Centro Ch'an Nirvana
 

 

AL CENTRO DEL VERO CUORE ZEN…
Tratto da:The Zennist:Going to the very heart of Zen
(Spunti sullo Zen del Maestro ZENMAR –
tratti dal sito: http://zennist.typepad.com/)

II° Parte - Trad. di Aliberth…
 

  

L'offerta intima

Una volta un monaco chiese a Chao-chou quale fosse, nel Sutra del Loto, l’ 'offerta intima' della figlia del Re Dragone fatta al Buddha. Rispondendo alla sua domanda, Chao-chou distese misteriosamente in avanti entrambe le mani in un gesto di offerta. 

Io sono certo che i moderni geni odierni di Zen hanno tutti dedotto il gesto di Chao-chou. Lasciatemi indovinare ciò che loro immaginano possa essere l’'offerta intima'. Molto probabilmente un moderno insegnante di Zen insisterebbe senza dubbio che il gesto di Choa-chou fosse l’ 'offrire nessuna offerta' perché l’offrire nulla sarebbe qualcosa, e il buddhismo è pressoché nulla. Questa risposta porta fuori strada. Un'altra risposta potrebbe essere che Chao-chou stia offrendo il vuoto (la vacuità). Ma anche questa è lontana un miglio. Tali risposte non sono affatto intime. Esse giocano con le parole. Stanno solo ad indicare l'ignoranza (cioè, l'immediatezza della consapevolezza) che oggi qualcuno nello Zen prende per illuminazione.  

L'offerta più intima di tutte dovrebbe naturalmente essere la Talità (tathata). Ma cos’è la Talità? Se la nostra mente non è idonea a percepire la Talità, in primo luogo, noi non possiamo realmente fare una tale offerta. Noi certamente potremmo chiamare la nostra offerta "Talità" e giocare con le parole, che è una cosa facile da fare. Ma questa non è l’autentica Talità. I Buddha sarebbero molto scontenti della nostra offerta perché essa non è la vera Talità. La vera Talità è molto più delle parole, o giochi di parole. Sperimentare la vera Talità è conoscere e vedere la luce spirituale della Pura Mente.  

Quando Chao-chou distese in avanti le mani, lui fece realmente la stessa esatta offerta come la figlia del Re Dragone. Non fu un gesto vuoto, da parte sua. Se il monaco avesse avuto una conoscenza intima dell’offerta della figlia del Re, egli certamente avrebbe sorriso ricevendo la splendida 'offerta' di Chao-chou! Ma chiaramente lui non l’aveva. Egli ne era totalmente ignaro, così come molti altri che oggi praticano lo Zen. Gli Zenisti di oggi sono infettati dal pensiero e dalle credenze Occidentali. Non si può supporre che c’è un’ultra-essenziale luce che anima il nostro corpo. È tutto una finzione della nostra immaginazione. Però, la vera mèta dello Zen è di percepire questa luce. Questa è la cosiddetta ‘trasmissione della luce’. Cos’altro potrebbe essere trasmesso oltre alla luce spirituale, o Talità? E cos’altro poteva donare la figlia del Re Dragone se non la luce spirituale?  

Se noi desideriamo essere in grado di fare tale offerta, dobbiamo cercare la Talità in qualche altro luogo oltre la nostra immaginazione. Dovremmo cercare un buon insegnante di Zen come Chao-chou che ci aiuti. Ma lui ci spaventerà con i suoi non-sense perché in tutta la nostra vita noi in realtà stiamo scappando dalla Talità - noi la odiamo. Infatti, incontrare un vero insegnante che sia un portatore di luce è un evento spaventevole. La sua Talità non trova niente in noi che sia compatibile con la Talità.

Solamente svuotandoci della nostra corruzione che ci fa essere incapaci di percepire la Talità, noi possiamo sperare di vedere ciò che la figlia del Re Dragone donò al Buddha. Secondo il Sutra del Loto, il nostro compito per molto tempo sarà di svuotare innumerevoli secchi di sterco finché noi non saremo degni di ricevere la suprema trasmissione, essendo capaci di donare come Chao-chou.  


 

Lo Yoga del sogno

Il sogno è un soggetto che nel buddhismo è stato trattato un po' tardi. Uno degli scopi del sogno è di esaminare la profondità del voto di Bodhisattva con riguardo al salvare gli esseri senzienti. Siccome la coscienza non può distinguere il mondo di sogno dal mondo di non-sogno, il sogno può essere una importante prova del nostro profondo impegno a salvare gli esseri senzienti.   

Per capire le piene implicazioni di ciò, noi dovremmo pensare di sognare in questa maniera: ‘Alla fine, il mio sogno si risolve in qualcosa che dal male diventa bene? Per esempio, se sogno che io ho sete, alla fine, sono capace di trovare l’acqua nel mio sogno? Se io sono nudo, alla fine qualcuno mi offrirà dei vestiti così da potermi scaldare? Se io sto con persone malate, alla fine esse tornano a star bene? Se sono in presenza di persone del sesso opposto, mi sento attratto?’ Se i miei sogni non finiscono con un esito che dà beneficio, la forza del voto di Bodhisattva è debole. Ma quando i nostri sogni si risolvono dal male al bene questo indicherebbe che nella vita da svegli esiste un buon cuore ed è così anche nella vita del subconscio. Questo è il cuore da Bodhisattva. 

L'idea dell’interpretazione del sogno non rientra nel quadro. Essa è irrilevante. Ciò che nel sogno è stato esaminato è la forza della predisposizione che la nostra coscienza possiede per districarsi dalla sofferenza. È una sorta di test per misurare la nostra sincerità e impegno nel sentiero di Bodhisattva. Se sognando, per esempio, la maggior parte dei nostri sogni funzionano per il meglio, allora la nostra vita da svegli si sta muovendo nella direzione corretta. E, per la maggior parte del tempo, anche noi sperimenteremo la 'buona sorte'. Questo significa anche che alla nostra morte noi automaticamente rinasceremo in mondi più elevati come se fossimo in possesso di una gemma che esaudisce i desideri.   

Come possiamo modificare i nostri sogni, così che l’esito funzioni quasi sempre per il meglio, dipende dalla nostra profondità di introspezione, attraverso la quale il nostro collegamento con la Pura Mente è gradualmente approfondito e sviluppato. Se non ci siamo impegnati con il lavoro sulla Pura Mente, la nostra vita futura è a rischio. Perché è grazie all'influenza della Pura Mente che tutte le cose vanno a finire bene. Ed è anche per l'influenza della Pura Mente che la nostra prossima vita sarà buona.  

Recentemente, mi ricordo di un sogno in cui io aiutai un vecchio uomo a uscire da una macchina. Lui era così debole che da solo non poteva farcela. Io sedetti sull'erba e lo sostenni. Poi alcune persone vennero verso di me chiedendo soldi. Io vidi aprire il mio portafoglio. Era vuoto. Però, poi ne uscì del denaro. Io guardai alla mia sinistra, l'uomo anziano al mio fianco stava seduto vicino a me come un ragazzo. Questo sogno non è simbolico. Non è una profezia del futuro. Mostra semplicemente che la forza della mia pratica quotidiana si ripercuote nei miei sogni. In altre parole, il mio subconscio agisce come un Bodhisattva che fa ogni cosa nel modo giusto.  

Io penso che questo approccio ai sogni sia il miglior approccio. Io offro ad ognuno un'opportunità di testare la sua pratica. In altre parole, quant’è profondo? Se un mattino potete ricordare che un sogno è stato una meraviglia, quando magari era cominciato come un incubo, allora significa che di giorno state facendo le cose giuste. La vostra pratica sta toccando il subconscio. E un'ottima indicazione che voi siete sul sentiero del Bodhisattva.


Il Patriarca Zen

Forse il primo vero Sutra Zen, ma non certo l’unico, fu trasmesso da Hui-neng, il quale è considerato il sesto Antenato, o il sesto Patriarca, che è il nome più comune. Il discorso di Hui-neng fu chiamato Il Sutra della Piattaforma. Esso contiene alcune delle idee-chiave del buddhismo, che per gli Zenisti di quell'era furono estremamente importanti.  

Il Sutra della Piattaforma inizia con l'insegnarci una di quelle importanti idee-chiave. Grazie a delle strofe che cercano di determinare chi diverrà il sesto Patriarca, noi veniamo ad imparare qual è quella pratica Zen accettabile per le persone illuse, e cos’è il Patriarca Zen, che è il vero insegnamento del buddhismo.  

Il quinto Patriarca, che più tardi riconoscerà che i due poemi composti da Hui-neng sono degni di un Patriarca Zen, fu molto acuto nell’avere un'intuizione positiva della Buddha-natura. Il quinto Patriarca non era innamorato della negazione come pratica da cui, sia come sia, il praticante Zen imparasse la tecnica di rimuovere le oscurazioni dalla Pura Mente. Il quinto Patriarca esortava i suoi discepoli ad avere un'intuizione della Buddha-natura e, quindi, vedere direttamente la sua natura indefettibile. Noi potremmo anche vederla così, cioè che è più importante vedere la Pura Mente, direttamente, che non preoccuparsi di questioni che non sono intrinseche alla sua natura.  

Durante la disputa, il quinto Patriarca comprese che il poema del Capo dei Monaci toccava lievemente la conoscenza della Buddha-natura. Esso infatti rappresentava il metodo negativo di rimuovere le oscurazioni, come il pulire la superficie di uno specchio. Ma quando il quinto Patriarca arrivò a leggere  i due poemi di Hui-neng, lui comprese che questi era il Patriarca Zen (anche se lui finse che entrambi i poemi non riflettevano un'intuizione della Buddha-natura). Questo forse spiega il perché, nel suo primo incontro con Hui-neng, il quinto Patriarca fu impressionato da questo boscaiolo analfabeta. Hui-neng sembrò capire l'implicazione positiva della Buddha-natura. D'altra parte, il Capo-Monaco che non l'aveva direttamente intuita, non sembrò capire l'implicazione positiva della Buddha-natura.  

Nei moderni centri di Zen, non viene dato quel tipo di insegnamento che è vicino al Patriarca Zen. La pratica è principalmente negativa. Essa va dall'imparare a sopprimere i pensieri, al controllare il corpo mettendolo in una invisibile costrizione meditativa. Ma questa non è la pratica raccomandata di Zen – almeno non nel Sutra della Piattaforma. Secondo il Sutra di Hui-Neng, la pratica di voler rimuovere i pensieri contaminati stando seduti porta a casi di alienazione mentale. Il pericolo nel fare di questa la predominante pratica Zen è che alla fine lo Zen non riconoscerà nemmeno il Patriarca Zen. Questi insegnanti trasmetteranno ai loro studenti uno Zen per persone illuse. Essi insegneranno loro soltanto a star seduti e cercar di sopprimere i loro pensieri. E alla fine, quelli che praticano così, a causa di questo metodo sbagliato, chiameranno il loro Zen, il Patriarca Zen, e lo Zen che dischiude la Buddha-natura, lo Zen delle menti illuse ed ingannate.  


 

Vedere la Mente di Buddha

           Il punto-chiave del buddhismo è solo il ‘vedere’.

Quello è tutto. - Steve Hagen; prete Zen;   

Hagen fa del supremo risveglio del Buddha un intransitivo. Il Buddha, invece di vedere l'oggetto che viene illuminato, solo ‘vede’! O forse, il Buddha, solo ‘sente’. In ogni caso, Hagen sta descrivendo ciò che io penso sia poco meno che un non-senso. Nel canone del buddhismo Zen non c'è niente connesso lontanamente con un risveglio di solo vedere. Presentare questo come Zen equivale ad una sorta di frode religiosa perché travisa ciò che è di fronte a noi, come il canone di Zen che non contiene nessuna tale teoria. Non c'è certamente nessun senso di ‘solo vedere’ in queste mistiche parole di Fu Shan-hui (d. 569): “Quando tu conosci il Buddha che è all’interno, e non lo cerchi fuori, allora la mente stessa è il Buddha, e il Buddha è la mente. Quando la mente è chiara, tu percepisci il Buddha e comprendi la mente che percepisce. Separatamente dalla mente non c’è Buddha; separatamente dal Buddha non c’è mente”. 

‘Semplicemente vedere’ non significa niente per uno che percorre il sentiero Zen per trovare la Mente di Buddha. Prendere tale sentiero deve culminare con l'esperienza di realizzare la Pura Mente, cioè, la Mente di Buddha. Questo è il significato fondamentale del risveglio – ovvero, uno deve risvegliarsi al trascendente che è oltre il mero ‘vedere’ e l’acquisizione mentale.  

Se si procede accanitamente verso questa mèta con ogni fibra del proprio essere, non ci potranno aiutare, ma possono risvegliarci. Ma loro non potranno ‘solo vedere’. Invece, percepiranno una pura luce animativa che è stata sempre naturalmente liberata; che è stata sempre presente, con ciascuno di noi che cerca di dirigersi nella giusta direzione.  


 

La Sorgente Ultima del Respiro

Quando cerchiamo di pensare alla Pura Mente, il pensiero non è la Pura Mente. E neppure il nostro corpo e il ragionamento sono la Pura Mente. Se noi desideriamo praticare la meditazione sul respiro, anche il seguire il respiro non è la Pura Mente. Né l'inspirazione né l’espirazione sono la Pura Mente.  

Quando un Buddha fa la meditazione sul respiro, la sua attenzione non è rivolta al respiro. La sua attenzione è diretta alla ‘sorgente ultima’ chiamata parimukha. E questo è un altro nome per la Pura Mente. Nell'inspirare ed espirare, si dice che il Buddha sia sempre consapevole della sorgente ultima del respiro. Se noi desideriamo praticare la meditazione del Buddha, la chiave deve essere sul respiro, così com’e, ritornando alla sorgente del respiro che è oltre l'inspirazione e l’espirazione. Dal punto di visto dello Zen, se desideriamo ritornare al nostro volto originale di prima che noi nascessimo, esso è il volto trascendente che è prima del respiro.  

Benché gli insegnanti buddhisti sottolineino di seguire il respiro – quando mai il Buddha ha detto che la pratica corretta è di seguire il respiro? La nostra reale natura è oltre il respiro. Noi, invece, dobbiamo trovare la sorgente al nostro interno che trascende l'inspirazione e l’espirazione. Siccome la nostra coscienza è connessa al corpo attraverso il respiro, noi dobbiamo rivolgere la nostra coscienza via dal respiro e posizionarla a ciò che è antecedente al respiro. La nostra coscienza, con la pratica, potrà essere attenta dell'inizio dell'inspirazione ed espirazione che, per così dire, sono senza-respirazione. Quando saremo riusciti a fare questo, allora capiremo perché il Buddha è stato talvolta chiamato il portatore di luce. 


 

La Nascita come Rinascita

 ‘Se noi siamo già nati una volta,

allora non c’è la certezza assoluta

 che non rinasceremo di nuovo’.          (W.G. Wobbermann)

 

Ad alcune persone piace credere che dopo la loro morte, esse non ci saranno più. L'unico problema con questa teoria è che essa non ferma la rinascita. Non c'è nessuna assicurazione che dopo la morte del corpo noi si diventi totalmente estinti. E non c’è bisogno di dire che il mistero della nascita è il più grande mistero perché la morte, evidentemente, è dipendente dalla nascita. Rispetto al nostro stato attuale di essere, noi non possiamo spiegare il perché siamo qui – in questo momento presente -piuttosto che non esserci. Inoltre, non abbiamo nessuna garanzia al 100% che noi non rinasceremo ancora proprio come prima.  

Possono alcuni credere realmente che quando fummo concepiti nell'utero di nostra madre, questa fu una cieca opportunità sufficiente per non farla mai accadere di nuovo? In realtà, le opportunità sono tali che ciò accadrà di nuovo. Secondo il Buddha, la rinascita accade quando si incontrano certe cause e condizioni. Se queste condizioni non sono sufficientemente concluse un essere senziente è aperto ad una nuova rinascita. In altre parole, la sua mente prenderà un altro corpo.

Sempre secondo il Buddha, la mente che trasmigra ha un'inclinazione per un embrione fertilizzato, a cui essa si lega e questo è chiamato l'ingresso della coscienza. A questo punto, la mente entra nel mondo temporale, o samsara, che è dipinto come avente i cosiddetti dodici-anelli comprendenti le Dodici Catene, che sono chiamate anche i grandi oppressori.  

Venire al mondo non è la manifestazione di un'anima eterna. Nascere è un’escrescenza fenomenica in cui noi siamo intessuti, come coscienza, con una molteplicità di oggetti di consapevolezza dai quali non vi è apparente possibilità di fuga. Quello che non è legato a questa condizione ci è nascosto, e quindi, la nostra sofferenza è un risultato del non riuscire a trovarlo. La Morte può essere vista come un cambiamento-in-qualcos’altro. Noi potremo trasformarci in un demone, un animale, un fantasma affamato, un essere umano o una divinità con cui, dipendendo dalla forza e dal dominio di certe tendenze e inclinazioni, la nostra mente risuona per abitudine. Benché il processo sia apparentemente invisibile, nondimeno, in questo momento noi siamo proiettati verso il nostro destino futuro. Per esempio, noi potremmo volere cose buone che si trovano solo nei reami divini. Inoltre, potremmo desiderare di comandare le persone e dominarle. In questo caso, noi ci stiamo comportando proprio come un demone. Dopo la nostra morte noi rinasceremo in mondi demoniaci. Ecco perché la moralità è così importante. Attraverso essa possiamo andare in cielo o all’inferno.

Noi di solito possiamo parlare su quale sarà la nostra prossima rinascita. Se il nostro destino, dopo la nostra morte, sarà l’inferno, prima di morire avremo continuamente orribili pensieri. Noi sentiremo di essere sempre tormentati e perseguitati. Non potremo mai rilassarci. Saremo in un continuo stato di ansia. Se invece nella nostra prossima vita dovremo diventare un fantasma affamato, noi avremo sempre fame non importa quanto si mangi. Desidereremo insistentemente cibo, alcool, droghe, soldi, e molte più cose di cui non potremo averne abbastanza!  

Se veramente vogliamo sfuggire una cattiva rinascita, noi dobbiamo seguire il sentiero del Buddha, o uno simile. È importante capire che la mente è realmente ciò che trasmigra. Essa vuole sempre certe condizioni, cadendo così in un particolare genere di rinascita. "La bramosia è ciò che costruisce una persona; la sua mente (citta) è ciò che vaga costantemente; così un essere entra nel samsara; egli allora non è più libero dalla sofferenza" (S.i.37).;  

Le varie rappresentazioni che la mente produce riempiono la mente stessa di bramosia, causando così che essa vada vagando all’intorno come una mente che non si conosce. Il suo non-conoscersi della mente (avidyà) è il primo anello della catena delle Dodici Concatenazioni. Se realmente la mente riuscisse a realizzare se stessa, non sarebbe più costretta a vagabondare nel samsara da un'esistenza all’altra. Superato l’anello della non-conoscenza di sé, uno realizza il Nirvana.  


 

Misticismo Zen: una verità non-conveniente  

Per molti Occidentali interessati allo Zen, il fatto che lo Zen è realmente una forma di misticismo buddhista si rivela una verità che arreca loro disturbo. Qualunque cosa essi credano che lo Zen sia - non lo ritengono essere una forma di misticismo. Nelle loro menti spesso lo Zen appare essere una forma di mediocrità radicale, nel senso di imparare ad accettare la vita come viene, in cui non vi è niente di trascendente eccetto, forse, la morte. Questa errata visione è stata ampiamente perpetuata dalle sale di meditazione Zen degli insegnanti Zen Occidentali. Costoro hanno trovato una strategia per vendere lo Zen agli Occidentali che in gran parte sono materialisti e che, inoltre, trovano più o meno ripugnante la religione.  

Quando lo Zen arrivò in Occidente, esso incontrò una visione del mondo profondamente trincerata in varie filosofie materialistiche, come il fenomenalismo, il quale crede che oltre l'esperienza sensoriale non vi sia niente. Sotto una tale visione, gli Occidentali non erano ansiosi di abbracciare una religione asiatica diretta verso il misticismo; che professava di trascendere l'esperienza sensoriale e realizzare un'esperienza trascendente. Ciò che essi volevano era una religione che li avesse aiutati a tener testa all’essere in un ingranaggio del macchinario materialista. Con un leggero pizzicorìo, lo Zen divenne la risposta perfetta. Fu introdotto sul mercato dagli insegnanti Zen Occidentali come l'antidoto per le nostre nevrosi quotidiane. Questa rappresentazione dello Zen faceva credere che lo stress nella vita nostra fosse causato dal troppo pensare. Questo riporta ad un periodo della storia americana quando si credeva che la nevrastenia (cioè, la nevrosi) fosse causata da "eccessivo lavorio del cervello". Negli anni 20, memori di questo, lo Zen divenne la pratica del non-pensare, come metodo di affrontare lo stress. Secondo DaininKatagiri, il non-pensare, in cui l’eccessivo lavorìo del cervello diminuisce, viene realizzato quando noi "pensiamo non-pensando!".  

Malgrado il fatto che la storia dello Zen non sapesse niente del non-pensiero come antidoto per la nevrosi o come metodo di realizzare l’illuminazione, tale credenza, nondimeno, rimane fortemente inserita nei circoli Zen Occidentali. Però, la gran parte della letteratura classica Zen essenzialmente non dice nulla sulla soppressione dei pensieri. In realtà, dice l'opposto. Secondo il maestro Zen Hui-neng, non-pensiero significa solo non essere trasportati dai nostri pensieri nel processo del pensare. Meglio ancora, dovremmo conoscere e vedere lo stesso strumento del pensiero, puro e radiante, come un'esperienza mistica. Come conseguenza del conoscere e vedere questo mezzo puro, quando un pensiero sorge e poi si ferma noi, intrinsecamente, sappiamo che il mezzo rimane se stesso; che è la nostra vera natura. Questo è ciò che realmente Hui-neng vuol dire col ‘non venir trasportati’.  

Gli Occidentali, particolarmente legati al materialismo, durante il corso degli anni, hanno tentato di escludere la letteratura Zen tradizionale dai moderni testi sullo Zen. Al massimo, essa è trovata ai margini dei discorsi pubblici di Zen. Benché non vi sia nessuna scarsità di libri sullo Zen in più librerie, i libri sullo Zen tradizionale devono essere ordinati. Uno, per esempio, non troverà il libro di SohakuOgata, La Trasmissione della Lampada alla libreria ‘Borders’ - in effetti, esso ora è fuori corso. Quelli che comprano e vendono libri guardano alla quantità - non alla qualità del libro. Infatti, assai poche persone sono interessate allo Zen tradizionale. Esse vogliono la versione moderna dello Zen, in cui solo sedere e non-pensare.  

Ma forse dovremmo fermarci e rivisitare ciò che il misticismo significa da una prospettiva buddhista. Secondo Heinrich Dumoulin: "La sfera del misticismo è così chiaramente differenziata dai fenomeni, come la magia, e perfino dalle metafisiche speculative. Siccome il contatto con l'Assoluto diviene, nell’ esperienza mistica, un mezzo di salvezza, il buddhismo, proprio a causa del suo elemento mistico, deve essere considerato una religione. Il Buddha, e coloro che lo seguirono, vide nell’illuminazione mistica il 'veicolo di salvezza' che li portò all' 'altra sponda' oltre questo mondo" (A History of Zen Buddhism, 4).  

Non occorre dirlo, ma senza il trascendente non può esservi certo esperienza mistica. Inoltre, senza il trascendente, non può esservi la genuina salvezza e, quindi, nessuna vera liberazione dal soffrire. Perciò, qual è il senso della salvezza senza la religione; infatti, qual è il senso del buddhismo se non vi è niente di mistico in esso? Il fatto di non perseguire il misticismo nella religione - e quindi nello Zen -  si può paragonare piuttosto ad un vagare senza scopo fatto solo per camminare, pertanto come può una persona sentirsi bene? Mentre un Cristiano, che non si preoccupa del misticismo, potrebbe su questa via portare una croce sulle sue spalle, al moderno praticante di Zen viene insegnato di stare attento ai suoi passi, come modo di sopprimere i pensieri agitanti. Inutile dire che questa è una scena davvero assurda.  

Si può credere che il misticismo sia il processo di liberarci trascendentalmente dalla nostra condizione incarnata, in cui occorre una netta distinzione tra il corpo al quale noi siamo apparentemente legati, e la nostra natura primordiale, che non è mai stata legata o incarnata. Nello stato di incarnazione, la stessa consapevolezza del nostro corpo e la consapevolezza della nostra vita mentale è la causa della incarnazione. Si potrebbe dire che abbiamo de-trascendentalizzato noi stessi dal nostro desiderio per il corpo ed il mondo che esso ha scolpito per sé. D'altra parte, rivolgendosi la nostra consapevolezza a ciò che nel buddhismo è chiamato l’elemento immortale, che è anche incondizionato, noi per la prima volta sperimentiamo una netta separazione dalla nostra precedente condizione incarnata. Questo è precisamente il Nirvana. Infatti, l'etimologia di nirvana suggerisce che la fiamma della vita è liberata dal combustibile, così che sia gioiosamente fresco piuttosto che dolorosamente caldo (duhkha). Questo stato, c’è bisogno di sottolineare, non è morte. Non c'è paragone. Nella morte, la fiamma rimane assetata e bisognosa di combustibile. Nel Nirvana, si è spiritualmente separati dal combustibile corpo, mentre esso è ancora in vita, come per dire, "Questo corpo è una cosa – però, io non sono parte di esso. È come un burattino che io animo; ma io non ho un vero collegamento con esso. Io sono indipendente". Tale esperienza, inutile dirlo, non può essere in alcun modo immaginata. Perché noi siamo così condizionati dalla nostra consapevolezza sensoriale da percepire solamente i fenomeni basati sui sensi.  

Tradizionalmente, lo Zen ha cercato di sperimentare il trascendente che non è connesso col corpo. Non poteva preoccuparsi di meno di trattare con le attitudini e i comportamenti nevrotici dei molti che si radunavano nei centri Zen moderni. Né lo Zen tradizionale è interessato a sedere in meditazione. La meditazione deve essere sviluppata - non confinata solo nello star seduti. La meditazione per lo Zen è realmente una ricerca interiore. Uno, per dire, è immerso nella giungla della propria ‘mentazione’; chi spera di trovare una traccia del trascendente. Questo è ciò che è espresso nella prima stampa dello straordinario TenOxHerdingPrints di Kaku-un. Lo Zenista, è dipinto come un giovane mandriano che sta cercando il suo bue perduto. Nella traduzione del commentario di D.T. Suzuki alla prima stampa, il bue è una metafora per la nostra vera natura che noi abbiamo perso di vista. La ragione per cui il bue è perso, è a causa dei nostri sensi che ci ingannano e che aspirano al guadagno mondano. La prima strofa dice: "Solo nella regione selvaggia, sperduto nella giungla, il ragazzo sta cercando, cercando!" Non serve dire che questa è una ricerca meditativa della nostra natura trascendente - non la nostra psicologica natura mondana che affronta la corsa del topo.  

Senza un impegno per il trascendente ed il processo mistico per realizzare la comunione con esso, un discepolo Zen non è un discepolo Zen. E’ uno che fa finta. Un tale studente potrebbe perfino essere un insegnante Zen che si sta creando un vivere comodo facendo funerali (come succede in Giappone) o interpretare il ruolo di uno psicologo Zen, come spesso succede in America e in Europa. Solamente frequentare un centro di Zen non può essere chiamato proprio un impegno al trascendente. Facendo così, uno in realtà è impegnato ad aver incontrato le sue proprie necessità private che vengono da un deficit di personalità. Prendere l’approccio mistico richiede molto di più. Bisogna essere una persona intelligente con pochi attaccamenti e abitudini. Questo è un sentiero difficile che richiede straordinarie capacità. Non è che basta essere il ragazzo-factotum del maestro Zen o un suo ammiratore, ma occorre avere un genuino amore per il sentiero mistico; desiderando solamente di realizzare il trascendente. Ma tali qualità sono rare ai giorni nostri. Alla maggior parte delle persone che praticano lo Zen manca l'abilità di pensare fuori dal comune modo di pensare. Le persone comuni sono più felici di essere seguaci che non spiriti che si elevano verso il cielo.

(FINE)