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Premessa. Raphael, fondatore dell’Ashram Vidya, è un Advaitin tradizionale che segue l’Asparsa-Yoga, la “Via senza supporto”. Dopo 35 anni di insegnamenti scritti e orali, ora vive ritirato nel silenzio di un eremitaggio sui contrafforti degli Appennini in Sabina, circondato da alcuni residenti fissi. Autore di numerose opere che trattano la Filosofia Perenne, non fa opera d’erudizione, ma tenta di aprirci alla via della Conoscenza attraverso l’identità, che conduce alla Metanoia ed al Brahman-Nirguna, dimensione dell’ “Uno-senza-secondo”, che sfugge ad ogni concetto, ma la cui realtà si può intuire tramite il nostro cuore. La profonda comprensione delle differenti branche della Tradizione, che Raphael possiede, ci offre vaste prospettive rischiarate da folgoranti paralleli tra il pensiero greco, ebraico e vedantico. Il suo grande rigore filosofico, così prezioso in questo fine secolo, aperto a tutti i sincretismi dottrinari immaginabili, si esercita attraverso una grande umiltà e compassione. Soprattutto, dividere un momento di Silenzio accanto a lui è forse, ben al di là delle parole che padroneggia con tanta cordialità, il gioiello più prezioso che sia dato ricevere. Gli intervistatori: Anne e Darrel Newberg.
Prima Parte (3ème Millénaire n. 64-65): Intervista. D: Ciò che chiamate “stato di coscienza” corrisponde a ciò che noi consideriamo come la persona? R: Tutto in questo mondo è Coscienza, e uno stato di coscienza è un mezzo per scoprire le possibilità che esistono in seno a questa. Così, Raphael è uno stato di coscienza, ma anche voi siete uno stato di coscienza che deve essere scoperto. D: Insomma, tutto è Coscienza, ma in seno a questa coscienza appaiono differenti movimenti. E’ una buona spiegazione? R: Possiamo dire che esiste una Coscienza unica, o Una, espressa attraverso i gunas [1]. La capacità dì espressione che possiede la Coscienza è più o meno grande secondo il grado di perfezione dei suoi gunas. La Coscienza ha una possibilità d’espressione assai piccola in un albero o in un animale. E’ la forma che impone una limitazione a questi stati di Coscienza. La realizzazione permette di rompere queste limitazioni, o strati che restringono la Coscienza e le impediscono di essere svelata in tutta la sua maestà. La Coscienza è dappertutto, fino al regno minerale. Nell’essere umano, essa ha sicuramente una più grande capacità d’espressione. In un Deva [2], cioè in un essere di livello superiore, essa si rivela attraverso Ananda-maya [3] e gode così di possibilità molto più estese. Secondo il Vedanta, cinque veicoli o strumenti ci rendono possibile il contatto con i diversi livelli dell’Essere. Questi strumenti si stendono dal livello fisico grossolano fino al più sottile che ci sia: Ananda. Tutto questo corrisponde a tutto quello che si trova nel pensiero della Grecia e dell’antico Egitto. Non cambia niente. Solo una denominazione differente è data a questi stati, ma la conoscenza fondamentale è esattamente la stessa. Esiste in Occidente un via metafisica che porta ai Grandi Misteri. Ieri noi parlavamo dell’Unità della Verità. E’ importante fare riapparire la filosofia tradizionale Occidentale (che anch’essa fa parte dei Grandi Misteri), di rimetterla in luce; anche se non c’è niente di nuovo, sicuramente, tutto questo essendo già stato divulgato. Alcuni Occidentali pensano che la Verità non appartiene che all’Oriente. E’ falso perché una Tradizione è presente anche in Occidente. Tutto quello che dobbiamo fare è permetterle di manifestarsi. Plotino, per esempio, era una grande realizzato, un mistico e un filosofo. Voleva permettere alla Tradizione di riemergere, e creare a sud di Napoli una città, o una cittadella dei filosofi secondo i termini tradizionali. All’epoca dell’imperatore Gallieno, Plotino era uno dei precettori dei suoi figli. Sfortunatamente, a causa di problemi legati alla corte, non fu autorizzato a dar seguito a questo progetto. D’altra parte Platone voleva fondare in Sicilia (che all’epoca era la Magna Grecia) la sua Politeia o Repubblica. Viaggiava spesso dalla Grecia alla Sicilia per fare vivere questa visione di uno Stato fondato sull’ordine e la giustizia. Per ordine, intendeva corrispondenza con i piani più elevati, con i piani universali. Anche Pitagora aveva fondato questo tipo di scuola, che continuò per molto tempo in Calabria. Di più, creò molti gruppi di studio. Così la Tradizione seguita da Platone, Plotino e Pitagora esiste in Italia e dunque in Occidente, naturalmente. Questo per permettervi di comprendere che in Occidente, la Tradizione è stata di natura piuttosto Ksatriya, della natura del guerriero e non contemplativa. Con il Cristianesimo, tutto questo fu completamente spazzato via; certo. Plotino diceva che aveva vergogna di essere in un corpo fisico. A Plotino non piaceva che lo si ritraesse e si nascondeva sempre. Un giorno uno dei suoi discepoli, Amalius, fece venire un artista dalla Grecia e il solo ritratto di lui che abbiamo è questo (Raphael mostra la copertina di un libro). Quest’uomo aveva impresso le fattezze di Plotino nella sua memoria e l’aveva poi dipinto in un gran segreto. Lo si vede qui raffigurato con il suo discepolo Porfirio. Questa immagine, è uscita dalla memoria di un pittore! D: Sembra che la maggior parte dei ricercatori spirituali occidentali siano più attirati dall’India e dall’ Advaita Vedanta. Sembra anche che diano loro maggior valore che alla propria tradizione. Come spiegate questo? R: Ci sono stati due avvenimenti principali. Il primo fu il Cristianesimo, che cercò volontariamente di oscurare la filosofia Occidentale. Il Cristianesimo non contiene che i Piccoli Misteri e non i Grandi Misteri. L’Islam ha il Sufismo, che è di una maggiore grandezza e che rinsalda i Grandi Misteri. La Torah, l’Antico Testamento contiene una parte esoterica che è la Kabbala. Il Cristianesimo non ha né questa dimensione metafisica né questa visione dei Grandi Misteri. Il secondo avvenimento si riferisce alla tendenza materialistica e positivista dell’Occidente che interpreta e inquadra tutto da questo punto di vista, compresa la filosofia. Questi due fatti hanno oscurato poco a poco i Grandi Misteri e la parte più elevata della filosofia occidentale. Benché Platone, Plotino e Parmenide si siano espressi in maniera molto chiara, i filosofi contemporanei non ammettono che Platone sia stato un grande realizzato. Questi esseri sono considerati unicamente come dei grandi filosofi discorsivi. D: Raphael pensa che i testi tradizionali greci esprimano la stessa cosa dell’Advaita Vedanta? R: Quando parliamo dell’ Advaita Vedanta, facciamo riferimento a tre stati dell’essere, più un quarto, Turya o l’Assoluto, che si situa al di là della manifestazione. Platone esprime la stessa idea quando tratta del mondo dell’Essere, che corrisponde esattamente allo stato di Ishwara [4] nell’ Advaita Vedanta. Platone parla dell’ “Uno-Uno”, che è al di là dell’Essere e che equivale al “Nirguna” dell’ Advaita Vedanta. Proprio come nelle due altre Tradizioni, l’albero Sephirotico della Kabbala comporta tre livelli differenti, più uno chiamato Ain Sof situato al di là della manifestazione. Tutte le differenti branche della Tradizione portano esattamente alla stessa conclusione: esiste qualcosa al di là della manifestazione, e d’altra parte, solo l’Unità è. Si ritrova questa stessa nozione nella filosofia di Parmenide. Il suo insegnamento è molto sintetico perché non ci resta molto. Ma il poco che abbiamo conservato di lui si congiunge esattamente con i testi di Gaudapada o Shankara. Parmenide dice:” L’essere è e non diventa, perciò è Realtà assoluta”, “La manifestazione non è niente altro che apparenza. Essa appare all’orizzonte poi scompare”. E’ precisamente la stessa nozione che quella di Maya [5] nel Vedanta. Uno stato di coscienza è totalmente impersonale. L’ego o “l’io” appare a partire dal momento in cui c’è identificazione per il gioco di riflesso della Coscienza nel corpo fisico che dice “io sono questo” Questo “io” dirà:” io sono il corpo” “io sono sentimento”. In Francia, voi avete Decartes con il suo famoso “penso dunque sono”, “dubito, dunque sono”. La Tradizione va in un senso diametralmente opposto a questo punto di vista, che cambia in “sono, dunque penso”. Questo a creato tante divisioni in Occidente, benché oltretutto Decartes sia stato credente. Se vi identificate con un veicolo, perdete la vostra identità. Proprio come nel mito di Narciso, dove Narciso, riflettendosi nell’acqua, vede la sua immagine e se ne innamora, cade nell’acqua e muore. In Occidente abbiamo dei simboli carichi di significato molto importanti dal punto di vista della realizzazione. Il racconto del figliol prodigo ha anch’esso un profondo significato tradizionale. Questo si allontana da suo padre, dunque l’Unità, va per il mondo, fa numerose esperienze, di cui molte negative, poi torna da suo padre, dunque all’Unità. Il Vedanta dice: “Neti, neti: Tat tvam Asi!” "Tu non sei questo, Tu sei Quello!”. Questo sembra molto semplice, ma disgraziatamente, è difficilissimo da realizzare, in quanto esiste un inconscio collettivo che attira costantemente al livello delle forme. Nella storia dell’Occidente, certe correnti sono state il riflesso esatto di questi differenti stati. Durate l’epoca romantica, in Francia come in Italia, si credeva che l’uomo fosse emozione o sentimento. Tutta la società si basava, tra l’altro, nella esaltazione del ruolo della donna come ideale. Alcune di queste correnti risalivano al classicismo greco, e per questo fatto alimentavano un più grande rigore nella società, una maggiore severità quanto al controllo delle energie dell’uomo. Così si intraprese con grande entusiasmo lo studio dei testi classici sia greci che latini. Oggi, nella fase materialista e positivista che noi attraversiamo, diciamo: "Io sono questo corpo fisico e non c’è nient’altro a parte questo corpo fisico materiale”. Questa tendenza è dunque caratteristica di una società nichilista. Attualmente alcuni filosofi propongono d’altronde la tesi del nichilismo. Questo ha dato origine all’esistenzialismo, corrente che si trova in Francia e in Italia, che è diventata una specie di ribellione contro la fase nichilista. Se si osserva dal punto di vista dell’ “Uno senza secondo”, tutto ciò che succede è al posto giusto. Il movimento dei gunas e l’identificazione dell’ego con questo o quello non possono che dare origine a ciò che succede in questo momento. Un cammino che è nato dai Grandi Misteri, conduce direttamente alla pacificazione del cuore. Diciamo spesso qui che: "Chiunque ha compreso tutto questo, vive nel silenzio che tutto penetra e nell’amore che sa come donarsi, per la sua comprensione profonda”. Gaudapada, nell’ Asparsa-yoga dice che “questo Yoga è lo Yoga della non-opposizione”. Non dipende né dalle emozioni né dai sentimenti: discende dal sapere e dalla comprensione che ogni cosa, in uno spazio/tempo dato, è al suo giusto posto. D: Sembra che una delle maggiori caratteristiche dell’ego sia di mantenersi, costi quello che costi, verso e contro tutto ciò che può presentarsi per spezzarlo. R: Si, è la forza dell’ego, benché l’ego non sia una Realtà assoluta. Un ego può affermare: “in questo momento io sono felice”, e l’istante dopo, una notizia triste o negativa sopraggiunge e lo porta a dire: “io sono infelice”. Allora Raphael constata: “non capisco veramente quel che succede. State dicendo che siete felice e subito non lo siete più, allora quanto ego avete?”. Ma anche in psicologia, sappiamo ora che esistono più ego sociali, un io che non è utilizzato che in ufficio, un io che è utilizzato in famiglia con il marito o con la donna e così via; possiamo dunque dire che l’ego è un camaleonte… Ma, a dispetto di tutto ciò, la maggioranza delle persone ci si attaccano e ne favoriscono la continuazione nel tempo. L’ego è una causa di conflitto, perché crea la dualità: ego e non ego. D: Allora perché la gente fa questo? R: E’ un lato della vita, una modalità offerta dalla vita. Perché, vedete, diverse possibilità sono concesse all’essere umano. Un essere umano può pensare identificandosi al prodotto del suo pensiero, ma può anche pensare senza essere identificato. Non è proibito e semplicemente può accadere. La persona potrebbe persino non pensare affatto; anche questo le è permesso. L’entità o l’essere ha questa libertà, perché noi siamo dei figli dell’Essere, di conseguenza siamo partecipi di questa libertà. Tra tutte le possibilità di scelta concesse, esso può scegliere quella che preferisce, che desidera. Certo, si produrranno differenti effetti secondo la scelta dell’essere e gli orientamenti presi dall’ego. L’identificazione si radica progressivamente. D: Voi parlate del risveglio come del resto del movimento del jiva [1]. A cosa si rapporta il jiva e cosa intendete esattamente per questo? R: Possiamo parlarne in termini Orientali o Occidentali: perché anche i cristiani parlano di corpo, anima e spirito. Platone parla di soma, psiche e pneuma, il Vedanta parla di un corpo fisico denso e grossolano, del jiva o anima - che è un riflesso dell’Atman - fase intermedia tra il livello fisico grosso-lano, che comprende la mente, il pensiero, i sentimenti ecc., e il puro Spirito. Secondo Platone, ma anche secondo il Vedanta, l’anima, può essere orientata sia verso il corpo, sia verso il puro Spirito. Se si identifica con il mondo sensibile, per usare le parole di Platone, inevitabilmente questa avrà dei determinati effetti. Se, al contrario si rivolge verso la sua controparte divina, cioè verso il livello metafisico, gli effetti sono differenti. E’ perciò importante frenare questo movimento verso il basso e orientarlo verso il trascendente. Questo terzo stadio della vita che viviamo qui come eremiti, è quello che si applica ad evitare il movimento dell’anima verso il mondo esterno e verso l’identificazione con questo. L’eremita tenta piuttosto di identificarsi con quello che non ha niente a che fare con le emozioni, le sensazioni ecc, cioè con la sua trascendenza; in altri termini, si tratta di un ritorno verso sé. In sanscrito, si chiama uparati: un ritorno interiore e un distacco dai veicoli e da tutto ciò che ci circonda. Platone parla di periagoge (conversione), che significa il distacco dal mondo materiale. Sicuramente non si tratta di una fuga, ma d’una integrazione. Allora, vedete, diciamo tutti esattamente le stesse cose, la Tradizione è Una e unica. Tutte le differenti branche della Tradizione le appartengono. D: Nel vostro libro “Il Sentiero della non-dualità” voi dite: “L’uno non può essere conosciuto che attraverso un atto di identità. Cosa significa? R: Secondo Platone e la filosofia greca, esistono differenti gradi di conoscenza. Ed è lo stesso per il Vedanta. Il primo livello di conoscenza opera grazie alle sensazioni e ai sentimenti; per esempio, gli animali apprendono e comprendono per mezzo delle sensazioni che hanno delle cose. Siamo dunque in presenza di una conoscenza per mezzo delle sensazioni. Anche gli esseri umani, a livello istintivo, agiscono così. Esiste anche un altro livello che abbiamo l’abitudine di chiamare conoscenza empirica, che è trasmessa allo spirito attraverso i sensi. Questo tipo di conoscenza è duale, perché implica soggetto e oggetto. Così abbiamo manas in sanscrito e dianoia in greco, ma questi due termini significano esattamente la stessa cosa: la mente. La scienza, per esempio, si affida molto a manas, perché deve scoprire tutte le differenti leggi che governano i fenomeni, il mondo fenomenico. E questo non pone nessun problema, perché per conoscere i diversi fenomeni, dobbiamo utilizzare manas, la mente che ha quindi la sua importanza. Anche qui, si tratta di un sapere dell’ordine del soggetto-oggetto: un soggetto che conosce un oggetto. Quando andiamo più in profondità, ci accorgiamo che questo tipo di sapere duale non ha più ragione d’essere. L’insieme della molteplicità diventa allora unità; scopriamo che non c’è niente da conoscere al di fuori di noi stessi. A questo stadio, in termini umani, parliamo di una “Conoscenza per identità” perché “io sono quello che sono” senza secondo. Quando un ricercatore prende coscienza che è la mente che crea la dualità tra soggetto e oggetto, può allora chiudersi a questo tipo di conoscenza e rendersi conto che non esiste che una sola entità al di là di tutto questo movimento. Ecco perché è impossibile ottenere una realizzazione al livello di manas, perché manas proietta un Dio o una Divinità all’esterno di se stesso. S. Agostino dice: “Dio è in noi “ e Gesù Cristo dice: “Il Regno dei Cieli è in voi”. Sono i preti che dicono che tutto questo è fuori di voi. E a questo stadio, si diventa Conoscenza, quando soggetto e oggetto scompaiono. In sanscrito si parla di Sat, Chit è insieme conoscenza e coscienza, e i due non sono che Uno: In Occidente, abbiamo creato una differenza tra conoscenza e coscienza; abbiamo perciò elaborato due cose distinte a partire da una sola e stessa nozione. Peraltro, in termini orientali come in termini occidentali, abbiamo Chit o Gnosi, che significano conoscenza non duale. In occidente, la nostra mente è piuttosto empirica e vogliamo comprendere l’assoluto grazie a questa mente, che, in realtà è relativa. Uno dei nostri fratelli che ha un manas molto forte, molto potente, vorrebbe comprendere l’assoluto con la sua mente. Non si tratta di sbarazzarsi della mente perché è un veicolo, uno strumento come gli altri. E’ perciò importante comprenderne il giusto valore. Ma per conoscere ciò che si situa al di là di sé, dobbiamo abbandonarci. D: Cosa intendete per “conoscere, colui che conosce e ciò che è conosciuto ? Devono coincidere perfettamente”? R: Questa domanda è di nuovo come la precedente; avete la conoscenza, il conoscitore e il conosciuto, esattamente come avevate il soggetto e l’oggetto della conoscenza. Così la risposta alla domanda precedente si applica anche a questa. D: ci sono però due cose qui: si vuole la liberazione e si vuole la comprensione, e forse ci si vuole anche abbandonare. Me nello stesso tempo, una parte di questo processo deve succedere da solo, non possiamo provocarlo, anche avendo la conoscenza di tutto questo processo. R: Noi abbiamo la facoltà di comprendere, e poco a poco, attraverso gli insegnamenti ecc., arriviamo ad afferrare questa Realtà. Prendiamo l’esempio di qualcuno che mettesse il dito sopra una fiamma. Il desiderio di conoscere l’effetto prodotto da questo gesto esiste per la dipendenza dall’inconscio collettivo, tamas, e altri. Immaginiamo che una persona venga a trovare Raphael e che lui gli spieghi tutte le ragioni per le quali lei si brucerà se mette un dito nel fuoco. Questa persona potrebbe istantaneamente prendere coscienza del pericolo, e così non si troverebbe portata a far fisicamente l’esperienza. Oppure, continuerà a voler mettere il dito nel fuoco e a bruciarsi. Ritornerà poi a lamentarsi “Mi sono bruciata, che devo fare per evitarlo?” Raphael risponderebbe: “Ebbene, forse non avete capito? Se lo desiderate, ve lo spiego un’altra volta”. E’ il mondo dell’ego che crea questo genere di dualità. Crea la gioia e il dolore, il conflitto, la sofferenza ecc. Posso indicare il cammino che conduce alla soluzione di questo tipo di conflitto. Se questa persona rimette il dito nel fuoco, cioè nel mondo della dualità, del conflitto e della sofferenza, è naturale che si brucerà di nuovo. Ora, se lo desidera, si può spiegarle tutte le ragioni che l’hanno spinta a ricominciare. Se il dialogo non avviene tra due intelletti, ma piuttosto tra un Maestro o più precisamente uno stato di coscienza giunto al di là del desiderio di fare delle esperienze, e un discepolo, allora è possibile che questo stato di coscienza penetri la coscienza del discepolo e a seconda di tutte le probabilità, una vera comprensione si accenderà in questo senza sforzo. La relazione tra un Maestro e un discepolo è in effetti straordinaria e di grande bellezza, perché è una relazione tra uno che si dona e si abbandona, e uno che è lì per aprirsi e ricevere ciò che è donato al punto che non ci sia più distinzione tra i due, e che di due essi diventino Uno. Ma talvolta è difficile giungere a questo livello d’apertura, perché c’è una resistenza da parte del discepolo, come una identificazione con alcuni contenuti psicologici, con manas ed altre esperienze ancora. Lo stato di coscienza di un essere realizzato non è altro che la possibilità di toccare un altro stato di coscienza che non è ancora risvegliato. Ma sul piano potenziale, noi siamo tutti Quello. Piuttosto che di parlare di un “essere realizzato” forse è preferibile parlare di un “fratello maggiore”. Non c’è che un Maestro ed è Shiva. Il “fratello maggiore” deve toccare lo stato di coscienza dell’altra persona e non i suoi guna. D: Questo ci porta alla domanda seguente, a proposito degli “esseri realizzati”. Nel vostro libro “Tat Tvam Asi”, descrivete un essere realizzato, e ci domandiamo se avete qualche consiglio, consiglio da dare per aiutare a distinguere un essere veramente risvegliato da qualcuno che ha semplicemente alcuni poteri. R: Non è difficile vedere la differenza; ma naturalmente è indispensabile che la persona che si domanda se l’essere di fronte a lei è realizzato o no, sia essa stessa a un certo livello di com-prensione. Si dice che un essere realizzato non possa essere riconosciuto che da un altro essere realizzato. Ma, vedete, quando abbiamo evocato la Tradizione scritta, era molto importante, perché ad ogni momento possiamo apprezzare la persona che ascoltiamo riguardo ai testi tradizionali. Ricordiamo un esempio semplicissimo che conosciamo tutti: i Vangeli. Qualcun potrebbe venirci a trovare e dire: “Ho realizzato quello stato che è descritto nei Vangeli”. E a questo si potrebbe rispondere: “Molto bene; vediamo allora ciò che Gesù Cristo ha detto nei Vangeli”. Prendiamo per esempio il Cattolicesimo, in cui l’Occidente cristiano, tentando di convertire i popoli alla sua religione, ha causato tante guerre e ha trascinato alla separazione nazionale. Se sono normalmente dotato di intelligenza, mi rivolgo ai Vangeli e provo a capire se Cristo ha veramente detto che quello corrispondeva al modo di portare il Suo insegnamento al mondo. Nei Vangeli Cristo dice: "Amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato”. Dice poi: "Pregate Dio perché il sole splenda sui giusti come sugli ingiusti. Cosa conquistate non amando che quelli che vi amano? In verità vi dico, amate quelli che vi odiano”. Allora mi guardo attorno e mi domando spesso se i preti hanno davvero seguito questo pensiero, se l’hanno veramente realizzato. In Europa, abbiamo avuto più guerre di religione che guerre politiche (ridendo), e Gesù dice: “Offrite l’altra guancia!”. Note: 1) Gunas: “qualità fondamentali”. La creazione si manifesta in conseguenza al disequilibrio trai tre gunas, sattva il puro e il Sottile, rajas, l’attività e tamas, la pesantezza e l’immobilità, mascherando così la realtà di Brahman. 2) Deva: essere risplendente,angelico; divinità, Principi funzionali dei livelli grossolano e sottile. 3) Ananda-maya-kosa: guaina, rivestimento (kosa), fatti di (maya) beatitudine (ananda). 4) Ishwara: personalità divina. Rappresenta ciò che si può chiamare il Dio-Persona. Principio della manifestazione totale e Signore di maya. 5) Maya: ignoranza metafisica; fenomeno; mondo empirico fenomenico. Maya comprende tutte le modificazioni sovrapposte alla pura Coscienza del Sé, al Brahman-Atman. Apparenza, ciò che non è né reale né non reale, ma la cui natura è “cambiamento”. INTERVISTA con RAPHAEL - "Tradizione primordiale: approccio della non-dualità"- – Traduz. della Dr.ssa Luciana Scalabrini –
Seconda Parte (3ème Millénaire n. 64-65) R: Ecco il ruolo della Tradizione: i Vangeli sono il mio specchio. Studiandolo posso dire: “Si, questa persona segue veramente i Vangeli, perché offre realmente l'altra guancia e ama perfino i suoi nemici”. E' lo stesso per l' Advaita Vedanta. Qualcuno ci potrebbe dire: “ Ho realizzato lo stato di Uno senza secondo”. E in questo caso noi diremmo: “Vediamo”. Se allora ci rendiamo conto che questa persona è panteista o nichilista, verifichiamo ciò che Shankara ha detto a questo proposito e possiamo facilmente accorgerci che le due cose non coincidono. Ecco il grande valore della Tradizione. E' solo in questo modo che si può sapere se questa persona è realizzata o no. Dobbiamo essere molto prudenti perché viviamo l'epoca del Kali-yuga e un gran numero di persone fanno finta di sapere. Non è difficile imparare in un libro, ma vivere e realizzare ciò che vi viene detto è tutta un'altra cosa. Il solo modo, il solo mezzo per un discepolo di vedere se una persona è realizzata è di confrontare il suo comportamento con quello che ne dicono Plotino, Gaudapada, Shankara e altri nelle loro opere. Ma c'è un altro aspetto: molto spesso i discepoli sono passivi ed è loro molto difficile penetrare questi insegnamenti in profondità; molto spesso incoraggiamo i ricercatori ad andare avanti, a condurre le loro proprie esperienze, a viaggiare in India e a far visita a diversi guru. Ma in definitiva, essi sono obbligati a operare la loro propria sintesi e a confrontare i differenti testi per sapere bene dove si trovano. Se qualcuno mi dice: “Sono un emulo di Platone”, perché ancora oggi abbiamo scuole platoniche e neoplatoniche, la cosa da fare è andare direttamente ai testi, per sapere esattamente ciò che Platone ha detto. E' il solo mezzo a disposizione del discepolo ai nostri giorni. Una volta l'India era una società tradizionale e questo lavoro era molto più facile, ma ai nostri giorni, non abbiamo queste agevolazioni e questi mezzi; siamo nel mondo di avidya. Gesù dice: “ Voi li riconoscerete per i frutti che portano”; un discepolo deve fare prova di intelligenza e deve essere capace di comprendere. C'è poi da fare una distinzione tra la vera realizzazione di uno stato di coscienza e le siddhi, che sono dei poteri. Le siddhi appartengono a Prakriti, ai guna e per questo creano la dualità; quando la realizzazione si situa al di là delle siddhi, non c'è siddhi più elevata della realizzazione. Molto evidentemente la gente in generale preferisce le siddhi. Sai Baba, con tutto il rispetto che gli dobbiamo, possiede delle siddhi e fa apparire della vibhuti (cenere sacra). Se un elefante si precipita di corsa verso di lui, gli basta alzare semplicemente la mano per fargli arrestare la corsa. La gente accorre per assistere a questo spettacolo affascinante. Sai Baba ha anche la capacità di guarire, ma tutto ciò non attiene veramente che al veicolo. La realizzazione stessa avrà già portato alla soluzione di tutti questi problemi. Non è che siamo contro le siddhi o i poteri. I poteri hanno la loro ragione d'essere, ma dobbiamo sapere che appartengono a un piano particolare e metterli al loro posto giusto. D: Proprio prima di venirvi a incontrare, una delle nostre amiche attraversava una crisi. Intellettualmente, aveva coscienza che doveva abbandonarsi e lasciare che le cose accadessero, ma le emozioni seguivano un altro corso e le impedivano di lasciar andare. La domanda allora è: “come conciliare la ragione con le emozioni e i sentimenti?”. R: Nel caso della vostra amica, osserviamo una identificazione con il corpo emozionale e questa identificazione è così forte che non permette di lasciar andare, d'abbandonarsi. Si tratterebbe quindi di rieducare sia le emozioni, che sono così potenti, sia la ragione, che non ha la capacità di sottrarvisi. La sua posizione dovrebbe essere tale da poter comprendere - anche dal lato del manas, del mentale – che può andare al di là di questo stato, al di là delle emozioni e della ragione. Certo, la condizione ideale sarebbe di uscire da tutta questa situazione e mettersi in silenzio. Risolverebbe così tutti i suoi problemi. Ma è in preda a delle emozioni e a dei sentimenti che disgraziatamente la mantengono in questa situazione. Deve essere proprio in mezzo ad una battaglia fra la coscienza razionale e le emozioni che si affrontano. La sua coscienza è allora proprio al centro di questo conflitto. D. E dunque, la cosa migliore per lei sarebbe di stare al di sopra dei due? R: Questa sarebbe una soluzione radicale, in effetti e già una realizzazione. Tutto dipende dalle emozioni e se la vostra amica è abbastanza forte da distaccarsene. Se avesse una visione una conoscenza tradizionale qualunque, potrebbe trovare aiuto creando una identificazione con questa visione piuttosto che con le sue emozioni. D: Cos'è la meditazione? E' una tecnica per compiere qualcosa, e, se è il caso, per compier cosa? R: All'inizio la meditazione è estremamente importante. C'è la meditazione con supporto (o oggetto) o senza supporto. Per un principiante, la miglior cosa da fare è cominciare con un supporto concreto qualunque, come un libro, per esempio, affinché il suo spirito possa giungere ad un certo livello di concentrazione, un grado elevato d'attenzione su questo supporto particolare, perché i pensiero ha la tendenza a disperdersi. E' molto difficile bloccarlo in un'unica posizione. Una meditazione con supporto favorisce dunque la concentrazione. Nello Yoga-darshana, che è il Raja-yoga di Patanjali, i tre ultimi mezzi sono dharana (la concentrazione), dhyana e samadhi. Questo comprende l'attenzione, la concentrazione e la meditazione affinché il mentale si focalizzi. Abitualmente la mente perde una quantità importante della sua energia. Una mente che disperde la sua energia non può creare qualcosa di positivo, qualcosa di buono. Chiunque abbia compiuto un lavoro d'una certa importanza, anche nel mondo esteriore, ha dovuto, in ogni caso, fare prova di una fortissima capacità di concentrazione. Uno scienziato o un matematico deve possedere questo tipo di concentrazione per scoprire certe leggi. Molto evidentemente, quando la nostra Coscienza riposa in se stesa e vive per e attraverso se stessa, la meditazione non è più necessaria. Cosi', la meditazione è un mezzo molto potente per collocare tutti i veicoli in stato di attenzione, di concentrazione. Ben inteso, esistono differenti tecniche di meditazione, ma penso che non abbiamo il tempo di affrontarle ora. D: Ieri vi ho parlato delle mie aperture della visione, ma che non era qualcosa che vivevo in permanenza. Avete risposto che era sufficiente ritornare a questa visione. La mia domanda dunque è la seguente: “Non si tratta allora di un semplice ricordo, di qualcosa di irreale? R: Naturalmente non parliamo di un ricordo psicologico al quale dovreste ritornare. Ma è possibile mettere l'accento su questa visone, su questo stato nel quale eravate. Credo che abbiamo realizzato tutti un minuto d'unità nel corso della vita e preso coscienza che la vita è Una. Tutto quello che ci resta da fare è stabilizzare questa esperienza. Il Vedanta offre una soluzione: suggerisce di considerare ciò che ci circonda come “nome e forma” e di cercare ciò che c'è al di là del nome e della forma. D: Avete la coscienza d'essere dappertutto? R: Si, non c'è differenziazione né opposizione. Per utilizzare la terminologia induista quando si parla di Ishwara: il bakta (devoto, colui che segue il cammino della devozione) pone Ishwara all'esterno, considera Ishwara come un “secondo”. In realtà Ishwara è uno stato di coscienza che deve essere realizzato, Ishwara, o Dio, è uno stato d'essere. A questo stadio avete la possibilità di guardare sia con gli occhi della Coscienza sia con gli occhi fisici. Platone parla dell' "unità nella diversità”. E' molto bello e importante. Se guardate con gli occhi dell'Unità, non potete entrare in opposizione con chichessia o qualunque cosa. Potreste allora ribattere: ma la condotta di queste persone non ha niente a che vedere con la visione dell'Unità. Raphael ne è cosciente, ma è ugualmente cosciente del fatto che queste persone che si comportano in questo modo sono esse stesse delle espressione dell'Uno. Questo crea situazioni a volte buffe. Dei ricercatori vengono da noi e affermano: "Io sono questo, io sono quello, io sono un uomo, io sono una donna, io sono dottore, io sono avvocato” Noi rispondiamo:” Ma voi non siete tutte queste cose che enumerate”. Tutte queste persone sono fermamente convinte e si considerano uomo, donna, medico, avvocato ecc. Accettiamole come credono di essere. Plotino dice: "Il mondo è una immensa scena dove ciascuno recita la sua parte”, ed è proprio ciò che facciamo tutti (ride). Ma sembra che molti non lo capiscano. D: Allora, considerare le cose come “nome e forma”, appartiene al campo della mente, un processo mentale che bisogna ricordarsi di mettere in opera? R: Evidentemente non potete forzarvi a farlo, ma dovete favorire l'attitudine che consiste a non vedere le cose come “nomi e forme”, ma come l'aspetto della Coscienza soggiacente ai “nomi e forme”. Shankara dà un buonissimo esempio che si riferisce in modo molto pertinente a questo:” prendiamo l'etere, che è in ogni luogo ed è Unità. Una gran parte di questa aria o etere, è contenuta all'interno di un vaso, e ci sono vasi differenti di ogni sorta di forma e di grandezza. Il vaso, certo, può essere inteso come un essere umano, un albero o un animale. Ma l'etere racchiuso all'interno dei vasi è della stessa natura dell'etere all'esterno. Dunque, dovremmo figurarci come tutti dei vasi, il nostro corpo è il nostro vaso, ma all'interno di tutti i differenti vasi, c'è questa Unità. La differenza sta nel fatto che ci sono stati di coscienza che non vedono che l'etere, all'interno e all'esterno dei vasi. Gli altri, al contrario non vedono che con gli occhi del vaso, di conseguenza un vaso è diverso dall'altro; questo fa nascere il conflitto. E questo genera anche la vanità, perché in ogni stato di causa “il mio vaso è migliore del vostro” (ridendo). Questa esperienza infatti vi è molto utile. Ritornate al momento in cui avete visto l'unità, e guardate attorno a voi con gli occhi di questa unità. Vedrete che questa unità ha assunto forme differenti: qui un albero, la mia persona o un animale, e così via. Ma sarà attento a ricontattare, a ritrovare la visione dell'Uno. E' molto importante poi che manas, il mentale, non interferisce e non si metta a concettualizzare. D: Nel momento di questa visione, non c'erano concetti. Ma ritornare a quel momento, per me, diventa un concetto, perché non si sta producendo ora. R: Ma ora, voi siete certamente cosciente del fatto che questo stato esiste, perché era un'esperienza diretta. E da quel momento non potete più concettualizzare. Quando qualcuno vi dice di guardare il mondo dei nomi e delle forme, non potete più concettualizzare perché sapete di che si tratta, conoscete ciò che è al di là. D: Si, so che è quella la Realtà. La maggior parte della giornata, mi trovo di fronte a dei concetti e mi ci faccio ancora prendere, ma in profondità so che non sono la Realtà. R: In ogni caso, avete fatto l'esperienza di uno stato di coscienza spoglio di concetti e sapete così che la Realtà è al di là dei concetti. Ora, ciò che potete fare, è andare a fare un giro fuori e guardare gli alberi, guardare tutto ciò che incontrate, e osservare, ma senza concettualizzare. Quando passeggiamo, la nostra mente si mette a concettualizzare autonomamente. Non si accontenta solo di contemplare un albero, ma commenta: “Questo albero è grande, o piccolo, mi piace, non mi piace…” Quello che allora dovete fare, è contemplare senza concettualizzare. E poco a poco, questo modo di fare può essere incorporato nella nostra vita di tutti i giorni, e così è la vostra coscienza che ora vi guida e non più i concetti. Per essere più preciso, possiamo chiamare questo “intuizione”, semplicemente per darvi un'idea di ciò che succede. Alcuni vi diranno: “Ma come posso continuare a vivere e a lavorare così? Ho bisogno di fare funzionare la mia mente” Però potete arrivarci. Questo sembra impossibile, e invece è piuttosto facile. Infatti, è estremamente facile. Si possono fare molte cose: guidare il trattore, spaccare legna, cucinare, spazzare il pavimento di questa stanza, lavare i propri vestiti. E tutto questo con la gioia nel cuore perché tutto è così meraviglioso. E' essenziale che coltiviate questa visione d'Unità nella vita perché ciò che avete attraversato è molto importante. Il Vedanta chiamerebbe questo Savikalpa samadhi. Ed è la possibilità di vedere l'unità della vita con i vostri occhi, gli occhi della Coscienza. D: Potreste spiegare qual è i ruolo dello Yoga e delle sue differenti discipline? E' necessario praticare uno yoga particolare? R: Ci sono differenti tipi di yoga. Avete letto il nostro libro: "L'essenza e lo scopo dello Yoga” che tratta tutte le forme di yoga, dall'Hatha-yoga fino all'Asparsa-yoga, che è lo yoga dell'Advaita vedanta, la via metafisica. Nel corso delle epoche antiche, questi yoga rappresentano diverse tappe o diversi passaggi che portano progressivamente a un cammino più vasto. Quindi, nel tempo antico, c'era semplicemente un solo e unico yoga, con differenti possibilità e dimensioni. L'insieme di questi differenti tipi di yoga portavano tutti alla trascendenza, compreso l'Hatha-yoga. Oggi, l'Hatha-yoga in occidente non è che una serie di esercizi che non fanno che promettere una buona salute. Ma nessun yoga è migliore di un altro. Certo, in Oriente, la Tradizione è sempre viva e permette a chi la incontra di avviare la loro pratica al loro proprio livello di preparazione, di gunas, ecc… In Occidente, e in certi paesi, non si è avuto niente altro che il Cristianesimo e non abbiamo quindi avuto nessuna scelta. Così è impossibile offrire a ciascuno la soluzione che gli abbisogna, perché ogni individuo è un mondo a sé. Invece in Oriente, esiste un ventaglio di possibilità ben più ampio che corrisponde ai bisogni di ciascuno secondo i propri gunas e qualità. Anche il Vedanta può esse definito come uno yoga, lo yoga della Conoscenza. Ma la parola Yoga si è degradata; questa specie di degradazione è inevitabile perché siamo nell'età del Kali-yuga. Infatti, se noi diciamo “facciamo del vedanta-yoga”, direbbero: “allora, fate della ginnastica? Quali sono le posizioni? Dov'è la palestra?”. (ridendo) D: Tutti possono decidere di risvegliarsi, o succede spontaneamente, senza preparazione? R: Il risveglio naturalmente, non è qualcosa che potete compiere semplicemente con la sola forza della volontà e con lo sforzo. Avviene da solo. Ma dobbiamo essere pronti nel momento in cui avviene. Anche nella vostra vita quotidiana, a scuola per esempio, studiamo un considerevole numero di materie, la maggior parte di loro non sono di nessuna utilità per la nostra professione. Ma questa specie di esercizio prepara il nostro spirito a qualcosa che assomiglia all'intuizione: esercita a un modo migliore di scegliere le cose e così via. In questo, la preparazione che offrono i nostri studi è utile. Allora, per tornare alla vostra domanda, la preparazione porta ad accogliere questa specie di avvenimento spontaneo. Non si può forzare nulla, ogni violenza su di noi sarebbe totalmente inutile. D: Quale consiglio dareste a un ricercatore di Verità. R: Questa domanda non è molto facile (ridendo). Dare un consiglio a qualcuno è molto difficile. Beninteso, se la persona, è veramente alla ricerca della Verità, la cosa può essere considerata. Ecco perché parliamo di un certo grado di naturalità della persona, quando c'è un maggior controllo dei gunas ecc. A questo stadio, certo, dei consigli potrebbero essere dati. Il problema sorge quando la persona vive in uno stato di sofferenza e di dualità. Vuole risolvere il suo problema, ma vuole restare in questo stato di dualità. In questa situazione, non si può avere comprensione, perché tutto quello che la persona vuole fare, è cambiare un avvenimento o una situazione a questo livello. Ma si tratta del livello dell'ego, della dualità. Così è molto difficile consigliare qualcuno che è identificato a questo stato di dualità. Inoltre da un punto di vista filosofico, non c'è niente al di là o al di fuori dell'Essere e presto o tardi, non possiamo che ritornarci. Un Advaitin è pacificato, diciamo che ha trovato la pace. Avendo integrato lo stato d'esistenza duale, non ha alcun motivo che lo spingerebbe a voler cambiare il corso delle cose. Ecco perché non ricerca né discepoli né adepti. Certo, l'Advaita è offerto a tutti, ma tutti non vogliono raggiungere questa dimensione. Però presto o tardi, la raggiungeranno perché ogni individuo al mondo è Quello. Possono prendersi per qualcos'altro ma sono Quello. Siamo tutti alienati perché crediamo di essere ciò che non siamo. Per terminare con una nota leggera: dopo Napoleone, ci fu un certo numero di persone che nella loro alienazione, credevano di essere lui. Erano convinte di essere Napoleone, erano pazzi. In questo caso, tutto ciò che possiamo fare, è tentare di risvegliarli alla realtà che non sono Napoleone. La conoscenza tradizionale ci dice che noi siamo tutti alienati; siamo identificati con i diversi vasi e ogni vaso è diverso dal seguente. Un Advaitin si rende ben conto di tutta la sofferenza del mondo, ma nello stesso tempo, vede il comico di tutto questo (ridendo) perché ha coscienza che tutte queste persone hanno dimenticato ciò che sono. Qualcuno potrebbe dire: “soffro”; e la risposta potrebbe essere: “no, tu non soffri”; “si, soffro!”. Un altro potrebbe dire:” Sto per morire” e la risposta: “Ma tu non puoi morire, tu sei immortale”. Se questa persona è convinta che sta per morire, che possiamo farci? Tutto ciò che ci resta da fare è di aspettare che prenda coscienza della sua immortalità, che gli è impossibile morire. Quando lasceremo il nostro corpo fisico denso, la maggioranza di noi andrà nella parte inferiore del Taijasa [1]. In termini occidentali, si tratta del piano astrale. Alcuni spiriti materialisti, quando arrivano a questo piano, fanno fatica a realizzare che non sono morti. Dei discepolo fanno il loro lavoro su questo piano per provare a rieducarli e portarli a vedere che non sono morti. Loro ne sono talmente convinti che dicono:” Come posso non essere morto? Sono deceduto. Devo essere morto” Questa persona non si lascerà andare all'evidenza che esiste, che si esprime e che dunque vive in quest' altra dimensione. Potemmo dire che la vita che facciamo, sul piano umano, è “una tragicomica a lieto fine”. D: Quali sono i principali ostacoli a vivere la Verità? Come si superano? R: Abbiamo già risposto a questa domanda quando abbiamo spiegato che siamo identificati ai gunas. Mentre fate la vostra passeggiata e tentate di ritrovare la vostra visione, dovete verificare voi stessi. “Qual è l'ostacolo che mi trattiene dall'essere quello? Che veicolo si inserisce tra me e questa Realtà? E' lo spirito oppure qualche contenuto psicologico che è in me? Potrebbe essere il mondo delle sensazioni o delle emozioni? Potrebbe essere una idealizzazione, un pensiero? Tutto questo può essere d'ostacolo, ma una volta risolto – perché questi problemi si risolvono - quello emerge da solo. In Oriente si da un esempio molto pertinente: immaginate una stanza piena di oggetti così numerosi che potete appena muovervi. L'identificazione ai diversi oggetti non vi permette di vedere la stanza nella sua realtà. Oggi posso identificarmi con la tavola, domani al sistema di riscaldamento, l'indomani a un'altra cosa. Se prendo tutti questi oggetti e li getto fuori, (per “gettarli fuori” intendo, certo, integrare, assimilare tutti questi oggetti), mi ritrovo in una stanza vuota, e dunque nello spazio. Io sono questo spazio, e questo significa che l'etere all'interno del vaso è della stessa natura che l'etere al di fuori del vaso. Questi esempi o queste analogie possono essere di una grande importanza per la comprensione della Realtà soggiacente ai fenomeni. D: Circa quattro anni fa, ho cominciato, una sera, a ripetermi la frase “Io sono quello”. E sono stato colpito dal fatto che “l'io” per il quale mi prendevo, non aveva niente a che fare con Quello. Prima di questa presa di coscienza, credevo che “l'io”, cioè tutti i concetti corrispondenti a ciò che credevo di essere, stava per diventare Quello con la realizzazione. Ora, in questo istante, ho visto che Quello non aveva niente a che fare con questi concetti. Vedere questo fu molto importante per me. R: Certo, sicuro, Quello non ha niente a vedere con l'ego, l'io. “Io” è una non-realtà, ma è un errore che tutti fanno. D: Se viviamo in uno stato di spontaneità totale, continuiamo a controllare gli avvenimento della nostra vita? R: Dobbiamo parlare qui della spontaneità dell'etere. In questo caso solamente, potete mantenere un controllo; allora è l'etere che utilizza il vaso e non il vaso che utilizza l'etere. L'etere è spontaneità, innocenza. E' la lila, il gioco divino, il gioco d'un bambino. Dobbiamo dunque chiaramente fare la differenza tra la spontaneità che viene dalla reazione istintiva e la spontaneità dell'etere che è totalmente differente. E' molto importante fare questa distinzione perché certe persone sono molto impulsive, emotive e per questo spontanee, ma anche capaci di provocare grandi disastri. Dalla posizione di Quello, ciò non può accadere. L'innocenza di cui parliamo è tutt'altra cosa. D: Potete descrivere la vostra propria natura? R: E' esattamente la stessa della vostra. Ciascuno di noi è questo etere che impregna tutto. Non c'è differenza tra Raphael e gli altri. Potrebbe esserci giusto questa differenza: una persona potrebbe essere identificata ad uno dei suoi veicoli o ad una delle esperienze che ha fatto, mentre Raphael ha esaurito e chiuso tutti i registri di esperienze. Si potrebbe dire che Raphael è stato un po' più intelligente in una incarnazione passata. Ha realizzato di cosa si trattava in tutto questo e ha deciso di non ricaderci più (risa). Questa è l'unica differenza. Nota: Taijasa: lo stato luminoso, uno dei quattro stati di coscienza del Vedanta. I tre altri sono: il sonno profondo, lo stato di veglia e Turiya, il Quarto Stato.
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