Centro Ch'an Nirvana
 


 AL CENTRO DEL VERO CUORE ZEN…
Tratto da: The Zennist:Going to the very heart of Zen
(Spunti sullo Zen del Maestro ZENMAR –
tratti dal sito: http://zennist.typepad.com/)

I° Parte - Trad. di Aliberth…
 

  

Senza doversi necessariamente sedere…  

                         ‘Sedere per lungo tempo senza sdraiarsi giù

                        non è obbligatoriamente di beneficio’. (Hui-neng -Yi Wu)  

Il Sesto Patriarca Hui-neng era contrario alla seduta formale in quanto ‘solo sedere’. Sfortunatamente, proprio questa sembra essere la pratica nei moderni centri Zen, che ha portato alla discutibile pratica di fare lunghe maratone sedute, altrimenti chiamate in Giapponese, sesshin, il cui significato letterale è "unificare la mente". Hui-neng credeva che l'attaccamento alla forma della seduta facesse perder di vista l'intera essenza dello Zen. Egli era anche contrario alla pratica di cercare di immobilizzare la mente per renderla vuota e scura. Per Hui-neng, nel mezzo del pensiero ordinario, uno deve cercare di scoprire l’originaria auto-natura animativa che partorisce continuamente tali pensieri. Ciò che Hui-neng principalmente obiettava era l’equivocare la meditazione seduta con il vedere la propria vera natura.  

Possiamo anche andare avanti col dire che la vera meditazione è di percepire la Pura Mente, che è la sorgente dei nostri pensieri mondani. Questa Mente è naturalmente trascendente per colui che la rivela. Uno si risveglia veramente quando non c'è più un pensiero o un fenomeno, di cui non ci si renda conto che è dipendente da questa creativa Mente. Così, questa Mente non dipende da pensieri o dai fenomeni. Né dipende dallo star seduti, stare in piedi, camminare o riposare. Codeste pratiche fisiche non risveglieranno una persona comune, né tali pratiche aumenteranno il risveglio ad un Buddha.  


 

Lo Zen della Rinascita  

Il mondo condizionato è tutto nel samsara, in cui noi siamo prigionieri di un un corpo temporale, per sperimentare la nascita e la morte di questo corpo, ed ancora l'ulteriore rinascita in ancora altri corpi temporali. Per quante tristi esperienze possiamo aver avuto nell'ultima nostra vita, in questa vita noi le abbiamo tutte dimenticate. Quindi, qui noi ricominciamo da capo, rimettendo in moto la viziosa ruota del samsara.  

Alcuni di noi, ovviamente, possono ricordare un po’ della loro ultima vita passata. Istintivamente, noi sappiamo che non si può avere troppa fiducia nelle persone; che anche il più grande amore prima o poi si trasforma in sicura e reciproca disgrazia; e che gli dèi non possono rispondere alle preghiere non più di una cieca possibilità. Noi sappiamo anche istintivamente che probabilmente non fu una buona idea essere rinati in questo periodo, perché alla fine del nostro arcobaleno c’è il buco-nero della rinascita. Chissà, forse nella nostra prossima nascita noi saremo consapevoli di un nuovo corpo con un paio di ali, o con quattro gambe ed un insaziabile appetito per i topi e gli altri tipi di piccole creature.  

Quindi, come poter uscire dal samsara? La risposta non è facile. Noi abbiamo bisogno di una corretta analogia da cui vedere il problema, che poi ci darà degli indizi per la corretta soluzione. Bene, noi siamo tutti come delle onde-radio, per spiegarlo usando un'analogia moderna. Questo significa che noi abbiamo la capacità di risuonare con un'antenna; poi diventare amplificati dalla radio (la funzione di una radio è di amplificare le onde eteriche). Infatti, è così che siamo rinati. Mamma e papà stavano facendo sesso; mamma e papà furono fortunati e centrarono il jackpot biologico. Quando le loro antenne di DNA si combinarono per fare una nuova antenna di DNA, cosa successe? Noi ci siamo accordati e fummo incarnati in una radio biologica, in cui tutto divenne – all’improvviso – terribilmente amplificato ed assolutamente doloroso.  

Beh, per stringere, noi al momento siamo intrappolati nell'equivalente di una radio biologica – cioè un corpo - e realmente non sappiamo come de-sintonizzare il nostro essere-onda-radio da questa radio fisica! Per quanto lo si tenti, nulla sembra funzionare perché tutto ciò che noi identifichiamo come la nostra onda primordiale è parte integrante della radio-corpo-fisico (nel buddhismo, la radio è i Cinque Aggregati). Perciò, la de-sintonizzazione è impossibile. Le persone che hanno avuto delle esperienze fuori dal corpo possono testimoniare questo strano fenomeno di de-sintonizzazione.

Qui, infatti, è il Buddha che descrive tale esperienze: “Io ho mostrato ai miei discepoli la Via che essi chiamano ‘l’essere fuori da questo corpo [materiale, però] in un altro corpo di creazione della mente’, completo in tutti i suoi arti e organi e con facoltà trascendentali" (M.ii.17).  

Ricapitolando, il Buddha disse che c'è un altro corpo che è immateriale, all'interno del nostro corpo fisico. Egli disse che è come una spada che può essere sfoderata dal fodero. Comunque, questo corpo immateriale può sganciarsi dal corpo materiale solamente quando noi ci accordiamo in qualcosa di più alto di questa nostra limitata carcassa.  

Incapaci di comprendere pienamente questo immateriale corpo-onda, possiamo applicare la nostra coscienza per percepire stati più puri dell’essere temporale, pensando pensieri più alti, sia come sia, cercando di evitare di coinvolgerci con l’ignoranza, la rabbia, e il crudo desiderio. Il Buddha intese che questi stati così puri dell’essere fossero il mondo degli dèi, o deva. Tuttavia, anche il mondo degli dèi non è totalmente perfetto. Ma, per come vanno le radio fisiche, rinascere in una radio divina è assai meglio. Comunque, se voi amate la vostra condizione umana, allora dovete prendervi i vostri rischi dopo la vostra morte, perché è improbabile un ritorno ad una vita felice. Infatti, le opportunità che voi possiate ritornare nel reame umano sono del tutto scarse, secondo il Buddha.

Finché noi persistiamo nell'accordarci in stati bassi dell’essere, la nostra prognosi per una rinascita decente sembra essere molto cupa. Le religioni di oggigiorno non possono aiutarvi, a meno che tali religioni non insegnino il distacco dal temporale e la comunione con l'incondizionato. Invece, molte religioni di quest’oggi insegnano pressoché l'opposto, e cioè che ci si preoccupa assai più delle cose temporali e della comunione con i desideri e le emozioni umane.  

Nell’indirizzare quelli che pensano che questa sia tutta spazzatura, la scienza li sta spingendo molto più velocemente e più lontano di quanto si possa immaginare, e di sicuro più velocemente dei nostri pregiudizi. L’opera di P.P. Gariaev, ed altri, ha fatto significativi progressi in quella che è chiamata genetica delle onde. La chiave di questo straordinario sviluppo è che il 98% del DNA, ritenuto una cosa inutile, può ben essere un apparato di comunicazione che si comporta come un ponte tra la non-locale realtà incondizionata (il nirvana), e la locale realtà condizionata (il samsara). Persone come il Buddha ed i suoi discepoli più avanzati potrebbero probabilmente riuscire ad andare avanti e indietro tra il condizionato e l'incondizionato. Essendo de-sintonizzato dal suo corpo, il Buddha non era né in questo corpo temporale, né era separato da lui. Egli realizzò di essersi accordato in esso; attivandolo; facendolo muovere. In seguito, Egli non era più dipendente dal corpo. Il corpo dipendeva dal Buddha.  


La sua vera sostanza  

Noi possiamo vedere le originazioni dipendenti della Mente. Infatti l’intero cosmo è una originazione dipendente della Mente. Galassie, sistemi solari, pianeti e satelliti sono tutte originazioni della Mente, come lo sono tutte le creature. Paradossalmente, noi non possiamo vedere la Mente non-originata. Essa è completamente invisibile come la gravità.  

Proprio in questo stesso momento, tutti noi siamo legati allo spettacolo illusorio dell’esistenza – cioè, la Mente originata. Eppure, sembra tutto così reale per noi. Però, tutto ciò è irreale. Noi non possiamo immaginare che la vera realtà è invisibile ed immateriale. È difficile per noi credere in un qualcosa che non ha suoi propri discernibili segni. A causa di ciò, quelli che cercano il vero significato dello Zen devono iniziare con l'irreale e lavorare per la loro via alla Mente non-originata, che è l'unica realtà. Ch'ing-yüan la descrisse così: “Prima di studiare per trent’anni lo Zen, io vedevo le montagne come montagne, e le acque come acque…”.  

Noi abbiamo ingoiato il mondo irreale, con tutto l’amo e la lenza. Tutto ciò che vediamo è la Mente originata, che sono i fenomeni. Per conoscere e vedere la Mente non-originata, che è priva di segni, dobbiamo negare la totalità dell'irreale finché non arriviamo all'indescrivibile reale. Di nuovo Ch'ing-yüan descrive questa nuova fase della Mente nel modo seguente: “Quando arrivai ad una conoscenza più intima, giunsi al punto in cui io vidi che le montagne non sono montagne, e le acque non sono acque”.  

Questo è un stato molto profondo. Ma non è ancora abbastanza. Per usare un'analogia, Ch'ing-yüan con lo sforzo dominò la capacità di vedere l'oro del leone dorato separatamente dalla forma del leone. Ma lui era ancora incapace di comprendere disinvoltamente che l’oro non ostruisce la forma; che l'intero universo è soltanto Mente! Quando finalmente arrivò a questa visione finale, lui la descrisse così: “Ma ora che io capito cos’è la vera sostanza, sono in pace. Perché ora vedo ancora le montagne come montagne, ed ancora una volta le acque come acque!”.  

Questa è la forma più alta di Zen. Va aldilà di qualunque sforzo - ed è senza sforzo. Ora, non importa in che modo noi guardiamo, il mondo è come l’oro prezioso. La beatitudine penetra nel nostro cuore perché noi vediamo che tutte le cose sorgono dalla Mente non-originata e che tutte le cose ritornano ad essa. In altre parole, l'universo che percepiamo è una potente vibrazione della Mente assoluta che è sempre in pace con se stessa.  

Una nota finale, se vedete le montagne come montagne e le acque come acque senza ‘sentire’ la luce della Mente assoluta da cui tutto questo è generato, - voi non avete affatto iniziato il lungo viaggio di Ch'ing-yüan…


 

Lo stridìo del Satori  

… Hakuin cacciò fuori un grido involontario

e cominciò a piangere in modo incontrollabile…   (- Hakuin Oshô Nempu;)

  

Nella biografia del monaco Zen Hakuin, è detto che egli "realizzò la comprensione che tutto quello che egli aveva ottenuto con il suo ‘satori’ era stato totalmente frainteso". E chiunque abbia sinceramente cercato il satori Zen è più che probabile che sia nella stessa situazione di Hakuin prima del suo grande risveglio, quando ebbe quarantadue anni. Invero, l’inganno può essere molto sottile.

Non è difficile capire perché Hakuin pianse. Chiunque piangerebbe quando alla fine discerne l'oscurità dalla luce. Il vero satori, nel caso di Hakuin, rivelò sia il vero che il falso. In altre parole, non solo la natura della verità deve rivelarsi, ma anche il falso, cioè qual è il falso satori…;   

E’ detto che in realtà quello di Hakuin non fu lo stridio di un grillo, ma fu simile a quello del Sutra del Loto. Fu l’animativa luce del Buddha, che sta eternamente lavorando nel samsara per liberare tutti gli esseri, che lui in un attimo riconobbe. Infatti, egli riconobbe anche che la luce del Buddha non aveva mai lasciato il supremo Nirvana. Esso è sempre qui. Quindi la storia della morte del Buddha, e la sua entrata nel Parinirvana finale, è stata grandemente esagerata.

Io penso che la grande malattia dello Zen, che pochi riescono a superare, inclusi i maestri Zen, sia di prendere erroneamente straordinari concetti per il genuino risveglio. Nel risveglio genuino, uno gira la Ruota del Dharma, invece di essere affascinato e rigirato da essa. Oppure, possiamo metterla così. Un momento, state seguendo i vostri pensieri; poi l’attimo successivo voi siete la stessa sorgente creativa di quei pensieri ordinari! E per di più, questo è il modo che è sempre stato, da tempi senza inizio. Il problema è sempre stato di guardare alla coda, e non alla testa, o alla fonte. Quando Hakuin guardò alla fonte, udendo stridere il grillo - egli divenne immediatamente la fonte. Egli non poteva sfuggire il suo fantastico destino! Io spero che un giorno noi si possa tutti piangere per la gioia!.


 

La Salvezza Zen  

La Morte, come personificata da Mara, è il grande male del buddhismo. Non ci può essere una corretta salvezza se non si supera la morte. Similmente, il Nirvana non significa nulla, se la morte non viene superata. Quindi, il Nirvana, se è da intendere come qualcosa di soteriologico, non può essere inteso come annientamento o estinzione. Essere salvi, perciò, significa conoscere e mettere in pratica quell' imperituro che è il Nirvana.

Ma l'idea di affrontare la nostra morte con equanimità, conoscendo benissimo che noi saremo falciati e distrutti, in nessun modo si inserisce all'interno dell’idea di un’accettabile definizione di salvezza. Se ciò significa qualcosa che dev’essere salvato, la salvezza significa essere salvati dalla morte; essere definitivamente liberi da ciò che muore. Ad esempio, uno che può andar incontro alla sua morte con equanimità, non è affatto migliore di uno che non può. Entrambi saranno distrutti.  

Per illustrare ciò, immaginiamo qualcuno che sta morendo con dolore. Poco prima che questa persona muoia, si viene improvvisamente riempiti di grande amore per il mondo. Anche il dolore diminuisce presto. Ma questa che salvezza è? Non può esserlo. È come se questa persona stesse ancora in un sogno. Nonostante il grande amore che essa sente, è ancora un sognatore; sta ancora dormendo. Il sognatore non si è risvegliato.  

In quanto al buddhismo, immaginate che la nostra meditazione sia non-aggregata, riguardo ai cinque aggregati che costituiscono l'essere psico-fisico. Durante questa meditazione, noi siamo stati in grado di concentrarci su un punto che è oltre le tre dimensioni, in cui sono situati i cinque aggregati. In questa concentrazione estatica noi realizziamo che non siamo più appiccicati al nostro corpo, con cui siamo stati connessi fin da quando siamo nati. Per tutto questo tempo, noi restiamo aggrappati ad un’ immagine passiva di una proiezione psichica. In seguito, noi impariamo come rientrare nel corpo ed a sganciarci da esso, anche mentre continua ancora a vivere. E’ questo stato che sarebbe caratterizzato come salvezza.  

Per concludere, la salvezza avviene soltanto quando siamo testimoni di quell'imperituro, in cui siamo inclusi. Alla luce di questo, l'idea che il Nirvana sia come una fiamma estinta è assurda. L'analogia è diretta alla non-localizzazione dell’essere, non alla sua estinzione. In questo senso, noi siamo liberati, quando non siamo più incollati alla localizzazione del corpo formale, il quale è soggetto alla morte.


L’Ombra

Tutti noi sappiamo che un'ombra rimane indietro nelle azioni del nostro corpo. E capiamo anche che il corpo non è un'emanazione dell'ombra! Ma siamo in grado di capire che anche il corpo è un'ombra? Lo capiamo che esso resta indietro alla Talità (tathata) che lo anima? Sembra che non molti lo comprendano. Noi trattiamo il corpo come primario – e non come l'ombra che gli sta dietro.  

Così, per un’errata abitudine, siamo predisposti ad immaginare che venga prima il nostro corpo, e che tutto ciò che sembra sorgere da esso, come secondario o uguale, sia un epifenomeno. Anche se può sembrarlo, non è così come appare. Il nostro corpo è un’originazione dipendente, il quale dipende in realtà da uno spirito che lo anima. Ma se si cerca di percepire questo spirito, o Talità, non possiamo. Noi non ci riusciamo, perché anche il percipiente è un’originazione dipendente! Cioè, in altre parole, il percipiente è un'ombra. E qui veniamo alla difficoltà di risvegliarci (sambodhi), o anche solo di avere un risveglio iniziale (bodhcittotpada).  

In un certo modo, la Talità deve dedurre se stessa da fuori di "né. Questo può essere realizzato solamente comprendendo la differenza tra la Talità pluralizzata come i corpi, e la Talità singolare, focalizzando la mente, che è uno stato incorporeo. Quando il nostro corpo si muove, essendo solo un'ombra, esso è mosso da un essere senza corpo – non dalla persona incarnata (satkaya). Dalla prospettiva del corpo, questo è rigidamente un nulla per noi. Questo forse giustifica il perché sembra facile negare lo spirito, perché in termini di corpo, lo spirito o Talità non è niente (come corpo). Ed è anche un mistero, perché questa conoscenza è conosciuta solamente da quei pochissimi che sono stati misticamente in presenza della Talità; chi può distinguere la Talità singolare dal suo corpo, o aggregazione fisica (la massa, potrebbe essere un termine più adatto a questo punto).  

I grandi saggi, ad un certo punto, hanno preso contatto con la Talità così che la loro esistenza fisica è simile ad un ombra, e secondaria. In questo stato, il saggio si è unito, in qualche misura, con la Talità così che il corpo è sempre più percepito come una colorata ombra che si attarda dietro all'animativo potere della Talità.   

Per le persone ordinarie, questo equivale ad un ingarbugliamento o nonsenso. Ciò è perché esse sono in un totale stato di ignoranza, mentre credono che il corpo dipendentemente originato sia primario. Per così dire, esse stanno guardando le ombre per così tanto tempo da aver perso di vista l’animativo aspetto, che è la Talità. La loro condizione è così estrema che in molte culture il saggio è disprezzato, essendo spesso trattato come un parassita che se ne sta seduto senza far niente. Però, saranno poi le persone ordinarie ad essere disprezzate, perché esse hanno abbandonato insieme laTalità che rende possibile la loro stessa vita. Con tale rifiuto, esse adorano ciò che muore, anziché l'imperituro. E nelle loro vite quotidiane esse inseguono ciò che è fisico invece di ciò che è sottile e incorporeo. Con le loro azioni fortificano il mondo della morte, arrivando alla fine al nichilismo. Al contrario, il saggio fortifica la vita e l'immortale. Il saggio porta nel mondo la luce che dissipa l'ombra.  


Il ‘Sé’ non-convenzionale

L'essenza del buddhismo Mahayana è il suo indirizzo verso il trascendente, perfino riesumando l'atman nei Sutra, come nel Nirvana Sutra e nel Lankavatara Sutra.

Potrebbero esserci molte ragioni sul perché il buddhismo Mahayana si sviluppò e divenne preminente. Una probabile ragione è quella che, dopo la morte del Buddha, alcuni buddhisti divennero seguaci della ‘Dottrina del Non-sé’, che aveva preso una svolta verso il nichilismo. Essi potrebbero aver stimolato le altre scuole nel cercare di riformare il buddhismo; tentando così di renderlo una religione di speranza anziché di disperazione. Un'altra ragione possibile, è che poco tempo dopo la morte del Buddha si sviluppò una radicale divisione tra i contrari al trascendente, che mettevano in dubbio qualsiasi cosa che i loro sensi non potevano percepire, ed i trascendentalisti che erano fedeli alla teoria che dietro al velo temporale c’è una base immutabile di realtà.

Lasciando per ora da parte ulteriori analisi, c’è da dire che, nel corso degli anni, alcuni dei dogmi del buddhismo non-Mahayana ottennero un vasto seguito. Uno, in particolare, è la dottrina del non-sé che ha principalmente le sue radici nella tradizione Theravada. La spinta principale del buddhismo Thera-vada è il suo rifiuto di un ‘sé’ non-convenzionale che trascende la coscienza sensoriale. Anzi, esso scelse di limitarsi ad una visione convenzionale del ‘sé’; un ‘sé’ che è personale ma, tuttavia, limitato non avendo nessuna vera esistenza.

Questa interpretazione convenzionalistica dei discorsi di Gautama sta in piedi su due appoggi. Il primo è che il termine 'sé', com’è usato nel canone Pali, ha una designazione solamente convenzionale. Si riferisce strettamente al personale essere psicofisico, che è composto dei Cinque Aggregati; i quali di solito sono ricordati come forma, sensazione, percezione, formazioni abituali, e coscienza. Il secondo appoggio è che il Buddha negò, senza eccezione, un ‘sé’ non-convenzionale che trascenda i Cinque Aggregati. A ciò si dovrebbe aggiungere che entrambi questi appoggi sono critici per la dottrina del non-sé del buddhismo Theravada. Non ci possono essere eccezioni nelle scritture.

Se, infatti, all'interno delle scritture vi è un'eccezione, allora è più che probabile che il Buddha avesse insegnato un ‘sé’ trascendente e che il buddhismo Mahayana, nel suo sviluppo, abbia fatto uno sforzo per ripristinare l’aspetto trascendente e non-convenzionale dell’insegnamento di Gautama che era stato prima soppresso dagli 'antitranscendentalisti'.  

A questo punto, abbiamo bisogno di esaminare il canone Pali per vedere se il ‘sé’ è strettamente usato 'sempre-convenzionalmente' e 'mai-non-convenzionalmente'. Se ci sono aree grigie, o alcune espressioni dette da Gautama che sembrano anche riferirsi ad un ‘sé’ non-convenzionale che sia altro da una designazione per i Cinque Aggregati, allora la dottrina del non-"né dovrebbe essere rifiutata; il che significa che essa è un insegnamento insufficiente (hina) del Buddha; così che l'insegnamento più completo è il Mahayana. Piuttosto che porre argomenti che possono divenire complessi ed arcani, sia per i buddhisti che per i non-buddhisti, io presenterò una serie di passi che rientrano nella categoria del ‘sé-non-convenzionale', che non è associato ai Cinque Aggregati. Questo significa semplicemente che il ‘sé’ usato in questi contesti è trascendente e non convenzionale.  

"Coloro che hanno la luce del sé (attadipa), non possiedono nulla. Essi vanno di luogo in luogo in ogni modo rilassati" (Sutta-Nipata, 501).  

"Uno, che dal sentiero fatto dal ‘sé’ (pajjena katena attanâ), è andato alla pace assoluta (parinibbâna-gato), ha superato ogni dubbio, lasciando da parte il divenire e il non-divenire, uno che ha vissuto la vita così, che ha soppresso ogni rinascita, costui è chiamato un vero bhikkhu" (Sutta-Nipata, 514).  

"Che il bhikkhu diventi calmo nel proprio ‘sé’ (ajjhattam). Che egli non cerchi la quiete da un altro, perché uno che è calmo nel ‘sé’ (ajjhattam), nulla desidera e nulla rifiuta" (Sutta-Nipata, 919).  

"Il ‘sé’ (in te), o uomo, sa bene ciò che è vero o ciò che è falso. O signore, di sicuro tu giudichi male il nobile Testimone, cioè il Sé, perché quando c’è il peccato tu nascondi il Sé all’interno del sé... Così colui che ha il Sé come maestro, camminerà con attenzione, perché egli è il padrone del mondo –cammina accortamente, perché chi è padrone del Dhamma, (camminerà come un) meditante. Colui che vive come il Dhamma prescrive, non sbaglia mai!" (Anguttara-Nikaya, 1.149, da Early Buddhist Theory of Man Perfected, p. 145 di I.B. Horner).  

"Il Perfetto Buddha che è passato, il Perfetto Buddha ancora da venire, il Perfetto Buddha che c’è ora, e che per molti ha bandito il dolore – tutti furono e vi saranno: questo è il loro modo. Quindi, colui che ha caro il proprio ‘sé’ (attakâma), che anela al grande Sé (mahattam) - costui deve rendere omaggio al Dhamma, ricordando la parola del Buddha" (Anguttara-Nikaya, ii.21 IV, III 22).  

"Quando la coscienza è instabile, non idonea alla crescita, non-generativa, essa è comunque liberata (vimuttam). Il sé liberato (vimutt-attâ), è immobile, il sé immobile è felice. Colui il cui sé è felice, non è agitato. Non essendo agitato, il vero-sé (paccattam) certamente raggiunge il completo nibbana". (Samyutta-Nikaya, iii.53-54).;  

"Ma, monaci, un istruito discepolo di quelli puri... considera la forma materiale come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'; lui considera le sensazioni come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'; lui considera la percezione come: ''Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'; lui considera le tendenze abituali come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'; lui considera la coscienza come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'. E lui anche considera qualunque cosa che è vista, sentita, percepita, conosciuta, raggiunta, osservata, ponderata dalla mente come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'." (Majjhima-Nikaya, i.136). 

"È come se per un uomo vi fosse una casa che ha undici porte; se quella casa andasse a fuoco, egli sarebbe in grado di salvarsi (cioè, il suo sé) uscendo da una di quelle porte. Allo stesso modo, io sarò in grado di salvare il sé (attânam sotthim kâtum) per mezzo di qualunque di quelle undici porte, che conducono all'imperituro (amata) " (Majjhima-Nikaya, 1.353).;   

"Qui, lui si allieta, in futuro lui si allieterà; uno che ha compiuto atti meritori si allieta in entrambe le esistenze. Egli si allieta, e si rallegra vedendo la purezza karmica del ‘sé’ (kammavisuddhim attano)". (Dhammapada 16).  

"Seguite il corretto sentiero annunciato [a voi] e non ritornate mai indietro, stimolando il sé con il sé (attana codayattanam), uno dovrà ottenere il Nirvana" (Theragatha 637).  


 

Un segreto rivelato  

Sì, chiaramente anche lo Zen ha un insegnamento segreto, come molte delle tradizioni del buddhismo Mahayana. Il segreto è attentamente protetto. È nascosto nell'ovvio, come una barca si nasconde in un battello. Le persone che si aggrappano a caratteristiche fenomeniche; che inseguono il nome e la forma, non potranno mai entrare attraverso la porta misteriosa che dà accesso al tempio segreto dell’Illuminazione buddhista. I veri insegnanti di Zen fanno apposta a nascondere la loro saggezza così che quando degli estranei giungono alla loro presenza essi non possono scoprire niente di speciale.  

Quando il Buddha cominciò ad insegnare, egli prima insegnò un insegnamento segreto. Solamente gli Arya-sravaka (spesso tradotto con 'i discepoli') capivano ciò che il Buddha stava realmente cercando di insegnare, mentre quelli che non capivano l'insegnamento segreto furono chiamati Prithagjana, cioè persone mondane ordinarie. Secondo gli studiosi, in origine un Bodhisattva aveva il significato di Aryasravaka. Egli aveva avuto un risveglio iniziale (bodhi) che lo rendeva abilitato a comprendere il principio segreto del buddhismo, potendolo così poi espandere (mahayana).  

Quando il Buddha parlò di certe pratiche, come il creare un corpo spirituale che come una spada in un fodero potesse essere estratto dal corpo carnale, lui stava parlando con Aryasravaka-non-Prithagjana. Quando il Buddha si riferiva alla Triplice Gemma del Sangha, lui intendeva solamente il Sangha degli Aryasravaka, non dei monaci o dei Prithagjana…. I Prithajana sono sempre sotto l'impressione che il Buddha abbia una forma umana; ed insegnasse loro pratiche etiche. Essi non capiscono che, secondo il Mahavastu, i Tathagata nascono con corpi spirituali (manomayarupa). A tal riguardo, il termine 'Buddha' significa realmente la Pura Mente, che si è totalmente e pienamente risvegliata a se stessa, tale che esso è un effettivo potere spirituale che supera e vince la sofferenza.  

Quando gli Aryasravaka erano alla presenza del Buddha, essi erano in un stato di sukha o beatitudine, in tale misura che non avevano voglia di fare nient’altro che sorridere. Essi sentivano i loro imperituri corpi spirituali come se questi stimolassero i loro corpi carnali a cui davano vita. Così, essi ruppero il loro attaccamento al corpo carnale, il quale è sempre soggetto alla morte.

I Prithajana, d'altra parte, sono profondamente attaccati ai loro corpi carnali perché loro non vedono e non conoscono nient’altro di diverso dal fisico. Essi immaginano che le varie pratiche fisiche siano adatte al sentiero per il Nirvana. Quando il Buddha era vivo, essi potevano solamente effettuare pie azioni davanti a lui, che non lo impressionavano di certo. Essi non avevano idea di quello che stava accadendo. Io sono sicuro che il Buddha e gli Aryasravaka passavano molto del loro tempo a ridere delle pie buffonate dei Prithajana e dei monaci Prithajana.  

Successivamente, nelle prime scuole di Zen, dove era detto che risiedesse l'insegnamento segreto, molte persone del tipo Prithajana furono assai impressionate nell’interpretare le buffonate dei maestri Zen. Esse non potevano munire di testa o di coda le loro enigmatiche parole o, ancor più spesso, il loro pazzo comportamento. Se fossero state messe al corrente del segreto, avrebbero potuto vedere  qualcos’altro. Ogni maestro Zen che capiva il segreto, dimostrava come il principio spirituale segreto si rivelasse in ogni situazione del quotidiano. Più tardi, questi eventi furono ricostruiti in koan. Ma, ovviamente, quei monaci e quei laici che erano attaccati alla mente secolare non li capirono. Per esempio, essi credevano che i koan fossero degli indovinelli invece di una vivente dimostrazione del principio spirituale.  

Ora, le cose per il buddhismo sono ancor più peggiorate da quando è venuto in Occidente. In Asia, dopo che l’insegnamento segreto del Buddha è andato quasi del tutto perso, gli insegnanti buddhisti almeno ammettono, per un senso di umiltà e rispetto, che essi non sono nulla più che dei pappagalli; che loro non capiscono realmente il principio segreto del buddhismo. Quando alla fine il buddhismo si è insediato in Occidente, gli insegnanti, naturalmente Occidentali, ritengono di capire completamente il buddhismo, che poi vanno in giro a trasmettere ciò che può essere descritto soltanto come buddhismo dei Prithajana, o meglio ancora, buddhismo borghese. Tale buddhismo è stato soltanto accomodato in ciò che vuole il pubblico - e il pubblico non vuole alcun insegnamento di buddhismo che sia anche solo lontanamente esoterico.