NIRVANA: La Via della Liberazione
di Gedun Tharchin;
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  Per ‘Liberazione’ si intende il Nirvana. Nirvana è il termine originale buddhista con cui si vuole esprimere la Liberazione. In sanscrito è Nirvana, in lingua pali Nibbana. Letteralmente esso significa «oltre la sofferenza», «superamento del limite della sofferenza». In altre parole, colui il quale ha raggiunto la Liberazione, cioè il Nirvana, ha superato ogni forma di sofferenza. La via della Liberazione è il percorso di colui che ha superato la sofferenza, la via che conduce al venire meno della sofferenza.

Abbiamo già parlato altre volte della sofferenza, comprendendo che il primo passo per la liberazione è proprio il riconoscere il tipo di sofferenza che sperimentiamo nella quotidianità. La sofferenza di cui stiamo parlando si esprime su due livelli: fisico e mentale. Per un praticante buddhista, da un punto di vista pratico, la sofferenza fisica è il livello più grossolano e più superficiale di patimento. Questo perché la maggior parte delle nostre sofferenze fisiche possono essere lenite dalla medicina.

Anche per quanto concerne quella di tipo mentale, che possiamo considerare come un problema di instabilità, di disequilibrio di tipo psicologico, è importante comprendere che tale tribolazione è di un livello inferiore. Quindi questo genere di problemi, che possono essere pensati come di tipo meramente psicologico, di instabilità, di squilibrio, dal punto di vista buddhista sono assai relativi.

Invece, esiste qualcosa che ci tormenta e ci angoscia ventiquattrore al giorno. Riguarda quelle che sono chiamate le afflizioni mentali negative che spesso nemmeno ci rendiamo conto di avere. Questa angoscia, quando ci fermiamo e ci analizziamo, l’avvertiamo dentro di noi e sentiamo che qualcosa manca, nonostante tutto pare procedere per il verso giusto. Questa sensazione di vuoto e anche di rabbia pare qualcosa di simile alla fame. Sentiamo che se non riusciremo a soddisfare questo bisogno, a riempire il vuoto interiore che avvertiamo, non saremo mai pienamente soddisfatti. E spesso quel vuoto che alberga in noi ci causa anche problemi di instabilità mentale oppure le afflizioni di tipo fisico di cui parlavo all’inizio. E’ per questo che il Buddhismo cerca di risolvere radicalmente tali disagi.

Personalmente penso che la tecnica di curare e risolvere i problemi alla radice non sia una prerogativa del Buddhismo. Anche le altre religioni cercano di farlo. Noi cerchiamo di risolverli attraverso la meditazione: meditazione non è altro che cercare di curare i problemi radicalmente. E se pensiamo di curare i disturbi fisici solo con le medicine, non abbiamo compreso cosa sia la meditazione; allo stesso modo se curiamo i disturbi mentali con la psicoterapia non possiamo considerare ciò come meditazione. La meditazione è qualcosa che penetra molto più nel profondo dell’uomo. Prima di analizzare quali sono i differenti livelli delle tecniche buddhiste, bisogna conoscere lo standard delle vie di liberazione, la qualità media di tutte le tecniche buddhiste, ciò che conduce alla liberazione.

La radice di tutti i nostri problemi, sia per ciò che concerne i disturbi fisici che quelli mentali, è rappresentata dalla sensazione di vuoto che ci accompagna perennemente. Questo stato d’animo è la causa principale della distruzione della nostra felicità. Anche se abbiamo di che soddisfare tutti i bisogni della vita quotidiana, sentiamo sempre che qualcosa ci manca. In prima battuta possiamo parlare di bisogni indefiniti, ma da un punto di vista più tecnico dobbiamo considerare queste sensazioni come attaccamento.

L’attaccamento non è solo il desiderio dei mezzi per soddisfare i nostri bisogni. Esso ha dei significati molto più profondi e finché alberga in noi continueremo ad essere infelici. Come possiamo risolvere tale disagio superando l’attaccamento? E’ impossibile. Anche se facessimo del nostro meglio e ci impegnassimo a fondo non riusciremo mai a trovare qualcosa che possa soddisfare a pieno tale desiderio, che possa porvi fine definitivamente.

Esso è qualcosa di oggettivamente impossibile da soddisfare. E’ come se avessimo una coppa e nulla per riempirla: allora sarebbe meglio sbarazzarsene. Questa tazza rimane lì, vuota, inutile. Dunque, per ottenere la liberazione, dobbiamo andare al di là della sofferenza: se così non facessimo resteremmo ossessivamente fissati su quella metaforica tazza e non saremmo mai soddisfatti. Rimanere attaccati al fatto di voler soddisfare questa sensazione di vuoto è come cercare di colmare un piatto che non ci è dato di riempire. E questo perché non conosciamo effettivamente la vera realtà di quel piatto. Se noi ne realizzassimo la natura incolmabile, avremmo la capacità per realizzare la comprensione.

Ed è per questo che il Buddha Sakyamuni ha detto che come prima cosa noi dobbiamo riconoscere la sofferenza, perché fino al momento in cui non identificheremo la vera natura del problema rimarremo sempre attaccati, sempre bloccati su di esso. Lo stesso attaccamento è un dilemma impossibile da sciogliere: è questa la sua natura, perché è relazionato all’ignoranza e all’assenza di comprensione. Sono proprio l’ignoranza e l’assenza di comprensione che ci fanno sperare che prima o poi ci sarà qualcosa che potrà riempire il piatto e che, dunque, potrà colmare il nostro vuoto interiore.

Quindi la non comprensione della natura di tal genere di sofferenza è la causa dei nostri problemi. Comprendere la natura della realtà richiede lo sforzo della meditazione. Ed è per questo che il Buddha stesso ha meditato per sei anni, cibandosi ogni giorno solo di tre chicchi di riso. C’è da chiedersi come fosse possibile che egli sopravvivesse mangiando così poco. Io penso che la carica gli venisse dalla sua forza interiore che gli derivava dalla meditazione. Ci sono delle immagini del Buddha, una delle quali molto famosa e viene dal Laos, legate ai sei anni di ascesi totale.

Proprio questa immagine è sulla copertina di un libro che ha scritto un mio amico, un professore che adesso insegna all’Università di Otani, Kyoto; e in questo testo si parla dell’Abidharma. Questa immagine del Buddha in ascesi è una figura che mi ispira molto e una volta ho ricevuto una rivista «La via di mezzo della società buddhista inglese» dove vi ho trovato la stessa foto di questa statua in cui il Buddha è ridotto pelle e ossa e si vedono chiaramente i suoi nervi. Guardando questa immagine ho realizzato che buddhità, Nirvana, Liberazione vogliono dire essere completamente liberi dalla sofferenza. Penso che sia una cosa che richiede molta pazienza, mentre la gente immagina la liberazione come fosse un processo che avviene per miracolo, per mezzo di una benedizione che qualcun altro ti dà.

Personalmente ritengo che ciò sia impossibile, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno che il Buddha sedesse per sei anni in meditazione. Egli rappresenta un esempio per i suoi discepoli. Spesso una delle domande più frequenti che mi vengono poste è «Che cos’è il Buddhismo?, Qual è l’essenza dell’insegnamento del Buddha?»

Su tali argomenti sono state scritte migliaia di libri. Le case editrici sono piene di libri sul Buddhismo ma io penso che l’insegnamento migliore del Buddha sia la sua vita. Qual è, dunque, l’insegnamento del Buddha? La risposta è: la sua vita; perché il Buddha ha parlato di essa, delle sue esperienze, delle scoperte, delle rivelazioni che ha avuto attraverso la propria esperienza. Per studiare, per attuare la vita del Buddha non c’è bisogno di leggere miriadi di libri; ognuno di noi può guardare la vita del Buddha come ad un esempio.

Ogni tempio buddhista, di qualsiasi tradizione, ogni centro buddhista, ogni sala di meditazione ha un’immagine del Buddha, ed io penso che questo serva a ricordare la sua vita. L’argomento di questo capitolo è la via per la liberazione; io penso che la risposta a questo argomento sia molto semplice, la via della liberazione è la vita del Buddha. Egli ha dedicato completamente se stesso ad estinguere alla radice i problemi. Era un principe, era figlio di re, ma si è reso conto che questo non serviva a risolvere la sua angoscia e quindi è andato al di là di questa condizione ed ha scoperto i mezzi per soddisfare quell’immensa «fame» che sentiva dentro. Ha meditato per sei anni in maniera costante con pochissimo cibo e dopo tale periodo ha realizzato la vera soddisfazione e quella che viene chiamata l’Illuminazione.

Per il resto della sua vita, per tutti i quarantacinque anni che gli rimasero da vivere egli ha insegnato a tutti, e ha raccontato la propria esperienza. La vita del Buddha tecnicamente è quella che noi chiamiamo Le quattro Nobili Verità. Esse contengono tutto ciò che è necessario per arrivare alla liberazione. Conoscere qual è la sofferenza, conoscere la realtà della sofferenza: questa è la prima nobile verità, comprenderne la funzione. Ognuna delle “Quattro Nobile Verità” possiede tre caratteristiche. Quando si è compresa la realtà della sofferenza, cioè la prima nobile verità, si accede alla seconda che è: ‘Qual è la causa della sofferenza? Qual è la funzione di tale causa? Qual è la sua vera realtà?’ E queste due prime nobili verità, l’essenza e l’origine della sofferenza, devono essere raggiunte e superate.

Questo è il risultato derivante dall’analizzare la sofferenza e le sue cause, quindi si realizza che questa non è l’ultima realtà e, compreso ciò, ci si chiede: «Abbiamo capito questa cosa, ma è possibile eliminarla per sempre?» Quindi si arriva alla terza nobile verità che è la cessazione della sofferenza. La cessazione della sofferenza è addivenire alla liberazione dalle disposizioni mentali negative realizzando le prime due nobili verità. Realizziamo, dunque, che vi è la possibilità di porre fine alla sofferenza; poi ci chiediamo quali sono i mezzi per realizzarla. Tale percorso logico ci conduce alla realizzazione della quarta nobile verità, che è il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza, il sentiero che conduce al Nirvana. La quarta nobile verità è il vero rifugio, il vero protettore.

Essa è molto semplice, contiene gli insegnamenti del Buddha sulla moralità, sulla saggezza e sulla concentrazione. La combinazione di questi tre elementi risulta essere la meditazione. A tal proposito penso che una seria meditazione sia quella basata sulla ferrea moralità sviluppata partendo dalla saggezza. Questa è la via per la liberazione. Quando noi guardiamo la via del Buddha questo non vuol dire che dobbiamo fare esattamente ciò che ha fatto lui, cioè seguire tutte le sue orme, ma vuol dire prendere l’essenza della sua esperienza di vita. Questo è il punto; fare questo secondo le circostanze personali.

Il Buddha era una persona molto intelligente, era un ottimo insegnante e l’ambiente in cui visse era favorevole alla sua liberazione. Forse, oggi non ci troviamo in quelle condizioni così propizie, i tempi sono diversi e anche le condizioni sono diverse, ma cerchiamo di fare del nostro meglio, cerchiamo di tagliare le illusioni alla radice, in profondità. Non dobbiamo coltivare la speranza di poter «tagliare» tutto in poco tempo. Anche soltanto sfiorare il fondo dei nostri problemi è già un’occasione molto propizia.

Le fondamenta delle nostre afflizioni sono molto forti, sono enormi e quindi è impossibile farle crollare in così poco tempo. Può accadere anche che abbiamo questa fortuna, però dobbiamo compiere uno sforzo costante con grande pazienza per poterne ridurre la portata gradualmente. Anche soltanto facendone venire meno una piccola parte sentiamo che questo influenza positivamente la nostra vita e ci dà una sorta di pace interiore e, se continuiamo costantemente in quest’opera di demolizione, esse alla fine scompariranno perché hanno la natura dell’impermanenza.

Questo potrà accadere in questa vita, nella prossima o nell’altra ancora: non è un problema di tempo. La vera questione è se noi ci sforziamo o meno per farlo. Se noi smascheriamo il nostro ego, i nostri pensieri egoistici e continuiamo giorno per giorno, tutto questo alla fine ci porterà alla soluzione. Questo è quanto in alcuni contesti viene chiamato “il sentiero graduale – il Lam-Rim”