione di
un <sé> è rifiutata tramite il ragionamento. Ne consegue quindi,
che anche i ragionamenti sono inclusi nel rifiuto dei due tipi di <sé>.
"Per di più, tra tutti quelli, il ragionamento principale per determinare l'assenza del <sé> dei fenomeni, è proprio il ragionamento che rifiuta qualsiasi produzione (che provenga) dai quattro estremi. Per cui, quando il Superiore Nagarjuna spiegò il pensiero contenuto nella frase del Sutra dei Dieci Livelli (216), in cui si afferma che un Bodhisattva entra nel Sesto Livello tramite le Dieci Identità, egli ha voluto intendere che, soltanto dimostrando col ragionamento che tutti i fenomeni sono identici, nel loro essere senza una produzione (inerentemente esistente), anche tutte le altre identità sarebbero state assai più facilmente dimostrabili. Di conseguenza, all'inizio del Trattato della Via di Mezzo, Nagarjuna dice (217):
"Non vi è alcuna produzione di sorta,
di nessuna cosa che si produca da sé
stessa, da altro, da entrambe, oppure
che sia totalmente senza cause…"
E, nel Supplemento al Trattato di Nagarjuna, del glorioso Chandrakirti, la dimostrazione del ragionamento per determinare l'assenza del <sé> dei fenomeni, è vista soltanto come ragionamento che intende rifiutare i quattro tipi estremi della produzione: - Se nulla può sorgere da se stesso, come potrebbe sorgere da qualcos'altro?… Coloro che analizzano questo, saranno rapidamente liberati – (218). Per questo motivo, Tzong-Khapa, nel suo Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo, dichiara (219): "Il principale ragionamento che comprova l'assenza del <sé> dei fenomeni è la ragione che rifiuta la produzione (proveniente) dai quattro estremi".
Il ragionamento principale per determinare l'assenza del <sé> della persona è il Settuplice Ragionamento di Chandrakirti, che si trova nel Supplemento al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, in cui è detto 1) che proprio come un carro non si può trovare tramite il cercarlo nei sette modi, ma è supposto ed imputato come essere esistente – imputato in dipendenza dalle sue parti – così una persona deve essere stabilita allo stesso modo, ed è detto che solo questo è il metodo per scoprire facilmente quella profonda visione (220).
"Ciò che non può esistere in questi sette modi,
come si potrebbe dire che esiste (inerentemente)?
Neppure gli Yogi possono trovare l'esistenza
realmente (inerente) di questo carro.
Dato che tramite questo (metodo, lo Yogi)
può penetrare facilmente dentro la Talità,
anche la costituzione di questo carro
dovrebbe essere accettata in questo modo".
E, 2) poiché in questo Supplemento di Chandrakirti, l'accertamento dell'assenza del <sé> delle persone è fatto solamente per mezzo del Settuplice Ragionamento, e 3) poiché anche nell'esimio testo di Tzong-Khapa Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo questo ragionamento è dichiarato come il principale (221).
Il ragionamento dell'Originazione-Dipendente è, in questo sistema, il principale di tutti i ragionamenti. Tutte le altre precedenti forme di ragionamento derivano proprio da quello sull'origine dipendente.
Ed ancora l'onorevole Chandrakirti, si esprime in questo modo (222):
"Dato che le cose sorgono in maniera dipendente,
esse non possono essere sostenute da queste concezioni
(di essere prodotte da se stesse, da altro, e così via).
Quindi, questo ragionamento sull'Originazione Dipendente
taglia ed elimina tutti gli intrecci delle visioni perverse."
È molto difficile realizzare in che modo, tutti gli altri ragionamenti debbano derivare da questo (cioè dal ragionamento sull'Originazione Dipendente) e non avere una così eccezionale capacità di troncare le trame delle visioni perverse, nello stesso modo come invece questo fa. Perciò, il Grande Padre (Tzong-Khapa) ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub) la elogiano, dicendo che il ragionamento dell'Originazione dipendente è il Re dei ragionamenti.
Il rifiuto della produzione dell'esistente e non-esistente ed il rifiuto di produzione delle quattro possibilità alternative sono ragionamenti che stabiliscono l'assenza del <sé> dei fenomeni. La mancanza di essere uno solo o molteplice, è applicato a entrambe le assenze del <sé> (di persone e fenomeni). L'insegnamento esteso del ragionamento in questione, cioè la mancanza di essere uno solo o molti, in base all'analisi delle quattro essenzialità, dichiarate nella "Piccola Esposizione degli Stadi del Sentiero" (223) di Tzong-Khapa, è basato sul diciottesimo capitolo del "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna. È perciò detto che questo capitolo spiega i significati di tutti gli altri ventisei capitoli del Trattato della Via di Mezzo, del sommo Nagarjuna, che è sistemato in livelli di pratica; allora (l'insegnamento dei Quattro Essenziali di Tzong-Khapa) fatto in questo modo, è veramente molto importante. Vi sono numerose ragioni perché sia così, ma io le lascerò per i tempi a venire.
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4 – RIFIUTARE IL SE' DEI FENOMENI
La presentazione di come questi ragionamenti rifiutino gli oggetti di negazione, cioè i due <sé>, comprende tre parti: 1) Ragionamenti che rifiutano il <sé> dei fenomeni, 2) Ragionamenti che rifiutano il <sé> delle persone, e 3) il Re dei Ragionamenti, cioè quello dell'Originazione-Dipendente, che rifiuta il <sé> tanto delle persone che dei fenomeni (224).
Ragionamenti che rifiutano il <sé> dei fenomeni
SPIEGAZIONE DEL RAGIONAMENTO DEI FRAMMENTI DI DIAMANTE, CHE RIFIUTA LA PRODUZIONE DEI QUATTRO TIPI ESTREMI (225)
Nagarjuna, nel suo Trattato sulla Via di Mezzo, presenta quattro tesi di non-produzione dai quattro estremi (226):
"Non vi è mai produzione di alcunché in nessun luogo,
Né da se stesso, da altro, da entrambi o senza causa."
Inoltre, queste quattro tesi sono negazioni meramente non-affermative, cioè non implicano nessun'altra possibilità di fenomeni positivi.
Domanda: - Perché sono state affermate solo quattro tesi?-
Risposta: - Se le cose fossero prodotte inerentemente, allora (questa produzione) sarebbe necessariamente una dei quattro tipi di estremi della produzione. A causa di questo fatto, se sono state stabilite queste quattro tesi, si evince facilmente che non può esservi produzione inerentemente esistente. Quindi, il ragionamento che rifiuta i quattro estremi (della produzione), è un ragionamento decisivo.
Obiezione: Quando si è rifiutata la produzione dei quattro tipi di estremi, se ciò fa implicitamente stabilire una negazione della produzione inerente, non ne consegue allora che queste tesi non siano negazioni non-affermative?
Risposta: Non può esservi una simile falsa deduzione. Per essere una negazione che affermi, una certa cosa dovrebbe implicare, o comprovare, un altro fenomeno che sia anch'esso positivo.
La ragione per cui, se vi fosse una produzione inerentemente esistente, essa sarebbe necessariamente una dei quattro tipi estremi di produzione, è che di sicuro quella produzione sarebbe tanto con una causa quanto senza una causa e, se essa fosse causata, sarebbe limitata a questi tre tipi – cioè produzione di un effetto che 1) sia della stessa entità delle sue cause, 2) sia di diversa entità rispetto alle sue cause, e 3) sia una composizione formata tanto dall'essere della stessa entità, quanto dall'essere di diversa entità, rispetto alle sue cause. L'Elevato Onnisciente (Tzong-Khapa), nell'affermare tutto ciò nella sua "Grande Spiegazione", sia del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, quanto del Supplemento di Chandrakirti – dà una spiegazione assai importante e valida, sulla base della sua esperienza di questi grandi testi. Comunque, sembra che la maggior parte di coloro che scrissero argomenti sulla Scuola della Via di Mezzo, li relegarono in una sorta di categoria di importanza minore. In ogni caso, essi ne discussero in maniera molto succinta.
Rifiuto della produzione da se stesso.
Il rifiuto della produzione ( di un effetto) da una causa che provenga dalla stessa entità (o da quel dato effetto) è questo: Se un germoglio che è stato prodotto, fosse prodotto ancora dalla sua stessa entità, quella produzione sarebbe senza senso. Perché, la stessa entità propria del germoglio, avrebbe già ottenuto esistenza ancor prima del tempo (dell'entità) delle sue cause. Vi è una inevitabile conseguenza del perché la produzione è (fatta) in maniera di avere come scopo l'ottenimento (da parte di un effetto) della sua propria entità.
Obiezione: Non si può ritenere contraddittorio che qualcosa abbia già ottenuto la sua propria entità,
ma dover ancora essere prodotta.
Risposta: Se il caso fosse questo, allora le continuità simili agli effetti– come i germogli – non potrebbero mai essere prodotte e le continuità simili alle cause – come i semi – sarebbero prodotte continuamente senza interruzioni, fino al termine dell'esistenza ciclica. Perciò, proprio ciò che era già stato prodotto, dovrebbe nuovamente essere prodotto ancora e ancora, come duplicato senza fine.
Il Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna, dice: (228)
Non può assolutamente esservi produzione di qualcosa (che sia prodotta) da se stessa.
Inoltre, la successiva produzione di ciò che è stato prodotto non è proprio ammissibile.
Se si pensa che ciò che è stato prodotto, possa essere prodotto ancora e nuovamente,
Non si potrebbe mai trovare produzione di quelle cose, tipo i germogli, qui nel mondo,
Ed un seme potrebbe solo essere prodotto alla fine dell'esistenza ciclica…
Riguardo a questo, poiché gli Shamkhya asseriscono che seme e germoglio sono mutualmente differenti, essi non asseriscono che un germoglio (230) è prodotto da un germoglio; ciononostante, essi asseriscono che la natura del germoglio e la natura del seme è la stessa ed è unica e che, perciò, le loro rispettive nature sono mutualmente l'una e l'altra. Di conseguenza, le erronee ragioni precedentemente spiegate si applicano (alla loro posizione).
Gli stessi Shamkhya non asseriscono ciò, ma poiché i due, seme e germoglio, per loro, sono una sola cosa con la natura inerente, il loro essere una cosa sola diventa il modo in cui seme e germoglio sussistono, mentre dovrebbero essere indifferenziati. I filosofi Shamkhya logicamente, sono stati costretti a tenere questa posizione, dopo di che la cui erroneità è stata dimostrata.
(Quando la produzione da sé) è stata rifiutata nel "Supplemento " di Chandrakirti e nel suo relativo Commentario, i ragionamenti usati sono stati quelli che egli ha fatto sia nel commento come pure in ragionamenti (citati) dal Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna. Il primo di essi è:
1) "Se la causa e l'effetto fossero un'unica entità, ne dovrebbe conseguire assurdamente che seme e germoglio non differirebbero rispetto alla loro forma, colore, sapore e capacità…"
2) Ancora, ne conseguirebbe (assurdamente) che quando il suo precedente stato (cioè, come seme) è stato perduto, la natura unica del seme e del germoglio dovrebbe anch'essa essere perduta.
3) Ne conseguirebbe (assurdamente) che durante ciascuno degli stati di seme e germoglio, sia il seme che il germoglio sarebbero insieme ugualmente conoscibili, oppure non lo sarebbe nessuno dei due.
4) La rinomata usanza mondana condanna (quella posizione) che dichiara che il seme ed il germoglio siano di un'unica natura.
Rifiutando la produzione da sé, (Chandrakirti) usa anche i ragionamenti del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna, cioè che ne conseguirebbe (assurdamente) che il produttore ed il prodotto sarebbero una sola cosa, e che le tre cose – azione, agente e oggetto – sarebbero una sola cosa (234).
Rifiuto di produzione da altro
"Altro", nella frase "produzione da altro" non significa semplicemente "un'altra cosa"; ma è un "altro" stabilito per via delle stesse sue proprie caratteristiche. Inoltre, coloro che propongono la produzione da un'altra cosa, asseriscono che allo stesso modo in cui un chicco di riso è così stabilito, per via delle sue proprie caratteristiche, come diverso da un germoglio di riso, che è il suo proprio effetto, così anche cose come il fuoco ed il carbone sono stabilite, per via delle loro proprie caratteristiche, come diverse quanto il germoglio di riso. Se questi due modi di essere diversi sono asseriti come essere simili, allora una densa oscurità che (si suppone essere) rischiarata (dalla luce) sarebbe (per assurdo) sorta anche da una fiamma splendente che (si suppone) debba rischiarare (l'oscurità), e nessuna cosa proverrebbe da un qualcosa d'altro, tanto se essi siano causa ed effetto o meno. In quanto essi avrebbero tutti una uguale diversità, che è stabilita dalle loro proprie caratteristiche. Questo è il ragionamento insegnato nel ventesimo capitolo del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna (237):
"Se la causa e l'effetto avessero diversità,
tanto la causa che la non-causa sarebbero eguali"
Questo ragionamento è insegnato anche nel Commentario di Buddhapalita, riguardo a questo punto, e dal glorioso Chandrakirti, il quale così afferma (238):
"Se, a partire dalle diversità, qualcosa sorgesse da
qualcos'altro di diverso, allora la densa oscurità sorgerebbe
perfino da una luminosa lingua di fuoco e tutto si potrebbe
produrre da tutto, dato che perfino tutto ciò che non produce
ugualmente avrebbe la propria diversità…"
Obiezione: Le cose non sono sottoposte ad essere causa ed effetto semplicemente perché sono cose diverse così stabilite per via delle loro proprie caratteristiche. Le cose sono considerate come causa ed effetto soltanto perché sono un tipo speciale di cose diverse – avendo (la causa) la capacità di determinare l'effetto, e così via. Quindi, la determinazione di cause e non-cause (rispetto ad un particolare effetto) è sicuramente possibile.
Risposta: Anche questa obiezione non è corretta, perché una volta che le cose sono ben stabilite, per via delle loro proprie caratteristiche, come diverse, diverso deve essere il loro modo di sussistenza. Essendo questo il caso, esse devono essere effettive diversità completamente svuotate di ogni relazione l'una con l'altra. Quindi, sarebbe totalmente impossibile per un seme di riso ed un seme di orzo differire (tra essi) rispetto all'avere o non avere la capacità di produrre un germoglio di riso, di orzo, e così via…
Per di più, se la produzione da "altro" esistesse per via della sua stessa entità, l'effetto dovrebbe essere esistente ben prima di essere stato prodotto. Perché una volta che la produzione è asserita, le due cose – la cessazione della causa e l'avvio alla produzione dell'effetto – dovrebbero essere simultanei, in tal caso anche le due azioni di produzione e cessazione dovrebbero essere simultanee, mentre anche gli stessi eventi di causa ed effetto dovrebbero essere simultanei! La ragione per (la conseguente simultaneità di causa ed effetto) è che un'azione per avviare la produzione, deve per forza dipendere da qualcosa, per esempio un germoglio che sia l'agente nell'espressione: "Questo effetto sta crescendo!" Pertanto, essi (causa ed effetto) sono rispettivamente sostenuto e sostenitore. Se questi, sostenitore e sostenuto, fossero stabiliti per via delle loro proprie caratteristiche, allora ogni qualvolta dovesse esistere l'attività della crescita, il germoglio dovrebbe anch'esso esistere. Perché, in alcun modo la sua natura non cambierebbe. Perciò Chandrakirti, nel suo Supplemento al "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna, afferma (239): "Senza un agente, anche questa crescita non è riscontrabile come un'entità che sia in alcun modo possibile!"
In termini di produzione nominalmente esistente, se le cose diventassero contemporaneamente sostenitore e sostenuto, non sarebbe necessario che esse siano in tal modo per tutto il tempo. Quindi, (una mera produzione, di tipo convenzionale) non avrebbe queste incongruenze. Il Più Grande tra gli Onniscienti (Tzong-Khapa) sostiene che questo è un ragionamento assai sottile (240) e molto significativo, in questo sistema che rifiuta la cosiddetta produzione da altro…
Non solo la produzione da "altro", non è asserita da questo sistema, neanche convenzionalmente, ma è asserito che nessuna innata coscienza concepisce causa ed effetto come cose altre che siano diverse e differenti per via delle loro caratteristiche. Il Supplemento di Chandrakirti (241) dice: "In tutto il mondo, non vi è assolutamente nessuna produzione da cose diverse".
Rifiuto di Produzione tanto da Sé che da Altro
Quella parte, che è la produzione da sé, viene rifiutata col ragionamento che nega la produzione da sé; quella parte, che è la produzione da "altro", viene rifiutata dal ragionamento che nega la produzione da qualcos'altro. Il Supplemento di Chandrakirti (243) afferma:
"La produzione da entrambi, anch'essa non è una entità ammissibile,
perché incorre nelle incongruenze già spiegate in precedenza "
Rifiuto di Produzione Senza-Cause
Se (le cose) fossero prodotte senza cause, non vi sarebbe nessuna causa per la produzione in un dato luogo e tempo e di una certa natura. Quindi, qualcosa che è prodotta da una certa cosa, sarebbe prodotta da qualsiasi altra cosa, ed ogni opera sarebbe proprio senza alcun senso. Chandrakirti dice (245):
" Se si potesse vedere che (le cose) sono prodotte solamente senza cause,
allora ogni cosa sarebbe sempre prodotta da qualunque altra cosa,
e perfino in questo mondo non si coglierebbero in tanti modi,
simili cose, come i semi, a causa dei loro effetti."
Rifiutando in questo modo la produzione dai quattro tipi di estremi, è così negata la produzione che viene stabilita in base alle proprie caratteristiche. Comunque, il rifiuto della produzione dei quattro tipi estremi, non è tanto un rifiuto della produzione convenzionale in quanto tale. Per cui, la produzione meramente convenzionale non deve essere uno dei quattro modi estremi di produzione. Non solo ciò, ma anche la stessa produzione dipendente stabilisce che le cose non sono prodotte dai quattro estremi. Il Grande Commentario di Tzong Khapa al "Trattato della Via di Mezzo" (di Nagarjuna) dice :
"Perciò, il fatto che, dalla concreta necessità di dover accettare che
un germoglio sia prodotto in dipendenza di un seme, si può essere
in grado di rifiutare questi quattro (estremi tipi di produzione), è
una rappresentazione distinguibile del ragionamento del Sorgere
Interdipendente, che è il Re di tutti i ragionamenti".
Ed inoltre, il maestro Buddhapalita, che ottenne i poteri yogici, dice:
"Qui qualche obiettore potrebbe dire: - Mostrami in che modo,
ciò che è chiamata <produzione>, sia solo una convenzione "
Risposta: " Ciò è dapprima mostrato (nella prima strofa del primo
Capitolo del Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna") (246):
Non vi è mai nessuna produzione
di qualsiasi cosa, in alcun luogo,
né da se stessa, né da qualcos'altro
né da entrambe, e né senza cause!
Inoltre, il Commentario di Buddhapalita, dice: "Quindi, poiché non vi è produzione (inerentemente esistente), questo qualcosa che è chiamata ‘produzione’, è soltanto una semplice convenzione".
RIFIUTO DELLA PRODUZIONE DALLE QUATTRO ALTERNATIVE.
(Alcuni) dei nostri attuali studiosi applicano i ragionamenti spiegati nel testo base e nel commentario dell' (Autonomista) Jnanagarbha, "Discriminazione delle Due Verità" (nella Scuola di Conseguenza della Via di Mezzo). (Tuttavia) la maggioranza dei testi concernenti la Scuola, descrive proprio i ragionamenti dei "frammenti di diamante", come rifiuto delle Quattro Alternative. Eccetto questo, non ci sembra che quello che Jnanagarbha spiega nella Discriminazione delle Due Verità, venga sostenuto con troppa enfasi nella Scuola della Conseguenza.
RAGIONAMENTO CHE RIFIUTA LA PRODUZIONE DI ESISTENTE E NON-ESISTENTE
Le cause non producono effetti esistenti in maniera inerente, le cose inerentemente esistenti non necessitano di cause (255). Effetti non-esistenti sono anche non-prodotti, in quanto le cause non potrebbero mai generare nessuna cosa che sia non-esistente. Effetti che siano esistenti e non-esistenti, anch'essi non sono prodotti, in quanto non potrà accadere che vi sia una composizione di questi due. Ancora, le cause non producono effetti che non siano esistenti e neppure non-esistenti, perché non avviene che una cosa non sia nessuna di queste. Questo (ragionamento) è spiegato nel testo base e Commentario del Supplemento di Chandrakirti, ne "L'impegno di Azione del Bodhisattva" (Bodhicharyavatara) di Shantideva e nella "Luce sul Sentiero dell'Illuminazione" di Atisha (256).
Una persona potrà comprendere (il ragionamento) che spiega l'assenza di essere uno o molti, tramite la spiegazione del settuplice ragionamento.
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La presentazione del ragionamento per accertare l'assenza del <sé> delle persone consta di tre parti: 1) accertare il <sé> come non inerentemente esistente, 2) mostrare che ciò stabilisce che anche <il mio> non è inerentemente esistente, e 3) in che modo questo ragionamento si applica agli altri fenomeni.
ACCERTARE IL SE' COME NON ESISTENTE INERENTEMENTE
Il Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna descrive un quintuplice ragionamento (261):
"Il Così Andato (Il Tathagata) non è gli aggregati, né egli
è diverso dai suoi aggregati. Gli aggregati non sono in Lui,
né Egli è in essi. Il Così Andato non possiede gli aggregati,
perciò, quale Così Andato (Tathagata), può esservi qui?"
Tre posizioni, le due di mutua dipendenza e l'altra di possesso, sono incluse nelle due posizioni di uguaglianza e di diversità. Tuttavia, in considerazione dei vari modi di concepire, in cui la falsa visione dei composti transitori opera, sono state stabilite cinque posizioni nel decimo e nel ventiduesimo capitolo (del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna).
Obiezione: (Il Buddha) disse nei Sutra che 1) Le forme non sono il sé, 2) il sé non possiede forma, 3) il sé non si trova nella forma e 4) non vi sono forme nel sé; ed ancora allo stesso modo egli parlò riguardo ai rimanenti quattro aggregati. Pertanto, egli insegnò gli antidoti alle venti parti della (falsa) visione del composto transitorio. Perciò, forse che la quadruplice analisi potrebbe non essere appropriata? Perché essa è quindi spiegata come avente cinque aspetti?
Risposta: (Il Buddha) espose questo modo nei Sutra, dato che la falsa visione del composto transitorio è incapace di concepire il sé senza che vi sia prima un apprendimento degli aggregati e, quindi, l'osservare gli aggregati in questi quattro modi, coinvolge (nella concezione) di una (esistenza inerente) del sé. Di conseguenza, una quinta base di conoscenza del sé, come un qualcosa di diverso dagli aggregati, non è ammessa se non nelle filosofie dei Non-buddhisti Cercatori del Guado (264). Questa è la ragione per cui il Buddha non parlò mai di una quinta posizione.
Nagarjuna rivelò una quinta posizione nel suo Trattato sulla Via di Mezzo, poiché egli intese rifiutare decisamente i sistemi dei "Cercatori del Guado". Ora, la domanda che ci si pone è: " Perché preoccuparsi di rifiutare i sistemi non-buddhisti?". E inoltre, uno dovrebbe intendere (il rifiuto dei sistemi Cercatori del Guado) come una parte del processo per arrivare ad una conclusione decisiva in cui si rifiuta il sé innato tramite lo stabilire l'assenza del sé nel proprio continuum.
L'Onorevole, glorioso Chandrakirti, produsse un Settuplice Ragionamento, aggiungendo due elementi in più a queste negazioni: (cioè negando) che il mero composto (delle basi di designazione) sia il <sé> e, che la forma (del corpo) sia il <sé>. (Chandrakirti) aggiunse (queste due negazioni) per rifiutare i dogmi di alcune scuole dogmatiche buddhiste che proponevano la vera esistenza, nonché certi altri Autonomisti che dichiaravano la mente come il <sé>, o che stabilivano alcuni attributi di una persona, come il composto degli aggregati o anche la loro forma, (come se fossero il <sé>).
E inoltre, il Sutra insegna che le convenzionalità del <sé> e del carro sono similmente stabilite (come convenzioni):
"Il <Sé> è una mente diabolica.
Tu sei sotto il controllo di una visione nefasta.
Questi aggregati condizionati sono vuoti.
Qui non esiste nessun essere senziente.
Proprio come un carro, che è designato
in dipendenza all'unione delle sue parti,
così, in modo convenzionale, un essere senziente
(è designato) in dipendenza degli aggregati".
Per di più, Chandrakirti dichiara il settuplice ragionamento per chiarire che (la Scuola Conseguenza) ha uno speciale sistema per stabilire una somiglianza (tra un carro ed una persona) che non è condivisa dagli Autonomisti o dalle altre scuole inferiori (dei sistemi dogmatici). Questo può essere facilmente capito in dettaglio da chi è diventato abile ed esperto nelle parole del Più Grande (cioè Tzong-Khapa).
Perciò, il settuplice ragionamento non è né troppo lungo né troppo breve ed ha numerose sfaccettature. Il testo La Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione di Tzong-Khapa, dice:
"Questa presentazione, come già spiegato dianzi, partendo (dall'esame) di un carro, ha, in breve,
tre caratteristiche: 1) l'aspetto di rifiutare facilmente la visione di permanenza che è una sovrimpressione di esistenza inerente su tutti i fenomeni, 2) l'aspetto di rifiutare facilmente la visione di annichilimento che è il pensare che l'originazione-dipendente non sia fattibile in un contesto in cui non vi sia alcuna esistenza inerente, e 3) gli stadi dell'analisi di uno Yogi, attraverso la pratica di quello dei primi due aspetti, che sono stati raggiunti.
Il terzo aspetto è spiegato come un convincimento facilmente raggiungibile circa l'illusorietà dell'Originazione-dipendente, quando uno analizzi le cose con questo metodo di analisi.
Ora mi accingerò a spiegare il settuplice ragionamento stesso. La spiegazione avviene in due parti: esposizione dell'esempio ed utilizzazione di esso per il significato.
ESPOSIZIONE DELL'ESEMPIO
Il Supplemento di Chandrakirti afferma che benché si analizzi in sette modi un carro – se sia una sola cosa con le sue parti, diverso da esse, e così via – esso non è riscontrabile, ed è proponibile per la cognizione valida, senza invalidazione, un carro designato in dipendenza delle sue parti e che similmente il <sé>, gli aggregati, e così via, sono stabiliti in una maniera simile. Il Supplemento dice (265a)
Un carro non è asserito essere diverso dalle sue parti,
E nemmeno non-diverso. E neanche esso le possiede.
Esso non è nelle parti e nemmeno le parti sono in esso.
Esso non è la mera raccolta (delle sue parti), e nemmeno
Esso è la loro forma. (Il sé e gli aggregati) sono simili.
Riguardo a questo soggetto, un carro non è inerentemente la stessa cosa delle sue parti – assi, ruote, chiodi, e così via – poiché se così fosse, vi sarebbe il difetto che 1) proprio come vi sono numerose parti, cosippure dovrebbero esservi numerosi carri, 2) o anche diversamente, proprio come il carro è uno solo, così anche le parti dovrebbero essere solo una, e 3) tanto l'agente che l'oggetto dovrebbero essere uno soltanto, ecc.
Il soggetto, un carro, non è inerentemente differente dalle sue parti, poiché altrimenti essi sarebbero entità differenti e qualsiasi cosa sia di entità differente e simultanea, deve essere senza rapporto con le altre entità; quindi, così come un cavallo ed un bue, un carro potrà essere visto separatamente dalle sue parti, ma così non può essere.
Riguardo al carro, il soggetto è che anche le due posizioni di dipendenza – cioè che un carro dipenda inerentemente dalle sue parti o che le sue parti dipendano inerentemente da esso – non sono sostenibili. In quanto, se fosse il caso di queste due (posizioni), (il carro e le sue parti) dovrebbero essere entità differenti, mentre questo caso è già stato spiegato come impossibile.
Riguardo al carro, il soggetto, anche nei due modi in cui esso sarebbe inerentemente in possesso delle sue parti – nel senso, per esempio, in cui Devadatta possiede un bue, o anche nel senso in cui Devadatta possiede le orecchie – non è sostenibile perché, secondo il primo dei due modi di possesso, il carro e le parti dovrebbero essere stabiliti inerentemente come entità differenti e, secondo l'altro, essi dovrebbero essere stabiliti inerentemente come una sola ed unica entità, ed entrambe sono già state rifiutate.
Riguardo ad un carro, il soggetto non è sostenibile stabilirlo come se fosse la mera raccolta delle sue parti, poiché in quel caso, ne conseguirebbe assurdamente che allorquando tutte le parti del carro – ruote, assi, ecc – senza tralasciarne alcuna, fossero ammucchiate in ordine sparso in un certo posto, anche in questa mera raccolta sparpagliata vi sarebbe sempre il carro. I nostri stessi Proponenti (buddhisti) della Vera Esistenza (cioè la Scuola della Grande Esposizione, la Scuola dei Sutra e la Scuola della Sola Mente) sostengono che sebbene non vi sia un intero (267), vi è un mero composto (268) delle parti. Tuttavia, anche questo composto non è sostenibile come carro, perché (secondo loro) siccome l'intero non esiste, quindi, anche le parti non possono esistere.
Riguardo al soggetto, un carro, non è neanche ammissibile stabilire la particolare forma delle sue parti come se fosse esso, in quanto non è sostenibile che le forme delle parti singole siano il carro, e nemmeno è sostenibile che la forma di tutta la composizione delle parti sia il carro. Il primo ragionamento (cioè che non è sostenibile che le forme delle parti singole siano il carro) viene dichiarato in quanto non è possibile per le forme stesse, che non sono differenti dalle forme delle parti prima che fossero assemblate come carro, e neppure è possibile per altri tipi di forme, che sono come erano le forme prima del loro venir assemblate per diventare un carro. La prima ragione (che è non ammissibile per le forme che non sono differenti dalle forme delle parti, prima che esse fossero assemblate come carro) è dichiarata perché, altrimenti, poiché non vi è differenza nelle forme delle ruote, delle assi, e così via, prima e dopo essere state assemblate, proprio come non c'era il carro prima (che le parti) fossero state assemblate, così non vi sarebbe nessun carro neanche dopo che (le parti) furono assemblate. La seconda ragione (che è non ammissibile per altri tipi di forme simili alle forme stesse, prima che esse fossero state assemblate come carro) è dichiarata perché, se le ruote, le assi, e così via, avessero avuto altri tipi di forme differenti dopo essere state assemblate, e che non avevano prima di venir assemblate, questo avrebbe dovuto essere osservato, mentre invece non lo fu.
La seconda parte della precedente ragione – che la forma dell'unione delle sue parti non può essere posta come il carro – ed è così perché nei sistemi dei Proponenti della Vera Esistenza, l'unione delle parti non è sostanzialmente stabilita e, quindi, non è possibile per la forma di tale (composto) di essere stabilita sostanzialmente, laddove essi asseriscono che un carro sia sostanzialmente stabilito. Inoltre, vi è il caso (in cui essi asseriscono sostanzialmente un carro esistente) in quanto questi sistemi sostengono che le basi di designazione di tutti gli imputati esistenti sono esistenti in modo sostanziale. Per di più, il nostro stesso sistema, in cui le basi di designazione di un imputato esistente non è asserito (come) sostanzialmente esistente, la forma dell'unione delle parti è la base di designazione di un carro, e non il carro stesso.
Obiezione: Da quanto visto in questi sette metodi, un carro non è stato trovato e, quindi, non esiste un carro. Tuttavia, tutto ciò non è sostenibile, perché con espressioni di tipo: "Prendi il carro!", "Compra un carro!" e "Prepara il carro!" si intende qualcosa che nel mondo convenzionale è ritenuto noto ed abituale.
Risposta: Non può esservi una simile falsa credenza. Nel nostro sistema, quando un carro è analizzato in questi sette modi, esso non viene trovato; ed esso non è trovabile né come verità ultima e né come verità convenzionale, ma ciò non rende non-esistente il detto carro. Perché, 1) l'asserzione del carro non avviene a causa del ragionamento che stabilisce il suo essere, analizzando se detto carro esista inerentemente o no, ma è stabilita solamente da una coscienza non-difettosa, ordinaria e mondana – vale a dire convenzionale – senza alcuna analisi, che cerca l'oggetto designato, e 2) per di più, il modo in cui (un carro) è stabilito, è che esso è stabilito solo come esistente in modo imputato, nel senso di essere designato in dipendenza delle sue parti, le ruote, gli assi, e così via… Il Supplemento di Chandrakirti dice (269):
Che (il carro) non sia stabilito in questi sette modi,
tanto nella (sua propria) talità, che nel modo mondano,
ma è qui designato, senza adeguata analisi, proprio
dal punto di vista mondano, dipendente dalle sue parti.
L'Autocommentario di Chandrakirti al "Supplemento sul Trattato della Via di Mezzo" di Nagarjuna, descrive chiaramente come i fenomeni siano stabiliti in maniera nominale:
Non solo questa posizione stabilisce assai chiaramente
la designazione convenzionale del carro, dal punto di
vista di ciò che è considerato valido nel mondo, ma pure
queste nominalità dovrebbero essere asserite, dal punto
di vista della rinomanza mondana, senza alcuna analisi.
Gli Autonomisti e gli altri sistemi dottrinali più bassi – avendo visto che se il collegamento delle parti, ecc. non fosse stabilito come una raffigurazione dell'intero, ecc. (poiché nessun fenomeno potrebbe essere stabilito) allora non vi è l'intero, ecc., che sia una entità separata da quelli – asseriscono che (qualcosa) dall'interno (270) delle basi di designazione è posto come questo o quel fenomeno. Essi non sanno come stabilire un fenomeno, se l'oggetto che è stato designato come quel fenomeno, non è trovato quando lo si cerca. Quindi, poiché non accettano che i carri, e così via, siano mere designazioni nominali, essi asseriscono che i carri, e così via, sono convenzionalmente stabiliti per via delle loro proprie caratteristiche.
Sebbene questo supremo sistema non sostenga che una cosa che sia l'unione delle parti, oppure qualcosa all'interno come una raffigurazione dell'intero, e così via, possa essere in grado di presentare al meglio tutte le azioni e gli agenti, nel contesto di una mera designazione nominale dell'intero, ecc. il Venerabile Onnisciente (Tzong-Khapa) consigliò che poiché questo modo di commentare sul significato delle Scritture sia proprio il pensiero personale e straordinario del Conquistatore (il Buddha), coloro che stanno discriminando dovrebbero addestrarsi in questo sistema di interpretare il pensiero del Buddha. Sembra che questo modo (di stabilire i fenomeni in un contesto di mera designazione nominale) sia un punto estremamente difficoltoso che non era nella competenza della mente di molti che furono famosi come grandi Pandit nella terra dei Superiori (India) e, ad eccezione del Padre Onnisciente (Tzong-Khapa) e dei suoi figli spirituali (Ghyel-Tsab e Kedrup), la maggioranza degli eruditi e degli adepti nel Tibet innevato furono anch'essi incapaci di vedere pure perfino una sola parte di questo.
Questo modo di analisi è un profondo mezzo per trovare velocemente la visione della vacuità. L'Autocommentario di Chandrakirti al Supplemento del "Trattato sulla Via di Mezzo" di Nagarjuna, dice (272):
Poiché queste convenzionalità mondane non esistono,
quando le si investiga in questo modo, ma esistono per
via della rinomanza non-analitica, allorché gli Yogi le
analizzano in quelle fasi, essi le penetreranno in modo
assai veloce fino ai recessi della profonda Quiddità!
Applicare l'Esempio al Significato
Si dovrebbe considerare se la cosiddetta persona, ovverosia il sé, che è la base per la concezione del pensiero <Io>, sia identica ai propri aggregati (mentali e fisici) oppure differente da essi, in quanto, se essa esiste, deve essere una sola di queste due. Poiché, in generale, nel mondo si è visto che, se qualcosa è affermata dalla mente come avente una controparte, essa non può essere senza controparte; e, se qualcosa è affermata come non avente una controparte, è escluso che essa abbia una controparte. Quindi, uguaglianza e diversità sono due termini dicotomici che si escludono vicendevolmente.
(Rifiuto dell'Identità)
Se il <sé> e gli aggregati fossero una cosa sola, allora vi sarebbero tre difetti o errori:
1) affermare il <sé> sarebbe un non-senso;
2) in una persona vi sarebbero numerosi <sé>
3) il <sé> avrebbe sia produzione che disintegrazione.
1) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa, affermare un <sé> sarebbe insensato, perché questo <sé> sarebbe semplicemente un sinonimo di <aggregati>, come la "luna" ed il "luogo dei conigli.
Nagarjuna, " nel suo 'Trattato sulla Via di Mezzo' chiamata "Saggezza", dice (278):
"Quando è dato che non vi sia un <sé>, eccetto per gli appropriati
(aggregati), allora proprio questi giusti (aggregati) sono il <sé>,
e perciò, nel qual caso, il vostro <sé> non è esistente".
2) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa, allora, proprio come vi sono numerosi aggregati, allo stesso modo, vi sarebbero numerosi <sé>. Chandrakirti nel suo "Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)" dice (279):
"Se il <sé> fosse gli aggregati, allora, poiché essi sono numerosi,
anche questi <sé> dovrebbero essere numerosi…"
3) Se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente una sola cosa, ne conseguirebbe, per assurdo, che il <sé> sarebbe soggetto alla produzione e disintegrazione, perché gli aggregati sono soggetti a produzione e disintegrazione. Nagarjuna, nel suo "Trattato sulla Via di Mezzo", dice (280):
"Se il <sé> fosse gli <aggregati>, anch'esso
avrebbe produzione e disintegrazione…"
Obiezione: Che errore c'è nel fatto che il <sé> abbia produzione e disintegrazione?-
Risposta: Se produzione e disintegrazione sono considerate solo convenzioni, allora non c'è errore. Tuttavia, se il <sé> possedesse produzione e disintegrazione, che fossero stabilite per via delle loro proprie caratteristiche, tre errori vi sarebbero: a) sarebbe impossibile ricordare le precedenti rinascite; b) le azioni compiute sarebbero sprecate e c) si andrebbe incontro ad (effetti) di azioni non compiute (da se stessi). Inoltre, questi tre errori sorgerebbero a causa (della conseguenza) che, se i <sé> delle rinascite precedenti e successive fossero singole individualità, stabilite per via delle loro proprie caratteristiche, essi sarebbero scollegati e senza rapporto con altre effettive realtà.
Obiezione: Questo non è un errore. In quanto, benché (le precedenti e le successive rinascite) siano gli individui stabiliti per via di loro proprie caratteristiche, essi sono nello stesso unico continuum.
Risposta: Ciò non è nemmeno pensabile, perché se (le vite passate e future) fossero differenti dalle loro proprie entità, esse non potrebbero essere un solo ed unico continuum, proprio come per esempio, quelle di Maitreya e Upagupta, che non lo sono. Il Supplemento di Chandrakirti dice (281):
I fenomeni che dipendono da Maitreya e Upagupta, sono proprio
diversi tra loro e quindi non appartengono allo stesso continuum.
Non è ammissibile che le cose, stabilite come individuali per via di
loro proprie caratteristiche, appartengano al medesimo continuum.
(Rifiuto della Posizione che il <Sé> e gli Aggregati siano differenti)
Se il <sé> fosse stabilito per via delle sue proprie caratteristiche, come differente dagli aggregati (mentali e fisici) esso non avrebbe il carattere degli aggregati: produzione, durata e disintegrazione. Per cui, (il sé) sarebbe una diversa entità scollegata dai suoi stessi aggregati. Sarebbe, per esempio, come un cavallo che, essendo ben differente da un bue, non avrebbe (le specifiche caratteristiche di un bue, che sono) le corna, una gobba sulle spalle, e così via… Se così fosse, (gli aggregati mentali e fisici) non esisterebbero come basi di designazione per la convenzionalità di un <sé> e nemmeno essi esisterebbero come oggetto di una (coscienza) che concepisca il <sé>. Per cui, il <sé> sarebbe un fenomeno non-composto, come un fiore nel cielo. Chandrakirti dichiara tutto ciò nel suo "Parole Chiare", sotto forma di un altro ben noto sillogismo.
Per di più, se il <sé> e gli aggregati fossero inerentemente differenti, (il sé) dovrebbe essere osservato come un'entità affatto diversa dalle caratteristiche degli aggregati, tale da poter essere chiamato forma, così come forma e coscienza che, per esempio, sono ritenute differenti.
Il precedente ragionamento è insegnato nel diciottesimo capitolo del "Trattato sulla Via di Mezzo" (di Nagarjuna) il quale dice (283):
"Se il <sé> fosse diverso dagli aggregati, esso
non avrebbe le caratteristiche degli aggregati".
L'altro ragionamento è insegnato nel ventisettesimo capitolo del "Trattato sulla Via di Mezzo" (di Nagarjuna), il quale dice (284):
"Se (il sé) è diverso, allora dovrebbe essere appreso
senza appropriazione; ma esso non è appreso così"
Riguardo a questi ragionamenti, che negano l'uguaglianza e la differenza, vi sono molti punti assai difficili da poter essere spiegati, perciò ora io non li elaborerò qui.
(Come le Rimanenti Posizioni Sono Rifiutate da Questi Ragionamenti)
Tramite l'aver rifiutato queste due (posizioni di) uguaglianza e differenza dell'entità, ora verranno rifiutate anche le due posizioni di dipendenza – cioè che il sé esista in dipendenza degli aggregati e che gli aggregati esistano in dipendenza del sé. Perciò, sebbene queste due (posizioni di dipendenza) sarebbero possibili se (il sé e gli aggregati) fossero entità differenti, questa posizione che essi sono differenti entità è già stata rifiutata.
Anche la posizione che il sé possiede gli aggregati, non è ammissibile. Per cui, come è stato spiegato nell'esempio del carro, le due modalità di possesso, non vanno oltre le posizioni di uguaglianza e diversità. Inoltre, è parimenti impossibile che la mera riunione o composto degli aggregati sia il <sé>. In quanto, poiché è detto che il sé è designato in dipendenza dei suoi cinque aggregati, questi cinque aggregati sono le basi di designazione mentre la persona è il fenomeno designato; e non potrà mai essere possibile che le basi di designazione siano lo stesso fenomeno designato. L'impatto di questo ragionamento (cioè che le basi di designazione non possono essere il fenomeno designato) è alquanto difficile da realizzare. Per di più, questo dovrebbe essere compreso da 1) il non comune metodo di interpretazione (della Scuola Conseguenza) circa la forza delle parole nei Sutra precedentemente citati:
Proprio come un carro è designato in dipendenza
del raggruppamento delle sue parti, così un essere
senziente (è designato) a livello convenzionale, in
dipendenza dei suoi stessi aggregati (mentali e fisici).
E 2) da una realizzazione dettagliata (285) degli elementi essenziali del ragionamento nel "Autocommentario di Chandrakirti al Supplemento sul Trattato della Via di Mezzo (di Nagarjuna)", il quale illumina questo ragionamento attraverso dichiarazioni comprovate.
Inoltre, se il composto o (raggruppamento degli aggregati) fosse il <sé>, vi sarebbe anche la falsa ipotesi che tanto l'agente quanto l'oggetto sarebbero la stessa identica cosa. Questo fatto permette anche di negare l'asserzione fatta da qualche scuola dottrinaria nostrana (cioè, buddhista) che (dice che) il <sé> è il continuum degli aggregati.
E, lo stesso non è ammissibile asserire che la forma degli aggregati sia il <sé>, perché la forma esiste solo nelle cose fisiche, e di conseguenza, (se il sé fosse la forma) il <sé> non potrebbe essere stabilito in dipendenza della mente, del corpo, e così via.
L'introvabilità assoluta del <sé>, se analizzata poi con un ragionamento in questi sette modi, è il significato della assenza di esistenza inerente del <sé>. Poiché questo fatto è simile in termini ad entrambe le due verità, non esiste, nemmeno convenzionalmente, un sé che sia stabilito per via delle sue proprie caratteristiche. Tuttavia, quando non vi è un'analisi per cercare l'oggetto designato( il sé), essendo la persona stabilita da una cognizione valida, senza possibilità di negazione, la si vede come un sé che è in grado di eseguire attività. Quindi, le persone convenzionalmente esistono.
Inoltre, quando viene prodotto un consapevole pensiero di <Io>, esso è prodotto in dipendenza di aver preso come base i cinque aggregati che sono nel nostro continuum. Perciò, (l'Io) esiste come mera designazione dipendente dai cinque aggregati. Per di più, questi punti sono il pensiero del testo radice ed autocommentario del Supplemento di Chandrakirti, di cui abbiamo parlato in precedenza (287):
Che (il carro) non sia stabilito in questi sette
modi, né nella sua quiddità e né nella sua
natura mondana, ma senza l'analisi, viene qui
designato dal (punto di vista) del mondo, in
dipendenza sulle sue parti…"
Il Commentario di Chandrakirti sul "Quattro Centinaia" (di Aryadeva) dice che qualcosa di illusorio deve essere lasciato in sospeso, come una sorta di residuo:
Per questa ragione, quando poi è analizzata,
l'esistenza inerente delle cose non può essere
stabilita. Di conseguenza, essa viene lasciata
indietro, solo per una natura di tipo illusorio
come rimanenza rispetto alle cose individuali.
Il Grande Onnisciente (Tzong-Khapa) dice:
Questa combinazione dei seguenti due fattori
normalmente avviene – 1) senza residuo, col
rifiuto dell'oggetto di negazione (cioè l'esistenza
inerente) tramite una ragionata analisi, e 2)
con la possibilità di stabilire come illusioni,
lasciate dopo la negazione, senza perder nulla,
tutte le funzioni di cause ed effetti sorti in
modo dipendente. Quindi, è veramente assai
difficile ottenere la visione della Via di Mezzo.
A tal riguardo, tutti i proponenti della dottrina, tanto delle scuole del Grande Veicolo, come pure di quelle del Piccolo Veicolo, presentano i loro propri sistemi, come sistemi che sono completamente liberi da tutti gli estremi. Ed, in particolare, gli altri grandi discepoli (non-Conseguenzialisti) delle Scuole Sola-Mente e Via di Mezzo, hanno i loro propri modi di presentare il significato intermedio libero dagli estremi e di presentare (le apparenze) "simil-illusorie". Se voi comprendete bene che le asserzioni su quei modi, fatte dalle più elevate Scuole dogmatiche, sono più pertinenti (288) e più difficili da realizzare che non quelle dei sistemi dogmatici inferiori e che nondimeno tutte quelle (scuole dei non-Conseguenzialisti) non contengono le essenzialità di essere libere da tutti gli estremi, come nella presentazione delle due verità in questo sistema supremo e se voi comprendete bene che solo questo sistema evita tutti gli estremi molto sottili e subdoli e che esso ha anche profondi lineamenti completamente diversi dagli altri sistemi, grazie al suo stabilire (le apparenze) come "simil-illusorie", allora voi svilupperete una ferma e genuina fede, indotta tramite il sentiero del ragionamento, presentato in generale nei testi del padre (Nagarjuna) e dei suoi figli spirituali, ed in particolare nei testi dei grandi signori Adepti, che esposero in maniera appropriata il sistema Conseguenzialista, come pure nelle maggiori dichiarazioni del padre, il Più Grande degli Esseri (Lama Tzong-Khapa) nonché dei suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Kay-drub).
Voi dovete comprendere nella loro verità, le essenzialità dei ragionamenti in precedenza spiegati, e le essenzialità della presentazione (delle apparenze) come simil-illusorie, e dovete anche comprendere gli stadi in cui queste sono tenute appropriatamente a mente, come pure la sottile distinzione nel generare esperienza di esse. Queste comprensioni sorgono 1) tramite il penetrare bene in profondità, e non solo superficialmente, le scritture in generale del Più Grande (Tzong-Khapa) e la sua "Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione" in particolare, sia quella piccola che la grande; 2) tramite il collegarsi in modo appropriato con eccellenti amici spirituali i quali, insieme con la visione (di grandi esseri, durante le meditazioni), abbiano ottenuto una certa sottile e segreta essenza della parola del Più Grande tra gli Esseri (Tzong-Khapa), che fu data oralmente ai più eccellenti tra i suoi figli spirituali, grandi Bodhisattva dimoranti sulle terre, trasmessa in livelli e messa per iscritto dagli eruditi e adepti di questo sistema; e 3) tramite il porre la mente sul significato di questi testi, ancora ed ancora, per mezzo di un appropriato pensiero, ragionandoci su; e inoltre 4) tramite la generazione di un insolito grande sforzo nelle numerose aggregazioni causali esterne ed interne. Oltretutto, è assai giusto sforzarsi in codesta maniera. Poiché l'onnisciente Ghyel-tsab dice: (289)
"Fino a quando io non trovai il Più Grande Santo (Tzong-Khapa),
io non avevo neanche parzialmente realizzato l'Originazione-dipendente,
la (via) mediana che è libera dagli estremi, il sentiero
che spezza e distrugge le radici dell'esistenza ciclica samsarica.
Perfino (Ghyel-tsab) il Gran Signore del Ragionamento, che rivaleggia con gli stessi "sei ornamenti" (290) del Jambudvipa (la Terra dei Superiori – cioè l'India), non realizzò nemmeno una parte di questa visione della Via di Mezzo libera dagli estremi, prima di incontrare il Più Grande tra gli Esseri (Tzong-Khapa).
Inoltre, (Ghyel-tsab) dice che egli realizzò il significato del mediano libero dagli estremi, grazie alla gentilezza del Più Grande Onnisciente (Tzong-Khapa)(291).
Nelle ottime spiegazioni dell'eccellente amico spirituale, è spiegato,
proprio così com'è, il significato dell'Originazione-dipendente, la via
mediana libera dagli estremi (di esistenza inerente e nichilismo), che
è proprio così come asserita dal protettore Nagarjuna, ed è lo stesso
identico pensiero unico di Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva…
(Ghyel-tsab) dice anche che è necessario lavorare duro, in questo modo (292), perché essa è l'eccellente vita del sentiero per la liberazione e l'onniscienza (293):
Se non si realizza il principio della (via) mediana libera dagli estremi,
non si possono raggiungere gli alti livelli (294) dei supremi Superiori.
Perciò, avendo concluso che la vacuità significa il sorgere-dipendente,
applicatevi nel praticare duramente, sforzandovi nel modo appropriato.
(Ghyel-tsab) dice ancora che sulla base dell'aver compreso che questo supremo sistema è difficile da trovare e che fra non molto esso scomparirà, le persone che discriminano, dovrebbero assai velocemente generare uno sforzo(295):
Siccome Proponenti delle due verità dell'ottimo sistema di Nagarjuna,
essendo così difficile da trovare, perfino durante un miliardo di eoni,
che è peraltro destinato a sparire da questo mondo tra non molto tempo,
coloro che discriminano dovrebbero rapidamente generare lo sforzo.
Questi punti sono assai importanti, mostrando di essere un monito proveniente dalla più estrema profondità. "Poiché ora io qui desidero spiegare solo brevemente ciò che riguarda la Scuola della Conseguenza (296), voi dovreste comprendere i punti essenziali della dottrina di questo sistema, in modo esauriente, però rifacendovi anche ad altri (testi)."
SI DIMOSTRA CHE QUESTO (ACCERTAMENTO CHE LE PERSONE NON SONO INERENTEMENTE ESISTENTI) STABILISCE CHE ANCHE "IL MIO" NON E' INERENTEMENTE ESISTENTE
Quando il <sé> è visto in questo modo, tramite il ragionamento che esamina se esso sia o meno inerentemente esistente, questo <sé> non è trovato essere in nessuno di quei sette modi, allora per suo mezzo l'esistenza inerente viene negata rispetto al <sé>. A questo punto, è facile negare che anche "il Mio" sia stabilito (inerentemente esistente) per via delle sue proprie caratteristiche. Il Testo Fondamentale Chiamato "Saggezza" di Nagarjuna, dice (297):
"Se un <sé> (inerentemente esistente) non esiste, come
potrebbe esistere un "mio" (inerentemente esistente)?"
Ed inoltre, sebbene soltanto una consapevolezza, che realizza che l'Io è senza inerente esistenza, non apprende esplicitamente che "il mio" sia senza esistenza inerente, quando la mente si rivolge verso il "mio", in una certa maniera per analizzare se l'esistenza inerente esista o no, in base al funzionamento della precedente consapevolezza, (il mio) viene facilmente stabilito senza esistenza inerente. Dato che (questa mente) non considera nessun'altra prova, nei grandi testi non viene dichiarato nessun altro tipo di ragionamento separato (con lo scopo di rifiutare l'esistenza inerente).
Ora appaiono due diversi modi per asserire ("il mio"). (Un sistema spiega che) gli occhi, le orecchie, ecc., inclusi nel proprio "continuum", sono rappresentazioni del "mio", ma non sono oggetti di osservazione di una (falsa) innata visione del "composto transitorio" che concepisce un "mio" (inerentemente esistente). Essi spiegano anche che questo è il pensiero del Più Grande Padre (Tzong-Khapa) e dei suoi due figli spirituali (Ghyel-tsab e Kay-drub).
(Un altro sistema spiega che) gli occhi, le orecchie, e così via, sono le basi di designazione (300) del "mio", ma non sono le rappresentazioni (301) del "mio", perché non è ammissibile che una base di designazione sia anche il fenomeno designato. (Jam-yang-shepa dice che) ciò che viene spiegato in "Aprire gli Occhi dei Fortunati" di Kay-drub, e cioè che gli occhi, le orecchie, e così via, sono rappresentazioni del "mio", indica semplicemente che queste sono rappresentazioni di cose che vengono prese come "il mio"; ciò non indica che siano lo stesso "mio". (302)(Jam-yang-shepa dice ancora che) questo modo per spiegare il "mio", è identico al pensiero di Tzong-Khapa, nel suo "Commentario al Testo Fondamentale Chiamato Saggezza" (di Nagarjuna) (303). Benché vi sia molto da investigare in entrambe queste asserzioni, è mia ferma intenzione di elaborarle altrimenti in un'altra occasione.
COME QUESTO RAGIONAMENTO E' APPLICATO AGLI ALTRI FENOMENI
Il Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna) dice che tutti questi fenomeni, conosciuti nel mondo, non esistono quando sono visti nei sette modi e che essi sono stabiliti come esistenti solo per una coscienza convenzionale e non-analitica (304):
Parti, qualità, passioni, definizione, combustibile, e così via,
come pure l'intero, ciò che è da qualificare, gli appassionati
(305), la rappresentazione (306), il fuoco, e così via… --
Tutte queste cose non esistono, allorché soggette all'analisi
del carro, nei sette modi; esse esistono soltanto per mezzo
della rinomanza mondana, che è ben diversa da quella lì.
Nel Capitolo del Sutra che Mostra i Tre Voti, (il Buddha) dice che ciò che ha valore e rinomanza nel mondo, non è negato dal ragionamento:
"Il mondo dibatte con me, ma Io non dibatto col mondo.
Tutto ciò che è accettato nel mondo, come esistente e non,
è ciò che anch'io accetto , nello stesso identico modo ".
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6) L'ORIGINAZIONE-DIPENDENTE
La presentazione del Re dei Ragionamenti, il Ragionamento dell'Originazione-Dipendente, ha due parti: la spiegazione vera e propria e come tutti gli altri ragionamenti derivino da questo.
La Spiegazione Vera e Propria dell'Originazione-Dipendente
Il Sutra "Le Domande di Sagaramati" (308) dice che la costituzione inerente è negata tramite il ragionamento sull'Originazione-Dipendente:
Quelle cose che sorgono in maniera dipendente
sono totalmente prive di esistenza inerente…-
E il "Sutra Le Domande di Anavatapta, Il Re dei Naga", dice:
Tutte quelle cose che sono prodotte dalle condizioni
sono non prodotte. Esse non possiedono una inerente
natura di produzione. Quelle che dipendono dalle loro
condizioni, sono dette "vuote". Colui che comprende
questa "vacuità" è detto essere una persona risvegliata.
Per cui, la produzione da condizioni è il ragionamento. Nessuna produzione è "ciò che deve essere provato". Il significato del non essere prodotto, è indicato dalla seconda frase. Non è che la mera produzione debba essere eliminata; solo la produzione inerentemente stabilita è ciò che deve essere eliminato.
Inoltre, nel "Sutra Discesa a Lanka", il Maestro (Buddha) stesso, chiarisce il suo pensiero:
"O Mahamati, è perché ho pensato che non vi è nessuna
produzione esistente inerentemente, che io ho detto che
tutti i fenomeni sono non prodotti…"
(Nella citazione dal "Sutra Domande di Anavatapta") tramite la relazione del (correlativo) "quelle" e del (relativo) "che", sono indicati i soggetti che sono i sostrati (di un'assenza di produzione inerentemente esistente). Essi sono le cose esterne, come i germogli, e le cose interne, come un'attività di composizione. La terza frase indica che proprio dipendenza e assegnamento sulle condizioni è il significato dell'essere vuoti di esistenza inerente. Questa dichiarazione dimostra che una vacuità di esistenza inerente è il vero significato del sorgere dipendente. Esso non indica una vacuità che sia intesa come l'assenza di capacità di effettuare funzioni – cioè una mera negazione di produzione.
Vedendo che solo questo insegnamento di questo ragionamento, cioè la negazione di tutti gli estremi, è un insuperabile distintivo aspetto che eleva il suo insegnante, il Vittorioso Sovramondano, al di sopra di tutti gli altri maestri, la mente di Nagarjuna fu affascinata da questo metodo (dell'originazione-dipendente). Dopodiché, il glorioso protettore, cioè il Superiore Nagarjuna, - nel suo "Testo Fondamentale che è Chiamato 'Saggezza' – Sessanta Stanze di Ragionamenti", la sua Raccolta di Lodi, e così via – egli elogiò Il Vittorioso Sovramondano, proprio dal punto di vista del suo riferirsi alla Originazione-Dipendente… Ed anche il nostro eccellente capo spirituale, il Più Grande tra i Grandi Esseri (Tzong-Khapa) dice (309):
"Omaggio al Conquistatore che ebbe la percezione e dette
la sua istruzione sull'originazione-dipendente. Grazie alla
sua percezione e al suo dichiararla tenacemente, Egli così
ottenne l'insuperabile saggezza ed è l'insuperabile maestro."
E così via. Lodare il Buddha in questo modo equivale a dire puri elogi indotti da genuina fede, a sua volta indotta dal sentiero del ragionamento; pertanto, queste non sono inutili parole artificiali o vuote parole di adulazione.
L'originale Sanscrito per "Originazione-Dipendente" è "pratityasamutpadah"(311). La maggioranza degli antichi maestri disse che "prati" è un distributivo, (col significato di) variamente, e che "i" (radice verbale che significa) andare, è usato (per significare) "allontanarsi e disintegrarsi da". Tramite l'aggiunta del suffisso 'ya' a quello della (radice verbale 'i'), 'itya' è preso come nome secondario derivativo, che acquista il significato di "cosa che se ne va". Dunque, essi dicono che (pratityasamutpada) significa "ciò che sorge e che possiede variamente le qualità di andare e di disintegrarsi".
In quel caso, salvo che per la generale originazione-dipendente, che è il sorgere degli effetti dalle cause, quando ciascun caso particolare è come tale specificato, come nella frase "Una coscienza sorge in dipendenza di (potere sensoriale) un occhio", (l'etimologia) non è adatta perché in una singola cosa non c'è modo di spiegare il termine "variamente". Avendolo preso come nome derivativo secondario, neanche è possibile, poiché, in tal caso, (nel testo) vi sarebbe un errore di lettura: "Venendo a dipendere da potere e forme sensoriali di un occhio" (caksuh pratityam vijinanam rupani ca)(ed è ovvio per chiunque abbia visto il testo che non è scritto in questo modo). Poiché nessun caso di desinenza deve essere visto (in rapporto a pratitya) (314), è opportuno solo che sia un continuativo con una indeclinabile desinenza.
Inoltre, il maestro Bhavaviveka non ha dato spiegazioni individuali sul significato di 'prati', e così via. Egli lo ha spiegato solo come un termine usato per significare che "Quando questo c'è, quello sorge", oppure, "A causa dell'esservi questa condizione, quello sorge", allo stesso modo del termine "sesamo selvatico". Chandrakirti, nel suo "Parole Chiare", dice:
"Così è detto (da Bhavaviveka), poiché egli avendo
asserito che "pratityasamutpada" è un termine
convenzionale ( che non necessariamente segue
il suo significato etimologico) alla stessa stregua
di 'aran yetilaka' (sesamo selvatico), ecc.
Questo pure non è ammissibile, poiché il maestro, il Superiore Nagarjuna, parlò dividendo (il termine) nei suoi componenti individuali, 'pratitya' (brten pa) e 'samutpada' ('byung ba), nel suo "Sessanta Stanze di Ragionamenti" (316).
"Ciò che è prodotto, avendo incontrato questo e quello
(essendosi riunito il composto di cause e condizioni),
non è inerentemente prodotto. (Tat tat prapya yad
utpannam notpannam tat svabhavatah ) (317).
Anche se (Bhavaviveka) intende dichiarare (questa posizione) come il significato del passaggio della "Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna (318) "Quando c'è questo (319), quello sorge, come il lungo quando c'è il corto", egli deve spiegare (pratitya) col significato di "incontrare" ('phrad pa, prapya/prapti). Ecco perché (320) egli deve giusto asserire che il lungo arriva ad essere, solo avendo incontrato il corto ed essendo dipendente dal corto, oppure essendo condizionato dalla presenza del corto.
Quindi, il sistema personale dell'onorevole maestro Chandrakirti è: Poiché 'prati' è usato come "incontrare" ed 'i' è usato per "andare", 'pratitya' – che ha il suffisso continuativo 'ya' (323) sulla 'i' di base – con l'essere modificato dal modificatore ('prati') è usato come "incontrare", vale a dire, "dipendere" o "affidarsi". La radice verbale 'i' da sola è generalmente usata per "andare", ma allorché è combinata con 'prati' (324) viene a significare "incontrare", e così via. Il fatto che ciò sia così è, per esempio, come l'acqua del Gange che è estremamente dolce, però, quando si mischia con quella dell'oceano, essa viene ad avere un gusto salato. Inoltre, in questo modo, Chandrakirti nel suo "Parole Chiare" dice :
"Pertanto, 'prati' ha il significato di "incontrare" ('phrad pa,
prapti). (La radice verbale) 'i' ha il significato di "andare".
Anche il termine 'pratitya' che è un continuativo, è usato
per "incontrare" – cioè "fare affidamento" – dato che la
radice è completamente modificata da un modificatore
(cioè il prefisso 'prati'). Di conseguenza, così è spiegato:
"Tramite la forza di un modificatore, il significato
della radice verbale è cambiato completamente.
Proprio allo stesso modo dell'acqua del Gange che,
sebbene sia dolce (viene completamente cambiata)
dall'acqua dell'oceano(quando vi si affida e la incontra)".
Il termine 'pada', che è preceduto da 'samut', viene usato come "sorgente" (o "originazione"). Può anche essere tradotto e spiegato adeguatamente come "esistente" (yod pa, sat) o "stabilito", "istituito" (grub pa, siddha).
Quindi, in breve, il nostro proprio sistema è questo: il significato di 'pratityasamutpada' è "esistenza, costituzione, o il sorgere delle cose in dipendenza di cause e condizioni". Chandrakirti, nella sua opera " Parole Chiare ", dice: "Allora, il significato di 'pratityasamutpada' (325) è il sorgere delle cose, essendo obbligate a sottostare a cause e condizioni". In tal modo, è molto importante conoscere bene i numerosi e diversi modi in cui (questi grandi eruditi, chiamati) i grandi carri qualificarono la "pratityasamutpada" perché, in dipendenza dalle loro etimologiche definizioni, vi sono numerosi punti essenziali nei diversi metodi di generare l'accertamento circa la vastità dei significati del termine 'Originazione-dipendente' e circa la profondità di penetrazione della 'talità'.
Inoltre, siccome io voglio spiegare bene tutto ciò in un altro ambito, qui esprimerò solo alcune delle asserzioni del glorioso Chandrakirti. Il significato dell'Originazione-dipendente è spiegato così come una sorta di: incontro, affidamento e dipendenza. La ragione è che, in linea generale, incontrare, fare assegnazione e dipendere da qualcosa, sono considerati sinonimi. Tuttavia, se noi li separiamo allo scopo di voler facilitare la loro comprensione, "incontro" in quanto specifico ragionamento (per l'assenza di esistenza inerente delle cose) porta con sé il senso di 'originazione-dipendente' come produzione di cose dalle loro proprie cause. Questa è (un'asserzione costruita in) comune anche dai minori sistemi dottrinali. Inoltre, poiché (i sistemi della Scuola Via di Mezzo e quelli dottrinali minori) sono simili proprio in quel punto nelle loro asserzioni sul significato dell'originazione-dipendente, questo è ciò che viene detto "comune". In ogni modo, (i Proponenti della Scuola Via di Mezzo) non asseriscono una originazione-dipendente esistente in un modo reale così come la asseriscono quelli (dei sistemi minori); anzi, (i sistemi dottrinali inferiori) non asseriscono nemmeno che l'assenza di vera esistenza è proprio ciò che è provato (dall'originazione-dipendente).
In questo caso, "incontro" si riferisce all'incontro delle azioni di produzione dell'effetto e cessazione della causa e non al fatto che causa ed effetto possano "incontrarsi". Il termine "affidamento" sta ad indicare una ragione (per l'assenza di esistenza inerente dei fenomeni) che è l'ottenimento da parte dei fenomeni composti e non-composti, delle loro proprie entità grazie alle loro proprie parti. Pertanto, ciò ha per fine, di spiegare il termine 'samutpada' nel suo (significato) di "costituzione" (327). (In quest'accezione, il significato di 'originazione-dipendente') possiede un'applicazione più estesa della precedente (in quanto essa è applicata a tutti i fenomeni, sia permanenti che impermanenti). Il significato puro e semplice esplicitamente indicato (in "costituzione sulla base dell'assegnazione") è in comune con gli altri sistemi dei Proponenti della Scuola della Via di Mezzo.
"Dipendenza" sta ad indicare una ragione (per l'assenza di esistenza inerente delle cose) che è la dipendente designazione di tutti i fenomeni – cioè la loro costituzione basata sulle mere designazioni in dipendenza dalle loro proprie basi di designazione. Questa è la caratteristica soltanto di questo sistema supremo; essa non è comune con gli Autonomisti e con i sistemi inferiori.
Di conseguenza, se voi prendete il significato dell'originazione, nella frase "originazione delle cose", dal passaggio che si trova nel "Parole Chiare" di Chandrakirti, come mera 'produzione', allora ciò indica la prima "ragione" e se voi lo prendete come 'costituzione, o esistenza', allora ciò indica le due successive "ragioni". Se voi prendete "cause e condizioni" meramente come il seme che è la causa sostanziale del germoglio, e l'acqua, il concime, e così via, che sono le sue condizioni contribuenti, allora ciò indica ancora la prima ragione. Se voi prendete "cause e condizioni" per significare la causa per cui una certa cosa raggiunge la sua propria entità – cioè le basi di imputazione o sue parti – allora ciò sta ad indicare la ragione intermedia (seconda di tre). Se voi considerate "cause e condizioni", come essere la relativa coscienza concettuale che imputa i fenomeni, allora ciò indica l'ultima ragione.
Di conseguenza, le "cause e condizioni" nella frase di Chandrakirti: "facendo affidamento su cause e condizioni", non dovrebbero essere considerate solo come le cause e condizioni di fenomeni composti, come nel caso di semi, di acqua, di concime, e così via. Occorre anche riferirsi alla coscienza concettuale imputante, che è il pensiero speciale del glorioso Chandrakirti e del Venerabile Grande Essere (Tzong-Khapa). Nondimeno, la maggioranza di coloro che discriminano, le cui teste sono adornate con i più aguzzi cappelli a punta usati dai Pandit, non hanno neppure messo (nelle loro teste quest'argomento) (328). Vi è anche un modo per spiegare – ciò che gli altri non hanno capito (329) – in cui "incontrarsi, affidarsi e dipendere" (sono considerati come indicatori) solo della terza ragione, dal punto di vista di trattarli come sinonimi. Io al momento non elaborerò questo argomento.
Inoltre, su di essi, il Venerabile Grande Essere (Tzong-Khapa), nel suo trattato "Breve Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione" disse al riguardo:
"Quindi, le cose esterne, come i germogli, e le cose interne,
come l'attività composizionale, sorgono rispettivamente in
dipendenza dei semi, ecc. e dell'ignoranza, ecc."
E questo indica la prima ragione. Inoltre, la stessa opera dice ancora…:
"(Qualsiasi cosa che sia stabilita per via della sua propria essenza
di concretezza) deve essere inerentemente stabilita, vale a dire
che deve essere in grado di provocare essa stessa il suo proprio
potere, laddove sarebbe contraddittorio per essa, fare invece
assegnamento sulle cause e condizioni…"
E questo sta ad indicare la ragione intermedia…; La suddetta opera dice ancora:
"Tramite ciò, voi dovreste comprendere che le persone, i vasi,
e così via, sono privi di costituzione inerente, essendo imputati
in dipendenza dell'aggregazione o raccolta (delle loro proprie parti).
E questo sta ad indicare la terza ragione….
Tuttavia, (Tzong-Khapa) raccogliendole tutte e due in versione 'comune' e versione 'non-comune', afferma nella stessa opera: "Quelle sono le due presentazioni di uno stesso ragionamento sull'originazione-dipendente".
Non solamente in quello già citato, ma anche ne "La Grande Esposizione del Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna) –" Tzong-Khapa dice:
"Il Supermondano Vittorioso disse, "L'essenza dei fenomeni è questa:
Quando questo è, quello sorge; poiché questo è prodotto, quello allora
è prodotto. Tramite la condizione di ignoranza, vi sono le composizionali
attività", e così via. E la "Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna, dice (333):
"Quando questo è, quello si origina,
come il corto allorquando vi è il lungo.
Quando questo è prodotto, quello pure si produce,
come la luce dall'originazione di una fiamma:"
Ed anche il "Testo Fondamentale Chiamato Saggezza" di Nagarjuna dice (334):
"Colui che agisce sorge in dipendenza di un azione
ed un'azione sorge in dipendenza proprio di quell'agente.
Salvo che per questo fatto, noi non vediamo
nessun'altra causa per la loro costituzione…"
Addirittura ognuno di questi tre passaggi che (Tzong-Khapa) cita in serie, è adatto per indicare tutte e tre le presentazioni (del significato dell'originazione-dipendente), però in termini di ciò che essi principalmente indicano ed in termini di sequenza, tutti stabiliscono le tre differenti presentazioni del ragionamento (dell'originazione-dipendente).
Questa (triplice interpretazione dell'originazione-dipendente) è anche asserita dal glorioso Chandrakirti, il quale nel suo Commentario sul "Quattro Centinaia" di Aryadeva, così dichiara (335):
"In questo caso, tutto ciò che possiede la sua propria intrinseca
esistenza, che ha un'esistenza inerente, ha il suo proprio potere,
oppure non ha dipendenza da altri, sarebbe auto-costituito; di
conseguenza non avrebbe un sorgere-dipendente. Tuttavia,
tutte le cose composte sono originate-dipendentemente. Per
tale motivo, le cose che hanno originazione-dipendente non
sono auto-potenziate perché esse sono prodotte in dipendenza
da cause e condizioni. Tutti questi (fenomeni) non possiedono
un auto-potenziamento; perciò nessuna cosa può avere un <sé>,
ovverosia nessuna cosa può avere esistenza inerente.
Se voi conoscete in dettaglio il modo di interpretazione (di Tzong-Khapa) del significato di questa citazione (com'è stabilita) nella sua Grande Esposizione della Speciale Visione Profonda, voi potrete comprendere (in che modo quel passaggio indichi la triplice interpretazione dell'originazione-dipendente). In dipendenza da alcuni di questi speciali punti, il grande studioso definitivo Nor-sang-ghya-tso (336) è famoso per aver detto, "Tutto ciò che è una base costituita (cioè, tutto ciò che esiste) è un fenomeno composto". Circa questo, molte persone valide e meno valide hanno detto, "Per assurdo, ne consegue che il soggetto, cioè lo spazio non-composto, sia un fenomeno composto, in quanto vi è una base costituita" (337), ecc. Questi neofiti dalla epistemiologia logica ed elementare dimostrano molti punti comunemente proclamati di un danno (a tale posizione) e di una sprezzante derisione. Tuttavia, questo grande studioso ed erudito adepto che penetrò tutti i sutra ed i tantra, come avrebbe potuto non sapere questo semplice minimo ragionamento? Benché egli disse ciò con la speranza che, in dipendenza dalle sue parole, (le persone) avrebbero avuto un metodo efficace per formarsi una comprensione del significato della originazione-dipendente, sembra però che esse siano diventate esempi di " Per le persone addolorate dal karma, anche le medicine date, diventano veleno!"…
La succitata spiegazione del significato del ragionamento sulla originazione-dipendente è la stessa dell'insuperabile pensiero di Chandrakirti nella spiegazione etimologica di pratityasamutpada. Questo è certamente anche il pensiero conclusivo del Più Grande tra gli Esseri (Tzong-Khapa), ma poiché sembra che gli altri non lo abbiano ben chiaramente spiegato, ho voluto spiegarlo ancora un po’!"
Ora, voglio parlare un po’ sul metodo in cui i due estremi sono spiegati e spazzati via da questo ragionamento (dell'Originazione-Dipendente). In merito alla realizzazione di una visione corretta e pura, i principali punti di fraintendimento qui (secondo i Sistemi Conseguenzialisti) sono di due tipi. Uno è la visione della permanenza, ovvero la visione della sovrapposizione, avente un processo di recepire una concezione di vera esistenza, cioè la concezione che i fenomeni esistano realmente. Il secondo è la visione dell'annichilimento, ovvero un deprecabile modo di vedere in cui il carattere dell'oggetto di negazione non è recepito e, anzi è considerato da molto lontano, cosicché non si è in grado di indurre un accertamento in merito a tutte le cause e gli effetti di una purificazione (338) ed una completa afflizione. Entrambi questi (estremi) possono essere rifiutati senza residui, proprio in base a questo ragionamento dell'originazione-dipendente. Tramite l'accertamento della ragione, uno evita l'estremo del nichilismo e scopre una ragionevole certezza riguardo al sorgere-dipendente di causa ed effetto e, tramite l'accertarsi di ciò che è comprovabile, uno evita l'estremo dell'eternalismo o permanenza ed ottiene una certezza riguardo all'assenza di esistenza inerente.
Riguardo all'ottenere una tale certezza, ciò che ha così tanta forza è proprio il ragionamento dell'imputazione dipendente. E per di più, questo è l'incomparabile 'ruggito del leone' delle ottime spiegazioni del Venerabile Lama (Tzong-Khapa). Inoltre, entrambi gli estremi sono evitati anche tramite la certezza del ragionamento e le rispettive tesi individuali. Per di più, in generale, l'estremo di esistenza è evitato per mezzo dell'apparenza, e l'estremo della non-esistenza è evitato per mezzo della vacuità. Queste sono le cosiddette caratteristiche distintive (339) della Scuola delle Conseguenze della Via di Mezzo.
In dipendenza dei segreti essenziali della parola del Venerabile (Tzong-Khapa), voi dovreste arrivare a conoscere che vi è un modo distinguibile per cui queste diventano caratteristiche distintive della Scuola delle Conseguenze della Via di Mezzo, che non è propriamente ciò che è esplicitamente indicato. Perché, altrimenti, anche in ciascuna delle quattro scuole della Dottrina, vi sono spiegazioni affinché entrambi gli estremi di esistenza e non-esistenza siano evitati per mezzo dell'apparenza ed ancora, entrambi gli estremi siano anche evitati per mezzo della vacuità.
In generale, vi è il modo che i due estremi siano evitati riguardo alle cose, dato che esse sono originazioni-dipendenti. In particolare, vi sono i modi che i due estremi siano evitati, in base al ragionamento, grazie alla consapevolezza di una persona, al momento di udire e riflettere sui testi della Scuola della Via di Mezzo, come pure modi che i due estremi siano evitati grazie alla propria consapevolezza, quando la realizzazione che sorge dalla meditazione è stata generata – ai due livelli di un essere ordinario e di un essere Superiore. In più, perfino tra i Superiori, a causa del graduale accrescimento della forza mentale di coloro che sono ai più alti livelli, vi sono numerose differenze di sottigliezza nel modo in cui, nella nostra mente, sono evitati i due estremi, poiché ciò diventa molto più (340) profondo che nei livelli più bassi. Per questo motivo, Shantideva dice (341):
"Perfino tra gli Yogi, a qualsiasi livello, il più elevato
reca danno (al più basso), a causa delle caratteristiche
della loro propria intelligenza".
Di conseguenza, tutte le presentazioni delle due verità della Scuola Conseguenza della Via di Mezzo, sono date dall'interno di una sfera di questo ragionamento di originazione-dipendente, e vi sono anche molte importanti ragioni che riguardano molte caratteristiche non comuni al tempo del sentiero e del frutto. Per di più, esse possono essere ben conosciute da persone che hanno una completa comprensione di 1) ciò che identifica il fattore di vacuità, per la ragione dell'aver accertato (344) il fattore di apparenza, e 2) ciò che induce la certezza riguardo al fattore di apparenza tramite l'aver preso il fattore di vacuità come la ragione. Comunque, non è possibile che tutte queste potrebbero essere state compiute a mò di un inizio (di rozze idee venute a qualcuno) che non ha capito bene la visione. Anzi, queste sono viste come dipendenti dalla perfetta conoscenza del significato, di come ogni presentazione dell'esistenza ciclica (samsara) e nirvana sia solo esistente in modo imputato e, all'interno di ciò, ben sapendo ciò che è eliminato e ciò che è incluso, all'interno del termine "mera nominalità, ovvero solo esistenza imputata".
"Orsù, io mi domando se questa buona spiegazione di Losang Dragpa –
Dotato di una schiera di raggi luminosi di ambrosia –
Che è venuto sul picco della montagna orientale, di non basso merito
Allo scopo di generare una gioia manifesta –
Sia gloriosa soltanto per la mia propria mente.
La forma arcobaleno del corpo sottile di un centinaio di testi dal
buon significato, scritti con la penna (345) del puro ragionamento
che sono completamente riflessi nello specchio della mia mente,
concede la gioia per mezzo di migliaia di visioni e trasformazioni.
Quel saggio che, dimorando nella foresta composta dai dieci milioni
di procedimenti di Nagarjuna, è qualificato a far comparire quelle due
meravigliose donne che sono la vacuità e l'originazione-dipendente,
grazie al messaggero della stabilizzazione meditativa dell'immacolato
ragionamento, è chiamato un Proponente della Scuola Via di Mezzo.
Coloro che hanno abbandonato da un canto, la beatitudine che deriva
dalla stabilizzazione mentale nella realtà, e che procedono ricurvi al
passo di spiegazioni e dibattiti nella generalità verbale, centinaia di
volte usano le loro bocche per parlare di originazione-dipendente, ma
tale è la vuotezza del significato, che è come una lampada a burro in un
un dipinto (346).
Se coloro che casualmente studiano in testi limitati e,
benché privi di forza mentale per discriminare tra ciò che richiede una
interpretazione e ciò che è definitivo, nondimeno si caricano di una
responsabilità nel rendere totalmente uguali l'essere ed il non-essere
senza aver detto alcunché, come potrebbe non essere piacevole!
Perfino se io non avessi sperimentato il gusto supremo della vera
realizzazione derivante dalla meditazione, che è il frutto del lavoro
eseguito sui testi immacolati, quanto meraviglioso sarebbe ciò che
Losang, il Padre Migliore di Tutti, ha prodotto nel far nascere in me
la sorte di propormi l'originazione-dipendente proprio così com'è!
E queste sono le strofe nel mezzo delle sezioni…
COME GLI ALTRI RAGIONAMENTI DERIVINO DALL'ORIGINAZIONE- DIPENDENTE
Gli elementi essenziali di tutti i ragionamenti (che comprovano la mancanza del sé e che sono casi di non-osservanza di qualcosa di inestricabilmente correlato con l'esistenza inerente), ci riportano (347) proprio a questo ragionamento dell'originazione-dipendente. Ciò è dovuto al fatto 1) che lo scopo principale di tutti questi ragionamenti è solo quello di generare nel continuum mentale la visione della Via di Mezzo e simultaneamente spazzare via i due estremi, e giusto questo ragionamento dell'originazione-dipendente porta a termine questo compito in modo esplicito; ed al fatto che 2) questi ragionamenti ci riportano ancora proprio a questa modalità (dell'originazione-dipendente) allorché siano seguiti a puntino.
Così come stabilito in precedenza, i principali ragionamenti che questo sistema usa per dichiarare le due "assenze del sé", devono essere considerate queste due, il rifiuto di produzione dai quattro estremi ed il settuplice ragionamento. Il modo in cui i loro elementi essenziali ritornano all'originazione-dipendente è chiaramente indicato nel "Supplemento di Chandrakirti al Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna", poiché in quel testo (Chandrakirti) parla chiaramente di come il ragionamento del rifiuto di produzione dai quattro estremi riporta a quello dell'originazione-dipendente. (348)
"Poiché le cose non sono prodotte 'senza-causa, o da Ishvara
e cause di questo tipo, o da se stesse, o da altro, o da entrambe,
allora esse sono prodotte solamente in modo dipendente".
Ed inoltre, nel medesimo testo (Chandrakirti) parla chiaramente di come il settuplice Ragionamento riconduce verso l'originazione-dipendente (349):
"Che (il carro) non sia stabilito per la (sua propria) talità,
o anche nei sette modi in cui il mondo verifica le cose,
ma senza un appropriata analisi, proprio qui nel mondo,
esso è altresì imputato in dipendenza delle sue parti"
Per di più, quando si è cercato l'oggetto imputato nell'imputazione convenzionale, per esempio, "Un germoglio sta crescendo", voi potrete avere la certezza che (quel germoglio) non è prodotto da sé, né da altro, né da entrambi e neppure senza-causa, ciò – grazie alla sua propria forza – induce certezza che la crescita del germoglio, ecc., è solo una imputazione, ed inoltre anche quando vi sarete accertati che la convenzionalità del "crescere" (ovvero la "produzione") è solo una imputazione, ciò – grazie alla sua propria forza – induce certezza riguardo alla non-trovabilità, quando l'oggetto, imputato nell'imputazione del crescere convenzionale, è visto.
Questo metodo (in cui la comprensione di uno aiuta nella comprensione dell'altro) è il modo in cui gli elementi essenziali del ragionamento che rifiuta la produzione dai quattro estremi, riportano alla originazione-dipendente. Il testo di Tzong-Khapa "L'Essenza delle Buone Spiegazioni" dice (350):
"Tramite (il ragionamento che) le cose esterne, come dei
germogli e le cose interne, come l'attività composizionale,
sorgono in dipendenza di cause e condizioni – come un
seme e l'ignoranza - le loro produzioni e così via, esse sono
vuote di una natura inerente, nel senso che sono stabilite
per via delle loro proprie caratteristiche e non sono pro=
dotte da se stesse, da altro, da entrambi, oppure senza-causa.
Poiché (Chandrakirti) rifiuta in questo modo (i quattro tipi
estremi di produzione), (l'oggetto di negazione) viene a sua
volta rifiutato, in una maniera che riconduce proprio al
ragionamento dell'originazione-dipendente, che è il Re dei
ragionamenti e taglia tutti i fili delle cattive visioni errate."
Principalmente questo è il ragionamento sulle cose che sono prodotte in maniera dipendente, ma allorché lo si consideri accuratamente, esso può altresì ricondurre al ragionamento che le cose sono imputate dipendentemente. Quest'ultimo modo è più difficile da capire che non il primo.
Il modo in cui gli elementi essenziali del settuplice ragionamento riportano alla originazione-dipendente è 1) che proprio l'introvabilità nei<sette modi>, induce la certezza che la persona sia meramente imputata in dipendenza degli aggregati (mentali e fisici) e 2), che proprio la realizzazione (che la persona sia) esistente soltanto in modo imputato induce la certezza riguardo agli altri fenomeni (cioè la certezza che i fenomeni non sono trovabili in questi sette modi). Il testo di Tzong-Khapa, "L'Essenza delle Buone Spiegazioni", dice (351):
"Anche questo riporta al ragionamento dell'originazione-
dipendente, poiché la introvabilità della persona in quei
sette, a causa dell'essere soltanto imputata in dipendenza
degli aggregati, è il significato dell'assenza del sé nelle persone."
Quindi, anche gli altri ragionamenti comprovanti l'assenza del sé, che sono non-osservazioni di fattori correlati, contengono tutte queste caratteristiche.
Ognuno di questi ragionamenti rifiuta la visione di permanenza tramite la funzione separabile concettualmente del ragionamento in se stesso, il quale è la sua negabile reperibilità alla fine della ricerca dell'oggetto imputato – in cui questa reperibilità è qualcosa che è necessariamente collegata con la sua costituzione inerente, vale a dire l'oggetto della negazione. (Ciascuno di questi ragionamenti) rifiuta anche l'estremo di annichilimento, tramite la funzione separabile concettualmente del fatto che essendo imputato meramente in modo dipendente – l'opposto dell'oggetto di negazione, cioè la costituzione inerente – diventa la ragione. Dovreste sapere che vi sono due impronte che dipendono dalle funzioni individuali. Nondimeno, voi dovreste anche ben differenziare come vi sia, in dipendenza del modo (o della ragione) che è esplicitamente dichiarato, una osservazione di ciò che è opposto oppure una non-osservazione di ciò che è necessariamente correlato.
Somiglianze della vera grande abilità di questo ragionamento dell'originazione-dipendente, che servono per togliere esplicitamente di mezzo i due estremi, non ne esistono in altri ragionamenti che dichiarano che i fattori della vacuità (come il non essere prodotti da sé, da altro, da entrambi o senza causa) sono la ragione. Inoltre, all'interno stesso del ragionamento dell'originazione-dipendente, proprio il ragionamento dell'imputazione dipendente è già molto potente.
(Gli Autonomisti della Via di Mezzo) Bhavaviveka ed il suo figlio spirituale (cioè Jnanagarbha) come pure Shantarakshita ed il suo figlio spirituale (Kamalashila) asseriscono pure che la radice dei ragionamenti che rifiutano la vera esistenza, riconduce all'avere le parti e che l'avere le parti è il vero significato del sorgere-dipendente. Comunque, il metodo che questi (Conseguenzialisti) hanno perché gli altri ragionamenti riconducano all'originazione-dipendente è assolutamente diverso. Inoltre, il modo in cui il ragionamento dell'originazione-dipendente elimina esplicitamente i due estremi (nel sistema Conseguenzialista) non è come (ciò che è asserito in) quegli altri sistemi. I maestri della Scuola dell'Autonomia ed i loro discepoli dicono oltretutto che la vacuità e l'originazione-dipendente hanno la stessa importanza, ma il modo in cui hanno la stessa importanza non è come in questo sistema (della Scuola Conseguenzialista). Per di più, principalmente solo i Conseguenzialisti usano l'espressione "Re dei ragionamenti" per questo ragionamento (dell'originazione-dipendente). Così, nel testo di Tzong-Khapa, "La Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione", si dice:
"Quando gli altri esseri senzienti apprendono che (un fenomeno)
è prodotto in base a cause e condizioni, in dipendenza di ciò essi
apprendono (quel fenomeno) come se avesse una natura inerente
nel senso di esistere per via della sua stessa entità e, per questo
motivo essi sono imprigionati (nell'esistenza ciclica). Il saggio,
in base a questo segno (cioè che è un'originazione-dipendente)
rifiuta che il fenomeno abbia esistenza inerente e assume una
certezza rispetto alla sua assenza di esistenza inerente, (e così)
taglia i legami delle visioni che concepiscono i due estremi. Di
conseguenza, questa prova dell'assenza di esistenza inerente,
per mezzo dell'accertamento della originazione-dipendente,
è il migliore dei più mirabili e grandi mezzi abili del metodo."
E Tzong-Khapa, nel suo "L'Elogio del Buddha Sovramondano, dal Punto di Vista della Originazione-Dipendente", così dice ancora:
"Proprio ciò che rende, per i bambini, più saldi i legami delle
concezioni estreme, allorché essi ne vengono a conoscenza,
per il saggio è la porta che introduce al taglio di tutti gli intrecci
delle elucubrazioni (della concezione di esistenza inerente)".
Il suo affermare che proprio il ragionamento dell'originazione-dipendente è, per il saggio, la porta d'ingresso per tagliare tutti i legami delle concezioni estreme, è fatto in considerazione che la vacuità e l'originazione-dipendente debbano arrivare ad avere la medesima importanza.
Inoltre, ciò che Nagarjuna ed il suo figlio spirituale, come pure il Venerabile Onnisciente (Tzong-Khapa) dissero, è che la vacuità ha lo stesso significato dell'originazione-dipendente, ma non è come considerare tutto ciò che è tondeggiante come avente il significato di una pentola. Ed anche, non è così scontato che una coscienza che realizzi una realizzi anche l'altra. Quindi, che la vacuità arrivi a significare, proprio per tutti, l'originazione-dipendente non è sicuro, ma è considerato così solo nella prospettiva di colui che ha già accertato la visione pura e non la ha più dimenticata. Come Tzong-Khapa, nel suo "Oceano del Ragionamento, Spiegazione del Trattato della Via di Mezzo di Nagarjuna", così dice:
"Il significato della vacuità, che è diventato il
significato dell'originazione-dipendente, è così
per i Proponenti della Scuola della Via di Mezzo,
che hanno rifiutato l'esistenza inerente grazie
alla valida cognizione, e non per tutti gli altri."
Quindi, anche se qualcuno dei nostri studiosi (Ghelugpa) asserisse (in un dibattito) che ciò è per le persone che pendono da altre parti, che hanno ben maturato i loro continuum mentali (come nel caso in cui essi sono già pronti a realizzare la vacuità) ed anche se altri asserissero che è per coloro la cui analisi della visione è ormai completa, io credo proprio che ciò che è stato spiegato sopra sia corretto.
Il Venerabile Onnisciente (Tzong-Khapa) ha detto (nel suo "I Tre Aspetti Principali del Sentiero") (352):
"Quando (le due realizzazioni di apparenza
e di vacuità) esistono simultaneamente senza
alternanza e quando, dal solo vedere come
infallibile l'originazione-dipendente, emerge
un accertamento di conoscenza che distrugge
interamente il modo errato di apprendere (gli
oggetti come inerentemente esistenti), allora
si è completata l'analisi della visione."
E, dopo questo, egli dice ancora:
"Inoltre (353), l'estremo di esistenza (inerente)
è evitato dalla (conoscenza della natura delle)
apparenze (in quanto esistenti solamente)
come mere designazioni nominali."
"E l'estremo della (totale) non-esistenza è
evitato dalla (conoscenza della natura della)
vacuità (come assenza di esistenza inerente
e non come assenza di esistenza nominale)."
"Se, dall'interno di questa vacuità, voi siete
in grado di conoscere il modo di apparenza
di causa ed effetto, allora voi non sarete
presi e imprigionati dalle visioni estreme."
Tramite queste dichiarazioni, (Tzong-Khapa) ben chiarisce come la vacuità arrivi ad avere la stessa importanza e lo stesso significato dell'originazione-dipendente, ma il profondo significato di queste dichiarazioni è davvero assai difficile da realizzare. Io non penso che sarebbe corretto asserire che il vero significato del primo passaggio sia la mera capacità di avere un'apparenza simultanea, riguardo ad un dato fenomeno, del suo essere un'originazione-dipendente originata da cause e condizioni e del suo non essere esistente in modo inerente. Anche il Grande Venerabile Rendawa (354) dice qualcosa di assai simile a quella determinata dichiarazione:
"Quando le due saggezze, cioè la fede nella verità
non-illusoria di causa ed effetto e la realizzazione
che le originazioni-dipendenti sono tutte vuote,
sono alfine comprese in una inseparabile unione,
allora ciò vuol dire che uno è entrato nel sentiero
della Via di Mezzo, libero totalmente dagli estremi.
Ed, al momento stesso in cui (i fenomeni) appaiono,
essi sono visti e realizzati come vuoti; così quando
la vacuità è realizzata (355), l'apparenza non viene
rifiutata. Quando questa certezza è fondata, in base
al modo in cui queste due (saggezze) sono riunite,
allora il Pensiero del Vittorioso è stato realizzato."
Quindi, proprio così tanto quando uno analizza completamente con un immacolato ragionamento, uno potrà generare una più grande certezza nei riguardi di come questi e quei fenomeni siano privi di esistenza inerente, fino al punto di indurre quella certezza, riguardo al fatto che tutti questi fenomeni siano mere imputazioni dipendenti, a svilupparsi con sempre maggior forza. Ancora, proprio quanto più l'induzione di certezza, riguardo al modo in cui i fenomeni sono solo imputazioni dipendenti, aumenta con sempre maggior forza, tanto più l'induzione di certezza riguardo al modo in cui i fenomeni sono vuoti di esistenza inerente, aumenterà con sempre maggiore forza.
Inoltre, una volta che sia stata generata una certezza di coscienza – indotta da una cognizione inferenziale del fatto che un germoglio sia senza esistenza inerente, per il suo essere una originazione-dipendente – e allorché questa non si deteriori, è evidente che vi siano molti diversi stadi di livelli di capacità, riguardo a come queste due coscienze che hanno acquisito certezza si assistano l'un l'altra, grazie ad un processo graduale e progressivo, che si eleva sempre più in alto.
Poiché questo argomento (di come le due realizzazioni si aiutino l'un l'altra) è estremamente difficile da comprendere e, quand'anche sia stato compreso, è oltremodo stupefacente, il buon Protettore Nagarjuna ci dice:
"Relazionarsi sulle azioni e sui loro effetti,
senza conoscere questa vacuità dei fenomeni,
è ancor più sorprendente di tutte le sorprese
e anche più meraviglioso di tutte le meraviglie!".
Ed il Grande Essere Più Venerabile (Tzong-Khapa) dice, a sua volta:
"La cosa più stupefacente e più meravigliosa
di queste due certezze, è che tutte e due sono
totalmente vuote di esistenza inerente e che
questo loro effetto sorge da tale (causa) – cioè
l'assistersi l'un l'altra senza alcun impedimento!"
Vi sono ancora varie sfaccettature, nel significato della medesima importanza che rivestono la vacuità e l'originazione-dipendente, che dovrebbero essere comprese in maggior dettaglio di quanto spiegato finora. Le somiglianze di ciò che appare negli scritti del Più Esimio Onnisciente (Tzong-Khapa) – e cioè, "Grande Esposizione della Speciale Visione Interiore", "Esposizione Mediana della Speciale Visione Interiore", ed il suo "Grande Commentario sul Trattato Fondamentale Della Via di Mezzo, Chiamato 'Saggezza', di Nagarjuna" – non appaiono in nessun altro dei saggi di istruzione sulla Visione, composti dagli studiosi successivi, (benché questi siano) famosi per essere assai chiari. Inoltre, (ciò che si trova nelle scritture di Tzong-Khapa) non appare nelle presentazioni generali ed analisi critiche dei testi (degli altri autori), eccetera…
Quindi, è evidente che quando queste scritture del Lama Più Venerato (Tzong-Khapa) sono spiegate da qualcuno che conosce bene come spiegarle e ascoltate da qualcuno che sa bene come ascoltarle, vi sono innumerevoli ragioni per generare una vera gioia da tali sorgenti.
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-------NOTE al Testo
1. lcang skya rol pa'i rdo rje. Il materiale biografico è tratto dall'introduzione di E. Gene Smith alla Raccolta di
Opere di Thu'u-bkwan Blo-bzang-chos-kyi-nyi-ma di N. Gelek Demo (Delhi, 1969), vol. 1, pp.2-12, e da una breve biografia, messa insieme su mia richiesta da Gheshe Thubten Ghyatso del Centro di Insegnamenti buddhisti-Tibetani del New Jersey. Il materiale è stato ulteriormente ampliato e reso comprensibile da Khetsun Sangpo Rimpoche, il quale era in visita all'Università della Virginia, sotto gli auspici del Centro Studi dell'Asia Meridionale. Tanto Gene Smith quanto Gheshe Thubten Ghyatso hanno condensato la biografia di Jang-kya, che nel primo volume della sua Raccolta di Opere è lunga 414 pagine (827 facciate) ed è divisa in venticinque capitoli. Non serve ricordare che la biografia non fornisce una imparziale evidenza degli avvenimenti di quel periodo e che certamente è scritta con l'intento di rendere gloria alla vita di Jang-kya; nondimeno, non viene nascosta la sua straordinaria dote di aver portato a termine un compito presso la corte Cinese.
Un'altra biografia di Jang-kya, redatta nel 1787, dal suo fratello più giovane Chu-sang Nga-wang Thub-den Wang-chuk (chu bzang ngag dbang tub bstan dbang phyug, nato nel 1736), si trova all'inizio del volume supplementare dell'edizione di Pechino della Raccolta di Opere di Jang-kya ed è stata tradotta da Hans-Rainer Kampfe in "Ni ma'i 'od-zer/Naran-u gerel: Die Biographie des 2 Pekinger Lchan skya-Qutuqtu Rol pa'i rdo rje (1717-1786), Monumenta Tibetica Historica, Abt. II, Bd. 1, Wissenschaftsverlag, S. Augustin, 1976. Vedere, per una illuminante rassegna di quest'argomento, l'articolo di Samuel M. Grupper, "Manchu Patronage and Tibetan Buddhism during the First-half of the Ch'ing Dinasty", nel Journal of the Tibet Society, vol. 4, 1984, pp. 47-75. Grupper presenta la visione che la lealtà Manchù al buddhismo Tibetano, durante la prima metà della Dinastia Ch'ing, era genuina e non solo un tatticismo per mantenere la fedeltà della nobiltà Mongola. In evidenza vi è il fatto (non incluso in questo capitolo) che una immagine dell'Imperatore Yung-cheng, dipinto nelle vesti di un Lama, fu innalzata nel Tempio Sung chu, che era la residenza di Jang-kya a Beijing (Pechino). Per una lettura aggiuntiva circa gli inizi dell'influenza Manchù, vedere Tsepon W. D. Shakabpa, "Tibet: una Storia Politica" (Potala Corp. New York, 1984) pp. 140-152.
2. ye shes bstan pa'i sgron me.
3. Secondo un certo sistema tradizionale di datare, la sua nascita è calcolata 2632 anni dopo la morte di Shakyamuni Buddha, il che significa, con tale sistema di calcolo, che essa dovrebbe aver avuto luogo nel 915 a.C., anziché nel 483 a.C. circa, come normalmente è stabilito secondo i calcoli del buddhismo Meridionale.
4. Il primo mese del calendario Mongolo-Tibetano, che cade in Febbraio o Marzo del calendario occidentale.
5. nub pad mo'i sde. Khetsun Sangpo indicò che il nome del distretto è chiaramente Tibetano (per il Sanscrito padmo), anche se lang gru'u è Cinese.
6. lang gru'u sde bzhi, Nella regione Ba-ri (dpa-ri) della Provincia Am-do del Tibet, che attualmente i Cinesi includono nella loro Provincia Xinghai, lang gru'u non deve venir confusa, come invece ha fatto Gene Smith (vedi), con lan gru, che al giorno d'oggi è Lanzhou nella Provincia Gansu, in Cina. Grazie a Gheshe Thubten Ghyatso, per averlo identificato.
7. a mdo.
8. tsong kha, una regione che include il luogo natale di Tzong-Khapa (tsong kha pa, 1357-1419), fondatore dell'ordine Ghelugpa, di cui Jang-kya fu un lama eminente.
9. guru bstan 'dzin.
10. chi kya dpon po.
11. chi kya tshangs pa, (la parte finale è una forma dialettale di ngags pa)
12. bu skyid.
13. dgon lung byams pa gling.
14. lcang skya ngag dbang blo bzang chos ldan, (1642-1714).
15. grags pa bsod nams.
16. thu'u bkvan blo bzang chos kyi nyi ma, (1737-1802).
17. chu bzang blo bzang bstan pa'i rgyal mtshan.
18. ngag dbang chos kyi grag pa bstan pa'i rgyal mtshan.
19. bstan 'dzin ching wang.
20. (vedi)
21. Preferisco usare il mio sistema di translitterazione 'fonetica', piuttosto che quella di Gene Smith, che è "Lcang skya".
22. ngag dbang chos kyi rgya mtsho, (1680-1736). Per il terzo Tu-gen, vedi nota 1.
23. bsam yas. Riferimenti per il dibattito sono, come citato da E. Napper in "Originazione-Dipendente e Vacuità: Una Interpretazione Buddhista Tibetana della Filosofia Madhyamika, che dimostra la Compatibilità di Vacuità e Fenomeni Convenzionali" (Ann Arbor: University Microfilms, 1981) n. 40, p.808: (segue una lunga lista di riferimenti tratti da testi ed Autori, come P. Demieville, G. Tucci, G. W. Huston, Y. Seizan, L. Gomez, A. Wayman, ecc)
24. zhi byed pa.
25. pha dam pa sangs rgyas.
26. Gene Smith descrive questa identificazione come "uno strano fiore prodotto dalla fertile mente di Lcang-skya".
27. khri chen blo bzang bstan pa'i nyi ma (1689-1746)
28. skal bzang rgya mtsho.
29. mgar thar.
30. Questa sezione sulla situazione politica del periodo che precedette la missione di Jang-kya è tratto da Snellgrove e Richardson, Cultural History of Tibet, (Praeger, New York, 1968) pp. 204-220.
31. lha bzang.
32. li thang.
33. sku 'bum.
34. pho lha bsod nams stobs rgyas, (1689-1747). Per un resoconto della sua vita, vedere K. Dondup, "Il Cavallo-d'Acqua ed Altri Anni: una Storia nel Tibet del 17° e 18° Secolo" (Dharamsala, L.A.W.A., 1984) pp. 73-100.
35. (pag.219)
36. Snellgrove e Richardson, op. citata, pag. 220.
37. bkra shis lhun po.
38. blo bzang ye shes, nato nel 1663.
39. tham ka bla ma.
40. bstan 'gyur.
41. bka' 'gyur.
42. dag yig mkhas pa'i byung gnas.
43. dga' ldan byin chags gling. Per una descrizione di questa istituzione, vedere F.D. Lessing, Yung-Ho-Kung; una iconografia della Cattedrale Lamaista in Pechino, (Stoccolma, 1942).
44. rta tshag rje drung blo bzang dpal ldan.
45. 'phags pa, (1235-1280).
46. Vedere la traduzione di D. L. Snellgrove di questo Tantra, in Hevajra Tantra, Parti 1 e 2, (Londra, Oxford University Press, 1959).
47. In superficie, sembra che i biografi Tibetani insistano frequentemente sul non riconoscere l'individuale iniziativa per il cambiamento ed anzi ricorrano a spiegazioni che un bel po’ fanno della storia umana, una sorta di drammatico intervento e di discesa del divino. Origini divine rendono più cariche di autorità le istituzioni, ma simili esagerazioni sembrano anche pervertire la fondamentale nozione buddhista di uno sforzo individuale. Tuttavia, grazie all'assunzione di multiformi prospettive da parte del biografo, rimane una forte enfasi sullo sforzo individuale, da parte degli esseri altamente motivati. Questa straordinaria enfasi sull'intervento divino può riflettere la fecondità dello 'yoga della divinità', in cui i meditanti riemergono da uno stato di dissoluzione nella vacuità, nella forma di qualsiasi divinità essi desiderino. Un tale aspetto sembra presentare nella giusta compiacenza, l'identificare grandi personaggi come incarnazioni di divinità.
48. sku 'bum.
49. btsan po dgon.
50. dkon mchog 'jigs med dbang po, (1728-1791).
51. skal bzang tshe dbang.
52. rin chen lhun grub.
53. hu thog thu.
54. me gro ru thog.
55. phur bu lcog byams pa rin po che.
56. dpal ldan ye shes, (nato nel 1737).
57. gtsang.
58. La biografia è chiamata "Il Mazzo fiorito dei Gioielli che Esaudiscono i Desideri" (dpag bsam rin po che'i snye ma).
59. rje btsun dam pa, (1758-1773).
60. ye shes bstan pa'i nyi ma.
61. khri chen ngag dbang mchog ldan.
62. 'jam dpal zhal lung.
63. tshad ma rnam 'grel, 'pramanavarttika'.
64. rje btsun chos kyi rgyal mtshan.
65. dben sa pa.
66. lta ba'i gsung mgur.
67. rim lnga gsal sgron.
68. bra sti dge bshes.
69. ke'u tshang.
70. ri bo rtse lnga.
71. "Patrocinio Manchù e buddhismo Tibetano, durante la Prima Metà della Dinastia Ch'ing", n. 37, p. 74. L'imperatore Ch'ien-lung, in tarda età, alle critiche riguardo ad un suo "superpatrocinio" alla Chiesa Gialla espose, a sua difesa, una iscrizione nel Tempio chiamato Lama, in Pechino, spiegando che la sua protezione alla chiesa Ghelugpa era dovuta per lo più alla necessità di controllare i Mongoli. Il tono ed il carattere dell'iscrizione contrastano alquanto con una precedente iscrizione fatta al tempo della dedica del tempio. Come ci ragguaglia Ferdinand D. Lessing, nel suo "Yung-Ho-Kung; un'iconografia della cattedrale Lamaista in Pechino", pp.61-62:
"Un universo separa questa filippica auto-giustificatoria nei riguardi del Lamaismo, dalla dedica consacratoria che sta davanti alla Sala "I"; lì parla il figlio, il pio amico dei monaci, un Ashoka Dharmaraja Cinese, mentre qui vi è la perorazione di uno sconcertato monarca, un vecchio pieno di acrimonia e disappunto. Press'a poco mezzo secolo passa tra la composizione dei due documenti, quasi sessant'anni di aperto e nascosto guerreggiare, di lotte per il potere, analoghe a quelle che riempirono il Medio Evo in Europa, quando papi ed imperatori combatterono per la supremazia. L'Imperatore Cinese, nella sua autodifesa, ci apre degli squarci in quel mondo di trucchi e intrighi che, come egli aveva supposto, minacciavano il suo potere temporale. Finalmente, egli pensa, avrà vinto la battaglia: rifiutando i Gurkha ora egli si godrà il suo trionfo finale, sentendosi il salvatore della Chiesa dei Berretti Gialli e, simultaneamente, un buon padre per tutti i suoi sudditi. Così egli fa uno sforzo per dimostrare che egli non è, come i critici Cinesi avevano asserito, uno strumento bigotto in mano ai lama. Al contrario, egli ha agito come un sovrano arbitro che, dalla sua autorità Imperiale, ha fatto cessare tutti quei sinistri intrighi e quelle vistose pratiche nefande, mettendo alla gogna i nomi dei cospiratori, avendoli scolpiti sulla pietra e conservandoli nella vera Cattedrale del Lamaismo a Pechino, come un monito per le future generazioni. Mentre la prima iscrizione è permeata di aspirazione religiosa ed espressa in forma poetica, quest'ultimo documento è concepito nel sobrio stile della Cancelleria Imperiale."
Senza dubbio, la situazione era veramente molto complessa.
72. Per questi, vedere Gene Smith, Appendice II°, pp. 3-7; per una lista delle quattordici precedenti incarnazioni
di Jang-kya, che include Se-ra Je-tsun Cho-kyi-ghyal-tsen (se ra rje btsun chos kyi rgyal mtshan)(1469-
1546), come pure una lista aggiuntiva delle tre che includevano Mar-ba Cho-kyi-lo-dro (mar pa chos kyi blo
gros) (1012-1097), vedi la stessa Appendice I°, pp. 1-2. Il terzo Pan-chen Lama scrisse una petizione-
preghiera alle quattordici incarnazioni, e Gon-chok-jik-mè-wang-bo ci ha tramandato brevi annotazioni di
esse nel suo "ngo mtshar dad pa'i ljon shing".
73. Per una lista completa, vedere Lokesh Chandra, 'Materials for a History of Tibetan Literature', (New Delhi –
International Academy of Indian Culture, 1963) Part I°, pp. 192-199. Uno degli otto volumi è composto di
scritti segreti; vedi p. 199 della summenzionata opera. La seguente descrizione degli scritti di Jang-kya è
similmente tratta dalla stessa.
74. Vedere J. Schubert, Tibetische Nationalgrammatik, (Lipsia, 1937).
75. Lokesh Chandra riferisce (p.39) che il grande Dizionario fu composto in un solo anno da un vasto staff di
collaboratori, venendo completato alla fine del 1742 e che la composizione dello staff è riportata in "Heissig, Blockdrucke, 99, p. 87"
76. Come riferisce ancora L. Chandra (p. 39), il primo è riprodotto da S. F. Oldenburg, in Bibliotheca Buddhica
V°, (S. Pietroburgo, 1903) e l'altro è riprodotto da W. E. Clark in "Two Lamaistic Pantheons", vol. I° e II°
(Cambridge, Mass., USA, 1937)
77. Il libro è chiamato 'tshad ma'i lam rim', oppure 'gnyid mo che'i rmi lam gyi rol mtshor shar ba'i bstan bcos
ngo mtshar zla ba'i snang brnyan', che Tu-gen riproduce alle pp. 679-696 della biografia.
78. grub pa'i mtha'i rnam par bzhag pa gsal bar bshad pa thub bstan lhun po'i mdzes rgyan.
"Meru" è la montagna al centro di questo sistema-mondo nella cosmologia Buddhista. Sono state utilizzate tre edizioni:
1 – Varanasi: Pleasure of Elegant Sayings Printing Press, 1970; nelle note, questa sarà chiamata "Edizione Codice Varanasi".
2) Un edizione pubblicata sotto il patrocinio del Nam-ghyal College di Dharamsala, India, per cui nelle note sarà chiamata "Edizione Nam-ghyal".
3) – Il 'Buddhist Philosophical Systems of Lcan-skya Rol-pa-hi Rdo-rje', edito da Lokesh Chandra, Satapitaka Series (Indo-Asian Literatures), v.233, (New Delhi, 1977); nelle note sarà chiamata "Edizione L. Chandra".
La prima della succitata lista è stata utilizzata come edizione di base, solo grazie alla sua facile leggibilità. È stata scelta per prima, nei riguardi della seconda, ed emendata come indicato nelle note.
Il capitolo sulla Scuola Sutra è stato tradotto da Anne C. Klein in "Mind and Liberation: The Sautrantika Tenet System in Tibet", (Ann Arbor: University Microfilms, 1981), ed il capitolo sulla Scuola Autonomia è stato tradotto da Donald S. Lopez jr. in "A Study of Svatantrika", (Ithaca: Snow Lion, 1987).
79. grub mtha'i rnam bzhag.
80. P. 6
81. grub mtha' chen mo, il cui lungo titolo è: 'Explanation of "Tenets", Sun of the Land of Samantabhadra
Brilliantly Illuminating All of Our Own and Others' Tenets and the Meaning of the Profound (Emptiness),
Ocean of Scripture and Reasoning Fulfilling All Hopes of All Beings' (grub mtha'i rnam bshad rang gzhan
grub mtha' kun dang zab don mchog tu gsal ba kun bzang zhing gi nyi ma lung rigs rgya mtsho skye
dgu'i re ba kun skong), (Musoorje, Dalama, 1962). La sezione sulla Scuola Conseguenza nel testo di Jam-
yang-shepa, che corrisponde a quello di Jang-kya, dato in questo libro, si trova nel mio "Meditation on
Emptiness", (Londra: Wisdom Publications, 1983) pp. 583-697.
82. 'rje' è spesso usato come traduzione equivalente di 'swami'. Così, in 'rdo-rje', rje significa "la migliore delle
pietre", cioè il diamante, così come qui, 'rje' si riferisce al "migliore degli esseri", qualcuno davanti a tutti gli
altri esseri.
83. Cioè, 'rje yab sras', "Il Venerabile Padre e i Figli (Spirituali)".
84. rje bdag nyid chen po.
85. rje bla ma.
86. rje thams cad mkhyen pa.
87. Come in rje thams cad mkhyen pa yab sras, "Il Venerabile Onnisciente Padre ed i Figli".
88. Come in thams cad mkhyen pa yab sras, "L'Onnisciente Padre ed i Figli".
89. Nella sezione tradotta in questo libro, Jang-kya cita, tra le opere di Tzong-Khapa, queste:
1) Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo, chiamato anche Essenza delle Buone Spiegazioni,
cinque citazioni.
2) Grande Commentario sul 'Trattato sulla Via di Mezzo' (di Nagarjuna), chiamato anche Oceano del
Ragionamento, Spiegazione del 'Trattato sulla Via di Mezzo' (di Nagarjuna), cinque citazioni.
3) Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione, tre citazioni.
4) Elogio del Buddha Sovramondano dal Punto di Vista dell'Originazione-Dipendente, tre citazioni.
5) Grande Spiegazione del 'Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)'/
Illuminazione del Pensiero, tre citazioni.
6) Breve Esposizione degli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione, due citazioni.
7) I Tre Aspetti Principali del Sentiero, due citazioni.
Per una lista completa dei testi che Jang-kya cita nelle corrispondenti parti del suo Grande Esposizione
della Dottrina, vedi "Meditation on Emptiness", pp. 569-572.
90. La corrispondente sezione nella presentazione di Jam-yang-shepa conta 209 citazioni (per l'elencazione, vedi
"Meditation on Emptiness", pp. 569-572) mentre Jang-kya ne ha 111, qui di seguito elencate (inclusi piccoli
riferimenti che non sono vere e proprie citazioni):
1. Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna, ventuno citazioni.
2. Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna / Testo Fondamentale Chiamato 'Saggezza', tredici citazioni.
3. Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna, sei citazioni.
4. Chiare Parole di Chandrakirti, Commentario di Chandrakirti su 'Quattro Centinaia' di Aryadeva,
Differenziazione dell'Interpretabile e del Definitivo /Essenza delle Buone Spiegazioni di Tzong-Khapa,
L'Oceano del Ragionamento/ Spiegazione del T.s.V.d.M. / Grande Commentario sul T.s.V.d.M. di
Nagarjuna, cinque citazioni.
5) Quattro Centinaia di Aryadeva, Commentario di Buddhapalita sul Trattato s.V.d.M. (di Nagarjuna),
quattro citazioni
6)Autocommentario al Supplemento sul Trattato s.V.d.M. (di Nagarjuna) di Chandrakirti, La Grande
Esposizione degli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione, La Grande Spiegazione del Supplemento (di
Chandrakirti) al Trattato s.V.d.M.(Illuminazione del Pensiero), Elogio al Buddha Extramondano dal
Punto di Vista dell'Originazione-Dipendente, tutti di Tzong-Khapa, tre citazioni.
7)I Tre Aspetti Principali del Sentiero e la Piccola (o Breve) Esposizione degli Stadi del Sentiero di Tzong-
Khapa, Sessanta Stanze di Ragionamenti di Nagarjuna, L'Impegno delle Azioni del Bodhisattva di
Shantideva ed il Supremo Sutra del Re della Stabilizzazione Meditativa, due citazioni.
8) Infine, con una citazione ciascuno: Il Cuore della Via di Mezzo di Bhavaviveka, il Commentario sul
Compendio (di Dignaga) dell'Insegnamento sulla Valida Cognizione di Dharmakirti, La Spiegazione sul
Testo Bodhisattvacaryavatara (di Shantideva) di Ghyel-tsab, Aprire gli Occhi alla Fortuna di Ke-drub,
L'Elogio all'Extra mondano di Nagarjuna, Nor-sang-gGhya-tso e Ren-da-wa, Il Saggio sugli Stadi della
Coltivazione della Mente Ultima dell'Illuminazione di Asvaghosha, il Capitolo del Sutra che Mostra i Tre
Voti, il Sutra Supremo del Gioco di Manjushri, il Sutra Supremo della Nuvola di Gioielli, il Sutra delle
Domande di Brahma, il Sutra delle Domande di Upali, il Sutra della Perfezione della Saggezza (Prajna-
Paramitasutra), il Capitolo dell'Ammansire i Demoni, il Sutra Ajatashatru, il Sutra sui Dieci Livelli, il
Sutra delle Domande di Sagaramati, il Sutra Re dei Naga (Domande di Anavatapta), il Sutra della
Discesa a Lanka (Lankavatarasutra), ed un Sutra non ben identificato.
Gli Autori citati, in ordine di frequenza, sono:
1) Chandrakirti, trentaquattro citazioni;
2) Nagarjuna, ventitré citazioni;
3) Tzong-Khapa, ventitré citazioni;
4) Il Buddha (come Sutra), quindici citazioni;
5) Aryadeva e Buddhapalita, quattro citazioni;
6) Shantideva, due citazioni; e infine, con una citazione ciascuno:
7) Bhavaviveka, Dharmakirti, Ghyel-tsab, Ke-drub, Ren-da-wa, e Asvaghosha (Shura).
Tanto Jam-yang-shepa che Jang-kya citano Chandrakirti con maggior frequenza, indicando in tal modo la centrale
importanza di Chandrakirti nell'interpretare il pensiero di Nagarjuna. Jam-yang-shepa, tuttavia, cita tre
volte più spesso Nagarjuna di quanto non faccia con Tzong-Khapa, mentre invece Jang-kya li cita entrambi
un egual numero di volte. In ogni caso, per entrambi Tzong-Khapa è la figura dominante; lo stesso Jam-
yang-shepa (vedi Meditation on Emptiness, p. 594) dice:
"Per un riscontro preciso, riguardo a ciò che non è comune (alla Scuola Conseguenza, Io,
Jam-yang-shepa) avendo tenuto per valide le ottime spiegazioni dei Tre – il grande Essere,
il Venerabile (Tzong-Khapa, che è) il padre ed i suoi figli spirituali (Ghyel-tsab e Ke-drub),
spiegherò il sistema della Scuola Conseguenza proprio in accordo ad essi, anche se non
dovessi citarli nei riferimenti. Perché essi, liberi da errori, lo esposero in modo assai chiaro
attraverso milioni e milioni di ragionamenti".
Jang-kya è ancora più esplicitamente interessato nel mettere le ragionate interpretazioni di Tzong-Khapa
davanti ai suoi lettori.
91. Questa è la sua "Presentazione della Dottrina, Una Preziosa Ghirlanda (grub pa'i mtha'i rnam par bzhag pa
rin po che'i phreng ba), che è stata tradotta da Gheshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins in "Pratica e Teoria
del buddhismo Tibetano" (Londra: Rider, 1976; II° Ediz. Londra, Wisdom Publ., 1987). Questa presentazio-
ne delle Scuole dogmatiche è in una tradizione, quella Ghelugpa, di brevi presentazioni da parte di Je-tsun
Cho-kyi-ghyal-tsen (rje btsun chos kyi rgyal mtshan, 1469-1546), il Secondo Dalai Lama Ghe-dun-ghya-tso
(dge 'dun rgya mtsho, 1476-1542) e Drag-pa she-drup (grags pa bshad sgrub, co ne ba, 1675-1748).
92. La sola altra presentazione più vasta della dottrina, all'interno dell'ordine Ghelugpa, fu scritta dal biografo di
Jang-kya, Tu-gen-lo-sang-cho-kyi-nyi-ma, "Specchio delle Buone Spiegazioni che Mostrano le Fonti e le
Asserzioni di Tutti i Sistemi Dottrinari (grub mtha' thams cad kyi khungs dang 'dod tshul ston pa legs
bshad shel gyi me long), (Sarnath, Chos Je Lama, 1963); essa presenta non solo le scuole Indiane ma anche
quelle Tibetane, anche se in un modo alquanto prevenuto. Questi testi debbono molto ad una identica presentazione della dottrina del grande erudito Sa-kya, Dag-tsang-she-rab-rin-chen (stag tshang lo tsa ba shes rab rin chen, nato nel 1405), malgrado l'opposizione (specialmente di Jam-yang-shepa) a diverse sue interpretazioni. Tale testo di Dag-tsang è "L'Oceano delle Buone Spiegazioni/ Spiegazione di 'Libertà dagli Estremi tramite la Comprensione di tutti gli Insegnamenti'" (grub mtha' kun shes nas mtha' bral grub pa zhes bya ba'i bstan bcos rnam par bshad pa legs bshad kyi rgya mtsho), (Thimpu, Kun-bzang-stobs rgyal, 1976). Altri esempi del genere si possono trovare in "Tesoro della Dottrina, Illuminare il Significato di Tutti i Veicoli" (theg pa mtha' dag gi don gsal bar byed pa grub pa'i mtha' rin po che'i mdzod) ed in "Prezioso Tesoro del Veicolo Supremo" (theg pa'i mchog rin po che'i mdzod), (Gangtok, Dodrup Chen Rinpoche, 1969 (?), del grande studioso Nying-ma, Long-chen-rap-jam (klong chen rab 'byams/klong chen dri med 'od zer, 1308-1363).
93. dbu ma thal 'gyur pa, (prasangika-madhyamika).
94. Per una breve descrizione dei Quattro Sigilli, vedi Sopa e Hopkins, Pratica e Teoria del buddhismo Tibetano,
(Londra,Rider and Co., 1976), p. 68.
95. grub pa'i mtha', (siddhanta).
96. Il termine "Piccolo Veicolo" (theg dman – hinayana) ha la sua origine nelle scritture degli autori del Grande
Veicolo (theg chen – mahayana) e non fu, ovviamente, usato da coloro ai quali veniva ascritto. Per evitare
il senso alquanto dispregiativo di "Piccolo", fu suggerito l'uso di sostituti quali "non-Mahayana", "buddhismo
Nikaya", oppure "Theravadayana". Tuttavia, "Piccolo Veicolo" è un termine opportuno in questo particolare
Contesto, per un tipo di pratica considerata superata, nella tradizione di cui si tratta in questo libro – anche
se non rifiutata o negata – dal più elevato sistema di pratica. Il "Piccolo Veicolo" non è affatto disprezzato,
dato che la maggior parte di esso è incorporato nel "Grande Veicolo". I voti di monaci e monache apparten=
gono al "Piccolo Veicolo", come la maggior parte dei corsi di studio delle università monastiche Ghelugpa – anni ed anni di studio sono riversati negli argomenti di Epistemiologia (tshad ma, pramana), Conoscenza del Manifesto (chos mngon pa, abhidharma) e Disciplina ('dul ba, vinaya), i quali in prospettiva sono tutti del "Piccolo Veicolo". (In questo libro sono utilizzati in modo intercambiabile "Piccolo Veicolo" e "Veicolo Inferiore").
97. Le Quattro Scuole della Dottrina (in Tibetano e Sanscrito) sono:
La Scuola della Grande Esposizione (bye brag smra ba, vaibhasika)
La Scuola dei Sutra (mdo sde pa, sautrantika)
La Scuola della Sola Mente (sems tsam pa, cittamatra)
La Scuola della Via di Mezzo (bdu ma pa, madhyamika), che a sua volta si ramifica in:
Scuola dell'Autonomia (rang rgyud pa, svatantrika)
Scuola Autonomia dei Sutra (mdo sde spyod pa dbu ma rang rgyud pa, sautrantikasvatantrika)
Suola Autonomia Yogica (rnal 'byor spyod pa dbu ma rang rgyud pa, yogacarasvatantrika)
Scuola della Conseguenza (thal gyur pa bdu ma, madhyamikaprasangika)
98. Come trovasi citato in Gon-chog-jig-me-wang-po (dkon mchog 'jigs med dbang po, 1728-1791) nel suo testo
"Presentazione della Dottrina del Lankavatarasutra" (lang kar gshegs pa'i mdo), il quale dice:
"La mia Dottrina ha due modalità, consigli e conclusioni stabilite.
Ai principianti io dò i consigli ed agli Yogi, le conclusioni stabilite".
Di conseguenza, lo stesso Gon-chog-jig-me-wang-po, dice a sua volta:
"L'etimologia di 'Dottrina' è : un dogma (letteralmente una conclusione stabilita)
che è un significato fermamente stabilito, ponderato e deciso in base alla fiducia
nelle Scritture e/o sul ragionamento e che, dalla prospettiva della propria mente,
non sarà più abbandonata per nessun'altra cosa al mondo!"
La qualificazione "dalla prospettiva della propria mente" sta ad indicare che, per il Proponente di quel
periodo, il dogma dottrinario è una conclusione decisa e decisiva; la qualificazione permette di cambiare la
propria mente e successivamente posizionarla fissa sulla dottrina. Vedere la sua opera "Presentazione della
Dottrina, La preziosa Ghirlanda" (grub pa'i mtha'i rnam par bzhag pa rin po che'i phreng ba) tradotta da
Gheshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins nel già citato "Pratica e Teoria del buddhismo Tibetano", p. 53,
con una traduzione abbastanza adattata.
99. rang rgyud kyi sbyor ba, (svatantraprayoga). Spesso, la premessa pervadente, non viene esplicitamente
espressa, come nel caso di "Il soggetto, un vaso, è impermanente per il suo essere un prodotto – come
per esempio, un suono". Approssimativamente, la premessa maggiormente penetrante è qualcosa che,
essendo stato prodotta, è necessariamente impermanente. Poiché essa non è esplicitamente espressa, la
dichiarazione di cui sopra non è tecnicamente un sillogismo, ma un <entimemo>, cioè un argomento che
contiene una o più premesse soppresse; comunque, poiché esso è implicito nella dichiarazione suddetta
ed il più conforme formato buddhista non lo include, qui si usa il termine <sillogismo>. Vedere Daniel
Perdue, "Pratica e Teoria del Dibattito Filosofico nell'Educazione del buddhismo Tibetano" (Ann Arbor,
University Microfilms, 1983), p. 1170; l'imponente ed importante lavoro di Perdue è disponibile presso
Wisdom Publications, Londra.
100. thal 'gyur, (prasanga).
101. tsong kha pa, 1357-1419.
102. zhi gnas, (samatha).
103. tshogs lam, (sambharamarga).
104. Vedere la descrizione su ciò, attribuita al V° Dalai Lama, nel mio prossimo libro "Deity Yoga", Cap. I°;
(Londra: Wisdom Publications). Attualmente questa descrizione è disponibile in "Practice of Emptiness",
tradotto da J. Hopkins, (Dharamsala: Library of Tibetan Works and Archives, 1974) p. 10. Il testo in parola
è "Istruzioni sugli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione, Parole Sacre di Manjushri" (byang chub lam gyi
rim pa'i khrid yig 'jam pa'i dbyangs kyi zhal lung) di Nga-wang-lo-sang-ghya-tso (ngag dbang blo bzang
rgya mtsho) (Thimphu, Bhutan, Kun bzangs stobs rgyal, 1976).
105. rtse, o anche rtsal.
106. tshig gsal,(prasannapada); per il contesto di questa citazione, vedi "Meditation on Emptiness", p. 526.
107. L'aggiunta fra parentesi è presa da "Quattro Commentari Intrecciati sulla 'Grande Esposizione degli Stadi del
Sentiero per l'Illuminazione " (di Tzong-Khapa) (Il Lam-rin-chen-mo dell'incomparabile Tzong-Khapa,
con le annotazioni di Ba-so Chos-gyi-rgyal-mtshan, Sde-drug Mkhan-chen Ngag-dbang-rab-rtan, 'Jam-
dbyangs-bzhad-pa'i-rdorje, nonché di Bra-sti Dge-bshes Rin-chen-don-grub, New Delhi: Chos-'phel-legs-
ldan, 1972) 592.2. Riguardo a "chi non conosce la talità", secondo Poussin, in Sanscrito è semplicemente
'tadanabhijna' "chi non conosce questo ( oppure quelle, che può riferirsi alle 'definizioni')", mentre il
Tibetano dice, 'de kho na ni shes pa'i' "chi non conosce la talità". I 'Quattro Commentari Intrecciati'
(592.3) inoltre riporta ancora: 'chos kyi de kho na nyid ma shes pa'i' "chi non conosce la talità dei
fenomeni". Io ho seguito il Tibetano come presumibile riflesso della lettura di 'tad' col significato di 'tattva'
(vedi Poussin, p.36, n.3) da parte dei traduttori. I riferimenti di Poussin sono: Chandrakirti
(Mulamadhyamikakarikas de Nagarjuna avec la Prasannapada Commentaire de Chandrakirti)
pubblicata da Louis de la Vallée Poussin, Bibliotheca Buddhica IV. (Osnabruck: Biblio Verlag, 1970).
108. Il "Quattro Centinaia" (bstan bcos bzhi brgya pa zhes bye ba'i tshig le'ur byas pa, catuhsatakasastrakarika),
VIII.19. Per il contesto, vedi Karen Lang, "Aryadeva e la Coltivazione dei Meriti e Saggezza del
Bodhisattva", (Ann Arbor: University Microfilms, 1983), p.320. Vedi anche "I Quattro Commentari
Intrecciati", 590.2; il passaggio è citato in Meditation on Emptiness, p.837 n.458.
109. Per il contesto di questa citazione, vedi Meditation on Emptiness, p.525.
110. dbu ma la 'jug pa'i bshad pal dbu ma la 'jug pa'i rang 'grel, (madhyamakavatarabhasya).
111. Trattato Fondamentale sulla Via di Mezzo, Chiamato "Saggezza" (dbu ma'i bstan bcos dbu ma rtsa ba'i tshig
le'ur byas pa zhus rab ces bya ba), (madhyamakasastraprajnanamamulamadhyamakakarika).
112. Nel 'dbu ma la 'jug pa' (madhyamakavatara), 'jug pa è considerato da qualche studioso Tibetano col
significato di 'aggiunta', o anche 'supplemento'. Il significato principale del termine è 'entrata', e quindi in
tale titolo altri studiosi Tibetani e molti, se non tutti, studiosi Occidentali prendono il termine nel suo
significato di 'introduzione'. Per una discussione dettagliata della mia traduzione di 'madhyamakavatara'
c0me 'Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo', vedi Meditation on Emptiness, pp. 462-469 e 866-869.
113. rgyal po la gtam bya ba rin po che'i phreng ba, (rajaparikasharatnavali).
114. mdo kun las btus pa, (sutrasamuccaya).
115. Vedi la descrizione di Nagarjuna sui dieci livelli in : Nagarjuna e K.Ghyatso, La Preziosa Ghirlanda ed il Canto
delle Quattro Consapevolezze, (Londra, G.Allen & Unwin, 1975), pp. 84-7, stanze 440-461b.
116. Jetsun Cho-kyi Ghyaltsen, (rje btsun chos kyi rgyal mtshan, 1469-1546). Vedi il suo 'Una Buona Spiegazione
che Adorna il Collo del Fortunato: Il Significato Generale del Commentario che Chiarisce i Punti Difficili
ne 'L'Illuminazione del Pensiero' di Tzong-khapa. Una Spiegazione del 'Supplemento di Chandrakirti al
Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna'" (bstan bcos dbu ma la 'jug pa'i rnam bshad dgongs pa rab
gsal gyi dka' gnad gsal bar byed pa'i spyi don legs bshad skal bzang mgul rgyan), Collected Works, n.p.d.
(Se-ra Jè College public. India, primi anni '80) vol. ma 9a.5-11b.5, e specialmente 11a.2.
117. byes.
118. se rva.
119. Jam-yang-shepa ('jam dbyangs bzhad pa, 1648-1721). Vedi la sua "Grande Esposizione sull'Analisi della Via
di Mezzo nel 'Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna'; Tesoro di
Scrittura e Ragionamento Che Illumina il Significato Profondo (della Vacuità), Entrata per il Fortunato" (dbu ma chen mo dbu ma 'jug pa'i mtha' dpyod lung rigs gter mdzed zab den kun gsal skal bzang 'jug ngogs), (Buxaduor: Go-mang, 1967), 6a.1ff.
120. sgo mang.
121. 'bras spungs.
122. mngon par rtogs pa'i rgyan, (abhisamayalamkara). Per questo punto, vedi "La Grande Esposizione della
Via di Mezzo" di Jam-yang-shepa, 7b.5.
123. Le due parentesi aggiunte sono di Gheshe Rabten, ("Annotazioni per i Punti Difficili 'dell'Essenza delle Buone
Spiegazioni'di Tzong-Khapa; Festival Gioioso per l'Imparziale Dotato di Chiara Consapevolezza") (drang
nges rnam 'byed legs bshad snying po dka' gnad rnams mchan bur bkod pa gzur gnas blo gsal dga' ston),
n.p.d. (edito in India nei primi anni '70), 271.1. Per la traduzione di Robert A. F. Thurman, di questo
passaggio, vedi il suo 'Essenza di Vera Eloquenza' (Princeton, 1984). p. 289. Per maggiori dettagli, vedi la
nota seguente.
124. legs bshad snying po, (Varanasi, 1973), 140.20; le aggiunte fra parentesi sono prese sempre da "Annotazioni"
di Gheshe Rabten, 272.5 – 272.6. Più esattamente la citazione riporta:
(Chandrakirti) descrive che il suo proprio sistema non ha attinenza con i commentari
(sul pensiero di Nagarjuna) fatti da altri Proponenti della Via di Mezzo. Il suo "Auto-
Commentario sul Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)" dice:
"Gli studiosi possono essere certi che, salvo per il Trattato sulla
Via di Mezzo di Nagarjuna, proprio come questa dottrina chiamata
"Vacuità" non è espressa in modo non-erroneo negli altri trattati,
così il sistema che appare in questo (trattato) – esposto insieme
alle obiezioni ed alle risposte date a qualsiasi altro sistema – non
esiste proprio, in altri trattati, in termini di dottrina della vacuità.
Quindi, si dovrebbe capire che una certa proposta (di studiosi),
che proprio è proposta come assoluta nel sistema della Scuola
Sutra ed è asserita come convenzionale da parte dei Proponenti
della Via di Mezzo, è una proposizione fatta solo da chi non sa la
(vera) quiddità del Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna."
Dopo aver detto ciò, Chandrakirti dice anche, riguardo al sistema della Scuola della Grande Esposizione:
"Ecco perché una dottrina extramondana non si adatta ad essere
simile ad una dottrina mondana. Quindi, gli studiosi dovrebbero
diventare certi del fatto che: "Questo sistema è fuori del comune!"
Tramite il ragionamento sul fatto che il nostro sistema non ha attinenza con quegli altri
Proponenti della Via di Mezzo, egli stabilisce che colui che asserisce che le cose proposte
come assolute da parte dei due Proponenti dell'Oggettività (Esterna Realmente Esistente)
(cioè, la Scuola della Grande Esposizione e la Scuola dei Sutra) sono proposte come mere
convenzionalità dai Proponenti della Via di Mezzo che non conoscono la verità della Via
di Mezzo. La ragione è che nel nostro sistema, i fenomeni che sono stabiliti per via delle
loro proprie caratteristiche, non sono asseriti nemmeno convenzionalmente, mentre quei
(fenomeni presentati nei due sistemi che propongono gli oggetti esterni come veramente
esistenti) sono solo stabiliti nel contesto di quella (costituzione degli oggetti per via delle
loro proprie caratteristiche)..
Per la traduzione di questo passaggio, vedi "I Discorsi di Tzong-Khapa dell'Essenza Dorata della Vera
Eloquenza" di Robert Thurman (Princeton University Press, 1984) pp. 288-289.
125. kun gzhi rnam shes, (alayavijnana).
126. don dam pa byang chub kyi sems bsgom pa'i rim pa yi ger bris pa, (paramarthabodhicitta bhavanakrama
varnasamgraha), P5431, vol. 103 246.5.2. Il passaggio è citato in Meditation on Emptiness, pp. 586-587;
vedi anche p. 857, n.504. L'edizione di Pechino porta erroneamente, stong pa gnyis, anziché stong pa nyid.
Le parentesi vengono dalle "Annotazioni per la 'Grande Esposizione della Dottrina' (di Jam-yang-shepa),
Sciogliere i Nodi dei Punti Difficili, Il Prezioso Gioiello del Pensiero Chiaro" (grub mtha' chen mo'i mchan
'grel dka' gnad mdud grol blo gsal gces nor) di Nga-wang-pal-den (ngag dbang dpal ldan), nato nel 1797;
(Sarnath: Pleasure of Elegant Sayings Press, 1964), dbu 58b.4-7, che conferma l'ultima lettura fatta da
Jang-kya, 409.10. Nga-wang-pal-den dice che dato che l'insegnamento del Buddha sul fatto che tutti i
fenomeni sono privi di un <sé> non può essere sconfitto da nessun oppositore, il suo insegnamento quindi
fu proclamato 'il grande ruggito del leone' (poiché al ruggito del leone nessun altro animale osa rispondere).
Gli studiosi Tibetani con cui ho lavorato, hanno identificato Shura ('dpa bo) come Asvaghosha. Eventuali
riferimenti controversi a questo fatto si trovano in D. S. Ruegg, "La Letteratura della Scuola Filosofica Madhyamaka in India" (Wiesbaden: Otto Harrasowitz, 1981), 119-121.
Per una più completa discussione sull'uso del termine "Proponenti Non-Dimoranti Completamente della
Scuola della Via di Mezzo" in luogo di "Conseguenzialisti" e "Illusionisti Dichiarati per Ragionamento" in
luogo di Autonomisti, vedi l'Appendice I° in Elizabeth Napper, "Originazione-Dipendente e Vacuità: Una
Interpretazione buddhista Tibetana della Filosofia Madhyamika, enfatizzante la Compatibilità di Vacuità e Fenomeni Convenzionali", pp. 576-631.
127. rgyal tshab dar ma rin chen, 1364-1432; mkhas sgrub dge legs dpal bzang po, 1385-1438.
128. Guy M. Newland sta traducendo la sezione sulle due verità; Jules B. Levinson, quella sul sentiero; Brian Daley
quella sui frutti del sentiero.
129. blo gnod med la snang ba'i dbang gis bzhag pa ma yin par rang gi thun mong ma yin pa'i sdod lugs kyi
mgos nas grub pa.
130. Vedere pp. 178-191 del testo Tibetano.
131. Vedere 'Meditation on Emptiness', pp. 303-304, e 'La Grande Esposizione della Via di Mezzo' di Jam-yang-
shepa, 179b.5ff.
132. Questa fu la speculazione dell'ultimo erudito Go-mang Gheshe Ghedun Lodro, che insegnò all'Università di
Amburgo, negli ultimi anni della sua vita.
133. mdo sde spyod pa'i dbu ma rang rgyud pa, (sautrantikasvatantrikamadhyamika).
134. rnal 'byor spyod pa'i dbu ma rang rgyud pa, (yogacarasvatantrikamadhyamika).
135. rang rgyal, (pratyekabuddha).
136. byang chub sems dpa'i rnal 'byor spyod pa bzhi brgya pa, (bodhisattvayogacaracatuhsataka), VIII.16. Il
titolo è citato in questo modo da Chandrakirti nel "Commentario su 'Quattro Centinaia' (di Aryadeva)"
(byang chub sems dpa'i rnal 'byor spyod pa bzhi brgya pa'i rgya cher 'grel pa, (bodhisattvayogacara-catuhsatakatika), Vol. 8 (N. 3865) del Tripitaka Tibetano sDe dge – bsTan hgyur, conservato alla Facoltà di
Lettere dell'Università di Tokyo, (Tokyo, 1979). A tal riguardo, vedi Kareen Lang, "Aryadeva, Coltivazione
di Meriti e Saggezza del Bodhisattva", (Ann Arbor: University Microfilms, 1983), p. 318.
136a. (35ab). La seconda riga leggasi sia 'de srid de las', che 'de srid de la'. La prima è tradotta come in citazione;
la seconda si dovrebbe leggere:
" Fintanto che gli aggregati sono (erroneamente) concepiti,
Per questa (persona) vi è (l'erronea) concezione di un <Io>."
Entrambe le traduzioni mostrano che una coscienza che concepisce l'esistenza inerente degli aggregati, si
presta come una causa di una coscienza che concepisce che anche una persona esiste inerentemente. Nelle
stanze 29-32, Nagarjuna dice che gli aggregati mentali e fisici sorgono dall'erronea concezione di un Io, ma
ciò non contraddice la prima traduzione, dato che in queste strofe egli sta parlando degli aggregati mentali
e fisici di un ciclo di vita samsarico, i quali sono prodotti dall'ignoranza della natura del <sé>, laddove in
queste due righe egli sta dicendo che la 'coscienza che concepisce' l'esistenza inerente dell'Io è causata da
una 'coscienza che concepisce' gli aggregati come inerentemente esistenti.
137. shes rab kyi pha rol tu phyin pa, (prajnaparamita).
138. Qui, il termine Tibetano per "vera esistenza" è dngos po, che di solito è tradotto come "cosa", ma in alcuni
contesti è accettato col termine bden par grub pa. Per maggiori delucidazioni e chiarimenti, vedi il testo
di Elizabeth Napper, "Originazione-Dipendente e Vacuità: Una Interpretazione buddhista Tibetana della
Filosofia Madhiamika…", (Ann Arbor: University Microfilms, 1981), pp. 83 e 87.
139. byang chub sems dpa'i spyod pa la 'jug pa, (bodhisattvacaryavatara), IX. 41cd. E' citato in "Illuminazione
del Pensiero" (dgongs pa rab gsal) di Tzong-Khapa. Vedi pure "La Compassione nel Buddhismo Tibetano",
(London: Rider & Co., 1980) (Trad. Ital. Ubaldini-Astrolabio Ed. Roma).
140. nyon mong, (klesha).
141. stong gzhi.
142. chos (dharma).
143. VI.179. Le parentesi nelle strofe sono di Tzong-Khapa, "Illuminazione del Pensiero, Spiegazione estesa del
Supplemento (di Chandrakirti) al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)" (dbu ma la 'jug pa'i rgya
cher bshad pa dgongs pa rab gsal), (Dharamsala: Shes-rig-par-khang Edition, n.d.) 228.19.
144. Tutto ciò, con la significativa eccezione che, secondo Nga-wang-pal-den, anche Tzong-Khapa sostiene che
nella realizzazione inferenziale della Vacuità, il soggetto può ancora apparire. Vedi n. 580 e 581 del già
citato testo di Elizabeth Napper, "Originazione-Dipendente e Vacuità: Una Interpretazione…". Infatti, nel
n. 580, la Napper riferisce:
"… Nga-wang-pal-den dice, nella sua 'Presentazione dei Livelli e dei Sentieri
del Mantra' (sngags kyi sa lam) (Rgyud smad par khang Ed. N.d.) 10.2,:- Si
deve asserire che la coscienza razionale e concettuale che realizza la vacuità,
percepisce il soggetto – la base della vacuità … - e cita, a conferma di quanto
da lui detto, il fatto che ciò è dichiarato nel 'Oceano del Ragionamento, Una
Spiegazione del Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)' e in 'La Grande
Esposizione degli Stadi del Sentiero', ambedue di Tzong-Khapa. Inoltre egli
(Nga-wang-pal-den) cita questi passaggi di Tzong-Khapa nella sua opera, -
"Presentazione delle Due Verità", 216.5-218.4; La prima parte del passaggio
tratto da 'La Grande Esposizione', è dato in una nota successiva.
145. "Trattato Fondamentale Sulla Via di Mezzo, Chiamato <Saggezza>, (dbu ma rtsa ba'i tshig le'ur byas pa
shes rab ces bya ba, (prajnanamamulamadhyamakakarika), XIII.1. Ciò è citato da Chandrakirti nel suo
"Parole Chiare" (P5260, Vol. 98 8.1.8); per il termine Sanscrito, vedi Chandrakirti, "Mulamadhyamaka-
karika di Nagarjuna col Commentario Prasannapada di Chandrakirti", pubblicato da Louis de la Vallée
Poussin, Bibliotheca Buddhica, IV, (Osnabruck: Biblio Verlag, 1970) 42.10.
146. rang bzhin, (svabhava).
147. brtag pa mtha' bzung.
148. rang ngos nas grub pa, yul steng nas grub pa, rang gi mtshan nyid kyis grub pa, don dam par grub pa,
gdags gzhi'i steng nas grub pa, de kho na nyid du grub pa, yang dag par grub pa, khyod khyod kyi gnas
lugs su grub pa, rang gi ngo bos grub pa.
149. yod pa (sat), e grub pa (siddhi).
150. bden par grub pa, don dam par grub pa, yang dag par grub pa.
151. rang bzhin gyis grub pa, rang gi mtshan nyid kyis grub pa, rang gi ngo bos grub pa.
152. rang dbang ba'i ngo bo.
153. rang rgyud, (svatantra).
154. rang dbang, (svairi); per il termine Sanscrito, vedi "Grande Esposizione della Dottrina" di Jam-yang-shepa,
ca 61a.1.
155. Per una descrizione delle tre modalità di un ragionamento, vedi il Cap.2.
156. XIV.23; P5246, vol. 95 139.2.7. Le parentesi vengono dal 'Commentario di Chandrakirti', P5266, vol.98
270.3.6.
157. Vedi la nota precedente; il passaggio, tradotto nel contesto, preso da 'Meditation on Emptiness', p.632, dice:
"Qui, ciò che possiede la sua intrinseca esistenza, possiede una esistenza
inerente ed ha un suo proprio potere, o anche non avrebbe nessun tipo di
dipendenza da qualunque altra cosa che esistesse da se stessa; per questo
motivo, questa cosa non potrebbe essere mai una originazione-dipendente".
158. blo, (buddhi/mati).
159. rtog pa, (kalpana).
160. P5246, vol. 95 136.2.1, VIII.3.- Le parentesi, dal Commentario di Chandrakirti (P5266, vol.98 229.5.3).
Il passo è citato da Jam-yang-shepa nel suo 'Grande Esposizione della Dottrina'; vedi 'Meditation on
Emptiness', p. 627.
161. P5166, vol. 98 229.5.3, commento in VIII.3. Questo è citato da Jam-yang-shepa nel suo "Grande Esposizione
della Dottrina"; vedi 'Meditation on Emptiness', p. 627.
162. Questo riferimento è indicato dal V° Dalai Lama, Nga-wang-lo-sang-ghya-tso (ngag dbang blo bzang rgya
mtsho, 1617-1682), nel suo 'Istruzioni sugli Stadi del Sentiero per l'Illuminazione/ Le Sacre Parole di
Manjushri'(byang chub lam gyi rim pa'i khrid yig 'jam pa'i dbyang kyi zhal lung), per far capire come è
concepito l'Io:
"Inoltre, le coscienze che concepiscono in modo innato l'Io – le quali
concepiscono un Io, o <sé>, basato su una persona (solo esistente in
modo nominale) – sono di tre tipi:
1) Una coscienza concettuale che concepisce (correttamente) l'Io, che
esiste in una persona che ha generato la visione della Via di Mezzo nel
suo continuum mentale. Questa coscienza concepisce (correttamente)
che un qualificato Io è soltanto designato nel contesto delle sue basi di
designazione (vale a dire, la mente ed il corpo).
2)Una vera (coscienza) innata che (erroneamente) concepisce un <Io>
qualificato come se fosse inerentemente esistente. Questa deve essere
superata tramite il suo antidoto, che in questo caso è questa occasione
(vale a dire, il sentiero della saggezza).
3) Una convenzionale coscienza validamente cogitante e che stabilisce
l'esistenza dell'Io. Questa coscienza esiste (per esempio) nel continuum
di quegli esseri comuni il cui continuum mentale non è stato intaccato
dai sistemi dottrinali e che quindi non discrimina tra una imputazione
nominale e l'esistenza inerente. In questo caso, l'Io non è qualificato
né come imputato nominalmente e né come esistente inerentemente."
Per la traduzione Inglese, vedi J. Hopkins, "Pratica di Vacuità", (Dharamsala; L.T.W.A., 1974), p. 10. Una
traduzione rivisitata, dalla quale è presa la citazione di cui sopra, sta per essere pubblicata nel mio "Deity
Yoga" (Londra: Wisdom Publications).
163. 'khrul ba, e ma 'khrul ba.
164. phyin ci log pa, e phyin ci ma log pa.
165. Nying-ma (rnying ma), Ka-ghyu (bka' rgyud), Sa-kya (sa skya) e Ghe-lug (dge lugs).
166. chos nyid kyi klong chen po gcig.
167. Letteralmente (412.11), "come una rappresentazione illustrata di un serpente" (sprul gyi mtshan gzhir).
168. Letteralmente (412.15), "come una rappresentazione illustrata di quell'Io" (nga de'i mtshan gzhir).
169. Ciò è riportato nel colophon alle "Parole Chiare" di Chandrakirti; nel Tibetan Publishing House, edit. 1968,
vedi 505.2.
170. nye ba 'khor gyis zhus pa, (upalipariprccha). Questo passaggio è citato in "Parole Chiare" di Chandrakirti,
alla fine dell'ottavo Capitolo; vedi Poussin, 191.6.
171. ting nge 'dzin rgyal po, (samadhiraja)
172. Stanza 99.
173. 114bcd.
174. las, (karma)
175. 'jig tshogs la lta ba, (satkayadrsti)
176. Vedi "Meditation on Emptiness", pp. 679-680; per un più ampio dibattito, vedi Meditation on Emptiness,
n. 739, pp. 888-890.
177. Vedi Meditation on Emptiness, pp. 685.
178. Insegnamenti orali. Una traduzione delle sue conferenze sui Tre Aspetti Principali del Sentiero, si può trovare
nella prima parte di 'La Compassione nel buddhismo Tibetano' (rpt. Ithaca: Snow Lion, 1985).
179. Vedi il capitolo sulla Scuola Conseguenza in "Oceano delle Buone Spiegazioni, 'La Libertà dagli Estremi
tramite la Comprensione di Ogni Dottrina'" di Dag-tsang She-rab-rin-chen. 277.3ff.
180. nges don, (nitartha).
181. drang don, (neyartha). Il termine 'drang' ha la stessa pronuncia di 'drang po', che significa "schietto" o
"diretto", ma può essere visto come derivato dal Sanscrito 'neya', che è il gerundio derivato dalla radice
verbale 'ni' (condurre) e che nel Tibetano è derivato dal verbo 'dren' (condurre), la cui forma passata è
drang o drangs. Come indica Jam-yang-shepa (vedi Meditation on Emptiness, p. 600), ciò che è condotto
o guidato non è la persona che viene addestrata, ma l'argomento del testo, cioè il soggetto principale che
richiede l'interpretazione.
182. Nel codice Edizione Varanasi, per 'thob pa la yang dag' (417.4) si legga ' thob pa la yang gang zag dang chos
la bdag med pa'i de kho na nyid nges par rtogs dgos pa sher phyogs kyi mdo'i dgongs pa yin te/ shes rab
kyi pha rol tu phyin pa'i lung las dngos poìi 'du shes can la thar pa med par gsungs pa dang dus gsum gyi
yang dag', in accordo con la Ediz. Nam-ghyal 458.4.
183. dngos po, (bhava). Questo termine solitamente significa "ciò che è in grado di svolgere una funzione" (don
byed nus pa) e quindi si riferisce strettamente alle cose impermanenti ma, più liberamente, esso può anche
riferirsi a ciascun fenomeno, permanente o impermanente. In questo caso, comunque, esso è preso come
riferimento per la vera esistenza (bden par grub pa, (satyasiddhi). Per ampliare il dibattito circa questi
utilizzi, vedi nota n. 138.
184. rigs pa drug cu pa'i tshig le'ur byas pa (yuktisastikakarika), 4ab. Per i frammenti editi Sancriti e Tibetani e
la loro Traduzione in Inglese, vedi in "Nagarjuniana", di Chr. Lindtner, Indiske Studier 4, (Copenhagen:
Akademisk Forlag, 1982), pp. 100-119.
185. mngon mtho, (abhyudaya). Circa questo "stato elevato" e la "bontà definitiva", vedi il primo capitolo della
Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna.
186. nges legs, (naihsreyasa).
187. Stanza 35. Il testo, che porta soltanto la prima riga e "e così via" (sogs), è stato qui ampliato.
188. med dgag, (prasajyapratisedha). Per una "negazione affermativa", in Tibetano e Sanscrito si dice, ma yin
dgag, (paryudasapratisedha). Per i vari tipi di queste, vedi Meditation on Emptiness, pp. 723-725.
189. Tenzin Ghyatso, "The Buddhism of Tibet and The Key to the Middle Way" (London, G. Allen and Unwin,
1975) p. 77; Questo libro è stato ristampato in un volume combinato, il quale comprende anche la
"Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna, intitolato "Il buddhismo del Tibet", (London: G. Allen & Unwin, 1983);
(Trad. Ital.: "Il Buddhismo del Tibet e la Chiave della Via di Mezzo", Ubaldini Astrolabio, Roma).
190. snang yul.
191. 'jug yul.
192. Vi sono molte interpretazioni di questo detto, tra gli studiosi Ghelugpa. Alcuni propongono che la coscienza
mentale manifesta e quella subliminale possano presentarsi simultaneamente; altri stabiliscono che
possano presentarsi simultaneamente, diverse ma non opposte modalità di apprendimento della coscienza
mentale. Vedere Nga-wang-pal-den (ngag dbang dpal ldan, nato 1797), 'Stating the Mode of Explanation
in the Textbooks on the Middle Way and The Perfection of Wisdom, in the Lo-sel-ling and Go-mang
Colleges: Festival for Those of Clear Intelligence (blo gsal gling dang bkra shis sgo mang grva tshang gi
dbu phar gyi yig cha'i bshad tshul bkod pa blo gsal dga' ston), Collected Works, (New Delhi: Gurudeva,
1983) Vol. ga, 461.4ff.
193. Gheshe Ghedun Lodro trattò alcuni dettagli di quest'argomento, durante una serie di conferenze all'Università
di Virginia nel 1979.
194. lkog gyur, (paroksa).
195. Vedere Gheshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins, Pratica e Teoria del buddhismo Tibetano ( Londra: Rider &
Co., 1976) e, per la versione Italiana, (Ubaldini-Astrolabio, Roma).
196. Questo è preso dal "Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna" di Chandrakirti (VI.116ab).
La strofa comincia così:
"Quando non esiste (la concezione di un inerentemente esistente)
fenomeno, queste (concezioni estreme) non sorgono, proprio come
non può esservi il fuoco quando non vi è il carburante…"
Le parentesi aggiunte provengono dal testo di Tzong-Khapa "Illuminazione del Pensiero", P6143, vol.
154.81.1.5ff.
197. Una ragione, come per esempio la presenza di fumo, può provare un predicato, come ad esempio la presenza
del fuoco, dato che il predicato (la presenza del fuoco) permea e pervade la ragione (la presenza del fumo);
quindi, la presenza della ragione può servire come segno della presenza del predicato. La ragione è la prova
(ciò che dimostra), ma il predicato è ciò che ne è pervaso.
198. 'phags pa 'jam dpal ram par rol pa'i mdo, (aryamanjusrivikridita).
199. IX. 37.
200. 'phags pa dkon mchog sprin, (aryaratnamegha).
201. tshangs pas zhus pa, (brahmapariprccha)
202. dbu ma rtsa ba'i 'grel pa buddha pa li ta (buddhapalitamulamadhyamakavrtti). Per l'edizione Tibetana
dei capitoli da 1 a 12, vedi Max Walleser, Bibliotheca Buddhica XVI, (Osnabruck: Biblio Verlag, 1970).
Per la traduzione Inglese del Cap. 1, vedi Judit Fehér, in L. Ligeti ed. 'Tibetan and Buddhist Studies
Commemorating the 200th Anniversary of the Birth of Alexander Csoma de Koros', Vol. 1, (Budapest:
Akademiai Kiado, 1984), pp. 211-240. Per la traduzione Inglese del Cap. 18, vedi Chr. Lindtner in 'Indo-
Iranian Journal' n.23 (1981), pp. 187-217.
203. VI. 118ab.
204. Nell'edizione Codice Varanasi (420.18) leggasi dpang por al posto di dbang por, in accordo con l'edizione
Lokesh Chandra (682.2).
205. Stanza 77.
206. Vedi la spiegazione del Dalai Lama, in "The Buddhism of Tibet and The Key to the Middle Way" di Tenzin
Ghyatso, (London: George Allen & Unwin, 1975), pp. 80-82). Vedi anche la mia introduzione in "The
Kalachakra Tantra: Rite of Initiation for the Stage of Generation" (London: Wisdom Publ., 1985), p. 21.
207. Nell'ediz. Codice Varanasi (420.18) leggasi thos al posto di thob, in accordo con l'ediz. Nam-ghyal (462.5).
208. Nell'ediz. Codice Varanasi (420.20) leggasi phong ba per phong pa. L'ediz. Nam-ghyal (462.5) legge bong ba.
209. Aryadeva, "Quattro Centinaia", VIII.5. Per il contesto, vedi Karen Lang, "Aryadeva e la Coltivazione di Meriti
e Conoscenza del Bodhisattva", p. 311.
210. Vedi Lati Rimpoche ed Elizabeth Napper, "Mind in Tibetan Buddhism" (London: Rider & Co., 1980), p. 24,
106-109. (Ediz. Italiana, "La Mente nel Buddhismo Tibetano", Ubaldini-Astrolabio, Roma).
211. Colofon di "Parole Chiare" di Chandrakirti, stanza 8cd, P5260, Vol. 98 92 1.7. Per la versione Sanscrita su
questo colofon, vedi l'articolo assai utile di J. W. De Jong, (irreperibile nell'edizione Poussin di "Parole
Chiare") "La Madhyamakasastrastuti de Chandrakirti" in "Orient Extremus", Jahrg. 9, 1962, pp. 47-56
(ristampato in "Buddhist Studies" di J. W. De Jong, pp. 541-50 –Rep. Pop. Of China: Asian Humanities
Press, 1979).
212. bdud 'dul ba'i le'u.
213. ma skyes dgra'i mdo, (ajatasatrusutra).
214. mtshams med pa'i las kyi sgrib pa, letteralmente, 'ostruzioni karmiche con (retribuzione) immediata'. Questi
sono effetti karmici derivanti dalle cinque "nefande azioni", vale a dire : uccidere il proprio padre, uccidere
la propria madre, uccidere un Distruttore del Nemico (cioè un Buddha), causare un versamento di sangue
dal corpo di un Buddha con intenzione malvagia e causare un dissidio nella comunità spirituale (sangha).
215. Questa è "L'Essenza delle Buone Spiegazioni" di Tzong-Khapa, cioè la sezione che identifica il ragionamento
principale nella Scuola Conseguenza. Per la traduzione, vedi "L'Essenza della Vera Eloquenza", di Robert
A. F. Thurman, p. 364.
216. sa bcu pa'i mdo, (dasabhumika). Vedi il Cap. Sesto in "Una Traduzione Ragionata del Dasabhumika" di M.
Honda, (ediz. D. Sinor, "Studies in Southeast and Central Asia", Satapitaka Series 74; New Delhi, 1968),
pp. 115-276. Per una breve dissertazione sulle dieci identità, vedi 'Meditation on Emptiness', pp. 131-133.
217. Questa è la prima stanza del primo capitolo, non considerando la supplica di benedizione. Jang-kya espone semplicemente la prima riga e "eccetera…" (sogs…).
218. VI.8- 119.
219. Per la traduzione di Robert A. F. Thurman, vedi "L'Essenza della Vera Eloquenza", p. 365.
220. VI.160. Le parentesi aggiunte sono tratte da "Illuminazione del Pensiero, Spiegazione Estesa del
Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna" (dbu ma la 'jug pa'i rgya cher
bshad pa dgongs pa rab gsal) di Tzong-Khapa, (Dharamsala: Shes rig par khang edition, n.d,), 218.14 – 19.
221. Per la traduzione di Robert A. F. Thurman, vedi "L'Essenza della Vera Eloquenza", p. 366.
222. "Supplemento di Chandrakirti al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna" VI. 115. Le parentesi aggiunte
sono tratte da "Illuminazione del Pensiero" di Tzong-Khapa, 91.2-6. Da notare che Chandrakirti parla di
troncare i nodi delle cattive visioni, non di tutte le visioni in generale.
223. lam rim chung ngu, P6002, Vol. 152.3. Vedi "The Middle Trascendent Insight" in 'Life and Teachings of
Tsong Khapa', R. A.F. Thurman, (Dharamsala, Library of Tibetan Works and Archives, 1982) pp. 131-135.
224. Il testo (424.5) indica "in comune" (thun mong du), il che significa che il ragionamento dell'originazione-
dipendente rifiuta un <sé> sia delle persone che dei fenomeni, e perciò esso è stato così tradotto.
225. Riguardo al termine "frammenti di diamante" (rdo rje gzegs ma), Kensur Lekden (1900-1971), Abate del
Collegio Tantrico di Lhasa Bassa, disse che questo ragionamento è chiamato "frammenti di diamante",
poiché ciascuna delle quattro ragioni è in grado di sconfiggere la concezione di esistenza inerente, proprio
come un pezzo di diamante ha tutti gli stessi poteri di un diamante intero. Perciò, gzegs ma (kana) significa
"pezzo". In questo caso, la mia precedente traduzione come "scheggia" forse era insufficiente, perché essa
poteva suggerire un pezzetto alquanto fragile e non un frammento avente una piena funzionalità. Secondo
Apte, il termine Sanscrito (kana) significa anche "sfaccettatura"; questo sembrerebbe voler essere più
appropriato allorché si parla di diamanti (e più appropriato al significato, poiché ciascuna delle quattro
ragioni da sola, in realtà, non è in grado di far rifiutare l'esistenza inerente); tuttavia, nessuna delle mie
fonti Tibetane, orali o scritte, lo ha spiegato in tal modo. Le tradizioni orali da me contattate, non sempre
sono strumenti accurati, nondimeno, quando sono riunificati, gli stili orali più svariati sono pressoché
completi e nessun studioso Tibetano aggiornato ha dato questa interpretazione (uno mi disse che gzegs ma
si riferisce alle punte del vajra). Come già accennato prima, un problema che sorge con l'interpretazione di
frammenti pienamente funzionali è che ciascuna delle quattro parti del ragionamento, presa da sola, non
può ottenere la negazione dell'esistenza inerente, benché sembra che almeno la seconda di esse possa
riuscirci.
226. I. 1.
227. Questa sezione sulle tesi positive e negative è tratta da "Meditation on Emptiness", pp. 472-473; il materiale
è estratto dalla "Grande Esposizione della Via di Mezzo" di Jam-yang-shepa, 273b.1-2, e dalla "Grande
Esposizione degli Stadi del Sentiero" di Tzong-Khapa, P6001, Vol. 152 156.2.2ff.
228. VI.8c –9b. P5262, vol. 98 101.3.4. Per il Commentario di Chandrakirti, vedi P5263, vol. 98 120.3.4ff. La
traduzione di L. de la Vallée Poussin della sezione sulla produzione da sé, si trova in Museon, n.s.. v. 11, pp.
280.4.
229. Tenzin Ghyatso (XVII° Dalai Lama), "Il buddhismo del Tibet e la Chiave della Via di Mezzo", p. 68.
230. Nell'edizione Codice Varanasi (425-4) leggasi pas myu gu myu gu, in luogo di pas myu gu, in accordo con
l'edizione Nam-ghyal (468.1).
231. rang bzhin, (prakrti).
232. rnam rol, (lila). "Gioco" o "divertimento", qui non si vuole trascurare il fatto che la vacuità talvolta si diletti
con le sue "manifestazioni".
233. "Pratica e Teoria del buddhismo Tibetano", p.41 (testo originale).
234. Per questi ragionamenti, vedi "Meditation on Emptiness", pp. 640-643, 58, e 136-139.
235. "Supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)", di Chandrakirti, VI.32. Vedi la traduzione di
questa sezione sulla produzione da altro, da parte di L. de la Vallée Poussin, in Museon, n.s., v.11, p.309.
236. "L'Illuminazione del Pensiero" di Tzong-Khapa, 113, ultima riga.
237. XX 20cd. Ciò è citato da Chandrakirti, ne "L'Autocommentario sul Supplemento al Trattato sulla Via di
Mezzo (di Nagarjuna)", che commenta nel VI. 14ab. Per saperne di più, sui ragionamenti che rifiutano la
produzione da altro, vedi "Meditation on Emptiness", pp. 643-648, 58, 140-148.
238. Vedi nota 235, Museon, n.s. v.11, p.286ff.
239. VI.19d.
240. Nell'edizione Codice Varanasi (427.20) leggasi phra la don, al posto di bral don, in accordo con l'edizione
Nam-ghyal (470.3).
241. VI.32d.
242. "La Preziosa Ghirlanda" di Nagarjuna, 48a.
243. VI.98ab. La traduzione di L. de la Vallée Poussin si trova in Museon, n.s., v.12, p.256, il quale erroneamente
numera le due righe come 95ab.
244. Per un ragguaglio sui nomi di questa scuola, ecc., vedi "Meditation on Emptiness", pp. 327-330.
245. Vedi note 235 e 238, Museon, n.s., v.12, p.239.
246. Il testo (429.2) dà soltanto la prima riga ed 'ecc.'.
247. Per una discussione sulle osservazioni introduttive e conclusive dell'enfasi di Jam-yang-shepa, vedi il mio
"Meditation on Emptiness", p.461; per una discussione dell'argomento generale, vedi le pp. 441-530.
248. mtha' bzhi skye 'gog.
249. rdo rje gzegs ma.
250. yod med skye 'gog.
251. mu bzhi skye 'gog.
252. snang yul.
253. rab tu byed pa lag pa'i tshad kyi tshig le'ur byas pa, (hastavalaprakaranakarika). Per un ragguaglio sul
titolo, vedi "Meditation on Emptiness", p.863 n. 519.
254. Per una discussione su questo ragionamento, vedi "M. o. E." pp. 63-64, 155-160, e 653-658.
255. rkye, di solito tradotto come 'condizioni'.
256. Vedi "M. o. E.", pp. 61-63, 151-154, e 651-653.
257. dmigs yul.
258. snang yul.
259. zhen yul.
260. Per rendere evidente che Jam-yang-shepa citi questa rivendicazione del fatto che gli Autonomisti asseriscano
davvero tutto ciò, vedi "M. o. E.", pp. 695-696.
261. XXII.1. Vedi "M. o. E.", p.688.
262. gang zag, (pudgala).
263. vedi "M. o. E. ", p. 177.
264. mu stegs pa, (tirthika).
265. Vedi nota n. 138.
265a. VI.151. Traduzione di de la Vallée Poussin in Museon, n.s., v.12, p.316. Le parentesi sono di Tzong-Khapa in
"L'Illuminazione del Pensiero", P&!$£, vol. 154 90.2.4ff. Il relativo commentario di Chandrakirti è P5263,
vol. 98 146.4.1ff.
266. Tenzin Ghyatso (XVII Dalai Lama), "The Buddhism of Tibet and The Key to the Middle Way" (London:
George Allen and Unwin, 1975), pp. 55-56.
267. yan lag can.
268. yan lag 'dus pa tsam.
269. VI.158. Traduzione di L. de la Vallée Poussin, in Museon, n.s., v.12, p.320. "Illuminazione del Pensiero" di
Tzong-Khapa, 216, ultima riga.
270. Nell'edizione Codice Varanasi (435.2) leggasi 'gseb' al posto di 'gsed', in accordo con l'edizione Nam-ghyal
(478.1).
271. Vedi 'M. o. E.', pp. 695-696. La certezza che Bhavaviveka abbia asserito che i fenomeni convenzionali sono
stabiliti per via delle loro proprie caratteristiche, si limita a poche quanto labili indicazioni. Io spero di
penetrare più in dettaglio in questa labile e incerta evidenza, in altre circostanze.
272. Nel commentario antecedente al VI.160.
273. Per la traduzione di questo passaggio, vedi "The Middle Trascendent Insight" di Robert Thurman, in "Life and
Teachings of Tzong-Khapa", p. 129.
274. Eppure, per provare alcune di queste ragioni che formano il "Settuplice Ragionamento", sembra che si debba
riconoscere che i fenomeni siano 'privi del sé'. Per esempio, quando avete la prova che la mera collezione
degli aggregati non è la persona, voi dovreste aver capito che questa mera collezione non è stabilita per via
delle sue proprie caratteristiche. Che in se stesso significa che voi avete capito l'assenza del <sé> riguardo a
fenomeni diversi dalla persona, dato che l'unione dei nostri aggregati fisici e mentali non è <noi>, non è
la persona. Alcuni studiosi cercano di girare intorno a tutto ciò, affermando che l'aver compreso l'assenza
del sé dei fenomeni non significa certo l'aver compreso l'assenza del sé di 'ogni' fenomeno, ma che prima
voi dovreste comprendere l'assenza del <sé> delle persone e dopo rivolgere la vostra mente a qualche
altro fenomeno, così da comprendere la sua propria assenza del <sé>. Quindi, benché voi potreste anche
comprendere l'assenza del <sé> di qualche fenomeno, come ad esempio quella di un carro, anziché quella della persona, questa non è chiamata la "cognizione di una vacuità di un fenomeno", poiché quest'ultima avviene soltanto dopo che è stata riconosciuta la vacuità delle persone.
275. Nga-wang-lo-sang-ghya-tso (ngag dbang blo bzang rgya mtsho), 1617-1682, V° Dalai Lama: "Istruzioni sugli
Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione, Parole Sacre di Manjushri (byang chub lam gyi rim pa'i khrid yig
'jam pa'i dbyangs kyi zhal lung) (Thimpu: kun-bzang-stobs-rgyal, 1976), 182.5-210.6. Per la traduzione
Inglese, vedi J. Hopkins, "Practice of Emptiness", (Dharamsala: Library of Tibetan Works and Archives,
1974). Per questa citazione, vedi p. 17.
276. Stanza 45: "Avendo pensato che un miraggio sia composto –
di acqua ed essendo poi andati lì a vedere, -
si sarebbe ben stupidi a supporre che l'acqua –
precedentemente esistente, ora non esista più!"
Vedi Nagarjuna e Kaysang Ghyatso, "La Preziosa Ghirlanda ed il Canto delle Quattro Consapevolezze"
(Londra, G. Allen & Unwin, 1975), p.25.
277. Citato dal V° Dalai Lama, "Istruzioni sugli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione, Parole Sacre di
Manjushri", nel mio libro "Practice of Emptiness", p. 21.
278. XXVII.5.
279. VI.127ab. Traduzione di L. de la Vallée Poussin in Museon, n.s., v.12, p.292.
280.XVIII.lab.
281. VI.66.
282. gzugs su rung ba; vedi, per esempio, Pur-bu-jok (phur bu lcog byams pa rgya mtsho, 1825-1901),
"Spiegazione del Piccolo Sentiero del Ragionamento" (rigs lam chung ngu'i rnam par bshad pa), nel
"Magical Key to the Path of Reasoning, Presentation of the Collected Topics Revealing the Meaning of the
Treatises on Valid Cognition (tshad ma'i gzhung don 'byed pa'i bsdus grva'i rnam bzhag rigs lam 'phrul
gyi sde mig) (Buxa, India: n.p., 1965). Per la traduzione Inglese, vedi Daniel E. Perdue, "Practice and
Theory of Philosophical Debate in Tibetan Buddhist Education" (Ann Arbor: University Microfilms, 1983).
283. XVIII.1cd.
284. XXVII. 7cd.
285. Nell'edizione Codice Varanasi (438.16) leggasi zhib tu, al posto di zhig tu, in accordo con l'edizione Nam-
ghyal (482.1).
286. Vedi 'Meditation on Emptiness', pp. 545-546.
287. VI. 158. La traduzione di L. de la Vallée Poussin è in Museon, n.s., v.12, p.320. Ne 'L'Illuminazione del
Pensiero' di Tzong-Khapa è 216, ultima riga. Vedi cap. 15, p. 245.
288. Nell'edizione Codice Varanasi (439.19) leggasi 'tshabs' al posto di che pas, in accordo con l'edizione Nam-
ghyal (483.3).
289. 'Spiegazione del Bhodisattvacaryavatara di Shantideva: L'Ingresso dei Vittoriosi' (byang chub sems dpa'i spyod pa la 'jug pa'i rnam bshad rgyal sras 'jug ngogs), (Varanasi: 1973), alla fine del capitolo IX, 280.6. Questa e le altre tre citazioni da questo testo, sono state prese da Gheshe Thubten Ghyatso, del Centro di Insegnamenti buddhisti Tibetani, Washington, New Jersey.
290. Nagarjuna, Aryadeva, Asanga, Vasubandhu, Dignaga e Dharmakirti.
291. 'Spiegazione del Bodhisattvacaryavatara di Shantideva', alla fine del libro, 295.4.
292. Nell'edizione Codice Varanasi (441.10) leggasi 'di', al posto di 'bdi', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (485.1)
293. 'Spiegazione del Bodhisattvacaryavatara di Shantideva', alla fine del cap. IX, 280.11.
294. Nell'ed. Codice Varanasi (441.8) leggasi 'phang' al posto di 'thang', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (485.1)
295. 'Spiegazione del Bodhisattvacaryavatara di Shantideva', alla fine del cap. IX, 280.13.
296. Nell'ed. Codice Varanasi (441.17) leggasi 'thal 'gyur ba'i, anziché thal 'gyur ba'i ba'i, in accordo con l'edizione Nam-Ghyal (485.4).
297. XVIII. 2ab.
298. Per una discussione delle diverse interpretazioni del "mio", vedi M. o. E., pp. 888-890, n. 739.
299. Per la presentazione di Jam-yang-shepa, vedi M. o. E., pp. 678-681.
300. gdags gzhi.
301. mtshan gzhi.
302. Vedi M. o. E., pp. 680-681.
303. Vedi M. o. E., pp. 679.
304. VI.167. La traduzione di L. de la Vallée Poussin si conclude con VI. 165.
305. Tzong-Khapa, secondo una citazione di Jam-yang-shepa, nella 'Grande Esposizione della Via di Mezzo'
(477a.1), identifica in questo contesto 'chags pa (rakta)' come riferentesi alla mente o alla persona che è
desiderosa di un oggetto – che quindi è diventata avviluppata o avvinta da una passione, vale a dire
'appassionata'.
306. 'Illustrazione' (mtshan gzhi), in Sanscrito è 'laksya' che, in Tibetano, è tradotta sia con 'mtshon bya', cioè 'da
definire' e sia con 'mtshan gzhi' 'illustrazione', essendo quest'ultima una base in cui la definizione illustra la
cosa da definire. Sembra non esservi nessuna differenza, in questo caso, se il termine è tradotto con
'illustrazione' o 'cosa da definire'. Personalmente, io preferirei quest'ultima per la più vasta simmetria, ma
mi sono rimesso alal traduzione Tibetana ed ho quindi usato 'illustrazione'.
307. St. 162. Vedi Nagarjuna e K. Ghyatso, 'La Preziosa Ghirlanda ed il Canto delle Quattro Consapevolezze', p. 41.
308. blo gros rgya mtshos zhus pa, (sagaramatipariprccha).
309. Prima stanza del suo 'Elogio dell'Originazione-Dipendente' (rten 'brel stod pa), col più lungo titolo di 'Elogio
del Vittorioso Buddha Ultramondano dall'Approccio del Suo Insegnamento la Profonda Originazione-
Dipendente, Essenza delle Buone Spiegazioni' (sangs rgyas bcom ldan 'das la zab mo rten cing 'grel bar
'byung ba gsung ba'i sgo nas bstod pa legs par bshad pa'i snying po), P6016, vol. 153.
310. Vedi T. Ghyatso (XVII Dalai Lama),'The Buddhism of Tibet and The Key to the Middle Way', p.82.
311. Così come è dichiarato in Meditation on Emptiness, v. 703, pp. 884-885:
"I traduttori Tibetani dovettero adottare un codice per trattare queste tre parti che riguardano
la discussione sulla formazione del termine 'pratityasamutpada':
prati = rten cing; i (oppure) itya = 'brel bar; e samutpada = 'byung ba.
Il loro sfibrante lavorìo fu determinato dal fatto che la traduzione equivalente aveva tre parti,
le quali, in Tibetano, avevano un senso solo quando erano messe insieme. Il risultato fu che gli
equivalenti, presi da soli, spesso non avevano un senso allorché venivano associati a queste
svariate interpretazioni. Alcuni studiosi Tibetani ritengono che 'rten cing' e 'brel bar' abbiano
significati differenti; tuttavia, poiché Chandrakirti dice che 'prati' (rten cing), che in se stesso
significa 'prapti' (phrad pa), modifica il significato di 'itya' ('brel ba) nel significato di 'prapti'
(phrad pa); le due parole finiscono per avere proprio lo stesso significato e, quindi, sembra che
queste due furono prese disgiuntamente, nel Tibetano, soltanto per comunicare, sia pur non
molto felicemente, questa discussione sul significato delle singole parti. Forse una alternativa
migliore sarebbe stata quella di traslitterare le singole parti direttamente in Tibetano, anziché
tentarne una traduzione. Nell'interpretazione di Chandrakirti, 'pratitya' ha un solo significato,
cioè il significato continuativo di 'avere dipendenza', che in Tibetano si rende con 'rten nas',
come nella consueta e usata frase 'rten nas 'byung ba' (oppure) 'rten 'byung'. In poche parole,
quindi, 'rten nas 'byung ba' oppure 'rten byung' è, per i Prasangika, il termine generale più
appropriato, e 'rten cing 'brel bar 'byung ba' risulta preferibile solo come codice equivalente
per discuterne le tre parti. Ed inoltre, 'rten 'brel' non è di uso comune per alcuno dei due."
Vi è anche un insegnamento orale, da me udito una sola volta, in cui 'rten byung' viene riferito alla
'originazione-dipendente' delle cose impermanenti, mentre 'rten cing 'brel bar 'byung ba' si riferisce anche
alla originazione-dipendente delle cose permanenti. In ogni caso, a me sembra che la ragione per la
versione più lunga è solo quella di procurare sillabe separate per rappresentare ciasun elemento della
discussione derivata dal Sanscrito. Dovrebbe essere notato che la generale traduzione della parola nel
Tibetano, segue la interpretazione di essa data da Chandrakirti.
312. Vedi 'M. o. E.', p. 666.
313. Nel Tibetano moderno, 'dgon pa'i til' sarebbe una migliore traduzione di 'aranyetilaka' che non 'dgon pa'i
thig le', in quanto 'til' è comunemente usato per 'sesamo'.
314. Il testo riporta "tra l'avere dipendenza e l'occhio" ('brten pa dang mig gi bar du) che, in un certo modo, può
riferirsi a 'pratitya'.
315. Jam-yang-shepa formula il termine con notevoli dettagli, allo scopo di mostrare che 'pratitya' è derivato dalla
radice verbale 'i', come continuativo indeclinabile. Brevemente, la desinenza continuativa 'ya' è un
sostitutivo di 'tva'; questa, a sua volta, richiede una 't' come suffisso; insieme a 'prati' questa produce
'pratitya'. Vedi 'M. o. E.', pp. 662-663.
316. P5225, Vol. 95 11.4.1.
317. Per le carenze della traduzione Tibetana riguardo a questa riga, vedi M. o. E., n.708, p.885.
318. 48ab.
319. Nell'ed. Codice Varanasi (445.14) leggasi 'di' al posto di 'da', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (489.4).
320. Nell'ed. Codice Varanasi (445.17) leggasi 'phyir ro' per 'phyi ro', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (489.5).
321. rten nas 'byung ba, (pratityasamutpada); 'phrad nas 'byung ba, (prapyasamutpada); bltos nas 'byung ba,
(apeksayasamutpada). Vedi Meditation on Emptiness, pp. 166, 659, 674-675.
322. Avalokitavrata, 'Commentario sulla "Lampada (di Bhavaviveka) per la <Saggezza> (di Nagarjuna)", P5259,
vol. 96 170.2.1.
323. L'edizione Codice Varanasi (445.18) e l'edizione Nam-ghyal (489.6) entrambi riportano erroneamente 'la yab', mentre si dovrebbe leggere 'lyap', secondo l'edizione Lokesh Chandra (719.5).
324. Nell'ed. Codice Varanasi (445.20), leggasi 'prati' per 'brati', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (489.6).
325. Nell'ed. Codice Varanasi (446.12), leggasi ''byung' per 'gyur', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (490.4).
326. dngos po, (bhava).
327. grub pa, (siddha).
328. Nell'ed. Codice Varanasi (448.4) leggasi 'ma thon' per 'mthon', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (492.2).
329. Anche nel (448.6) dell'ed. Codice Varanasi leggasi 'ma thon' al posto di 'mthon'; (492.3) dell'ed. Nam-ghyal.
330. 'Annotazioni (di Jam-yang-shepa) per "Grande Esposizione della Dottrina", Sciogliere i Nodi dei Punti
Difficili, Prezioso Gioiello del Pensiero Chiaro', dbu 156.2.
331. Per la traduzione di Robert Thurman, vedi "The Middle Trascendent Insight" in 'Vita ed Insegnamenti di
Tzong-Khapa', pp. 144-145.
332. Vedi nota 330.
333. Stanza 48.
334. VIII.12. E' alquanto difficile valutare se il termine 'karma' (las) significhi 'azione' oppure 'oggetto'. L'ottavo
capitolo del Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna può essere letto anche in un altro modo, ma "l'Oceano
del Ragionamento, Spiegazione del Trattato sulla Via di Mezzo (di Nagarjuna)" chiosa 'las' (karma) con
'bya ba' e proprio alla fine del suo commentario sul secondo capitolo, egli adatta il verso VIII.12 all'esame
corrente, interpretando 'las' (karma) come 'gro ba' (gamanam) 'l'andare'. Per quest'ultima interpretazione,
vedi "Analysis of Going and Coming" (Analisi dell'Andare e del Venire), tradotto da J. Hopkins,
(Dharamsala: Library T.W.A., 1976), p.34.
335. P5266, vol. 98 270.3.6, commento sul XIV. 23.
336. nor bzang rgya mtsho, (Norsang Ghyatso, 1423-1513).
337. Il testo riporta, "Il soggetto, spazio non composto, ecc." La completa dichiarazione della conseguenza è capita
da chi è abituato a questi dibattiti e perciò vi è stata aggiunta.
338. Nell'ed. Codice Varanasi (450.13) leggasi 'rang ngor' per 'rang dor', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (495.1).
339. Nell'ed. Codice Varanasi (451.2) leggasi 'khyad chos' per 'khyad sbyor', in accordo con l'ed. Nam-ghyal
(495.4).
340. Nell'ed. Codice Varanasi (451.11) leggasi 'je zab' per 'rje zab', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (496.1).
341. Vedi "Bodhisattvacaryavatara" di Shantideva, IX.4ab; ed. Vidhushekhara Bhattacharya, Bibliotheca Indica,
Vol. 280, (Calcutta: The Asiatic Society, 1960), p. 185.
342. Dagtsang Sherab Rinchen, "L'Oceano delle Buone Spiegazioni, Spiegazione di 'Liberazione dagli Estremi
Tramite la Comprensione di Ogni Dottrina'", 247.6.
343. Jang-kya all'inizio della sezione sulla Scuola della Via di Mezzo (301.4), dice:
"Dagtsang divise (l'insegnamento e l'addestramento) nei tre livelli di non-analitico,
leggermente analitico e assai analitico, dopodiché descrisse un punto di vista in cui
le condizioni precedenti sono rifiutate dalle successive. (Questa descrizione) risulta
sorprendente in quanto, anziché far in modo che qualche altro oppositore si allinei
alle contraddizioni nei riguardi della propria dottrina, proprio lui sembra abbattere
quella presentazione delle due verità, che in qualche modo egli stesso propone…"
Ed ancora, prima di questo, Jang-kya riferisce:
"Ad eccezione del sistema Jo-nang e, in seguito, del 'punto di vista' del traduttore
Dagtsang Sherab Rinchen, le istruzioni sulla visione della maggior parte degli antichi
studiosi ed adepti, ebbero ciascuna come loro fonte un erudito o un adepto Indiano."
Le traduzioni di cui sopra sono adattate da Donald S. Lopez jr. nel "Svatantrika-Madhyamika School of Mahayana Buddhism", (ann Arbor: University Microfilms, 1982), pp. 405-406; l'opera di Lopez è in fase di pubblicazione da parte di Snow Lion Publications.
Classificando quelle tre fasi, Dagtsang (vedi 255.5) sta interpretando questi passaggi come simili a quelli di Aryadeva in 'Quattro Centinaia' (VIII.15), il quale descrive tre fasi di respingere il non-meritorio, il sé e tutte le visioni. Nella visione Ghelugpa, il <sé> di questo passaggio, è interpretato come un sé delle persone, o anche come una concezione grossolana di <sé>, e 'tutte le visioni' è da intendere come 'tutte le visioni sbagliate', la cui radice è la concezione di esistenza inerente. Allora, uno alla fine deve sconfiggere ed annullare tutte le visioni, o soltanto tutte le visioni di esistenza inerente? Nell'interpretazione Ghelugpa, è definitivamente proprio la visione di esistenza inerente che deve essere superata; la visione di vacuità di esistenza inerente deve essere ottenuta e non più soppiantata.
In ogni caso, Dagtsang presenta confutazioni di Tzong-Khapa dell'interpretazione della Scuola Conseguenza e ciò può essere avvenuto dietro suggerimento di Jang-kya, malgrado la sua accettazione a mente aperta, in altre circostanze, degli insegnamenti delle altre scuole Tibetane, di cui l'insegnamento e l'addestramento in tre fasi sono una derivata composizione. La conclusione, tuttavia, non è assolutamente facile da stabilire.
344. Nell'ed. Codice Varanasi (451.17) leggasi 'nges pa'i' per 'nge sa pa'i', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (496.3).
345. Nell'ed. Codice Varanasi (452.6) leggasi 'pir gyis' per 'pari gyis', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (496.6).
346. Nell'ed. Codice Varanasi (452.12) leggasi 'ri mo'i' per 'ri bo'i', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (497.2).
347. 'gtugs' e 'thug' sono diversamente tradotti come 'derivare da' e 'incontrarsi a'.
348. VI.114.
349. VI.158. è l'ultima riga (216) de 'L'Illuminazione del Pensiero' di Tzong-Khapa.
350. Per la traduzione di questo passaggio, vedere: 'La Parola Dorata di Tzong-Khapa nell'Essenza della Vera
Eloquenza', di Robert Thurman, p. 365.
351. Per la traduzione di questo passaggio, vedi nota precedente, (opera di R. Thurman), p. 366.
352. Stanza 13. Per il commentario, vedi l'opera del Dalai Lama, 'Kindness, Clarity and Insight' (Ithaca: Snow
Lion, 1984), pp. 148-153. Vedi anche il commentario del Quarto Panchen Lama nel libro 'Practice and
Theory of Tibetan Buddhism' di Gheshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins, 1976, p. 43; ed anche 'Door of
Liberation' di Gheshe Wangyal, (New York: Lotsawa, 1978), pp. 126-60. Per il testo di Tzong-Khapa, vedi
Robert Thurman, 'Life and Teachings of Tzong-Khapa' (Dharamsala, Library of T.W.A., 1982), pp. 57-58.
353. Nell'ed. Codice Varanasi (456.15) leggasi 'gzhan yang' per 'gzhan gang' in accordo con l'ed. Nam-ghyal
(502.2).
354. red mda' ba, (Rendawa, 1349-1412). Il maestro Sa-kya Rendawa fu insegnante di Tzong-Khapa, specialmente
per quanto riguarda la visione della Scuola della Via di Mezzo.
355. Nell'ed. Codice Varanasi (457.5) leggasi 'rtogs tshe' per 'rtogs cha', in accordo con l'ed. Nam-ghyal (502.2).
356. mngon sum, (pratyaksa). Per una discussione su questo, vedi Gheshe L. Sopa e J. Hopkins, 'Practice and
Theory of Tibetan Buddhism', pp. 138-139.
Prefazione del Traduttore dell'Edizione Italiana………………………………………………. .
Prefazione dell'Edizione Inglese…………………………………………………………………….. "
Note Tecniche………………………………………………………………………………………………. "
1) Biografia di Jang-kya "
2) I Conseguenzialisti "
3) Il Sé "
4) La Falsa Apparenza "
5) La Cosa Propria "
6) Validità "
7) Non è sufficiente ritrattare "
8) Rifiuto Ragionato "
9) Il Ragionamento Principale "
10) Può Qualcosa avere origine da se stessa? "
11) Ma una pianta cresce? "
12) Indurre la Realizzazione "
13) Altri Ragionamenti "
14) Il Settuplice Ragionamento: Ambientazione "
15) L'Esempio: Un Carro "
16) Portare il Ragionamento nella Vita "
17) L'IO come Base per la Vacuità "
18) Compatibilità di Vacuità ed Esistenza Nominale "
19) Ampliare la Realizzazione "
20) L'Originazione-Dipendente "
21) La Centralità dell'Originazione-Dipendente "
TRADUZIONE del Testo di Jang-Kya, senza Commento "
1) Definizione di un Conseguenzialista "
2) Il <Sé> "
3) Scopo del Ragionamento "
4) Rifiutare il <sé> dei Fenomeni "
5) Rifiutare il <sé> delle Persone "
6) L'Originazione-Dipendente "
APPENDICE
Note al Testo "
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FINITO di tradurre nel mese di Settembre 2002 – da Alberto Mengoni (Aliberth Meng –
per conto del CENTRO NIRVANA)
MMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM
CHE TUTTI GLI ESSERI SENZIENTI
POSSANO TROVARE IL SENTIERO MEDIANO
VERSO L’ILLUMINAZIONE E LA LIBERAZIONE !
OM MANI PADME HUM (Om Mani Peme Hung)!
IL GRANDE ONNISCIENTE TZONG-KHAPA