Modi per stabilire Gerarchia ed Autorità

nel buddhismo Ch'an/Zen in Occidente 

di Stuart Lachs (Estratto da INTERNET-www.darkzen.com/Articles-23/10/2000)

  

 

Questo è uno stralcio di un Articolo tratto da Internet e tradotto da Aliberth, in cui si può leggere come anche in Occidente, dopo la secolare tendenza dell’ Oriente, stia andando a svilupparsi quella sorta di reverenzialità obbligata per i rituali della trasmissione gerarchica, nella nomina a Maestro o a Roshi Zen, che non sempre è comprovata da una autentica evidenza di una mente totalmente illuminata, ossia la mente-Buddha.  L’articolo completo si può leggere integralmente sul sito: www.darkzen.com/) - ed anche nella sezione "Traduzioni di Testi e Articoli di Dharma" (al n. 2 della serie...), tradotto da Aliberth

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La Trasmissione del Dharma 

  La Trasmissione del Dharma, secondo la convenzione, è il formale riconosci-mento da parte del Maestro, che il discepolo ha raggiunto una comprensione almeno uguale a quella dell'insegnante. Un maestro del lignaggio Rinzai, che oggi insegna in una grande città nello Stato di New York, da me interrogato, dette la seguente definizione della Trasmissione del Dharma, "E’ il formale Riconosci-mento di un insegnante che un discepolo è ufficialmente il suo erede di Dharma --che la comprensione ultra-mondana passata da Buddha Shakyamuni a Mahaka-shyapa ora è via via arrivata in questo tempo e luogo, scritta e registrata nel lignaggio". La visione di questo insegnante è quella ampiamente sostenuta nei riguardi della trasmissione dell’insegnamento dell’ "autentico Zen". Questo ricono-scimento da parte di un insegnante che un discepolo è un erede del Dharma è apparentemente identico alla mente pienamente realizzata del Buddha. È la continuità di una catena di menti illuminate in un lignaggio Zen ininterrotto, risa-lente alla storica ma anche mitologica figura di Shakyamuni Buddha (e perfino oltre, secondo altri) che forma la base concettuale per la considerevole autorità dell'insegnante attuale. Secondo il tradizionale punto di vista dello Zen, la Trasmissione del Dharma giustifica il fatto di dare all'insegnante l'autorità che si concederebbe al Buddha stesso. La Trasmissione del Dharma è stata impiegata in questa maniera fin dalla dinastia Tang (618-907). E’ questo uso di un lignaggio spirituale come base per l'autenticità ("un insegnamento speciale aldifuori delle scritture") piuttosto che la dipendenza dall'autorità di una particolare scrittura, o in unione con le scritture, che distingue la scuola Ch'an dalle altre sette Cinesi del periodo. Questa visione implica che la Trasmissione del Dharma è data solamente sulla base della realizzazione spirituale dello studente e inoltre che la Trasmissione del Dharma è ricevuta dalle mani di un insegnante vivente, piuttosto che in un sogno o in un’altra maniera.

Sotto investigazione, il termine "Trasmissione del Dharma" risulta essere ben più flessibile e ambiguo di quanto noi in Occidente supponiamo. Per essere sicuri, in teoria essa è data come riconoscimento che il discepolo ha raggiunto una profonda realizzazione della mente come l'insegnante stesso (presumendo che l'insegnante abbia una profonda realizzazione). Questa visione, per i contempo-ranei seguaci Occidentali di Zen, è la comprensione del termine "trasmissione da mente-a-mente". La Trasmissione da mente-a-mente implica logicamente l'illumi-nazione del discepolo, perché se l'insegnante è illuminato, e quella che è stata trasmessa è la mente illuminata dell'insegnante, allora pure il discepolo deve essere illuminato.

Tuttavia, la trasmissione del Dharma nel corso della lunga storia del Ch'an/Zen è stata data anche per altre ragioni. Essa può essere assegnata per un certo numero di ragioni, che si presumono legittime in certe condizioni o in un partico-lare tempo. Secondo alcuni studiosi, la trasmissione del Dharma è stata usata davvero come un mezzo per conferire l’appartenenza ad un lignaggio di insegnamento. E’ stata usata per stabilire contatti politici vitali al benessere del monastero, e mantenere la continuità del lignaggio sebbene il destinatario non avesse aperto il suo occhio del Dharma, cementare una connessione personale con un discepolo, aumentare l'autorità dei missionari che diffondono il Dharma nei paesi stranieri, o provvedere alla salvezza (postuma, nel Giappone medievale) per permettere al deceduto destinatario di unirsi alla "linea-consanguinea" del Buddha.

Nella tarda Dinastia Song (960-1280), la trasmissione del Dharma veniva data abitualmente a officianti monaci anziani, forse perché così il loro ingresso in una abbazia veniva meno ostacolato. Ovviamente, l’illuminazione non era sempre considerata come il criterio essenziale per la trasmissione del Dharma. Manzan Dohaku (1636-1714), un riformatore del Soto, propagò la visione che la tra-smissione del Dharma dipendesse dalla personale inizia-zione tra Maestro e discepolo piuttosto che dall’illumina-zione del discepolo stesso. Egli sostenne questa visione davanti a una forte opposizione, citando come autorità la suprema figura dello Zen giapponese, Dogen (1200-1253). Questa è stata, e continua a tutt’oggi ad essere la visione ufficiale del Soto-Zen.  

Come esempio contemporaneo del ruolo funzionale della trasmissione del Dharma all'interno dell'istituzione Zen, così come lezione di storia istituzionale, diamo uno sguardo all’attuale setta di Soto in Giappone. Questa setta si sforza di copiare l'istituzionale struttura del tempo di Dogen quando ogni tempio Soto doveva avere un abate ed ogni abate doveva avere la trasmissione del Dharrna. Nel 1984 erano 14.718 i templi di Soto Zen in Giappone e 15.528 preti Soto. Siccome ogni abate deve essere un prete, ne consegue che pressocché ogni prete di Soto (95%) ha la trasmissione del Dharrna. Si dovrebbe notare che una maggioranza di questi preti passerebbe meno di tre anni in un convento. Molti hanno passato non più di un anno, o anche solo sei mesi di training spirituale. Significativamente, nei testi del Soto, mentre molto è stato scritto sul rituale della trasmissione del Dharrna, non c’è  pressocché nulla sulle qualificazioni per essa. 

La gran parte dei preti giapponesi di Soto Zen odierni, sono essi stessi i figli, tipicamente i figli più vecchi, dei preti del tempio, che subentrano nel tempio del loro padre più o meno come un 'affare di famiglia'. Nel caso che nella famiglia vi siano solamente figlie femmine, un 'adeguato matrimonio' sarà fatto tra una delle figlie ed un giovane prete che non avrebbe nessun’altra prospettiva per acquisire il suo proprio tempio. Lo scopo principale di tutte di queste sistemazioni è di assicurare che l'abate pensionato e la sua consorte abbiano un posto dove vivere dopo il loro pensionamento. La trasmissione del Dharrna ora è poco più di una normale formalità.

Per un esempio moderno di trasmissione tra un vivente ed un morto, Yasutani Roshi, uno dei più influenti insegnanti Zen oggi in America, sentì di avere uno speciale e personale legame spirituale con Dogen, e si considerò l'erede diretto di Dharma di Dogen in virtù del suo possesso del "vero occhio" del Dharrna. Egli poté così stabilire la sua propria autorità senza riferirsi al lignaggio patriarcale Soto o Rinzai. Il significato e valore della trasmissione del Dharma e del lignaggio Zen non è un affare ristretto solo ai giorni nostri. Alla fine della dinastia Ming (1368-1644) in Cina, questi problemi erano argomenti preminenti fra i principali Maestri Ch'an, i quali espressero una vasta serie di opinioni. Alcuni Maestri credevano di dover dare la trasmissione di Dharma ad un discepolo il cui occhio non fosse aperto, ma che però era capace di condurre il monastero. Ciò fu riferito come "il sigillo del melone d’inverno", cioè, non comparabile ad un sigillo di marmo. Fa-tsang (1573-1635), un famoso Maestro del Lin-chi-Ch’an riteneva che il Dharrna fosse qualcosa da dover essere capito e concernesse l'affermazione della mente. Questo Maestro riteneva che fosse possibile essere un successore di un Maestro morto da tempo, e che non si era mai incontrato, in quanto la comprensione tra il vivente ed il  Maestro defunto si era fusa insieme. Egli non ritenne necessario dover avere un certificato del lignaggio per essere considerato un Maestro Ch'an. Un suo fratello di Dharma, Tung-rung (1592-1660), invece pensava proprio l’opposto, e cioè che era neces-sario incontrare il proprio Maestro vivente e solo così poter avere un certificato del lignaggio. 

Perfino nella setta Tsao-tung (Soto) vi era un ventaglio di opinioni. Una visione abbastanza comune era che l’illuminazione risiede nella propria mente, non c'è nessuna ragione di cercare la certificazione di un altro, se si è liberi da dubbi. Un Maestro di questa setta, Wui-yi Yuan-lai (1575-1630), credeva che l'essenza della setta Ch'an era che vi doveva essere una fusione di menti, e non la formale trasmissione della setta. Egli riteneva che tutti i lignaggi della setta Ch'an erano stati rotti, le loro linee terminate, ma che tutte e cinque le sette originarie del Ch'an potevano essere pensate ancora come presenti, finché alcuni praticanti hanno la giusta comprensione intonata precisamente alla antica comprensione di quella setta. Questo Maestro era anche contro il dare la trasmissione di Dharma per mantenere il lignaggio istituzionale. Egli descrisse questo come, "aggiungere acqua per diluire il latte". Quindi, per questo Maestro era preferibile essere una persona con vera intuizione senza la trasmissione (ufficiale) del Dharma, piuttosto che una persona con una certificazione ufficiale, però non basata sulla sua propria intuizione. Con una persona con vera intuizione ma senza trasmissione del Dharma, solo la linea della setta si interrompe, però il Sentiero rimane reale e nessun danno è fatto al Dharma. Con una trasmissione del Dharma non basata sulla vera realizzazione della mente, la scuola continua, ma la realtà è falsata, perché inganna la mente di uno, ingannando il Buddha e ingannando il mondo. In questo caso, si avrà il cieco che guida altri ciechi, così tutti salteranno dentro al grande fuoco. E’ stato detto che i lignaggi Lin-chi e Tsao-tung (Rinzai e Soto) furono interrotti. Da notare che, dei quattro grandi Maestri della tarda èra Ming, nessuno apparteneva alla setta Lin-chi o Tsao-tung, e addirittura tre dei quattro non facevano neanche parte di alcun formale lignaggio certificato. 

Non bisogna sorprendersi se, date le profonde implicazioni della convenzionale trasmissione del Dharma prevalga, fra gli studenti Zen occidentali contemporanei, una visione alquanto idealizzata della persona che la riceve e del ruolo della stessa. La maggior parte degli studenti coglierà il termine ‘Trasmissione del Dharma’ come una sorta di sigillo governativo di approvazione garantita, del fatto che il Maestro è pienamente illuminato, e che ogni suo gesto manifesta perciò l'Assoluto. Questo atteggiamento è ben illustrato da una delle risposte al mio questionario: "un Maestro di Zen è una persona di cui è stata certificata l’esistenza in una mente pienamente risvegliata... " 

 

Il Lignaggio Zen 

Nell’introduzione del Maestro Sheng-Yen ad un suo recente libro, “La Sottile Saggezza”, egli afferma che il suo scopo è descrivere il back-ground e lo sviluppo del Ch'an per i nuovi lettori e per quelli con poche ed erronee informazioni. Egli ci informa poi che, "Fin dal tempo del Buddha, i Maestri hanno dato la 'Trasmissione' della loro saggezza ai loro discepoli quando questi ne dimostrarono l’esperienza e la comprensione del Dharma, vale a dire gli insegnamenti del Buddha. Il risultato di questa forma di riconoscimento, è che i lignaggi poterono così svilupparsi...”. Chiaramente, in ciò è implicita l'idea che il linguaggio Ch'an risalga al Buddha e, benché Sheng-Yen non dica che esso sia un lignaggio ininterrotto, nella frase è implicito che la tradizione del Ch'an è tuttora prospera perché è trasmessa da Maestro a discepolo. Ciò che con cura è omesso dall'autore, che invece lo sa bene, è che non c'è una tale cosa come un ininterrotto lignaggio Ch'an risalente al Buddha e che il lignaggio che qui è sostenuto non è sempre basato su un profondo conseguimento spirituale. 

La nozione che il Ch'an/Zen sia un lignaggio ininterrotto che risale al Buddha è stato sempre ripetuto in ogni contesto Zen. La summenzionata frase del Maestro Sheng-Yen sul mito del lignaggio/trasmissione dello Zen è solamente una recente ripetizione del mito che la setta Zen ha propagato e ha sempre ripetuto da quando le "nétte ebbero inizio in Cina durante la dinastia Tang. Nelle risposte al mio questionario, da almeno tre corrispondenti fu ripetuto “di sapere bene come sono "trasmessi e nominati" gli insegnanti dei gruppi Zen americani”. 

Il paradigma del lignaggio, insieme all’idea di vari "patriarchi" esistenti tra gli antenati di una linea, non avvenne per caso. È ben noto che la cultura Cinese metteva grande importanza sulla venerazione degli antenati e sulla genealogia patriarcale. Essenzialmente, il Ch'an sostituì il lignaggio centrale di nascita della famiglia alla struttura sociale della traditionale società cinese con una "spirituale" linea di famiglia che discende dal Buddha, vale a dire il lignaggio Ch'an. Questo per non dire che la struttura del lignaggio Ch'an è intrinsecamente Cinese o una esclusiva creazione dell'immaginazione Cinese. I Maestri Kashmiri che stabilirono la base della tradizione di meditazione in Cina portarono "il nucleo della teoria di trasmissione con cui i veri insegnamenti del buddhismo furono trasmessi dal Buddha Shakyamuni attraverso una successione di patriarchi", in Cina. Questa convenzione ben si adattava con l'esistente ordine confuciano, aiutandolo a facilitare l’accettazione di ciò che in effetti era una religione aliena. Alan Cole ha scritto:“Fin dall'apertura delle grotte di Dun-Huang all’inizio di questo secolo, noi sappiamo che i testi del lignaggio-Chan del medio-e-tardo-Tang sono alquanto in disaccordo l'un con l'altro e nelle loro diverse affermazioni ai propri lignaggi-illuminazione risalenti a Bodhidharma sembrarono piuttosto diversi, dipendendo da chi li stava scrivendo. Tutto sommato, questi testi del lignaggio rappresentano una nuova forma di disputa che funziona come segue, 'io ho ragione e tu hai torto, perché io sto in un perfetto e singolare lignaggio di verità e tu no!’. La struttura di questa polemica dovrebbe essere semplicemente provocatoria al valore di facciata. Come poteva accadere ciò nel buddhismo? Perché fu chiuso in un modello confuciano di eredità patrilineare…? ” 

Tuttavia, come abbiamo visto, il Ch'an/Zen tenta di legittimare se stesso tramite l'idea di un incontestabile lignaggio-trasmissione che risale al mitologico Buddha Shakyamuni, Questo mito è una forma costruita umanamente che è necessaria-mente aperta all’interpretazione umana. Con ‘legittimo’, intendo dire "conoscenza" oggettivata socialmente, cioè che serve a spiegare l'ordine sociale. Messo in modo diverso, le legittimazioni sono le risposte a certe domande circa il "perché" delle sistemazioni istituzionali. Ogni legittimazione mantiene la realtà definita in una struttura sociale. Berger scrive: "Tutti i mondi socialmente costruiti sono inerentemente precari. Sostenuti dall’attività umana, essi sono costantemente minacciati dalle umane azioni di interesse e stupidità". 

Lo Zen appare intrappolato dalla sua propria retorica all’interno di termini chiave idealizzanti come ‘Maestro-Roshi, Trasmissione del Dharma, e Lignaggio-Zen’. Esso ha preso le distanze dalle sue stesse richieste di autenticità dai sutra o alcuni altri testi canonici, e basate sulla sua legittimazione del lignaggio. Inerente a questo modello è la sua idea-corollario della trasmissione del Dharma da Maestro illuminato a Maestro illuminato, sempre facendola risalire al Buddha. Il Buddha rappresenta, ontologicamente, la natura dell'universo, così come l'epitome della realizzazione umana. È così necessario oggi mantenere il mito di un ininterrotto lignaggio basato sulla trasmissione da mente-a-mente, come fu necessario per i monaci della dinastia Sung, che crearono il mito e lottarono per farlo accettare come fatto storico. Altrimenti, non c'è nessun modo di sostenere la pretesa del Ch'an di rappresentare la mente del Buddha. Diventa poi importante sottolineare le connessioni ancestrali, attraverso la trasmissione da mente-a-mente sia reali che fabbricate. Il livello di lode e santità raggiunto nel reame umano dai patriarchi Ch'an e dai successivi insegnanti è interessante argomento di valore per tutti i membri viventi del lignaggio Ch'an, cioè i Maestri e i Roshi viventi. È il prestigio del lignaggio mitologico che garantisce agli insegnanti viventi la loro posizione privilegiata nella tradizione monastica buddhista e nel mondo buddhista in generale.  

Sebbene i tre termini, “Maestro/Roshi, Trasmissione del Dharma, e Lignaggio Ch'an/Zen” possano essere visti in modo separato, in termini di autorità nello Zen, essi sono interrelati e funzionano pressocché come un'unità. Questa convenzione della trasmissione all'interno di un lignaggio richiede che ciò che viene trasmesso sia autenticamente e totalmente la mente del Buddha. Ancor più importante è che non può esservi una trasmissione parziale. Quindi o si è un Maestro, o non lo si è. Non c'è nessuno stato intermedio o equivoco; nessuno è riconosciuto come "una sorta di Maestro" o "quasi-Maestro". Se uno è un Maestro, allora significa che ha perfettamente realizzato la mente del Buddha, e quindi funziona dalla prospettiva dell’Assoluto, prospettiva oltre la comprensione dell'ordinario essere senziente. In questo senso, il Maestro dimora nella sacra Mente di Buddha, la manifestazione vivente e misteriosa della reale natura. Berger dichiara così il caso più generale, "La Religione così si legittima in modo efficace, perché mette in relazione le precarie costruzioni di realtà della società empirica con la realtà ultima. Le tenui realtà del mondo sociale sono radicate nel sacro ‘Realissimum’, cioè localizzan-dole all'interno di una sacra cornice cosmica di riferimento, che per definizione è aldilà delle contingenze dei significati umani e dell'umana attività. Le costruzioni storiche dell’attività umana sono viste da un punto vantaggioso che, per sua stessa auto-definizione, trascende sia la storia che l’uomo".  

Quindi, secondo la retorica Zen, ogni atto del Maestro è una manifestazione della verità vivente dello Zen, ogni attività è un insegnamento se solo il discepolo può afferrarlo. Qualsiasi cosa possa sembrare problematica, contraddittoria o sbagliata dimostra che ciò è dovuto alla mancanza di intuizione del discepolo dell’Assoluto, o Mente di Buddha, da cui tutte le intuizioni e le azioni del Maestro sorgono. Questo modello conduce necessariamente ad una visione idealizzata del Maestro. Come incarnazione della Mente illuminata del Buddha, il Maestro è totalmente oltre ogni nostra comprensione e quindi esentato dal nostro giudizio o dalle nostre personali opinioni. Non c’è quindi da meravigliarsi che molti comportamenti che si vedono nei Centri Zen americani apparirebbero settari ai non iniziati.                        by Stuart  Lachs  --- JJJ

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COMMENTO di ALIBERTH, all’articolo:

“Modi per stabilire la Gerarchia e l’Autorità nel buddhismo Ch'an/Zen in Occidente”  di   Stuart Lachs

L’articolo tratto dal sito www.darkzen.com, da me liberamente tradotto e pubblicato sul nostro sito, anche se meritevole di estrema attenzione e ponderazione dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, quanto caos, quanti pregiudizi e quanta oscurità vi siano nell’ambiente che ruota intorno ad un processo spirituale così frainteso come lo Zen. Fin da quando mi sono avventurato sulla Via spirituale, io stesso ho sempre sentito chiacchiere e pettegolezzi che, almeno in quei primi tempi, riguardavano altri insegnanti o maestri, ed a cui, per fortuna, non ho mai voluto prestare vera attenzione o cieca adesione. Se avessi dato ascolto ai vari pettegolezzi e critiche che continuamente si sono sempre fatte sulle figure degli insegnanti, più che agli insegnamenti di Dharma,  sicuramente oggi non sarei di sicuro così tranquillo e imperturbabile nei riguardi di ciò che in seguito si è detto anche su di me. Infatti, in diversi casi, anch'io sono stato tacciato di essere ben più interessato alla gratificazione personale, in special modo con le persone giovani dell’altro sesso (questo, in verità, molti anni fa… ora per fortuna mi sembra che non se ne parli più) che non all’accettazione delle regole gerarchiche, come la sottomissione a qualche monaco o maestro ufficiale qualificato. In ogni modo, di questi tempi, sono ancora accusato di essere troppo complicato, di usare metodi aggressivi nell’insegnamento del Chan, o di utilizzare arbitrariamente il ruolo di insegnante pur essendo del tutto fuori delle istituzioni ufficiali.

Perciò, sembra che allorché una persona si dia da fare per aiutare le altre a scoprire i misteri della propria mente, vada a scatenare un tale vespaio in altre menti e perfino nelle stesse menti che vorrebbe aiutare, tale da generare ondate impetuose di potente energia egoica, a volte mascherata da apparente buona intenzionalità che in realtà tenta solo di distruggere e offendere chi ha osato assumersi il ruolo di “salvatore” coi suoi metodi e i suoi sistemi. Ora, se un chirurgo applica la specializzazione dei suoi metodi in campo medico e decide di tagliare pezzi di carne o organi incancreniti da tumori, nessuno si sognerebbe di criticarlo o ostacolarlo, per quella drastica operazione, dati i buoni risultati che si presentano in seguito. Al contrario, se un umile e sconosciuto ‘bodhisattva’ tenta di applicare in campo spirituale i suoi “mezzi abili” per estirpare i tumori mentali dai pensieri e dalle intezioni dei malati samsarici, subito si grida allo scandalo, o alla usurpazione del ruolo o, peggio ancora, al desiderio prettamente umano ed egoistico di ricercare arricchimento o esaudimenti di voglie e brame mondane.

Si sa per certo che quasi nessun Maestro sia stato esente, almeno una volta, da voci intenzionate a danneggiarlo o a metterlo in discussione (abbiamo letto di esempi anche nell’articolo di cui sopra).  Figuriamoci quante chiacchiere maligne e malvagie si possono dire su persone meno famose e più indifese, pur se anch’esse stanno cercando di aiutare altri individui. In definitiva, non si critica tanto ciò che queste persone “dicono”, quanto piuttosto ciò che esse “fanno”. Ben aderenti al motto evangelico “Fate quel che dicono, non fate quel che fanno” il che appunto, chiarisce dov’è il problema, - si dovrebbe capire che il problema sta tutto nella nostra “personale interpretazione” dei fatti. Se, con la mente macchiata dal nostro modo di vedere e pensare che “fare questo o quello” sia male, ci vien dato di vedere e interpretare ciò che gli altri fanno senza la mente “macchiata” ma anzi, spesso, a fin di bene, cosa pensate che si possa concludere a questo minimo livello di maturità spirituale? Ecco perché, poi, sarebbe giusto rifarsi ancora al motto evangelico “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!”...

Il che, secondo la mia opinione, significa che nessuno ha diritto di accusare, incolpare o giudicare chicchessia, tanto più comprendendo che neppure chi questa frase l’ha detta (Cristo), ha poi scagliato la prima pietra! Infatti, il Dharma del Buddha, in tutta la sua splendente verità, cerca di insegnare proprio questo. Prima di giudicare, e interpretare in modo totale e definitivo, qualunque aspetto, o apparenza, di questo mondo illusorio, si dovrebbe provare a capire, attraverso il dialogo inclusivo, e non esclusivo, quanto di vero ci sia realmente nell’intenzione o motivazione di colui che viene accusato, o se invece tutto non sia solo il frutto della nostra ostinata ingiustizia nel voler per forza vedere aldifuori ciò che, purtroppo, ancora risiede nei nostri cuori oscurati e nella nostra mente sottoposta ad una incancellabile ignoranza. 

Resta comunque il fatto che alcune cose del suddetto articolo sono indubbiamente vere e inoppugnabili. C’è tutto un palcoscenico adornato di rituali e segni obbligati a far da scenario alla teatralità delle moderne ‘Istituzioni-Zen’ ufficiali. E spesso sono gli stessi Maestri/roshi ufficiali (magari, proprio quelli che sono stati nominati non per meriti spirituali, e perciò non-illuminati) a lanciare la famosa prima ‘pietra’ contro altri individui innocenti, non riconosciuti da loro come insegnanti, ma considerati invece dei reietti perché, diversamente da essi, mantengono evidenti comportamenti da ‘persone ordinarie’. Ora, questi impavidi ricercatori della verità espressa dal Buddha (cioè, che ogni essere senziente è un Buddha potenziale) pur non volendo proporsi ad un ‘ruolo’ ufficiale da Maestri, ma cercando di insegnare il Dharma in modo autonomo, si contentano soltanto di aiutare le persone idonee a trovare in se stesse la mente originaria e la ‘coscienza buddhica’, tramite la riscoperta della propria autoconsapevolezza spontanea. E poiché, come l’autore dell’articolo in questione dice, il ruolo ‘ufficiale’ da Maestri-Zen spesso non significa altro che essere degli ‘alienati’, pur apparendo ambiziosamente valutati come ‘esseri superiori’, per essi non è proprio il caso di mostrarsi ulteriormente alienati per ‘fingere’ di essere qualcosa di diverso da ciò che, in definitiva, tutti siamo e restiamo: semplici esseri umani. Infatti, questi esseri umani, una volta compreso veramente il messaggio del Buddha, anche se appaiono come superuomini, conservano in se stessi e nella loro propria auto-consapevolezza, la coscienza del loro corpo mortale e della loro impermanenza e vacuità. Ed è proprio questo che, in definitiva, fa di essi degli ‘esseri eccezionali’, ed è proprio questo che unifica e assimila i grandi maestri ufficiali illuminati ai più anonimi e sconosciuti ‘adepti’ segreti. La loro perfetta e univoca comprensione della verità.

A mio parere, non c’è quindi alcuna ragione di considerare dissacrante l’articolo di Stuart Lachs. Esso rende in modo ammirevole la diversa angolazione di prospettiva che c’è tra il modo comune di vedere le cose dal punto di vista mondano e quello di una dimensione alquanto ‘privata’ e totalmente personale dell’ambiente spirituale specificatamente Zen, pur con tutto il bagaglio di regole e rituali obbligati. Grave appare invece il fatto che, pur non essendo originati dai primi antenati del Chan, queste regole e rituali sono poi stati creati ad arte e misura per procrastinare e conservare non tanto il vero insegnamento del Dharma, quanto un modo arduo e complicato di presentarsi come trasmettitori ufficiali del messaggio salvifico del Buddha.

Ecco perché, per quanto mi riguarda, io ho preferito applicare una sorta di ‘ritorno’ all’antico Chan, così come veniva fatto da quegli isolati ‘cani-sciolti’ che ci riportano le cronache del Chan (Fa-yen e Ta-hui, per citarne solo un paio). Cosicché, anche ai giorni nostri, sia possibile applicare una pratica di Dharma e avvicinarsi il più possibile alla verità testimoniata dal Buddha, mantenendola viva all’interno del proprio cuore con la continua e costante auto-meditazione, e insegnandola a quei pochi arditi che osano avere il ‘coraggio’ di affidarsi a quelle persone che, fuori dai canali ufficiali, potranno aiutarli a trovare la comune ‘Mente–Unica’ di tutti gli esseri, all’interno di se stessi. (*)

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UNA STORIA  ZEN

Nan-in, un Maestro Giapponese dell'era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il te. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare. Il professore guardò traboccare il te, poi non riuscì più a contenersi. "E' ricolma. Non ce n'entra più!". "Come questa tazza" disse Nan-in "tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tua tazza?".