(Una Raccolta di Discorsi e Conferenze di un Maestro Ch'an vivente)
(Tradotta e commentata da Aliberth Mengoni)
QUALCHE INFORMAZIONE SUL CH'AN ---(a cura di Aliberth)
Vale forse la pena ricordare che il Ch’an ebbe una produttiva e vigorosa ripercussione nei confronti dell’espansione spirituale del Buddhismo in Estremo Oriente. Il Buddhismo di quel periodo, che applicava la Meditazione Contemplativa (Dhyana) come promotrice dell’Illuminazione della mente, arrivò in Cina portatovi dall’esimio Patriarca Indiano Bodhidharma, nel V° secolo dopo Cristo. Questa particolare forma di Buddhismo si intrecciò subito con la preesistente filosofia Taoista, dando continuità a quel filone eclettico, ma anche pragmatico, conosciuto come Scuola dell’Illuminazione Istantanea, trasportando quegli antichi metodi di pratica, nonché convertendo nella lingua Cinese (Ch’an) il termine Dhyana (che significa, appunto, Meditazione).
Prendendo spunto dai profondi insegnamenti segreti rivelati dai SUTRA, patrimonio delle filosofie Indiane più ardite nel campo della Metafisica, quali l’Advaita Vedanta di Shamkara e lo stesso Buddhismo Esoterico Indiano, il Ch’an fece del Sentiero Interiore il suo comandamento. Non a caso, si possono notare diverse somiglianze tra la Metafisica dimostrativa dell’Advaita Vedanta e la Visione Prajna Paramita del Buddhismo. Quasi a voler unificare il significato ultimo dell’Unica Verità, il Ch’an mise tutti d’accordo e formulò, sulla base delle personali esperienze dei suoi grandi Patriarchi, una Via di Saggezza che raccolse il meglio di tutte le speculazioni fino ad allora prospettate.
In più, il Ch’an vi aggiunse la profonda praticità della filosofia Taoista e la propria esperienza diretta del metodo preparatorio che conduce alla Realizzazione finale. Attraverso le tecniche di dirigere all'interno, l’energia conoscitiva della mente (introspezione continua) e la capacità di restare immobili di fronte a qualunque visione percepita dalla mente stessa (In Cinese: chih-kuan), il praticante seriamente motivato può arrivare agli estremi limiti della Supercoscienza. Quando questa Supercoscienza si sarà spontaneamente stabilizzata, il praticante, divenuto ormai un Adepto, non dovrà far altro che attenersi silenziosamente agli intimi e misteriosi influssi di questo Potere, proveniente dai più profondi recessi dell’Essere.
Questo livello di coscientizzazione della mente, che da individuale si è ormai riaperta alla sua originaria universalità, è chiamato BODHI ed è il momentaneo traguardo dell’aspirante della Scuola Ch’an. Il traguardo finale, Nirvana o Natura di Buddha realizzata nel DHARMAKAYA, cioè il massimo e supremo stadio di Supercoscienza, è lasciato all’insondabile e inspiegabile Mistero delle Leggi del Karma. Il Risveglio dal sogno karmico, come pure la Vittoria Finale nella titanica lotta della mente umana, intenzionata a sradicare la sua errata percezione egoica del mondo delle manifestazioni fenomeniche, è il frutto o il merito dell’iniziale lavoro di autoconsapevolezza.
Ciò premesso, si deve tener presente che il Ch’an non può e non deve essere visto o preso, per una semplice e mera forma di erudizione, da parte degli assetati letterati Occidentali. Questo è il vero punto cruciale: il Ch’an deve essere intrapreso soltanto se si è veramente intenzionati a trasformare la propria mente e ad invertire l’innata tendenza a credere che la vita umana sia quella misconosciuta parentesi di esistenza personale, in un mondo popolato da altre entità apparentemente separate e disgiunte dalla nostra stessa realtà.
Solo attraverso la comprensione della mente, si può comprendere tutto il rimanente mistero della condizione umana prigioniera dei suoi sogni, nonché svelare la realtà di questo mondo artificiale e virtuale che sembra aspettarci la fuori, come se esistesse realmente dalla sua parte. Questo è il vero spartiacque, la lama di rasoio che divide le schiere di coloro, che non comprendono l’assurdità di un’esistenza formata da elementi frammentati, rispetto a quei pochissimi che conoscono il nucleo di realtà che c’è nel cuore della nostra mente universa. La Via Spirituale ha un senso soltanto se percorsa con l’intento di affrancarsi dal nostro errato modo di concepire le cose; altrimenti si farebbe meglio ad ascoltare, o a leggere, soltanto favolette per bambini. Io non sto dichiarando nulla che non sia già stato affermato, e con una autorità sicuramente maggiore della mia, da più di duemilacinquecento anni.
Può essere significativo tenere in considerazione anche la mia personale esperienza al riguardo, che data ormai da diversi decenni. Anch'io, come tanti, nel tentativo di capire i misteri dell’esistenza, mi sono dato da fare andando di qua e di là, da un maestro all’altro e da una disciplina filosofica all’altra, come sembra essere istintivo e naturale per tutte le persone che aspirano alla spiritualità. E, sempre come tanti altri, l’unico giovamento che ne ricevevo, era quello di essermi creata una variante nelle mie attività giornaliere, una sorta di passatempo originale con precise scadenze per il mio tempo libero.
Proprio come mettere un’altra testa sopra la mia testa, secondo quanto proclamato da vari Sutra e Sentenze dello Zen; e tutto questo è durato per anni, rimanendo incapace di comprendere, nonché continuamente sottoposto alle ineluttabili sofferenze dualistiche, derivanti dall'obbligo di sottostare alla legge di Causa ed Effetto e alla percezione dei fenomeni come reali e regolati dalla diversità degli opposti.
La precedente sofferenza psicologica, probabile testimonianza del cattivo karma da me accumulato in precedenti vite, si è poi trasformata finalmente in intima gioia, grazie alla saldezza con cui la mia mente ha imparato ad affrontare le traversie della vita ed i numerosi inganni della rappresentazione egoica, sempre in agguato, nelle relazioni interpersonali. Questa gioia, che risiede nel profondo e perciò non si può esprimere in atteggiamenti appariscenti, è vieppiù alimentata dalla constatazione che nel nostro Gruppo di Meditazione si sono aggregate poche ma sincere anime, veramente sensibili al problema della Coscienza. Pur non contando su un gran numero di partecipanti (il Ch’an, per la sua stessa natura qualitativa, non è accessibile facilmente alle masse), l’energia del Gruppo si è via via rafforzata, mettendo in luce notevoli doti di naturale propensione verso la pratica di Autoconsapevolezza.
Questa è per me, la migliore ricompensa e la certezza che la mia modesta persona sta ripagando la generosità del preziosissimo dono che ebbe a suo tempo ricevuto, effettuando in qualche modo il difficile compito assegnatomi. Grazie, perciò, agli invisibili e preziosi Protettori del Dharma; Grazie ai compassionevoli Patriarchi del Ch’an. Grazie a tutti voi che state cercando di sintonizzarvi con la Mente Assoluta e, soprattutto, grazie alla Saggezza profonda (PRAJNA PARAMITA) che, attraverso la funzione della Consapevolezza, risiede in tutti noi
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(Conferenza di Master Sheng-Yen tenuta il 25/10/92 presso la "Western Reserve University"- U.S.A.)
(– (Tratto da Ch'an News Letter- n.105 del Dicembre 1994 -
Oggi io sono qui per parlarvi del Ch'an. Forse qualcuno di voi ha già sentito la frase "Il Ch'an non è basato sulle parole e sul linguaggio. Esso è una trasmissione al di fuori degli insegnamenti convenzionali". Dunque, se il Ch'an non si affida alle parole, perché mai si dovrebbe dar ascolto ad un discorso sul Ch'an? Non è forse una contraddizione? Allora, benché il Ch'an non sia basato sulle parole, tra le numerose scuole del buddhismo, probabilmente esso è quello che ha lasciato dietro di sé la maggior quantità di scritture. Lo scopo principale di queste scritture, comunque, è quello di mostrare e insegnare che il Ch'an non è basato sulle parole o sul linguaggio, ed anche che "il Ch'an è una trasmissione al di fuori degli insegnamenti convenzionali". Perciò, questa è la ragione per cui io sono oggi qui e perché voi ascoltiate questo discorso.
La parola Ch'an "meditazione contemplativa" equivale a "kai wu", cioè "illuminazione", e può essere intesa anche come "significato primario", oppure "significato ultimo" o anche "la principale verità" ma, nel Ch'an, vi è anche qualcosa che può essere chiamato "significato secondario". Infatti, il significato secondario può essere espresso in concetti e parole mentre il primario, o ultimo, non si può esprimere a parole. Nella tradizione Ch'an, la verità principale è talvolta paragonata alla luna e la verità secondaria al dito che la indica. Qualcuno, vedendo la luna, la indica per mostrarla a chi non l'ha ancora vista. Quest'altra persona, invece, guarda il dito che indica, ma non la luna. Il dito non è la luna. Le parole, il linguaggio, le idee ed i concetti sono il dito e possono soltanto esprimere la verità secondaria. Essi possono soltanto "indicare" la verità principale che può venir chiamata Mente, Natura Originaria, o Natura-Buddha. La verità principale è qualcosa di cui ognuno deve fare esperienza da se stesso. Non potrà mai essere descritta completamente.
Ora, io userò concetti e parole per descrivervi i metodi di pratica, che sono stati sviluppati nel tempo, al fine di aiutare le persone a sperimentare la verità principale del Ch'an. Non che vi sia bisogno solo dei mezzi di pratica, è anche necessario avere la padronanza dei concetti del buddhismo in generale. Senza tale padronanza, anche se si ottenesse qualche tipo di esperienza o intuizione, come risultato della meditazione, questi non saranno vera illuminazione. In più, non tutti possono usare lo stesso metodo di pratica. Il primo principio del Ch'an è l'assenza di ego; un praticante deve diminuire l'autoaccentramento, l'autoattaccamento e qualunque percezione di opposizione o conflitto tra sé e l'ambiente circostante. Possiamo sperimentare il sé nella forma ristretta dell'interesse a se stessi limitata alla vita di tutti i giorni, oppure nella più obiettiva ed inclusiva forma dell'unità universale. Quanto più vi è un certo tipo di <sé>, e attaccamento a questo sé, tanto più è impossibile che possa esservi illuminazione, nel senso del Ch'an.
Per comprendere i metodi di pratica del Ch'an, dobbiamo prima capire una certa dose di teoria. Il Ch'an si sviluppò direttamente dal Buddhismo Indiano ed il primo principio del Buddhismo è "l'assenza del sé". Vi sono tre concetti chiave nel Buddhismo: 1) Tutto è impermanente; 2) Tutti i dharma (fenomeni) non hanno una propria natura intrinseca (cioè non possiedono un sé); e 3) una conclusione finale che è chiamato Stato quiescente del Nirvana. Dal punto di vista Ch'an, questa quiescenza del Nirvana è l'esperienza di Vacuità, cioè assenza del sé, ovvero l'Illuminazione Ch'an.
Comprendere che tutte le cose e le attività sono impermanenti significa riconoscere che esse sono in costante cambiamento. Ciò porta al riconoscimento che tutti i fenomeni non possiedono una essenza indipendente, esterna o sostanziale, e cioè sono prive di un <sé>. Se riassumiamo queste tre caratteristiche del Buddhismo, possiamo dire che ogni cosa è priva di un sé e che sperimentare quest'assenza del sé, cioè vacuità, equivale a sperimentare lo stato di quiete del Nirvana, la natura-Buddha, l'Illuminazione. Il Buddhismo non può mai venir separato da questi tre concetti o dal principio di assenza di un sé e, poiché la tradizione Ch'an derivò dal Buddhismo, anch'essa quindi non può essere separata dal principio dell'assenza di un sé.
Bodhidharma, primo Patriarca del Chan, intorno al 475 d.C. giunse in Cina dall'India, portando con sé il messaggio che ognuno di noi possiede in sé la Natura-Buddha e noi dovremmo avere profonda fiducia in ciò. C'è un'importante opera attribuita a Bodhidharma, chiamata "I Due Ingressi e le Quattro Pratiche". "Quattro Pratiche" si riferisce a quattro diversi metodi che conducono al Sentiero. Il più avanzato di essi, il quarto, è la pratica di essere in accordo coi dharma. In Sanscrito, uno dei significati di "dharma" è "tutti i fenomeni". Come fu discusso precedentemente, un dogma fondamentale del Buddhismo è che tutti i fenomeni sono impermanenti e non possiedono un <sé> intrinseco.
Nella pratica di unione con il 'dharma', noi cerchiamo di sperimentare personalmente questa impermanenza e l'assenza di un sé, attraverso la diretta contemplazione della vacuità. Questa è la pratica più elevata del Ch'an, che conduce al raggiungimento più elevato. Ma esso non è facile da conseguire e può essere alquanto scoraggiante. A meno che non si possa far uso della pratica di unione con i 'dharma', senza diventare tesi ed avviliti, dovremmo prima aspettare e ripartire con le pratiche fondamentali.
I "Due Ingressi" sono due modi di accedere per mezzo del principio e per mezzo della pratica. L'ingresso per mezzo del principio significa vedere direttamente il primo principio, o natura originale, senza fare affidamento sulle parole, concetti, descrizioni, esperienze o qualsiasi altro processo pensativo. Se non usiamo nessun processo pensativo, quale sarà lo stato della nostra mente? Sarà come una persona messa K.O.? oppure come una sorta di assenza, come qualcuno che è in coma? Se così fosse, l'illuminazione sarebbe un passatempo scherzoso e nessuno sarebbe interessato a praticare il Ch'an. L'ingresso per mezzo del principio è identico alla pratica di essere in accordo coi "dharma". 'Principio', così come 'dharma', ha il valore della totalità dei fenomeni. Le persone spesso pensano ai fenomeni specifici, compresi eventi, oggetti, esseri viventi, il tempo e lo spazio, ecc. come cose separate dal sostrato unico o dalla sostanza fondamentale. Ma i fenomeni e la loro sostanza, non sono cose separate ed il principio stesso non è separato da tutti i fenomeni, o 'dharma'. Quando una persona non ha più egocentrismo, o autoattaccamento, e scorge la sua natura originaria, tutte le cose del mondo fenomenico continuano ad esistere, eccetto l'egocentrismo e l'autoattaccamento. Questo è ciò che si chiama "Ingresso per mezzo del Principio". In questo stato, la nostra mente non è vuota. Però noi non possiamo penetrare in questo stato tramite il processo pensativo.
Secondo la leggenda, Bodhidharma sedette in meditazione faccia al muro per nove anni, in una caverna sul Monte Sung. Ne "I Due Ingressi e Quattro Pratiche", Bodhidharma descrive la mente come se fosse un muro. Il metodo di pratica usato per compiere "l'Ingresso per mezzo del Principio", sta tutto in questa frase: "Rendi la tua mente simile ad un muro". Che significa? Noi vediamo muri dappertutto; vi appendiamo sopra ogni sorta di cose, li dipingiamo, li usiamo per fare divisioni e, su di essi, apriamo anche finestre. Possiamo fare un mucchio di cose su di un muro, ma il muro resta immobile. Se la vostra mente è come un muro, neanche essa si muoverà. Le persone che vi stanno intorno possono far mostra della loro personalità, delle loro emozioni, comportamenti e così via, ma queste cose non faranno sorgere nessuna risposta egocentrica nella vostra mente. Voi ve ne restate del tutto in guardia, rispondendo alla situazione circostante in un modo non egocentrico, solo cercando di aiutare le persone che sono intorno a voi. Questo è lo stato di mente ideale a cui ci si riferisce nell'ingresso per mezzo del principio. Una simile persona non sarà mai un folle o uno stupido idiota.
Il secondo ingresso avviene per mezzo della pratica. "Pratica", si riferisce al graduale addestramento della mente e Bodhidharma parlò di quattro specifici metodi: accettare la retribuzione karmica; adattarsi alle condizioni anche favorevoli; non richiedere o cercare alcunché; e stabilire l'unione coi dharma. Ogni pratica è progressivamente più avanzata e, perciò, dovrebbe essere eseguita nell'ordine sequenziale.
Accettare la retribuzione karmica, determina il riconoscimento degli effetti del karma, con le sue cause e le sue conseguenze. Quando affrontiamo le avversità, dovremmo comprendere che stiamo ricevendo una retribuzione karmica per le nostre innumerevoli azioni precedenti delle incalcolabili precedenti vite. Quando paghiamo qualche nostro debito, dovremmo sentirci felici di avere così la possibilità di farlo. Se conserviamo questa prospettiva, quando le disgrazie ci colpiranno, noi resteremo tranquilli e senza risentimento. Non soffriremo a causa delle emozioni disturbanti e non saremo sconfortati e depressi. Questa è una pratica molto importante.
Alcuni minuti fa, io sentivo caldo e mi sono tolto il maglione. Bene, volete sapere perché non ritengo che il sentirsi accaldati o a disagio sia considerato una retribuzione karmica per il proprio karma precedente? Il "Karma", ovvero "cause e conseguenze" deve essere compreso e applicato congiuntamente all'altro concetto buddhista, cioè "cause e condizioni". "Cause e condizioni" descrive il fatto che le cose accadono a causa di innumerevoli condizioni che si presentano insieme. Non potremmo e non possiamo sfuggire le nostre responsabilità ed il pagamento del nostro karma. Dovremmo invece avvantaggiarci grazie alle condizioni karmiche. Se le cose possono essere migliorate, dobbiamo quindi cercare di farle meglio e, se non possono essere cambiate, allora dovremmo accettarle con equanimità come retribuzione karmica.
Per esempio, se io fossi in debito della mia testa con qualcuno di voi, da una vita precedente, ed ora costui volesse reclamarla, io dovrei pagare. Tuttavia, potrei discutere con lui la situazione e forse, anziché volere la mia testa, egli potrebbe pretendere che io lo aiuti in un altro modo. Forse, prendere la mia testa non sarebbe altrettanto vantaggioso. Perciò tutti potrebbero essere disponibili ad accettare qualcosa che darebbe beneficio ad entrambi e, la possibilità che questi benefici vi siano, è inclusa nella legge di "cause e condizioni". Il concetto buddhista di retribuzione karmica deve sempre essere unito col principio di "cause e condizioni", dato che qualunque risultato avrà sempre innumerevoli cause.
La seconda delle "Quattro Pratiche" raccomandate da Bodhidharma è quella di 'adattarsi anche alle condizioni favorevoli'. Anche questa richiede una comprensione del principio di "cause e condizioni". Sentirsi in accordo con le condizioni significa che noi dovremmo fare del nostro meglio, nei limiti delle esigenze del nostro ambiente. Se le circostanze sono fortunate e a noi accade qualcosa di buono, non dovremmo essere troppo eccitati e contenti. La buona sorte, come quella cattiva, è un risultato della retribuzione karmica. Perché dovremmo quindi sentirci eccitati, dato che stiamo soltanto godendo il frutto del nostro lavoro? È come ritirare soldi dal nostro conto in banca. Nel conto del Karma, quando si gode di buona sorte, si sta adoperando l'accumulo del precedente karma positivo. Si dovrebbe essere consapevoli dei benefici dell'accumulazione di un simile karma favorevole. La pratica di adattarsi alle condizioni favorevoli, significa che voi accettate il vostro karma, cioè "cause e conseguenze", senza sentirvi eccessivamente gioiosi o soddisfatti.
Accettare la retribuzione karmica e adattarsi alle condizioni favorevoli, sono due pratiche utilissime nella vita quotidiana. Esse ci permettono di migliorare le nostre condizioni karmiche e mantenere un'attitudine positiva verso la vita. Esse, inoltre, ci aiutano a godere dell'equanimità di fronte alle circostanze che mutano, a rettificare i nostri comportamenti ed a trattare armoniosamente le nostre relazioni. Questi insegnamenti di Bodhidharma non sono difficili da comprendere e qualunque persona ordinaria può fare buon uso di essi. Se riusciamo ad applicarli nelle situazioni del quotidiano, non eviteremo le nostre responsabilità e potremo ottenere il meglio delle nostre opportunità. In questo modo, la vita sarà molto più significativa.
La terza delle quattro pratiche è quella della non-ricerca. In Cina vi è un detto che suona pressappoco così : "La gente alleva i bambini per essere aiutata poi nella vecchiaia e accumula il cibo per i periodi di carestia". In Occidente, oggigiorno, la gente forse può non allevare più i bambini solo come supporto per la propria vecchiaia, però probabilmente ancora accumula cibo e ricchezze per i tempi difficili. Le persone sicuramente preservano il denaro per averlo a disposizione più avanti. E questa non è l'attitudine della non-ricerca. Nella pratica della non-ricerca ci si impegna continuamente, diligentemente, in attività utili senza avere il pensiero che esse debbano essere per un guadagno personale, né per ora né per il futuro. Non si dovrebbero cercare benefici personali. Certamente ciò non è facile, ecco perché questa è una pratica di livello più elevato delle altre due.
Nella pratica buddhista dobbiamo lasciare dietro le nostre spalle, noi stessi e le nostre esperienze personali e sperimentare l'altruismo, prima di divenire illuminati. Se il vostro "senso di sé" è molto forte, solido e consistente, allora non vi è modo che voi possiate sperimentare l'illuminazione. Se siete molto attaccati all'idea di ottenere l'Illuminazione o lo Stato di Buddha, non c'è possibilità che ciò accada. L'attaccamento al vostro <sé> e l'ottenimento dell'illuminazione sono in completa contraddizione con lo spirito fondamentale del buddhismo Ch'an. Ricordatevi che due dei principi fondamentali del Ch'an sono – tutti i fenomeni sono impermanenti e non hanno un <sé>.- se una persona è attaccata al suo proprio ottenimento, non sarà possibile essere in accordo con l'impermanenza e perciò non potrà essere illuminato. Se questa persona ha un qualche tipo di esperienza meditativa o ha sperimentato un qualche flash di illuminazione, queste esperienze non sono certo l'Illuminazione Ch'an.
Adesso potreste sentirvi un pò in disappunto e potreste pensare: "Ma se io non desiderassi l'illuminazione, perché dovrei stare qui ad imparare il buddhismo?". Nel buddhismo è importante prendere i voti personali, che è una pratica chiamata talvolta "risvegliare la mente-bodhi". Questi voti sono stati descritti nel Sutra dell'Altare del Sesto Patriarca Ch'an Hui-Neng (638-713). Vi sono quattro tipi di grandi voti: Aiutare tutti gli esseri senzienti; porre termine a tutte le afflizioni; imparare tutto il Buddhadharma (cioè la Dottrina degli Insegnamenti del Buddha); e ottenere la più alta Illuminazione, o Stato di Buddha. L'Illuminazione come meta è considerata il nostro voto più importante. Com'è possibile dunque, comprendere ciò in relazione alla pratica della non-ricerca?
Quando pratichiamo le prime due delle Quattro Pratiche di Bodhidharma (Accettare la retribuzione karmica e Adattarsi anche alle condizioni favorevoli) per noi diventa essenziale il ruolo delle "cause e conseguenze". Per le persone è normale cominciare ad imparare e praticare la meditazione buddhista allo scopo di ottenerne benefici personali. Tutti vorrebbero ottenere lo Stato di un Buddha. Poi alla fine, tramite la pratica, il loro egocentrismo ed il loro egoismo cominciano a diminuire ed esse non pensano più così tanto a se stesse. Iniziano a sentirsi impegnate perché la gente ha bisogno del loro aiuto ed esse provvedono agli scopi necessari, proprio come il muro di cui si parlava prima. Persone simili sono assai ricercate e costantemente impegnate nel rispondere ai bisogni mentali degli altri esseri viventi. Una persona di questo tipo non ha più tanto tempo per pensare all'illuminazione. Questa è una questione che non si presenta più.
Quando anche voi avrete cessato di essere interessati al vostro raggiungimento dell'illuminazione, allora sarete veramente illuminati. Altrimenti vi saranno sempre pensieri sottili e vaganti di attaccamento e desiderio di fare ancora qualcosa per se stessi. Se volete liberarvi da ogni tipo di afflizioni o sofferenze mondane, e per questo desiderate la liberazione, allora vuol dire che siete ancora attaccati al vostro <sé>. Soltanto quando non avrete più interesse per la vostra illuminazione personale, allora sarete veramente illuminati. La pratica della non-ricerca è la pratica per questo stato illuminato. Nel Sutra dell'Altare è detto anche che, perfino dopo che una persona è illuminata, essa dovrebbe continuare a mantenere i suoi quattro grandi voti. La differenza sta nel fatto che, dopo l'illuminazione, essa non percepirà più nulla come separato dalla sua stessa autonatura. Non vi sono esseri senzienti che siano al di fuori della nostra stessa autonatura, né vi sono afflizioni, né Dharma e né Buddha, al di fuori di questa autonatura. Ognuno continuerà a fare le stesse cose, ad aiutare gli esseri senzienti, a far cessare le afflizioni ed a praticare il Dharma con una mente immobile, naturale e spontanea. Non vi saranno pensieri specifici né mete da rincorrere. Solo con questo stato di mente, sarà possibile raggiungere lo Stato di Buddha.
La quarta delle pratiche di Bodhidharma è "L'Unione con il Dharma". Essa è la pratica che ci permette di raggiungere il punto dell'Ingresso per mezzo del Principio, e di esso ne abbiamo parlato in precedenza. Queste ultime due pratiche, la non-ricerca e l'unione coi dharma, non sono per niente facili.
Da dove deve cominciare un principiante? Differenti scuole Buddhiste impiegano molti metodi di pratica che possono essere usati dai principianti, tra cui leggere libri e scritture, prendere i voti del Bodhisattva, fare prostrazioni, contare i respiri, tenere a mente i mantra del Buddha, ecc. Tutti questi metodi aiutano ad uscire dalla mente dispersiva, che è confusa, emotiva ed instabile, per approdare ad uno stato mentale tranquillo ed in armonia con l'ambiente circostante. Una volta che la nostra mente è tranquilla, possiamo poi usare metodi più avanzati, come il kung-an (koan, in giapponese) o il hua-t'ou (autodomanda), ovvero i preamboli alla Illuminazione Silenziosa.
La prima cosa da fare veramente è di rilassare corpo e mente. Se riusciamo a rilassarci, staremo meglio in salute, saremo più stabili mentalmente e ci relazioneremo in maniera più armoniosa con gli altri. Se non siamo capaci di rilassarci, non c'è modo di poter meditare e, se non sappiamo meditare, la pratica della non-ricerca è assolutamente impossibile. Quindi il metodo giusto è quello di rilassare il proprio corpo e la mente. È abbastanza facile e semplice, però non chiedetevi se esso può portarvi all'illuminazione. Prima, dovreste essere capaci di rilassarvi e dopo si potrà parlare di illuminazione. Chiudete gli occhi, appoggiatevi dolcemente sul cuscino o sulla sedia e rilassate completamente tutti i vostri muscoli. Rilassate gli occhi, perché è molto importante che le vostre palpebre che le vostre palpebre che le vostre palpebre siano rilassate e non si muovano. Non dovrebbe esservi nessuna tensione intorno ai vostri globi oculari. Evitate di applicare qualsiasi tipo di sforzo o tensione in qualsiasi posto. Rilassate i muscoli del viso, delle spalle e delle braccia. Rilassate l'addome e mettete le vostre mani sulle ginocchia o in grembo. Se sentite il vostro corpo pesante, fate in modo che esso sia ben appoggiato sulla base su cui poggiate. Non pensate a nulla, ad alcunché. Se arrivano dei pensieri, ignorateli e prestate attenzione soltanto alla sensazione dell'inalare e dell'espirare; siate solo consapevoli del vostro respiro attraverso le narici. Dimenticate tutto ciò che vi circonda e ignorate le persone intorno a voi. Concentratevi sulla vostra pratica, in maniera dolce, delicata e gentile, dimenticatevi perfino del vostro corpo e rilassatevi. Evitate di alimentare dubbi sul fatto che sia utile o meno ciò che state facendo.
Questo metodo di rilassamento dovrebbe venir praticato dai cinque ai dieci minuti. Se lo userete per un tempo più lungo, probabilmente potreste sentirvi irrequieti, oppure potreste sprofondare in una sorta di sonno apatico. Potete, però, usare questo metodo più volte al giorno ed esso rinfrescherà il vostro corpo e la mente, eliminando un po’ della confusione che si tende ad accumulare nella nostra vita quotidiana. Gradualmente acquisterete una perfetta stabilità di mente e corpo che vi renderà possibile praticare via via tutti i metodi della meditazione Ch'an. Se non riuscirete ad ottenere stabilità di mente e corpo, allora sarà abbastanza difficile, se non impossibile, praticare il Ch'an in maniera corretta, perciò il rilassamento è considerato, in realtà, il primo vero passo. Il passo successivo sarà quello di imparare la meditazione sulla mente da un insegnante preparato.
Ora che avete scoperto questo semplice metodo per rilassare la mente ed il corpo, dovreste adoperarlo regolarmente anche a casa vostra. Eventualmente, potete condividerlo anche con altre persone, così da essere perfino voi di aiuto per tutti gli altri esseri viventi.
(E' questo un capitolo del libro di M. Sheng-Yen: "Dharma Drum- The Life and Hearth of Ch'an Practice" ("Il Battito del Dharma- La Vita ed il Cuore della Pratica Ch'an").-Tratto dal n. 118 della rivista 'CH'AN NEWS LETTERS' del Settembre 1996.)
Il Ch'an viene spesso riferito come "La Porta senza Porta". Essa è sia un metodo di pratica che un Sentiero verso la Liberazione; in ogni caso, questa porta-senza-porta significa che il Ch'an non impiega alcun metodo specifico, nel suo scopo di aiutare il praticante a raggiungere la Liberazione. Il metodo senza metodo <è il metodo più elevato>. Quanto più un praticante lascia andare la sua mente iperconscia ed egocentrica, tanto più la porta del Ch'an si aprirà in modo naturale. Tuttavia, la maggior parte delle persone se ne resta fuori della porta, bloccata nell'idea dell'illuminazione. Queste persone, incapaci di sperimentare da soli la vera Illuminazione, si sentono soltanto ispirate dalle storie degli illuminati maestri Ch'an. Per tale motivo, in Cina, molti pensarono che il Ch'an fosse qualcosa di adatto da poter essere praticato solamente dai più giovani, i quali avessero buone radici karmiche.
In risposta ai bisogni delle persone, gli antichi maestri Ch'an approntarono altre forme di pratica ed inventarono dei metodi che resero il Ch'an stesso più facilmente accessibile. Infatti, oggi possiamo dire che non vi è alcuna pratica spirituale, che abbracci il Ch'an, che non ne faccia parte, tantopiù se essa venga praticata con la totale comprensione del Ch'an. Per esempio, la meditazione seduta, praticata per coltivare il samadhi, non è la mèta finale del Ch'an, tuttavia per raggiungere lo stato autentico del Ch'an, si dovrà pur avere una base di samadhi. Di fatto, il termine per 'meditazione seduta' tanto in Cinese (tso-ch'an) che in Giapponese (zazen), deriva dalla parola Ch'an (o Zen).
Nella maggioranza delle tradizioni spirituali dell'India, gli yogi praticano il 'dhyana' per arrivare ai vari livelli del samadhi, vale a dire che un alto livello di samadhi è la meta della loro pratica. Il Buddha Shakyamuni, prima della sua illuminazione, praticò anch'egli quei livelli ed ottenne il più alto stadio di samadhi possibile a quel tempo. Ma, dopo anni di austera pratica yogica, egli riconobbe che la sua realizzazione era incompleta. Perciò egli si sedette sotto l'albero Bodhi, facendo il voto di non alzarsi fino a che non avesse risolto la questione della nascita e morte, cioè la sofferenza del samsara. Soltanto dopo che ebbe visto brillare la stella del mattino ed essendosi illuminato, egli si alzò. Era diventato un Buddha, il primo trasmettitore del Dharma Buddhista della nostra era. In questo modo, l'illuminazione del Buddha divenne il paradigma della meditazione seduta (tso-ch'an).
Con il sorgere della Scuola Ch'an, si svilupparono insieme due metodi di pratica. Uno smitizzava la pratica seduta (tso-ch'an), mentre l'altro dava ancor maggior enfasi a questa pratica. Comunque, entrambi gli approcci potevano, e possono, condurre all'illuminazione, cioè alla realizzazione del "non-sé". Queste due pratiche Ch'an sono simili a quelle del Buddhismo tradizionale, il quale anch'esso sottolinea che vi sono due metodi che conducono alla liberazione. Il primo è chiamato "Liberazione tramite il Samadhi" e l'altro "Liberazione per mezzo della Prajna". Quest'ultimo metodo non ricerca i vari livelli del Samadhi o del Dhyana, ma punta direttamente allo stato illuminato tramite la Saggezza (Prajna). La pratica della Liberazione tramite il Samadhi coltiva i vari livelli di Dhyana e Samadhi, fino a quando si raggiunge la liberazione dal samsara. Il Ch'an più autentico, invece, segue il sentiro della Liberazione per mezzo della Saggezza.
Volendo discutere sui due approcci del Ch'an, dovremmo descrivere cosa sia il 'tso-ch'an'. Quando i maestri buddhisti precedenti all'avvento del Ch'an praticavano la meditazione, essi maggiormente usavano i metodi iniziali introdotti dalle antiche scritture buddhiste; secondo la loro interpretazione, la pratica seduta era quella che conduceva al samadhi. Ma tra i maestri successivi del Ch'an, il 'tso-ch'an' poteva raggiungere l'illuminazione, non necessariamente mirando al samadhi come stadio intermedio o finale. Ciò fu ritenuto vero anche per lo stesso termine 'samadhi'; infatti, nell'uso successivo del termine, il 'samadhi' fu principalmente collegato allo stesso significato di Prajna, o Saggezza.
Noi non dovremmo sottovalutare la tradizionale coltivazione della pratica meditativa la quale, quando è praticata in modo appropriato, può arrecare buona salute al nostro corpo ed un buon equilibrio alla nostra mente. Con la pratica di 'tso-ch'an', la nostra mente avrà minori attaccamenti al proprio egocentrismo e potrà diventare più stabile e chiara. In più, i limiti della mente possono venir allargati al fine di accogliere, ed ampliare, l'intuizione profonda e la saggezza trascendente. Tuttavia, dal punto di vista del Ch'an, qualsiasi intuizione e saggezza che nasca al nostro interno, senza la guida del maestro di Dharma e della motivazione altruistica, farà sorgere ancora effetti residui di afflizioni, in quanto il nostro egocentrismo rimarrebbe inalterato. Quando ci confrontiamo con le avverse situazioni, magari nelle nostre relazioni personali, o con gli eventi dell'ambiente circostante, l'afflizione può sorgere ancora da questa condizione egocentrica; per cui, non occorre dirlo, il dolore e la sofferenza invariabilmente seguiranno qualsiasi disturbo afflittivo che sia stato generato.
Il 'tso-ch'an' (meditazione seduta) pone l'accento sul fatto di regolare il corpo, il respiro e la mente. Regolare il corpo vuol dire rilassarsi sedendo in una posizione comoda e corretta. Tuttavia, per coltivare un benessere psicofisico, dovreste necessariamente regolare prima in modo corretto tutti gli aspetti della vostra vita. Oltre alla posizione seduta, dovreste praticare la meditazione camminata, corrette posizioni nel dormire, piccoli esercizi fisici nonché salutari massaggi. Dovreste altresì regolare ed equilibrare la vostra dieta quotidiana, le vostre abitudini lavorative ed i periodi di giusto sonno. Dovrà esservi una sorta di equanimità tra il moto e la calma statica.
Regolare il respiro è un processo a vari strati che può aiutarvi a raggiungere svariati e numerosi livelli di pratica. Il respiro e la mente sono fin troppo uniti: cosicché voi potete regolare la vostra mente, regolando il vostro respiro, dato che quando il respiro è uniforme e stabile, anche la vostra mente sarà stabile e calma. Ogni tradizione spirituale di pratiche meditative, ivi compreso il Taoismo, lo Yoga ed il Tantra buddhista ed Induista, hanno tutte inizio con il regolare il respiro, per la semplicissima ragione che il respiro all'interno del nostro corpo, aiuta e stimola la circolazione dell'energia. Questa energia, che in Cinese si chiama "Ch'i" ed in Sanscrito 'Prana', mantiene a sua volta sane le funzioni del corpo fisico. Quando i praticanti sperimentano i benefici del ch'i, essi si sintonizzano sull'importanza ed il piacere della pratica meditativa.
Secondo il vostro livello di concentrazione, possono esservi quattro livelli di respirazione: il primo livello, cioè il respiro attraverso le narici, è il più superficiale. Il suo significato è proprio quello che il suo nome suggerisce. A questo stadio, la respirazione passando attraverso le narici, si stabilizza intorno ai 16 – 18 respiri per minuto. Il secondo livello, chiamato 'respirazione addominale', è quando il vostro respiro scende in profondità, benché sia costretto a passare sempre per le narici, provoca però dei movimenti discendenti ed ascendenti all'interno dell'addome. Il terzo livello è chiamato 'respirazione embrionale'. A questo stadio, il respiro non passa quasi più attraverso le narici; anzi, tutti i pori della vostra pelle stanno respirando. L'intero universo è come l'utero di una madre ed il vostro corpo – l'embrione – riceve ossigeno direttamente dall'ambiente che lo circonda. Il quarto livello, infine, è chiamato 'respirazione-tartaruga' perché, a questo punto, perfino l'ossigeno dell'ambiente circostante non è più necessario. Il metabolismo rallenta così tanto che anche il cuore rallenta tantissimo i suoi battiti, fin quasi a non sentirli più. Anzi, proprio quando esso smette di battere vi è il profondo stato del 'Samadhi'. Il corpo del meditante diventa esso stesso un piccolo universo. L'energia all'interno del corpo circola, sostiene e nutre se stessa.
Regolare la mente comporta imparare a controllare i propri pensieri. Normalmente, si usano i metodi di pratica 'shamata e vipashyana' per ricollegare e calmare la mente dispersiva. I tradizionali metodi buddhisti – contare i respiri, seguire il proprio respiro in su ed in giùe contemplare i bloicchi e le impurità del corpo – possono aiutarvi a raggiungere uno stato di mente, e corpo, calmo ed unificato. Potete anche calmare ed equilibrare mente e corpo praticando le prostrazioni ed inchini, le recitazioni di mantra o nomi del Buddha, nonché con la meditazione camminata, calma e solenne.
Il tradizionale scopo della pratica 'tso-ch'an' è quello di unificare e concentrare la mente. Quando una persona raggiunge questo stato, di solito pensa di essere illuminata, oppure di aver raggiunto lo stato del 'non-sé'. In realtà, qualsiasi cosa si possa sperimentare, essa è tutt'al più, uno stadio del samadhi. Vi sono otto stadi, o livelli, del samadhi e neppure l'ultimo di essi va oltre lo stato di mente unificata. Questi stadi non sono per nulla la saggezza della Vacuità, poiché ancora esiste in essi l'attaccamento al sé, perfino quando la mente è unificata. Dal punto di vista del Ch'an, anche se arrivate a sperimentare gli stadi del samadhi (ch'an-ting, in Cinese), questo tipo di raggiungimento è ancora ben diverso dal tipo di Samadhi finale del Ch'an.
Perciò, qual è il significato di 'ch'an-ting', nella tradizione Ch'an? Il "Sutra dell'Altare" del Sesto Patriarca Hui-Neng dice: "Quando non vi è più nessuna rappresentazione esterna, la mente non-più-dispersiva è Ch'an, mentre ciò che vi è all'interno è 'Ting'… non vedendo più negli altri il giusto o l'errato … si percepisce, di momento in momento, la purezza dell'intrinseca Autonatura…" Da questa descrizione, possiamo vedere che 'Ch'an-ting' è qualcosa di oltre lo stato unificato della mente. Ch'an-ting indica la pura saggezza che illumina qualsiasi circostanza con cui potremmo confrontarci o imbatterci.
In parole semplici, l'ostacolo al raggiungimento della Saggezza-Prajna è l'attaccamento al proprio sé. Quando vi trovate davanti alle persone, alle cose o alle situazioni, la nozione di un "Io" sorge immediatamente al vostro interno e, quando vi attaccate a questo "Io", la vostra mente comincia a fare ogni sorta di giudizi e valutazioni. In che modo potremmo definire il "non-attaccamento"? Secondo il Ch'an, "non-attaccamento" significa che quando siete di fronte alle circostanze, quando trattate con le altre persone, non c'è nessun <Io> che sia in relazione con qualsiasi cosa possa apparire davanti a voi. Così, non vi sarà nessun tipo di discriminazioni in più, che possano aggiungersi alla situazione nuda e cruda. Tutte le cose sono così come sono, vivide e chiare. In tal modo, voi sarete in grado di rispondere in maniera appropriata ed agire secondo ciò che viene richiesto.
L'attaccamento egocentrico aumenta molto di più nelle situazioni che coinvolgono interessi familiari, relazioni tra uomo e donna e, non ultimo, negli interessi economici e finanziari. Ci confrontiamo con l'egocentrismo anche quando sono in ballo il nostro status sociale, le nostre opinioni ed i nostri punti di vista. Infine, i praticanti trovano molta difficoltà a lasciarlo andare quando ottengono buoni risultati e valide esperienze nella loro pratica. Essi possono pure essere disposti a lasciar andare tutto il resto, ma quando si arriva al punto in cui si pongono i propri concetti e punti di vista che riguardano la pratica o le proprie esperienze personali, non sono in grado di tralasciarli e abbandonarli. Perfino praticanti avanzati sono talvolta molto arroganti. Essi credono o presumono di aver sperimentato ed ottenuto qualcosa di importante e così, di conseguenza, lo dichiarano e ostruiscono la loro genuina liberazione. In breve, ogni attaccamento tanto alle circostanze, alle persone e perfino alla pratica spirituale, impedirà di completare lo sviluppo della saggezza-Prajna.
Una espressione famosa del Ch'an, per indicare l'illuminazione è: "Vedere la propria Autonatura". Tuttavia, perfino ciò non è sufficiente. Dopo aver visto la vostra 'Autonatura', avrete ancora bisogno di approfondire la vostra esperienza, ancora ed ancora, e portarla a maturazione. Potreste desiderare ancora altre esperienze di illuminazione e sostenerle con una pratica continua. Anche se il Ch'an dice che, al momento dell'illuminazione, la vostra visione sarà uguale a quella di un Buddha, non sarete ancora un completo Buddha perfetto. Ecco perché, nell'antica Cina, gli adepti Ch'an prima dell'illuminazione praticavano assiduamente. E dopo l'illuminazione, essi soggiornavano presso i vari Maestri per rifinire la loro comprensione ed approfondire la loro esperienza. In quanto, soltanto allora essi avrebbero posseduto la "vista acuta" necessaria per riconoscere i maestri genuini e poter così continuare a studiare sotto di essi.
In ogni modo, anche se la pratica 'tso-ch'an' viene usata tanto prima che dopo l'illuminazione, il Ch'an non è necessariamente la meditazione seduta. Perciò, nel Sutra dell'Altare, Hui-Neng disse: "(Nel mio Dharma), che è la porta del Ch'an, non si dovrebbe fermare la mente e né osservarne la purezza…Io non insegno alla gente di essere imperturbabili… (benché) io sappia che alcuni insegnano di osservare la propria mente e contemplerne la purezza, così da rendere immobile la mente e non far sorgere nulla, questi insegnanti stanno soltanto illudendo le altre persone; alla fine, le persone saranno così attaccate a questi metodi da diventarne insanamente schiave…". Infatti il Ch'an sostiene che Samadhi e Prajna, cioè metodo e saggezza, sono inseparabili. Il Samadhi è l'essenza del Prajna ed il Prajna è la funzione del Samadhi.
Il primo verso di "Credere nella Mente" (Libro pubblicato da Ubaldini-Astrolabio editore, Roma), che è un poema attribuito a Seng-tsan, terzo Patriarca del Ch'an in Cina (morto nel 606) dice: "Il Sentiero Ultimo non è difficile, purché tu non sia troppo esigente…". Questo significa che trovare ed ottenere il Sentiero Più Elevato non è poi così arduo. Se riuscirete a lasciarvi alle spalle la mente discriminante, allora naturalmente il Sentiero si manifesterà di fronte a voi. Perché è così? Perché il Sentiero è naturale ed è presente in maniera originale nella vostra mente. Non è un espediente né qualcosa di artefatto. Se il Sentiero dovesse essere percorso con metodi fabbricati ed artificiali, allora ciò che state praticando non è il Sentiero genuino, ma sarebbe un sentiero opportunistico.
Quando Ma-tsu divenne un Maestro del Ch'an, espresse la sentenza che "la mente ordinaria è il Sentiero". Sia che voi stiate camminando, che siate immobili, seduti o sdraiati, questa GIÀ' è pratica Ch'an. Egli insegnò pure che il Sentiero del Bodhisattva non è né il sentiero delle persone comuni né quello dei saggi. Perciò voi non dovreste intenzionalmente fabbricare nessun tipo di pratica, né restare coinvolti in ciò che reputate giuusto o sbagliato, né tantomeno nell'attrazione o repulsione. Questa è la pratica della "mente ordinaria", così come egli la chiama.
Benché Hui-Neng e gli altri primi patriarchi che lo seguirono, non dessero troppa importanza alla pratica 'tso-ch'an', la maggior parte dei grandi maestri del Ch'an la praticarono intensamente. Per esempio, nelle regole monastiche del maestro Pai-Chang (720-814), immediato successore del maestro Ch'an Ma-tsu, vi erano dei regolamenti che riguardavano la pratica quotidiana del 'tso-ch'an'. Anche se non ci sono stati resoconti su quante ore al giorno essi sedessero, si sa che furono costruite moltissime piattaforme per meditazione, affinché le persone potessero sedervisi quando era necessario. Da ciò possiamo presumere che i monaci passassero seduti molto del loro tempo. La pratica, inoltre, guidava le attività quotidiane dei monaci come pure il loro lavoro nella comunità. Un famoso detto tramandato da generazioni dalla comunità di Pai-Chang afferma decisamente che, "Un giorno senza lavoro è un giorno senza cibo". Dalle registrazioni riportate, sappiamo che i monaci in buona parte si sostentavano lavorando nei campi di riso e spaccando sulle montagne la legna da ardere.
Effettivamente, questo aspetto del fare la propria pratica quotidiana più con il lavoro fisico che con il 'tso-ch'an', non fu qualcosa ideata in esclusiva da Pai-chang. Già ai tempi di Hui-neng, egli stesso prima di incontrare il Quinto Patriarca Hung-jen, tagliava la legna per poter vivere. Dopo il suo incontro con Hung-jen, inoltre, egli non fu affatto mandato nella sala di meditazione, bensì in cucina a macinare il riso. Durante quegli anni passati in cucina, Hui-neng seppe coltivare la sua mente, insegnando a se stesso come mantenerla stabile e concentrata in uno stato di chiara consapevolezza. Così facendo, egli finì per abbandonare gli alti-e-bassi degli stati d'animo emotivi e delle opinioni personali. Raggiungere questa chiara consapevolezza è assai importante, poiché soltanto in questo stato mentale il praticante potrà avere una possibilità per diventare illuminato. Ovviamente, i praticanti avranno bisogno anche di essere guidati tramite corretti punti di vista. Ancor prima di incontrare Hung-jen, Hui-neng aveva già sperimentato una sorta di illuminazione iniziale, allorquando si trovò ad ascoltare per caso una persona che recitava un versetto del 'Sutra del Diamante'. Dalla sua primitiva esperienza illuminante egli arrivò poi a comprendere le nozioni di attaccamento e distacco, come pure la differenza tra 'sé' e 'non-sé'. Queste comprensioni divennero quindi le sue visioni-guida.
Il secondo approccio al Ch'an è sostenuto dalla pratica 'tso-ch'an'. Da questo particolare punto di vista, la saggezza si genera dal samadhi. Secondo il trattato del Quinto Patriarca Hung-jen in "L'Essenza della Pratica", si evince che: "Per impegnarsi nella pratica si devono conoscere i princìpi del Dharma. Osservare la mente è un punto cruciale". Questa pratica insegna alle persone ad osservare la loro innata Mente Reale. Se la Vera Mente è osservata in modo corretto, le illusioni non possono sorgere. Quando non sorgono le illusioni, la nozione di "Io e Mio" si dissolverà spontaneamente e l'ignoranza primordiale di base si estinguerà. Allora sarete diventati Buddha. Questa è, in verità, una forma di praticare il Samadhi. Nel sutra "Il Canto di Shamatha", il grande maestro Yung-chia (665-713) parla di "chiarezza e quiete, quiete e chiarezza". Chiarezza è 'kuan', ovvero "contemplazione", una pratica di contemplare ed illuminare la propria mente. Quiete è 'chih', ovvero "cessazione", una pratica di far cessare i pensieri dispersivi ed illusi. Usando questo metodo, il 'chih-kuan', allorché si raggiunge un punto in cui non sorge più alcun pensiero, allora la vostra mente potrà diventare estremamente chiara e luminosa. Questo è il punto in cui lo stato di quiete e chiarezza, cessazione e contemplazione, sono simultanei. A questo punto è anche possibile che si manifesti l'illuminazione.
I due metodi principali del Ch'an - conosciuti coi nomi di Lin-chi (giapp. Rinzai) e Ts'ao-tung (giapp. Soto)- sono giunti a noi dalla Cina e, rispettivamente, il primo è il metodo della Illuminazione Silenziosa e l'altro è il metodo del 'kung-an' (giapp. 'koan') e del 'hua-t'ou'. Il loro sviluppo in Cina (e successivamente in Giappone e Corea) si è poi distinto in due rami caratteristici ed in due distinte scuole, che hanno preso i rispettivi nomi. In relazione alla pratica del 'tso-ch'an', questi due metodi rappresentano i due differenti approcci al Ch'an.
IL CH'AN DELL'ILLUMINAZIONE SILENZIOSA-
Il termine "Illuminazione Silenziosa" ('Mo-chao') è associato con la Dinastia Sung del maestro Hung-chih Cheng-chueh (1091-1157). Tuttavia, questa importante pratica può essere fatta risalire come minimo a Bodhidharma stesso. Nel suo trattato "I Due Ingressi e le Quattro Pratiche", quest'ultimo così definisce l'entrata principale nel Ch'an: "Lasciarsi dietro tutto ciò che è falso, fare ritorno al vero; non fare discriminazioni tra sé e l'altro. Nella contemplazione, la propria mente dovrebbe essere stabile e immobile come un muro…". Nel già citato "Credere nella Mente", Seng-tsan dice: "Il princìpio non è precipitoso né troppo lento – un solo pensiero per diecimila anni!". 'Un solo pensiero' si riferisce alla mente che è completamente chiara e libera dall'attaccamento. 'Diecimila anni' è semplicemente un lungo periodo di tempo, senza interruzioni. Passaggi simili a questo di Seng-tsan appaiono assai spesso nella letteratura Ch'an, soprattutto nelle successive descrizioni della 'Illuminazione Silenziosa'.
Il maestro Shih-shuang Ch'ing-chou (805-888) visse per circa 20 anni sulla montagna chiamata, appunto, Shih-shuang, che significa "Roccia ghiacciata". I suoi discepoli stavano continuamente in meditazione seduta (tso-ch'an), perfino addormentandosi in questa posizione con la schiena diritta. Nella loro immobilità, essi sembravano così simili a dei morti tronchi d'albero che la loro comunità fu chiamata "Il Sangha dei legni secchi". Shih-shuang lasciò due famosi consigli; il primo era: "Per sedere in Ch'an, dovete fissare la vostra mente su un solo pensiero per diecimila anni". L'altro era: "Lasciatevi essere come ceneri spente, oppure come legna secca e senza vita!".
Hung-chih, il fondatore della 'Illuminazione Silenziosa' del Ch'an, per un certo tempo aveva studiato sotto il maestro ch'an K'u-mu. Costui era chiamato 'K'u-mu' e cioè "legna-secca", proprio perché quando sedeva, il suo corpo somigliava ad un pezzo di legna secca. Con Hung-chih, questa pratica si evolse nella pratica da lui chiamata della 'Illuminazione Silenziosa' che così descrisse: "Il vostro corpo deve sedersi silenziosamente; la vostra mente se ne stia quieta ed immobile. Questo è il genuino sforzo della pratica. Corpo e mente siano in completo e totale riposo. La bocca se ne stia immobile così che intorno le cresca il muschio e l'erba spunti sulla lingua. Fate tutto ciò senza mai smettere, facendo depositare la mente finché sia purificata e pulita e riacquisti la chiarezza di un laghetto autunnale quando la luce della luna illumina il cielo serale".
In un altro punto, Hung-chih disse, "Nella seduta silenziosa, qualunque realtà possa apparirvi, la mente sia chiarissima a tutti i dettagli benché ogni cosa resti laddove originariamente si trovi, nel suo proprio posto. La mente se ne stia immobile su quest'unico pensiero per diecimila anni e, allo stesso tempo, non dimori in nessuna forma, né all'interno e né all'esterno". Che cosa può esservi di diverso nella Illuminazione Silenziosa rispetto a ciò che Hui-neng invece criticò, nella frase "osservare la mente e contemplare la purezza"? Ciò a cui Hui-neng si riferisce è un metodo di samadhi privo di saggezza-Prajna. O, meglio ancora, ad un tipo di samadhi che sia non un metodo, ma una conseguenza, una mèta personale della pratica. In questo tipo di samadhi non vi è spazio né tempo e nessun senso dell'ambiente circostante. Al contrario, l'Illuminazione Silenziosa differisce dalla pratica del samadhi in quanto mentre si mantiene la mente ferma (aspetto silenzioso), essa rende più chiare le condizioni interne, quanto quelle esterne (aspetto di illuminazione). Il samadhi classico può essere silenzioso ma non è illuminante. Nella Illuminazione Silenziosa la mente non dimora, cioè non si appoggia su nessun elemento. Non c'è nulla, neppure lo stesso samadhi, su cui la mente debba appoggiarsi. Nel profondo livello della Illuminazione Silenziosa, la mente non viene disturbata né influenzata dall'ambiente circostante. Non essendo fissata nel samadhi, la mente è in un luminoso stato di illuminazione. Ecco perché il meditante opera continuamente per mantenere la pratica nelal Illuminazione Silenziosa.
Per comprendere l'Illuminazione Silenziosa del Ch'an, è importante capire che anche quando non vi sono pensieri, la mente è sempre assai chiara, totalmente consapevole. Devono essere presenti sia il silenzio ('Mo') che l'illuminazione ('chao'). Secondo Hung-chih, quando nella nostra mente non sta succedendo niente, bisogna essere consapevoli che niente sta succedendo. Se non si è consapevoli, questo è proprio il difetto chiamato "malattia ch'an" e non lo stato del Ch'an. Per cui, in questo stato genuino, la mente è sempre trasparente. In un certo senso, non sarebbe esatto dire che si è consapevoli che non è presente nulla nella mente, in quanto lì vi è una mente che è trasparente. Però è esatto nel senso che nulla può diventare una ostruzione o un attaccamento perché, a questo stadio, la mente è senza-forma o senza alcuna rappresentazione. E' presente l'energia, ma la sua funzione è quella di riempire la mente di luminosità, come il sole che splende in ogni dove. Perciò, l'Illuminazione Silenziosa è il vero 'tso-ch'an', in cui non vi è nulla che si muove, eppure la mente è luminosa ed illuminata.
IL CH'AN DEL KUNG-AN E DEL HUA-T'OU-
Un kung-an (giapp. Koan) è un resoconto di un avvenimento occorso tra un maestro ed uno o più discepoli, che riguarda un'esperienza o una comprensione della mente illuminata. Il caso o episodio, di solito, ma non sempre, è riportato sotto forma di dialogo. Quando l'evento viene registrato e ricordato, esso diventa un "caso pubblico", che è il significato letterale del termine 'kung-an'. Spesso, ciò che rende l'evento meritevole di essere ricordato è che, come risultato dell'interscambio, un discepolo ha ottenuto un risveglio, vale a dire una esperienza di illuminazione.
Il maestro Chao-chou (778-897) fu interrogato da un monaco che gli chiese: "Un cane possiede la natura-di-Buddha?". Il maestro replicò: "Wu!", che significa "No! Nulla!". Tra tutti i kung-an, questo è probabilmente il più famoso, di certo uno dei più fondamentali. Ora ecco un altro kung-an che riguarda sempre Chao-chou. Il Maestro aveva un discepolo che, un giorno, incontrò una vecchia per strada. Egli le chiese: "Come posso arrivare al Monte T'ai?", e lei disse: "Vai ancora avanti!". Non appena il monaco si rimise in cammino udì la vecchia signora commentare: "Oh, ma guarda, ci va davvero!". Più tardi, il discepolo raccontò questo fatto a Chao-chou, il quale disse: "Penso che dovrò andar là di persona per rendermene conto". Quando poi egli incontrò a sua volta la donna, chao-chou le fece la stessa domanda ed ella rispose allo stesso modo, "Vai ancora avanti!". Non appene ebbe ripreso il cammino, udì anch'egli la vecchia dire ancora: "Oh, egli ci va davvero!". Allora, dopo aver fatto ritorno, Chao-chou disse all'assemblea, "Non mi sono lasciato ingannare da quella vecchia". Cos'è che aveva scoperto Chao-chou riguardo a quell'anziana donna? Qual è il significato di questo prolisso ed oscuro kung-an?
Durante il periodo della Dinastia Sung (960-1279), i maestri Ch'an cominciarono ad usare i kung-an riportati come soggetto di meditazione per i loro discepoli. Al praticante veniva richiesto di investigare sul significato dello storico kung-an. Nel suo tentativo di penetrare il significato del kung-an, lo studente è costretto ad abbandonare la sua conoscenza personale, le esperienze ed i ragionamenti precedenti, dato che la risposta non può arrivargli tramite questi mezzi. Egli deve trovare la risposta "ts,an kung-an", vale a dire "investigando il kung-an". Ciò richiede di spazzar via dalla sua coscienza tutto quanto fuorché il kung-an e, alla fine, egli è obbligato a generare la "sensazione di dubbio", che è un forte senso di meraviglia e stupore, ed un intenso desiderio di capire il significato del kung-an.
Strettamente correlato, anche se non identico, al kung-an è lo 'hua-t'ou'. Letteralmente, hua-t'ou significa "valore principale della parola", oppure "capo della parola". Ed è una precisa domanda che il meditante fa a se stesso. Quelli da sempre più comunemente usati e trasmessi sono: "Che cos'è Wu?", oppure "Chi sono io?". Nella pratica del 'hua-t'ou', il meditante dedica la sua totale attenzione al ripetuto, incessante rivolgere a se stesso la domanda. I metodi del kung-an e del hua-t'ou sono alquanto simili, nel senso che il meditante cerca di risvegliare la sensazione del 'grande dubbio' allo scopo di mandarlo finalmente in frantumi e risvegliarsi così all'illuminazione.
Il maestro ch'an Ta-hui Tsung-kao (1089-1163) fu uno dei più grandi sostenitori della pratica del hua-t'ou. Dalla documentazione dei suoi detti si sa che egli affermò che il 'tso-ch'an' è molto necessario per stabilizzare la mente vagante portandola al samadhi. E solo dopo, lo studente potrà utilizzare efficacemente sia il kung-an che lo hua-t'ou. Anche se la pratica del kung-an e del hua-t'ou può essere eseguita durante le svariate attività, come quando si cammina, si sta in piedi o sdraiati, la sua base fondamentale resta sempre la meditazione seduta, vale a dire il tso-ch'an. Se, tramite il tso-ch'an, la mente di un praticante diventa più pacifica e stabile, l'applicazione del kung-an e del hua-t'ou potrà causare l'emergere del grande dubbio. Questo 'grande dubbio' non è l'ordinario dubbio che fa scaturire domande su una asserzione mal compresa. Esso è il dubbio che sorge dal "ts'an-ch'an", cioè dalla ripetuta investigazione del Ch'an. La soluzione del kung-an o del hua-t'ou è imperniata sul nutrimento del grande dubbio. Poiché la natura della domanda non può essere risolta con la logica, il praticante è costretto a ripetersi continuamente la domanda, iniziando il processo del rendere trasparente la sua mente e rimuovendo tutto fuorché il grande dubbio.
Alla fine, questa "massa-di-dubbio" accumulata, cresce a dismisura ed aumenta sempre di più; essa potrà svanire soltanto in uno di questi due modi. A causa di una caduta della concentrazione e dell'energia, il meditante non sarà più in grado di sostenere il dubbio e, quindi, esso si dissiperà. Oppure, il meditante può continuare ad insistere fino a che il suo dubbio diventerà come "un blocco di metallo fuso inceppato nella propria gola". In questo caso, la massa-di-dubbio, alla fine, esploderà con un gran botto e poi svanirà. Se l'esplosione avrà abbastanza energia, allora sarà possibile per lo studente sperimentare la pace luminosa della mente Ch'an, vedere la propria natura-di-Buddha e, perciò, diventare illuminato. In caso contrario, potrà ancora esservi probabilmente un po’ di attaccamento nella mente. Infine, è importante che un maestro certifichi quell'esperienza, perché lo studente, salvo rare eccezioni, non è in grado di farlo da solo. Perfino un grande maestro come Ta-hui non potè sufficientemente penetrare all'interno della sua prima esperienza. Il suo maestro Yuan-whu (1063-1135) gli disse: "Sei morto, ma non sei ancora ritornato alla vita!". Poi, però, venne certificato alla sua seconda esperienza. Perciò, qual è la vera esperienza? Occorre un maestro adepto che ce lo confermi. Se questi non è un maestro genuino, non potrà sapere la differenza tra una vera ed una falsa illuminazione.
Anche se il Ch'an parla di "nessun affidamento su parole e linguaggio", i concetti-guida ed i giusti punti di vista sono ancora molto importanti nel corso della vostra pratica. Anche se non dovreste essere attaccati alle parole ed al linguaggio, avete ancora bisogno di essi per ricevre il messaggio del Dharma del Buddha. Questa idea di aver ancora necessità degli insegnamenti, è chiamata nel Ch'an "attingere dai maestri per risvegliarsi al princìpio". Se Hui-neng non avesse mai udito il verso del "Sutra del Diamante" (…'far nascere una mente che non dimora in nessun luogo'), non avrebbe potuto sperimentare il suo risveglio iniziale. Se avesse snobbato quelle parole che egli udì, non avrebbe ottenuto l'illuminazione in quella sua vita. Il Ch'an ritiene che gli insegnamenti siano "il dito che indica la luna". Se non ci fosse il dito, pochissimi saprebbero dov'è la luna; tuttavia, se tutti rimanessero soltanto fissati sul dito e non vedessero dove esso è puntato, allora il dito sarebbe inutile. Però, se le persone alla fine potessero arrivare a vedere realmente la luna, allora il dito non sarebbe più necessario.
E' per il fatto che la gente non sa calmare la propria mente, che la pratica del 'tso-ch'an' è necessaria. Eppure, anche se si impegnano nella pratica, le persone possono ancora essere incapaci di mantenere la stabilità e la concentrazione. Perciò, la continuata pratica del tso-ch'an è quantomeno indispensabile per queste persone. Potremmo infine dire che anche se la mente Ch'an non è necessariamente il risultato della pratica meditativa seduta, il potere generato dal samadhi sarà un'ottima base per l'illuminazione. Comunque, se la vostra pratica è alquanto rada, frammentata e priva di corrette visioni-guida, è abbastanza certo che voi non potrete mai riuscire ad entrare nella porta del Ch'an.
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( Discorso tenuto l'8 Maggio 1994, a New York e pubblicato sul n.124 della Rivista CH'AN NEWS LETTERS- Agosto 1997)
Andiamo ora a considerare la sezione del Surangama Sutra nota come "I Venticinque Tipi della Totale (o Perfetta) Compenetrazione". Cosa vuol dire "Totale Compenetrazione"? Essa è la porta, o entrata, attraverso la quale possiamo scoprire la nostra Natura-di-Buddha. Questa Natura-di-Buddha, talvolta è chiamata la nostra "vera Autonatura" o natura intrinseca, o volto originario, o Talità Reale, insomma lo stato effettivo della Realtà delle cose. È ciò a cui il Buddha si risvegliò, quando realizzò la sua Illuminazione.
Nel Surangama Sutra, venticinque perfette compenetrazioni furono descritte dai Bodhisattva che ne fecero l'esperienza. Queste compenetrazioni sono l'esemplificazione dei modi in cui noi possiamo scoprire la nostra Natura-di-Buddha. Dunque, cosa e quali sono queste venticinque porte? Esse costituiscono l'ambiente in cui funziona la mente, divise secondo la tradizionale interpretazione Buddhista della struttura di tale ambiente.
Le prime dodici, delle venticinque porte, o entrate verso la Natura-di-Buddha, consistono dei sei organi di senso (occhio, orecchio, naso, lingua, corpo e mente individuale) e dei sei oggetti di tali sensi (cose viste, suoni, odori, gusti, cose tangibili e gli oggetti mentali, come i pensieri, emozioni, memorie e simili). I sei oggetti dei sensi includono effettivamente tutti i fenomeni.
Che cos'è che ci permette di distinguere o discriminare tra tutti questi oggetti esterni? È il contatto che avviene tra gli organi sensoriali ed i relativi oggetti. Questo contatto dà origine alle coscienze sensoriali, che sono le successive sei delle venticinque porte. Le sei coscienze sensoriali sono le coscienze di vista, udito, odorato, gusto, tatto e attività mentale. Per dare un esempio concreto, quando io uso la mia mano, attivo l'organo di senso del corpo per toccare una tazza, che è l'oggetto del senso del tatto. Quando la mia mano tocca una tazza, o qualunque altra cosa, ciò causa una consapevolezza che è chiamata coscienza tattile del corpo.
In più, vi sono i sette elementi con cui gli antichi Cinesi ritenevano fossero composti tutti i fenomeni: terra, fuoco, acqua, vento, spazio, percezione soggettiva e coscienza. Tutti questi fattori uniti insieme assommano a venticinque e ciascuno di essi può essere totalmente compenetrato per rivelare la propria Natura-di-Buddha. Così, sommandoli abbiamo: 6 organi di senso + 6 oggetti dei sensi + 6 coscienze sensoriali + 7 elementi = 25 Porte, o Entrate.
Sempre nel Surangama Sutra, i Bodhisattva sono catalogati secondo il loro modo di aver realizzato la propria Illuminazione. Per esempio, se l'Illuminazione è stata raggiunta dal fatto che l'organo sensoriale del corpo è entrato in contatto con un qualcosa, quel Bodhisattva ha sperimentato la Totale Compenetrazione dell'Organo di senso del Corpo. Se l'esperienza riguarda ciò che il corpo ha toccato, per esempio qualcosa di duro o caldo, allora l'Illuminazione fu raggiunta per mezzo della Totale Compenetrazione dell'Oggetto del senso del Tatto. Se ciò che ha prodotto l'Illuminazione è stata la consapevolezza del contatto del corpo con qualcosa, questa allora è la Totale Compenetrazione della Coscienza sensoriale del Tatto.
Qui abbiamo un resoconto di una esperienza di Illuminazione, dunque esaminiamola. Il contemporaneo maestro Cinese Hsu-Yun stava praticando nella sala del Ch'an, durante una fredda giornata invernale. Spesso, in quelle occasioni veniva offerta ai praticanti una tazza di tè bollente. Un giorno, il maestro Hsu-yun aveva appena sollevato la sua tazza per farsi dare il tè, ma il tè era così bollente che la tazza lo scottò ed egli la lasciò cadere. Al suono della tazza che si frantumava, Hsu-yun raggiunse l'Illuminazione. Quale tipo di Totale Compenetrazione fu quella? Coinvolse l'organo sensoriale del tatto o dell'udito? O derivò dall'oggetto dell'udito o del tatto? Oppure fu la Coscienza di questi due sensi? Per conoscere la risposta, dovremmo poterlo chiedere a Hsu-yun stesso; avremmo bisogno di sapere esattamente in quale istante di tutto il passaggio, si illuminò, e soltanto lui potrebbe dircelo.
Una volta che entrate da una porta, non avrete più bisogno di penetrare altre entrate. Una volta dentro, è come se aveste attraversato tutte le porte. Però, il punto di entrata è differente da persona a persona. Qui al Centro abbiamo due porte, una sul davanti e l'altra sul retro ma, in definitiva, voi non avreste bisogno realmente di attraversare una porta per entrare nel Centro. Potreste scavalcare il muro o passare attraverso una finestra. Una volta all'interno, non ha importanza come siete entrati, però adesso possiamo parlare ancora del Sentiero che vi sta a cuore.
Qui al Centro, le due porte sono le normali entrate. Tuttavia, se scavalcate il muro o penetrate da una finestra, non vi è alcuna differenza nel fatto che comunque siete dentro. Ovviamente, la maggior parte delle persone non scavalca i muri. Le Venticinque Totali Compenetrazioni descritte nel Surangama Sutra, sono le normali vie per scoprire la nostra Natura-di-Buddha e sono paragonabili alle due porte del nostro Centro Ch'an. In ogni caso, anche per quanto riguarda il sentiero, non è certo impossibile che vi siano modi supplementari per arrivare a scoprire la nostra Natura-di-Buddha.
Torniamo al Sutra e parliamo della Totale Compenetrazione del Bodhisattva Samantabhadra, per mezzo della Coscienza dell'Udito:
"Il Bodhisattva Samantabhadra si alzò dunque dal suo seggio, si prostrò fino a toccare con la sua testa i piedi del Buddha, e dichiarò- Io ero già un figlio del Re del Dharma, quando precedentemente stavo con i Tathagata innumerevoli come i granelli di sabbia del Gange. Tutti i Buddha delle dieci direzioni, che danno insegnamenti ai loro discepoli per piantare i semi dello Stato di Buddha, li stimolano a praticare le azioni di Samantabhadra, così chiamate dal mio stesso nome.- O Sommo Venerato dal mondo, io uso sempre la mia mente per ascoltare e distinguere la varietà dei punti di vista tenuti dagli esseri umani. Se in un qualche luogo, separato da questo da una enormità di mondi, tanto innumerevoli quanti sono i granelli di sabbia del Gange, un essere vivente praticherà le azioni di Samantabhadra, io immediatamente salirò su un elefante a sei zanne e riprodurrò me stesso in centinaia di migliaia di apparizioni, per poter andare in suo aiuto. Anche se costui non fosse in grado di vedermi, a causa delle sue immense ostruzioni karmiche, io segretamente stenderò le mie mani sul suo capo per proteggerlo e confortarlo, cosicché egli possa avere successo. Poiché ora il Buddha domanda quali siano i migliori strumenti di perfezione, secondo la mia personale esperienza, il migliore consiste nel saper udire con la mente, in modo che si giunga al discernimento non-discriminativo-" (pag.127).
Il traduttore ha condensato il contenuto di questo passaggio, al momento di tradurlo. Come risultato, esso è privo di quella ricchezza di significati della versione Cinese, per cui cercheremo di procedere basandoci su quest'ultima versione.
"Samantabhadra" può essere tradotto con "Virtù Universale". "Universale" sta a indicare parecchie cose. Primo, esso significa universale in termini di spazio. Cioè, la virtù di Samantabhadra può esistere e manifestarsi ovunque. Dovunque i metodi di Samantabhadra siano praticati, il Bodhisattva si trova lì, insieme col praticante. Inoltre, la virtù di Samantabhadra è universale per il fatto che il suo metodo è praticabile da chiunque in qualsiasi luogo.
Ancora, Samantabhadra è "Virtù Universale" perché il suo metodo è benefico per qualsiasi essere senziente, indifferentemente dal suo livello di pratica, dalle sue virtù o dalle sue radici karmiche. Praticanti molto esperti, in possesso di profonda saggezza e grandi meriti, oppure principianti che muovono i primi passi sul Sentiero del Bodhisattva, tutti possono venir beneficiati usando questo metodo. E qual è questo metodo? È il metodo dei dieci grandi Voti di Samantabhadra, così descritti nell'Avatamsaka Sutra:
"Venerare e rispettare tutti i Buddha.
" Lodare ed elogiare i Tathagata.
"Praticare la Perfezione delle offerte.
"Rammaricarsi di tutte le ostruzioni Karmiche.
"Essere felici per i meriti degli altri.
"Chiedere che la Ruota del Dharma venga sempre girata.
"Augurarsi che i Buddha continuino a dimorare nel mondo.
"Seguire costantemente gli insegnamenti dei Buddha.
"Essere sempre in armonia con tutti gli esseri senzienti.
"Trasferire tutti i propri meriti sugli altri."
"Virtù" ha il significato che chiunque, in qualsiasi tempo e spazio, venga in contatto col metodo di Samantabhadra, ne sarà beneficiato. Ciò si verifica allo stesso modo di quando si entra in contatto con persone virtuose o con buon cibo nutriente. La cosa si rivela sempre benefica, perciò, anche in questo senso, Samantabhadra rappresenta una Virtù Universale.
Samantabhadra dice: -Io ero già un figlio del Re del Dharma". Nell'Avatamsaka Sutra erano due i grandi Bodhisattva chiamati figli del Re del Dharma: Manjushri e Samantabhadra. In ogni caso, Manjushri è noto anche come "La Madre dei Buddha dei tre tempi" (passato, presente e futuro), mentre Samantabhadra è chiamato il figlio più anziano del Buddha. In che senso, Manjushri è "la Madre" dei Buddha? Perché egli è antecedente ai Buddha, in quanto rappresenta la Saggezza, e la Saggezza è la base di tutti i Buddha. Senza saggezza non si può diventare un Buddha.
Samantabhadra è chiamato il figlio più anziano del Buddha (il Re del Dharma) perché rappresenta l'attività virtuosa (il Metodo) dei Bodhisattva, così com'è espressa nei dieci grandi Voti. Il numero dieci è usato per rappresentare la Perfezione. I dieci grandi Voti comprendono tutte le attività virtuose di tutti i Bodhisattva, all'interno delle loro categorie generali. Chiunque pratichi i Voti di Samantabhadra è, a sua volta, il maggiore dei figli del Re del Dharma e, potenzialmente, dovrebbe essere in grado di diventare presto un Buddha. Tuttavia, Samantabhadra resterà sempre il figlio maggiore del Buddha, come un principe che dovrà restare sempre principe. Chi è che vuole essere in eterno un principe e non aspirare mai ad avere un trono per sé?. Nel Sutra, Samantabhadra dice: - Io ero già un figlio del Re del Dharma, quando precedentemente stavo con i Tathagata…". Se ci pensate un po’, questo significa che Samantabhadra è sempre il figlio più anziano di tanti Buddha, numerosi come i granelli di sabbia del Gange. Quindi, innumerevoli esseri senzienti hanno ottenuto la Buddhità e tuttavia Samantabhadra rimane il Principe del Re del Dharma e non è diventato, a sua volta, un Buddha. Cosa ne pensate?
Il Bodhisattva Samantabhadra rappresenta due cose. Primo, le attività di un Bodhisattva. Secondo, egli rappresenta ciò che otterrà chiunque pratichi come lui. Chiunque pratichi i suoi Voti, diventa il Bodhisattva Samantabhadra. Possono esistere migliaia, centinaia di migliaia, perfino milioni di Bodhisattva Samantabhadra. Ognuno di essi è lo stesso, identico Bodhisattva Samantabhadra; tutti sono la stessa persona. I Cinesi dicono che chiunque dona il latte è una madre. Nel medesimo senso, chiunque ha la virtù e le capacità del Bodhisattva Samantabhadra, <è> il Bodhisattva Samantabhadra.
Quando ero a Vancouver, in Canada, incontrai due fratelli gemelli uguali. Anche le loro voci e le espressioni mimiche erano identiche. Entrambi erano bravissimi fotografi e spesso io li confondevo. Dicevo ad uno: -Ieri hai fatto questo per me – e lui mi rispondeva, -No, ieri non ero qui. C'era mio fratello-". Questo fatto successe un sacco di volte. Alla fine io dissi loro, - La mia incapacità di cogliere la differenza tra di voi può essere capita e perdonata, ma i vostri figli, come si comportano? Possono essi scorgere la diversità?- Essi mi dissero che anche i loro figli scambiavano spesso un fratello per l'altro, almeno finché non ebbero raggiunto i dieci anni. Io continuai: - E le vostre mogli? -. Essi dissero che le loro mogli sapevano distinguerli.
Questi due fratelli erano pressoché identici, ma non così identici come Samantabhadra e qualsiasi persona che pratichi al suo stesso livello. Quando la pratica di un individuo è allo stesso livello di Samantabhadra, egli <è> il Bodhisattva Samantabhadra.
Il testo prosegue: "Tutti i Buddha delle dieci direzioni che insegnano ai loro discepoli a piantare i semi del Bodhisattva, li stimolano a praticare le azioni di Samantabhadra, così chiamate dal mio nome": Tutti noi, che siamo sul Sentiero del Bodhisattva, dovremmo praticare i Voti di Samantabhadra. La pratica di questi Voti è il Sentiero Perfetto e Completo del Bodhisattva. Possiamo cominciare col praticarlo ad un livello elementare, praticandolo in modo parziale finché saremo in grado di arrivare al punto di poterlo praticare completamente. Alcuni metodi di pratica possono essere appropriati solo per un particolare stadio, o per una parte del Sentiero Bodhisattvico, ma la pratica di Samantabhadra incorpora le attività virtuose di tutti i Bodhisattva.
Ed ora torniamo all'argomento del discorso. Cos'è la Totale Compenetrazione della Coscienza Uditiva? Non è il semplice udire con l'organo di senso dell'orecchio, bensì è piuttosto un "udire con la mente" e questo non viene fatto con una mente discriminante, ma con la mente "pura". Con una mente pura, il Bodhisattva ascolta e intende i pensieri di tutti gli esseri senzienti, cosicché egli può capirli e capire il loro grado di comprensione, i loro orientamenti, e così via. Dice ancora Samantabhadra: - O Venerato dal mondo, io uso sempre la mia mente per ascoltare e distinguere la varietà dei punti di vista sostenuti dagli esseri umani". Samantabhadra ascolta così bene che può intendere i pensieri degli esseri senzienti, anche enormemente lontani e separati da lui, in mondi così numerosi come i granelli del Fiume Gange. Egli dichiara che, anche in luoghi così remoti e lontani, se un singolo essere vivente pratica le azioni di Samantabhadra, egli salirà immediatamente in groppa ad un elefante a sei zanne e riprodurrà se stesso in centinaia e migliaia di apparenze per venir in aiuto di quell'essere. Se un essere senziente genera i Voti di Samantabhadra ed ha l'intenzione di praticare il Sentiero del Bodhisattva, egli si manifesterà in migliaia di emanazioni e ciascuna di esse andrà ad aiutare, a cavallo di un elefante a sei zanne, quest'essere che ha fatto questi Voti.
Che cosa rappresenta l'elefante a sei zanne? Esso è menzionato anche nel Sutra del Loto, nel capitolo sulla Contemplazione del Bodhisattva Samantabhadra, in cui si dichiara che ovunque vi siano esseri senzienti che prendono i suoi Voti, Samantabhadra stesso si recherà ad aiutarli, a cavallo di un bianco elefante con sei zanne. Nel Surangama Sutra non è specificato se l'elefante è bianco, però il bianco rappresenta la purezza delle attività del Bodhisattva. E perché l'elefante che Samantabhadra cavalca, ha sei zanne? Le sei zanne rappresentano le sei Paramita (Perfezioni) del Buddhismo, cioè: il donare, il seguire i precetti, praticare la pazienza, essere diligenti, coltivare la concentrazione e far generare la saggezza. Ho già detto dianzi che i Voti di Samantabhadra includono e rappresentano tutte le attività dei Bodhisattva. Le sei zanne dell'elefante rappresentano le Sei Paramita e quindi, anche tutte le migliaia di attività dei Bodhisattva. Queste zanne sono sia funzionali che ornamentali. Le Sei Paramita sono usate per aiutare gli esseri senzienti e sono anche un ornamento del Bodhisattva Samantabhadra.
Samantabhadra dice ancora, di una persona che prenda i suoi voti, - Anche se egli non fosse in grado di potermi vedere, a causa delle sue enormi ostruzioni karmiche, io stenderò segretamente le mie mani sul suo capo, per proteggerlo e confortarlo, così che egli possa avere successo -. Se il praticante non ha troppe ostruzioni karmiche, potrà essere in grado di vedere di fronte a sé il Bodhisattva Samantabhadra, a cavallo dell'elefante a sei zanne.
La descrizione di Samantabhadra della sua Totale Compenetrazione è diversa dalle descrizioni degli altri ventiquattro Bodhisattva, di cui si parla in questa sezione del Surangama Sutra. Gli altri Bodhisattva, discepoli del Buddha, spiegano la loro Illuminazione, mentre Samantabhadra spiega come egli intende aiutare gli altri, dicendo di voler aiutare chiunque aspiri a praticare i suoi voti. Alla fine, egli racconta anche un po’ della sua pratica, ma d'altra parte, non spiega esattamente come ha realizzato l'Illuminazione. Egli dice: "Poiché ora il Buddha fa domande sui migliori metodi di Perfezione, secondo la mia personale esperienza, il migliore consiste nell'udire con la mente, il che porta al discernimento non-discriminativo". Egli ci conferma, quindi, di aver realizzato l'Illuminazione tramite l'udire con la coscienza mentale. Allora, in che modo egli udì con la mente? E perché la Totale Compenetrazione della Coscienza Uditiva portò Samantabhadra a compiere i dieci grandi Voti? Questo non è spiegato. Ma, non appena Samantabhadra ebbe sperimentato la Totale Compenetrazione della Coscienza Uditiva, egli non ebbe più ostruzioni alla sua saggezza e raggiunse l'ottenimento più elevato.
Quanto è pertinente la Totale Compenetrazione della Coscienza Uditiva di Samantabhadra? Che tipo di bene può fare a noi, che non la possediamo? Come possiamo noi fare uso di essa?
DOMANDA DALL'UDITORIO: -Hai detto che i Voti di Samantabhadra sono appropriati per i praticanti di tutti i livelli. Come possiamo usarli noi se siamo ancora al livello di principianti?
SHENG-YEN: -Si, questo è un punto molto importante. Possiamo usare i Voti di Samantabhadra per proseguire nel Sentiero del Bodhisattva, grazie alle attività di Samantabhadra, che comprendono tutte le attività dei Bodhisattva, dalle più elementari alle più avanzate. E, dunque, cosa significa il livello elementare dell'attività Bodhisattvica? La cosa importante da capire è in che modo dovremmo ascoltare. Non solamente con le orecchie, ma per mezzo della nostra mente, dobbiamo ascoltare la mente degli altri. Non siate limitati da ciò che udite, dalle parole che vengono scelte, ma cercate di comprendere la mente della persona che vi sta parlando. Affidatevi alla coscienza del "sentire profondo". Certo non è facile, ma è estremamente importante e ci vuole la pratica.
Ho conosciuto, una volta, una madre che dovette star via da casa per qualche mese. Quando poi vi fece ritorno, la sua bambina cominciò a piangere. La piccola sbatteva, scalciava e strillava verso la mamma, dicendo: -Non voglio che tu sei ritornata! – Ma erano veramente questi i sentimenti della bambina? Sono sicuro che in realtà volesse proprio dire l'opposto di ciò che urlava.
Non fermatevi ad ascoltare soltanto le parole. Cercate di ascoltare sempre il cuore e la mente delle persone che vi circondano!
IL RISVEGLIO TRAMITE IL SENSO DELLA COSCIENZA
(Tratto da "CH'AN News Letter" n. 121 del Febbraio 1997)
**** Conferenza tenuta dal M. Sheng-Yen il 12/12/1993 al Centro Zen di New York)
Nella sottostante Sezione del "SURANGAMASUTRA", sei Arahat discepoli del Buddha, descrivono il raggiungimento della "Perfezione", da essi ottenuto per mezzo degli organi sensoriali. In precedenza avevamo già esaminato le sezioni riguardanti l'occhio, l'orecchio, il naso, la lingua ed il corpo. Ora siamo arrivati alla sezione sull'ultimo degli organi sensoriali, cioè la mente, o coscienza mentale.
"…Quindi Subhuti si alzò dal suo seggio, si prostrò fino a toccare con la testa i piedi del Buddha e così dichiarò: - Poiché la mia coscienza (l'organo sensoriale della coscienza mentale) era già libera da ogni impedimento, fin dai precedenti eoni, infatti ora io posso ricordare le mie passate reincarnazioni tanto numerose quanto i granelli di sabbia del Gange. Perfino quando ero ancora un feto nell'utero di mia madre, mi ero già risvegliato alla condizione di vacuità immobile, che si espanse successivamente fino a riempire le dieci direzioni e che mi rese idoneo ad insegnare agli esseri viventi il metodo di risvegliarsi alla loro natura assoluta. Grazie al Tathagata, io realizzai il vuoto assoluto della consapevolezza auto-innata e, con la perfezione della mia natura non-materiale, raggiunsi lo stato di Arahat, entrando quindi immediatamente nella Preziosa Radianza del Tathagata, immensa e sconfinata come lo spazio e l'oceano, in cui realizzai (parzialmente) la Saggezza-Buddha. Il Buddha stesso sigillò la mia realizzazione dello Stadio oltre l'apprendimento; perciò, io sono considerato il discepolo più importante, grazie alla mia comprensione della auto-natura non-materiale. Dato che ora il Buddha fa domande su quali siano i migliori mezzi per la Perfezione, il migliore di essi, secondo la mia personale esperienza, consiste nella percezione della irrealtà di tutti i fenomeni, compresa anche l'eliminazione di questa stessa irrealtà, in modo da ridurre tutte le cose alla vacuità…"
Ciascuno dei grandi Arahat discepoli del Buddha ebbe la sua propria speciale comprensione e Subhuti fu quello che ebbe la comprensione più profonda della vacuità. Egli disse, "Poiché la mia coscienza era già libera da ogni impedimento fin dai precedenti eoni…"-
Se il vostro organo sensoriale della coscienza è capace di penetrare nella vacuità, allora quando voi percepite l'ambiente esterno, potrete vedere che perfino esso è vacuità. E questa era la condizione di Subhuti, perciò egli era libero da impedimenti o afflizioni. Di contro, se voi potete vedere che l'ambiente esterno è vacuità, ma non riuscite a vedere la stessa cosa nell'interna natura della vostra coscienza, allora vuol dire che siete ancora in balìa delle afflizioni.
Tra tutti gli organi di senso, solamente il senso della coscienza non ha un contatto diretto con l'ambiente esterno. Tutti gli altri organi, occhio, orecchio, naso, lingua e corpo, rispondono alle sollecitazioni dell'ambiente circostante. In ogni modo, la coscienza che reagisce ai pensieri, è in contatto soltanto con i fenomeni interni, quali la memoria, le idee e le fantasie.
Che tipo di 'vacuità' è quella a cui Subhuti si era risvegliato? Essa non è una 'inesistenza' o una forma di 'nulla' e neppure una vacuità che neghi l'esistenza delle cose. Il Buddhismo non propone uno stato nichilistico in cui non si sperimentano le cose perché ritenute inesistenti. La vacuità di cui parla il Buddhismo è la simultaneità (concomitanza) di vacuità ed esistenza. Se nella mente avete un'immagine di una donna (o di un uomo) molto attraente e pensate che quella donna (o uomo) sia veramente di un bell'aspetto, come può la vostra mente essere considerata vuota? Se questa persona attraente è di fronte a voi e voi la percepite, però la vostra mente si limita a ciò, senza pensare: "Oh, questa persona è veramente bella!", o qualsiasi altra cosa, allora la vostra mente può essere considerata vuota. Se la vostra mente non viene mossa da questa o qualsiasi altra immagine, può essere considerata vuota. Però, se voi generate attrazione o repulsione (desiderio o rifiuto) allora la vostra mente si è messa in moto.
Se la vostra mente (l'organo sensoriale della coscienza) non viene messa in moto, momento dopo momento, dall'immagine (ossia dal pensiero che la percepisce), allora ciascun momento è un nuovo inizio e la mente non sta muovendosi. Se invece la mente genera il pensiero "mi piace", che pure è nuovo ma però è carico di attrazione, questo stesso fatto dimostra che la vostra mente si è mossa. Quando la vostra mente percepisce qualcosa, ma non viene messa in moto da ciò, allora questa è "vacuità".
Per esempio, se la vostra mente percepisce chiaramente l'immagine di una persona davanti a voi ma non si attacca ad essa, questa immagine (e la persona relativa) viene percepita come "vuota". Questa è la natura di vacuità di Subhuti, simultaneamente esistente ma vuota. In ogni caso, cercare di provocare tutto ciò artificialmente, cioè cercando decisionalmente di non far sorgere l'attrazione o la repulsione quando si percepisce qualcuno o qualcosa, è solamente uno sforzo escogitato e non la vera vacuità. Infatti, come potreste risolvere il problema della vostra mente che, percependo una persona piacevole, pensa, "Com'è bella!". Forse chiudendo gli occhi? Secondo voi, in questo modo, il problema sarebbe risolto? Allora, state percependo l'esistenza o la vacuità? Poiché voi mantenete ferma nella vostra mente l'immagine della persona però volete evitarla, voi non state percependo la vacuità, bensì proprio e solo l'esistenza! La vera vacuità non rinnega l'esistenza.
Subhuti era nato in una particolare famiglia e con lo scopo di portare questa famiglia alla Liberazione. Un attimo prima che egli venisse al mondo, tutti i beni familiari svanirono. Ogni cosa divenne vuota. Pensate voi che queste cose esistessero ancora? La sua famiglia ne fu scossa e amareggiata ma, nonappena Subhuti uscì fuori dall'utero di sua madre, ogni cosa miracolosamente riapparve. Questo episodio fu una raffigurazione simbolica di vacuità ed esistenza simultanea.
Il padre di Subhuti fu molto preoccupato per questo avvenimento e si rivolse ad una divinità onde ottenere una spiegazione. A quel tempo, le divinità erano abbastanza accessibili ai comuni mortali. Se le chiamavate, esse giungevano; proprio così! Il padre di Subhuti chiese alla divinità, "Come mai che un momento prima della nascita di mio figlio, ogni cosa nella casa era svanita, per riapparire subito dopo la sua nascita?". La divinità rispose, "La vacuità non è altro che l'esistenza e l'esistenza non è altro che la vacuità!". Essa disse anche che Subhuti aveva già realizzato la comprensione della vacuità, molti eoni addietro.
Come fu nato, Subhuti manifestò subito un po’ del potere della sua comprensione della vacuità, che egli aveva coltivato per diversi lunghi eoni. Infatti, sparirono soltanto i beni della sua casa, mentre il vero potere della vacuità si estende in tutte le direzioni (cioè in ogni dove). Si potrebbe dire che quando Subhuti nacque, tutto era già vuoto nelle dieci direzioni. Perché Subhuti manifestò il potere della vacuità? Per beneficiare gli esseri senzienti. Egli fece in modo che la sua famiglia avesse un assaggio di esperienza della vacuità Buddhista.
In seguito, Subhuti disse ancora, "Grazie al Tathagata, io realizzai l'assoluta vuotezza della consapevolezza auto-innata e, con la perfezione della mia natura immateriale, raggiunsi lo stato di Arahat, entrando quindi immediatamente nella Preziosa Radianza del Tathagata, immensa e sconfinata come lo spazio e l'oceano, in cui realizzai (parzialmente) la Saggezza-Buddha. Il Buddha stesso sigillò la mia realizzazione dello Stadio oltre l'apprendimento; per questo io sono considerato il discepolo più importante, grazie alla mia comprensione dell'immateriale auto-natura".
La trascrizione Cinese che è tradotta come "Io realizzai l'assoluta vuotezza della consapevolezza auto-innata" è composta da soli quattro caratteri: 'natura', 'consapevolezza o risveglio', 'reale' e 'vacuità'. Qui, 'Natura' (cioè 'innata') si riferisce alla natura della vacuità, cosicché l'intera frase significa, "Risveglio alla natura della reale vacuità". In sintesi, Subhuti sta descrivendo la sua esperienza. Egli si era risvegliato, ovvero aveva riconosciuto, la natura della reale vacuità.
Sheng-Yen:- "Ora vorrei farvi alcune domande. Per esempio, tu Robert, che indossi una giacca di lana, che cosa c'è all'interno della tasca?" - E Robert: "Nulla!" – Sheng-Yen, "Allora, è vuota?" – Robert, "Si, è vuota!" – S.Y., "Quando parliamo di reale vuotezza o vacuità, è la stessa cosa della vuotezza della tasca di Robert? Cioè il fatto che non vi è nulla all'interno?"
Una persona dell'uditorio: "No, non è la stessa cosa!"
Sheng-Yen, "Infatti, non è la stessa cosa, ma perché, no? … Percepire la reale vacuità, significa che davanti a tutti i vari fenomeni che voi sperimentate, voi riconoscete che la natura intrinseca di tutti i fenomeni è vuota! I fenomeni hanno, sì, una loro esistenza, ma voi vedete che la natura intrinseca di questi fenomeni è totalmente VUOTA. Ciò include anche i fenomeni mentali, come i pensieri e le sensazioni, allo stesso modo dei fenomeni fisici e materiali, come le automobili, le persone, il tempo, lo spazio e la luce. Non dovete negare l'esistenza dei fenomeni, dovete soltanto riconoscere il vero modo in cui essi esistono. Questo è ciò che si intende per "vera vacuità". Avete capito?
Se lo avete capito, allora voi avrete una comprensione intellettuale di "Natura, Risveglio, Reale e Vacuità". Però, una comprensione intellettuale non è la stessa cosa della padronanza esperienziale di "Natura, Risveglio, Reale e Vacuità". Non potete ancora avere una diretta esperienza personale di quella condizione. Può darsi, però, che ora io abbia creato un fraintendimento. Quando dico "Natura, Risveglio, Reale e Vacuità" non è che voi pensate forse che vi sia un "qualche cosa" come la "natura della vacuità"? oppure che vi sorga una domanda del tipo, "Perché noi non possiamo vedere questa 'natura di vacuità'? Forse perché siamo esseri ordinari? Magari, una volta che riusciremo a realizzare un certo livello, così che i nostri <occhi del Dharma> si aprano, tutti noi saremo in grado di vedere questa 'natura-di-vacuità'?". Ecco, questo sarebbe proprio un malinteso. Sarebbe come un cieco che, non avendo mai visto lo spazio vuoto, pensa, "Un giorno troverò un bravo dottore che mi curerà gli occhi, così potrò finalmente vedere quella cosa che chiamano lo spazio vuoto!". Noi, che non siamo ciechi, sappiamo bene che lo "spazio-vuoto" non è visibile, ma il cieco non lo può capire. Similmente, finché una persona rimane attaccata ad un qualcosa chiamato "natura-di-vacuità", il suo risveglio non sarà completo.
La frase successiva, tradotta, "…la Perfezione della mia natura immateriale…" letteralmente significa, in Cinese, "La natura di vacuità, completa e luminosa". Essa descrive l'assoluto risveglio. Ciò è possibile soltanto quando la persona è libera da qualunque attaccamento, anche dalla stessa 'natura-di-vacuità'.
Quando Subhuti ottenne lo stato di Arahat, egli entrò in ciò che è stato tradotto come, "…la Preziosa Radianza del Tathagata, immensa e sconfinata come lo spazio e l'oceano". Nella consueta trascrizione Cinese, si legge, "preziosa, radianza, vacuità, oceano". Permettetemi che io traduca ex-novo tutto questo. Preziosa Radianza si riferisce alla Saggezza del Buddha, mentre qui si indica "Preziosa Radianza" come il funzionamento, o l'attività, che sorgono da tale saggezza.
In precedenza, in questa sezione del 'SURANGAMASUTRA', "vacuità" era stata qualificata con il termine "natura", ed era riferita all'essenza della vacuità. Subhuti aveva parlato della "natura-di-vacuità", mentre ora, egli sta parlando di un differente aspetto della vacuità. Egli sta esprimendo il meraviglioso funzionamento della vacuità. La vacuità come "ciò che sorge dalla saggezza". "Oceano" significa qualcosa di sconfinato e totalmente senza limiti, e non soltanto un Oceano, come l'Atlantico o il Pacifico. Subhuti intendeva dire che la Saggezza del Buddha è completamente illimitata. Questa Saggezza sorge dalla comprensione della Vacuità e così, nel suo insieme, la frase significa: " La Preziosa Radianza che sorge dalla Vacuità e che è senza limiti…". Come si vede, egli si riferisce proprio all'illimitato funzionamento della Saggezza di Buddha.
Più avanti, Subhuti dice ancora, "…in cui io realizzai (parzialmente) la Saggezza-Buddha". Anche nel 'Sutra del Loto' vi sono frasi simili, tradotte in questo modo: '"aprirsi a …", oppure "entrare nella…" o "realizzare la Saggezza-Buddha". Un Arahat a questo livello ha realizzato lo stesso tipo di saggezza di quella di un Buddha. E' lo stesso tipo di saggezza, in quanto proviene dalla realizzazione della vacuità, da parte dell'Arahat. Ciò significa forse che un Arahat ha la stessa saggezza del Buddha? La saggezza del Buddha è saggezza di Liberazione e Compassione, in quanto la prima è per la salvezza personale del Buddha, mentre la seconda è per lo scopo di aiutare tutti gli altri esseri senzienti. Sebbene anche la saggezza dell'Arahat sia illimitata, egli può condividere soltanto una parte della saggezza di Liberazione e Compassione del Buddha. Nondimeno, anche se la saggezza dell'Arahat non è così vasta e profonda come quella del Buddha, essa ha le medesime caratteristiche.
Subhuti poi prosegue, "Il Buddha stesso sigillò la mia realizzazione dello Stadio oltre l'apprendimento…" Questa frase si riferisce ai Tre Insegnamenti Superiori (o Supremi): Moralità, Concentrazione e Saggezza. Nella Tradizione Theravada, lo Stadio oltre l'apprendimento è lo stato di Arahat. Vi sono quattro livelli di santità. Nei primi tre, i praticanti hanno ancora bisogno di studiare ed imparare, ma dallo stadio di Arahat, il praticante ha compiuto tutto ciò che andava fatto. Vi sono tre definizioni che normalmente vengono usate per descrivere quello stato, esse sono: 'Tutto ciò che doveva essere fatto è stato completato', 'Il processo di nascita e morte è stato trasceso', e 'Non vi è più necessità di dover rinascere'.
Ciò che Subhuti dice successivamente, viene tradotto con, "Io sono considerato il discepolo più importante, grazie alla mia comprensione della immateriale auto-natura". La lingua Cinese trasmette un significato che non è trasferito in maniera molto chiara nelle lingue occidentali: Abbiamo già parlato della realizzazione di Subhuti come Arahat, cioè della sua Liberazione, ma può darsi che alcuni di voi possano pensare che la liberazione debba essere una condizione da doversi raggiungere. Ma qui Subhuti puntualizza che la stessa natura della Liberazione è da considerarsi vuota. Da un lato, la liberazione giunge grazie all'essersi risvegliati alla vacuità. Dall'altro, la natura della liberazione <è> vacuità. A motivo di questa comprensione, il Buddha riconobbe Subhuti come il seguace più importante nella profonda comprensione della vacuità.
Avete capito? E voi, come state utilizzando l'ascolto di simili idee? Subhuti parlò della sua esperienza sulla natura-di-vacuità, e così via, ma che cosa può avere a che fare, tutto questo, con noi? Fino a che punto è possibile, per noi, utilizzare tutte queste nozioni? Qui dovrebbero esservi numerose persone intelligenti che possono rispondere a queste domande. Ma, se anche non foste così intelligenti e potreste correre il rischio di dare risposte insensate, niente paura, questo fatto sarebbe ancora una buona cosa. C'è tra di voi qualche insensato che si faccia avanti come volontario per rispondere?"
Una voce dall'Uditorio: " Beh, nell'ultimo ritiro che ho fatto, il mio metodo è stato il 'hua-t'ou' (domanda interrogativa) "Che cos'è WU?" (In Cinese, WU significa la vacuità, oltre ad altri significati, n.d.T.). Poi, verso la fine del ritiro, confidai a Shih-fu (in Cinese, 'guida spirituale', 'maestro', n.d.T.) che ero diventato perdutamente innamorato di miss "Wu". Shih-fu mi chiese cosa volesse significare essersi innamorati perdutamente di miss "Vacuità". Pertanto, questo discorso sulla vacuità, si dimostra assai utile, per la mia pratica".
-"Benissimo. Questa sezione del Surangamasutra pone un forte accento sulla vacuità, anzi su tutti i differenti aspetti della vacuità. Quando pratichiamo il Ch'an, noi abbiamo la motivazione e l'aspirazione di realizzare l'Illuminazione. Ma che cosa significa esattamente "Illuminazione"?. Illuminazione significa "Risveglio alla vera natura della vacuità". E allora, questa vacuità è esistente oppure è vuota, e quindi non-esistente? Ora, voi dovreste ben sapere che essa è simultaneamente vuota ed esistente. La natura del Nirvana e la natura della Liberazione, sono anch'esse la stessa identica cosa che la natura della Vacuità.
L'ultima frase del paragrafo che abbiamo letto dal Sutra è abbastanza difficile da chiarire. La traduzione riporta, "… Dato che ora il Buddha fa domande su quali siano i migliori mezzi per la Perfezione, il migliore di essi, secondo la mia personale esperienza, consiste in: 1) la percezione della irrealtà di tutti i fenomeni, 2) compresa anche l'eliminazione di questa stessa irrealtà, e 3) in modo da ridurre tutte le cose alla vacuità…". In questo passaggio devono essere rimarcate tre idee fondamentali. La prima frase dice approssimativamente, in Cinese: 1) "Riconoscere che tutti i fenomeni sono, in realtà, <non-fenomeni>"…e questo descrive un processo di negazione. È qualcosa di simile all'idea contenuta nel Sutra del Diamante, quando afferma che 'Tutti i fenomeni sono al di là dei fenomeni', oppure che 'Tutti i fenomeni sono <non-fenomeni>'.
Nella seconda frase, si deve interpretare 2) "…compresa anche la stessa eliminazione di questi <non-fenomeni>". Qui, il processo di negazione viene continuato fino a che ogni cosa è negata, perfino la vacuità.
Infine, la terza frase va compresa in questo modo, 3) "…Alla fine, tutti i fenomeni sono ridotti al nulla!" In questo modo, la vacuità raggiunge il completamento. Quest'ultima è la vacuità designata dal termine "WU", nell'interrogativo 'Hua-t'ou'… "Che cos'è WU?".
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(Discorso del M. Sheng-Yen del 24/10/1993 – tratto da "CH'AN NEWS LETTER" n. 107 del Marzo 1995 )
Oggi desidero parlare della visione della vita umana secondo il Ch'an (o Zen). Nel Ch'an vi sono diversi livelli della visione, o comprensione della vita, dato che il buddhismo non ha un unico approccio alla vita. Esso riconosce il fatto che ogni visione della vita di un individuo dipende dalla sua propria comprensione. Se voi, invece, vedete le cose solamente in superficie, questa allora sarà la vostra comprensione. Per esempio, il Buddha storico, Shakyamuni, affermò che tutti i 'dharma' sono il 'Buddhadharma' (bisogna tener presente che, nel Buddhismo, 'dharma' – con la 'd' minuscola – sta ad indicare un termine tecnico che significa 'fenomeno', comprese le persone, le cose, le idee, il tempo, lo spazio, ecc.). quindi, possiamo dire che "tutti i dharma sono il Dharma del Ch'an, o Zen". In altre parole, tutte le cose, grandi o piccole, sono in totale accordo con l'insegnamento del Ch'an. Questa è una profonda visione della vita, ma ben pochi tra noi, possono comprenderlo.
Cosa si vuol intendere con il termine "visione della vita umana?". La frase implica, in se stessa, che gli esseri umani sono diversi dagli oggetti inanimati, le piante e gli altri esseri viventi, come gli animali, ecc. I Cinesi sovente dicono che noi abbiamo il volto da umani, ma il cuore da animali. Questa è una ben seria critica; ma sarà poi vero che gli animali siano più violenti, crudeli, ostili e malvagi di quanto non siano gli esseri umani? Non necessariamente. Gli aspetti della natura umana che possono essere descritti come terribili o anche malvagi e nefasti, possono essere pessimi forse più di quelli che osserviamo negli animali. D'altra parte, gli aspetti della natura umana, descrivibili come virtuosi, gentili ed amichevoli, sono migliori di quelli che possono essere trovati negli altri animali. Il termine Cinese, che abbiamo tradotto con "vita umana", comprende tre modi per dire che gli umani sono differenti dagli altri animali. Il primo è che noi siamo diversi nelle attività quotidiane; il secondo, nel processo della vita; ed il terzo, in ciò che è chiamata "la nostra esistenza".
Le nostre attività si svolgono nel reame dello spazio, perciò la "vita umana" include le nostre relazioni che avvengono nello spazio. Ogni giorno, dalla mattina alla sera, siamo a casa, andiamo a scuola o in ufficio, lavoriamo, ci puliamo, cuciniamo e quant'altro, sempre agendo nello spazio e nell'ambiente che ci circonda. Ciò che noi facciamo nello spazio è alquanto differente da ciò che viene fatto dagli altri animali. Oltre al cibo ed ai vestiti, noi ce la spassiamo con cose come i divertimenti, le occupazioni spirituali o religiose e interessandoci alle arti ed alla cultura.
Ciò che io ho chiamato "processo del vivere" è, anch'esso, diverso da quello degli animali, in quanto noi siamo consapevoli del tempo. Noi percepiamo noi stessi muoverci da "ieri" ad "oggi" ed a "domani"; dall'anno scorso all'anno prossimo e dal momento della nostra nascita fino a che moriremo. Noi possediamo memorie che vanno al di là della memoria animale e, da queste memorie, noi abbiamo costruito la Storia. Inoltre abbiamo preoccupazioni, rimpianti, interessi ed anticipazioni, che gli animali non hanno.
Un'altra situazione per cui noi siamo differenti dagli altri animali è che la nostra esistenza spazio-temporale influenza i nostri simili che ci stanno intorno. Questa è ciò che io chiamo "esistenza da umani". La nostra influenza sul mondo risulta dalle azioni, sia fisiche che non-fisiche. Per esempio, probabilmente qui nessuno di voi ha incontrato Karl Marx, però le sue idee hanno avuto un enorme impatto sulla nostra epoca. Mao Tse Tung non è mai venuto qui negli Stati Uniti, però la sua influenza è molto sentita. Quando io arrivai la prima volta negli U.S.A. a metà degli anni settanta, incontrai tantissimi giovani che avevano indosso gli emblemi di Mao. Tale è l'impatto che una persona può avere sui popoli di luoghi e tempi diversi e questa influenza che hanno le nostre azioni fisiche e mentali è certamente molto diversa da quella del regno animale. Per rispondere alla domanda: "Cos'è la vita umana?" dobbiamo porci tre sottodomande, e cioè: "Qual è lo scopo delle attività umane?"; "Qual è il significato del processo di vita umana?" e "Qual è il valore dell'esistenza umana?". Volete conoscere le risposte a queste domande?
LA VISIONE ANIMALE
Se pensate, o sentite, che la vita umana non abbia uno scopo, o una mèta, probabilmente voi state provando una sensazione di vita vuota e senza sostanza. Se la vostra vita non possiede un significato, potreste chiedervi: "Perché mi dà fastidio vivere?" Potreste sentirvi sprecato per le risorse della Terra e pensare che la vita non abbia alcun senso per essere vissuta.
Una volta, in Cina, un bambino udì sua madre dire, "Non ha senso vivere in questo mondo. Io sono una stupida e incolta contadina. Che tipo di bene posso fare?" Ciò sconvolse il piccolo che replicò: "Mamma, non parlare così. Tu per me sei importante più di ogni altra cosa!". La donna allora disse: "Oh, davvero sono così importante per te?" ed il bimbo di rimando, "Certo, senza di te come potrei sopravvivere?" Allora la mamma concluse: "Bene, almeno c'è qualcuno che pensa che io sia utile!". Questa, è la visione più bassa della vita umana. In questo tipo di visione ogni attività risulta essere senza scopi. Come per un animale, la vita diventa soltanto una ricerca di cibo, di un riparo e del bisogno di procreare. E' forse questa la vostra attitudine?
Confucio disse: "Il cibo ed il sesso, questi sono gli istinti umani". Vale a dire, il desiderio di continuare ad esistere e l'impulso alla procreazione formano il lato animale della natura umana. Una variante di questa visione della vita è la semplice speranza che voi ed i vostri figli possiate continuare a vivere. Il desiderio di vivere e la paura di morire sono istinti tanto animali che umani. Tutte le persone, i cani, i topi ed anche pesci ed insetti hanno un tale istinto. Un'altra variante ancora è credere che la vostra esistenza sia spontanea, senza causa, così vi sentite trascinati e lasciate che le situazioni si determinino da sole. Sapete riconoscere le persone che vivono la loro vita in conformità di questi livelli di visione animale della vita umana?
Le persone spesso si chiedono: "Perché sto vivendo? Perché devo vivere in questo modo? Perché sto soffrendo così?" Io rispondo: "E' perché siete ignoranti e privi di saggezza che vivete e soffrite in questo modo!" ed esse spesso protestano, "Beh, in qualche modo io sono venuto al mondo. Io non so niente di tutte queste cose e perciò continuerò a vivere così come ho fatto finora!" Troppe persone non sanno perché vivono in quel modo in cui stanno vivendo e quindi si lasciano andare ad un destino ignoto. Proprio ieri, qualcuno mi ha chiesto, "Maestro, quanti debiti karmici devo ancora pagare? Possibile che io sia così indebitato da dover ancora soffrire così per tanto tempo? Quando finirò di pagare il mio debito karmico verso gli altri esseri?" Io gli ho risposto: "Non è a me che devi pagare il tuo debito. Dunque non posso dirti quando dovrai finire di pagarlo!". Tutti noi siamo spesso inconsapevoli di essere sottoposti ad una tale bassa visione.
LA VISIONE ILLUSA
Il secondo modo di vedere la vita dovrebbe chiamarsi 'prospettiva illusa, o insensata'. Questo secondo modo è solo un leggero gradino più su della visione animale. In questo caso, le persone credono che l'importante sia di dover lottare, combattendo per la loro protezione, la sicurezza economica e sociale, nonché per la loro salute. Esse acquistano case, terreni e accumulano ricchezze per proteggere la loro sicurezza e quella dei loro figli e discendenti.
Vi è una storia Cinese riguardo ad un insigne Ufficiale che si recò a far visita ad un monaco. Diversamente dalla maggioranza degli altri monaci, questo viveva su un albero. L'Ufficiale vide il monaco seduto tra i rami di quell'alto albero e gli disse: "Venerabile, voi siete in una situazione davvero pericolosa!" ed il monaco rispose: "Non io mi trovo in pericolo, ma tu piuttosto, sei in una pericolosa situazione!". L'Ufficiale, sorpreso, chiese: "Come posso essere io in una situazione di pericolo? Sono il capo del locale Governatorato e sono protetto da numerosi soldati. Dunque, come posso essere io in pericolo?". Il monaco disse: "I quattro elementi ti affliggono costantemente (anche gli antichi Cinesi ritenevano che il corpo fisico fosse costituito dai quattro elementi: terra, acqua, fuoco ed aria); i processi di nascita, malattia, vecchiaia e morte ti sono sempre accanto e possono colpirti in qualunque momento. Gli insopportabili fastidi di avidità, rabbia, ignoranza ed arroganza ti toccano continuamente. E tu dici di non essere in una situazione pericolosa!". Siccome l'Ufficiale era intelligente ed aveva radici karmiche tendenti alla saggezza, comprese immediatamente: "E' vero" disse,"io sono in una situazione assai peggiore della tua, o Maestro!".
Gli esseri umani sono illusi. In questo mondo non c'è veramente un luogo sicuro di salvezza. Tentare di trovare salvezza e sicurezza vuol dire soltanto collocarsi in situazioni di pericolo ed insicurezza ancora più grandi. Una variante di questa visione illusa è il credere che lo scopo della vita sia la lotta per il successo, per la fortuna e la posizione sociale. Si cerca di accumulare ricchezza e poi, non contenti, si desidera pure essere famosi. La fama può non essere ancora abbastanza e, quindi, si cercherà potere ed autorità. Tantissime persone hanno questa visione: esse credono che se non lavorano duro per ottenere quello che desiderano, la vita non avrebbe alcun senso. Avete anche voi questa attitudine?
La soddisfazione per le vostre pretese è un'altra variante della visione illusa della vita. Come pretese, io intendo un'auto-immagine o reputazione in realtà scarsa di sostanza. Se, per esempio, avete modeste possibilità economiche però vi vestite in un modo tale da far pensare alla gente che voi siete ricchi, questa è una di quelle pretese illuse. Ed ancora, forse non siete particolarmente istruiti, tuttavia portate sempre con voi libri eruditi per impressionare la gente. Queste pretenziosità fanno credere a molte persone che così possono crearsi una cosiddetta immagine da poter essere lo scopo della vita ed esse faranno tutto quanto è necessario per questo fine.
Una terza variante della visione illusa è credere che lo scopo della vita sia quello di trionfare sugli altri. Alcuni possono non accettare il fatto che altri abbiano già raggiunto più di quanto non sia accaduto a loro stessi. Allora si mettono a lavorare duramente e si sforzano di tutto cuore, solo per superare qualunque altra persona. Perciò essi sono orgogliosi ed arroganti e, se per caso falliscono, diventano enormemente scoraggiati e perdono la fiducia in loro stessi, oppure competono con gli altri per tutta la vita finché, alla fine, muoiono disperati.
Una persona con una visione illusa della vita è come un cane che cerca di mordere la sua coda. Egli crede che sia la coda di un altro cane, perciò gira continuamente intorno all'albero puntando alla coda e pensando: "Lascia che io ti prenda, stupido cane!" Alla fine, non riuscirà mai a prendere la sua coda, proprio come nessuna persona potrà mai garantirsi ricchezza, potere, successo o prestigio che gli diano totale sicurezza. Alla fine, il cane morirà stremato, così come succede a noi e, al momento della sua morte, non saprà nemmeno come e perché sta morendo. Esso non avrà mai consapevolezza di aver dato la caccia alla sua coda. Tale è la visione illusa della vita e molti, molti di noi vivono in questo modo.
LA VISIONE DELLA SAPIENZA MONDANA
Se questi sono i punti di vista di una vita illusoria, quale sarà la visione di una persona sapiente? Stiamo chiaramente parlando della sapienza mondana e stiamo riferendoci a colui che vive in accordo agli ideali basati sui principi e gli scopi di una vita mondana. La maggior parte di noi è portata a credere di essere inquadrata in questa categoria, anziché ritenersi tra quella degli illusi. Una concezione saggia della vita mondana è rappresentata da un artista dedicato alla bellezza ed alle sue interpretazioni. In questo processo, l'artista può venirne a sua volta abbellito e, così, anche il mondo, poiché una esperienza interiore di bellezza estetica può trasformare l'ambiente circostante. L'interno e l'esterno non vengono percepiti come separati e quindi, una tale persona riconosce che l'intero universo è realmente una creativa opera d'arte.
Vi sono vari tipi di arte. Il processo del creare un'opera d'arte può essere doloroso, però quando il lavoro è terminato, vedere o ascoltare il prodotto finito può essere una stupenda esperienza tanto per il creatore che per lo spettatore. Spesso il mondo sembra meraviglioso all'artista quando è coinvolto nel suo lavoro. Ma una volta che l'artista è costretto a fare i conti con il mondo ordinario, allora la vita può non sembrare più così meravigliosa. Conosco un pittore le cui opere sono veramente splendide. Egli è felice quando parla della pittura e dell'arte con altre persone. Ma quando la conversazione scivola via dall'arte, egli diventa irritabile ed irascibile e rende la vita difficile a sua moglie ed ai suoi amici.
In Cina, noi consideriamo le Arti Marziali come una forma di arte, uguale alla pittura ed alla poesia. In Tai-wan c'era un famoso maestro di Tai-chi che, senza dubbio, trovava la vita meravigliosa e rasserenante quando era preso ed immerso nei suoi movimenti, ma la cui vita personale era di un estremo disordine. Beveva moltissimo ed, alla fine, egli morì alcolizzato.
Gli artisti possono sperimentare meravigliosi momenti, momenti di non-separazione tra sé e non-sé, tra loro stessi e gli altri, ma sono attimi transitori. La vita non è sempre bella e, più spesso di quanto si creda, sono gli aspetti non-così-tanto-belli della vita ordinaria quelli che noi maggiormente sperimentiamo. Alcuni scienziati, la cui vita è votata all'analisi ed alla osservazione del mondo fisico, possono mostrarsi con una visione alquanto saggia della vita. Essi scrutano l'immenso universo ed investigano le minutissime particelle atomiche. Essi sperimentano l'illimitatezza della natura e da ciò fanno derivare l'illimitatezza di quel che è al suo interno. Essi possono osservare solo la materia, ma con la loro fine comprensione deducono l'illimitata Totalità. Dunque, possono aver trovato il significato della vita? Ciò non è molto probabile.
Una volta, uno scienziato mi disse: "Maestro, la scienza ed il buddhismo sono giunti alle medesime conclusioni, per cui se seguo la scienza non ho bisogno di studiare il buddhismo!". Io ribattei: "Che razza di conclusione è questa?" E lui: "Il buddhismo dice che non vi sono limiti ai fenomeni: anche la scienza è arrivata alla stessa conclusione. Il buddhismo dice che tutti i fenomeni sono vuoti e la scienza, nella sua analisi della materia ai più minuti livelli, ugualmente non vi trova alcuna reale sostanza. Quindi, le conclusioni sono identiche". Ed io risposi: "No, esse sono totalmente differenti. Può la scienza dirti perché tu sei nato in questo mondo?" Egli disse: "Oh, è assai semplice. E' mia madre che mi ha fatto nascere!". Io chiesi ancora: "Perché allora tua madre ha dato origine a te e non a qualcun altro?" ed egli rispose: "Mia madre ha dato nascita a me e questo mi basta. Non era necessario che essa avesse un diverso bambino". Ancora io gli chiesi: "E allora, perché tu sei nato da quella madre e non da un'altra?" Egli a questo non seppe rispondere, perciò io dissi: "Ciò dimostra che tu non hai risposte per tali fondamentali domande; non puoi averne!" Alla fine, gli chiesi ancora: "Perché tu sei venuto in questo mondo e in questa vita? E dove andrai dopo?". La scienza può dimostrare che i fenomeni sono vuoti ed illimitati, ma non potrà mai rispondere alle domande sullo scopo della vita umana e quel che accadrà a voi dopo la morte. Ecco perché molti scienziati arrivano ad adottare una fede religiosa di un tipo o dell'altro, e credono in un Dio o in qualche altra forma divina. Perfino Einstein era in qualche modo religioso. In Tai-wan, gli scienziati diventano spesso buddhisti perché la scienza non può rispondere alle domande fondamentali circa l'esistenza umana.
Anche i filosofi possono essere saggi. Essi vivono secondo le idee-che-dipendono-dal-pensiero e coscientemente si sforzano di incarnare i loro ideali e princìpi all'interno del vissuto quotidiano. Attraverso la logica, essi concludono che certe idee sono ragionevoli e dovrebbero essere mantenute. Idealismo, materialismo, umanesimo, esistenzialismo e fenomenologia sono esempi di tali filosofie. I filosofi possono vivere accordandosi a ciò che essi credono essere vero. Le idee permeano la loro vita. Alcuni di questi filosofi credono di poter continuare a vivere tramite le loro idee. Molte persone affrontano similmente la morte quasi con soddisfazione, perché ritengono che le loro idee, le loro creazioni ed i contributi personali alla società umana, potranno durare per sempre nel tempo. Tuttavia, sappiamo che, col passar del tempo, una qualunque filosofia potrà venir confutata da un'altra. Penso alla recente rivalutazione del Marxismo.
I religiosi costituiscono un altro gruppo che sembra essere in cera della saggezza. Una persona religiosa vive la sua vita acvcordandosi ai princìpi ed agli scopi riconosciuti e altresì governa la sua vita secondo la sua fede in Dio. Il suo senso della vita è basato sulla obbedienza alle leggi di Dio e sulla rivelazione del suo riunirsi a Lui nel Regno dei Cieli, dopo la morte. Dio e gli individui sono, da un lato, connessi insieme e dall'altro, essi sono indipendenti. Ciò è un correttivo delle debolezze di artisti, scienziati e filosofi. Questi corrono il rischio di perdere la propria identità immergendosi nella loro arte, scienza o filosofia. In ogni caso, una persona che crede in Dio, vede se stessa come avente una eterna identità indipendente, cioè un'anima. Per molte persone è un fatto importantissimo avere questo senso di eterna identità indipendente. Altrimenti si sentirebbero estremamente vuote.
LA VISIONE CH'AN
Vi è un quarto modo di vedere la vita, che è più elevato rispetto alle altre prospettive ed esso è il fondamento della visione della vita secondo il Ch'an. E' la visione in cui lo scopo della vita è l'Illuminazione, o il dissolvimento di sé. Bisogna attraversare tre stadi prima di arrivare all'Illuminazione. Il primo è quello in cui dobbiamo affermare noi stessi; il secondo in cui dobbiamo maturare ed il terzo, alla fine, dobbiamo dissolverci. Questa è chiamata la visione "realistica" della vita umana, perché essa è basata sulla visione della "realtà ultima".
Per affermare se stessi bisogna affermare e confermare lo scopo o la mèta, cioè il senso ed il valore della propia vita ed essere disposti ad osservare se stessi in modo chiaro ed onesto. La gente si chiede: "Perché siamo nati in questo mondo e con questa vita?". Bene, noi siamo qui per ricevere il nostro pagamento karmico e per adempiere alle nostre aspirazioni ed ai nostri voti. Dobbiamo comprendere che in un unico spazio di vita, le nostre azioni (che sono quelle che creano la retribuzione karmica) ed i risultati di queste azioni (cioè la retribuzione) vengono relativamente limitati in rapporto alle miriadi vite che abbiamo attraversato. Ciò che noi facciamo e ciò che riceviamo, spesso non combaciano. Alcuni sembra che non abbiano fatto nulla di buono eppure nascono nella ricchezza e trovano facili successi e onori. Altri, invece, lavorano sodo per tutta la vita eppure restano assai poveri o hanno un mucchio di disgrazie. Non raggiungono né ottengono nulla, hanno relazioni umane incomplete e sembrano avere una vita piena di afflizioni e sofferenza.
Perché vi sono simili disparità? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo prima capire cos'è la retribuzione karmica. Questa vita attuale è stata preceduta da innumerevoli vite precedenti, durante le quali noi tutti abbiamo agito in diversi modi differenti. Le conseguenze di queste azioni passate vengono raggiunte in questa vita e nelle vite future, fino a quando saremo riusciti ad aver ricevuto tutta la piena retribuzione karmica per ciò che abbiamo fatto. La sola ragione per cui siamo nati in questa epoca è per poter pagare il nostro debito karmico accumulato nelle vite precedenti.
Ciò risponde alla domanda che io avevo posto allo scienziato: "Perché siamo nati in questo mondo?". Perfino io sono nato con problemi fisici e spesso sono stato molto malato. Infatti mi ero sempre chiesto: "Perché la mia salute è così fragile? Perché mia madre è stata così ingiusta nel far nascere in buona salute mio fratello e mia sorella, mentre io sono così malaticcio?" Ora posso comprendere che non fu colpa di mia madre. Lei non ebbe scelta. Il nostro corpo, alla nascita, è il risultato di tutte le nostre vite precedenti. Invece, la maggioranza delle persone crede che il dove, il come ed il quando tutti quanti siamo nati, dipendano da un destino più o meno ingiusto.
Alcuni anni fa mi ero addentrato nella Cina continentale e lì incontrai il mio fratello più anziano. Egli mi disse: "Tu hai il merito più grande ed il karma migliore tra noi fratelli!" Quando ero piccolo io avevo invidiato la sua salute ed ora egli invidiava me, per ciò che riteneva essere il mio raggiungimento nella vita. Io gli dissi: "Fratello, quante ore dormi la notte?" egli rispose: "Beh, dalle sei alle otto ore", ed io di rimando: "Io non ho la tua fortuna o il tuo buon karma, perché dormo solo quattro o cinque ore per notte!". Poi chiesi ancora: "Quale tipo di cibo mangi?" e lui rispose: "Vegetali, legumi, carote e qualche volta, carne e pesce!". Io dissi: "Vedi? Io non sono così fortunato. Io mangio solo legumi e vegetali e mai carne e pesce!" E poi ancora chiesi: "O fratello, quante persone incontri ogni giorno?" Egli rispose: "Beh, mica tante. La mia è una famiglia piccola ed io vivo alquanto ritirato. Non ho granché da fare". Io dissi: "Ogni giorno io devo incontrare moltissime persone. Come vedi, io non ho tutto questo buon karma. Ciò sta a dimostrare che sono venuto al mondo per pagare un maggior debito karmico". Dopo che gli ebbi detto queste cose, mio fratello si sentì notevolmente meglio.
Il sabato è un giorno di riposo, ma per me è una pena. Ogni volta mi tocca tenere una coinferenza. Sono veramente venuto al mondo per saldare la mia retribuzione karmica. Tutti noi siamo anche venuti in questo mondo per completare le nostre aspirazioni ed i nostri voti. Un "voto", per noi buddhisti, è la promessa o impegno più forte che si possa fare. Ciascuno di noi ha fatto, nelle vite precedenti, promesse ed impegni con se stesso e con gli altri. Ed anche, sovente, in questa vita attuale. Non è vero? Quando io ero ancora nell'esercito, molti anni fa, mi piaceva leggere ma non avevo denaro per comprare i libri. Un mio caro amico mi disse: "Quando avrò abbastanza soldi, aprirò una libreria così potrai avere tutti i libri che vorrai": Io gliene fui grato e pregai Kuanyin (Avalokitesvara) affinché il mio amico potesse aver successo, così da aprire il suo negozio di libri. Entrambi facemmo una promessa; il mio amico promise di aprire la libreria per farmi avere i libri ed io mi impegnai ad aiutarlo tramite la mia fede nel Bodhisattva.
A tutt'oggi, egli non ha ancora aperto il negozio di libri ed io sto tuttora aspettando. Forse anche nella prossima vita sarò costretto a chiedergli: "Quando aprirai la tua libreria?" E forse egli mi risponderà: "Tu avevi detto di pregare fortemente Kuan-yin e magari non lo hai fatto nel modo giusto, quindi è una tua pecca!". Non è forse vero che ognuno di noi ha fatto molte promesse che non ha potuto mantenere? Le persone innamorate promettono ogni sorta di cose ma poi, convenientemente, le dimenticano quando si sposano. Ogni promessa non mantenuta alla fine dovrà essere riparata e pagata. Noi veniamo al mondo per completare i nostri obblighi e ripagare i nostri debiti. Voti e promesse, anche verso qualcuno con cui non ci siamo indebitati direttamente, dovranno essere poi mantenuti. Quando qualcuno vi sfrutta o vi rende infelici, non deve costringervi a pensare: "Ecco, io avevo un debito con questa persona ed ora lo sto ripagando in questa vita". Invece, considerate la cosa in questo modo: "In una vita precedente, io ho promesso una certa cosa che non ho mantenuto, perciò la sofferenza che sto provando ora ripianerà quella promessa".
Fin qui, vi ho parlato dell'affermazione di sé, degli scopi relativi e del vedere il sé proprio così come esso è realmente. Dopodiché dobbiamo portarci a maturazione, facendo in modo di trascendere noi stessi e, da esseri senzienti ordinari, trasformarci in Bodhisattva. Il processo di maturazione coinvolge sia il lasciarsi dietro l'interesse per il proprio sé, che il riorentarci verso il beneficio degli altri esseri viventi. Dopo di ciò sarete pronti a sopportare gli inconvenienti, le preoccupazioni, le sofferenze e le afflizioni, tutto in favore degli altri. Per salvare gli esseri senzienti dalla sofferenza, come impone il "voto" buddhista, c'è bisogno che voi diate tutto ciò che è necessario: tempo, denaro o qualsiasi altro vostro sforzo. Quando voi date, può sembrare che stiate perdendo qualcosa ma un Bodhisattva non presta nessuna attenzione alla eventuale perdita. Per lui, è molto più importante la responsabilità nei confronti degli altri esseri senzienti.
Abbandonare volontariamente il vostro proprio benessere, aiutare attivamente e, se necessario, anche soffrire per la salvezza degli esseri senzienti è la corretta attitudine. Quando le nostre azioni nell'interesse degli altri sono volontarie, la nostra stessa sofferenza diminuisce. E' solo quando la sofferenza e le afflizioni sono involontarie che sono molto difficili da sopportare. Chi si trova sul sentiero del Bodhisattva non deve curarsi del suo proprio beneficio, anche a fronte di difficoltà e sconforto che ne dovessero arrivare. E seppure gli esseri senzienti che aiutiamo non ci esprimessero la loro gratitudine, noi non avremo nessun rimpianto né rammarico. Questa è la saggezza della compassione, la via del Bodhisattva.
Il terzo ed ultimo stadio dello sviluppo secondo il Ch'an è la completa libertà, il totale affrancamento dal sé. A questo punto si passa dal livello di bodhisattva allo stato di un Buddha. Dopo aver completamente lasciato andare il proprio sé, possiamo ritornare ai benefici dei nostri ottenimenti nel mondo e nella società. Siccome non ci interessa più il beneficio personale, noi offriamo totalmente qualsiasi cosa che possediamo e tutto ciò che avevamo raggiunto, a tutti gli esseri in ogni dove. E tuttavia, non avremmo nessuna sensazione di aver perso o guadagnato alcunché. Gli esseri senzienti potranno beneficiare dei risultati dei nostri sforzi, ma noi non sperimenteremo né guadagno e né perdita. Questo è lo stadio del "non-sé", lo stadio più profondo dell'illuminazione.
Se realizzerete questa illuminazione profonda, non avrete più bisogno di ascoltare i miei discorsi sulle visioni della vita, perché non avrete più una qualche visione della vita. Nel Ch'an, la visione finale, trascendente, della vita umana è una "non-visione". Che cosa può esservi, allora, da dover dire ancora? Avere una visione della vita è la condizione degli esseri ordinari. Il trascendere questa idea è la condizione di esseri profondamente illuminati. Esseri simili supereranno qualsiasi dovere o incombenza che dovessero presentarsi.
Nel Ch'an vi sono numerosi kung-an che illustrano questo punto. In uno di essi, un monaco chiede: "Qual è quel luogo ove non cresce nemmeno un unico filo d'erba?". Il maestro risponde: "Non appena esci fuori all'esterno, qualsiasi luogo è pieno di fragrante erba". E poi aggiunge: "Puoi girare tutto il mondo e non troverai mai nessuna fragrante erba!". A me piace parafrasare la domanda, in questo modo: "Qual è l'unico luogo in cui non puoi vedere nemmeno un filo d'erba?". La risposta sarebbe molto speciale ed abbastanza strana: "Non importa dove tu puoi guardare, l'erba fragrante è in ogni luogo"; seguita da: "Puoi andare per tutto il mondo, ma non vedrai nessuna erba fragrante!". Dunque, se ogni luogo fosse pieno di erba fragrante, allora non la riconoscerai e neppure le darai un nome. Per esempio, se tutti gli esseri di questo mondo fossero cani, non ci sarebbe alcun motivo per chiamare un qualcosa "cane". La realtà della vita appare in ogni luogo, la sola questione è realizzarla. Ma se voi cercate intenzionalmente la realtà, non potrete mai trovarla.
Un altro kung-an racconta di due monaci Ch'an che erano in viaggio, i quali passarono presso un tempio isolato e deserto. Uno dei due sentì la necessità di orinare, perciò urinò nella sala del tempio, di fronte ad una statua del Buddha. L'altro monaco lo rimbrottò: "Ehi, qui c'è il Buddha. Come puoi orinare davanti a lui?". Il primo monaco disse: "Dimmi dove non vi è il Buddha, così potrò orinare lì!". Il secondo monaco ribattè: "Il Buddha è ovunque!", ed allora il primo, lietamente sollevato, disse: "Allora, posso orinare dovunque!".
Ho parlato di quattro livelli di visione o comprensione della vita umana e del modo di trascendere queste visioni. Voglio sperare che voi non siate al primo livello, quello animale. Forse vi siete riconosciuti nel livello illuso, oppure nel terzo livello, quello della saggezza mondana degli artisti, scienziati e filosofi. Dovremmo tutti lavorare sodo per arrivare al quarto livello, la visione della vita umana basata sulla realtà ultima e dovremmo tutti fare il voto di trascendere finalmente l'obbligo di avere una visione della vita umana. Sforziamoci dunque per esaudire questo voto.
Domanda: "Da dove viene la nostra ignoranza?"
Sheng-Yen: "Nel buddhismo si parla di <ignoranza senza inizio>. Il concetto di 'senza inizio' è un qualcosa di unico collegato soltanto al buddhismo. In generale, le filosofie e le religioni parlano di un "inizio primo", ma il buddhismo non lo fa. Esso parla di <assenza di inizio>. Se qualcuno chiedesse: -Da dove viene questo 'non-inizio'?, gli si risponderebbe che perfino Buddha Shakyamuni stesso decise di rimanere in silenzio e di non dare una risposta. Perciò, come potrei io osare di cercare di darti una risposta? Tentare di risolvere intellettualmente questo tipo di domanda è senz'altro una trappola".
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(Discorso tenuto il 27/10/1996 al "Ch'an Meditation Center" di N.York- pubbl. sulla Rivista "Ch'an News Letter" n. 122 del Maggio 1997 –)
Come dobbiamo sviluppare e sostenere la nostra dignità durante la vita, mantenendola quando andiamo incontro alla morte? Questa è una domanda molto importante tanto per gli Orientali che per gli Occidentali. Diversi studiosi hanno discusso sulla vita e la morte, facendo riferimento alla filosofia, alla religione o alla scienza medica. Io, da parte mia, mi riferirò a questo argomento semplicemente dal punto di vista del Buddhadharma e della mia personale esperienza. Mentre il buddhismo Tibetano ha avuto parecchio da rivelare sugli argomenti del vivere e del morire, la visione del buddhismo Cinese è molto meno conosciuta. Vi sono parecchie similarità, ma anche alcune differenze, tra le due tradizioni. Il mio discorso si può dividere in sette sezioni.
1) Trasformazione della Visione
Noi possiamo trasformare, l'ordinaria e comune visione che la maggioranza di noi possiede riguardo alla vita ed alla morte, in una prospettiva buddhista. Le persone ordinarie 'sentono' che non hanno alcun controllo sulla loro esistenza. Esse sentono che non vi è nessun'altra persona, nessun luogo o struttura su cui potersi affidare o fare assegnamento. Noi potremmo cambiare questo senso di disperazione angosciosa in un sentimento vivo di amore, bellezza e valore e crescere e maturare con un tale processo. Questo processo è il Sentiero e la Visione buddhista dell'esistenza, ma com'è possibile farlo?
Vi sono alcuni buddhisti che permangono in una visione negativa della vita. Ciò provoca loro un deterioramento della salute, che produce un'esistenza opprimente e piena di sofferenze. Tali individui ignorano che ogni ottenimento e realizzazione positiva hanno le loro radici proprio in questa vita ed in questo corpo. Solo attraverso questo nostro 'fardello' fisico, noi potremo ottenere la buddhità.
Il Buddha disse che la vita umana deve essere considerata un raro risultato ed una pregevole opportunità per approdare all'ascolto del Dharma. Il corpo umano è indispensabile per praticare ed è un prerequisito per una vita di salute e saggezza. La vita non è qualcosa che può essere sprecata. Inoltre, altri buddhisti credono che poter rinascere nella Terra Pura sia il modo migliore per arrivare alla buddhità. Ma essi ignorano il fatto che, sul Sentiero della buddhità, un Bodhisattva deve produrre i suoi meriti, attuare i suoi voti e praticare la meditazione proprio nel reame umano.
2) Correlazione tra Vita e Morte.
La vita e la morte non sono due cose separate e scisse. Morte e nascita si susseguono l'un l'altra senza interruzione. La nascita non ha necessità di essere considerata particolarmente gioiosa o piacevole e neppure come foriera di pericoli e minacce. Come, d'altronde, neanche la morte deve essere considerata una cosa triste e dolorosa, oppure piacevole ed auspicabile. Tutto dipende dalla nostra attitudine. Non arrivare a capire la bellezza della viat è un grosso peccato e se non si capisce il valore della morte, beh, allora sì essa sarà solo un rattristante oggetto di paura. Una volta che avrete visto che la vita e la morte sono intimamente correlate, riuscirete nondimeno a trovare dignità in entrambe.
Le persone possono pensare che la vita sia piacevole e gioiosa ma, senza la doverosa dignità, dov'è mai la gioia? E, se vi è dignità nel morire, non si considererà la morte come un evento triste. Dove e come si può trovare la dignità? In tre elementi: il significato, il valore, e lo scopo, della nostra vita. Questi elementi vanno a toccare l'etica, la storia, la filosofia, l'investigazione religioso-spirituale e le relazioni sociali. Ora però esamineremo tutti questi aspetti secondo l'ottica del Buddhadharma.
A) Il significato, o senso della vita.
Perché esiste la vita? Perché essa continua? In che modo una vita lunga differisce da una breve? La vita, per i buddhisti, è una opportunità per riparare i debiti karmici, conseguenze delle azioni passate. In altre parole, noi riceviamo ed accettiamo una appropriata retribuzione karmica sia per le buone che per le cattive azioni delle vite precedenti.
B) Il Valore della Vita
Nel primo livello, il significato ed il senso della vita, noi siamo obbligati ad essere sottoposti alla retribuzione karmica. Ci accordiamo al principio di causa ed effetto. Nel livello del valore della vita, abbiamo l'opportunità di completare in questa attuale vita tutti i voti espressi nelle vite precedenti. In questo livello, noi possiamo mettere in atto il compimento delle nostre promesse o aspirazioni.
Il valore della vita non è qualcosa che ci viene assegnato da qualcun altro. Non vi deriva da nessun altro essere. È solamente originato dal vostro tentativo di adempiere alle vostre responsabilità ed al rispetto verso gli altri. Nei limiti di tempo ed energia che vi sono stati riservati, dovete cercare di produrre il meglio alla vostra portata, sforzandovi di essere quanto più utili possibile nei confronti di coloro che vi circondano. Non importa se gli altri non capiscono ciò che state facendo e neppure importa la quantità di ciò che fate. Il valore deriva semplicemente dalla vostra volontà, dal dovere e dal vostro essere disponibili. Vi sono molti ruoli da impersonare, genitori, figli, coniugi, insegnanti, studenti, ecc. Ciascun ruolo richiede un'adeguata serie di azioni responsabili. La nostra responsabilità deve essere la migliore che possiamo permetterci, in accordo a ciò che ci viene richiesto.
Cerchiamo di fare ciò che è di beneficio agli altri senza ricercare compensi e facciamolo usando qualsiasi cosa, che sia materiale o spirituale. Questo è offrire se stessi. Dunque, cerchiamo di aiutare non solo gli individui, ma tutto ciò che ci circonda. Così beneficeremo noi stessi e gli altri, praticando il Sentiero del Bodhisattva e dando valore alla vita umana.
C) Lo Scopo della Vita.
A questo livello, noi possiamo vedere la vita e ciò che sta al di là, da una prospettiva più ampia. Diventiamo determinati su ciò che intendiamo fare con la nostra vita, includendo in questo la compartecipazione dei nostri beni con tutti gli esseri senzienti. Continueremo a fare voti e ad avere aspirazioni che ci assicureranno l'evoluzione esperienziale lungo la vita stessa, non importa quanto lunga o breve essa sia, così da viverla con piena dignità. Questa dignità sarà genuina e non derivante da altri esseri; sarà il risultato di una visione corretta, integrale e vera della vita e del suo scopo. Sarà incrollabile e nessuno potrà portarcela via.
3) Interrelazione di Vita e Morte
Vita e Morte sono realmente due lati di una stessa medaglia, parte di un illimitato processo nel tempo e nello spazio. Non c'è alcuna ragione di essere attaccati alla vita e temere la morte. Essi sono il nostro diritto e la nostra responsabilità, perciò fate in modo di utilizzare la vita facendone buon uso e, quando essa è al termine, date il benvenuto alla morte, accettandola. Non dovremmo mai attaccarci alla vita, ma nemmeno sollecitare la sua fine. Non possiamo mantenere o conservare insieme la vita e la morte. Che razza di difficoltà. Talvolta, quando vedo qualcuno con una malattia terminale come il cancro, gli dico: "Non stare semplicemente in attesa della morte e non averne paura. Anche un solo minuto di vita in più è buono per trarne profitto, avendo cura dell'esperienza del vivere": La paura della morte non serve allo scopo e, anzi, ironicamente la fa affrettare.
Fin dal momento in cui un bambino impara a conoscere cosa sia la vita, noi dovremmo far in modo che esso sappia anche che vi è la morte. La preparazione psicologica è importante, dato che vita e morte sono inseparabili. Ciò è tanto vero per tutti voi ed i vostri amici e congiunti. La morte può arrivare in qualsiasi momento e lasciare che un bambino non sia al corrente di ciò può essere un danno. La conoscenza della vita e della morte dona una sana e salutare visione prospettica dell'integrità dell'esistenza. Noi non desideriamo spaventare inutilmente i bambini ma vogliamo che essi sappiano l'interrelazione che esiste tra la vita e la morte. Essi devono sapere che la morte ci raggiungerà tutti. Non è che si debba stare semplicemente in attesa della morte, però la conoscenza di essa svilupperà la nostra saggezza.
In una lontana epoca, Siddharta Gautama (cioè Buddha Shakyamuni) si confrontò con la realtà della nascita, vecchiaia, malattia e morte e, questo fatto, lo guidò verso una seria pratica e, successivamente, verso l'Illuminazione e la buddhità. Tutto cominciò con la sua accettazione della verità di vita e morte. Mentre viviamo, dobbiamo rispettare la vita, osservare il nostro potenziale e far di tutto per sviluppare la saggezza e la capacità di aiutare gli altri. Non dobbiamo aver timore della morte, soltanto sapere che essa arriverà. Potrà accadere tra un minuto o tra cent'anni. Non c'è bisogno di preoccuparci ora del fatto che arriverà, inevitabilmente però essa arriverà.
Tra i miei discepoli in Taiwan, vi era un giudice che era affascinato dai discorsi sulla buona sorte, cosicché egli andava a visitare diversi astrologhi e indovini. Tutti questi, in un modo alquanto interessato, gli dicevano che sarebbe morto all'età di sessantanove anni. Quando arrivò a quell'età, egli fece preparativi per la sua famiglia, distribuì le sue ricchezze e si mise ad aspettare la morte. Ma egli visse ancora per tanti altri anni senza alcun incidente. Così si pentì di aver dato via i suoi beni e mi chiese perché continuasse a vivere. Io gli dissi: "Indubbiamente, tu hai accumulato karma virtuoso e ciò ha influenzato positivamente la durata della tua vita". Egli visse fino a ottantasei anni e, certamente, non cercò più indovini e preveggenti.
4) Da Dove ha origine la Vita e Dove andremo dopo la Morte?
Questa è, ovviamente, una domanda molto importante. Ma volete realmente conoscere la risposta? Filosofia e religioni possono aiutare alcuni a capire da dove viene la vita e dove finiremo dopo la morte. Altri si affidano ad un potere sovrannaturale al fine di intuire l'esito delle vite precedenti e di quelle future. Ciò, però, non dà garanzie di successo, o almeno non soddisfa pienamente il bisogno di risposta.
I Confuciani dicono che la vita e la morte dipendono dal destino. Ma ciò che loro intendono per "destino" non è spiegato in modo esauriente. Confucio disse: "Se nemmeno la vita è compresa, come possiamo sapere cosa c'è dopo la morte?" Il maestro Taoista Lao-tzu disse che dal momento che uno è nato, inizia a muoversi verso la morte. In altre parole, non appena si viene al mondo, comincia il processo della morte. Egli disse anche: "Il nascere equivale ad entrare nel sentiero della morte". Perciò, Lao-tzu ci disse di non essere spaventati, perché l'importante è seguire il sentiero, o il Tao, accumulando meriti e virtù e lasciare che, alla fine, la morte giunga naturalmente.
Le religioni Occidentali propongono un Dio creatore che ci ha creati e ci richiamerà alla sua presenza quando moriremo. Questa è una idea abbastanza utile, perché vi è un Essere Superiore che si prende cura di noi e perciò non c'è niente da aver paura. Nel materialismo, invece, siccome esiste solo ciò che possiamo vedere e sperimentare, prima e dopo non vi è nulla! La vita è una luce accesa; la morte è lo spegnimento della luce. Le religioni Occidentali non parlano delle vite trascorse, ma il buddhismo crede che ogni essere senziente abbia virtualmente un infinito numero di esistenze. Ma, allora, da dove viene la vita? Forse dobbiamo ricorrere a quei poteri sovrannaturali per poter determinare le vite passate? No, non è necessario e nemmeno utile. Le vite passate si estendono così tanto all'indietro da non poter essere determinate nemmeno dai poteri sovrannaturali.
5) La Vita e la Morte nel buddhismo.
I buddhisti credono che la vita provenga da un passato senza inizio. La morte non è la fine del processo e la nascita non dà inizio a questo processo. Ciò che noi ora vediamo come una durata di vita è soltanto la reiterazione di un infinito processo vitale. Vi do un'analogia: se siamo continuamente in viaggio, oggi potremo essere a New York, domani a Washington ed il giorno successivo a Chicago. Dunque, al terzo giorno non potreste trovarvi a New York, bensì a Chicago, ma per quanto tempo? Le persone, come tutti i fenomeni, appaiono temporaneamente e poi scompaiono…
Similmente, la morte non interrompe la vita. È una transizione, una conclusione di un segmento di vita. Ciò che noi sperimenteremo come la fine della nostra vita, in realtà sarà l'inizio di un'altra. Quindi non serve restare delusi dalla vita, in quanto essa non è realmente terminata. Questi fenomeni di vita e morte, questo sorgere ed estinguersi, si possono dividere in tre tipi:
a) Il Sorgere e l'Estinguersi che appare ad ogni istante.
Ogni istante qualcosa cambia, nella nostra mente e corpo. Sono nascite e morti istantanee e momentanee. E' solo perché la forma fisica del nostro corpo è ancora presente, che noi non ci rendiamo conto di tali minimi cambiamenti. Le cellule del nostro corpo, i pensieri nella nostra mente, sono continuamente sottoposti a nascita e morte.
b) La Nascita e Morte che ci è più familiare.
Questo è il tipo di nascita che ci dà una vita di un certo numero di anni ed il tipo di morte che la fa finire. In altre parole, essa è la durata di una vita.
c) Il Sorgere e l'Estinguersi in tre spazi di Vita.
Questo comprende la vita precedente, quella attuale e quella futura. Gli spazi di vita precedente sono innumerevoli ed infiniti, cosippure gli spazi di vita futura.
Perciò, ogni dato spazio di vita attuale ha un precedente e, probabilmente, un futuro successivo spazio di vita.
Riuscire a comprendere la continuità di vita-morte, può darci una speranza ed un senso di collegata connessione, attraverso lo spazio-tempo, tra il nostro sé e gli altri esseri viventi. Questa comprensione fornisce la ragione per vivere questo stesso spazio di vita e dimostra che il suicidio, ad esempio, non è una soluzione efficace. Anzi, esso è un tentativo sbagliato di evitare la responsabilità e gli obblighi delle vite passate e non impedirà il nostro fluire in una vita successiva. Al contrario, esso causerà soltanto altri ben più gravi disturbi e sofferenze nelle vite future.
Una comprensione dei processi di vita e morte può aiutarci a sviluppare ed a maturare, nonché a guardare oltre questo particolare momento per il nostro stesso interesse. Possiamo guardare alla vita ed alla morte in maniera totalmente diversa. Con l'aiuto del Buddhadharma possiamo continuamente progredire passando da un convenzionale stato di vita all'altro, finché non dovremo più sperimentare la vita e la morte come esseri ordinari, bensì come esseri superiori, saggi ed illuminati.
Cos'è la trasformazione di nascita e morte? E' la maturazione finale di meriti e virtù, la realizzazione di un Bodhisattva o di un Arhat. Queste trasformazione e maturazione comprendono insieme saggezza e compassione (Prajna e Karuna). Anche se il corpo fisico può degenerare, l'energia mentale sarà sufficiente per completare il Sentiero. Lo stato di Buddha è aldilà di nascita e morte; esso è lo stadio del Grande Nirvana, trascendenza del corpo fisico e realizzazione del Corpo di Dharma. Il Buddha può ancora apparire in una qualche forma, in un certo tempo e luogo, allo scopo di aiutare gli esseri senzienti che si trovano ancora nell'oceano della vita e della morte. Anche le apparenze che Egli prende, manifestano sempre il Sorgere e l'Estinguersi, ma nel Buddha non c'è desiderio e attaccamento per la nascita, né afflizioni o sofferenze per la morte.
6) Dignità del Morire.
La morte rende la maggioranza di noi pieni di sconforto. Forse preferite che io non parli di ciò? (Risate…) E' un'argomento che tratta una materia davvero assai vasta, perciò ne affronterò semplicemente alcuni punti. Nascita e morte possono essere viste e vissute da tre livelli. A) al primo livello voi vivete e morite secondo il vostro karma. Non avete il controllo su quando dovete nascere o quando dovrete morire. Anche quando siete in vita, non avete affatto quella certa chiarezza. Un essere ordinario così vive e muore nell'illusione e nella confusione. Un detto Cinese dice: "Vivere e morire come in un sogno!". B) al secondo livello voi siete in grado di dominare la vita e la morte. Vivere va bene; morire anche va bene. La vita viene vissuta al massimo delle possibilità e la morte viene abbracciata coraggiosamente. Da vivi siete pieni di gioia e fiducia e la morte arriva rapidamente senza complicazioni né paura. C) Al terzo livello vi è una trascendenza di vita e di morte. È lo stadio del grande praticante che ha raggiunto la grande illuminazione e che vive senza essere attaccato né alla vita e né alla morte. Osservando un simile essere non vi troverete né vita né morte; anzi, addirittura potrà sembrare che vita e morte siano la stessa cosa, dato che per un simile praticante esse proprio non esistono.
Dovremmo essere molto grati alla morte, perché quando essa arriva, potremo abbandonare le numerose responsabilità che si hanno nella vita, portando dietro con noi, nella nostra vita successiva, solo tutti i meriti e le virtù accumulati. Portarsi dietro meriti e virtù, non significa affatto portare con sé tutti i nostri beni, come le ricchezze, il conto in banca, il coniuge e i figli, ecc.; però ciò potrà essere fatto tranquillamente con un senso di gioia. Questa è un'attitudine corretta.
I fenomeni di vita e morte possono essere paragonati al sole che, all'alba sorge dall'est e che la sera, tramonta ad ovest. Quando il sole tramonta, esso va soltanto oltre l'orizzonte, dove non potrà essere visto; mica sparisce. Cosippure quando il sole al mattino sorge, non è che esso venga improvvisamente ad essere e quando tramonta, non è che si estingue realmente. Allo stesso modo, noi non veniamo estinti dalla morte; però la mente con i cinque aggregati (cioè il corpo ed i sensi) scompaiono dalla vista degli altri esseri, come il sole oltre l'orizzonte. La pura Natura di Buddha in noi non cesserà mai. Come il sole, essa è sempre presente. Quindi, il giorno non è realmente il giorno, e la notte non è realmente la notte, perché il sole è sempre lì. Il corpo fisico può sparire e riapparire, ma questo non ha niente a che vedere con la pura Natura di Buddha.
La morte vi fa avere paura? Vi fa sentire tristi? Bene, non dovete essere tristi perché, in verità, vi è una speranza per il futuro ed essa si basa su qualcosa che è oltre la morte. Se sarete in grado di mantenere una consapevole chiarezza della mente, al momento della morte, potrete accettarla coraggiosamente e gioiosamente. Qualsiasi cosa abbiate fatto in questa vita, virtuosa o meno, dovreste esserle grati perché è stata parte del vostro addestramento. Nel momento della morte non dovrebbero esserci né risentimento, né rimorsi, né rabbia, né superbia, né paura. Ciò che è stato, è stato. Al momento di morire dovreste volgervi con positività verso il vostro futuro perché il vostro stato mentale, in quel momento, è importantissimo. A quel punto, i rimorsi non saranno di utilità. Mantenere una attitudine equanime, potrà assicurarvi un miglior futuro auspicioso, che potrà aver luogo in un reame celestiale o nelle pure Terre del Buddha. E se la vita successiva dovesse nuovamente riportarvi nel reame umano, potrete avere l'opportunità di abbandonare le vostre consuete abitudini mondane e potervi dedicare pienamente alla pratica spirituale.
Cos'è che determina la qualità della vita futura? Vi sono sei fattori. Il primo è il karma accumulato, sia buono che cattivo. Il secondo è il grado della retribuzione, cioè le conseguenze che dovrete affrontare come risultato delle vostre azioni. Bisogna tener conto che le retribuzioni più gravi e pesanti si genereranno prima di quelle meno serie e più leggere. Il terzo sono le tendenze o le abituali inclinazioni. Se qualcuno non ha commesso gravi crimini, però si porta dietro abitudini particolarmente violente e non ha accumulato grandi virtù, rinascerà con le sue inclinazioni ossessive. Il quarto fattore è sottoposto alla legge di cause e condizioni, cioè le circostanze e l'ambiente circostante, che determineranno quali aspetti del vostro karma dovranno manifestarsi. Il quinto è lo stato della vostra mente al momento della morte, il pensiero che dimora in voi mentre state morendo. Il sesto è l'aspirazione ed i voti che avete preso. Questi determineranno il luogo dove rinascerete dopo la morte. Se voi avete coscientemente espresso dei voti durante la vita, questi ovviamente avranno una certa influenza. Per la maggioranza dei praticanti Ch'an, l'ultimo pensiero della mente è quello che risulta essere il più importante a tal riguardo.
Se il futuro dipenderà dal karma e dalle condizioni (cioè i primi quattro fattori), allora l'esito sarà meno affidabile e meno favorevole. In precedenza, avevamo parlato delle persone che riescono a mantenere la lucidità e la chiarezza mentale al momento della morte. E, per chi non vi riesce? Cosa accadrà a colui che è in coma o è completamente inconsapevole del fatto che sta morendo?
In tali situazioni, gli amici ed i congiunti dovrebbero aiutarli. Con devozione e concentrazione essi possono recitare il nome del Buddha o dei Bodhisattva, oppure sutra e mantra, o semplicemente sedersi vicino al moriente e meditare. Il potere della concentrazione, del samadhi e della fede, aiuteranno la coscienza della persona che sta per morire. Simili pratiche riducono la paura e la confusione che si generano all'approssimarsi della morte, procurando sicurezza e stabilità, cosicché la persona che sta per morire potrà dirigersi con la mente verso la luce e l'illuminazione. In questo modo verrà evitata una rinascita nei reami inferiori. Io ho potuto osservare quanto utili possono essere simili pratiche religiose nei riguardi di chi si trova in punto di morte.
In punto di morte, perfino noi praticanti esperti, non possiamo essere così sicuri di riuscire a mantenere la lucidità e la chiarezza consapevole nella mente per cui dovremo anche noi affidarci all'aiuto di altri pii praticanti.
Non si dovrebbe ritenere necessario prolungare l'attesa del momento finale tramite l'utilizzo di svariati strumenti e neppure si dovrebbero emettere pianti e lamenti, allorché la morte si sta avvicinando, perché queste cose sono soltanto dannose per coloro che stanno morendo. La dignità della buona morte si manifesta facendo in modo che essa possa essere pacifica e serena. Sarebbe certamente meglio poter essere liberi, per quanto possibile dalla sofferenza fisica, meglio ancora da quella psicologica, altrimenti potrebbero derivarne conseguenze assai negative per il futuro.
7) Altre Considerazioni ed Argomenti.
Vi sono delle domande specifiche, che riguardano le morti per incidente, aborto o pena capitale a cui per ora non posso essere in grado di rispondere. Altre domande critiche sono:- Può il corpo essere mosso dopo la morte? Cosa significa e qual è l'importanza dello "stato di Bardo"? Cosa si può fare se il cervello è morto, ma la persona continua a vivere in stato 'vegetativo'? Possono essere donati gli organi? Può essere talvolta giustificato il suicidio? Ai malati terminali di cancro, dovrebbe essere permessa una morte naturale oppure possono venir introdotte droghe per accelerare il processo senza farle soffrire? Qual è l'esatto confine tra la vita e la morte?
A tutte queste domande risponderò in altre occasioni. Nel frattempo, ciascuno di voi potrà investigare quale di queste domande ritiene più importante. In ogni caso, è sempre importante trattare con estrema dignità sia il vivere che il morire. Credere che solo il morire debba essere fatto con dignità, è un pensiero ingannatorio. È col vivere una vita intenzionalmente piena di scopo e dignità che poi potremo arrecare dignità alla morte.
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(Discorso pronunciato alla Tibet house di N. York il 5/11/1994. Tratto dalla Rivista "Ch'an News Letter" n. 115 del Maggio 1996.)
(…Questo discorso fu preceduto da una recita del SUTRA del CUORE in Inglese)
Le Scritture buddhiste si suddividono in tre categorie: Quelle del Vinaya che trattano dei codici etici (Shila) e dei precetti stabiliti oralmente dal Buddha; quelle dei Shastra, che riguardano Commentari dei bodhisattva e grandi maestri, sugli insegnamenti del Buddha; e quelle dei Sutra, che comprendono discorsi fatti direttamente dal Buddha.
Queste Scritture, tutte insieme, formano il Tripitaka e ciascuna serie arreca speciali e specifici benefici. I Sutra sono particolarmente incentrati sulla mente e la loro funzione è di coltivare il Samdhi e la saggezza-Parjna. Il Vinaya ci aiuta a comportarci in maniera corretta ed appropriata, di modo ché le nostre azioni, parole e pensieri, siano in accordo col Buddhadharma (vale a dire, gli Insegnamenti del Buddha). Infine, gli Shastra ci aiutano a curare la nostra comprensione analitica dello stesso Buddhadharma.
Il mio discorso potrà ragguagliarvi su un dato numero di argomenti: la lettura dei Sutra così come praticata nel primitivo buddhismo e nella tradizione Mahayana; i metodi di pratica in Cina e Giappone, anch'essi basati sulla lettura dei Sutra; e infine i benefici che provengono dal leggere i Sutra. Quali sono quelli che ritenete più interessanti? Ah, volete ascoltare qualcosa su tutti gli argomenti? Bene.
Il Sutra del Cuore, che abbiamo appena recitato, è comune a tutte le scuole buddhiste, incluse quelle Cinesi del Ch'an. Sebbene gli insegnamenti e le pratiche del Ch'an, a cui io appartengo, non siano basati sulle parole o sul linguaggio, anche noi recitiamo i Sutra. Una volta, un monaco chiese al maestro Lin-chi (in Giapp. Rinzai), fondatore di una delle scuole del Ch'an che ancora esistono ai giorni nostri, quale utilità ci fosse nei Sutra. Il maestro Lin-chi rispose che essi erano ottimi per asciugarsi le ferite dal pus. Un'altra volta, un monaco vide il maestro Yao-shan che leggeva una scrittura e disse: "Se il Ch'an non è basato sulle parole e sul linguaggio, per quale motivo stai leggendo le scritture?" Yao-shan replicò: "Le uso per rinforzare la mia vista!".
Da queste storie, possiamo vedere che il Ch'an non mette troppa enfasi sulle scritture. In ogni modo, lo stesso insegnamento Ch'an può essere fatto risalire a due Sutra: il "Lankavatara" (Sutra della Discesa a Lanka) ed il "Vajracchedika" (Sutra del Diamante). Per di più, il "Sutra del Cuore" viene recitato ogni giorno in tutte le comunità monastiche Ch'an.
Il famoso Sesto Patriarca, Hui-neng, era un illetterato però si illuminò all'improvviso dopo aver ascoltato casualmente una frase del Sutra del Diamante recitata da un laico. Ovviamente, recitare le scritture può essere vantaggioso e noi dovremmo certamente farlo. Dovremmo anche essere dei catalizzatori per l'illuminazione degli altri! Tanto la tradizione Cinese che quella Giapponese ci insegnano ad usare lettura e recitazione delle scritture come specchio per la nostra pratica. Recitare un sutra dovrebbe causare un riflesso sulle nostre azioni di corpo, parola e mente. Tale da farci domandare se esse sono in accordo col sutra che stiamo recitando o leggendo. Se non lo fossero, si dovrà modificare i nostri comportamenti sul diretto modello delle scritture.
Vi sono molti metodi di lettura e recitazione dei sutra. Possiamo farlo in silenzio oppure a voce alta, recitandolo con una certa intonazione oppure leggendolo e rileggendolo continuamente. Possiamo anche scriverlo o copiarlo, come pratica, oppure trattenerlo mentalmente. Per esempio, potreste recitare a memoria il Sutra del Cuore e mantenerlo nella mente per diversi giorni. Questo viene fatto silenziosamente perché, se per esempio andate al bagno, non è rispettoso declamare il sutra a voce alta. Vi sono anche le pratiche specializzate, come quella di spiegare un sutra alle altre persone, oppure quella della "recitazione tramite il corpo fisico", che è semplicemente il recitare un sutra mettendosi in ginocchio oppure facendo le prostrazioni.
Probabilmente, i buddhisti hanno praticato la lettura dei sutra fin dai primordi del buddhismo antico. I primi testi sulla pratica buddhista ritenevano la "Recitazione dei Sutra" una delle tre maggiori pratiche di Dharma. Il 52° libro del Madhyagama (cioè gli Agama di media lunghezza, che erano le primitive raccolte degli insegnamenti del Buddha) incoraggia i praticanti ad imparare i sutra a memoria, nonché a recitarli insieme alle regole del Vinaya ed agli shastra, come metodi di pratica. I "Dieci Pratimoksha" (Le Dieci Sezioni dell'Etica Morale) ed il "Martivasaka-vinaya" (il Vinaya in Cinque Sezioni) raccomandano la pratica di recitare le regole del Vinaya. Invece, le scritture del Mahayana, come Il "Saddharmapundarika" (cioè il Sutra del Loto), parlano del merito della recitazione dei Sutra. Il Sutra del Loto, che è una delle scritture più importanti del Mahayana, è composto di ventotto fascicoli, di cui ben otto raccomandano la pratica della recita dei Sutra. Inoltre, esso enfatizza la purificazione, ovvero l'abbellimento, dei sei organi sensoriali tramite la recitazione.
Il "Savanaprahbasottamasutra" (Il Sutra della Gloriosa Illuminazione), altro importante sutra Mahayana, dice che recitando e memorizzando il sutra, si verrà resi idonei ad andar oltre l'oceano della sofferenza e raggiungere la non-regressione della mente-Bodhi. In altre parole, si raggiungerà la realizzazione della mente illuminata. Nelle sette del buddhismo della Pura Terra, che fanno parte della tradizione Mahayana, vengono adoperati il "Sukhavativyuha" (Sutra della Terra di Beatitudine) e il "Amitayurdhyana" (Sutra della Visualizzazione Meditativa). Essi sono collegati col Buddha Amitabha della Terra Pura Occidentale, il più importante Buddha della scuola Pura Terra, ed anch'essi descrivono l'utilità di memorizzare e recitare i sutra.
Il "Brahmajalasutra" (Sutra della Rete di Brahma) contiene dei codici morali ed io credo che sia speciale per la Cina. Esso raccomanda la recita dei sutra a favore delle persone decedute, così da poter trasferire i meriti su di esse. Tutti questi maggiori sutra Mahayana incoraggiano la recitazione e la lettura dei sutra, per cui esse sono diventate pratiche fondamentali del buddhismo in Cina. Riepilogando, i sutra comunemente recitati sono il Sukhavativyuha, il Sutra del Cuore, il Sutra del Diamante, il Sutra del Loto, l'Avatamsaka ed il Vimalakirtisutra.
Mi sono accorto che, quando abbiamo recitato il Sutra del Cuore, la maggior parte di voi non ha avuto bisogno di leggere il testo. Questo mi fa piacere e vorrei anche sapere quante altre scritture siete riusciti a memorizzare… (Risate dall'uditorio). Quando ero un monaco novizio, il mio maestro mi disse di cominciare col memorizzare il Sutra del Cuore. Successivamente, mi raccomandò di memorizzare il Sukhavativyuha e, dopo di questo, il Sutra del Diamante. Alla fine, il mio maestro mi disse di imparare a memoria il Sutra del Loto che, come sapete, ha una lunghezza di ottomila versi. Io non sono mai riuscito a memorizzare l'intero sutra, ma ne ho imparato la maggior parte e ciò mi è stato di enorme aiuto e beneficio. Se volete imparare a mantenere un sutra, come pratica, non dovete solo leggerlo; dovete memorizzarlo e cercare di tenerlo a mente. Soltanto quando potrete trattenere nella vostra mente i vari sutra, sarete in grado di praticarli, applicandoli mentalmente anziché solo recitarli.
In aggiunta ai sutra, è altrettanto benefico memorizzare e recitare mantra e dharani. La parola dharani significa "completa tenuta" o "sostegno universale" e oltrepassa totalmente i poteri ed i significati di qualunque cosa con cui è associato. In tal modo, recitandolo, si attua una potentissima pratica che può essere associata ad un Bodhisattva. Se memorizzate quel certo dharani, la vostra pratica sarà un'espressione vivente del merito, virtù e ottenimenti di quel dato bodhisattva. Allo stesso modo, un dharani associato al Buddha sarà un'espressione del merito, virtù ed ottenimenti del Buddha stesso.
I buddhisti Cinesi memorizzano spesso i dharani, come quello del "Surangamasutra", cioè il "Dharani della Grande Compassione", oppure il dharani del Sutra del Loto. Quanti di voi stanno memorizzando i dharani, in questo periodo? Quando ero giovane, il mio maestro mi disse ancora di memorizzare un dharani dal Sutra del Loto. Egli disse: "Questo dharani è molto difficile da pronunciare e da memorizzare. Se tu riesci a memorizzarlo in una settimana, allora in due mesi potrai memorizzare l'intero Sutra del Loto". Ebbene, è successo che io non ho potuto memorizzare questo dharani e, quindi, non sono stato in grado di memorizzare la scrittura tutta intera.
Vi sono state molte versioni della "Raccolta degli Insigni Monaci"; versioni dalle dinastie Liang, T'ang, Sung e Ming. In queste "Raccolte" i monaci eminenti sono stati catalogati secondo il tipo di pratica in cui erano specializzati. Una delle pratiche più seguite risultava essere la recita e la memorizzazione dei sutra. Fa-tsang (643-712), Quarto Patriarca della setta Hwa-yen (i cui insegnamenti sono basati sull'Avatamsaka Sutra) una notte era seduto in meditazione e udì per caso, presso la porta, qualcuno che stava recitando tutti gli ottanta volumi del sutra Avatamsaka. Ciascun volume di questo sutra ha una lunghezza di diecimila parole, ma egli lo sentì recitato in un lampo, dall'inizio alla fine, comprendendolo con estrema chiarezza. Era già impossibile recitare tutto l'Avatamsaka in un giorno solo in cui, al massimo, si sarebbe potuto recitare dieci volumi. Perciò l'intero sutra avrebbe richiesto almeno otto giorni, ma Fa-tsang riuscì a percepire tutta la recita in un periodo veramente brevissimo.
Nella tradizione Cinese, i praticanti che erano soliti cantare i sutra come principale pratica, normalmente sceglievano un solo sutra da cantare. Assai spesso questo era il sutra Avatamsaka o il Sutra del Loto. Vi è la storia di un praticante di molti secoli fa, che aveva recitato l'Avatamsaka per numerosi anni. Egli, all'ora dei pasti, non aveva bisogno di chiedere il cibo, perché le divinità ed i Protettori del Dharma (Dharmapala) lo assistevano e gli portavano ciò di cui necessitava. C'è un'altra storia dei tempi antichi, di un praticante che recitò migliaia di volte il Sutra del Loto e, quando poi morì, un fiore di loto sbocciò dalla bocca del cadavere.
In Cina, secondo la tradizione, nella recitazione formale delle scritture, ci si dovrebbe lavare mani e bocca ed inoltre vestirsi con decoro. Deve esservi un altare con l'immagine del Buddha e si dovrebbe adornare l'immagine facendo offerte di fiori, cibo, frutta, lampade votive e così via. Dopo tali preparazioni, dovreste recitare il sutra con la massima sincerità. Prima, potreste recitare un mantra di purificazione di corpo, parola e mente; poi un gatha di apertura, seguito dal sutra vero e proprio. Successivamente, dovreste di nuovo recitare il mantra per recuperare gli errori, dato che potreste aver avuto pensieri divaganti e aver dimenticato qualche parola del sutra. Il mantra compenserà i vostri errori. Alla fine, reciterete il gatha di chiusura, per il trasferimento dei meriti, cosicché i benefici della vostra recitazione possano venir trasferiti a tutti gli esseri.
Quale postura dovremmo mantenere mentre recitiamo i sutra? Dipende dalla loro lunghezza. Per i sutra brevi, potete inginocchiarvi o stare in piedi. Nella maggior parte dei monasteri Cinesi, i servizi della mattina e della sera sono fatti stando in piedi e durano due ore. Una recitazione che duri l'intera giornata può essere fatta stando in ginocchio o seduti, oppure alternando le due posizioni. Lo stare seduti può avvenire sia a gambe incrociate sul pavimento che su una sedia. La posizione in ginocchio avviene con un semi-inginocchiamento, in modo da non stare seduti sui talloni. Nella tradizione Cinese, di solito adottiamo il semi-inginocchiamento, mentre nella tradizione Giapponese, i praticanti normalmente siedono sui loro talloni.
I Giapponesi hanno dei metodi particolari per recitare le scritture. Essi non effettuano la traduzione letterale delle scritture Cinesi in Giapponese. Al contrario, essi usando i caratteri originali Cinesi, leggono così le scritture in un modo alquanto ingarbugliato e recitano i caratteri Cinesi con la pronuncia Giapponese. Questo fatto complica non poco la lettura e la comprensione della scrittura. Nella pratica di gruppo, essi leggono secondo la loro fonetica, pronunciando i caratteri in Giapponese e inoltre, accompagnano questa pratica battendo ritmicamente su un arnese di legno a forma di pesce (il mak-ta). Quando i Giapponesi recitano i sutra, i mantra ed i dharani in Cinese non sempre ne comprendono il significato; essi semplicemente ne recitano il suono. Ciò è encomiabile ma difficoltoso, dato che i sutra che recitano spesso sono molto lunghi. Per esempio, l'Avatamsaka Sutra è composto da ottanta volumi; il Sutra Parinirvana da trenta ed il grande Mahaprajnaparamitasutra da 600 fascicoli. Il loro ardore nell'effettuare una recita così difficile è certamente encomiabile. Tuttavia, i Giapponesi hanno un loro modo di ridurre la recita dei sutra, una sorta di scorciatoia. La recita integrale di un sutra, carattere per carattere, è chiamata "Recitazione reale". Poiché essa è alquanto faticosa, i Giapponesi hanno inventato un loro tipo di lettura che è chiamata "Recitazione girata". In questo caso, viene recitato una volta il titolo della scrittura, a significare l'intero fascicolo, mentre le pagine del capitolo vengono girate. Per esempio, per ciascuno degli 80 fascicoli dell'Avatamsaka, essi recitano solamente "Omaggio al Mahavaipulya Avatamsaka Sutra" e poi saltano le pagine!
Quando mi trovavo in Giappone, feci visita ad un monastero, i cui monaci mi raccontarono che proprio quel giorno stavano recitando l'Avatamsaka Sutra. Io rimasi favorevolmente colpito e dissi: "Oh, state recitando l'Avatamsaka! E quando lo finirete?" Essi mi risposero: "Non c'è alcun problema. Lo stiamo appena finendo!" ciò accadde prima che io scoprissi il modo in cui lo recitavano. Con questo metodo, perfino i 600 capitoli del Mahaprajnaparamitasutra possono venir recitati in un breve periodo di tempo. In Cina non esiste la recitazione "girata" che, per quanto ne so, esiste solo in Giappone.
Nel Sutra del Loto vi è una pratica di recitazioni e prostrazioni molto ben spiegata. Si recita il sutra, carattere per carattere e, dopo ciascuna parola, si effettua una prostrazione, recitando una frase di omaggio ai Bodhisattva che si trovavano in Assemblea allorché il sutra fu trasmesso per la prima volta. In Cina alcuni praticanti adattano questa pratica tanto al Sutra del Diamante che all'Avatamsaka. Si dovrebbe essere totalmente familiarizzati con la scrittura, prima di impegnarsi in questa pratica, così da non dovervi prostrare se prima non avete compreso il senso delle parole.
I Sutra di solito iniziano con le parole: "Così ho udito!". In Cinese, questa frase è composta di quattro segni, come in Inglese ("Thus have I heard!"). Quindi, iniziando col dire "Thus", dovreste prostrarvi a tutti i Buddha e Bodhisattva collegati a questo Sutra. Per esempio, se state praticando il Sutra del Loto, direte: "Thus" e poi vi prostrerete recitando a voce alta "Omaggio al Sutra del Loto, Omaggio ai Buddha e Bodhisattva presenti nell'Assemblea del Sutra del Loto!"
Alcuni di voi potrebbero aver familiarità con la setta Nichiren Sho-su, che in Giappone è collegata al Sutra del Loto. Essi non fanno prostrazioni, ma recitano soltanto il titolo del Sutra del Loto in Giapponese ("Nam-yo- ho- renghe- khyo!").
Quando vi impegnate in questa pratica della recitazione e prostrazioni, siate accorti a non farlo frettolosamente per non finire il sutra troppo presto! Nella tradizione Tibetana, i praticanti delle "Quattro pratiche preliminari speciali", in una di esse eseguono centomila prostrazioni. Questa non fa altro che ripetere le numerose prostrazioni del Sutra del Loto, anche se sono molte di più, dato che nel Sutra vi sono solo ottantamila caratteri!.
Ora, vorrei parlarvi sui sei benefici derivanti dal leggere le scritture. Dato che il Dharma non è mai prefissato, anche se io potrei menzionare soltanto qualche beneficio, ve ne sono innumerevoli altri, perciò vi prego se, man mano che io vado avanti, possono venirvi in mente altri tipi di benefici.
Primo, leggendo le scritture, possiamo realizzare la mente, ovvero 'illuminarci'. Quando ci impegnamo nella recitazione di un sutra, facciamo uso del sutra come uno specchio per riflettervi la mente che recita. Questa mente, precedente alla pratica, è immersa nel buio e nell'ignoranza. Noi prendiamo il sutra come uno specchio con cui modellare il nostro comportamento, fino a che la nostra mente non si fondi col sutra in parola, così da poter realizzare, in maniera diretta, la natura stessa della mente.
Secondo, la recitazione del sutra ci aiuta a comprendere il significato che vi sta dietro. Molte recite aiutano a chiarire il significato. Quando ero un novizio, chiesi al mio maestro il significato dei sutra e tutto ciò che egli mi rispose fu: "Continua a leggerli e li comprenderai!". Ora ho realizzato che la completa familiarizzazione con i sutra susciterà naturalmente il loro significato sottostante. Ho riferito ciò ai miei discepoli di Taiwan ma essi, sia monaci che monache, continuano a non comprendere e mi chiedono: "Perché prima non ci spieghi il sutra? Cosi poi sarà più facile poterlo leggere e memorizzare!".
Terzo, la recitazione del sutra può essere una pratica di concentrazione unidirezionata, una sorta di samadhi. Io insegno ai miei discepoli di ascoltare, usando le loro orecchie, mentre seguono il canto del sutra, senza dover pensare al significato. Bisogna usare la mente per essere pienamente consapevoli dell'udire, come pure del proprio recitare. Quando siete da soli, ovviamente ascolterete solo la vostra voce che sta recitando. Ma nella pratica di gruppo sarà meglio ascoltare la recitazione degli altri, proprio mentre anche voi state recitando; dopotutto, dato che non potrete entrare nel samadhi solo ascoltando la vostra stessa voce, essa non è veramente utile. Quanto ci piace ascoltare il suono della nostra voce! E' proprio questo attaccamento che ci impedisce di entrare in samadhi. Ecco perché è utile fare recitazioni dei sutra in gruppo. Così potete ascoltare la voce degli altri in perfetta armonia. Quando prima, all'inizio, abbiamo recitato il Sutra del Cuore, avete ascoltato la vostra stessa voce oppure avete udito la totalità delle voci del gruppo?
Un quarto beneficio nella recita dei sutra è la diffusione del Dharma. Il Sesto Patriarca realizzò l'illuminazione grazie all'aver sentito un laico recitare la seguente frase del Sutra del Diamante: "Generate una mente che non dimori e non si appoggi su nulla!" E così, anche voi potete fare in modo che il Dharma si propaghi, semplicemente recitando i sutra. Non siate interessati soltanto alla vostra illuminazione! E' molto importante che anche gli altri possano arrivarvi. Recitare i sutra può essere causa della maturazione di semi karmici virtuosi in ogni persona. Conosco un non-buddhista che viaggiava per mare su una nave ed era ansioso ed agitato. Presso di lui, una donna stava recitando a voce alta il Sutra del Cuore. Dato che non aveva niente di meglio da fare, l'uomo si mise ad ascoltarla. Dopo un po’, la sua mente divenne calma e, avutane coscienza, ciò suscitò la sua curiosità, tanto che pensò: "Se questa recitazione, solo per ascoltarla, mi ha fatto così bene, quanto più mi sarà utile se la recitassi io stesso!" Così, egli cominciò a recitare i sutra e, alla fine, divenne un buddhista.
Il quinto beneficio della recitazione è la protezione del Buddhadharma. Le scritture Mahayana dicono che ogni volta che una persona reciti o mantenga in mente i sutra, essa diviene una manifestazione del Tathagata, il Buddha universale. Ovunque vi sia la recita, là vi è la presenza del Buddha. Inoltre, i protettori del Dharma e le divinità delle dieci direzioni proteggono le persone che recitano e l'area in cui si trovano. Se vogliamo che il Buddhadharma abbia una durata nel mondo, non è sufficiente che i sutra siano presenti. Dobbiamo impararli e recitarli. Se le scritture esistono ma nessuno le recita o fa uso di esse, allora si che esse sono soltanto pezzi di carta o, come disse Lin-chi, sono ottime per togliere il pus dalle ferite. Quando invece sono imparate e recitate, esse saranno a pieno titolo funzionanti scritture buddhiste.
Sesto, la recitazione dei sutra può essere fatta a beneficio delle persone che sono malate o decedute. Noi possiamo far in modo che esse abbiano meriti e virtù. Di solito, i buddhisti fanno recitare i sutra in una famiglia in cui vi siano membri deceduti. Tempo fa, c'era uno studente Occidentale che dava molta importanza alla meditazione seduta, praticandola costantemente. Accadde però che un suo carissimo amico passò a miglior vita, tanto da farlo sentire solo ed abbandonato. Egli mi chiese cosa potesse fare ed io gli raccomandai di recitare i sutra, affinché venissero trasferiti i meriti al suo amico deceduto. Ora, qualcuno potrebbe chiedere: "Ma la meditazione seduta non è anche utile per gli altri?". Io rispondo che, sì, è utile, ma non così direttamente come la recita dei sutra. Quando si recita un sutra, il potere del Buddhadharma richiama il deceduto, così che esso possa beneficiare dell'ascolto del sutra. Se lo scomparso non può essere ricontattato, allorché si recitano i sutra si radunano numerosi altri esseri senzienti e loro saranno beneficiati dall'ascolto. Quindi, a cusa del beneficio recato a costoro, anche il trapassato ne trarrà beneficio.
Il Brahmajalasutra dice che i Bodhisattva dovrebbero spiegare i sutra Mahayana, oltreche il Vinaya, per la salvezza degli esseri senzienti, specialmente quando qualcuno è malato, oppure quando muore un familiare, un amico spirituale o un Maestro di Dharma. Nel momento del trapasso, e per un periodo da tre a sette settimane dopo, il praticante dovrebbe rivolgersi ad un maestro che gli esponga i sutra, dovrebbe egli stesso recitarli e fare offerte, allo scopo di beneficiare il deceduto. Infine, noi recitiamo i sutra con la speranza di beneficiare direttamente TUTTI gli esseri senzienti, con forma e senza forma, affinché essi possano generare la mente-Bodhi, cioè l'altruistica mente del Risveglio e della Illuminazione, ed ottenere così lo Stato di Buddha.
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Domanda: "Maestro, in un'altra circostanza hai parlato di portarsi dalla mente distratta alla mente-unificata, o non-mente. E' possibile ottenere la non-mente per mezzo della recitazione e della memorizzazione dei sutra?
Shi-fu: "Entrare nel Samadhi ed illuminare la mente, sono due tra i benefici apportati dalla recitazione delle scritture. Ora, in questo vi è un senso molto profondo. Se voi entrate nel samadhi mondano (cioè uno stato di personale assorbimento individuale), ovviamente questo non è la non-mente. Ma se entrate nel samadhi, nel vero senso del Mahayana, in cui dimenticate ogni senso di accentramento, ciò sarà inseparabile dalla saggezza-Prajna. Come ho già detto dianzi, i sutra sono speciali per la mente. La loro funzione è di coltivare il samadhi e la saggezza-prajna. Ecco perché il mio maestro mi disse semplicemente di leggere e recitare i sutra, così alla fine avrei ottenuto la saggezza, anche senza nessuna spiegazione dei sutra stessi.
Ora voglio ringraziarvi tutti per la pazienza che avete avuto nell'ascoltarmi. Ho tenuto questo lungo discorso poiché gli esseri umani hanno bisogno della recitazione dei sutra e, per questo motivo, ne hanno bisogno anche tutti gli altri esseri senzienti.
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(Discorso tenuto al Ch'an Meditation Center di N.York, il 30 ottobre 1994. Tratto dalla Rivista "Ch'an News Letter" n. 113, del febbraio 1996)
Il termine "Illuminazione" è riferito, in Cinese, con due caratteri, così che il significato sembra avere due componenti. Questi due caratteri sembrano voler significare due cose differenti ma, in verità, essi costituiscono un solo ed unico termine. In Inglese, possono venir usati entrambi i termini "Enlightenment" (illuminazione) e "Awakening" (risveglio). Una persona non-illuminata è come se si trovasse in uno stato di sonno, o di sogno, costretto continuamente a sognare attraverso infinite rinascite e morti. L'illuminato è uno che si è risvegliato da questi sogni. Stato-di-Buddha e Risveglio sono un'unica e stessa cosa.
Stamattina, in un breve discorso tenuto durante la sessione di meditazione, ho introdotto l'idea di usare le cose ma di stare attenti a non attaccarvisi. Ora aggiungo altre idee collegate, che sono:- utilizzare ma non possedere, compartecipare ma non monopolizzare. Cosa hanno a che fare queste idee con l'illuminazione?
L'attaccamento è afflizione; la mentalità possessiva è afflizione; il tentativo di monopolizzare è afflizione. Ma con la saggezza noi possiamo far uso di qualsiasi cosa, e questo non necessariamente porta all'afflizione. Vi sono molte cose che noi non dividiamo con gli altri: la moglie, il marito, i nostri risparmi, ecc. Questo non vuol dire che un illuminato voglia dividere con gli altri la propria moglie o il proprio marito. Ma egli non ha alcun autointeresse e può mettere a disposizione qualunque cosa sia necessaria per poter aiutare gli altri a comprendere la realtà del Dharma. Questa è l'attitudine del Bodhisattva.
L'illuminazione di cui abbiamo appena parlato è forse la stessa cosa della "Illuminazione istantanea, o improvvisa"? Si sente spesso parlare dell'illuminazione istantanea e dell'illuminazione graduale. Il risultato finale è lo stesso ma i metodi per raggiungere questo risultato possono essere diversi, quelli cioè che si differenziano in istantanei e graduali. Ciò di cui parleremo da qui in avanti, non sarà molto facile da capire.
Il "Parinirvanasutra" dichiara che chiunque segua il sentiero Mahayana è considerato essere sul sentiero dell'illuminazione istantanea, mentre chiunque sta procedendo lungo il sentiero Hinayana, prima di poter entrare nella tradizione Mahayana, è considerato essere sul sentiero graduale (cioè si sta muovendo sequenzialmente da uno stadio all'altro). Vi sono due livelli Hinayana. Il primo è chiamato Sravaka, letteralmente "Uditori del suono", il che significa che essi sono discepoli del Buddha che raggiungeranno la condizione di "Arhat" ('Nobili') attraverso l'ascolto delle sue parole. Il secondo è chiamato Pratyekabuddha, e cioè coloro che raggiungono l'Illuminazione osservando "il sorgere condizionato (dei fenomeni)". Io mi sono rivolto a tutti voi che siete qui, come a dei bodhisattva. Questo per dire che tutti noi siamo seguaci del sentiero Mahayana, ovvero dell'Illuminazione Istantanea. Ciò non significa che siamo già illuminati. Però, cerchiamo pure di non sottovalutarci, perché la nostra illuminazione è davvero a portata di mano.
Nel libro "L'Essenza dell'Ingresso nel Sentiero dell'Illuminazione Istantanea", un famoso maestro Ch'an dice: "Cosa si vuol intendere con 'Illuminazione Istantanea? Semplicemente che, all'istante, ogni pensiero illusorio è eliminato. Così, l'illuminazione c'è proprio quando non vi è nulla da dover essere ottenuto!" Ora io dirò la stessa cosa, con altre parole. Qui, "Risveglio" sta a significare "che non c'è nulla che deve essere ottenuto". Andiamo avanti nella lettura: "Uno che ha l'Illuminazione Istantanea può ottenere la Liberazione durante questa stessa vita". Eliminate il pensiero illusorio (talvolta tradotto con 'pensiero divagante') e le vostre afflizioni nonché i vostri attaccamenti spariranno, lasciando il posto solo alla Liberazione!
"Risveglio Illuminato" è un concetto importantissimo. A questo livello, non c'è proprio più nulla da dover essere conseguito o ottenuto. Perciò se non comprendete nulla di ciò che sto dicendo, potrebbe perfino essere meglio così, di modo che quando tornerete a casa, se qualcuno vi domanderà: "Cos'hai imparato oggi riguardo a quei discorsi di Dharma?" voi potrete rispondere: "Non c'è nulla da guadagnare né da ottenere!". A quel punto, ci si dovrebbe congratulare con voi per la vostra profonda comprensione. Allora, questo significa forse che sarebbe meglio per voi tapparvi le orecchie e non ascoltare nulla di ciò che dico, dato che ciò vi tutelerà nel farvi divenire illuminati? È questo che pensate? Sbagliato!
Noi dobbiamo conoscere tutto e tuttavia dobbiamo non attaccarci a tutto ciò che verremo a sapere. Dobbiamo possedere tutto e tuttavia non pretendere assolutamente di aver alcun diritto su ciò. Questo è risveglio, questa è illuminazione. Perciò, non bisogna pensare che sarebbe meglio essere sordi oppure idioti. Costoro non sono degli illuminati. Per ottenere l'illuminazione istantanea, per eliminare di colpo i pensieri illusi vi è comunque una certa difficoltà. Per questa ragione è necessaria una pratica continua e indefessa. Noi ci sforziamo così fino al momento in cui, all'improvviso, i nostri pensieri divaganti ed illusi svaniscono.
A quel punto si potrà dire: "Non ho più pensieri illusori!" Tuttavia, quello stesso pensiero dovrà subito essere ricacciato indietro altrimenti potrà far riemergere il vostro pensiero illusorio! Oppure, potrebbe accadervi di esprimere questa idea stando però ancora in uno stato di pensiero illusorio. Davvero non è facile sbarazzarsi completamente del pensiero illusorio e contemporaneamente raggiungere l'illuminazione istantanea, rimanendo nel silenzio mentale! Se però sarete consapevoli del pensiero illusorio, questo vi suggerirà che non siete troppo distanti da questo tipo di illuminazione. Sapere di avere pensieri illusori significa già sapere cos'è l'illuminazione. Se invece siete preda di pensieri illusori e purtroppo non ne siete consapevoli, allora si che ci sono grossi problemi!
Abbiamo dunque contemplato due interpretazioni dell'illuminazione istantanea. La prima è quella di entrare direttamente nel sentiero Mahayana e la seconda è di far cessare all'improvviso il pensiero illusorio. Adesso darò una terza spiegazione. Una terza possibilità di comprensione è contenuta nel "Sutra della Perfetta Illuminazione". Questo è un insegnamento Mahayana che spiega l'illuminazione istantanea. Quegli esseri senzienti che fruiscono di un karma positivo istantaneo possono diventare subito illuminati per mezzo di esso. In altre parole, la comprensione di questo Sutra rende capaci di penetrare direttamente nell'insegnamento Mahayana, senza passare per la visione Hinayana. I Bodhisattva che seguono questo insegnamento Mahayana hanno la possibilità di ottenere all'istante l'illuminazione. Abbiamo detto che le due prime interpretazioni possono farlo, tuttavia la terza, che in ogni caso incorpora anche le prime due, offre senz'altro possibilità migliori.
Come ho già detto in precedenza, il senso dell'Illuminazione Istantanea non significa necessariamente che uno diventa immediatamente illuminato. Chiunque stia studiando il metodo Mahayana è già un essere senziente con un karma positivo idoneo all'illuminazione istantanea. Inoltre, in questo insegnamento, l'illuminazione può essere di diversi e numerosi tipi. Si potrebbe avere la Grande Illuminazione, cioè quella ultima che è l'ottenimento dello Stato di Buddha, come pure potrà esservi una qualche esperienza minore, alla stregua di uno che, mentre dorme, riesce ad aprire gli occhi per pochi secondi prima di ricadere in un profondissimo sonno incosciente.
Vi è capitato mai di appisolarvi in un qualche luogo, in cui qualcuno vi ha poi dato una scrollatina sulla spalla? Avrete aperto un po’ gli occhi, avrete dato un'occhiatina veloce tutt'intorno e poi sarete ripiombati dritti nel sonno. Ecco questa è l'analogia di una piccola illuminazione, nel senso spirituale. Per esempio, oggi è il 30 ottobre e stamattina le persone che si trovano qui al Centro erano apparentemente inconsapevoli del cambio dell'ora legale che si effettua per risparmiare sulla luce del giorno. Di norma, i residenti si alzano alle 4.00 del mattino ed anche oggi si sono svegliati alla stessa ora, che però, in realtà, era un'ora prima, cioè le 3.00. Alle 6.00 Shi Guo-yan è arrivato e ha detto: "Abbiamo dovuto portare le lancette dell'orologio un'ora indietro". Perciò ci siamo svegliati un'ora prima. Chi di voi potrebbe chiamare questa, la Grande Illuminazione? Sicuramente nessuno, perché stasera andremo di nuovo tutti quanti a dormire. Per proseguire nell'analogia, una volta che qualcuno si sveglia alla Grande Illuminazione, non potrebbe mai più rimettersi a dormire. Però, non vi sarebbero più afflizioni ed ostruzioni nella mente e nessun senso di guadagno operdita.
Una volta, in Giappone, incontrai una persona che era ritenuta un maestro illuminato. Egli era sposato e viveva in casa con la moglie. Io gli dissi: "In quanto illuminato, tu non dovresti avere nessun attaccamento". Lui rispose: "Beh, io non ho attaccamento a mia moglie, però lei ne ha per me". Secondo voi, questa è una risposta appropriata? Sarebbe come dire: "A me non interessa il denaro, però è il denaro che viene verso di me!". Perciò, secondo voi, questa può essere una illuminazione? Qual è realmente la natura della sua relazione con la moglie? Questa persona può anche condurre in maniera semplice il suo ruolo nel matrimonio. Questa è l'idea di "uso" o di "funzione" nei comportamenti che, però, non deve essere "attaccamento". Mentre, se nella loro relazione vi fossero desideri fisici o di possesso reciproco, questa allora non potrebbe essere liberazione. Anche il Buddha Shakyamuni ebbe bisogno di mangiare, ma ciò non significa che egli non fosse illuminato. Se non si mangia, si arriva a morire per fame. Ma il Buddha si lasciò alle spalle la sua vita familiare. La mancanza di sesso o di compagnia non lo uccise, e né potrebbe uccidere voi. Mangiare è un bisogno fondamentale, il resto è desiderio e non si dovrebbe far confusione tra le due cose.
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DOMANDA: Se quel maestro se ne stesse in casa con la moglie in rispetto all'obbligo matrimoniale, ma senza desideri, vi sarebbe allora illuminazione?
SHENG-YEN: Se non c'è desiderio, allora non c'è contraddizione. Shakyamuni stesso, dopo il raggiunmgimento della Buddhità, si prese ancora cura di sua moglie e di suo figlio.
DOMANDA: Come ci si può astenere dal desiderio e tuttavia mantenere ancora il desiderio per la liberazione?
SHENG-YEN: Possiamo dividere il desiderio in ciò che è puro da ciò che è impuro. Il desiderio puro è in realtà un tipo di aspirazione. Aspirazione può essere il termine più vicino, benché a volte si usi il termine 'volere'. In Cinese, questo termine è in realtà identico a 'voto'. Quindi, nel caso dell'illuminazione, noi non stiamo trattando col desiderio impuro. Facciamo riferimento ad un voto, o aspirazione, per andare oltre il mondano.
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Vorrei spiegarvi ancora una volta il significato di illuminazione. L'Illuminazione può essere profondissima e vastissima, oppure piccola e poco profonda. Dipende da ciò che è considerata o meno una illuminazione totale. In altri termini, anche soltanto udire una frase del Buddhadharma può causare un cambiamento di pensiero e, quindi, può essere considerata una sorta di illuminazione. Perciò non sempre l'illuminazione ha il significato di completa e totale eliminazione delle contrarietà, dato che l'illuminazione può giungere sotto una veste di completa e profonda manifestazione, oppure può anche arrivare sotto l'aspetto di una piccola e parziale modifica migliorativa della mente.
Voglio citarvi delle indicazioni di alcuni sutra. La prima citazione viene dal primo capitolo del Sutra del Loto (nome Sanscrito, Saddharmapundarika), il quale dichiara che il Buddha insegna il giusto Dharma tramite una varietà di "cause e condizioni" (qui, i termini "cause e condizioni" si riferiscono principalmente ai vari tipi di azioni che i Bodhisattva svolgono nella loro base fondamentale ed il tipo di ottenimenti e completamenti che essi raggiungono). Inoltre, ciò avviene anche attraverso gli innumerevoli racconti ed analogie che in modo chiaro illuminano il Dharma del Buddha, allo scopo di illuminare tutti gli esseri senzienti. In questo caso, "illuminare", significa fondamentalmente (citando il sutra): "assicurarsi che le persone capiscano". In questo senso, oggi io sto tenendo un discorso di Dharma e la comprensione che tutti ne riceviamo è una sorta di "illuminazione". Perciò, dovremmo essere tutti ultrafelici perché, sempre in quel senso, tutti noi stiamo illuminandoci!
Probabilmente, in questo contesto, non dovremmo usare la parola "illuminazione" e forse sarebbe meglio usare il termine "comprensione". Sembrerebbe maggiormente plausibile se dicessimo: "Adesso, io sto comprendendo il Dharma", anziché dire: "Oh, io mi sto illuminando!". Questo perché, dato che vi è una generale idea che prima si sia stati semplici esseri senzienti ordinari e, poi, dopo che uno si sia illuminato, si pensa di essere diventati un qualcosa di speciale, tanto da non essere più 'normali'. Di conseguenza c'è il rischio che, il togliere di mezzo la parola "illuminazione", potrebbe rendere sgomente diverse persone.
Qualcuno spesso mi ha chiesto: "Maestro, ma tu sei illuminato o no?" ed io ho sempre risposto: "Tu che ne pensi?". La maggioranza delle persone che studiano con me sperano che io sia illuminato, perché se non lo fossi rischierebbero di pensare: "Per quale motivo dovrei imparare da lui?". Potrebbe esservi anche qualcuno che pensa che io NON sia un illuminato, perché potrebbe ritenere che un illuminato debba essere una persona totalmente diversa. Una persona che dovrebbe mangiare cibi diversi, dovrebbe parlare in modo differente e, magari, usare termini incomprensibili. Perciò, alcuni potrebbero ritenere preferibile il fatto che io non sia illuminato, in maniera di poter interagire e parlare con me, rapportandosi semplicemente senza troppe ossequiosità.
Quando ero un giovane monaco, sapevo che alcuni tra i monaci più anziani avevano raggiunto una eccellente emancipazione. E quando, per caso, mi trovavo ad ascoltare le loro conversazioni, io non capivo per nulla ciò che dicevano. Così, un bel giorno chiesi: "Che cosa state dicendo? Di che parlate?" e la loro risposta, puntualmente, era: "Che cosa ne puoi sapere tu, ragazzino!". A quel tempo, io avevo l'idea che gli illuminati dovessero parlare in un modo che a me era incomprensibile. Perciò, se ora voi potete capire ciò che io dico, questo probabilmente vorrebbe dire che io non sono un illuminato. Mentre se io dicessi qualcosa di veramente astruso, da lasciarvi confusi ed interdetti, questo significherebbe forse che io sono illuminato. Siete proprio d'accordo?
Una volta qualcuno mi ha chiesto: "Qual è la condizione di un maestro Ch'an?". Beh, io posso solo dirvi che un maestro che sia veramente, assolutamente illuminato, saprebbe sempre dov'è, dove si trova la sua coscienza, durante la giornata, durante la notte, perfino mentre dorme. Egli saprebbe sempre tutto di se. Mentre, un maestro che non abbia raggiunto questo livello, potrebbe ancora perdersi "dentro i sogni", cioè negli stati illusori della mente.
C'è una citazione nell'Avatamsaka Sutra (la versione in ottanta volumi) che dice: "Che s'illuminino tutti gli esseri senzienti che stanno nel buio o nell'ignoranza!". Come si può illuminare tutti gli esseri senzienti? Presentando il Dharma. Indifferentemente dal fatto se la persona che lo sta presentando e ci sta dando le spiegazioni sia illuminata o meno, ed anche indipendentemente dal fatto se le persone che stanno ascoltando l'insegnamento possano riuscire a diventare o no illuminate, la sola azione di esporre il Dharma è considerato il supremo atto di illuminare gli esseri senzienti!
Un tempo, l'antico maestro bodhisattva Asvaghosha, espose il Dharma per mezzo della musica. Tramite la musica egli presentò il Dharma della vacuità, dell'assenza del sé, e della sofferenza, che in realtà si riferisce a ciò che di norma è noto come le Tre Caratteristiche del Dharma, o anche i Tre Sigilli del Dharma. Dopo aver esposto il Dharma in questo modo, almeno cinquecento nobili della città simultaneamente si illuminarono non appena ebbero avversione per i Cinque Desideri (cioè per il mondo fisico, che è composto dagli oggetti dei cinque sensi – vista, suono, odore, tatto e gusto) e tutti loro lasciarono la casa per coltivare il sentiero. In questo caso, il termine "illuminazione" è riferito ancora a quel tipo di comprensione intellettuale. Non è riferita ad una vera illuminazione perché, ovviamente, non si vuol intendere che i cinquecento nobili avessero ottenuto un'immediata liberazione, proprio nel preciso momento in cui udirono la musica. Perciò, nella misura in cui voi avrete una pur piccola comprensione del Buddhadharma, anche se non aveste l'intenzione di lasciare la vostra casa come successe ai nobili, questa sarebbe comunque una sorta di illuminazione minore.
Ora, voglio continuare a dibattere su questa idea di illuminazione, ma in un più ampio contesto. Secondo il Sutra del Loto il termine "illuminazione" in realtà dovrebbe essere composto da quattro parole unite. La prima parola può essere tradotta con 'apertura', la seconda con 'dimostrazione'; la terza con 'risveglio' e l'ultima con 'realizzazione', nel senso di realizzare il Dharma e non solo la comprensione. Una profonda realizzazione basata sulla propria esperienza diretta. Finora, noi non abbiamo detto "a che cosa" uno si illumina, o si risveglia. Nella citazione del Sutra del Loto, "apertura" si riferisce a "non-ostruzione", cioè fondamentalmente alla scoperta della saggezza di Buddha, ciò che il Buddha può vedere, oppure ciò che il Buddha può conoscere. "Dimostrazione" è ciò che il Buddha mostra agli esseri senzienti di quanto egli 'vede e conosce'. Il termine "risveglio" sta anch'esso ad indicare "illuminazione", ma qui è molto più che una comprensione intellettuale. Ed infine, "realizzazione" implica la situazione di "esperienza diretta". È la vera e personale esperienza che un essere arriva ad avere di "ciò che il Buddha vede e conosce". nel Sutra del Loto
Inoltre, "Ciò che il Buddha vede e conosce", si può intendere nel Sutra del Loto, come la Saggezza-prajna del Buddha, ovvero la "saggezza-che-tutto-comprende", che è quindi la saggezza che conosce tutte le cose. Questa Saggezza Onnicomprensiva può essere suddivisa in tre tipi: la prima è la Saggezza della Vacuità, chiamata anche la Saggezza della Liberazione. È un tipo di saggezza, per cui uno vede che la vacuità è la vera caratteristica di tutti i fenomeni ed è anche la saggezza che si ottiene quando ci si è illuminati o liberati.
La seconda saggezza è la Saggezza di Tutti i Sentieri ed è quella che tutti i Buddha e Bodhisattva possiedono. È la saggezza utilizzata per aiutare gli esseri senzienti con i loro differenti bagagli culturali e le loro diverse disposizioni karmiche. Gli esseri senzienti necessitano di differenti vie per arrivare alla buddhità e, questo tipo di saggezza, si manifesta soltanto dopo che si è manifestata la Saggezza della Vacuità.
La terza saggezza, la Saggezza che Comprende tutte le cose, viene manifestata solamente da un Buddha completo e perfetto. I Bodhisattva, che pure sono dei saggi ed hanno già ottenuto la liberazione, comprendono la Saggezza Completa e Perfetta di un Buddha, tuttavia non possono ancora manifestarla pienamente. Un Bodhisattva deve aspettare il totale completamento dello Stato di Buddha, prima di poter manifestare la Saggezza Onnicomprensiva di Tutte le Cose.
Dei quattro termini discussi in precedenza, cioè "apertura-dimostrazione-risveglio-realizzazione", l'ultimo si dovrebbe riportare letteralmente tradotto come "entrata nella realizzazione". Ho già spiegato che il terzo termine, "risveglio", ha un valore di "comprensione intellettuale", ma questo è solo un significato parziale, perché un altro significato è "l'entrata sequenziale nella realizzazione". Per semplicità, possiamo dire che "risveglio" può essere anche inteso come "una realizzazione parziale o sequenziale".
Un po’ complicato, non vi sembra? Se tutto questo vi appare difficile, cercate allora di ricordare solamente questi quattro termini: 'aprire, mostrare, risvegliarsi e realizzare'. Ovviamente essi sono verbi, cioè parole di azione. Ma quale oggetto riguardano? L'oggetto è sempre "Ciò che il Buddha vede e conosce". Con questo, vogliamo intendere la "Saggezza Onnicomprensiva di Tutte le Cose".
Una ulteriore spiegazione della "Saggezza del Buddha" (la terza saggezza) che, per mancanza di un termine migliore traduciamo con "Saggezza Onnicomprensiva di Tutte le Cose", include anche la Saggezza della Vacuità, in cui viene enfatizzata l'eguaglianza e la non-differenziazione di tutte le cose. Invece, la seconda saggezza (la Saggezza di tutti i Sentieri) pone l'accento sulla differenza tra gli esseri senzienti. Ora, ricordiamoci che con la prima saggezza veniva posto l'accento sulla eguaglianza basata sulla vacuità, mentre nella seconda saggezza, abbiamo visto che l'enfasi è sulla differenza tra gli esseri senzienti. Com'è possibile questo fatto? Bisogna capire che gli esseri senzienti differiscono nel karma delle loro menti, quindi essi hanno bisogno di sentieri differenti ed infatti essi vanno per differenti strade. Alla fine, però, la Saggezza Onnicomprensiva di Tutte le Cose incorpora e trascende entrambi i primi due tipi di saggezze.
Dato che noi non abbiamo ancora ottenuto lo Stato di Buddha, vorrei concludere questo discorso parlando proprio dello Stato di Buddha, o buddhità. Anche se ora non ha importanza lo stadio di illuminazione in cui ci troviamo, tuttavia noi dovremo raggiungere la buddhità, non avendola ancora ottenuta. Perciò, voglio mostrarvi come poterla raggiungere. Cosa significa, prima di tutto, raggiungere la buddhità? Possono esservi due interpretazioni o modi di intendere. La prima interpretazione è che la buddhità sia ottenuta per mezzo delle azioni accumulate. Per esempio, nelle Agama ed anche in alcuni primitivi discorsi di Dharma, era detto che un praticante dovrà passare attraverso un lunghissimo periodo di tempo (fondamentalmente tre grandi kalpa), prima di ottenere lo Stato di Buddha. La seconda interpretazione è che si può ottenere la buddhità istantaneamente. Questa interpretazione può a sua volta essere divisa in due ulteriori sub-categorie. La prima include le persone che diventano Buddha completi e totali e, finora, sembra che nel buddhismo solo Shakyamuni abbia potuto far questo. Nell'altra vi sono coloro che ottengono parzialmente meriti e virtù di un Buddha.
Infatti, solo percorrendo il sentiero che porta alla buddhità ed ottenendo meriti e virtù di un Buddha, viene considerato come il "raggiungimento della buddhità". Vi è un detto Cinese che dice: "Quando uno depone il coltello da macellaio, allora egli otterrà subito la buddhità". Ciò è realmente vero, per cui quando voi deporrete il coltello usato per amcellare e la vostra mentalità sarà cambiata, in quel preciso momento otterrete lo stato parziale di Buddha. Nella misura in cui, prestando attenzione a questi insegnamenti di Dharma, voi arriverete ad una nuova comprensione, questo è già da considerare un tipo di ottenimento della buddhità.
Ora vorrei farvi un esempio: quando qualcuno coltiva un certo metodo, come quello di andare per templi e fare offerte, questo fa parte della cosiddetta coltivazione di meriti e virtù. Quando venite qui al Centro per ascoltare i discorsi di Dharma, anche questa è coltivazione. Oggi, alcune persone hanno fatto delle offerte al Centro e, anche questa, è un'ottima coltivazione. Perfino qualcosa che pare essere insignificante, come un bambino che gioca facendo con la sabbia un immagine del Buddha, è considerata una coltivazione di meriti per andare verso la buddhità. Poiché, agendo in quel modo, il bambino ha rivolto la sua mente verso lo stato di Buddha e ne ha coltivato la mentalità. Questo è l'inizio.
Prima ho accennato a coloro che vanno per templi e fanno offerte. E che dire di quelli che NON fanno offerte? C'è forse qualche motivo per cui dovrebbero preoccuparsi? No. Nient'affatto. Citando dal Sutra del Loto: "Se vi è qualcuno che, pur avendo una mente dispersiva e non avendo concentrazione né consapevolezza, cammina intorno ad uno stupa o ad un tempio e dice, anche una sola volta, <Prendo rifugio nel Buddha>, una tale persona ha GIÀ' ottenuto lo Stato di Buddha". Di conseguenza, non ha importanza il motivo per cui venite qui. Che sia per reale devozione o anche se ancora non avete le idee chiare, perché magari siete stati consigliati a venir qui da amici o da parenti, pur non essendo voi realmente disposti ed entusiasti. Ciononostante, voi SIETE VENUTI e magari, prima di pranzare, voi avete detto qualche parola, prendendo rifugio, oppure avete fatto qualche altra azione, con la mente diretta verso questa direzione. Già facendo queste semplici cose, voi avete ottenuto il SEGNO della buddhità. Cioè a dire che chiunque abbia l'opportunità di ascoltare il Dharma e riconosca di avere il potenziale per ottenere la buddhità, avendo una incrollabile fede nel fatto che la otterrà, una persona simile è sicuro che ha già ottenuto lo Stato di Buddha.
Il Parinirvana Sutra dichiara che tutti gli esseri senzienti hanno la Natura-di-Buddha, indifferentemente da ciò che hanno compiuto. Voi potete aver criticato o diffamato e calunniato i Sutra e la Parola del Buddha, potete aver commesso ogni sorta di gravi offese ma VOI, come tutti gli esseri senzienti, potete ottenere lo Stato di Buddha. Indipendentemente dal fatto se avete fede o no, se intendete ottenere la buddhità o meno, alla fine TUTTI VOI otterrete la buddhità. Queste non sono meramente le mie semplici parole, questa è una sacrosanta citazione del Sutra.
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DOMANDA: -Rifacendosi alla citazione, tutto ciò che c'è da fare, è di recitare almeno una volta il nome del Buddha e poi si otterrà la buddhità. E giusto?
SHENG-YEN: - Quando ho detto che solo recitare il nome del Buddha e portare rispetto al tempio vi potrà causare l'ottenimento della buddhità, dovrebbe comunque essere inteso in questo modo: "ottenere la buddhità" qui vuol dire "piantare i semi per la buddhità". Piantare i semi è la causa. Ciò che maturerà, cioè lo Stato di Buddha, è la conseguenza. Dobbiamo comunque dire che causa e conseguenze sono simultanee. Una mela completamente matura è una conseguenza del suo seme, ma anche una piccola mela verde è già una conseguenza. Ancora, nel Parinirvana Sutra è detto che vi sono tre cause per la buddhità. La prima è chiamata causa primaria e cioè, che tutti gli esseri senzienti hanno la possibilità di ottenere la buddhità. E questa, innegabilmente, è la causa primaria per l'ottenimento dello Stato di Buddha. La seconda è chiamata causa finale ed il Buddha Shakyamuni stesso è un esempio di ciò. Egli è la persona che ha completato la piena trasformazione nello Stato di Buddha, pertanto egli è chiamato la causa finale della stessa buddhità. La terza, infine, è chiamata la causa condizionale e questa è applicabile a qualsiasi punto del sentiero. Particolari punti di vista, differenti situazioni nel Sentiero, tutto porta gli esseri senzienti a muoversi verso la buddhità, piena e totale. Quest'ultima causa è anche chiamata la "causa che dipende dalle condizioni" ecco perché, tutte insieme, esse vengono chiamate le "tre cause per la buddhità".
Alla sua conclusione, il Parinirvana Sutra chiude con questi due versi che dicono:"La conseguenza è pervasiva tramite tutte le cause, e le cause incorporano tutte le conseguenze". In altre parole, dal punto di vista della conseguenza, ogni cosa è una causa ed ogni cosa è una conseguenza. Dal punto di vista della causa, ogni cosa è una conseguenza ed ogni cosa è una causa. Ovviamente, tutto questo non è molto facile da comprendere per i profani. Così, anche se oggi non sono stato abbastanza chiaro, devo essere riconoscente a ciascuno di voi che se ne è rimasto tranquillamente seduto. Devo anche ringraziare Mr. Chang che si è addormentato sulla porta, così da ostruirla totalmente durante il mio discorso e, così facendo, ha probabilmente impedito che qualcuno potesse attraversarla per andarsene.
(Finito di stampare in Computergrafica il 15 Dicembre 2002)