LA REALTA' DELLA

 

SOFFERENZA

E LE SUE CAUSE…

Insegnamento del Ven.Yeshe Tobden,

tenuto a Torino nei giorni 1-2-3 Novembre 1985.

(Redatto da Roberto Luccioli)

 

 

  ”…Parleremo a proposito della pratica del Dharma. Se analizziamo la realtà della nostra condizione, vediamo che noi vogliamo la felicità e non certo l'infelicità, o la sofferenza. Noi possiamo pure avere la felicità che ci viene dagli oggetti materiali, ma quella che dura per sempre non può essere ottenuta attraverso tali oggetti. Si può dire la stessa cosa riguardo la sofferenza e l'infelicità: possiamo cioè riuscire a sbarazzarci in parte di esse, ma non completamente, tramite degli oggetti materiali. Attraverso la pratica del Dharma possiamo invece ottenere tutte le felicità che desideriamo ed anche liberarci di tutte le sofferenze e le infelicità; questo perché la felicità stessa ha una causa e, se noi prepariamo tale causa, necessariamente seguirà anche l'effetto, indipendentemente dal nostro volere.

Se noi preparassimo un campo con semi, acqua, fertilizzanti, cioè se creassimo tutte le condizioni necessarie per far crescere un certo tipo di germogli, essi crescerebbero anche se non volessimo. Allo stesso modo, anche le sofferenze che noi non desideriamo hanno una causa. Se, per esempio, noi estirpassimo un'erba velenosa fin dalla radice, tale erba non potrebbe più crescere; nella stessa maniera, se noi riuscissimo ad estirpare le cause della sofferenza, essa sparirebbe naturalmente. Dal momento che ciò che vogliamo è la felicità, noi dovremo cercare di accumulare le cause che la producono. Per ottenere tutto ciò, noi non dovremmo coinvolgere il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito, la nostra parola in azioni negative, ma cercare invece di indirizzarli verso azioni positive. Tali azioni positive prodotte attraverso la nostra mente, la nostra parola e il nostro corpo sono quelle generate da un buon cuore, una buona motivazione. Le azioni negative, sempre prodotte attraverso corpo, parola e mente, vengono invece generate da una cattiva motivazione. In ogni caso, è impossibile che un'azione negativa possa dare dei buoni frutti e che un'azione positiva produca risultati negativi. Poiché noi vogliamo ottenere buoni risultati, quello che dobbiamo fare è accumularne le cause. L'insegnamento del Dharma è impegnare corpo, parola e mente in azioni positive e mai coinvolgerli in azioni negative. Tutto questo fa parte del primo stadio.

LE AFFLIZIONI MENTALI

Nel secondo stadio è spiegato come sia possibile eliminare le emozioni afflittive che hanno la sola funzione di creare negatività per nuocere a se stessi e agli altri esseri senzienti. Nel terzo stadio ci si rende conto che avere la felicità solo per se stessi non è sufficente e che si deve lavorare affinché tutti gli esseri senzienti siano felici e liberi dalla sofferenze. Per poter realizzare questa grande motivazione, la prima cosa da fare è meditare per conseguire la grande compassione, il grande amore. Al momento, noi siamo forse in grado di generare una qualche compassione ed amore nei confronti di amici, parenti; ma ci è impossibile produrre una grande compassione, un grande amore, nei confronti di persone che ci sono indifferenti. Se riuscissimo a desiderare che persone a noi indifferenti ed i nostri nemici si liberino dalle loro sofferenze e ottengano una felicità che dura per sempre, allora avremmo generato un grande amore, una grande compassione.

Bisogna tuttavia saper differenziare l'amore, che bisogna generare, dall'attaccamento da cui invece dobbiamo liberarci. Per essere in grado di generare amore e compassione nei confronti di persone amiche nemiche od indifferenti, per prima cosa si deve meditare sull'equanimità. Di solito, se verso un amico o un parente generiamo un forte desiderio affinché esso possa liberarsi dalle sofferenze e ottenere la felicità è solo perché quella persona è un nostro amico o un nostro parente. Noi infatti riconosciamo sempre come amico chi ci fa del bene e come nemico chi ci fa del male. Per liberarci dall'attaccamento che nutriamo verso i nostri amici possiamo pensare che ci hanno fatto e ci fanno del bene in questa vita, però probabilmente essi nelle vite precedenti ci hanno fatto del male, sono stati nostri nemici e ancora lo potranno essere nelle vite future. Dovremmo cercare anche di eliminare ogni sentimento di odio che proviamo nei confronti dei nostri nemici, dovuto al fatto che essi ci fanno e ci hanno fatto del male, e pensando che questi nemici ci stanno facendo del male in questa vita, ma che sicuramente ci hanno fatto del bene nelle vite precedenti e probabilmente ciò si ripeterà in vite future.

Poiché sia amici che nemici ci hanno procurato a volte del bene e a volte del male, entrambi sono uguali e quindi non c'è ragione di generare attaccamento nei confronti di un amico, né odio verso un nemico. Per esempio, se una persona oggi mi fa del bene e ieri mi ha fatto del male e, viceversa, un'altra persona oggi mi fa del male e ieri invece mi ha fatto del bene, quale posso amare e quale odiare? Possiamo generare l'equanimità pensando che come i nostri amici sono esseri soggetti a cambiamento continuo, così accade ai nostri nemici ed anche a noi stessi; così ne concludiamo che i nostri amici, come pure i nemici e noi stessi siamo impermanenti. Per esempio potremmo considerare gli esseri umani come malati in un ospedale, destinati a morire entro pochi giorni: in questo caso che senso avrebbe considerare una persona amica o nemica?

Un'altro modo per generare l'equanimità è il pensare che anche il nemico, come l'amico, vuole la felicità e non infelicità o la sofferenza; che amici e nemici sono uguali in quanto soffrono entrambi e poiché entrambi sono in una condizione disagevole è sbagliato nutrire sentimenti di odio nei confronti dell'uno e considerare l'altro un amico. Se, per esempio, in un ospedale un medico trattasse bene alcuni pazienti e male altri, chiunque penserebbe che egli non è una persona giusta e corretta. Il nostro errore è proprio questo: benché amici e nemici siano entrambi afflitti dalla sofferenza, noi consideriamo qualcuno in un modo e qualcun altro in un altro modo; e benché sia amici che nemici desiderino entrambi la felicità, il nostro errore è quello di aiutare gli uni e non curarci degli altri.

LA MEDITAZIONE SULLA COMPASSIONE E LA GENERAZIONE DI BODHICITTA

Possiamo anche riflettere sul fatto che amici e nemici sono una pura creazione dei nostri pensieri e quindi noi non possiamo concretamente dire: 'Questo è un amico e questo è un nemico'. Amici e nemici non concepiscono se stessi come tali. Sentimenti come l'odio e l'attaccamento sono dovuti al nostro aggrapparci all'illusione dell'esistenza inerente delle cose; se noi riuscissimo ad eliminare questa illusione, tali sentimenti sparirebbero da soli.

La prima cosa da fare per generare una adeguata compassione verso tutti gli esseri senzienti, siano essi amici, nemici od indifferenti è capire che tutti gli esseri senzienti sono stati molto gentili verso di noi. Pensate che tutti questi siano metodi benefici per generare amore e compassione? Cosa pensate sia più benefico per una persona: ottenere l'equanimità o continuare con sentimenti di attaccamento ed odio? Possiamo pensare che tutti gli esseri senzienti ci hanno fatto del bene essendo stati nostra madre nelle vite precedenti, dal momento che il numero delle nostre vite passate è superiore al numero degli esseri senzienti. In queste infinite vite precedenti abbiamo avuto bisogno di genitori e quindi tutti gli esseri sono stati molto gentili con noi. Non basta dire che essi sono stati nostra madre una volta sola perché lo furono molte e molte volte. Inoltre sono stati gentili anche quando, pur non essendo nostra madre, ci beneficiarono essendo nostro padre e nostri amici. La casa in cui viviamo, i vestiti che indossiamo, il cibo che mangiamo, vengono tutti dalla gentilezza degli esseri senzienti. Noi possiamo pensare di aver pagato per tutte queste cose, ma anche il denaro proviene dalla gentilezza degli esseri senzienti; possiamo pensare che tale denaro è frutto del nostro lavoro, ma anche il poter svolgere un lavoro proviene ancora dalla gentilezza degli esseri senzienti. Se noi vivessimo per un pò di tempo in un posto dove non ci fossero altri esseri viventi, nel giro di due settimane moriremmo. Se ci rendessimo conto che tutti gli esseri senzienti sono gentili nei nostri confronti, non potremmo mai generare un sentimento di odio verso di loro.

Il pensare che un nostro nemico ci ha dato beneficio in passato e potrà ancora farlo in futuro, ci può aiutare a fargli del bene. Noi non ci arrabbiamo nei confronti di una persona che ci ha fatto del bene per molto tempo anche se poi per un pò ci fa del male; non penseremo di fare del male a nostra madre, che è sempre stata gentile con noi, solo perché un giorno ci rimprovera o ci offende. Se ci rendiamo conto che una persona che ci ha beneficiato per molto tempo è afflitta da sofferenze, noi generiamo un forte desiderio che se ne liberi. Riflettere che tutti gli esseri senzienti ci hanno fatto del bene, può aiutarci a generare il pensiero che tutti loro possano ottenere la felicità. Se per molto tempo noi meditassimo su questa granda compassione, potremmo assumerci la responsabilità che tutti gli esseri raggiungano la felicità. Tuttavia, anche se nella nostra mente concepissimo un tale desiderio, in realtà, al momento noi non solo non saremmo assolutamente in grado di aiutare tutti gli esseri senzienti, ma neppure qualcuno di essi. L'unico modo per concretizzare questa nostra volontà è di ottenere la Buddhità.

Il cercare di ottenere la Buddhità per liberare tutti gli esseri dalle sofferenze è chiamato Bodhicitta.
Una volta generato questo sentimento, per ottenere la Buddhità il più in fretta possibile, ci si deve impegnare nel Tantrayana.

LO YOGA DELLA DIVINITA'

Il punto fondamentale dello 'yoga della divinità' consiste nel cercare di rendere se stessi il più simile possibile alla Divinità; tuttavia non possiamo rendere simile ad una divinità il nostro corpo che è umano; e poiché abbiamo vari livelli di coscienza e differenti stati mentali non possiamo trasformare in divinità tutti i livelli di coscienza e tutte le situazioni mentali. Esistono tre prinicipali categorie di tantra: il Kriya, il Charya e lo Yogatantra.

Nel primo, si tende a produrre la particolare trasformazione della saggezza che comprende la vacuità. In questo caso la coscienza normale si trasforma in una coscienza che comprende la vacuità, ed in seguito, questa coscienza che ormai comprende la vacuità si trasforma nella Divinità. In altre parole, il più sottile stato di coscienza che esista, nel livello più alto, si trasforma nella natura della vacuità ed è solo a questo punto che acquista la natura della Divinità. Nei due Sentieri del Sutra e del Tantra il concetto di vacuità è lo stesso. Vi è invece una differenza riguardo a quale tipo di coscienza realizza la vacuità, dal momento che esistono due livelli di coscienza: uno grossolano ed uno più sottile.
Prima di tutto è importante realizzare la consapevolezza della vacuità, ed in seguito bisogna portare questa trasformazione nella coscienza che ha realizzato la vacuità, infine, sarà questo stesso livello di coscienza che ha acquisito la natura della vacuità ad operare la trasformazione nella divinità stessa.
Per esempio, se uno decidesse di costruire una casa ed avesse potuto precedentemente raccogliere tutti i materiali necessari, il terreno, etc., la costruzione gli riuscirà facilmente; in caso contrario, in mancanza di tutti i preparativi, tale costruzione non riuscirà possibile. Allo stesso modo, per poter riuscire nella pratica dello yoga della divinità, bisogna prima avere una buona realizzazione della Bodhicitta e della Vacuità.

Se qualcuno pratica lo Yoga della Divinità per cercare una situazione particolarmente benefica in questa vita, o una felicità personale, possiede una motivazione scorretta per una simile pratica. E' anche sbagliato praticare tale yoga con la sola speranza di essersi liberato dall'esistenza ciclica.
La motivazione corretta per praticare lo yoga della divinità consiste nel desiderare di ottenere la propia liberazione onde poter liberare tutti gli altri esseri. Tale motivazione è detta Bodhicitta.
Animati quindi dalla comprensione della Vacuità e motivati dalla Bodhicitta, si potrà conseguire molto rapidamente l’Illuminazione, anche nel corso di una sola vita. In ogni caso, senza la motivazione di Bodhicitta, qualsiasi pratica noi seguiremo non apparterrà alla Via Mahayana. Se noi manchiamo della realizzazione della Vacuità, ci mancherà la sostanza con la quale potremmo creare questa divinità nello Yoga.

Per poter svolgere questo tipo di pratica abbiamo inoltre bisogno di un'alta capacità di concentra-zione, priva di agitazione o torpori mentali. Per esempio, se noi non possediamo della farina, non potremo cucinare i vari tipi di cibo preparati con questo ingrediente. Allo stesso modo, solo avendo realizzato la vacuità, ci sarà possibile, qualora noi lo desideriamo, meditare su una Divinità con mille corpi e mille teste, oppure mille braccia, o anche con una sola testa, arti normali etc.

Esiste un tipo di pratica che consiste nel fare emergere dalla Vacuità la Divinità di meditazione e quindi fare prostrazioni, offerte, pratiche di purificazione ad essa. In un'altra pratica, invece, la nostra coscienza sorge nella forma di un Mandala che comprende la Divinità e, davanti a questo Mandala, possiamo poi compiere vari tipi di pratiche. Dovremo quindi accordare le nostre pratiche al tipo di Sadhana che seguiamo, al momento che ne esistono di varie. Allo scopo di riuscire in un futuro a svolgere tali pratiche, dobbiamo fin d'ora prepararci, raccogliere le capacità che sono necessarie, imparando a sviluppare la Bodhicitta, comprendere la vacuità ed anche addestrarsi nella meditazione concentrativa. Infine, per praticare lo yoga della Divinità dobbiamo ricevere l'iniziazione. Invece, pur senza iniziazione, possiamo meditare sulla Bodhicitta, realizzare la Vacuità e praticare la meditazione concentrativa. Dal momento che lo sviluppo della Bodhicitta è fondamentale per praticare lo Yoga della Divinità, Gheshe-là ha spiegato il metodo per generarlo.

LA PRATICA DEL DHARMA

Come deve essere un vero praticante di Dharma? Un vero praticante di Dharma è colui che considera molto più importanti gli effetti che riguardano le vite future, che non ciò che riguarda la vita attuale.
Il più alto scopo che si deve proporre un praticante di Dharma è quello di beneficiare tutti gli esseri senzienti e, in ogni caso, per fare ciò bisogna cercare di ottenere la Buddhità. Per conseguirla, un praticante deve dedicarsi a raccogliere meriti e a purificare tutte le negatività in questa e nelle vite future. Poiché la nostra forma umana è indispensabile per questa raccolta di meriti, noi dobbiamo ceracare di evitare la rinascita nei regni inferiori. Tali rinascite sono prodotte da ben determinate cause, derivanti dalle azioni negative. Queste conducono a rinascite nei tre regni inferiori e sono: le tre azioni negative del corpo: cioè uccidere, rubare e tenere una condotta sessuale scorretta; le quattro azioni della parola: mentire, insultare, parlare a vanvera, seminare discordia; le tre azioni della mente: bramare ciò che ci piace, recare danno agli altri esseri, mantenere visioni erronee (es. non tenere in nessun conto il Dharma o non accettare la legge del karma, etc.). Tutte queste sono chiamate le dieci azioni negative, e chiunque cerca di abbandonarle è in procinto di praticare la moralità; quindi per avere una successione continua di esistenze umane dobbiamo impegnarci nella pratica della moralità. Quando si parla di una persona buona o cattiva lo si fa riguardo allo stato della sua mente; il Dharma quindi aiuta a traformare la mente in una situazione migliore. In ogni caso, praticando il Dharma, possiamo veramente riuscire ad aiutare gli altri esseri.

LA NATURA INTERDIPENDENTE DELL'ESIETENZA CICLICA

Abbiamo detto che ciò che desideriamo è la felicità e ciò che non vogliamo è la sofferenza. La felicità che noi vogliamo non può essere ottenuta attraverso oggetti materiali; ci sono molte cose che non si possono ottenere se non mediante la pratica del Dharma e alcune sofferenze di cui non ci si può liberare se non attraverso pratiche spirituali. In questa condizione, noi siamo esseri umani, così siamo sottoposti all’invecchiamento ed un giorno moriremo, e tutto ciò non avviene per nostra indipendente scelta. Proviamo sofferenza quando ci separiamo dai nostri amici, quando incontriamo dei nemici, quando siamo sconfitti. Finché saremo soggetti a questo corpo fatto di carne, pelle ed ossa, esso sarà sempre la base di tutte le nostre sofferenze.

Per questo motivo è chiamato anche 'l'aggregato contaminato'. Invece il corpo dei Buddha, degli Arhat e dei Bodhisattva non è un aggregato contaminato. Il nostro corpo soffre il freddo, il caldo, la sete, la fame e così via; è soggetto a molte sofferenze che provengono da una causa ben precisa. Se noi eliminiamo tale causa, la sofferenza stessa sarà eliminata. La prima e la più importante di queste cause è data dalle emozioni afflittive; per far capire quanto siano importanti tali emozioni afflittive basterà dire che il giorno in cui le avremo eliminate, neppure il nostro Karma potrà più agire. E' come se dei semi non si incontrassero mai con l'acqua, il fertilizzante e, di conseguenza, non potessero mai crescere e svilupparsi.

La prima delle emozioni afflittive è l'attaccamento (vale a dire, quando vediamo un oggetto piacevole e desideriamo possederlo); la seconda è l'odio (quando vediamo qualcuno o qualcosa di spiacevole, come un nemico e desideriamo danneggiarlo); la terza è l'arroganza, dovuta al fatto di sentirsi superiori e maggiori degli altri; la quarta è il dubbio (ad es. dubitare della liberazione di tutti gli esseri o sulla validità del Dharma e sull'esistenza ciclica). Altre sono la visione transitoria (cioè pensare che l'io possa esistere indipendentemente dal corpo e dalla mente); l'ignoranza (e cioè l’aggrapparsi all'esistenza inerente dei fenomeni come se esitessero di per sé). E' proprio l'ignoranza, la radice di tutte le emozioni afflittive ed è possibile eliminarla, è una sorta di misconoscenza. In realtà non c'è nessun fenomeno che esista di per "né, ma ci si aggappa ai fenomeni come inerentemente esistenti. Allo stesso modo, quando ci si renderà conto che i fenomeni non esistono inerentemente, l'illusione contraria sparirà naturalmente. Per esempio, un amico esiste solo in virtù del fatto che lo concepiamo e pensiamo come amico. Se la mente o il pensiero non concepissero tale persona come amico, egli non sarebbe tale.

Un amico perciò è un amico in ragione della forza della nostra mente che lo concepisce come tale. Se noi non concepissimo gli amici nella mente, essi non esisterebbero oggettivamente come amici. Un amico esiste in quanto amico attraverso il nostro pensiero mentale, in realtà la mente pensa che lui è oggettivamente un amico. Egli appare concretamente esistente alla nostra mente, cioè a noi non sembra una imputazione mentale. In realtà, per quanto riguarda corpo e mente, non esiste un reale amico oggettivo, ma l'ignoranza ce lo fa concepire come esistente di per "né. Quando ci accorgeremo che questo amico non esiste inerentemente, l'ignoranza verrà annullata. Può accadere che lo stesso amico litighi con noi e noi immediatamente lo facciamo diventare un non-amico: così un amico può diventare nemico e, viceversa, la situazione può cambiare senza togliere nulla di materiale alla persona. Tale giudizio quindi dipende soltanto dalla nostra mente. Così un amico è tale perché la nostra mente lo ha pensato come amico; se egli esiste solo per il potere della nostra mente, non può esistere oggettivamente un qualcosa come un amico.

Tale concetto è il concetto della vacuità. Un essere senziente quindi esiste solo per il potere della nostra mente, ma non esiste oggettivamente e, per esempio, una casa esiste solo perché qualcuno la pensa come casa. Potremo dire che un orecchino esiste perché lo poniamo sulle orecchie ma non eiste di per "né, l'orecchino esiste perché noi l'abbiamo posto lì. I fenomeni esistono perché la nostra mente li etichetta come tali ma sono vuoti di esistenza inerente. Quando noi arriveremo a capire ciò, l'ignoranza, cioè l'aggrapparsi all'esistenza inerente dei fenomeni, cesserà di esistere, come pure le concezioni errate. Per esempio, l'amico dipende dal pensiero che lo concepisce come tale, dalla mente che lo pensa, e così i bambini esistono perché dipendono dai loro genitori, ed i genitori non esisterebbero senza i bambini. Poiché tutti i fenomeni esistono in dipendenza da qualcos’altro, tutti i fenomeni non esisterebbero senza questa dipendenza, essendo privi di esistenza inerente. L'essere privi di tale esistenza inerente è chiamato Vacuità e la mente che si rende conto di tutto ciò è la mente che l’ha realizzata.

Precedentemente abbiamo parlato della mente che compare come Divinità; questo potere proviene dalla mente che realizza la vacuità. All'ignoranza che si aggrappa all'esistenza inerente dei fenomeni, in seguito si oppone la mente che ha realizzato la vacuità. Poiché siamo stati in grado di realizzare la vacuità, la nostra mente, che ancora si aggrappa all'esistenza inerente dei fenomeni non ha trovato opposizione. Tutte le emozioni afflittive sono come le membra del corpo della ignoranza; perciò, quando realizzeremo la vacuità, anche questa ignoranza cesserà di esistere. Siccome tutte le emozioni afflittive compaiono in dipendenza dell'ignoranza, eliminando l'ignoranza anche le emozioni afflittive cesseranno naturalmente. La mente che realizza la vacuità elimina quell'ignoranza che si aggrappa all'esistenza inerente dei fenomeni e così quando avremo eliminato le emozioni afflittive avremo la cessazione delle sofferenze. Infine, quando la nostra mente sarà pura e chiara, otterremo la liberazione dall'esistenza ciclica perché in quel momento ci saremo liberati dalla fonte delle sofferenze. Nel momento in cui ci saremo liberati dall'esistenza ciclica avremo ottenuto la felicità senza fine.

IL SENTIERO TANTRAYANA E LE SUE PRATICHE MEDITATIVE

Per seguire il sentiero tantrayana occorre sviluppare la meditazione concentrativa, la realizzazione di bodhicitta e la comprensione della vacuità. Sviluppando tutto ciò al meglio, noi possiamo sperare di realizzare la Buddhità in una sola vita. Noi soffriamo perché le emozioni afflittive vengono concepite come realtà, in quanto l'ignoranza si aggrappa ad esse come se esistessero davvero; ma il modo della non-inerente esistenza è la vera realtà e la mente che riesce a concepire tutto ciò é quella giusta, corretta e felice. Poiché nessuno desidera la sofferenza, dobbiamo impegnarci nelle tecniche che ci permettono di liberarcene. Ciò significa seguire le pratiche rivelate dai Guru. Per liberarci dalla sofferenza praticando il Dharma ci dobbiamo chiedere se, pur essendo esseri umani, esiste il rischio di rinascere in un reame inferiore; questo può rendere la nostra situazione più chiara. Per non rinascere in un regno inferiore bisogna per prima cosa riconoscere le azioni negative prodotte da corpo, parola e mente, e cercare di non esserne più coinvolti. Vediamo ora come purificarci dalle azioni negative che abbiamo già commesso: dovremo farlo attraverso le quattro forze opponenti.

La prima si produce generando un grande rimorso per le azioni negative commesse attraverso il corpo, la parola e la mente. Dobbiamo poi promettere a noi stessi di non lasciare più che queste tre porte sensoriali restino coinvolte in azioni negative. Siccome esistono due tipi di azioni negative, che sono quelle accumulate nei confronti dei Tre Gioielli e quelle compiute verso gli esseri senzienti, per la prime occorre prendere rifugio, per le seconde dobbiamo meditare sulla grande compassione e sul grande amore. La quarta forza opponente viene generata meditando sulla vacuità e sulla bodhicitta e recitando mantra come OM MANI PADME HUM.

Purificando tutte le passate azioni negative e nel contempo evitando di accumularne di nuove, noi sicuramente eviteremo la rinascita in un reame inferiore. Per esempio, non avendo commesso azioni criminose, non ci sarà bisogno di andare in tribunale e cosi anche, non rinascendo in un reame inferiore non dovremo sperimentarne le sofferenze. Oltre che per gli esseri umani, anche per i Deva le sofferenze provengono dalle emozioni afflittive; se le eliminiamo ne saremo quindi liberi anche nei piani più alti. La soluzione per liberarsi dalle emozioni afflittive, come si è già detto, è sperimentare la vacuità e la mente, che può rimanere a lungo concentrata su di essa, ha sviluppato la meditazione concentrativa. Per essere in grado di sviluppare questo tipo di concentrazione la prima cosa da farsi è liberarsi dalle azioni negative del corpo e della parola: così disciplinandole, si pratica la MORALITA'.
La mente che è in grado di concentrarsi per molto tempo su un oggetto pratica la concentrazione; la realizzazione della vacuità è chiamata pratica della saggezza. Se riusciamo a praticare questi alti addestramenti saremo liberati dall’esistenza ciclica, ma non sarà sufficente che noi soltanto si realizzi ciò: tutti gli esseri dovrebbero essere liberati dalle sofferenze del Samsara e soprattutto, quelli dei reami inferiori.

IL CONTINUUM MENTALE DI VITA IN VITA

Solitamente non ci basta essere da soli in una buona situazione, infatti noi desideriamo che una tale condizione sia anche per inostri amici, per la nostra famiglia. Poiché tutti gli esseri sono stati gentili con noi quando furono nostre madri, padri e membri della nostra famiglia, dovremmo desiderare che tutti gli esseri senzienti siano felici e liberati dalle sofferenze e che noi, come pure tutti gli altri, si possa raggiungere lo stato di Buddhità. Ripeto: come è possibile che tutti gli esseri siano stati nostra madre? Poiché le nostre vite passate sono tantissime e senza inizio, sono più numerose delle gocce d'acqua contenute in un oceano. La nostra coscienza attuale è la continuazione della stessa coscienza di quando eravamo bimbi, che a sua volta era già attiva mentre ci trovavamo nel ventre di nostra madre e, contrariamente al corpo fisico che proviene dai nostri genitori, la coscienza è il continuum di una coscienza precedentemente esistente.

Quando una persona muore, la sua coscienza va in una stato intermedio dove cerca il luogo in cui rinascere e i suoi genitori, così da poter prendere, attraverso le loro gocce seminali, un corpo fisico ridiventando così un essere senziente. Ora, il primo momento di coscienza in questa vita proviene dalla coscienza precedente, e quindi la causa della coscienza della vita attuale è prodotta dalla coscienza precedente. La coscienza precedente di questa esistenza esisteva già in una vita ancora precedente poiché se non ci fosse una coscienza precedente non potrebbe essercene una successiva.
Come base di tutto ciò esistono due cause: quella principale e quella secondaria. Noi, per esempio,  quando piantiamo qualcosa, facciamo sì che i semi siano la causa principale della futura pianta e l'acqua e il fertilizzante quella secondaria.

Così la causa principale della coscienza è un'altra coscienza precedente e allo stesso modo le vite passate sono infinite, vanno indietro senza inizio. Per questo noi possiamo stabilire che tutti gli esseri senzienti sono state nostra madre. Poiché anche le vite future procedono in questa maniera, se non eliminiamo le emozioni afflittive continueremo a rinascere senza possibilità di scelta. Se invece noi le elimineremo, potremo rinascere con una nostra scelta indipendente; e avendo questa opportunità, noi potremo scegliere di rinascere dove c'è bisogno di portatre beneficio ad alcuni esseri senzienti; poi, terminato questo compito, potremo dissolvere la nostra forma umana e prendere rinascita in un altro luogo dove ci sia bisogno di beneficiare qualcun’altro. In ogni caso, non potremo eliminare la nostra coscienza. Fintanto che la mente resta invischiata alle emozioni afflittive non sarà certo pulita, pura, come del resto l'oro non sarebbe puro se fosse mischiato ad altri metalli. Ma, nel momento in cui elimineremo queste emozioni afflittive la mente diverrà pura. Questo è il significato di diventare Buddha.

I SENTIERI HINAYANA, MAHAYANA E TANTRAYANA

Con la pratica Hinayana riusciamo a liberarci dalle emozioni afflittive, ma per poterci liberare di tutti i nostri difetti dobbiamo praticare il sentiero Mahayana, e per raggiungere la Buddhità il più in fretta possibile si dovrà seguire il Tantrayana, anche se la Buddhità è impossibile ottenerla per il nostro esclusivo beneficio. Si deve cercare di ottenere la Buddhità con l'intenzione di liberare tutti gli esseri sanzienti, apportando loro una felicità senza fine. Questa è la giusta maniera di impegnarsi nelle varie pratiche. Per riuscire a creare una tale motivazione occorre meditare sulla compassione, sul grande amore, generando un forte sentimento.

Tutto ciò risulterà più facile se ci ricordiamo della gentilezza degli esseri senzienti nei nostri confronti, ma senza provare alcun attaccamento. Per meditare sulla grande compassione occorre prima medita-re sulla propria sofferenza e volersene liberare; dopodiché occorre pensare alle sofferenze altrui e desiderare intensamente che tutti se ne liberino. Meditando in questa maniera si può generare un sentimento di grande compassione. Per generare la compassione anche nei confronti dei Deva, che non provano questo tipo di sofferenze, possiamo pensare che essi non possono rinascere per molto tempo in quello stato, rinascendo poi come esseri umani o addirittura nei reami inferiori. Anche noi,
perciò, siamo stati sicuramente dei Deva nelle nostre vite precedenti, ma vediamo che ora non ci è di alcun beneficio. Poiché anche i Deva possono essere soggetti a continue rinascite nei reami inferiori, tale condizione è motivo di sofferenza.

Per esempio, se noi abbiamo un corpo forte e robusto dobbiamo comunque pensare che esso non può mantenersi per sempre in perfette condizioni; un giovane che possiede un fisico perfetto fino all'età di venticinque anni, passati i trenta comincia anch'egli ad invecchiare: tutto ciò è di per se motivo di sofferenza. Prendendo ad esempio il fatto che l'anno successivo il padrone ucciderà il suo ben nutrito maiale, possiamo notare che, in realtà, esso si avvicina sempre più al momento della morte. Così, fino a che rimarremo coinvolti da queste emozioni afflittive resteremo nella sofferenza. Attraverso la pratica del Dharma noi possiamo evitare una rinascita nei reami inferiori, ottenere rinascite in quelli superiori come esseri umani o come Deva, possiamo liberarci dall'esistenza ciclica, raggiungere lo stato del Nirvana, liberarci di tutti i nostri difetti ed infine ottenere la Buddhità. Quindi è molto importante studiare, comprendere il Dharma e metterlo in pratica.

Poiché noi siamo soggetti ai vari tipi di sofferenza che non possiamo sopportare, dobbiamo cercare una soluzione che ci permetta di liberarcene: la migliore soluzione è la pratica del Dharma. Siccome noi vogliamo la felicità, il modo migliore di ottenerla è sempre la pratica del Dharma. Se una persona ha una buona comprensione del Dharma, considererà gli altri più importanti di se stessa, sarà più contenta di vedere altre persone felici piuttosto che se stessa e sceglierà di essere lei a soffrire al posto di altri. Un individuo di questo tipo non avrà mai nessun tipo di problema che potrà portarlo a combattere contro qualcun’altro, nessuno lo riterrà un nemico e nessuno gli farà del male. Se uno si dimostra nobile e buono verso gli altri, essi gli risponderanno nella stessa maniera. Pertanto, se noi pratichiamo il Dharma, saremo molto felici in questa vita presente ed in quelle future.

La più alta ambizione per un praticante di Dharma è quella di lavorare per il benessere di tutti gli esseri senzienti, e per fare ciò è importante raggiungere lo stato di Buddhità. Per potere ottenere la Buddhità una persona si deve impegnare nella pratica delle sei perfezioni (paramita), di cui la prima è la generosità: una persona cioè non deve essere per nulla avara, né provare attaccamento per ciò che possiede e inoltre deve avere una mente tale da essere in grado di donare ad un altro tutto ciò che ha, se fosse necessario. Questo particolare atteggiamento, chiamato pratica della generosità, è basato sull'essere disponibili a cedere i propi possessi ad altre persone; man mano che si progredisce in tale pratica si deve essere in grado di donare anche il proprio corpo, se necessario.

Buddha Shakiamuni, prima di raggiungere la Buddhità, mentre seguiva il sentiero del Bodhisattwa, dette il suo corpo in aiuto ad altri esseri molte e molte volte. In Nepal, c'è un posto che si chiama 'dare il proprio corpo alla tigre'. Il nome deriva dal fatto che un tempo in quel luogo viveva una tigre femmina che aveva cinque cuccioli; lei era talmente affamata da essere sul punto di mangiarli, ma poiché erano molti giorni che la tigre digiunava, la sua bocca era impossibilitata ad aprirsi. Buddha Shakiamuni, che si trovava da quelle parti, avrebbe voluto dare il suo corpo in pasto alla tigre, ma poiché l'animale non poteva aprire la bocca, egli si procurò un taglio, in modo da farne sgorgare sangue e lo diede da bere alla tigre, la quale, poco per volta riuscì ad aprire la bocca. Così Buddha potè offrirle il suo corpo. Questo posto esiste tutt'ora in Nepal ed è possibile visitarlo.

E' molto difficile praticare tutti gli Insgnamenti del Sentiero di Buddha, ma l'importante è praticare quello che è alla nostra portata, al nostro livello. I risultati e gli effetti della pratica del Dharma non sono visibili in poco tempo, ma è sicuro che esistono. E' come per le piante di ulivo; dopo averle piantate bisogna attendere una decina d'anni per avere dell'olio; come possiamo quindi aspettarci di praticare il Dharma oggi ed ottenere subito la Buddhità domani? In ogni caso, dovremo praticare il Dharma nel corso della nostra vita per come e quanto siamo in grado di praticarlo; se uno procede gradualmente in questo modio, sicuramente poco per volta svilupperà la sua mente in una maniera naturale. Comunque attraverso la pratica del Dharma, dovremmo cercare di diventare una persona migliore, più nobile. Nobile è chi cerca di fare del bene agli altri il più possibile. Una persona che compie azioni negative ha un brutto carattere, e noi dovremmo evitare di diventare così.

DOMANDE E RISPOSTE

Domanda: Personalmente non trovo grande difficoltà a non odiare i miei nemici, ma piuttosto sento difficile eliminare l'attaccamento verso quelli che amo.

Risposta: E' verissimo, ma questo tipo di sentimento verso i nostri amici è qualcosa che dovremo eliminare. Esaminando superficialmente, sembra che tale attaccamento sia un aiuto, ma in realtà ci danneggia. Conoscendone l'esatta forza opponente, non sarà difficile eliminarla, ma occorre sapere qual è la maniera giusta per farlo. Il primo stadio per generare la forza opponente all'attaccamento è il meditare sull'impermanenza. Se, per esempio, nutriamo un sentimento di attaccamento per il nostro corpo perché giovane e di bell'aspetto, dobbiamo pensare che anche esso è come i fiori autunnali: pur essendo stati belli, poi tendono a seccare ed a morire. Ciò può aiutarci a ridurre l'attaccamento nei confronti del nostro corpo. Se pensiamo anche alle impurità del nostro corpo come sangue, urina, escrementi, ecc. ci potremo separare da questa idea di attaccamento. Ma per liberarci totalmente da esso bisogna meditare sulla vacuità, sulla non esistenza inerente dei fenomeni.

Ghesce-là è molto contento del fatto che, contrariamente a quanto succede in altri centri, dove ci sono molte persone giovani, qui ci sono delle persone più adulte. Chi pratica bene il Dharma, quando invecchierà, non avrà il problema di far passare le giornate, che non saranno così lunghe. Per una persona anziana, che non lavora più, può risultare difficile far passare i giorni mentre, praticando, sfrutterà molto bene il suo tempo e, anche quando verrà il momento della morte, potrà morire abbastanza felice. I Lama dicono che chi ha ben praticato, sente il momento della morte come un figlio che sente di tornare nella terra di suo padre. La cosa davvero importante è studiare il Dharma, perché gradualmente una persona possa arrivare ad ottenere lo stato della Buddhità.

Domanda: Ghesce-là ha parlato della vacuità come mancanza di esistenza inerente delle cose, delle persone e dei fenomeni. Io chiedo un chiarimento riguardo al fatto che in molte Sadhane, in molte pratiche buddhiste, si trova l'espressione: 'Dalla vacuità emerge un loto, una sillaba, una divinità'. Questa espressione dà quasi l'impressione che si tratti di una dimensione, di uno spazio, di qualcosa che comunque mi pare un pò diverso da quello che Ghesce-là ha spiegato.

Risposta: Poiché tutti i fenomeni sono privi di esistenza inerente, attraverso questa meditazione sulla mancanza di esistenza inerente di tutti i fenomeni, nasce o emerge la divinità, la sillaba OM, aldifuori della vacuità. L'oggetto di tale meditazione emerge da una mente che realizza la mancanza di inerente esistenza dei fenomeni. Anche se una persona non ha realizzato la vacuità, può nascere ugualmente una specie di visualizzazione di questa divinità attraverso la concentrazione, il desiderio che è dentro di lui.

Domanda: Si è parlato a proposito della pratica della generosità: Vorrei sapere fino a che punto è giusto seguire e accondiscendere ai desideri altrui.

Risposta: Se l'oggetto che ci viene richiesto è pericoloso per la persona che lo sta richiedendo allora non dovremo darglielo. Per esempio se qualcuno ci chiede delle droghe pesanti, noi non dovremo dargliele. Se ci viene chiesto qualcosa che può essere piacevole od utile per un breve periodo di tempo, ma alla lunga risulterà dannoso, anche in questo caso dobbiamo rispondere negativamente. Se invece la cosa è nociva per un breve tempo, ma alla lunga utile, allora la si può donare.

Domanda: Come è possibile giustificare il superamento del concetto di amare il prossimo-come-se stessi, giungendo fino al punto di considerare un altro più importante di noi?

Risposta: Se consideri gli altri più importanti di te stesso, ti impegnerai facilmente nel compiere azioni positive verso di loro, anziché danneggiarli, e quste azioni positive torneranno come un tuo diretto beneficio. Certamente aiutando gli altri sperimenterai questo beneficio, ma devi farlo con altruismo, senza pensare alla ricompensa. Se qualcuno, essendo in una buona situazione, non pensasse all’altrui beneficio, non sarebbe un buon praticante di Dharma. Al contrario, un vero buon praticante non si preoccupa della propia condizione, se tutti gli altri stanno bene. Il Dharma si propone di migliorare la situazione di una persona e quindi chiunque aiuta gli altri è un buon praticante.



N.B. Questa dispensa non ha alcun valore ufficiale, vuole solo essere un sussidio per i partecipanti al corso di Lama Ghesce Yesce Tobden. Dedichiamo i meriti della preparazione di questa dispensa per la lunga vita di Ghesce Yeshe Tobden. Ulteriore (che purtroppo ha lasciato il corpo il 31 Luglio 1999) AGGIUNTA al N.B. - Chiedo umilmente scusa a tutti per la lentezza con cui ho pubblicato questo corso, per gli errori di ortografia e di battitura. Se un minimo merito è stato accumulato lo dedico integralmente per il veloce ritorno del Ven Ghesce Yeshe Tobden. (Roberto Luccioli)