L’ASSENZA DI UN ‘SE’    

Traduzione del Cap.III – (‘The Selflessness’) del testo

"MEDITATION ON EMPTINESS" di Jeffrey HOPKINS

 Tradotto da Cristina MARTIRE e Alberto MENGONI-

ROMA - 2003                     *************************************************

NOTA DEL CURATORE - Nel 1985, Cristina ed io, frequentavamo assiduamente il Centro Samantabhadra di Roma, allo scopo di ascoltare ed imparare gli insegnamenti del Lama Tibetano Sonam Cianciub, dell'ordine Mahayana Ghelugpa. Bisogna ammettere che tanto io quanto la stessa Cristina eravamo assai interessati ai discorsi sulla Vacuità. Così, quasi per caso, venimmo in possesso del formidabile testo (in lingua Inglese) "Meditation On Emptiness" (Meditazione sulla Vacuità), e decidemmo di provare a tradurlo. Purtroppo, data anche la grande difficoltà (a quel tempo) di comprensione del testo, ci limitammo a tradurne un solo capitolo, anche se forse il più importante; cioè 'The Selflessness' (L'Assenza - o Mancanza- di un Sé). Oggi, questo imponente e rilevante testo è un classico della letteratura buddhista ed è stato interamente tradotto e pubblicato in Italiano.

Malgrado ciò, ho ritenuto significativo rispolverare la nostra vecchia traduzione e ripassarla al computer, per presentarla

agli studenti del CENTRO NIRVANA, sicuro di fare un'ottima cosa per aiutarli nella loro emancipazione. Infatti, troppo

importante è la comprensione della Vacuità, anche solo per poter migliorare la qualità della nostra mente umana,

cosicché possa venircene una serena e tranquilla esistenza pur in questa società totalmente coinvolta nella sofferenza samsarica.

ROMA, Settembre 2003 - Alberto MENGONI (Aliberth) Responsabile Spirituale del Centro NIRVANA

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(NOTA del Traduttore. In questo testo, i termini Sanscriti sono indicati in neretto, mentre quelli Tibetani sono indicati in corsivo. (N.d. T.)

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Il "CENTRO NIRVANA" traduce opere mirate sul Buddhismo (con particolare riferimento alla visione trascendente). Insieme ad opere di Scuola Cinese (Ch'an) sono presentati importanti testi del buddhismo Tibetano, che trattano principalmente il tema della Vacuità. Inoltre, con la pubblicazione del Bollettino mensile "NIRVANA NEWS" e con la presentazione di alcune opere dell'Insegnante Aliberth, si cerca di valorizzare la visione moderna della pratica del Dharma, anche considerando l'attività spirituale che si effettua durante l'anno accademico nel Centro (Meditazione ed Insegnamento).

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Casella di testo: L'ASSENZA DI UN 'SE' –  (The SELFLESSNESS) di JEFFREY HOPKINS

 (Tratto dal Testo: "MEDITATION ON EMPTINESS)

 

I°) NON SE'

Fonti:

Insegnamenti orali di Kensur Lekden - Presentazione delle Dottrine di Jang-g-yas

 

Tradizionalmente un maestro inizia l'istruzione allo studente con una presentazione del sistema Buddhista. Come premessa, egli inizia insegnandogli la "mancanza di un sé", dividendola nelle due categorie di 'esistente e non esistente':

 

Quadro I: Divisioni della Mancanza di un "né

     --Mancanza di un sé (nairatmya dag med)                

--- esistente (sat yod pa)                           --- non esistente (asat med-pa)

 

Nel Sistema Pràsangiika 'la mancanza di un "né' indica ciò che non esiste inerentemente. La prima categoria del sistema Bud­dhista è l'esistenza non inerente perché sia gli esistenti che i non esistenti non esistono inerentemente. Dato che niente esiste inerentemente, questa è la categoria più ampia possibile.

Esistenti

Un (fenomeno) esistente è privo di un sé, o non-inerentemente esistente; la sua esistenza non-inerente è una vacuità. Sinonimi di 'esistente' (sat, yod pa) sono: 'fenomeno' (dharma, chos), 'oggetto (vishaya, yul), 'oggetto di conoscenza' (jnaya, shes byà), e 'base stabilita' (vastu, gzhigrub). Quindi, ogni cosa che esiste è un fenomeno (dharma) in quanto tutti i dharma sono oggetti di conoscen­za e possono apparire alla mente, persino fenomeni permanenti quali la vacuità e lo spazio. Tutti gli esistenti sono fenomeni, e non vi è nessun 'noumeno' che sia un'entità separata dalla cate­goria dei fenomeni, poiché niente esiste in modo indipendente. Il termine noumeno non viene usato in questo schema di inter­pretazione sebbene esso potrebbe venire usato per parole che in­dicano la natura dei fenomeni, come dharmatà, affinché venga com­preso che tutti i noumeni sono fenomeni.

Tutti gli esistenti sono oggetti, in quanto sia che essi sia­no soggetti che oggetti, possono essere oggetti di una coscienza. Tutti gli esistenti sono oggetti di conoscenza, o più letteral­mente oggetti del conoscere, poiché tutti gli oggetti vengono continuamente conosciuti da qualche coscienza. Anche senza con­siderare la chiaroveggenza penetrativa dei Buddha e degli Yogi, i vari spiriti affamati e gli insoliti tipi di esseri che esistono in ogni luogo garantiscono che persino le particelle nel centro delle rocce smisurate, sono conosciute da alcuni esseri. Tutti gli esistenti sono basi esistenti o basi stabilite co­me esistenti da validi cognitori. Validi cognitori sono coscienze le quali debbono essere sia diretti percettori, che riconoscono i loro oggetti senza la mediazione di immagini e concetti, sia coscienze inferenziali, che conoscono i loro oggetti di riferimento attraverso immagini o concetti.

Gli esistenti sono divisi in due tipi:

Quadro 2: Divisione degli Esistenti:

Esistente: fenomeno permanente (nitya, rtag pa)             cosa (bhava, dngos po)

 

Non Esistenti

Alcuni tra i più famosi esempi di non esistenti sono: le corna di una lepre, i peli di una tartaruga, un vestito fatto di pelo di tartaruga, il diadema di una rana, la neve di una montagna blu (una montagna innevata che appare essere blu), una luna doppia, una persona autosufficiente e fenomeni esistenti inerente­mente. Le corna di una lepre non esistono inerentemente poiché esse non esistono affatto. La semplice realizzazione della loro non-esistenza rivela che le corna di una lepre non esistono inerentemente; quindi la non-esistenza inerente delle corna di una lepre non è una vacuità. La vacuità non viene compresa realizzando la mera non-esistenza di un oggetto; essa viene conosciuta comprendendo, nell'oggetto esistente, l'assenza della qualità di esistenza oggettiva o inerente.

Si dice che le corna di una lepre non esistono inerentemente, non sono inerentemente esistenti e sono non-inerentemente esi­stenti. Nella logica Buddhista nessuna di queste asserzioni è necessariamente una negazione affermativa; il fatto che le cor­na di una lepre siano non-inerentemente esistenti non implica che esse abbiano altri tipi di esistenza. L'asserzione sta ad in­dicare una negazione non-affermativa.

Un sinonimo di 'non esistente' è 'non-prodotto o non-fenomenico'. I non esistenti sono non-prodotti in quanto non vengono prodotti da un' aggregazione di cause e condizioni; essi sono inoltre non­-fenomenici poiché non hanno esistenza, diversamente dai non-pro­dotti fenomenici, che invece esistono, come ad esempio il fenomeno permanente dello spazio.

FENOMENI PERMANENTI

I fenomeni permanenti vengono definiti come fenomeni che non si disintegrano, essendo i fenomeni disintegrabili quelli che ces­sano in ogni istante a motivo di cause e condizioni. I permanenti sono qualificati come fenomeni non disintegrabili giacché an­che i non-esistenti o non-fenomeni sono non disintegrabili. A motivo dell'inclusione della parola 'fenomeni' nella definizione dei permanenti, i non esistenti non sono permanenti, sebbene essi non si disintegrino. Un sinonimo di fenomeno permanente è 'fenomeno non-composto' (asamskrtadharma, dus ma byas kyi chos). Ci sono due tipi di fenomeni permanenti: il permanente occa­sionale e il permanente non occasionale. Sebbene nel linguaggio comune 'permanente' significhi 'sempre esistente', i filosofi della scuola Sautràntika e superiori hanno limitato il suo si­gnificato a 'esistente non-disintegrabile'. Quindi, fenomeni che vengono ad esistere e scompaiono ma momentaneamente non si disintegrano a motivo di cause e condizioni sono 'permanenti oc­casionali'. Per esempio, la vacuità di una tazza diventa esistente all'atto della costruzione della tazza stessa, e cessa di e­sistere alla sua distruzione; comunque, poiché la vacuità della tazza non si disintegra momento per momento, né cambia momenta­neamente da una cosa in un'altra per l'azione di cause e condi­zioni, essa è 'non-disintegrabile'. Perciò, poiché la vacuità di una tazza è un fenomeno non-disintegrabile ma non esiste per sempre, essa è un 'permanente occasionale'. Tuttavia, la vacuità in generale, quantunque non esistendo come un'entità separata dai suoi specifici casi, è sempre esistente, poiché non c'è mai un momento in cui non ci siano casi di vacuità. Ci sono sempre menti, spazio, elementi potenziali, e così via, e questi sono tutti vuoti di esistenza inerente.

C'è qualche discussione sul fatto che una tale presentazione possa rendere la vacuità un fenomeno impermanente. Giacché il­venire e l'uscire dall'esistenza di una vacuità dipende dal fe­nomeno che è, prodotto e cessato a motivo di cause e condizioni, comincia a sembrare che una vacuità possa prodursi ed esaurirsi. Comunque, si dice che la venuta all'esistenza di una vacuità, che è meramente l'esistenza non-inerente di un oggetto, è differente dalla produzione di un oggetto dovuta a cause e condizioni, e quindi non si parla di produzione e scomparsa della vacuità. I fenomeni permanenti nvengono suddivisi, ma non in modo esclusivo (ci sono altri fenomeni che sono tecnicamente 'permanenti', come il doppio opposto di un vaso, che appare solamente allorché si pensa all'esclusione mentale del non-vaso, o più esattamente, allorché lo si pensa separato dal vaso stesso) in quattro tipi:

Quadro 3: Divisioni dei Fenomeni Permanenti:

 

  --Spazlo (akasha, nam mkha')

fenomeno ---       --cessazione analitica (pratisankhyànirodha, so sor brtags 'gog)

permanente

--cessazione non analitica (apratisamkhyànirodha, so sor                        brtags min gyi 'gog pa)

 -- talità (tathatà, de bzhin nyid)

Spazio

Uno spazio è una mera assenza di contatto ostruttivo. Lo spazio è onnipervadente perché c'è ovunque un'assenza di contatto ostrut­tivo, anche dove non esistono oggetti solidi, perché senza un'as­senza di contatto ostruttivo un oggetto ostruttivo non potrebbe in primo luogo essere lì.

Poiché lo spazio è una mera assenza di contatto ostruttivo, esso è un negativo non-affermativo (non è implicata alcuna cosa positiva al suo posto), è in questo senso che una vacuità, che è un negativo non-affermativo dell'esistenza inerente, è detta es­sere simile allo spazio. Inoltre lo spazio, come la vacuità, pos­siede parti poiché ogni oggetto fisico ha un'assenza di contatto ostruttivo, proprio come ogni oggetto ha un'assenza di esistenza inerente. Lo spazio di un oggetto non si riferisce all'area del­l'oggetto, ma all'assenza di contatto ostruttivo associata con esso.

Cessazioni analitiche

Le cessazioni analitiche sono gli stati definitivi della cessazione delle ostruzioni basata sull'analisi della natura dei fenome­ni, che sono tali da non far tornare mai più queste ostruzioni. Es­se vengono enumerate come vere cessazioni, la terza delle quattro nobili verità, in relazione all'abbandono delle ostruzioni indivi­duali nei vari livelli dei sentieri. 'Cessazione' qui significa l'assenza di un'afflizione conseguente all'abbandono e non si ri­ferisce al processo di cessazione. Le cessazioni analitiche ven­gono paragonate alla condizione di una porta sprangata dopo che un ladro sia stato scacciato fuori della casa, in quanto le ostru­zioni che erano state abbandonate non torneranno più. Le cessa­zioni analitiche vengono ad esistere anche se non sono prodotte; perciò, sebbene esse non escano mai dall'esistenza, individual­mente esse sono permanenti occasionali.

Un nirvana è una cessazione analitica che viene ad esistere dopo l'abbandono dell'ultima afflizione. Esso non è l'atto di ces­sazione o l'atto di passaggio oltre la sofferenza, ma un fenomeno contenuto nel continuum di uno Yogi, e che è la mera assenza delle afflizioni cessate.

Cessazioni non analitiche

Le cessazioni non analitiche vengono paragonate alla condizione di aver cacciato fuori un ladro ma senza essere riusciti a spran­gare la porta. Esse sono assenze di afflizioni solo temporanee e così via, dovute all'incompletezza delle condizioni necessarie, sulla aggregazione delle quali le afflizioni ritorneranno. Per esempio, quando una persona ripone intensa attenzione a ciè che sta veden­do, non desidera cibo. Il desiderio per il cibo non è scomparso per sempre dal suo continuum mentale, ma soltanto temporaneamente. Le cessazioni non analitiche vanno e vengono dall'esistenza e così sono, in rapporto ai casi specifici, permanenti occasionali.

 

Talità

La 'talità' si riferisce alla 'vacuità' perché sia che i Buddha appaiano o no, la natura dei fenomeni rimane qual essa è. Una 'talità' è anche un 'nirvana naturale' (prakrtiparinirvana, rang bzhin

myang 'das), che non si riferisce a un passaggio effettivo oltre la sofferenza, il quale è un superamento delle afflizioni, ma ad una vacuità che è essa stessa andata naturalmente oltre l'esisten­za inerente. L'insegnamento che l'esistenza ciclica (samsara) ed il nirvana non sono differenti, significa che i fenomeni dell'esistenza cicli­ca sono le medesime entità dei loro naturali nirvana, o vacuità, e non entità separate. Questo non significa che non vi sia differen­za tra l'essere afflitti a causa della concezione dell'esistenza inerente e il non essere afflitti per nulla.

 

COSE

L'altra divisione degli esistenti comprende le cose o realtà oggettive.

La definizione di cosa è: ciò che è adatto ad adempiere una fun­zione (in particolare la funzione di produrre un effetto). Quin­di, in accordo a tutte le scuole eccetto i Vaibhashika, i feno­meni permanenti non sono cose. I Vaibhashika dicono che i feno­meni permanenti sono 'cose' perché, per esempio, uno spazio adem­pie la funzione di permettere ad un oggetto di essere spostato. Gli altri sistemi di dottrine, incluso il Pràsangika, dicono che è la presenza o l'assenza di un altro oggetto ostruttivo, ciò che permette o no ad un oggetto di essere spostato, non lo spa­zio stesso, che è, appunto, un negativo non-affermativo del con­tatto ostruttivo. Inoltre i Pràsangika definiscono anche la vacuità - un negativo non-affermativo di esistenza inerente - una 'causa di Buddhità' perché senza di essa la trasformazione della mente in saggezza non sarebbe possibile. Tuttavia non si può di­re che lo spazio causi la possibilità di movimento, esattamente come la vacuità non è effettivamente causa di Buddhità. Le cose sono impermanenti (anitya, mi rtag pa) poiché sono fenomeni che si distruggono momento per momento. Anche se gli oggetti impermanenti sono momentanei, essi non durano esattamen­te un momento; se così fosse, non si potrebbe dire che gli esseri senza diretta percezione yogica percepiscano mai gli oggetti, dato che non hanno la capacità di riconoscere un singolo isolato istante. Gli oggetti impermanenti di cui questi esseri hanno conoscenza sono serie di momenti; i fenomeni vengono imputati su delle serie di momenti e sono introvabili tra i vari momenti co­sì come tra le stesse serie. Tuttavia, la natura attribuita delle cose non impedisce loro di compiere funzioni; l'essere meramente imputata è un prerequisito per l'adempimento di una funzione. Se le cose fossero congelate in un mondo di esistenza inerente, non soggette a cause e condizioni e incapaci di avere effetto su nien­te altro, non ci potrebbe essere nessuna causa né effetto. L'esi­stenza non inerente è la vera base della causa ed effetto, e la presenza di una causa ed effetto è una prova dell'esistenza non inerente. Le cose sono inoltre prodotti, o fenomeni causati, o fenomeni composti (samskrta, dus byas) poiché esse sono prodotte (krta, byas) in dipendenza di una aggregazione (sam, dus) di cause e condizioni. Il termine 'cosa' (bhava, dngos po) quando è usato in senso stretto come lo è qui nella tavola dei fenomeni, si ri­ferisce solo ai prodotti; comunque quando esso è usato liberamen­te, come spesso avviene nei Sutra della Perfezione della Saggezza, si riferisce sia ai prodotti che ai non-prodotti, come quando il Buddha dice che nessuna cosa esiste in modo ultimo. Le cose, o prodotti, vengono suddivise in tre categorie:

Quadro 4: Divisioni delle Cose:

    ---- forme (rúpa, gzugs)

cose -------------------     ---- coscienza (jnana, shes pa)

                      ---- fattori composizionali non associati (viprayukta-samskàra,

                                                                              (ldan min 'du byed)

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II°)  FORME

 

Fonte:

Identificazione di Elementi, Derivati degli Elementi, e Così Via,

di Char-har Ge-shay.

Etimologicamente una forma è così chiamata perché è adatta a di­venire un oggetto di una coscienza sensoriale, sull'aggregazione di altre cause, come la presenza del senso della vista. Tuttavia, poiché ci sono forme che vengono percepite solo per mezzo della coscienza mentale, questa spiegazione è semplicemente etimologi­ca, e non è una definizione.

Le forme vengono divise in undici tipi: i cinque poteri dei sensi fisici, i cinque oggetti dei sensi, e le forme che sono oggetti solo della coscienza mentale (vedi Quadro 5).

Poteri sensoriali

I cinque poteri sensoriali non sono gli organi grossolani, che sono occhi, orecchie, lingua, naso e corpo, né sono le loro co­scienze. Essi sono chiara sostanza situata negli organi grosso­lani, la quale non può essere vista con gli occhi ma può essere vista da alcuni chiaroveggenti. Questi sensi trasmettono alle loro ri­spettive coscienze il dominio o potere rispetto a certi oggetti e sono quindi chiamati 'poteri' (indriya, dbang po). Un senso della vista ha potere rispetto alle forme visibili, cioè colori e forme definite, ma non rispetto a suoni, odori, sapori e og­getti tangibili. Un senso dell'udito ha potere rispetto ai suo­ni ma non alle forme visibili, ecc. I poteri sensoriali danno alle loro rispettive coscienze la capacità di apprendere e di essere generate nell'aspetto dei loro rispettivi oggetti.

Occhio, (chakshuh, mig), potere della vista (chaksjìurindriya, mig gi dbang po), costituente visivo (chakshuhrdhatu, mig gi khams), sorgente visiva (chakshurgyatana, mig gi skye mched) sono sinonimi. Un potere sensoriale dell'occhio viene chiamato un costituente visivo per il fatto di essere la causa da cui sca­turisce la continuazione dei suoi stessi tipi simili, cioè momenti successivi di se stesso.

Quadro 5: Divisioni delle Forme

   senso della vista (chakshurindriya, mig gi dbang po)

  

    senso dell'udito (shrotrendriya, rna ba'i dbang po)

 

   senso dell'odorato (ghrànendriya, sna'i dbang po)

 

   senso del gusto (jihyendriya, lce'i dbang po)

 

   senso del tatto (kàyendreiya, lus kyi dbang po)

 

forma ---------

    forma visibile (rúpa, gzugs)

 

      suono (shabda, sgra)

 

      odore (gandha, dri)

 

      sapore (rasa, ro)

 

      oggetto tangibile (sprashtavya, reg bya)

 

      forma della coscienza mentale (dharmàyatanarúpa,

                                                   (chos kyi skye mched pali gzugs)

 

Questo potere è anche chiamato sorgen­te-visiva per il fatto di essere una porta, una causa, una con­dizione o sorgente che produce ed incrementa una coscienza visiva. La stessa terminologia viene usata anche per i poteri sensoriali dell'orecchio, del naso, della lingua e del corpo.

Le particelle di ciascun potere sensoriale sono disposte in una forma specifica: il senso della vista come quella di un bocciolo di fiore 'zar-ma'; l'udito come il nodo di un albero di betulle, l'odorato come due sottili canali alla radice delle narici; il gusto come mezze lune, della dimensione della punta di un pelo, in tutta la parte centrale della lingua; il tatto come pelle o cuoio in tutto il corpo. Come forme del tatto, le particelle dell'organo femminile sono disposte come l'interno di un cilindro, e quelle dell'organo maschile sono sistemate co­me il dito pollice.

Il potere sensoriale della coscienza mentale non è fisico e quindi non ha forma; un momento precedente di ciascuna delle sei coscienze funziona come potere sensoriale della coscienza mentale. Per esempio, quando uno presta attenzione ad un colore, una coscienza visiva agisce come un potere sensoriale in quanto dà alla coscienza mentale la possibilità di percepire un ogget­to visibile.

Un potere sensoriale è una condizione straordinaria di con­ferimento di potere (asàdhàrana-adhipatipratyaya, thun mong ma yin pa'i bdag rkyen) ad una coscienza, poiché le dà il suo potere rispetto al suo proprio particolare tipo di oggetti. Inoltre, anche un precedente momento di coscienza determina il suo essere un'entità capace di fare esperienza degli oggetti. Quindi, una coscienza mentale ha due coscienze come proprie cause: ciascuna delle sei co­scienze che è la sua condizione di potenziamento, ed un prece­dente momento di coscienza che è la sua 'condizione immediatamen­te precedente' (samanantarapratyaya, da ma dag rkyen).

Una coscienza è anche causata, o determinata, da un oggetto, nel senso che un oggetto è una causa della generazione di una sua immagine nella coscienza, così come gli oggetti sono causa del riflesso della loro immagine in uno specchio. Tali oggetti sono chiamati 'condizioni dell'oggetto osservato' (àlambanapratyaya, dmigs rkyen). Tuttavia il mondo che viene visto non è esattamen­te solo un'immagine mentale; la coordinazione di un'immagine nella coscienza con un oggetto garantisce che l'oggetto venga percepito propriamente, ma l'oggetto visto è un oggetto esterno, non una immagine interna. La teoria Buddhista non afferma che tutto ciò che viene percepito esiste solo all'interno dell'occhio o del cervello.

Forme visibili

Le forme visibili (rupa, gzugs) sono definite oggetti di cono­scenza di una coscienza visiva e devono essere distinte dal termine generale 'forma' che è la base della divisione in undici tipi di forme. Una forma visibile è chiamata un 'costituente -formale'(rúpadhàtu) per il fatto di essere una causa che dà origine alla continuazione del proprio tipo similare, cioè successivi momenti di forma visibile; ed è chiamata una sorgente formale (rupa-àyatana) per essere una forma che è una porta, una causa, una condizione o sorgente di una coscienza visiva. Le forme vi­sibili sono di due tipi:

Quadro 6: Divisioni delle Forme Visibili

---- colore (varna, kha dog)

 

forma visibile ---------------

----configurazione (samsthàna, dbyibs)

 

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Colori.

Ci sono dodici colori, quattro primari e otto secondari (vedi Quadro 7). I quattro colori

primari sono i colori dei quat­tro elementi. L'aria è l'azzurro: la terra, il giallo; l'acqua, il bianco; ed il fuoco, il rosso. Non è che le nuvole e gli altri siano essi stessi i colori se­condari, ma i loro colori sono colori secondari. Tuttavia alcuni studiosi dicono che luminosità, buio, luce ed ombra sono essi stessi colori secondari. La luminosità si riferisce alla luce della luna, delle stelle, del fuoco, di certe sostanze medicamentose, e dei gioielli. Il buio si riferisce ad una forma che oscura altre forme e produce la visione di oscurità e nerezza. Il buio oscura altre forme cosicché esse non possono essere viste, mentre l'ombra produce sulle altre forme un piccolo oscuramento, ma ancora percettibile; quindi il buio e l'ombra possiedono una differenza di intensità. La luce solare si riferisce alla illu­minazione delle altre forme in presenza del sole. Gli otto colori secondari non includono quei colori secondari che sono mescolanze dei colori primari, come il verde che è una mescolanza di blu e giallo, e quindi la categoria non è totalmente onninclusiva.

 

Quadro 7': Divisioni dei Colori

                                                

...….azzurro (nila, sgompo)

Colore primario 

……..giallo (pita, ser po)

                                              

                                      ….. bianco (avadata, dkar po)

                                             …………. rosso (lohita, dmar po)              

 

segue Colori  …….nuvola (abhra, sprin)

Colore secondario                …….fumo (dhuma, du ba)

                                       ……. polvere (rajah, brdul)

                                       …….. nebbia (mahika, khug sna)

                                     

                                       ……. luminosità (aloka, snang ba)

                                        

      …… buio (andhakara, mun pa)

 

    ……… ombra (chaya, grib ma)

 

       .….. luce solare (atapa, nyi ma'i 'odser)

 

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Una coscienza visiva conosce effettivamente solo colori e configurazioni  . Sebbene vasi, colonne, e così via, appaiano ad una coscienza visiva, e sebbene si dica che una coscienza visiva li veda, vasi, colonne, ecc., non sono oggetti di conoscenza di una coscienza visiva. Piuttosto, sono il colore e la configurazione di vasi, colonne, ecc., cioè la loro forma visibile - che è l'oggetto di conoscenza di una coscienza visiva e quindi essi sono anche costituenti formali o  sorgenti formali. Sebbene vasi e co­lonne siano sia materia che forma, essi non sono forme visibili, costituenti formali o sorgenti formali, ma oggetti tangibili, costituenti di oggetti tangibili e sorgenti di oggetti tangibi­li. Ugualmente, quando si vede la forma visibile di un uomo o di un cavallo, si vedono le loro fattezze ed il colore ma, in un certo senso non si vede l'uomo o il cavallo. Ancora, vedendo la terra o l'acqua si può vedere il loro colore, dato che terra ed acqua sono oggetti tangibili, e pertanto l'occhio non vede le relative capacità di compatezza e umidità. Inoltre, quando vie­ne vista la forma visibile di un vaso, la coscienza visiva non concepisce 'Questo è un vaso', ma è -la coscienza mentale che identifica e attribuisce un nome.

Configurazioni.

Le configurazioni sono solo di otto tipi:

 

Quadro 8:    Divisioni delle Configurazioni

---- lungo (dirgha, ring ba)

---- corto (hrasva, thung ba)

---- alto (unnata, mtho ba)

--- basso (avanata, dma' ba)

--- quadrato (vrtta, lham pa)

---- rotondo (parimandala, zlum po)

---- piano (shàta, phya le ba)

 --- non-piano (vishata, phya le ba ma yin pa)

 

Lungo si riferisce alla forma di un lungo asse, di una lunga cor­da, un lungo (profondo) salto, e così via. Corto nasce in relazio­ne a quello. Alto e basso si riferiscono, per esempio, ad un'alta montagna ed una bassa vallata. Un quadrato, o meglio un poligono, è tecnicamente una forma dal perimetro regolare, come un dado, un pen­tagono, un esagono, e così via; comunque, vi sono anche incluse le configurazioni di una scatola o una tavola rettangolari. Rotondo riguarda sia lo sferico, come un uovo, che il piatto, come un mandala. Piano si riferisce ad ogni configurazione avente una superficie piatta, mentre non-piano si riferisce a una configu­razione con, per esempio, dossi o avvallamenti.

 

Suoni

I suoni, che vengono definiti come oggetti di ascolto di una coscienza uditiva sono divisi in otto tipi (vedi quadro 9). Suono, costituente sonoro e sorgente sonora sono sinonimi. Sebbene i suoni siano entità costituite da particelle, essi non sono sor­genti formali, cioè forme visibili.

 

Quadro 9: Divisioni dei Suoni

suono articolato ------(1) e (2)

                                                                 sattvàkhya,

--- suono causato da elementi                        sems can du ston pa        

congiunti con la coscienza

(upàttamahàbhuta hetuka,                     suono inarticolato ----(3) e (4)

zin pa'i 'byung ba chen po rgyur byas pa)      asattvàkhya,

sems can du mi ston pa

 

---suono causato da elementi                       suono articolato------(5) e (6)

non congiunti con la coscienza

(anupàttamahà­bhútahetuka,                   suono inarticolato----(7) e (8)

ma zin pa'i 'byung ba chen po rgyur byas pa)

 

(1) suono piacevole, es. parole di dottrina (yasha, snyan pa)

(2) suono spiacevole, es. parole aspre (ayasha, mi snyan pa)

(3) s. piacevole, es. suono di schiocco di dita

(4) s. spiacevole, es. suono di uno schiaffo

(5)s. piacevole, es. parole di dottrina insegnate da alberi fruscianti,a causa del potere straordinario di un Buddha -

(6) s. spiacevole, es. parole di rimprovero pronunciate da alberi, a causa del potere straordinario di un Buddha -

(7) s. piacevole, es. suono di un tamburo

(8) s. spiacevole, es. suono di pietre che franano

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Odori

Gli odori, che sono definiti oggetti dell'olfatto di una coscien­za olfattiva, sono solamente di quattro tipi:

 

Quadro 10: Divisioni degli Odori

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odore profumato regolare

(samasugandha, zhim pa'i dri mnyam pa)

 

odore profumato

sugandha- dri zhim pa

odore profumato irregolare                                              (visamsugandha, zhim pa'i dri mi mnyam pa)

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odore non profumato regolare

(samadurgandha, mi zhim pa'i dri mnyam pa)

odore non profumato

durgandha- dri mi zhim pa               

odore non profumato irregolare

                                               (visamadurgandha, mi zhim pa'i dri mi mnyam pa)

 

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Un odore regolare, come l'odore del sesamo, non impregna altri oggetti, mentre è vero il contrario per gli odori irregolari, co­me l'odore dell'aglio. Odore, costituente olfattivo e sorgente olfattiva sono sinonimi.

 

 

Sapori

I sapori, che sono definiti oggetti di gusto di una coscienza gustativa, sono solamente di sei tipi.(vedi Quadro 11).

La dolcezza risulta da una prevalenza di terra e acqua; l'asprez­za da una prevalenza di fuoco e terra; la salinità da una preva­lenza di acqua e fuoco; il piccante da una prevalenza di fuoco ed aria; l'amaro da una prevalenza di acqua e aria; mentre il sapore astringente da una prevalenza di terra ed aria.

 

Quadro II: Divisioni dei Sapori

 

------------ dolce, (es. gusto di melassa) (madhura, mngar ba)

 

------------ aspro, (es. gusto di limone) (amla, skyur ba)

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------------ salato, (es. gusto del sale marino) (lavana, lan tsha ba)

 

------------ piccante, (es. gusto di zenzero) (katuka, tsha ba)

 

------------ amaro, (es. gusto di genziana) (tikta, kha ba)

 

----------- astringente,(gusto del frutto mirabolano) (kashàya, bska ba)

 

 

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Oggetti tangibili

Gli oggetti tangibili, che sono definiti come oggetti del tatto di una coscienza del corpo, sono di undici tipi - i quattro ele­menti e sette oggetti tangibili che sono derivati dagli elementi (vedi Quadro 12).

La definizione di terra è il duro e ostruttivo; la sua entità è compattezza, e la sua funzione è l'ostruzione degli altri oggetti fisici. La definizione di acqua è l'umido e molle. La definizione di fuoco è il caldo e bruciante. La defi­nizione di aria è il lieve e mobile.

Le particelle che servono come base per la costituzione degli oggetti fisici sono aggregati delle otto sostanze: terra, acqua, fuoco, aria, forma visibile, odore, sapore e oggetto tangibile prodotto dagli elementi. (Il suono non è incluso perché non pos­siede un continuum di tipo similare). Quindi, dovunque esista uno degli elementi, esistono anche gli altri tre, ma c'è una dif­ferenza di forza e, quindi, predominanza (alcuni dicono che gli altri coabitano come semi, cioè in potenza).

Il fatto che la pietra, il legno, e così via, restino uniti indica la presenza dell'elemento acqua nell'elemento terra; che le pietre e gli alberi possano muoversi indica la presenza dell'e­lemento aria nell'elemento terra; che si producano scintille quan­do si sfregano due pietre indica la presenza dell'elemento fuoco. In modo simile, il fatto che l'elemento acqua possa servire come supporto per imbarcazioni, foglie e così via, indica che l'elemento terra è presente nell'elemento acqua; che le foglie e le radici marci­scano in acqua e che ci siano sorgenti calde sta ad indicare la presenza dell'elemento fuoco nell'acqua; che l'acqua scorra in di­scesa e si muova qua e là indica la presenza dell'elemento aria. Similmente, che le foglie e l'erba siano sostenute nell'aria in­dica la presenza dell'elemento terra nell'elemento aria; che ci siano venti caldi e che oggetti umidi si asciughino quando sono stesi fuori al vento indica la presenza dell'elemento fuoco nel­l'elemento aria; che correnti d'aria siano tenute insieme in un vortice indica la presenza dell'elemento acqua. Ugualmente, che una lingua di fuoco ne reggiunga un'altra e che una lingua di fuoco possa sostenere foglie, erba e così via, indica la presenza dell'elemento terra nell'elemento fuoco; che lingue di fuoco non si scindano separatamente ma brucino insieme indica la presenza dell'elemento acqua; che lingue di fiamma si muovano qua e là in­dica la presenza dell'elemento aria.

 

Quadro 12: Divisioni degli Oggetti Tangibili---

elemento ------------------------(­bhuta, 'byung ba)                                         

---- terra, (prthivi, sa)

----acqua, (ap, chu)

----fuoco, (tejas, me)

----aria, (vayu, rlung)

---- levigatezza (shlakshnatva'jam pa)

---- ruvidezza (karkashatva, rtsub pa)

---- pesantezza (gurutva, lci ba)

---- leggerezza (laghuva, yang ba)

 

---oggetto tangibile derivato dagli elementi -----------------------  (bhautika, 'byung 'gyur)   

 

---- freddo, (shita, grang ba)

---- fame, (bubhuksha, bkres pa)

---- sete, (pipàsà, skom pa)

 

I sette oggetti tangibili derivati dagli elementi sono prodot­ti dai quattro elementi. La levigatezza è prodotta da una preponderan­za di acqua e fuoco. La ruvidità è prodotta da una preponderanza di terra e aria. La pesantezza è prodotta da una preponderanza di terra e acqua. La leggerezza è prodotta da una preponderanza di fuoco e aria. Il freddo è prodotto da una preponderanza di acqua e aria. La fame è prodotta da una preponderanza di aria. La sete da una preponderanza di fuoco.

I colori delle particelle dipendono dall'elemento che è predominante. Se predomina l'elemento terra, il colore è giallo; se l'acqua, il bianco; se il fuoco, il rosso; e se l'aria, il blu. Le composizioni dei gruppi di particelle sono determinate dalla disposizione delle particelle-colore e non sono separate dalle particelle stesse. Le particelle di forma/colore sono differenti dalle particelle di odore, sapore o tatto e quindi sono classi­ficate separatamente dai quattro elementi come oggetti visibili.

Le forme visibili, i suoni, gli odori, i sapori e gli oggetti tangibili sono tutti atomici dato che sono masse di particelle, ma queste non sono necessariamente particelle singole. Altrimen­ti i singoli oggetti dei sensi sarebbero particelle singole e non ci sarebbero oggetti grossolani. Sebbene le forme visibili, i suoni, gli odori, i sapori e gli oggetti tangibili siano 'atomici', molti dicono che non sono 'atomicamente stabiliti' (rdul du grub pa) poiché la parola 'stabiliti' comporta il significato di 'realmente stabilito'(satyasiddha, bden grub) o il suo sinonimo 'realmente esistente' (satyasat, bden par yod pa). Poiché 'ato­micamente stabilito' è la definizione della sostanza (kanthà, bem po), si può dire che i Pràsangika non accettano 'sostanza'. Questo, comunque, non significa che le particelle e gli oggetti grossolani costituiti da particelle non siano accettati nel si­stema Pràsangika. ln verità, la parola 'sostanza' sembra rife­rirsi a ciò che è costituito atomicamente e niente di più; co­munque la difficoltà non è soltanto nella traduzione. Poiché, in modo simile i Chittamàtrin accettano forme e particelle che sono della stessa entità di una coscienza che percepisce, ma non ac­cettano 'sostanza', perché per loro il termine stesso implica un oggetto esterno. Dire in Tibetano che ci sono particelle e ogget­ti costituiti da particelle, ma non 'bem-po', ha lo stesso valore che dire in una lingua Occidentale che ci sono particelle e oggetti costituiti da particelle ma che non sono sostanza. La parola 'sostanza' porta con sé una connotazione di vera esistenza, cioè la capacità di trovare mediante analisi qualcosa di solido. Che ci siano particelle e aggregati di parti­celle è accettato convenzionalmente ma, a causa delle implica­zioni del termine, secondo Jam-yang-she-ba, la definizione di 'sostanza' non è accettata nemmeno convenzional­mente

Giacché le forme visibili e così via, sono costituite atomica­mente, può sorprendere il fatto che i quattro elementi, che sono necessariamente presenti in ogni particella, siano classificati come oggetti tangibili. La ragione è che senza il tatto, la fun­zione della terra, compattezza e ostruttività, non può essere e­sperita. In modo simile, senza il tatto la funzione dell'acqua, umidità e mollezza, non può essere esperita; senza il tatto la funzione del fuoco, il calore e il bruciare, non può essere esperita; senza il tatto, la funzione dell'aria, la leggerezza e il movimento, non può essere esperita. Perciò, i quattro elementi sono classificati come oggetti tangibili. Le forme visibili, gli odori, i sapori, e gli altri oggetti tangibili sono sviluppati dagli elementi.

I cinque poteri sensoriali ed i cinque oggetti [dei sensi] sono chiamati i dieci oggetti fisici ostruttivi. Tra questi, co­lori e forme che possono essere mostrati ad una coscienza visiva sono chiamati forme ostruttive dimostrabili; quindi, forma dimo­strabile e oggetto di conoscenza di una coscienza visiva sono sinonimi. I cinque poteri sensoriali e i quattro oggetti rimanenti - suoni, odori, gusti ed oggetti tangibili - sono forme ostruttive non dimostrabili.

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Forme della coscienza mentale

La categoria finale della forma comprende le forme della coscienza mentale, le quali sono indimostrabili e non-ostruttive. Esse vengono definite come aggregati di forma che sono oggetti solo della coscienza mentale, e quindi sono classificati non come sor­genti formali (rúpàyatana, gzugs kyi skye mched), ma come sorgen­ti fenomeniche (dharmàyatana, chos kyi skye mched). (Vedi QuadroI3)

 

Quadro 13: Divisioni di Forme della Coscienza Mentale

 

---- forma prodotta da aggregazione (delle otto sostanze), es. una singola particella.

       (abhisamkshepika, bsdu ba las gyur ba)

 

----forma-spazio, es. chiaro spazio che appare soltanto alla coscienza mentale.

     (abhyavakàshika, mngon par skabs yod pa)

 

---- forma derivante da promesse, es. un voto o un'assenza di voto.

forma della coscienza -­mentale-----        (samàdànika, yang dag par blangs pa las gyur ba)

---- forma immaginaria, es. un cavallo, un ele­fante, una casa in un sogno,o un oggetto meditativo irreale, come un'area colma di cadaveri.

(parikalpita, kun btags pa)

 

----forma per una persona con potere meditativo, es. terra o acqua che appaia ad uno che sta in iso­lata stabilizzazione meditativa su terra e acqua.

     (vaibhútvika, dbang 'byor ba)

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Forme prodotte da aggregazione

Una singola particella non appare a una coscienza sensoriale di un essere ordinario, ma quando la coscienza mentale analizza una for­ma grossolana nelle sue parti, una singola particella può apparire, e quindi viene classificata come una forma della coscienza menta­le. La configurazione di una singola particella è necessariamente rotonda, ma i suoi colori sono vari, come descritto prima, a pro­posito dei quattro elementi. Poiché singole particelle appaiono solo alla coscienza mentale, tutte le configurazioni e i colori non vengono inclusi nella categoria delle forme visibili viste da una coscienza visiva.

 

Forma-spazio.

Lo spazio appare sia alla coscienza visiva che alla coscienza mentale e così lo spazio bluastro che appare ad una co­scienza visiva è la forma visibile, mentre lo spazio che appare alla coscienza mentale è una forma della coscienza mentale. En­trambi sono impermanenti, mentre lo spazio incausato, che è un ne­gativo non-affermativo di contatto ostruttivo, appare solo ad una coscienza mentale inferenziale ed è permanente. Come la vacuità, esso è la mera assenza di un fattore negato: vale a dire, l'esistenza inerente per la vacuità, ed il contatto ostruttivo per lo spazio.

 

Forme derivanti da promesse.

Quando si prende un voto di liberazio­ne individuale, una forma sorge in dipendenza della configurazione del corpo, come la prostrazione, e in dipendenza dei suoni-della parola, come il dichiarare che ci si asterrà dall'uccidere. Questa entità fisica sottile è detta sorgere al momento della prima presa del voto e resta con la persona fino alla perdita del voto o alla morte. In modo simile, una forma sorge dalla non restrizione, come per esempio in dipendenza dalle azioni fisiche e verbali di un ma­cellaio durante l'uccisione di animali. Un tipo comune di questo è la forma che sorge dalla virtù fisica e verbale. Le forme derivate da promesse sono continuazioni di virtù o peccato, e sorgono da a­zioni manifeste del corpo e della parola, oppure sorgono coltivan­do la stabilizzazione meditativa. Poiché le motivazioni di queste azioni non sono conoscibili dagli altri, queste vengono chiamate 'forme non-manifeste' (avijnaptirupa, rnam par rig byed ma yin pa'i gzugs).

 

Forme immaginarie.

Gli oggetti di sogno, come elefanti, e oggetti non reali di meditazione, come cadaveri che riempiono il mondo, appaiono come se fossero forme reali ma non lo sono; quindi vengono classificati come forme immaginarie. I Pràsangika dicono che una coscienza di sogno è solamente una coscienza mentale che appare negli aspetti delle cinque coscienze sensoriali. Un oggetto di sogno è un oggetto esterno che ha un effetto sulla coscienza men­tale, esattamente come un'immagine riflessa in uno specchio è un oggetto esterno che ha un effetto sulla coscienza visiva. I Mimamsaka che sono non Buddhìsti, dicono che la luce dell'occhio colpisce lo specchio, e a causa del ritorno della luce all'occhio si può vedere l'imma­gine. I Buddhisti Vaibhàshika dicono che un chiaro tipo di forma sorge dallo specchio. I Sautrantika, i Chittamàtrin e gli Yogà­chàra-Svàtantrika, sempre buddhisti, dicono che un'immagine speculare è una falsa apparizione per la mente e non c'è essenziale differenza dalla mente stessa. I Pràsangika, comunque, dicono che i riflessi, i peli svolazzanti visti da uno con le cataratte, e i miraggi, sono forme visibili esattamente come gli echi sono suoni. Una coscienza che percepisce questi è tuttavia errata perché, per esempio, un'immagine speculare di una faccia appare come una faccia, e non precisamente come un'immagine nello specchio.

 

Forme per una persona con poteri meditativi.

Le forme che appaio­no ad una persona che abbia ottenuto la padronanza nella medita­zione, sono oggetti di meditazione che esistono effettivamente. Terra e acqua pure e semplici, come una manifestazione meditativa di uno che abbia ottenuto la padronanza nella meditazione, sono reali e non sono forme immaginarie. Inclusi in questa categoria sono gli oggetti della manifestazione meditativa che possono es­sere mostrati alla coscienza visiva di un altro essere, mia ciò non rende l'oggetto una forma visibile così come appare al maestro; per lui questa è ancora una forma della coscienza mentale. Ciò è paragonato alla varietà di oggetti esistenti esternamente visti da differenti tipi di esseri, come nel caso in cui un dio vede una coppa di liquido piena di ambrosia, mentre nel mede­simo posto gli spiriti affamati ci vedono sangue e pus.

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III° COSCIENZA

Fonti:

Chiara Esposizione dei Tipi di Menti e Fattori Mentali di Ye-she Ghyel-tsen

Insegnamenti orali di Lati Rinpoche

 

La seconda suddivisione delle cose, o fenomeni impermanenti, è la coscienza, definita come 'ciò che chiaro e conoscente'. La coscienza è di due tipi:

 

Quadro 14: Divisioni della Coscienza

coscienza---------

------mente (chitta, sems)

------ fattore mentale (chaitta, sems byung)

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Mente

Una mente è un conoscitore della semplice entità di un oggetto, mentre un fattore mentale è un conoscitore che, sulla base del­l'osservazione di tale oggetto, si impegna nell'oggetto dal pun­to di vista di altri aspetti, come la funzione ecc. Le menti e i fattori mentali sono differenti pur essendo la stessa entità; es­si posseggono cinque somiglianze che, come è descritto nel 'Tesoro di Conoscenza' (Abhidharmakosa) di Vasubandhu, sono:

1) Identità di base. Una mente ed i fattori mentali che l'accompa­gnano, dipendono dallo stesso potere sensoriale, come nel caso di una coscienza visiva e dei suoi fattori mentali, che dipendono entrambi dal potere del senso visivo fisico.

2) Identità dell'oggetto di osservazione. Una mente e i suoi fat­tori mentali osservano lo stesso oggetto. Per esempio, quando la coscienza visiva principale apprende il blu, altrettanto fa il fattore mentale della sensazione che la accompagna.

3) Identità di aspetto. Per esempio, se la coscienza visiva prin­cipale viene generata nell'aspetto (o immagine) del blu, lo è anche il fattore mentale della discriminazione che la accompagna.

4) Identità di tempo. Una mente e il suo fattore mentale sono pro­dotti, continuano e cessano simultaneamente.

5) Identità di entità sostanziale. Così come l'entità sostanziale di una particolare mente in ciascun momento è singola e non vi sono molteplici menti dello stesso tipo, come per esempio di­stinte coscienze visive, così anche l'entità sostanziale di un fattore mentale dell'intenzione che accompagna la coscienza visiva, è singola a sua volta.

Il 'Compendio della Conoscenza' (Abhidharmasamucchaya) di Asanga unifica l'identità di oggetto di osservazione e l'identità di a­spetto, e ne aggiunge un'altra, l'identità di regno e livello. Ciò si riferisce al fatto che se, per esempio, la mente principale ap­partiene al Regno del Desiderio, essa sarà accompagnata solo dai fattori mentali del Regno del Desiderio, e non dai fattori mentali del Regno della Forma o del Senza Forma.

Le menti sono solo di sei tipi (vedi Quadro 15).

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Quadro 15: Divisioni delle Menti

 

---- coscienza dell'occhio (chakshurvijnàna, mig gi rnam par shes pa)

---- coscienza dell'orecchio (shrotravijnàna, rna ba'i rnam par shes pa)

---- coscienza del naso (ghrànavijnàna, sna'i rnam par shes pa)

---- coscienza della lingua (jihvàvijinàna, lce'i rnam par shes pa)

---- coscienza del corpo (kàyavijnàna, lus kyi rnam par shes pa)

--- coscienza mentale (manovijnàna, yid kyi rnam par shes pa)

 

Una coscienza visiva è un conoscitore individuale che dipende dall'occhio ed os­serva una forma visibile. Una coscienza uditiva è un conoscitore individuale che dipende dall'orecchio ed osserva il suono. Una co­scienza olfattiva è un conoscitore individuale che dipende del na­so ed osserva l'odore. Una coscienza gustativa è un conoscitore individuale che dipende dalla lingua ed osserva il sapore. Una co­scienza del tatto è un conoscitore individuale che dipende dal cor­po ed osserva oggetti tangibili. Una coscienza mentale è un cono­scitore individuale che dipende dal senso mentale (che è un prece­dente momento di coscienza, e quindi non fisico) e osserva i feno­meni.

La mente che conosce la vacuità, sia inferenzialmente che di­rettamente, è una coscienza mentale, non una coscienza visiva, udi­tiva, olfattiva, gustativa o tattile, eccetto nel caso di un Bud­dha, le cui coscienze sono inter-funzionali. La coscienza mentale ha la capacità di penetrare, dapprima concettualmente e in seguito non-concettualmente, la natura dei fenomeni, che non solo è oltre il regno della percezione sensoriale di un non-Buddha, ma è anche oscurata da un falso velo che accompagna la percezione sensoriale, fino a che non si giunga alla Buddhità. In dipendenza dal ragionamento, la coscienza mentale, dapprima concettualmente, realizza la vacuità di un parti­colare oggetto attraverso l'immagine della vacuità che è una negazione dell'esistenza inerente; quindi attraverso la familiariz­zazione con la conoscenza, l'elemento dell'immagine viene rimosso, dopodiché la coscienza mentale diviene la saggezza di un Essere Supe­riore, il quale può comprendere direttamente la vacuità.

 

Fattori mentali

Vi sono cinquantuno fattori mentali che vengono classificati in sei gruppi:

Quadro 16: Divisioni dei Fattori Mentali

---- fattore omnipresente (5)(sarvatraga, kun 'gro)

---- fattore determinante (5)(viniyata, yul nges)

---- fattore virtuoso (11) (kushula, dge ba)

---- afflizione radice (6) (mulaklesa, rtsa nyon)

---- afflizione secondaria (20) (upaklesa, nye nyon)

----fattore variabile (4) (aniyata, gzhan 'gyur)

Fattori mentali onnipresenti.

I fattori mentali onnipresenti ven­gono così chiamati perché essi accompagnano necessariamente ogni mente, perfino la saggezza che comprende la vacuità. I cinque fat­tori mentali onnipresenti sono:

Quadro 17: Divisioni dei Fattori Mentali Onnipresenti

---- sensazione, (vedana, tshor ba)

----discriminazione (samjna, 'du shes)

----intenzione (chetana, sems pa)

---- contatto (sparsha, reg pa)

---- impegno mentale (manaskàra, yid la byed pa)

Sensazione. La sensazione è un'entità di esperienza che sperimenta individualmente i risultati di azioni virtuose e non virtuose. I suoi oggetti sono piacere, dolore e indifferenza. Il piacere è quello che, una volta cessato, si vorrebbe riprovare nuovamente; il dolore è quello da cui, quando sorge, ci si vorrebbe separare; e l'indif­ferenza, essendo né piacere né dolore, è quella sensazione riguardo alla qua­le, quando sorge, non c'è né il desiderio di riincontrarla, né il desiderio di separarsene. Il piacere, il dolore e l'indifferenza sono chiamati 'risultati' allo scopo di sottolineare che ogni gene­razione di piacere, dolore e neutralità sono risultati di precedenti azioni.

Tutti i piaceri, persino quello che sorge da una fresca brezza in un inferno, sorgono dalle azioni (karma, las) virtuose accumula­te in passato. Similmente tutti i dolori, persino un mal di testa per un Realizzato (Distruttore del Nemico), sorgono da azioni non­-virtuose accumulate nel passato. In altre parole, piacere e dolore non sorgono senza causa, o da una causa incompatibile, come la na­tura (prakrti, rang bzhin) sostenuta dai Shamkhya, o il signore Ishvara, come viene affermato dagli Aishvara. Piuttosto, il piacere e il dolore in generale, come l'essere nato come umano o come un essere infernale, sorgono da generali azioni virtuose o non-virtuose, tali quali un'azione morale o il peccato dell'uccisione. Similmen­te, le varietà di particolari piaceri e dolori sorgono dalle varie­tà di particolari azioni virtuose o non-virtuose. Lo sviluppo di certezza riguardo a tale precisa e disingannatoria relazione di causa ed effetto - del piacere con la virtù e del dolore con la non-virtù - viene esaltata come la base di ogni fausta dottrina e chiamata la visione corretta di ogni Buddhista.

Piacere (sukha); dolore (duhkha), e indifferenza neutra (aduhkhàsukha) possono essere divisi ognuno in sensazione fisica (kàyiki) e men­tale (chaitasiki), che diventano sei tipi di sensazione. La sensa­zione fisica si riferisce a quella che accompagna ognuna delle cin­que coscienze sensoriali, non solamente a quella che accompagna la coscienza corporea. Essa è chiamata fisica perché i poteri dei cin­que sensi sono composti di chiara sostanza e perché il potere del senso corporeo pervade i poteri sensoriali dell'occhio, orecchio, naso e lingua. La sensazione mentale è quella che accompagna la coscienza mentale.

Dal punto di vista della loro base o potere sensoriale, le sen­sazioni sono di sei tipi:

1) sensazione che sorge dal contatto quando un oggetto visibile, il senso della vista e la coscienza visiva sono aggregati (chakshuhsamsparshajà vedanà)

2)sensazione che sorge dal contatto, quando un suono, senso del­l'udito e coscienza uditiva sono aggregati (shrotrasamsparshajà vedanà)

3)sensazione che sorge dal contatto, quando un odore, senso olfattivo e coscienza olfattiva sono aggregati (ghrànasamsparshajà vedanà)

4)sensazione che sorge dal contatto, quando un sapore, senso del gusto e coscienza gustativa sono aggregati (jihvàsamsparshajà vedanà)

5) sensazione che sorge dal contatto, quando un oggetto tangibile, senso del tatto e coscienza corporea sono aggregati (kàyasam­sparshajà vedanà)

6)sensazione che sorge dal contatto, quando un fenomeno, senso mentale e coscienza mentale sono aggregati (manahsamsparshajà vedanà).

Questi sei sono ulteriormente divisi in diciotto tipi di sensazio­ne se si tiene conto [della divisione] di piacere, dolore e indif­ferenza. Esse, se divise dal punto di vista dell'oggetto di abbandono e anti­doto, sono ancora di due tipi:

1) la sensazione come base di attaccamento (gredhashritavedanà), che è la sensazione che accompagna l'attaccamento agli attri­buti del Reame del Desiderio

2) la sensazione come base di liberazione (naishkamyàshritavedanà), che è la sensazione che accompagna una coscienza mentale che ha rinunciato al desiderio per gli attributi del Reame del Deside­rio, ed è inclusa nell'ambito di una effettiva concentrazione.

Questa divisione in due è fatta allo scopo di rendere noto come l'attaccamento viene indotto dal potere della sensazione, e come ci si può separare dall'attaccamento alla sensazione, dipendentemente da quanto si è concentrati.

C'è anche una divisione della sensazione, in materialistica (sàmishavedana) e non-materialistica(niramishavedana). La prima è la sensazione che accompagna  l'attaccamento agli aggregati impuri, fi­sici e mentali, mentre la seconda è la sensazione che accom­pagna una coscienza-saggezza che comprende direttamente la man­canza di un sé.

 

Discriminazione. La discriminazione, in seguito all'aggregrazione tra un oggetto, il potere sensoriale e la coscienza, afferra i segni spe­cifici di un oggetto. Vi sono due tipi di discriminazione:

1) comprensione non-concettuale dei segni: comprensione dei segni specifici di un oggetto, che appaiono ad una mente non-concettuale

2) comprensione concettuale dei segni: comprensione dei segni spe­cifici di un oggetto che appare al pensiero (cioè mente concettuale).

Questi due tipi di discriminazione operano su (1) percezioni, com­portando in tal senso l'assegnazione di proposizioni ad oggetti manifestamente percepiti, (2)ascolto, comportando la designazione di espressioni sulla base dell'ascolto di parole credibili, (3)distinzione, com­portando l'assegnazione di espressioni ad oggetti accertati sulla base di segni (quali la determinazione che un articolo è buono a causa del possesso di segni di qualità superiore), e (4)conoscen­za, comportando l'assegnazione di valide espressioni ad oggetti accertati direttamente.

Vi è inoltre una divisione della discriminazione in due tipi:

1) discriminazione che comprende i segni degli oggetti: comprensione che distingue individualmente le caratteristiche di un oggetto, come blu, giallo, ecc.

2) discriminazione che comprende i segni nelle proposizioni: compren­sione che differenzia individualmente le caratteristiche di pro­posizioni quali: 'Questo qui è un uomo; quella è una donna'.

Dal punto di vista della base, la discriminazione è di sei tipi:

1) discriminazione che sorge dal contatto, quando un oggetto visi­bile, il senso della vista, e la coscienza visiva sono aggre­gati (chakshuhsamsparshaja samjnà)

2) discriminazione che sorge dal contatto, quando un suono, il senso dell'udito e la coscienza uditiva sono aggregati (shrotrasamsparshajà samjnà)

3) discriminazione che sorge dal contatto quando un odore, il sen­so olfattivo e la coscienza òlfattiva sono aggregati (ghrana­samsparshajà samjna)

4) discriminazione che sorge dal contatto quando un sapore, il sen­so del gusto e la coscienza gustativa sono aggregati (jihvà­samsparshaja samjnà)

5) discriminazione che sorge dal contatto quando un oggetto tangi­bile, il senso tattile e la coscienza corporea sono aggregati (kàyasamsparshajà samjna)

6) discriminazione che sorge dal contatto quando un fenomeno, il senso mentale e la coscienza mentale sono aggregati (manah­samsparshajà samjnà).

Dal punto di vista dell'oggetto di osservazione, essa è pure di sei tipi:

1) discriminazione ragionata (sanimittasamjnà): (a) discriminazio­ne esperta nelle relazioni tra nomi e significati, (b) discri­minazione che osserva i prodotti come impermanenti, ecc., e (c) discriminazione che ha un chiaro aspetto soggettivo e og­gettivo di osservazione.

2) discriminazione non-ragionata (animittamsamjnà): (a) discrimina­zione non esperta nelle relazioni tra nomi e significati, (b) discriminazione che osserva i prodotti come permanenti, ecc., e (c) discriminazione che manca di un chiaro aspetto sogget­tivo ed oggettivo di osservazione.

3)discriminazione del piccolo (parittasamjnà): (a) discrimina­zione nel continuum di un essere ordinario del Reame del Desi­derio che non ha ottenuto una effettiva concentrazione e (b) discriminazioni che osservano gli attributi del Reame del Desiderio.

4) discriminazione del grande (mahadgatàsamjna): (a) discriminazioni che osservano il Reame della Forma e (b) discriminazioni nei continuum degli esseri del Reame della Forma

5) discriminazione dell'infinito(apramànasamjna):  discriminazioni che osservano lo spazio senza limiti o la coscienza infinita

6) discriminazione della nullità (akinchinsamjnà): discriminazioni che osservano la nullità (uno stato oltre la sensazione e la discriminazione comuni).

 

In generale la discriminazione comporta la distinzione e l'identificazione di oggetti; come fattore mentale che accompagna una mente non-concettuale quale una coscienza visiva, essa implica una non­-confusione dei dettagli dell'oggetto, senza di che non potrebbe essere fatta una ulteriore identificazione. La discriminazione ha la parte centrale nell'identificazione dell'oggetto di negazione, nel­la visione della mancanza di sé e quindi nella riflessione sul ra­gionamento che comprova l'esistenza non-inerente; quindi, lungi dall'essere un ostacolo al sentiero, la discriminazione corretta deve essere anzi accresciuta.

Intenzione. L'intenzione (o attenzione) è il fattore mentale che spinge e dirige la mente che lo accompagna verso il proprio ogget­to; ha la funzione di impegnare la mente su ciò che è virtuoso (kushala, dge ba), non-virtuoso (akushala, mi dge ba), e neutrale (avyakrta, lung du ma bstan pa). L'intenzione è il più importante di tutti i fattori mentali perché attraverso il suo potere le men­ti e i fattori mentali vengono attratti verso gli oggetti, come inerti pezzi di ferro mossi da un magnete.

 

Dal punto di vista della sua base, l'intenzione è di sei tipi:

1) intenzione che sorge dal contatto quando un oggetto visibile, il senso della vista, e la coscienza visiva sono congiunti (chakshuhsamsparshajà chetanà)

2) intenzione che sorge dal contatto quando un suono, il senso dell'udito e la coscienza uditiva sono congiunti (shrotrasamsparshajà chetanà)

3) intenzione che sorge dal contatto quando un odore, il senso dell'olfatto e la coscienza olfattiva sono congiunti (ghràna­samsparshaja chetana)

4) intenzione che sorge dal contatto quando un sapore, il senso del gusto e la coscienza gustativa sono congiunti (jihvàsams­parshajà chetanà)

5) intenzione che sorge dal contatto quando un oggetto tangibile, il senso del tatto e la coscienza corporea sono congiunti (kàyasamsparshajà chetanà)

6) intenzione che sorge dal contatto quando un fenomeno, il senso mentale e la coscienza mentale sono congiunti (manahsamspar­shajà chetanà).

L'intenzione è azione mentale (manaskarma, yid kyi las) secondo la duplice divisione dell'azione (karma, las) in azioni intenzionali (azioni mentali) e azioni deliberate (azioni fisiche e verbali).

 

Contatto. Il contatto distingue il suo oggetto - sulla base di ag­gregazione di oggetto, potere sensoriale e mente - come piacevole, spiacevole o indifferente, in accordo con successive sensazioni di piacere, dolore o indifferenza; quindi esso ha la funzione di ser­vire come base della sensazione. Poiché il contatto distingue il suo oggetto come piacevole, spiacevole o indifferente, funziona co­me causa delle sensazioni di piacere, dolore o indifferenza, che a loro volta funzionano come causa del desiderio, odio e ignoranza.

Dal punto di vista della sua base, il contatto è di sei tipi:

1) contatto basato su aggregazione di un oggetto visibile, senso della vista e coscienza visiva

2) contatto basato sull'aggregazione di un suono, senso dell'udito e coscienza uditiva

3) contatto basato sull'aggregazione di un odore, senso dell'olfat­to e coscienza olfattiva

4) contatto basato sull'aggregazione di un sapore, senso del gusto e coscienza gustativa

5) contatto basato sull'aggregazione di un oggetto tangibile, sen­so del tatto e coscienza corporea

6) contatto basato sull'aggregazione di un fenomeno, senso mentale e coscienza mentale.

Impegno mentale. L'impegno mentale dirige la mente che lo accompa­gna verso uno specifico oggetto di osservazione (àlambana, dmigs ­pa). La differenza tra intenzione e impegno mentale è che l'inten­zione spinge la mente verso oggetti generici mentre l'impegno men­tale dirige la mente verso un oggetto specifico.

 

Senza i cinque fattori onnipresenti, l'esperienza di un oggetto non sarebbe completa. Senza la sensazione, non ci sarebbe esperien­za di piacere, dolore o indifferenza. Senza discriminazione non si potrebbero apprendere i segni specifici di un oggetto. Senza inten­zione la mente non andrebbe verso il suo oggetto. Senza contatto non vi sarebbero basi per la sensazione. Senza impegno mentale la mente non sarebbe diretta verso uno specifico oggetto di osserva­zione. Quindi, tutti e cinque sono necessari per l'esperienza di un oggetto.

 

Fattori mentali determinativi.

I cinque fattori mentali determina­tivi sono illustrati nel Quadro 18.

Quadro 18: Divisioni dei Fattori Mentali Determinativi        

fattori mentali determinativi--------

                                               ------aspirazione (chhanda, ' dun pa)

                                               -----convinzione (adhimoksha, mos pa)

                                               ----- consapevolezza (smrti, dran pa)

                                               -----stabilizzazione (samadhi, ting nge 'dzin)

                                                 -----conoscenza­ (prajnà, shes rab)

 

Aspirazione. L'aspirazione osserva un fenomeno che si sta contemplando e lo ricerca. L'aspirazione funziona come base per iniziare lo sforzo, nel senso, ad esempio, che accorgendosi dei vantaggi della sta­bilizzazione meditativa viene prodotta una fede che attrae verso la stabilizzazione meditativa. E sulla base di questa si genera una forte continua aspirazione che ricerca la stabilizzazione medita­tiva, in maniera che si è in grado di generare uno sforzo continuo. Lo sforzo nella stabilizzazione meditativa, a sua volta, genera la flessibilità della mente e del corpo che conferisce l'abilità di permanere nella pratica della virtù giorno e notte, superando così la pigrizia che non prova diletto nel coltivare la stabilizzazione meditativa, mentre invece prova simpatia per ciò che è discorde dalla stabilizzazione meditativa. Quindi la fede, l'aspirazione, lo sforzo e la flessibilità sono tutti antidoti alla pigrizia ed alla indifferenza.

L'aspirazione è divisa in tre tipi: l'aspirazione che desidera l'incontro, l'aspirazione che non desidera la separazione, e l'a­spirazione che ricerca. Ques'tultima è ulteriormente divisa in aspira­zione che ricerca ciò che si desidera e aspirazione che ricerca ciò che si vede, ecc.

 

Convinzione. La convinzione si attiene ad un oggetto determinato esattamente nel modo in cui fu determinato; essa ha la funzione di trattenere la mente dall'essere attratta da un'altra visione. Per esempio, quando si consideri il Buddha ed altri insegnanti, e si analizza per scoprire chi tra essi sia un infallibile rifugio, si ac­certa che solo Buddha è il maestro di un rifugio infallibile. Quin­di, quando la dottrina da lui insegnata, nonché la comunità spiri­tuale che ha propriamente compreso la sua dottrina, sono state ac­certate come infallibili da una cognizione valida, si raggiunge una ferma convinzione in essi come rifugi finali. Allora coloro che non credono nel Dharma e tutti gli altri, non possono più far deviare qualcuno dalla propria posizione. Si entra nel numero dei praticanti Buddhisti, e su questa base si accrescono tut­te le qualità propizie.

 

Consapevolezza. La consapevolezza consiste nella non-dimenticanza riguardo ad un  fenomeno consueto ed ha la precisa funzione di indurre la non­-distrazione. La consapevolezza ha tre aspetti:

1) aspetto oggettivo: deve essere un oggetto consueto. Non si può generare la consapevolezza verso un oggetto non-consueto.

2) aspetto soggettivo: non-dimenticanza relativa all'osservazione di tale oggetto. anche se uno può essersi precedentemente fami­liarizzato con un oggetto, se esso non appare presentemente co­me un oggetto della mente, la consapevolezza non può intervenire.

3) aspetto funzionale: che induce la non-distrazione. Poiché la sta­bilità della mente si accresce in dipendenza della consapevolezza, la non-distrazione viene specificata come la funzione del­la consapevolezza.

La consapevolezza che possiede questi tre aspetti è estremamente importante sia per la pratica del sutra che del tantra, poiché ogni fausta virtù di qualsiasi sentiero aumenta in dipendenza del­la consapevolezza e dell'introspezione. In particolare, tutti i conseguimenti della stabilizzazione meditativa nel sutra e nel tan­tra sono ottenuti attraverso il potere della consapevolezza.

 

Stabilizzazione. La stabilizzazione è la focalizzazione della men­te relativa ad un oggetto imputato; ha la funzione di servire come base della conoscenza, vale a dire, un intuito speciale. L'oggetto di stabilizzazione viene propriamente indicato come 'imputato' perché quando viene coltivata la stabilizzazione meditativa, la mente vie­ne mantenuta su un oggetto di osservazione mentalmente imputato o immaginato. Questo indica che la concentrazione meditativa non vie­ne generata da una coscienza sensoriale, come una coscienza visiva fissa su un oggetto, ma dalla coscienza mentale che osserva un og­getto interno. Attraverso la continua coltivazione della stabiliz­zazione meditativa, l'oggetto di osservazione - sia reale che irreale - verrà percepito chiaramente e non-concettualmente.

Sulla base della stabilizzazione meditativa di calma persisten­te (shamatha), che è una disposizione internamente equilibrata della mente, viene raggiunto uno speciale intuito (vipashyana) attraverso la forza della saggezza analitica (prajna). Perciò viene specificato che la funzione della stabilizzazione serve come base della conoscenza. La stabilizzazione, a sua volta, dipende dall'etica (cioè la moralità).

 

Conoscenza. La conoscenza (o saggezza) distingue individualmente i difetti e le virtù degli oggetti di analisi; ha la funzione di vincere il dubbio. Quando si analizza col ragionamento e si raggiun­ge la certezza, il dubbio è superato; perciò viene specificato che la funzione della conoscenza è quella di vincere il dubbio.

 

Fattori mentali virtuosi. Gli undici fattori mentali virtuosi sono:

Quadro 19: Divisioni dei Fattori Mentali Virtuosi

                                                        -------fede (shraddha, dad pa)

                                                        -------vergogna (hri, ngo tsha shes pa)

                                                       -------decoro (apatràpya, khrel yod pa)

                                                       ----non-attaccamento (alobha, ma chags pa)

                                                        ------non-odio (advesha, zhe sdang med pa)

                                                         ---- non-ignoranza (amoha, gti mug med pa)

                                                          ------          sforzo (viryà, brtson 'grus)

                                                        ---- flessibilità (prasrabdhi, shin tu sbyangs pa)

                                                        -----coscienziosità (apramàda, bag yod pa)

                                                        -------equanimità (upeksà, btang snyoms)

                                                       -- non-violenza (aihimsà, rnam par mi 'tshe ba)

 

Fede. La fede ha l'aspetto della chiarezza. (prasada, dang ba), del­la convinzione (abhisampratyaya, yid ches), o dell'aspirazione (abhilasha, 'thob 'dod), riguardo all'esistente (per esempio le azioni ed i loro effetti), al possedimento di qualità (come quelle possedute dai Tre Gioielli), o ai poteri (quali i poteri del sentiero mediante il quale si realizza la cessazione-nirvana). Essa ha la funzione di servire come base per l'aspirazione. La fede della chiarezza, o fede chiarificatrice è, per esempio, la chiarezza di mente che pro­viene dal percepire le qualità dei Tre Gioielli; essa è chiamata 'chiarificatrice' perché esattamente come quando una gemma purifi­catrice dell'acqua viene immersa nell'acqua, l'impurità della stessa acqua viene immediatamente purificata, così quando questo tipo di fede viene generato nel continuum mentale, le torbidezze della mente vengono elimi­nate, dopodiché possono essere generate le qualità di realizzazione.

La fede della convinzione è, per esempio, raggiungere la convin­zione riguardo all'originazione dipendente o alla legge del 'karma' e i suoi effetti, riflettendo che tali dottrine furono esposte dal Vittorioso. La fede che consiste nell'aspirazione è, per esem­pio, la fede che pensa -'Otterrò definitivamente la cessazione della sofferenza', sulla base della contemplazione delle quattro nobili verità, dell'accertamento delle vere sofferenze e delle vere origi­ni, in quanto oggetti di abbandono, e delle vere cessazioni e dei ve­ri sentieri, in quanto oggetti di conseguimento, e della realizza­zione che sforzandosi nel modo appropriato questi possono essere ottenuti.

Quantunque la gente equipari la fede (dad pa) al piacere (dga 'ba), non sono la stessa cosa. L'attrazione verso il proprio bambino o il proprio consorte e l'attrazione verso la birra sono casi di piacere ma non di fede. Inoltre, la fede che consiste nella profonda preoc­cupazione e convinzione riguardo ai difetti dell'esistenza ciclica (samsara) è fede ma non piacere. La fede che è profonda convinzione e attra­zione derivanti dal contemplare le qualità di una guida spirituale o i benefici delle azioni morali e dei loro effetti è sia fede che piacere.

Inoltre, la fede e il rispetto (gus pa) non sono identiche, seb­bene siano considerate tali dalla gente. Per esempio, la simpatia verso una guida spirituale è fede, ma il rispettare un maestro spiri­tuale comporta la contemplazione della sua gentilezza, la conoscen­za dell'umiltà, ed il tenerlo in grande considerazione; quindi, la fede e il rispetto sono fattori mentali differenti.

Come verrà spiegato in seguito, l'impegno è la causa di tutte le buone qualità, e al fine di generare l'impegno, è necessaria l'aspirazione che ricerca queste qualità. Allo scopo di generare l'aspi­razione, occorre percepire queste qualità e avere fede e convinzione in esse. Perciò la fede viene spesso esaltata nelle scritture e nei loro commentari come la base di tutti i fausti ottenimenti.

 

Vergogna e decoro. La vergogna consiste nell'evitare la cattiva condotta in considerazione della propria disapprovazione, mentre il decoro consiste nell'evitare la cattiva condotta in considerazione dell'altrui disapprovazione. Questi fattori mentali hanno entrambi la funzione di servire come base per trattenersi dalla cattiva con­dotta. Nel caso della vergogna, quando uno sta per assumere una condotta scorretta, sfugge ad essa pensando: "non è qualcosa che dovrei fare", mentre nel caso del decoro, la si evita pensando: "Poi­ché gli altri mi disprezzerebbero, ciò non è conveniente". Quest'ultimo include la preoccupazione per il dispiacere di un Lama, di un insegnante e simili.

La vergogna e il decoro servono come base per trattenersi dalla condotta scorretta, nel senso che per frenare la cattiva condotta fisica, verbale e mentale si deve avere vergogna e decoro in modo definitivo; perché se uno non si preoccupa, riguardo al risultato di un'azione, né dal proprio punto di vista, né per il disagio di un Lama o un insegnante, non c'è modo di porre fine alla condotta nega­tiva.

 

Non-attaccamento, non-odio, non-ignoranza. Il non-attaccamento con­siste nella volontà di distacco dall'esistenza ciclica e nel non-desiderio verso essa e i suoi prodotti. Non-odio è un fattore che, in considerazio­ne sia della sofferenza, il danno subito da esseri senzienti, che dell'origine della sofferenza, impedisce la generazione dell'odio; in pratica, è un'assenza dell'intenzione di danneggiare. La non-ignoranza è la conoscenza dell'analisi individuale personale che può servire come antidoto all'ignoranza; essa può sia essere presente dalla nascita, a causa del risultato delle azioni compiute in una vita precedente, indipendentemente dalle cause contribuenti in questa vita, che sor­gere dall'applicazione dell'ascolto, riflessione o meditazione.

Non-attaccamento, non-odio e non-ignoranza hanno la funzione di servire come basi per non impegnarsi nella condotta negativa, essendo le radici di tutte le pratiche virtuose, metodi per la cessazione di ogni condotta negativa, ed essenza di tutti i sentieri. Poiché tutte le vie e i sentieri esistono allo scopo di abbandonare i tre veleni (desiderio, odio e ignoranza) e poi­ché questi tre fattori mentali virtuosi causano la propria liberazione dai tre veleni che provocano ogni condotta scorretta, viene specificato che la loro funzione è di servire da base per l'astensione dalla condotta negativa.

Un praticante di capacità inferiore genera il non-attaccamento a questa vita e, rinunciandovi, ricerca il proprio be­nessere nella vita futura. Un praticante di media capacità genera il non-attaccamento verso tutte le meraviglie dell'esistenza ciclica e, rinunciando sin dal profondo alla propria avidità, ricerca la liberazione da tutta l'esistenza ciclica. Un Essere di grande capacità genera il non-attaccamento sia verso l'esistenza ciclica che verso lo stato di pace solitaria e ricerca il nirvana non-localizzato di un Buddha, in cui può rimanere in equilibrio meditativo sulla vacuità contemporaneamente manifestando innumerevoli forme allo scopo di aiutare coloro che migrano nell'esistenza ciclica. In questo modo tutti i sentieri possono essere messi in relazione tanto con il non attaccamento, che col non-odio e non- ignoranza.

 

Sforzo. Lo sforzo è il piacere mentale nella virtù; ha la funzione di perfezionare e portare a compimento le virtù. Sebbene nel mondo ogni cosa che comporti impegno venga chiamata sforzo, la sola fati­ca per amore degli affari di questa vita non è sforzo ma è pigrizia, la quale consiste nell'attaccamento ad attività negative; è il con­trario dello sforzo.

Vi sono cinque tipi di sforzo:

1) sforzo munito di corazza - è il pensiero che precede l'impegno nella virtù che consiste nel provare diletto in quell'attività, da parte della mente. E' come indossare una grande armatura, in quanto dà la disponibilità per impegnarsi in ampie attività.

2) sforzo di applicazione - un diletto mentale durante l'impegno nella pratica

3) sforzo della non-inferiorità - un diletto generato in modo tale che non ci si scoraggi pensando, "Come può farlo uno come me?"

4) sforzo irreversibile - una pienezza di diletto mentale tale che le circostanze non possano deviare colui o colei che è impegnato nell'at­tività virtuosa

5) sforzo dell'insoddisfazione - uno sforzo per ottenere qualità superiori non essendo soddisfatti del raggiungimento di piccole virtù.

Tutte le qualità fauste dipendono dallo sforzo entusiastico.

 

Flessibilità. La flessibilità consiste nella docilità della mente e del corpo, in modo tale che la mente può essere fissata su un virtuoso oggetto di osservazione, tanto a lungo quanto si vuole; essa ha la funzione di eliminare tutte le ostruzioni. Essa è di due tipi:

1) flessibilità fisica - mediante il potere della stabilizzazione meditativa, l'indocilità del corpo viene purificata, dopodiché il corpo diventa leggero come un gomitolo di cotone, e capace di essere usato nell'attività virtuosa secondo la propria volontà

2) flessibilità mentale - attraverso il potere della stabilizzazio­ne meditativa la mente si libera dall'indocilità, dopodiché es­sa acquista facilità ad impegnarsi in uno scopo virtuoso senza impedimenti.

La funzione della flessibilità viene specificata in quanto elimina tutte le ostruzioni, perché grazie al suo potere, tutte le condizioni sfavorevoli del corpo e della mente vengono purificate. Una volta ottenuta la flessibilità, la stabilizzazione meditativa viene accresciuta dall'interno; grazie a ciò la gioia della flessibilità au­menta, dopodiché la stabilizzazione meditativa si accresce ancora di più. Grazie a ciò la mente diviene a sua volta capace, una vol­ta congiunta con lo speciale intuito, di vincere le ostruzioni.

 

Coscienziosità. La coscienziosità preserva la mente dalle contami­nazioni e causa l'ottenimento di virtù perseverando nello sforzo. Essa protegge la mente dal subire l'influenza delle afflizioni ed ha la funzione di servire come base per l'ottenimento di tutti i prodigi mondani e sopramondani. La coscienziosità è di cinque tipi:

1) coscienziosità relativa al passato - un antidoto agli errori del passato in conformità con la dottrina

2) coscienziosità relativa al futuro - una seria intenzione di prevenire gli errori futuri

3) coscienziosità relativa al­ presente - senza distrazione evitare gli errori nel presente
4) coscienziosità che precede l'attività - la saldezza della mente che pensa, "Come sarebbe meraviglioso se potessi perseverare in un comportamento tale che i difetti non potessero sorgere!"

5) coscienziosità del comportamento conforme - che persevera e si comporta in modo tale che i difetti non sorgono.

La coscienziosità è molto importante in quanto radice di tutte le vie ed i sentieri.

 

Equanimità. L'equanimità consiste in uno stato calmo della mente, un dimorare in uno stato naturale, e una spontanea perseveranza che si oppone alle afflizioni. E' collegata al non-attaccamento, non-odio e non-ignoranza, ed ha la funzione di non concedere occasioni alle afflizioni.

Sulla base dei metodi per fissare la mente univocamente su un pun­to, i nove stadi della mente vengono gradualmente raggiunti. Raggiunto il nono stadio l'applicazione degli antidoti alla fiacchezza e all'eccitamento-non è più necessaria. A quel punto si ottiene una spontanea stabilizzazione della mente sul suo oggetto, e in tale stato si consegue un'equanimità che comporta la non-applicazione degli antidoti alla fiacchezza e all'eccitamento. Quindi, l'equanimità è qui intesa come equanimità dell'applicazione, non come equanimità di sensazione, né come l'incommensurabile equanimità del desiderio che tutti gli esseri senzienti dimorino in un'equanimità libera da desiderio ed odio, intimità ed estraneità.

La funzione dell'equanimità viene specificata in quanto non con­cede occasioni alle afflizioni, perché quando viene raggiunto il non-stadio, è facile vincere le afflizioni del Reame del Desiderio e anche al momento dell'equilibrio meditativo, la fiacchezza e l'eccita­mento non sorgono.

 

Non-violenza. La non-violenza è un'attitudine compassionevole, com­presa nel non-odio, che è una forma di pazienza priva dell'intenzione di nuocere. Essa considera gli esseri senzienti e pensa, "Possano essi essere liberi da tutte le sofferenze!" La funzione della non-violenza, poi­ché non danneggia gli esseri senzienti, è definita come l'essenza degli insegnamenti del Buddha.

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Questi undici fattori mentali vengono chiamati 'virtù-di-natura' perché sono entità virtuose in se stesse, indipendentemente dalla considerazione di altri fattori come la motivazione e così via. Sebbene le virtù fondamentali siano queste undici, ve ne sono ancora altri tipi:

1) Virtù per relazione - le menti e i fattori mentali che accompagnano ognuna delle undici virtù

2) virtù per relazione successiva - le predisposizioni virtuose stabilite da menti e fattori mentali virtuosi

3) virtù per la motivazione - azioni fisiche e verbali motivate dalla fede, ecc.

4) virtù suprema - la talità, o vacuità, è definita una virtù perché quando si osserva e si medita su di essa, tutti gli oscuramenti vengono purificati; tuttavia questa non è un'effettiva virtù.

Inoltre, dal punto di vista della condizione o stato, le virtù vengono divise ancora in otto tipi:

1) virtù conseguita dalla nascita - come per esempio la fede che sorge per la forza di predisposizioni stabilite in una vita pre­cedente, indipendentemente da un particolare addestramento nella vita attuale

2) virtù dovuta all'applicazione - come la fede o la volontà di ot­tenere la Buddhità, che sorge in dipendenza dal confidare in una guida spirìtuale virtuosa, dall'ascolto dell'eccellente dottrina, dal dedicare un'appropriata attenzione, e dal comprendere le dot­trine che conducono al conseguimento del nirvana

3) virtù dovuta ad un'attività frontale - immaginando, per esempio, un campo di assemblea di Buddha, Bodhisattva, ecc. di fronte a sé, e quindi prostrandosi e facendo delle offerte

4) virtù dovute al prestare aiuto - azioni come, per esempio, far maturare esseri senzienti mediante i quattro mezzi per radunare studenti (donando oggetti, insegnando i mezzi per conseguire un alto stato nell'esistenza ciclica e la bontà ultima, e facendo in modo che altri pratichino ciò che è benefico, nonché comportandosi bene)

5) virtù dovuta al comportamento - come per esempio, azioni positi­ve che servono come mezzi per ottenere un alto stato e la bontà stabile

6) virtù dovuta ad un agente come antidoto - per esempio azioni che posseggono lo speciale potere di sopraffare direttamente gli og­getti da abbandonare e ciò che non è favorevole

7) virtù dovuta alla pacificazione - come le vere cessazioni dalle afflizioni

8) virtù dovuta a causa concomitante - come le cinque chiaroveggenze e i dieci poteri che sorgono grazie alla forza dell'ottenimento delle reali cessazioni.

 

Una presentazione simile, ma di sette tipi, è fatta in riguardo alle non-virtù:

1) non-virtù conseguita dalla nascita - come la spontanea attrazione per l'uccisione, dovuta alle predisposizioni di una vita precedente

2) non-virtù dovuta all'applicazione - per esempio la condotta nega­tiva di corpo, parola e mente che sorge in dipendenza del frequentare amici non-virtuosi, ascoltare dottrine speciose, usare un'attenzione impropria, e così via

3) non-virtù dovuta ad attività frontali - come offrire un sacri­ficio cruento ad un idolo

4) non-virtù dovuta al danneggiamento - per esempio azioni di cor­po, parola e mente che rechino danno agli esseri senzienti

5) non-virtù dovuta al comportamento - come azioni che spingono verso vite future e azioni che completano la condizione di una vita futura e che producono come loro risultato solo sofferenza

6) non-virtù perché non contribuisce - come le errate opinioni che impediscono la generazione dei sentieri non contaminati

7) non-virtù perché ostacolante - come le opinioni negative che in­terferiscono con l'attività virtuosa.

 

Afflizioni radice.

Le afflizioni, in genere, vengono definite come cognizioni che, una volta generate, producono una grande irrequie­tezza del continuum mentale. Le sei afflizioni radice, che vengono così chiamate perché sono le sorgenti di tutte le altre afflizioni, sono illustrate nel Quadro 20.

Quadro 20: Divisioni delle Afflizioni radice

-------desiderio (ràga, 'dod chags)

--------rabbia (pratigha, khong khro)

-------orgoglio (màna, nga rgyal)

afflizione radice                         ---- ignoranza (avidyà, ma rig pa)

------- dubbio (vichikitsà, the tshom)

--- visione afflitta (drshti, lta ba nyon mongs can)

 

Desiderio. Il desiderio percepisce un fenomeno contaminato, interno o esterno, come piacevole dal punto di vista della sua propria en­tità, e quindi lo ricerca. Ha la funzione di generare sofferenza. Il desiderio aderisce al suo oggetto di osservazione come una mac­chia d'olio su un panno, ed è perciò difficile separarsi da esso.

Il desiderio è diviso in tre tipi: desiderio del Reame del Desi­derio, desiderio del Reame della Forma, e desiderio del Reame del Senza-Forma. Il motivo per cui si afferma che la funzione del desi­derio è quella di generare sofferenza è che la radice di ogni sof­ferenza è la nascita, e la causa principale della nascita nell'esi­stenza ciclica è proprio il desiderio, o attaccamento.

 

Rabbia. La rabbia è un'intenzione di danneggiare gli esseri senzienti, danneggiare il proprio continuum mentale creando sofferenza, o danneg­giare i fenomeni che sono fonti di sofferenza (per esempio una spi­na). Ha la funzione di provocare la propria separazione dalla feli­cità e serve come base per una condotta malvagia. A causa della rab­bia non si può dimorare nella felicità in questa vita, e si produce una sofferenza incommensurabile in quella futura.

 

Orgoglio. L'orgoglio dipende dalla visione del composto transitorio (l'Ego) come un <Io> reale ed ha l'aspetto di una tronfiezza della mente che considera le proprie qualità, come ricchezza, bellezza, giovinezza, ecc. Ha la fun­zione di servire come base per l'insorgere della sofferenza e della mancanza di rispetto. Vi sono sei tipi di orgoglio:

1) orgoglio di superbia - una tronfiezza della mente, di chi pensa di essere superiore rispetto a persone inferiori

2) orgoglio eccessivo - una tronfiezza della mente, di chi pensa di essere superiore rispetto a persone della stessa levatura

3) orgoglio oltre l'orgoglio - una tronfiezza della mente di chi pensa di essere di molto superiore perfino rispetto alle persone che sono superiori agli altri

4) orgoglio dell'Io - una mente tronfia che osserva gli aggregati dell'attaccamento di mente e corpo e pensa, 'Io'-

5) orgoglio della presunzione - una mente tronfia, di chi pensa, di avere ottenuto ciò che non ha ottenuto, ad esempio la chiaroveg­genza o la stabilizzazione meditativa

6) orgoglio della piccola inferiorità - un mente tronfia di chi pen­sa di essere appena leggermente inferiore rispetto ad altri che sono effettivamente molto superiori

7) orgoglio iniquo - una mente tronfia di chi pensa di avere ottenu­to fauste qualità mentre in effetti ha deviato dal sentiero, co­me per esempio vantarsi di alti conseguimenti quando invece si è stati portati via da uno spirito.

Poiché l'orgoglio provoca mancanza di rispetto per le alte qualità, e per coloro che posseggono tali alte qualità, esso serve ad impedire di ottenere nuovamente insegnamenti verbali e realizzativi, a causare la rinascita in cattive migrazioni e, una volta rinati come umani, a causare la nascita in una classe inferiore, ad esempio come servi. Quindi, esso produce esperienze indesiderabili sia riguardo a questa vita che alle vite successive.

 

Ignoranza. L'ignoranza è un'assenza di conoscenza che comporta con­fusione riguardo allo stato dei fenomeni. Ha la funzione di servire come base per l'insorgere di false convinzioni, dubbi, ed afflizioni. Il suo principale antidoto è la saggezza che comprende la mancanza di un sé.

L'ignoranza è di due tipi: confusione rispetto alle azioni ed i loro effetti e confusione riguardo alla talità. Quest'ultima serve come motivazione causale dì tutte le rinascite nell'esistenza ci­clica ma, nei termini della motivazione che è funzionante al momento dell'attività nelle azioni, la confusione relativa al karma ed ai suoi effetti viene spe­cificata come la causa di accumulazione di azioni che producono co­me risultato la nascita in cattive trasmigrazioni, mentre l'oscura­zione relativa alla talità viene specificata come la causa dell'accumulazione di azioni che producono come risultato la nascita in migrazioni felici.

Sulla base dell'ignoranza, sorgono le altre afflizioni, e sulla base di queste vengono accumulate le azioni impure. Da queste, sono prodotte tutte le sofferenze dell'esistenza ciclica. Perciò, tutte le afflizioni e i difetti mentali sorgono sulla base dell'ignoranza.

 

Dubbio. Il dubbio è una mente bi-polare riguardo alle quattro nobi­li verità, alle azioni e i loro effetti, e così via. Ha la funzione di servire come base per non impegnarsi nella virtù. Il dubbio im­pedisce ogni attività virtuosa e in particolare interferisce con la visione della verità.

 

Visioni afflitte.

Ci sono cinque visioni afflitte:

Quadro 21: Divisioni delle Visioni Afflitte:

1)-----visione del composto transitorio (come un Io e mio reali)

                                                                     (satkàyadrshti, 'jig tshogs la lta ba)

2) ----- visione che si attiene ad un estremo

                                                                     (antagràhadrshti, mthar 'dzin pa'i lta ba)

3)-----concezione di (erronei) punti di vista come supremi

                                                                        (drshtiparàmarsha, lta ba mchog 'dzin)

4)----- concezione di etiche e modi di comportamento (dannosi) come supremi

                               (shilavrataparàmarsha, tshul khrims dang brtul zhugs mchog 'dzin)

5)----- visione perversa                                          (mithyadrshti, log lta).

 

(Visione del composto transitorio). Una visione del composto transi­torio considera gli aggregati dell'attaccamanto fisici e mentali e li concepisce come un 'Io' e come 'miei' in modo reale. E' un'ostinazione, nel senso che non si teme l'erroneità di Io e mio ineren­temente esistenti; è un desiderio, nel senso che ricerca un ogget­to sbagliato; è un'intelligenza nel senso che discrimina il pro­prio oggetto in modo esauriente; è una concezione nel senso che a­derisce fortemente al proprio oggetto; ed è una visione nel senso che osserva il suo oggetto. Una visione del transitorio ha la funzione di servire come base per tutte le visioni errate.

Viene chiamata la visione del composto transitorio perché gli aggregati mentali e psichici, che costituiscono la base della vi­sione, sono impermanenti, e quindi transitori, e sono un'aggrega­zione di pluralità, quindi un composto. Il nome stesso indica che non vi è una persona permanente e priva di parti.

Una visione del composto transitorio concepisce un Io inerente­mente esistente ed esagera la distinzione tra sé e gli altri. Da ciò sorge l'attaccamento per ciò che riguarda se stessi e l'avver­sione verso gli altri. A causa della visione del sé viene generato l'orgoglio, sorge una visione del sé come eterno o come estinguen­tesi al momento della morte, e si genera l'opinione che il proprio cattivo comportamento sia superiore. In modo simile, coloro che insegnano la 'mancanza di un sé' e i loro insegnamenti su causa ed effetto, le quattro nobili verità, i Tre Gioielli, e così via, vengono concepi­ti come non-esistenti o divengono oggetti di 'dubbio'. In questo mo­do, la visione del composto transitorio agisce come base di tutte le afflizioni. Quantunque solitamente identificata come ignoranza, in questo contesto la sua relazione con l'ignoranza è simile alla relazione di una mente che concepisce la presenza di un serpente al posto di una corda, con l'oscurità che circonda la corda stessa in una zona oscura.

 

(Visione che si attiene ad un estremo). Una visione che si attiene ad un estremo considera il sé come esso viene appreso dalla visione del composto transitorio e lo concepisce o come permanente, nel ­senso di immutabile, o che si estingue, nel senso che non trasmigra in un'altra vita. Poiché produce la caduta negli estremi della perma­nenza e del nichilismo, essa ha la funzione di impedire il progresso sulla Via di Mezzo (Via-Mediana) libera dai due estremi. Come prima, essa con­siste in ostinazione, desiderio, intelligenza, concezione e visione.

 

(Concezione di (erronei) punti di vista come supremi). La concezione di (erronei) punti di vista come supremi considera la visione del com­posto transitorio, la visione che si aggrappa ad un estremo, la vi­sione perversa, o gli aggregati fisici e mentali sulla cui base sor­gono tali visioni, concependoli come (1) ciò che è supremo, nel sen­so che si afferma la loro perfezione, (2) ciò che è il principio, nel senso che si sostiene che non vi è nulla di più grande, (3) ciò che è superiore, o (4) ciò che è ultimo, nel senso che si sostiene che non ha eguali. Una concezione di un (errato) punto di vista come supremo ha la funzione di servire come base per aderire fortemente ad erronei punti di vista in quanto stabilisce le predisposizioni per non separarsi da essi in questa e nelle vite future. Come prima, consiste in un'ostinazione, desiderio, intelligenza, concezione e visione.

 

(Concezione di etiche e modi di comportamento (dannosi) come supremi). Una concezione di etiche e modi di comportamento (dannosi) come su­premi considera come proprio oggetto (1)un sistema etico imperfetto che si proponga di abbandonare etiche imperfette, (2) un modo di condotta che prescriva indumenti come pure comportamen­ti e attività fisiche e verbali scor­retti o (3) gli aggregati fisici e mentali sulla cui base tutto ciò viene compiuto. Li considera come modi per purificare le colpe, liberare dalle afflizioni e abbandonare l'esi­stenza ciclica. Ha la funzione di servire come base per un'inutile fatica. Come sopra, consiste in ostinazione, desiderio, intelligenza, concezione e visione.

 

(Visione perversa). Una visione perversa è la negazione di causa, ef­fetto, funzionalità, nonché di fenomeni esistenti e può portare a soste­nere che Ìshvara, o altri Dèi, siano la causa della migrazione degli esseri nell'esistenza ciclica. La negazione della causa consiste nella opi­nione che non esistono buona e cattiva condotta, e così via. La negazione dell'effetto consiste nell'opinione che non esistano i ri­sultati delle azioni virtuose e non-virtuose. La negazione della funzio­nalità consiste nell'opinione che non esistano le vite precedenti e successive, ecc. La negazione di fenomeni esistenti consiste nel­l'opinione che non esista, per esempio, il conseguimento dello stato di un Bodhisattva (Distruttore del Nemico).

Le visioni perverse hanno la funzione di recidere le radici vir­tuose, di produrre una salda aderenza alle radici non-virtuose, ser­vendo come base per impegnarsi nella non-virtù, e causando il non-im­pegno nelle virtù. Poiché la negazione di causa, effetto e rinascita distrugge tutte le radici virtuose, queste sono le peggiori tra tut­te le visioni perverse.

 

Le afflizioni secondarie.

Le venti afflizioni secondarie, che vengo­no così chiamate perché aderiscono alle afflizioni radice o sono parte di esse, vengono mostrate nel sottostante Quadro 22.

Quadro 22: Divisioni delle Afflizioni Secondarie

 

1)------------------bellicosità, (krodha, khro ba)

2)------------------risentimento, (upanàha, 'khon 'dzin)

3)------------------occultamento, (mraksa, 'chab pa)

4)------------------rancore, (pradàsha, 'tshig pa)

5)------------------invìdia, (irshya, phrag dog)

6)------------------avarizia, (màtsarya, ser sna)

7)------------------falsità, (mayà, sgyu)

8)----------------- simulazione, (shàthya, g.yo)

9)-----------------arroganza, (mada, rgyags pa)

10)----------------nocività, (vihimsà, rnam par 'tshe ba)

11)----------------mancanza di vergogna, (àhrikya, ngo tsha med pa)

12-----------------mancanza di decoro, (anapatràpya, khrel med pa)

13)----------------apatia, (styana, rmugs pa)

14)----------------eccitazione, (auddhatya, rgod pa)

15)----------------mancanza di fiducia, (àshraddhya, ma dad pa)

16)----------------pigrizia, (kausidya, le lo)

17)----------------mancanza di coscienziosità, (pramada, bag med pa)

18)----------------dimenticanza, (mushitasmrtità, brjed nges pa)

19)----------------mancanza di introspezione, (asamprajanya, shes bzhin ma yin pa)

20)----------------distrazione, (vikshepa, rnam par g.yeng ba)

 

(Bellicosità). La bellicosità consiste nell'intenzione di danneggiare o ferire qualcuno colpendolo, ecc., quando si è in una delle nove condizioni dell'intenzione nociva e cioè pensando:

1 'Questa persona mi ha danneggiato'

2 'Questa persona mi sta danneggiando'

3 'Questa persona mi vuole danneggiare'

4 'Questa persona ha danneggiato il mio amico'

5 'Questa persona sta danneggiando il mio amico'

6 'Questa persona vuole danneggiare il mio amico'

7 'Questa persona ha aiutato il mio nemico'

8 'Questa persona sta aiutando il mio nemico'

9 'Questa persona vuole aiutare il mio nemico'

La bellicosità ha la funzione di servire come base per armarsi, in­fliggere colpi e prepararsi a nuocere ad altri. Essa differisce dal­la afflizione radice della rabbia in quanto consiste nell'impazienza e nell'intenzione di danneggiare che sorge quando un essere senzien­te nocivo, o la propria sofferenza o la fonte della sofferenza appa­re alla mente. La bellicosità è uno stato della mente estremamente disturbata, che sulla base di un grande incremento di rabbia, con­siste in un desiderio di infliggere danno ad un altra persona, per esempio colpendola fisicamente quando è presente.

 

(Risentimento). Il risentimento è una volontà di danneggiare o resti­tuire il danno, che comporta il non-abbandono del continuum della rabbia. Ha la funzione di servire come base per l'impazienza.

        

(Occultamento). L'occultamento è una volontà, causata dalla forza dell'ignoranza, di nascondere un difetto quando un'altra persona, come una guida spirituale, fa notare tale difetto. Esso ha la fun­zione di incrementare i difetti, di servire come base per il rimpianto e la disabitudine al contatto con la felicità, e di spingere alla rinascita in cattive migrazioni.

 

(Rancore). Il rancore è una volontà, causata dalla forza della belli­cosità e del risentimento, di pronunciare dure parole di malevolenza verso qualcuno che abbia fatto notare un difetto. Ha la funzione di provocare la disabitudine alla felicità nel periodo di vita attuale, per il fatto di causare l'impegno in molte azioni sbagliate, come pronunciare parole dure, e di generare molte azioni non-meritorie. Il risentimento genera anche spiacevoli risultati nelle vite future.

 

(Invidia). L'invidia è una profonda agitazione della mente che comporta una incapacità di sopportare l'altrui fortuna, dovuta al proprio essere attaccati a benefici e vantaggi. Essa implica astio ed ha la funzio­ne di provocare l'afflizione della mente e la disabitudine al con­tatto con la felicità.

 

(Avarizia). L'avarizia è una forte presa sugli oggetti, che non li la­scia andare a causa della forza dell'attaccamento a beni e onori. Ha la funzione di servire come base per la non-diminuizione dei posse­dimenti, e genera dispiaceri in questa e nelle vite successive.

 

(Falsità). La falsità è la presunta pretesa di avere buone qualità, che in­vece non si posseggono, causata dalla forza del forte attaccamento a benefici e onori. Come nel caso dell'ipocrisia, in cui si presume di avere una mente disciplinata, allo scopo di ingannare gli altri, la fal­sità implica ignoranza e desiderio ed ha la funzione di servire come base per uno scorretto modo di sussistenza. 'Scorretto modo di sus­sistenza' si riferisce al disonesto ottenimento di beni (1) mediante l'ipocrisia, (2) attraverso la pronuncia di parole gentili che si accordino con l'altrui opinione (3) mediante l'elogio degli altrui possedimenti, (4) parlando mellifluamente dei difetti dell'avarizia, ecc., e (5) lodando a dismisura gli atti di generosità di un altro, e così via.

 

(Simulazione). La simulazione è una volontà di nascondere agli altri i propri difetti, per il desiderio di ricchezza ed onori. Sia la si­mulazione che la falsità hanno la funzione di impedire l'ottenimento delle vere istruzioni sui precetti e causa il non incontrare una guida spirituale Mahàyàna sia in questa che nella vita futura.

 

(Arroganza). L'arroganza è una tronfiezza della mente, che deriva dal trarre godimento e conforto nel considerare la propria buona sa­lute, gioventù, forza, segni di lunga vita, prosperità, ecc. Ha la funzione di servire da base per tutte le afflizioni radice e le af­flizioni secondarie, e agisce come radice della non-coscienziosità.

 

(Nocività). La nocività è una crudele intenzione di danneggiare altri esseri senzienti. Implicando l'odio, è una mancanza di compassione, come nella volontà di nuocere o fare in modo che altri nuocciano, o nel provare piacere vedendo o udendo che degli esseri senzienti ven­gono danneggiati. Ha la nociva funzione di danneggiare altri.

 

(Mancanza di vergogna). La mancanza di vergogna consiste nel non evi­tare gli errori dal punto di vista della propria disapprovazione o della proibizione religiosa. Essa può implicare desiderio, odio, e ignoranza, ed ha la funzione di favorire tutte le afflizioni radice e le afflizioni secondarie. Per esempio, se un monaco, difronte ad una bevanda intossicante non si astiene dal berla, pensando, 'E' qualcosa che non dovrei fare', egli avrebbe il fattore mentale della mancanza di vergogna.

 

(Mancanza di decoro). La mancanza di decoro consiste nel non astenersi dagli errori, dal punto di vista dell'altrui disapprovazione. Può implicare desiderio, avversione e ignoranza ed ha la funzione di favorire tutte le afflizioni radice e le afflizioni secondarie. Se uno non evita gli errori pensando che il Maestro Buddha e gli dèi chia­roveggenti sarebbero disturbati, ed altri potrebberlo criticarlo, costui possiede mancanza di decoro. Questa, insieme alla mancanza di vergogna, favorisce tutte le afflizioni e agisce come causa di tutti i di­fetti, per cui senza una volontà di evitare gli errori non ci si può preservare da essi. Quindi viene affermato che questi due fattori mentali accompagnano tutte le menti non-virtuose.

 

(Apatia). L'apatia è una pesantezza ed inefficienza del corpo e del­la mente. Essa implica ignoranza ed ha la funzione di favorire tut­te le afflizioni radice e secondarie, per cui queste aumentano di­pendentemente dall'apatia.

 

(Eccitazione). L'eccitazione consiste in una dispersione della mente verso gli attributi del Reame del Desiderio sperimentati precedente­mente, e nell'impegnarsi in essi spinti da attaccamento. L'eccitazione è un'irrequietezza della mente che comporta un bramoso impegnarsi in ciò che è piacevole; ha la funzione di impedire l'abitudine alla calma. Quindi, non ogni dispersione della mente è un caso di ecci­tazione, poiché l'eccitazione è un aspetto del desiderio mentre la mente è frequentemente distratta dagli oggetti per via di afflizioni diverse dal desiderio e si disperde persino verso oggetti di osser­vazione virtuosi. La dispersione che comporta desiderio consiste sia della dispersione che dell'eccitazione, mentre in altri casi vi è solo la dispersione.

 

(Mancanza di fiducia). La mancanza di fiducia è una mancanza di convin­zione, mancanza di gioia, e mancanza di volontà riguardo ai fenome­ni virtuosi. Essa implica ignoranza ed ha la funzione di servire come base per la pigrizia. La mancanza di fiducia è l'opposto dei tre tipi di fede; è mancanza di convinzione nel [rapporto tra] le azioni e i loro effetti, ecc., mancanza di gioia, e antipatia verso coloro che posseggono le buone e fauste qualità, come i Tre Gioielli, e mancanza di desiderio e aspirazione verso la liberazione e così via.

 

(Pigrizia). La pigrizia è mancanza di gioia nelle virtù, dovuta al­l'attaccamento al dolce far niente o allo stare distesi, ecc. Implica ignoranza ed ha la funzione di impedire l'applicazione nella virtù.

 

(Mancanza di coscienziosità). La mancanza di coscienziosità provoca una trascuratezza di mente, non proteggendola da afflizioni ed er­rori, e derivante dal non dedicarsi alle cose positive. Può compor­tare un'abitudine al desiderio, odio e ignoranza, nonché alla pi­grizia, ed ha la funzione di servire come base per l'aumento delle non-virtù e la conseguente diminuizione delle virtù.

 

(Dimenticanza). La dimenticanza è una mancanza di chiarezza della mente e il non ricordarsi di oggetti virtuosi a causa dell'atten­zione agli oggetti mondani che causano afflizioni. Ha la funzione di servire co­me base per la distrazione in quanto, fondandosi su un'attenzione afflitta, la mente viene distratta dagli oggetti di osservazione delle afflizioni.

 

(Mancanza di introspezione). La mancanza di introspezione è un modo totalmente incon­sapevole di applicarsi nelle azioni fisiche, verbali e mentali. Ha la funzione di servire come base per le infrazioni di codici di etica, nonché di aumento di fenomeni afflittivi.

 

(Distrazione). La distrazione è una dispersività della mente dai suoi oggetti di osservazione. Può implicare desiderio, odio, e ignoranza ed ha la funzione di impedire la separazione dal desiderio. L'ecci­tazione è uno slancio della mente verso gli oggetti piacevoli, men­tre la distrazione è uno slancio verso qualsiasi oggetto.

 

Fattori mentali variabili

I quattro fattori mentali variabili ven­gono così chiamati perché essi divengono virtuosi, non virtuosi o neutri, per il potere della motivazione e della mentalità che li accom­pagnano.

Quadro 23: Divisioni dei Fattori Mentali Variabili

1)----------------sonno (middha, gnyid)

2)-------------contrizione (kaukrtya, 'gyod pa)

3)--------------investigazione (vitarka, rtog pa)

4)---------------analisi (vichàra, dpyod pa)

 

(Sonno). Il sonno consiste in uno stato di fiacchezza, per cui le co­scienze sensoriali impegnate negli oggetti si ritirano verso l'in­terno. Esso dipende da cause quali la pesantezza fisica, debolezza, stanchezza, il far assumere alla mente l'aspetto dell'oscurità, e così via. Il sonno implica ignoranza ed ha la funzione di servire come base per la perdita di attività virtuose. Il tempo appropria­to per dormire è il periodo intermedio della notte, non il primo o l'ultimo periodo, né durante il giorno. Durante il periodo interme­dio della notte bisognerebbe dormire con una volontà di praticare la virtù, e non motivati da afflizioni. Perciò vi sono due tipi di sonno, virtuoso e non virtuoso, l'ultimo avente la funzione di de­generare le attività virtuose.

 

(Contrizione). La contrizione è il rimorso o il rimpianto per un'azio­ne compiuta da se stessi seguendo la propria idea o per la pressio­ne di qualcun altro, che successivamente viene a provocare dispiacere. Essa implica ignoranza ed ha la funzione di interrompere la stabilità della mente. La contrizione è di tre tipi:

1- virtuosa - il rimorso per peccati fatti precedentemente;

2- non-virtuosa - il rimorso per azioni meritorie compiute in precedenza, come fare donazioni e quindi pentirsi di avere esaurito la propria ricchezza;

3- neutra - il rimorso per attività che non hanno né aiutato né dan­neggiato altri, come un errore nel lavoro.

La contrizione per i peccati è opportuna quando il loro risultato non è ancora avvenuto e può essere ancora modificato mediante la confessione ecc. Quando il risultato di un peccato è già intervenu­to, come nel caso dell'essere nati ciechi, la contrizione non può più, ormai, vincere l'effetto dell'azione.

 

(Investigazione e analisi). L'investigazione è un'indagine sulla grez­za entità degli oggetti nonché dei loro nomi, mentre l'analisi è una sot­tile discriminazione di questi. Relativamente agli oggetti l'inve­stigazione e l'analisi sono di tre tipi: virtuose, non-virtuose e neutre. Le virtuose, come l'analisi della mancanza di un sé accompa­gnata dall'intenzione di emergere dall'esistenza ciclica, ha la fun­zione di servire come base per familiarizzarsi nel contatto con la felicità in quanto genera effetti piacevoli. L'investigazione e l'analisi non-virtuose, come l'indagine su oggetti piacevoli e spiacevoli motivata da desiderio e avversione, ha la funzione di servire come base per disabituarsi alla felicità, in quanto gene­ra effetti spiacevoli. L' investigazione e l'analisi riguardo a tecniche, stili, e così via, prive di attitudini virtuose o non virtuose, sono neutre.

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IV°- Fattori composizionali non-associati.

 

Fonte: "Esordi di Annotazioni sull' 'Essenza Delle Buone Spiegazioni' (di Dzong-ka ba)" di Gon-chok-den-bè-dron-mè.

 

L'ultima divisione dei fenomeni impermanenti è costituita dai fat­tori composizionali che non sono né forma né coscienza. Essi vengono chiamati fattori composizionali per il fatto di essere fattori che tengono conto di aggregazioni di cause e condizioni, nonché della produzione, permanenza e cessazione di prodotti. Essi vengono chiamati 'non-as­sociati' perché, diversamente dalle menti, essi non sono associati con menti o fattori mentali.

I fattori composizionali non-associati vengono divisi in due tipi:

 

Quadro 24: Divisioni dei Fattori Composizionali Non-Associati

 

1)-----------------persona (pudgala, gang zag)

 

2)----------- fattore composizionale impersonale (apudgalaviprayuktasamskàra--gang zag ma yin pa'i ldan min 'du byed)

 

Una persona è un fattore composizionale non-associato per il fatto di essere designata in dipendenza di un insieme di forma e coscien­za. Dal momento che una persona non è né forma né coscienza ma è impermanente, può solo costituire un caso della rimanante categoria di fenomeni impermanenti, un fattore composizionale non-associato. I fattori composizionali non-associati impersonali sono di ventitré tipi:

 

Quadro 23: Divisioni dei Fattori Composizionali Non-Associati Non-Personali

1)-------------------------acquisizione; (pràpti, 'thob pa)

2)------------------------assorbimento senza discriminazione;

                                                    (asamjnisampatti, 'du shes med pa'i snyoms 'jug)

3)-----------------------------assorbimento della cessazione;

                                                    (nirodhasamapatti, 'gog pa'i snyoms 'jug)

4)---------- privo di discriminazione; (àsamjnika, 'du shes med pa)

5)-------------------------facoltà vitale; (jivitendríya, srog gi dbang po)

6)---------------------similarità di tipo; (nikàyasabhàgata, rigs 'thun pa)

7)-----------------------------nascita; (jàti, skye ba)

8)--------------------------vecchiaia;(jarà, rga ba )

9)-------------------------------durata; (sthiti, gnas pa)

10)---------------------------impermanenza; (anityatà, mi rtag pa)

11)-------------------gruppo di radici; (nàmakàya, ming gi tshogs)

12)----------------------gruppo di parole;(padakàya, tshig gi tshogs)

13)-----------------------gruppo di lettere; (vyanjanakàya, yi ge'i tshog )

14)----stato di un essere ordinario; (prthagjanatva, so so skye bo nyid)

15)---------------------------------continuità; (pravrtti, 'jug pa)

16)--------------------distinzione; (pratiniyama, so sor nges pa)

17)-------------collegamento o correlazione; (yoga, 'byor 'grel)

18)-----------------------------rapidità; (jàva, 'gyogs pa)

19)---------------------------------ordine; (anukrama, go rim)

20)---------------------------------tempo; (kàla, dus)

21)--------------------------------area; (desha, yul)

22)-------------------------------numero; (samkhyà, grangs)

23)-----------------------------insieme; (sàmagri, tshogs pa)

 

Questi ventitré vengono chiamati 'designazioni di stati'.

'Acquisi­zione' sta a indicare uno stato di incremento e diminuzione di vir­tù ecc., di cui vi sono due tipi: 'trovare acquisizione' che è un nuovo conseguimento di tale aumento o diminuzione, e 'acquisizione possessiva' che consiste nel suo mantenimento.

'Assorbimento senza discriminazione', sta ad indicare uno stato che comporta un'assenza di sensazioni e discriminazioni grossolane, associate con la terza concentrazione e le inferiori. Esso viene prodotto dagli esse­ri comuni solo in dipendenza dalla quarta concentrazione.

'Assorbimento della cessazione' sta ad indicare uno sta­to raggiunto solo dai Superiori, in cui vi è un'assenza di sensa­zioni e discriminazioni grossolane, connesse con l'apice dell'esi­stenza ciclica (il più alto livello del Senza-Forma) e inferiori.

'Privo di discriminazione' indica lo stato di un individuo nato tra gli dèi nella condizione di essere privo di sensazioni e discriminazioni grossolane.

'Facoltà vitale' o 'vita' sta ad indicare lo stato del vivere; esso è la base della coscienza. e del calore.

'Similarità di tipo' sta ad indicare lo stato o condizione di uguaglianza.

'Nascita' (o 'produzione'), 'vecchiaia', 'durata', e 'impermanenza' stanno ad in­dicare gli stati o condizioni delle caratteristiche delle cose.

'Gruppo di radi­ci', 'gruppo di parole', e 'gruppo di lettere', stanno ad indicare vari stati di convenzioni verbali. Le radici sono nomi semplici, senza le desinenze di casi ecc., mentre le parole sono radici con l'aggiunta delle desinenze dei casi, ecc.

'Stato di un essere ordinario' sta ad indicare uno che non ha ottenuto le qualità dei Superiori. (I Vaibhashika lo sostituiscono con il termine 'non acquisizione' e non asseriscono le rimanenti nove, limitando la loro presentazione dei fattori composizionali non-associati a quattordici).

'Continuità' sta ad indicare lo stato ininterrotto di un continuum di cause ed effetti. 'Distinzione' è di tre tipi: distinzione del particolare e del generale, di virtù e peccati e piaceri e dolori, e distinzione di cause ed effetti.

'Collegamento o Correlazione' è di tre tipi: per esempio, 'mezzi' che è l'insieme degli strumenti dell'artigiano, 'aggregazione', che è l'insieme di cause, specificatamente il loro appoggiarsi su ciascun'altra al­l'interno dell'insieme, e 'idoneità' che è il fatto che ogni cosa ha una propria funzione.

'Rapidità' sta a designare una condizione del sorgere di effet­ti immediatamente dopo le loro cause, e la velocità prodotta da persone, emanazioni magiche, e così via. 'Ordine' sta ad indicare una condizione di serie, di precedente e posteriore, alto e basso, ecc.

'Tempo' sta ad indicare stati del passato, presente e futuro.

'Area' sta ad indicare l'insieme del luogo e delle persone all'in­terno.

'Numero' designa una condizione di misura.

'Insieme' indica lo stato di un insieme completo di cause e specificatamente tale totalità.

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V°- AGGREGATI, COSTITUENTI E SORGENTI

 

Fonti:Insegnamenti orali di Kensur Lekden

"Grande Esposizione delle Dottrine" di Jam-yang shes-ba

 

Un altro modo di dividere tutte le cose impermanenti, consiste nei cinque aggregati, o più letteralmente, 'mucchi' o 'cumuli' (skandha, phung po). Questi cinque sono:

 

Quadro 26: I Cinque Aggregati

------------------forme (rúpa, gzugs)

--------------sensazioni, (vedanà, tshor ba)

--------------discriminazioni (samjnà, 'du shes)

------------fattori composizionali (samskàra, 'du byed)

-----------------coscienza (vijnàna, rnam shes)

 

Questi aggregati o 'mucchi' vengono così chiamati perché quando Buddha li insegnò egli ammucchiò diversi granelli - riso, ecc. - in cinque mucchi, per rap­presentare le categorie di fenomeni impermanenti. Questi cinque muc­chi vengono definiti aggregati di fenomeni e, quindi, 'aggregati' viene qui spesso usato come la traduzione equivalente.

Gli undici tipi di forme e i loro esempi costituiscono il primo aggregato: 'forme'. I tre tipi del fattore mentale 'sensazione` - piacere, dolore e indifferenza - e i loro esempi costituiscono il secondo aggregato: 'sensazioni'. Il fattore mentale della discriminazione e tutti i suoi esempi costituisce il terzo mucchio: 'discriminazioni'. I fattori composizionali non-associati e i rimanenti quarantanove fattori mentali come pure i loro casi costituiscono il quarto aggregato: 'fattori composizionali'. Le sei menti principali e i loro casi costituiscono il quinto aggregato: 'coscienze'. La persona viene attribuita a questi aggregati di fenomeni impermanen­ti e non si può trovare né separata da essi né tra di essi.

Tutti i fenomeni impermanenti, non solo nel continuum personale, ma anche nel mondo esterno, vengono inclusi in questi cinque. Co­munque la vacuità della mente, un fenomeno permanente incluso nel­l'ambito del continuum personale, non è compreso tra i cinque ag­gregati perché i cinque aggregati sono esclusivamente impermanenti. Quindi, non tutti i fenomeni del continuum personale sono compresi nei cinque aggregati, ma solo gli impermanenti.

Gli ultimi quattro aggregati sono fenomeni mentali ed il primo è fisico; perciò i cinque sono 'aggregati fisici e mentali'. Anche ogni caso dei cinque viene chiamato un 'aggregato' perché, per esem­pio, un tavolo è esso stesso un aggregato di particelle e una co­scienza è un continuum di momenti. Una singola particella e un sin­golo momento di coscienza vengono pure chiamati un aggregato di for­ma e un aggregato di coscienza, non perché essi siano aggregati di particelle o di momenti, ma solamente secondo il punto di vista del designare una parte - per esempio un caso di aggregato-forma - con il nome dell'intero - 'aggregato di forma'. Tale modo di denomina­zione, per cui ogni caso di un aggregato è esso stesso chiamato un aggregato, è conforme alla connessione tra una generalità ed i suoi casi. Se la generalità è 'aggregato di forma', ognuno dei suoi casi deve essere un aggregato di forma. Per essere un caso di una gene­ralità (ad esempio un vaso), un fenomeno (ad esempio un vaso d'oro) deve essere della stessa entità della generalità, il fenomeno deve coincidere con essa (un vaso), e vi devono essere altri casi.

Tutti i fenomeni, sia permanenti che impermanenti, possono esse­re divisi in diciotto costituenti (dhàtu, khams), che vengono così chiamati perché danno origine a fenomeni di tipo similare. Questi sono i sei oggetti, i sei poteri sensoriali, e le sei coscienze, ogni caso dei quali viene chiamato un costituente.

'Fenomeno', la sesta categoria di oggetti, si riferisce a fenomeni diversi, quelli che non sono oggetti dei sensi ma sono solo ogget­ti della coscienza mentale, come l'impermanenza e la vacuità. Poi­ché gli oggetti dei sensi sono anche oggetti di una coscienza men­tale, la categoria 'fenomeni' non include tutti gli oggetti di una coscienza mentale - sono inclusi soltanto i suoi oggetti esclusivi tra cui fattori mentali e fenomeni permanenti, come lo spazio.

Poiché ciascuna delle sei coscienze di un Buddha conosce tutti i fenomeni, questa lista non si applica ai Buddha. Tuttavia, l'a­bilità di un Buddha di conoscere tutti gli oggetti con ogni coscien­za, non implica che vi sia una sola mente che venga semplicemente designata con i nomi delle sei coscienze quando giunge ai vari or­gani ed esperisce i loro rispettivi oggetti. L'inter-funzionalità delle coscienze di un Buddha è una qualità straordinaria e non ri­guarda la presentazione delle coscienze e oggetti dei non-Buddha.

I diciotto costituenti includono tutti i fenomeni, sia perma­nenti che impermanenti, a motivo dell'inclusione di ogni fenomeno permanente nella categoria di 'fenomeno'. Questi diciotto possono essere ridotti a dodici sorgenti (ayatana, skye mched) con l'elimi­nazione delle sei coscienze, continuando tuttavia ad includere tut­ti i fenomeni perché le sei coscienze sono ancora incluse nella ca­tegoria 'potere del senso mentale'. Il potere del senso mentale è un precedente momento di ognuna delle sei coscienze che agisce co­me base di una coscienza mentale tanto quanto un potere del senso fisico agisce come base di una coscienza sensoriale.

Le dodici sorgenti vengono chiamate così perché aprono la strada alla produzione delle sei coscienze. Esse consistono nei sei oggetti e sei poteri dei sensi (vedere Quadro 28). Gli insegnanti ripetutamente enumerano i di­ciotto costituenti o le dodici sorgenti allo scopo di enfatizzare il senso della molte­plicità dei fenomeni che sono le basi di imputazione o designazio­ne di una persona. Le tavole vengono memorizzate dagli studenti, che non solo ripetono i nomi, ma fanno in modo che i fenomeni appaiano alle loro menti. Tale pratica aiuta molto ad espellere il senso di sé e preparare la via verso il riconoscimento della natura imputa­ta della persona. Perciò, in seguito si può procedere ad investigare la natura imputata di questi stessi fenomeni. Vengono ora qui descritti i Diciotto Costituenti e le Venti Sorgenti:

 

Quadro 27: I Diciotto Costituenti

oggetto                         potere sensoriale                                     coscienza

forma                             potere del senso dell'occhio                           coscienza visiva

suono                             potere del senso dell'orecchio               oscienza uditiva

odore                             potere del senso del naso                            coscienza olfattiva

sapore                            potere del senso della lingua                coscienza gustativa

oggetto tangibile    potere del senso del corpo                            coscienza corporea

fenomeno                       potere del senso della mente                coscienza mentale

 

Quadro 28: Le Dodici Sorgenti

oggetto                                                     potere sensoriale                  

forma                                                         potere del senso dell'occhio                 

suono                                                         potere del senso dell'orecchio    

odore                                                          potere del senso del naso          

sapore                                                        potere del senso della lingua      

oggetto tangibile                                 potere del senso del corpo                  

fenomeno                                                    potere del senso della mente     

 

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CONCLUSIONE-

Poiché l'argomento qui trattato è della massima importanza nello studio della mente, secondo la Psicologia buddhista, ma anche secondo il principio della Conoscenza Trascendente, si richiama l'attenzione del lettore interessato sull'eventuale difficoltà di comprensione che potrebbe ingenerarsi ad una prima sommaria lettura del testo. Eventualmente si consiglia, quindi, di ripetere la lettura dei punti particolarmente ostici, al fine di familiarizzare con l'argomento ed i termini citati. Quando un praticante ha eseguito in modo appropriato lo studio della materia, resterà meravigliato nel vedere che nella sua mente si sono create delle tabelle spontanee, simili a quelle elencate nel testo, in cui il meditante raccoglie con facilità le informazioni che servono a catalogare le categorie dell'esistenza.

Tutti i veri meditanti, benché siano raccomandati nell'eliminare la gran quantità di concetti che si accalcano nelle nostre menti, sono vieppiù consigliati di apprendere e lasciar depositare queste nozioni sulla natura della mente, in modo naturale. Se c'è vero interesse nella pratica verso la Liberazione, ciò sarà spontaneo e senza sforzo. Altrimenti, per coloro che si attaccano ai pregiudizi ed alle opinioni personali, questo potrà essere un ulteriore modo di disturbare la loro mente. Tuttavia, almeno come fatto di erudizione, potrà venir esaudita la loro innata curiosità sui motivi del perché la mente umana automatica è costretta ad aspettare i suoi tempi, prima di potersi liberare dalle sue stesse catene vincolanti.

 

ROMA, 26 Luglio 2003 -                                                  Alberto Mengoni  (ALIBERTH)

 

 

 

 

 

 

 

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