[Questo capitolo è una recensione di ammirevole comprensione (ristampata da ‘The Theosophist’ del luglio 1919) di Johan Van Manen, studioso del buddhismo Tibetano. Fu scritto sulla base del settimo volume dei Testi Tantrici, che contiene il primo Tantra Tibetano mai pubblicato. Il Tantra scelto per la serie fu il Shricakra-Sambhara, dato che l'editore ricevette manoscritti di questa e di altre opere della stessa scuola.]
Tutti gli amanti della filosofia Indiana hanno familiarità con la magnifica serie di opere sul Tantra, che, sotto la generale supervisione di "Arthur Avalon", hanno visto la luce negli ultimi anni. 15 volumi di queste opere, siano esse testi, traduzioni, o studi, sono stati finora pubblicati, e sono annunciati in preparazione o stampai titoli di un certo numero di ulteriori opere. Proprio ora, è stato aggiunto alla serie un nuovo volume che costituisce il vol. VII dei "Testi", e questo libro è senza dubbio uno dei più interessanti di tutti quelli finora pubblicati. Fino ad ora la serie ha trattato solo opere e pensieri originariamente scritti in sanscrito, questo nuovo volume va più lontano, e ci apporta il testo e la traduzione di un'opera tibetana, la quale tratta lo stesso soggetto chela serie intende studiare. Il Tantrismo Tibetano è indubbiamente uno sviluppo del suo prototipo Indiano, e in un successivo stadio della nostra conoscenza di tutta la materia, lo sviluppo storico di questa scuola di pensiero sarà, senza dubbio, minuziosamente studiato. E sebbene questo presente volume offra materiale prezioso per un simile studio storico, la nostra conoscenza del Tantra sotto questo aspetto è ancora troppo limitato per permetterci di dire granché su questo lato delle questioni sollevate dalla sua pubblicazione, o di trovare per esso una collocazione nell’attuale revisione dell’opera. Ciò che ora è ben più urgente, è di esaminare questo libro nella sua forma attuale, quindi cercare di definire la specifica tendenza del suo contenuto, e cercare di valorizzarlo in termini di linguaggio generale del pensiero moderno. Nella nostra discussione del libro, quindi, non ci occuperemo per nulla di questioni di terminologia tecnica, ma tenteremo di andare al cuore del soggetto in modo tale da poter essere di interesse per ogni uomo intelligente attratto dal pensiero filosofico e religioso. Ed è forse più facile farlo con il presente lavoro che con molti altri della serie di cui esso fa parte, perché più di quegli altri questo lavoro fa appello al diretto intelletto, e si dimostra molto umano e logico, così da evocare una risposta anche in quei lettori che non sono preparati con una conoscenza dettagliata del sistema e della terminologia, per districare una elaborata forma esteriore dalla sostanza interiore. E' pur vero che anche qui, ogni pagina e quasi ogni riga è irta di nomi e termini, ma il pensiero che collega tali termini è chiaro, e questi, servendo più agli scopi di notazioni algebriche in formule matematiche, possono essere facilmente raccolti da qualsiasi lettore con valori derivati dalla propria esperienza religiosa e filosofica. Riguardo ai Tantra non si è spesso parlato in maniera gentile. E'stato detto che essi hanno finora svolto, in Indologia, il ruolo di una giungla che tutti sono ansiosi di voler evitare. Ancor di più, viene citato un grande storico che pare abbia detto che sarebbe "sfortunata sorte per qualche futuro studioso di guadare attraverso i disgustosi dettagli di ubriachezza e dissolutezza, che furono considerati come una parte essenziale della loro religione da una larga parte della comunità Indiana non molto tempo fa". E Grünwedel, parlando in particolare del Tantra Tibetano (‘Mitology’, p. 106), della cui immensa letteratura, non ancora totalmente tradotta, dice:"Elaborare queste cose sarà, invero, un sacrficium intellectus, ma dopo tutto, esse non sono più stupide dei Brahmana, su cui così tanto lavoro è stato speso". Ma qui abbiamo la prima traduzione in lingua europea di uno di questi testi tantrici; e lungi dall'essere stupido o osceno, esso ci colpisce come lavoro di singolare bellezza e nobiltà, e come una creazione di arte religiosa, quasi unica nella sua elevata grandezza. Questo documento religioso è così totalmente diverso da qualsiasi altro che conosciamo, che è quasi inconcepibile che esso sia solo un esemplare breve, un primo esemplare, reso accessibile al grande pubblico, di una vasta letteratura (esistente in Tibet ) la cui estensione non può ancora essere neanche misurata. Eppure, nel dire che la natura del nostro libro è unica, non intendiamo dire che strette analogie con esso non possono essere trovate anche nelle pratiche religiose e nelle letterature del mondo. Una tale singolarità sarebbe alquanto sospetta, perché la vera esperienza religiosa è, ovviamente, universale, e, procedendo dagli stessi elementi nel cuore umano, e ispirandosi ai medesimi fini, deve mostrare sempre parentela nella manifestazione. Eppure, questo prodotto Tibetano ha un suo proprio stile distintivo, che lo individua in apparenza ben chiaramente, diciamo, così come il carattere specifico dell'arte Assira o Egiziana è diversa da quella di altri stili. Quando ora ci metteremo ad esaminare il documento in oggetto, ci viene in mente in via preliminare un verdetto di uno dei critici del Tantrismo, e cioè che il Tantra è forse il più elaborato sistema di autosuggestione che vi sia al mondo. Questo detto, poi, è stato inteso quasi come una condanna; ma pur accettando il verdetto come corretto, noi stessi non siamo inclini ad accettare, nell’insieme, la implicita conclusione. L’auto-suggestione è lo stabilirsi all’interno di stati mentali e modalità, piuttosto che risultato di impressioni ricevute dall'esterno. Evidentemente, ci devono essere due tipi di questa auto-suggestione, una vera ed una falsa. La vera è di sicuro quella che produce stati di coscienza corrispondenti a quelli che possono essere prodotti dalle realtà del mondo esterno, mentre la falsa è quella che produce stati di coscienza non corrispondenti alle reazioni verso qualunque realtà dall’esterno. In via ordinaria, la coscienza dell'uomo si forma in risposta alle impressioni generate dall’esterno, e quindi in definitiva essa si basa sulla sensazione, ma di fatto non c'è nulla di impossibile nella teoria che queste "modificazioni del principio pensante" dovrebbe essere determinato dalla volontà creativa e basarsi piuttosto sull'immaginazione e l'intuizione che non sulla sensazione. Questa teoria non è stata solo filosoficamente e scientificamente discussa, ma anche praticamente applicata in più di una scuola di misticismo o Yoga. Se mi ricordo bene, c'è un libro molto interessante di un Professore Tedesco (non-mistico), che si chiama Staudenmeyer, che tratta di questo tema, ed ha il titolo di ‘Magic as an Experimental Science’ (in tedesco), e la stessa idea sembra anche essere alla base della teoria di Steiner di ciò che egli chiama "chiaroveggenza immaginativa". Nella mistica Cristiana ciò fu interamente elaborato da Ignacio de Loyola nel suo "Esercizi spirituali", applicato alla Passione di Cristo. In quello che ai giorni nostri è chiamato ‘Il Nuovo Pensiero’, questo principio è largamente applicato in vari modi. Nel nostro libro, noi lo troviamo applicato qui in termini di Buddhismo Tantrico con una pienezza di dettagli che supera tutti gli altri esempi di questo tipo di meditazione. Per presentare l'idea in un modo che possa apparire plausibile per sé, dobbiamo prima delineare una razionale evidenza di un simile sistema. Questo vien fatto assai facilmente. Possiamo concepire questo universo come un immenso oceano-mentale composto di coscienza o intelligenza, in cui gli organismi separati, inclusi gli esseri umani, vivono, si muovono e hanno la loro esistenza. Se concepiamo questa massa di coscienza come soggetta a leggi, analoghe a quelle della gravità, e allo stesso tempo come se fossero fluidificanti per natura, allora il meccanismo di ogni attività intellettuale potrebbe essere pensato, in uno dei suoi aspetti, come avente un carattere idraulico. Quindi, ogni organismo, adatto ad essere un portatore di coscienza, apre se stesso solo per la ricezione di essa, e la pressione idraulica del circostante oceano di coscienza vi fluirà all’interno, in una forma tale come è assunta dalla struttura dell'organismo. L'onda e il mare, il vaso contenitore e l'acqua, sono simboli frequenti in Oriente, usati per indicare la relazione tra la Totale Coscienza Unica e la coscienza individuale. Se il cervello umano è il vaso sprofondato nell'oceano della coscienza divina, la forma di quel vaso determinerà la forma che la Totale Coscienza Unica assumerà all'interno di quel dato cervello. Ora l'immaginazione, o auto-suggestione, può determinare quella forma. Attraverso le ipotesi, l'intuizione, la speculazione, la tradizione, l'autorità, o qualunque possa essere il fattore determinante, una tale forma può essere scelta. L'uomo può creare qualsiasi forma, e poi, con l’aspettativa, l’immobilità, la passività, l'amore, l'aspirazione o con qualsiasi altro termine che scegliamo, può disegnare la coscienza cosmica dentro di lui, proprio determinando la sua forma da se stesso, ma ricevendo in modo impersonale il potere che non proviene da se stesso, ma da fuori di sé. Questo tipo di processo è come la preparazione di uno stampo in cui colare il metallo fuso, con la differenza che il metallo fuso nello stampo non è auto-attivo e auto-vitale, e non sempre presente e pressante su ogni lato, come lo è la vitale coscienza che costituisce il nostro universo. Si può prendere un esempio figurato dall’universo meccanico. Questo universo è una ribollente massa di forze in costante interazione. Le forze sono lì e sono al lavoro per tutto il tempo, ma diventano oggettivate solo quando rinchiuse in riceventi contenitori adatti. L’energia del vento, se non è catturata dalle braccia del mulino, le forze della corrente o di una cascata, se non ugualmente riunite in un adeguato meccanismo, si disperdono nello spazio e non sono concentrate né tradotte in oggettive unità d’azione.
Quindi, con le vibrazioni trasmesse lungo il filo, nelle comunicazioni telegrafiche o telefoniche, o con le altre vibrazioni inviate in modalità wireless. In un universo popolato da intelligenze, esseri superiori, dei, tutta una gerarchia di entità, dalla più alta potenza e perfezione a quella che appartiene alla nostra classe limitata, costanti flussi di intelligenza e di coscienza devono continuamente lampeggiare attraverso lo spazio e riempire l'esistenza. Ora, teoricamente, anzi più probabilmente, ciò sembra presumere che la coscienza è una e simile in essenza, che il fenomeno meccanico della vibrazione simpatetica può essere applicata a tale coscienza, come pure a ciò che è considerato puramente come mere vibrazioni meccaniche. Così, mettendo insieme tutti i ragionamenti di cui sopra, almeno una teoria plausibile è che l'uomo, mediante un processo di auto-suggestione, può così modificare gli organi della sua coscienza, e similmente sintonizzare la sua coscienza individuale in modo tale da diventare capace di entrare in una simpatetica relazione con le forze della coscienza cosmica,le quali solitamente si manifestano al di fuori di lui, rimanendo non percepite, e passano in lui, per così dire, invece di essere catturate e imbrigliate. E questa non è solo una teoria, ma ben di più –è una precisa dichiarazione data da mistici e meditatori di tutti i tempi e climi,come risultato della loro esperienza. Ora, noi ci chiediamo: come è stato applicato questo metodo in questo nostro lavoro? Una attenta analisi del suo contenuto ci fa scoprire alcune interessanti caratteristiche. Prima di tutto, dobbiamo ricordare che il nostro testo presuppone una familiarità con le concezioni religiose, i nomi, i personaggi e di principi filosofici del buddhismo del Nord, tutti liberamente utilizzati nella composizione. Ciò che in essi risulta strano e forestiero per il lettore Occidentale è così solo perché si muove in un ambiente non familiare. Ma il carattere della composizione è tale che potrebbe essere ben paragonato ad analoghe produzioni occidentali (con grandi differenze, però) come ‘Il Dramma della Passione’ di Oberammergau, o i drammi misterici del Medioevo. Solo che in alcuni di questi ultimi vi predomina l'elemento storico mentre nelle composizioni Tibetane la base, la forma e la sostanza sono costituite dall'elemento mitologico (non avendo una parola migliore). In altre parole, in questo rituale di meditazione gli Dei, i Poteri e i Princìpi sono gli attori, e non i personaggi storici o simbolici della tradizione religiosa. E secondariamente, la trama del dramma è messa in atto nella mente, verso l'interno, invece che sulla scena, verso l'esterno. Gli attori non sono persone, ma concetti. Prima, il meditante deve far oscillare la sua coscienza fino a un certo tono di intensità, stabilità, calma, determinazione e speranza. Avendola sintonizzata al livello richiesto, egli la fissa su un semplice centro di attenzione che deve servire come iniziale punto di partenza, o porta, attraverso cui la sua immaginazione dovrebbe far scaturire l'acqua di una fontana che esce attraverso la bocca di una tubatura. Da questo punto centrale, le immagini mentali fuoriescono. Esse sono sistemate intorno alla concezione centrale. Prima semplice e poi più complessa,la struttura immaginativa viene elaborata in una progressione ordinata. Gli Dèi principali appaiono in successione, seguiti dalle divinità minori. Gli spazi, le regioni, le indicazioni sono accuratamente determinati. Gli attributi, i colori, i simboli, i suoni sono tutti minuziosamente descritti e abilmente elaborati, e le spiegazioni date con cura. Un mondo in miniatura viene sviluppato, ribollente di forze elementari che operano nell'universo come forze cosmiche e nell'uomo come forze del corpo e dello spirito. La maggior parte dei quantitativi su questa elaborata annotazione è tratta dal corpo degli insegnamenti religiosi e dalla mitologia indigena. Alcuni di essi sono così universali e trasparenti che il lettore non-Tibetano potrà apprezzarli anche senza una vera conoscenza dei termini tecnici religiosi del Tibet. Ma in ogni caso, una attenta lettura e rilettura rivelerà certamente qualcosa anche per l'outsider della forza di questa simbologica struttura e fa sì che possa intuitivamente sentire che qui stiamo assistendo allo svolgimento di un grande dramma spirituale, facendo spaziare la mente alle altezze della esaltazione e della nobiltà. Per quanto riguarda il lato terminologico del testo, le abbondanti note editoriali si sono rivelate tanto preziose quanto utili. Queste,in un primo momento,possono disturbare l'elevata unità del tutto, ma dopo una certa assidua familiarizzazione, portano alla più piena e profonda comprensione. Perfino una singola lettura è sufficiente per ricevere l'impressione che un maestoso e solenne dramma mentale si sta attuando davanti a noi con una intrinseca imponenza che, per esempio, aggregherebbe un cristiano alla esecuzione di un rituale in cui tutti i principali personaggi biblici, umani e sovrumani, furono introdotti, nei modi opportuni, come attori. E inoltre,che dire della superlativa'intelligenza’ di questa struttura! Partendo da una singola nota fondamentale, essa si sviluppa in un accordo, che si espande ancora in una melodia, e che è poi elaborato e armonizzato. In effetti, nella sua essenza,la meditazione è sia la musica che i rituali. I motivi iniziali qui sono sviluppati, ripetuti, elaborati, e introdotti alcuni nuovi. Questi, di nuovo sono trattati allo stesso modo. Una sinfonia è evoluta e portata ad un potente climax, e poi di nuovo questo mondo pieno di suono, forma, significato, colore, potere è ritirato, limitato, ripreso in se stesso, piegato e dissolto, rivoltato ancora all'interno e finalmente ritornato in una totale quiete e riposo, in quel tranquillo vuoto da cui esso fu originariamente evocato e che è la sua eterna madre. Io non conosco nessuna altra letteratura che nella sua natura sia così assolutamente sinfonica, così direttamente simile alla musica, come questo esempio di esercizio meditativo Tibetano. Ed inoltre, curiosamente, esso ci fa pensare ad un'altra manifestazione di arte religiosa Indiana, perché questo documento è in parole simile alla decorazione del tempio Indiano, in particolare il gopura del sud dell'India, che nelle sue infinite ripetizioni ed elaborazioni sembra davvero quell’istinto con lo stesso spirito che ha dato vita a questo schema di immaginazione insegnato in questi Tantra. Soltanto che, in pietra o in gesso, la schiera mitologica è sterile e immobile, mentre, in quanto creata nella vivida mente, lasimile struttura partecipa della vita della mente, dentro e fuori. La realizzazione scultorea è, quindi, funzionale alla mente meno evoluta. Il Tantra è per il pensatore religioso che possiede il potere. Però noi abbiamo detto che la nostra struttura meditativa era anche simile al rituale. Quello che vogliamo dire con questo è che tutte le figure e le immagini evocate nella mente in questa meditazione sono, dopo tutto, solo un significato, come i vestimenti, le parole e i gesti in un rituale, per suggerire sensazioni, provocare stati di coscienza, e fornire (se il paragone non fosse troppo patetico) appigli per appendervi sopra le idee. Come un bel pezzo di musica, o un suono, non può che essere ben eseguito quando è provato più e più volte, e praticato in modo che l’aspetto formale della produzione diventa quasi meccanico, e tutta la potenza della produzione può essere dedicata a infondere l’ispirazione, così questa meditazione può essere perfettamente eseguita dopo una indicibile pratica e devozione. Sarebbe un'idea del tutto sbagliata di leggere questo libro come un semplice esempio di letteratura, leggerlo una volta così tanto per vedere che cosa contiene, e poi non interessarsene più. Proprio come i capolavori della musica possono essere ascoltati centinaia di volte, proprio come i grandi rituali del mondo sviluppano potere sulla persona nella misura con cui essa poi si familiarizza con loro e si identifica del tutto con le minuzie più infinitamente piccole della loro forma e costituzione, così pure questo rituale meditativo può essere padroneggiato e quindi perfezionato solo con la costante ripetizione. Come le grandi produzioni d'arte o della natura, esso deve "crescere" all’interno dell'individuo. Questo esercizio di meditazione non è per i bambini, né per le persone frivole, né per quelli che hanno fretta. In se stessa, è una cosa esoterica, uno di quegli insegnamenti appartenenti alle regioni di "quiete", "tranquillità" e "stabilità" della filosofia Taoista. Alle persone ignoranti, le fa brontolare, e perciò è veramente esoterica, e si cela nella natura interiore del sé, anche se apparentemente sembra aperta e accessibile a tutti. Ma, in connessione con questa meditazione non dobbiamo pensare a discepoli che la leggano una o due volte, o dieci, o cento volte, ma a pensatori austeri che lavorano su di essa come lavoro di un’intera vita, attraverso laboriosi anni di intenso e strenuo sforzo. Quindi, cos’è che deve essere fatto per rendere questa meditazione una realtà? Ogni concetto deve essere vivificato e intriso con il potere della stessa vita. Ogni dio che è in essa dovrà essere trasformato in un dio vivente, ogni potere dovrà essere manipolato per farne una vera potenza. L'intera struttura deve essere fatta vibrare di forze capaci di entrare in relazione solidale con le più grandi superiori forze cosmiche dell'universo, creata ad imitazione in scala inferiore all'interno del meditatore stesso. Per la mente religiosa, l'universo è colmo del pensiero degli dei, con i poteri delle più grandi intelligenze e coscienze, irradianti eternamente attraverso lo spazio e realmente costituenti quello che è il mondo. "Il mondo è solo un pensiero nella mente di Dio". Questa idea deve prendere anni di pratica intensa, anche per sviluppare il potere di visualizzare e produrre correttamente in un dramma interno questa meditazione data qui nel nostro libro. Dotarla di vita e farla essere il potere in questa vita, è un risultato che nessuna piccola mente, nessun devoto debole, potrà mai sperare di effettuare. Quindi, questa meditazione è un rito solenne, come la solenne Messa del Cattolicesimo Romano;soltanto che essa è stata eseguita nella mente invece che in una chiesa, e il mistero che si celebra è l’individuo e non un generale sacramento. In ciò che abbiamo detto in precedenza, abbiamo cercato di dare alcuni contorni delle principali caratteristiche di questo notevole lavoro, ora messo alla portata del pubblico dei lettori in generale, e specialmente a beneficio di quelli tra di essi interessati nello studio delle religioni comparate, in ampia misura. Noi, infatti, abbiamo un bel debito di gratitudine verso Arthur Avalon, il cui entusiasmo e la valida comprensione della mente religiosa e filosofica Indiana hanno portato alla luce questa particolare gemma per noi. Dobbiamo essergli particolarmente grati per il fatto che il suo entusiasmo non si sia mai posto un limite, così da impedirgli di trattare soltanto con le tradizioni Sanscrite, e dal ricercare tesori anche oltre l'Himalaya. A questo proposito,possiamo ricordare che fu sua intenzione mantenere questo suo atteggiamento cattolico, perché egli compì dei passi per incorporare nella sua serie Tantrica anche un importante lavoro Giapponese sul Vajrayana. Fintanto che fu concentrato in questo primo testo Tibetano, la scelta è stata decisamente felice, e si può dire che egli non fu meno fortunato per essere stato capace di assicurarsi un collaboratore competente nell’effettuare la parte filologica del lavoro, cioè il lavoro di traduzione e di editing. Il risultato del suo associarsi con un abile studioso indigeno nel produrre il lavoro, è stato quindi un grande successo, una produzione di valore pratico, che senza dubbio non potrà diminuire in tutti gli elementi essenziali per un lungo tempo a venire. Perciò, non solo questo particolare lavoro è in se stesso di molto interesse, con una grande bellezza propria;esso ha un altro valore in direzioni del tutto diverse da quelle collegate allo studio della meditazione o della creazione artistica religiosa. L'opera fornisce una chiave molto importante per un nuovo metodo di comprensione delle molte fasi e produzioni della filosofia Indiana. La proiezione delle ‘paraphernalia’della mitologia Hindu all'interno della mente come strumenti di meditazione, come pure l'interiorizzazione di ciò che troviamo nei Purana, o l'Epica esternalizzata come mitologia, mi sono sembrati rinfrescare e accendere la luce sulla simbologia Indiana. Per dare un esempio: in questo Tantra troviamo una complessa manipolazione di armi, scudi, armature, come strumenti per la protezione della coscienza. Ora, tutte queste attrezzature, per esempio, figurano largamente ed elaboratamente in un lavoro simile, come il Ahirbudhnya Samhita, di cui il Dr. Schrader ci ha dato una splendida sintesi nel suo lavoro, Introduzione alla Pancharàtra. Ma nel Pancharàtra tutti questi strumenti sono solo gli attributi degli dèi. Nel nostro testo noi troviamo un accenno su come tutti questi mitologici dati esteriori possono essere anche interpretati ed applicati come funzionamento interno della coscienza umana, e in questa luce la mitologia Indiana assume un nuovo e più ricco significato. Qui, io non intendo fare di più che accennare al punto in questione, ma senza dubbio tutti gli studenti della mitologia Indù, che sono anche interessati nelle modalità del pensiero Indù, nella Psiche Indù, vedranno subito come sia feconda questa idea. Uno degli enigmi del pensiero Indiano è che la sua simbologia è cinetica e non statica, e sfugge al formalismo oggettivo del pensiero Occidentale. È per questo che ogni dio Indù è un altro, che è ancora un altro, che è ancora una volta un altro. Kipling stesso non disse forse qualcosa tipo: "Kali che è Parvati, che è Sitala, che è venerata contro il vaiolo?" Così pure,qualsiasi e ogni principio filosofico è quasi un "aspetto" di un altro principio, ma non è mai una cosa chiara, ben circoscritta, indipendente di per sé. Così, il nostro testo va ben oltre dando un suggerimento su come tutti questi dèi e principi, che nei Purana e negli altri scritti appaiono come elementi extra-umani, possono forse essere anche interpretati come aspetti della mente umana (perfino del corpo umano), e diventano una mitologia psicologica,anziché una cosmica. L'idea non è assolutamente nuova, ma fu prima avanzata dai mistici. The CherubinicWanderer cantò che essa non sarebbe di nessuna utilità a nessuno, perfino se il Cristo fosse nato un centinaio di volte oltre a quella volta di Betlemme, se Egli non fosse nato all'interno dell'uomo stesso. Si è detto della Bhagavad-Gita, che è in un certo senso il dramma dell'anima, e che meditando su di esso, trapiantando il campo di Kurukshetra all'interno della coscienza umana, può portare ad una realizzazione diretta di tutto ciò che viene insegnato in quel libro, e ad una visione di tutte le glorie ivi rappresentate. Tale idea è la stessa di quella idea che è la base del nostro testo. Il suo messaggio è: "Creare un universo dentro di noi, in modo da essere così in grado di sentire gli echi dell'universo esteriore, che in essenza è poi un tutt'uno con quello interno". E se gli occultisti, i veggenti, i meditatori realmente esistono, essi possono essere in grado di delineare il modo e il metodo con cui essi stessi lo hanno raggiunto. Così è stato con Ignacio de Loyola ed i suoi "Esercizi spirituali", e non vi è alcuna ragione per cui non dovrebbe essere lo stesso con il libro di cui stiamo discutendo qui. Riguardo a quanto si abbia qui un risultato di pratica esperienza, o solo una ingegnosa teoria, un grande"tentativo", per così dire, noi non possiamo proprio decidere sì o no. Per fare affermazioni su questo,si ha bisogno di precedenti esperienze, e noi abbiamo letto il libro solo esternamente, non abbiamo vissuto o sperimentato il suo contenuto al nostro interno. Ma per quanto possa essere così, perfino una sola lettura esterna è sufficiente a rivelarci la grandezza della concezione che si ha davanti, e permetterci di percepire lo splendore sinfonico della creazione come opera d'arte religioso-filosofica, e che da sola è sufficiente a permetterci di giudicare l’opera come un capolavoro e un documento di primario valore nel campo della letteratura religiosa e mistica. La forma è in effetti molto poco Occidentale e in molti modi del tutto non-familiare e addirittura sconcertante,forse. Ma la squisita armonia del pensiero, la grandezza delle concezioni fondamentali, la sublimità dello sforzo in esso contenuta, sono chiare, e queste qualità sono certamente sufficienti a guadagnare ammiratori e amici- forse, un discepolo qua e là–perfino ai nostri tempi così debolmente preparati ad ascoltare questo profondo eco Tibetano dall'altro mondo, dato che noi Occidentali rendiamoin vari modi la nostra strenua attività a dimenticare ed a sminuire.
Versione Originale- [This Chapter is an admirably understanding review (reprinted from The Theosophist of July 1919) by Mr. Johan Van Manen, the Tibetan scholar. It was written on the seventh volume of Tantrik Texts which contains the first Tibetan Tantra to be published. The Tantra which was selected for the series was the Shricakra-Sambhara, because the Editor happened to have manuscripts of this and other works of the same school.] All lovers of Indian philosophy are familiar with the magnificent series of works on the Tantra which, under the general editorship of "Arthur Avalon," have seen the light within the last few years. Some, 15 volumes, either texts, translations, or studies, have hitherto been published, and the titles of a number of further works are announced as in preparation or in the press. Just now a new volume has been added to the series, constituting Vol. VII of the "Texts," and this book is undoubtedly one of the most interesting of all those hitherto issued. Up till now the series has only dealt with works and thoughts originally written down in Sanskrit; this new volume goes further afield and brings us the text and translation of a Tibetan work, dealing with the same subject the whole series is intended to study. Tibetan Tantrism is undoubtedly a development of its Indian prototype, and at a further stage of our knowledge of the whole subject, the historical development of this school of thought will be, no doubt, studied minutely. Though this present volume brings valuable material towards such an historical study, our knowledge of the Tantra under this aspect is as yet far too limited to enable us to say much about this side of the questions raised by its publication or to find a place for it in the present review of the work. What is more urgent now is to examine this book as it stands, to try to define the general trend of its contents, and to attempt to value it generally in terms of modern speech and thought. In our discussion of the book, therefore, we shall not concern ourselves with questions of technical scholarship at all, but attempt to go to the heart of the subject in such a manner as might be of interest to any intelligent man attracted towards philosophical and religious thought. And it is perhaps easier to do so with the present work than with many others in the series to which it belongs, for more than these others this work makes an appeal to the intellect direct, and proves very human and logical, so as to evoke a response in even such readers as are not prepared by a detailed knowledge of system and terminology, to disentangle an elaborate outer form from the inner substance. It is true that here also, every page and almost every line bristles with names and terms, but the thought connecting such terms is clear, and these, serving much the purposes of algebraical notations in mathematical formulae, can be easily filled in by any reader with values derived from his own religious and philosophical experience. The Tantras have, often, not been kindly spoken of. It has been said that they have hitherto played, in Indology, the part of a jungle which everybody is anxious to avoid. Still stronger, a great historian is quoted as having said that it would be "the unfortunate lot of some future scholar to wade through the disgusting details of drunkenness and debauchery which were regarded as an essential part of their religion by a large section of the Indian community not long ago" And Grünwedel, speaking especially of the Tibetan Tantras(Mythology, p. 106), from the immense literature of which as yet nothing had been translated, says: "To work out these things will be, indeed, a sacrficiumintellectus, but they are, after all, no more stupid than the Brahmanas on which so much labor has been spent." But here we have the first translation into a European language of one of these Tantrik texts; and far from being obscene or stupid, it strikes us as a work of singular beauty and nobility, and as a creation of religious art, almost unique in its lofty grandeur. It is so totally unlike any religious document we are acquainted with, that it is almost inconceivable that this is only a brief specimen, a first specimen, made accessible to the general public, of a vast literature of which the extent (as existing in Tibet) cannot yet even be measured. Yet, in saying that the nature of our book is unique, we do not mean to imply that close analogies cannot be found for it in the religious literatures and practices of the world. Such an aloofness would be rather suspicious, for real religious experience is, of course, universal, and, proceeding from the same elements in the human heart, and aspiring to the same ends, must always show kinship in manifestation. Yet this Tibetan product has a distinctive style of its own, which singles it out in appearance as clearly, let us say, as the specific character of Assyrian or Egyptian art is different from that of other styles. When we now proceed to examine the document before us, at the outset a verdict of one of the critics of Tantrism comes to our mind, to the effect that the Tantra is perhaps the most elaborate system of auto-suggestion in the world. This dictum was intended as a condemnation; but though accepting the verdict as correct, we ourselves are not inclined to accept, together with it, the implied conclusion. Auto-suggestion is the establishment of mental states and moods from within, instead of as a result of impressions received from without. Evidently there must be two kinds of this auto-suggestion, a true and a false one. The true one is that which produces states of consciousness corresponding to those which may be produced by realities in the outer world, and the false one is that which produces states of consciousness not corresponding to reactions to any reality without. In the ordinary way the consciousness of man is shaped in response to impressions from without, and so ultimately rests on sensation, but theoretically there is nothing impossible in the theory that these "modifications of the thinking principle" should be brought about by the creative will and rest rather on imagination and intuition than on sensation. This theory has not only been philosophically and scientifically discussed, but also practically applied in many a school of mysticism or Yoga. If I remember well, there is a most interesting book by a German (non-mystic) Professor, Staudenmeyer, dealing with this subject, under the title of Magic as an Experimental Science (in German), and the same idea seems also to underlie Steiner's theory of what he calls "imaginative clairvoyance". In Christian mysticism this has been fully worked out by de Loyola in his "Spiritual Exercises" as applied to the Passion of the Christ. In what is now-a-days called New Thought, this principle is largely applied in various manners. In our book we find it applied in terms of Tantrik Buddhism with a fullness and detail surpassing all other examples of this type of meditation. In order to present the idea in such a way that it may look plausible in itself, we have first to sketch out the rationale underlying any such system. This is easily done. We can conceive of this universe as an immense ocean of consciousness or intelligence in which the separate organisms, human beings included, live and move and have their being. If we conceive of this mass of consciousness as subject to laws, analogous to those of gravity, and at the same time as being fluidic in nature, then the mechanism of all intellectual activity might well be thought of, in one of its aspects, as hydraulic in character. Let any organism, fit to be a bearer of consciousness, only open itself for the reception of it, and the hydraulic pressure of the surrounding sea of consciousness will make it flow in, in such a form as the construction of the organism assumes. The wave and the sea, the pot and the water, are frequent symbols in the East, used to indicate the relation between the all-consciousness and the individual consciousness. If the human brain is the pot sunk in the ocean of divine consciousness, the form of that pot will determine the form which the all-consciousness will assume within that brain. Now imagination, or auto-suggestion, may determine that form. Through guess, intuition, speculation, tradition, authority, or whatever the determinant factor may be, any such form may be chosen. The man may create any form, and then, by expectancy, stillness, passivity, love, aspiration or whatever term we choose, draw the cosmic consciousness within him, only determining its form for himself, but impersonally receiving the power which is not from himself, but from without. The process is like the preparation of a mold in which molten metal is to be cast, with this difference, that the metal cast into the mold is not self-active and alive, and not ever-present and pressing on every side, as the living consciousness is which constitutes our universe. We may take an illustration from the mechanical universe. This universe is one seething mass of forces in constant interplay. The forces are there and at work all the time, but only become objectified when caught in suitable receivers. The wind-force, if not caught by the arms of the windmill, the forces of stream or waterfall, if not similarly gathered in a proper mechanism, disperse themselves in space and are not focused in and translated into objective units of action. So with the vibrations sent along the wire, in telegraphic or telephonic communication, or with the other vibrations sent wirelessly. In a universe peopled with intelligences, higher beings, gods, a whole hierarchy of entities, from the highest power and perfection to such as belong to our own limited class, constant streams of intelligence and consciousness must continuously flash through space and fill existence. Now it seems, theoretically indeed, very probable, assuming that consciousness is one and akin in essence, that the mechanical phenomenon of sympathetic vibration may be applied to that consciousness as well as to what are regarded as merely mechanical vibrations. So, putting all the above reasonings together, it is at least a plausible theory that man, by a process of auto-suggestion, may so modify the organs of his consciousness, and likewise attune his individual consciousness in such a way, as to become able to enter into a sympathetic relation with the forces of cosmic consciousness ordinarily manifesting outside him and remaining unperceived, passing him as it were, instead of being caught and harnessed. And this is not only a theory, but more than that -- a definite statement given as the result of experience by mystics and meditators of all times and climes. Now we may ask: how has this method been applied in our present work? A careful analysis of its contents makes us discover several interesting characteristics. First of all we have to remember that our text presupposes a familiarity with the religious conceptions, names, personalities and philosphical principles of Northern Buddhism, which are all freely used in the composition. What is strange and foreign in them to the Western reader is so only because he moves in unfamiliar surroundings. But the character of the composition is one which might be compared to such analogous Western productions (with great differences, however) as the Passion Play at Oberammergau or the mediaeval mystery-plays. Only, in some of the latter the historical element predominates, whilst in the Tibetan composition the mythological element (for want of a better word) forms the basis and substance. In other words, in this ritual of meditation the Gods, Powers and Principles are the actors, and not, historical or symbolical personages of religious tradition. Secondly the play is enacted in the mind, inwardly, instead of on the scene, outwardly. The actors are not persons, but conceptions. First, the meditator has to swing up his consciousness to a certain pitch of intensity, steadiness, quiet, determination and expectancy. Having tuned it to the required pitch, he fixes it on a simple center of attention which is to serve as a starting-point or gate through which his imagination shall well up as the water of a fountain comes forth through the opening of the water-pipe. From this central point the mental pictures come forth. They are placed round the central conception. From simple to complex in orderly progression the imaginative structure is elaborated. The chief Gods appear successively, followed by the minor deities. Spaces, regions, directions are carefully determined. Attributes, colors, symbols, sounds are all minutely prescribed and deftly worked in, and explications carefully given. A miniature world is evolved, seething with elemental forces working in the universe as cosmic forces and in man as forces of body and spirit. Most of the quantities on this elaborate notation are taken from the body of indigenous religious teaching and mythology. Some are so universal and transparent that the non-Tibetan reader can appreciate them even without a knowledge of the religious technical terms of Tibet. But anyhow, an attentive reading and re-reading reveals something, even to the outsider, of the force of this symbological structure, and makes him intuitively feel that here we are assisting in the unfolding of a grand spiritual drama, sweeping up the mind to heights of exaltation and nobility. As to the terminological side of the text, the Editor's abundant notes prove as valuable as useful. They may disturb the elevated unity of the whole at first, but after some assiduous familiarizing, lead to fuller and deeper comprehension. Even a single reading is sufficient to gain the impression that a stately and solemn mental drama is enacted before us with an inherent impressiveness which would attach, for instance to a Christian, to the performance of a ritual in which all the more primary biblical persons, human and superhuman, were introduced, in suitable ways, as actors. And the superlative cleverness of this structure! Starting from a single basic note, this is developed into a chord, which again expands into a melody, which is then elaborately harmonized. Indeed the meditation is in its essence both music and ritual. The initial motives are developed, repeated, elaborated, and new ones introduced. These again are treated in the same way. A symphony is evolved and brought to a powerful climax, and then again this full world of sound, form, meaning, color, power is withdrawn, limited, taken back into itself, folded up and dissolved, turned inwards again and finally returned into utter stillness and rest, into that tranquil void from which it was originally evoked and which is its eternal mother. I do not know of any literature which in its nature is so absolutely symphonic, so directly akin to music, as this sample of a Tibetan meditational exercise. And curiously enough, it makes us think of another manifestation of Indian religious art, for in words this document is akin to the Indian temple decoration, especially the South Indian gopura, which in its endless repetitions and elaborations seems indeed instinct with the same spirit which has given birth to this scheme of imagination taught in these Tantras. Only, in stone or plaster, the mythological host is sterile and immovable, whilst, as created in the living mind, the similar structure partakes of the life of the mind within and without. The sculptural embodiment is, therefore, serviceable to the less evolved mind. The Tantra is for the religious thinker who possesses power. But we said that our meditational structure was also akin to ritual. What we mean by this is that all the figures and images evoked in the mind in this meditation are, after all, only meant, as the words, vestures and gestures in a ritual, to suggest feelings, to provoke states of consciousness, and to furnish (if the simile be not thought too pathetic) pegs to hang ideas upon. Like as a fine piece of music, or a play, can only be well rendered when rehearsed over and over again, and practiced so that the form side of the production becomes almost mechanical, and all power in the production can be devoted to the infusion of inspiration, so can this meditation only be perfectly performed after untold practice and devotion. It would be a totally mistaken idea to read this book as a mere piece of literature, once to go through it to see what it contains, and then to let it go. Just as the masterpieces of music can be heard hundreds of times, just as the great rituals of the world grow in power on the individual in the measure with which he becomes familiar with them and altogether identifies himself with the most infinitely small minutiae of their form and constitution, so this meditation ritual is one which only by repetition can be mastered and perfected. Like the great productions of art or nature, it has to "grow" on the individual. This meditational exercise is not for the small, nor for the flippant, nor for those in a hurry. It is inherently an esoteric thing, one of those teachings belonging to the regions of "quiet" and "tranquillity" and "rest" of Taoistic philosophy. To the ignorant it must be jabber, and so it is truly esoteric, hiding itself by its own nature within itself, though seemingly open and accessible to all. But in connection with this meditation we do not think of pupils who read it once or twice, or ten times, or a hundred, but of austere thinkers who work on it as a life-work through laborious years of strenuous endeavor. For, what must be done to make this meditation into a reality? Every concept in it must be vivified and drenched with life and power. Every god in it must be made into a living god, every power manipulated in it made into a potency. The whole structure must be made vibrant with forces capable of entering into sympathetic relation with the greater cosmic forces in the universe, created in imitation on a lower scale within the individual meditator himself. To the religious mind the universe is filled with the thoughts of the gods, with the powers of great intelligences and consciousnesses, radiating eternally through space and really constituting the world that is. "The world is only a thought in the mind of God." It must take years of strenuous practice even to build up the power to visualize and correctly produce as an internal drama this meditation given in our book. To endow it with life and to put power into this life is an achievement that no small mind, no weak devotee, can hope to perform. So this meditation is a solemn ritual, like the Roman Catholic Mass; only it is performed in the mind instead of in the church, and the mystery it celebrates is an individual and not a general sacrament. In what we have said above we have tried to give some outlines of the chief characteristics of this remarkable work, now brought within the reach of the general reading public, and especially of benefit to those among them interested in the study of comparative religion along broad lines. We owe, indeed, a debt of gratitude to Arthur Avalon, whose enthusiasm for and insight into the Indian religious and philosophical mind have unearthed this particular gem for us. We may be particularly grateful that his enthusiasm has not set itself a limit, so as to prevent him from dealing with other than Sanskrit lore alone, and from looking for treasure even beyond the Himalayas. In this connection we may mention that it is his intention to maintain this catholic attitude, for he is now taking steps to incorporate also an important Japanese work on the Vajrayanain his Tantrik series. As far as this first Tibetan text is concerned, the choice has been decidedly happy, and he has been no less fortunate in having been able to secure a competent collaborator to undertake the philological portion of the work, the translating and editing labor. The result of thus associating himself with a capable indigenous scholar to produce the work, has been a great success, a production of practical value which will undoubtedly not diminish in all essentials for a long time to come. For not only is this particular work in and for itself of interest, with a great beauty of its own; it has another value in quite other directions than those connected with the study of meditation or of religious artistic creation. The work furnishes a most important key to a new way of understanding many phases and productions of Indian philosophy. The projection of the paraphernalia of Hindu mythology inwards into the mind as instruments of meditation, the internalizing of what we find in the Puranas or the Epic externalized as mythology, has seemed to me to throw fresh and illuminating light on Indian symbology. To give an illustration: In this Tantra we find an elaborate manipulation of weapons, shields, armor, as instruments for the protection of the consciousness. Now all these implements figure, for instance, largely and elaborately in such a work as the AhirbudhnyaSamhita, of which Dr. Schrader has given us a splendid summary in his work, Introduction to the Pañcaratra. But in the Pañcaratraall these implements are only attributes of the gods. In our text we find a hint as to how all these external mythological data can also be applied to and understood as internal workings of the human consciousness, and in this light Indian mythology assumes a new and richer significance. I do not want to do more here than hint at the point involved, but no doubt any student of Hindu mythology who is also interested in Hindu modes of thought, in the Hindu Psyche, will at once see how fruitful this idea can be. One of the riddles of Indian thought is that its symbology is kinetic and not static, and eludes the objective formality of Western thought. That is why every Hindu god is another, who is again another, who is once more another. Did not Kipling say something about "Kali who is Parvati, who is Sitala, who is worshipped against the small-pox"? So also almost every philosophical principle is an "aspect" of another principle, but never a clear-cut, well-circumscribed, independent thing by itself. Our text goes far towards giving a hint as to how all these gods and principles, which in the Puranas and other writings appear as extra-human elements, may perhaps also be interpreted as aspects of the human mind (and even human body) and become a psychological mythology instead of a cosmic one. The idea is not absolutely new, but has been put forward by mystics before. The Cherubinic Wanderer sang that it would be of no avail to anyone, even if the Christ were born a hundred times over in Bethlehem, if he were not born within the man himself. It has been said of the Bhagavad-Gita that it is in one sense the drama of the soul, and that meditation on it, transplanting the field of Kurukshetra within the human consciousness, may lead to a direct realization of all that is taught in that book, and to a vision of all the glories depicted therein. That idea is the same as that which is the basis of our text. Its message is: "Create a universe within, in order to be able to hear the echoes of the universe without, which is one with that within, in essence." If seers, occultists, meditators really exist, they may be able to outline the way and method by which they themselves have attained. So it was with de Loyola and his "Spiritual Exercises," and there is no reason why it should not be the same with the book we are discussing here. As to how far we have here a result of practical experience, or only an ingenious theory, a great "attempt," as it were, we will not and cannot decide. To make statements about this needs previous experiment, and we have only read the book from the outside, not lived its contents from within. But however this may be, even such an outer reading is sufficient to reveal to us the grandeur of the conception put before us, and to enable us to feel the symphonic splendor of the creation as a work of religio-philosophic art; and that alone is enough to enable us to judge the work as a masterpiece and a document of first-class value in the field of religious and mystical literature. The form is very un-Western indeed and in many ways utterly unfamiliar and perhaps bewildering. But the harmony of thought, the greatness of the fundamental conceptions, the sublimity of endeavor embodied in it, are clear; and these qualities are certainly enough to gain for it admirers and friends -- perhaps here and there a disciple -- even in our times so badly prepared to hear this Tibetan echo from that other world, which in many ways we in the West make it our strenuous business to forget and to discount. | |