LA SHAKTI DELL'ISLAM

Estratto dal libro di Frithjof Schuon, Racines de la condition humaine, la Table Ronde, Paris, 1990 -Traduzione dal francese a cura di Mustafa
http://www.tradizionesacra.it/la_shakti_dell%27islam.htm 
 

  

 

Il termine Shakti significa fondamentalmente l’efficiente energia del Principio Supremo concepita in sé o ad un dato grado ontologico. Giacché il Principio, o diciamo l’Ordine metacosmico, comporta dei gradi e dei modi in virtù della Relatività Universale, Mâyâ, nella quale si riverbera. Nel dominio della vita spirituale, questo stesso termine Shakti significa l’energia celeste che permette all’uomo di entrare in contatto con la Divinità, mediante dei riti appropriati e in conformità ad un sistema tradizionale. Essenzialmente, questa divina Shakti soccorre e attira: soccorre in quanto "Madre, " e attira in quanto "Vergine"; il suo soccorso discende dal Cielo su di noi, mentre la Sua attrazione ci eleva verso il Cielo. In altre parole, la Shakti in quanto pontefix, da una parte conferisce la seconda nascita e dall’altra parte offre le grazie liberatrici.

Nell’Assoluto, la Shakti è l’aspetto dell’Infinitezza, la quale coincide con ogni possibilità e genera Mâyâ, la Shakti universale ed efficiente. L’Infinitezza è la «Beatitudine», Ananda, la quale si combina in Atma con Sat, «l’Essere» o la «Potenza», e con Chit, «la Coscienza» o la «Conoscenza». Noi potremmo dire anche che il polo Ananda è funzione dei poli Sat e Chit, come l’unione o l’esperienza è funzione dei poli oggetto e soggetto; è da questa risultanza che scaturì il Dispiegamento universale, la Maya creatrice con le sue innumerevoli possibilità rese effettive. La Shakti in quanto potenza liberatrice immanente e latente — o potenzialità di liberazione — è chiamata Kundalini, «avvolta a spirale», perché è paragonata ad un serpente addormentato; il suo risveglio nel microcosmo umano è effettuato grazie a pratiche di yoga tantrico. Questo significa, dal punto di vista della natura delle cose o della spiritualità universale, che l'energia cosmica che ci libera fa parte del nostro stesso essere, nonostante le grazie che la Shakti ci conferisce, per misericordia, «da fuori», e senza le quali non c’è una Via. Del resto, come Mahâshakti o Parashakti — l'«Energia produttrice suprema» — uguaglia l'aspetto femminile di Brahma o di Atma, la Kundalini produce una divinizzazione che la rende identica alla creatrice Mâyâ.

Secondo il Corano, i nomi Allâh e Rahmân sono quasi equivalenti: "Invocatelo come Allâh, o invocatelo come Rahmân, comunque lo invochiate, a Lui appartengono i nomi più belli" (Corano 17:110); ciò indica la natura Shaktica del nome Rahmân. Il nome Rahîm, «Misericordioso», prolunga in qualche modo Rahmân, «Clemente» (nella lingua araba hanno le stesse tre lettere radicali in comune); lo prolunga in prospettiva delle creature, ed in questo senso che si insegna che Allah, il quale è Rahmân nella Sua Sostanza, è Rahîm in funzione della creazione. La grande Shakti, nell’Islam, è la Rahmah: è la Bontà, la Bellezza, e la Beatitudine di Allah. (Nota che in Arabo la parola Rahmah deriva dalla radice Rahim, un termine significante «utero», e ciò corrobora l'interpretazione della Rahmah come Femminilità Divina, dunque come Mahâshakti.) Ci sono d’altronde delle forme più specifiche della Shakti, come la Sakînah, la «presenza pacificante o pacificatrice» o la «dolcezza Divina», e la Barakah, la «benedizione» o l’«irradiazione di santità», o ancora l'«energia protettrice»; le quali costituiscono altrettante immagini della Femminilità celeste, della benevola e salvifica Shakti.

Da un altro punto di vista, si può affermare che la prospettiva Shaktica si manifesta nell’Islam dalla promozione sacrale della sessualità (questa è indicata, paradossalmente dal velamento della donna, la quale ispira mistero e sacralizzazione). Questa caratteristica mette consapevolmente e aspramente l’Islam in opposizione alla concezione esclusivamente sacrificale e ascetica del Cristianesimo, ma lo avvicina allo Shaktismo e al Tantrismo. (Il Cristianesimo si avvicinò leggermente al pensiero Tantrico quando giunse a contatto col Sufismo, periodo denominato cavalleresco o amore cortigianesco, caratterizzato dal culto della «Signora» e da una non meno particolare devozione alla Vergine.) Secondo un hadith, «il matrimonio è metà della religione»; cioè — per analogia — che la Shakti è il «prolungamento» del Principio Divino; Mâyâ "prolunga" Atma. Conoscere la donna — insiste Ibn al-‘Arabî — significa conoscere se stesso, e «chi conosce se stesso, conosce il suo Signore». Certamente, l’anima umana è una, ma la polarità sessuale la scinde ad un certo grado; ora la conoscenza dell'Assoluto richiede la totalità primordiale dell'anima, di cui l’unione sessuale è in principio il supporto naturale ed immediato; sebbene indubbiamente questa totalità possa realizzarsi al di fuori della prospettiva erotica, dato che ognuno dei sessi implica la potenzialità dell'altro, essendo l’anima umana una, precisamente.

Secondo Ibn al-‘Arabî, hiya, «Lei», è un Nome divino come huwa, «Lui»; ma da ciò non si deduce che la parola huwa sia limitata, poiché Dio è indivisibile, e chi dice «Lui» dice anche «Lei». È comunque vero che Dhât, la divina «Essenza», è una parola femminile, la quale può riferirsi — similmente al termine Haqîqah — all'aspetto superiore della femminilità: secondo questo modo di vedere corrispondente alla concezione dello Shaktismo Hindu, la femminilità è ciò che supera il formale, il finito, l’esteriore; è sinonimo di indeterminazione, di illimitatezza, di mistero, e così evoca lo «Spirito che vivifica» in relazione alla «lettera che uccide». (II Corinzi, 3:6) È come affermare che la femminilità nel senso superiore comporta una potenza liquescente, interiorizzante, liberatrice: libera dagli indurimenti sterili, dall’esteriorità disperdente e dalle forme limitative e comprimenti. Da una parte, si può opporre la sentimentalità alla razionalità mascolina — interamente e senza dimenticare la relatività delle cose —, ma dall’altra parte, si oppone ugualmente al ragionamento degli uomini l’intuizione delle donne; quindi è questo dono dell’intuizione, presso le donne superiori soprattutto, che spiega e giustifica in gran parte la promozione mistica dell’elemento Femminile; è di conseguenza anche in questo senso che la Haqîqah, la conoscenza esoterica, può apparire come Femminile.

Il Profeta disse di se stesso: «La Legge (sharî‘ah) è ciò che io dico; la Via (Tarîqah) è ciò che io faccio; e la Conoscenza (Haqîqah) è ciò che io sono.» Adesso questo terzo elemento, questo «essere», evoca un mistero della femminilità nel senso che l’«essere» supera il «pensare», rappresentato, esso, dalla mascolinità in quanto essa può essere concepita come lunare; la donna offre la felicità, non per la sua filosofia, ma per il suo essere. La mezzaluna è per dire «assetata» di compiutezza, in quanto è concepita come solare; anche la femminizzazione della pienezza spirituale si spiega in parte per il fatto che la metafisica è nelle mani degli uomini. (In Tedesco come in Arabo e in Lituano, la parola «sole» è femminile, e la parola «luna» è maschile; ciò evoca la prospettiva del matriarcato, del sacerdozio femminile, delle donne profetesse, ed ovviamente dello Shaktismo. Tacito prende in considerazione il grande rispetto che i Germani avevano per le donne. E ricordiamo la funzione beatifica delle Valchirie, e anche questa sentenza quasi tantrica di Goethe: «L’Eterno Femminile ci attira verso l’alto» [Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan]).

Ma c’è di più: il carattere femminile che si può discernere nella Saggezza (Hikmah, Sophia) risulta ugualmente dal fatto che la conoscenza concreta di Dio coincide con l’amore di Dio; questo amore, il quale nella misura della sua sincerità implica le virtù, è come il criterio della reale conoscenza. Ed è in questo senso che la Shakti salvatrice s’identifica contemporaneamente all’Amore e alla Gnosi, alla mahabbah e alla Haqîqah. Nei suoi Fusûs al-Hikam — nel capitolo su Muhammad — Ibn al-‘Arabî sviluppa una dottrina sopratutto Shaktica e Tantrica, la quale prende per punto di partenza il famoso hadith sulle donne, i profumi e la preghiera: le «tre cose che sono state rese amabili» al Profeta da Dio. Questo simbolismo significa prima di tutto che tra gli oggetti dell’amore, per l’uomo, la donna occupa il centro, mentre tutte le altre cose naturalmente amabili — come un giardino, un componimento musicale, una coppa di vino — si situano alla periferia, è ciò che indicano i «profumi»; la preghiera rappresenta l’elemento quintessenziale — la relazione con il Bene supremo — il quale dà un senso a tutto il resto. Adesso, secondo Ibn al-‘Arabî, l’uomo, ama la donna come Dio ama l’uomo, l’essere umano; in quanto il tutto ama la sua parte, e il prototipo ama la sua immagine; e ciò implica metafisicamente e misticamente il movimento inverso, andante dalla creatura al Creatore e dalla donna all’uomo. Chi dice amore, dice desiderio d’unione, e l’unione è un rapporto di reciprocità, sia tra i sessi opposti che tra l’uomo e Dio.

L’uomo, amando la donna, tende inconsciamente verso l’Infinito e, per questo motivo, deve imparare a tendervi consciamente, interiorizzando e sublimando l’oggetto immediato del suo amore; ugualmente la donna, amando l’uomo, tende in realtà verso l’Assoluto, con le stesse virtualità transpersonali. Nel misticismo Sufi la Presenza Divina, o Dio stesso in quanto oggetto d’amore o di nostalgia, è di buon grado presentato come una donna. Citiamo il Dîwân dello Shaykh Ahmad al-‘Alawî: «Mi avvicinavo alla dimora di Layla, ascoltando il suo richiamo. O possa questa voce così dolce non tacer mai! Lei (Layla) mi concesse il suo favore, mi attirò verso di lei, e mi introdusse nel suo recinto; poi mi rivolse delle parole piene d’intimità. Mi fece sedere vicino a lei, mi si avvicinò ancora, e trasse il vestito che la velava ai miei sguardi; mi metteva fuori di me, meravigliandomi per la sua bellezza… Mi cambiò e mi trasfigurò, mi segnò col suo speciale sigillo, mi strinse a lei, mi accordò una stazione unica e mi chiamò col suo nome.» La «dimensione divina» è chiamata Layla, «Notte», a causa della sua qualità a priori non manifestata; ciò che fa pensare al colore oscuro di Parvati e alle Vergini nere nell’arte Cristiana.

L’amore del Profeta Muhammad per le donne ha la capacità spirituale di trovare concretamente nella Donna tutti gli aspetti della femminilità Divina, dalla Misericordia immanente alle Possibilità Universali infinite. L’esperienza sensoriale che produce nell’uomo ordinario un’ampollosità dell’ego, realizza nell’uomo «deificato» la sua estinzione nell’Essenza Divina. I fiori sono amati sia per il loro profumo che per la loro bellezza; queste due qualità si riferiscono alla femminilità e di conseguenza alla Shakti; la bellezza rallegra il cuore e lo calma, e il profumo fa respirare, evoca l’illimitatezza e la purezza dell’aria; la «dilatazione del petto», come si direbbe nella mistica sufi.

Ogni donna virtuosa e bella è a suo modo una manifestazione della Shakti; e se si può dire che la virtù è una bellezza morale, si può dire ugualmente che la bellezza è una virtù fisica. Il merito di questa virtù ritorna al Creatore, e alla partecipazione della creatura, se è moralmente e spiritualmente all’altezza di questo dono; cioè, la bellezza e la virtù, da una parte appartengono a priori a Dio, e dall’altra parte, per la stessa ragione, esigono una valorizzazione spirituale da parte della creatura. La qualità di Shakti nella donna presuppone la qualità di Deva nell’uomo. Ogni sesso partecipa — o può partecipare — all’attività del sesso opposto (il grafico cinese dello Yin-Yang mostra ed esprime graficamente il principio della reciprocità compensatoria). La qualità umana è una ed ha priorità sul sesso, senza abolirne assolutamente le capacità, le funzioni, i doveri e i diritti.

Il carattere di Deva e di Shakti indicano che l’essere umano, per definizione, è una teofania e non ha altra scelta che essere tale, come non ha scelta di essere un Homo sapiens. La vocazione umana, è di realizzare la ragion d’essere dell’uomo; una proiezione di Dio e, quindi, un ponte tra la Terra e il Cielo; o un punto di vista che permette a Dio di vedere se stesso da un altro diverso da Lui, sebbene quest’altro, in ultima analisi, non possa essere che Lui stesso, poiché Dio si conobbe solo attraverso Dio.

I MUSULMANI E LA DEA SHAKTI  

L’interazione culturale tra le tradizioni Musulmana, Indù e Cristiana nel Sud dell’India, dette luogo ad uno scambio di simboli e d’idee, creò un unico e condiviso vocabolario, e generò un intreccio di motivi spirituali all'interno dello stesso panorama sacro. Al centro di quest’influenza reciproca si ritrova l’immagine associata alle Amman, dette anche le Dee regionali.  

Le più importanti figure all'interno del panorama religioso dell’India Meridionale sono “le Divinità di sangue e di potere”. Nella tradizione Indù sono delle Dee guerriere (localmente note come Amman) e degli Dei guerrieri, entrambi rappresentazioni del potere Divino attivo. Queste Dee sono delle combattenti così implacabili e furiose che vengono completamente divorate dalla sete di sangue: se non sono fermate, si scateneranno per il mondo, combattendo finché non sarà rimasto vivo nessuno. Sono delle Dee di potere benefiche e terrifiche al tempo stesso, causano la malattia e la morte, ma possono anche curarla e dare la vita. Nella tradizione Musulmana, questo potere è rappresentato dal Sufi guerriero, il Pir, il quale è percepito come le Dee bramose di sangue e di potere. Conosciute con i nomi di Kali, Kaliamma, Durga o Mariamman, queste Dee hanno la capacità straordinaria della Shakti, l’energia Femminile degli Dei, e si uniscono a Shiva, il Dio maschile. Mariamman è la Dea madre rurale dell’India del Sud (prevalentemente nel Tamil Nadu, Karnataka e Andhrapradesh). Viene solitamente raffigurata con la faccia rossa. Questa Dea ogni estate cura le infiammazioni come la sifilide e le eruzioni cutanee.

La figura del Pir Musulmano guerriero, del Santo Martire o dello Shahid, fu accettata facilmente dalla tradizione Indiana, perché essa si caratterizza per il fatto di aver attribuito alla foresta e non alla città la sua fonte di rigenerazione, materiale e intellettuale. Il mondo della foresta nell’Induismo è il mondo di Shiva, che è il Signore della danza della natura. Il Pir guerriero aveva il potere di proteggere dagli attacchi degli animali selvatici e dei demoni i suoi devoti che meditavano nelle foreste. Ecco perché il Pir Marziale non fu considerato un essere che semina disaccordi e divisioni nella società Indiana del Sud. Al contrario, la sua immagine di potenza universale si radicò profondamente tra i culti delle Dee Tamil e delle potenti Divinità. Le Dargah (mausolei o sacrari) dei Santi Sufi furono riveriti da Indù e da Musulmani. Tota Kuramma era una donna Musulmana che dopo la sua morte divenne un Amman. (Wilber T. Elmore, Dravidian Gods in Modern Hinduism. University of Nebraska, 1915, p. 61-63)

Ne risulta che la concezione Islamica e Induista del potere sacro è in pratica identica. Nel caso della Dea guerriera, il suo potere è Shakti, “il potere dinamico, terrificante e sacro che è la Dea Durga-Kali.” Il potere del Pir, d’altra parte, è la sua Barakat. La fusione di questi due concetti nell’India Meridionale ha dimostrato, ad esempio, nella biografia di un Pir Tamil, che la parola usata per descrivere il suo potere non è la Barakat, ma la Shakti. (Vedere Susan Bayly, Saints, Goddesses, and Kings: Muslims and Christians in South Indian Society, 1700-1900. Cambridge University Press, 1989).

Chi sono i Santi Pir Musulmani guerrieri? Nel Bangladesh, ad esempio, esiste la nota figura del Pir guerriero Gazi. Dall'uomo medio Bengalese, Pir Gazi è venerato come un salvatore e un protettore dai pericoli dei demoni e delle divinità cattive. Altresì, Pir Gazi è il Santo protettore dei suoi discepoli (murid) che si sono ritirati a meditare nella foresta. Pir Gazi li proteggeva dagli attacchi delle bestie feroci e dai demoni della foresta. Nel Bangladesh, particolarmente nelle regioni del Sundarban, la storia e le immagini di Pir Gazi avevano guadagnato molta popolarità fra gli abitanti della foresta, come i boscaioli, gli apicoltori e altri. Queste comunità credono ancora nei poteri soprannaturali del Pir defunto, ed emettono il suo nome prima di avventurarsi nella foresta. Nei villaggi, gli abitanti chiamano i cantanti professionisti (gayen) e i folclorici a lodare il santo Pir. Questi narratori cantano il potere e la prodezza dei Pir in versi. In India, i poteri dei Pir sono stati associati alle Divinità di sangue e di potere, cioè al potere della Shakti. L’analisi etimologica può chiarire il senso del culto dei Pir. La parola Pir nella lingua Persiana e Indostana significa genericamente un uomo anziano, un Saggio o un Abdal. La parola Pir in Iran designa anche il pellegrinaggio ai sei luoghi della fede zoroastriana vicino alla città di Yazd che sono appunto: Seti Pir, Pir-e Sabz (conosciuto anche come Chak Chak), Pir-e Naraki, Pir-e Banu, Pir-e Herisht e Pir-e Narestan. Questi sei luoghi sono templi del fuoco. Pir nella lingua greca significa fuoco. Nella lingua ceca pyr significa ceneri calde, in Etrusco pir significa fuoco, in Sanscrito fuoco è detto pu e nella lingua Ittita pahhur. Il nome piramide che deriva dal greco "pyro" significa fuoco e le piramidi furono chiamate così perché generavano fuoco. Il Pir guerriero interpreta il fuoco come il simbolo della saggezza, e il Sole come luce celestiale. 
Il Pir è quindi colui che domina l’elemento fuoco che è in rapporto al Sole. Il fuoco è in alchimia il primo elemento. Da esso scaturisce l’acqua, e poi tutti gli altri elementi. I poteri e i miracoli dei Pir sono ottenuti padroneggiando l’elemento fuoco. La degenerazione cultuale del Pirismo è dovuta ad una mancata conoscenza di questi concetti. Nel Bengala esistono i movimenti devozionali Piristi denominati “Satya-Pir” e “Panch-Pir”. Mentre gli scrittori Musulmani lo chiamano Satya-Pir, gli Indù lo conoscono come Satya-Narayana. Narayana significa in sanscrito “colui che sta sulle acque”, l’acqua del cosmo, cioè il fuoco. Perché sulle acque? Perché l’acqua rappresenta la materia cosmica originaria che lo spirito di Dio, il fuoco primordiale, ha penetrato per fecondarla. Al contrario di ciò che si crede, non è la terra l’elemento che esprime al meglio le qualità della materia, bensì l’acqua. La vita è uscita dall’acqua grazie al principio del fuoco che ha messo in movimento la materia. Non è casuale che il prefisso di Narayana, cioè Nar, in arabo significhi ancora fuoco.

La Shakti è la rappresentazione del fuoco cosmico. È Devi Kundalini Shakti, è lo spirito santo che ascende lungo la nostra colonna vertebrale per poi discendere fino al cuore. La Kundalini, è il serpente igneo dei nostri poteri magici, è la Dea Madre. Agni, cioè il fuoco, è associato alla Kundalini, considerato come l'energia di Shiva, la coscienza che trascende la molteplicità. Nell’illuminazione (in arabo Ilhama), la Kundalini è completamente desta e la persona, non è più un individuo, è un Pir identico a Shiva, nella pienezza di tutti i suoi attributi divini che si manifestano attraverso l’ananda (la beatitudine). La potenza ignea del Pir Musulmano è identica a quella delle dee di sangue e di potere. Durga (in sanscrito significa inaccessibile) che nella mitologia Indù è una delle molte forme della Shakti, spesso identificata come moglie di Shiva, fu creata con le fiamme che uscirono dalle bocche di Brahma, Vishnu, Shiva, e d’altre divinità minori.

I Musulmani che erano consapevoli dell’esistenza della Femminile e Divina Shakti all'interno dell’Islam, hanno trovato nei loro cuori una risposta alle Sue manifestazioni in India. Il Bengala, la cui popolazione discende dal ceppo ancestrale Dravidico (sebbene oggi parlino una lingua Indoariana), è un luogo d’incontro tra l’Islam, lo Shaktismo e il Tantrismo. La letteratura Musulmana Bengalese ha venerato la donna sacra dell’Islam come una manifestazione della Shakti. Fatimah, la figlia del Profeta Muhammad, la pace sia su di Loro, è universalmente nota come Madre del Bengala, in un paese in cui il culto della Dea Madre Shakti domina la vita religiosa. Hayat Mahmud, all'inizio del suo “Jang Nama”, chiese che i piedi di Fatimah fossero poggiati sulla sua testa. Seyyed Murtaza si rivolse a Fatimah come “la Madre del mondo.” Pagla Kanai, un poeta Bengalese del diciannovesimo secolo, identificò Fatimah alla “Madre Tara” o “Madre Tarini” e la invocò in questi versi coll’intento di unire l’Islam con lo Shaktismo:

“Oh Madre, Pagla Kanai è quello a cui non conta altro che implorarTi ad ogni respiro;

per favore getta una piccola ombra dei tuoi piedi su di me;

Oh Madre Tara, Tu sei la Redentrice del mondo,

Oh Madre Tarini, Ti mostrerai come la Salvatrice dei Musulmani

quando Israfil darà fiato al suo corno, quando ogni cosa sarà ridotta ad acqua,

e quando il padre della tua comunità affonderà senza una barca.”

 “Nell’India del Sud e nel Bengala, Tara o Tarini è un aspetto importante della Dea Madre. Tara è la salvatrice, la compassionevole che ode le grida di disperazione degli esseri nel samsara, e risponde a chi chiede aiuto. È particolarmente venerata poiché le si attribuisce la facoltà di liberare i fedeli dal timore di otto pericoli: leoni, elefanti, incendi, serpenti, banditi, prigioni, naufragi e demoni. Le è collegato l’elemento acqua. Con l’acqua dà la vita e la morte. L’acqua è l’ingrediente più essenziale della vita, ma è anche un elemento distruttivo nelle inondazioni e nelle piogge torrenziali. I piedi con cui calpesta il samsara, sono in essenza vacuità e compassione. L’attaccamento è simile all’acqua perché ci può trascinare analogamente a come fa un fiume in cui si sia caduti. Il nome Tara significa in sanscrito Stella. La radice sanscrita tr significa fare, attraversare, quindi Tara è colei che fa attraversare, colei che fa giungere all'altra riva, ovvero la riva posta al di là dell'oceano delle esistenze. Il termine Madre, infatti, deriva dal sanscrito màtr, dalla radice sanscrita mà, “misurare”, e dai vocaboli derivanti quali màmi (“misuro, distribuisco, dispongo, produco) e màtra, “materia”. Parole, queste, che indicano chiaramente un significato di “potere” che, invece, non è sottinteso nel termine Padre – in sanscrito pità – il quale, attraverso i vocaboli sanscriti pà, patis e pà-yù, esprime i concetti di protettore, signore, custode.

Riprendendo in esame il termine Madre, esso – come la parola mare – inizia con la lettera M in tutte le lingue indoeuropee; in particolare, nell’alfabeto fenicio la M aveva la forma di una linea ondulata terminante con un tratto più lungo a raffigurare l’onda dell’acqua: “acqua” che era chiamata mem, così come mem si pronunciava la lettera M. In Arabo l’acqua è detta Ma’ e madre Umm (doppia emme). Il potere delle dee-Madri, ed in particolare di Tara, espressione di Kali, si manifesta nella tradizione spirituale Araba e Islamica nella figura di Fatimah, la Madre del Mondo. L’epiteto favorito di Fatimah, fu Umm Abiha, letteralmente la Madre di suo Padre, significa genericamente che Fatimah trattò Muhammad come se fosse sua Madre. Quando “il padre della tua comunità affonderà senza una barca” è l’Umm Abiha, è l’eterno abbraccio di Shiva e di Shakti, il principio maschile e femminile.  Riassumendo, dunque, la parola Madre esprime le insite peculiarità di misuratrice, dispensatrice, ordinatrice, materia, acqua.”

Tara è una Shakti (Dea Tantrica) - Mahavidya, cioè grande (maha) conoscenza (vidya). Nella tradizione Tantrica, il concetto della grande conoscenza è identificato in Kali, Tara, Tripura Sudari, Bhuvaneshvari, Bhairavi, Chhinnamasta, Dhumavati, Bagalamukhi, Matangi, Kamalatmika. In tutte le sue dieci forme di Dea, sia seducente sia terrificante, è venerata come Madre universale ―, una delle più amate manifestazioni della Shakti per i praticanti Tantrici, e come tale ha fatto appello ai cuori dei Musulmani Bengalesi tanto quanto la figlia Fatimah del beneamato Profeta dell’Islam, la pace sia su di Loro. Pagla Kanai ha paragonato Fatimah alla Dea Kali per le sue innumerevoli virtù:

Madre Kali è davvero virtuosa—

Si mise in piedi sul torace di suo marito!

La mia graziosa Madre (Fatimah) calpestò mai Ali?

(Citato in The Islamic Syncretic Tradition in Bengal di Asim Roy, p. 94-95. È uno studio meraviglioso sui mediatori culturali che ripristinarono la continuità culturale tra l’Islam e la tradizione Indù e Indiana: il Profeta Muhammad è identificato con Krishna; sua figlia Fatimah è la Shakti; e la creazione fu il risultato delle gocce di sudore di Muhammad.) Secoli fa, un Musulmano Bengalese chiamato Seyyed Jafar, compose le odi seguenti per Kali:

“Perché in situazioni del genere ti chiami misericordiosa?

(Questa è la Madre, la misericordiosa, ed è in questa condizione!)

 Che ricchezza puoi darmi? Non hai neppure un abito.

Una donna sceglierebbe la nudità se avesse qualcosa con cui vestirsi?

Tuo marito è un mendicante dalla nascita, Tuo padre è tra i crudeli,

Non c'è nella famiglia un benefattore.

Per Seyyed Jafar che ricchezza c’è nella Tua custodia?

Il petto di Hara (Shiva) possiede i Tuoi Piedi gemelli.

  (Citato in Kali, the Feminine Force di Ajit Mookerjee, p. 104. Shiva è anche Hara “Colui che ottiene”. Che cosa ottiene? Il centro Hara è il centro dell’equilibrio, della vita, il centro universale. Hara è il plesso solare che ha creato e che alimenta il cervello. Il cervello è un prodotto del plesso solare, è suo figlio. In alcune circostanze della vita quotidiana c’è un collegamento fra i piedi e il plesso solare. Quando si ha molto freddo ai piedi, si sente che il plesso solare è teso, e se si mangia in quel momento, la digestione sarà difficile. Ma se s’immergono i piedi nell’acqua calda, il plesso solare si dilata, dà una sensazione molto gradevole che ci mette in forma. “Il petto di Hara (Shiva) possiede i Tuoi Piedi gemelli” significa che questi chakra vibrano in armonia col plesso solare. Si dice ad esempio che un Saggio, un Rishi, respira con i piedi. Omraam Aivanhov, La Nuova Terra. Il centro Hara. pag. 159-166). Un poeta Bengalese contemporaneo, Kazi Nazrul Islam (1899-1976), seguì l'esempio di Seyyed Jafar e di altri poeti utilizzando un gioco di parole tipico della lingua Bengali secondo cui Kali significa inchiostro:

“Oh mia Madre, c’è inchiostro nelle mie mani,

inchiostro sulla mia faccia. I vicini di casa ridono.

La mia istruzione non vale nulla.

Io vedo “ShyaMa” nella lettera M, e Kali nella lettera K,

Io ballo e batto le mani.

Solo le mie lacrime si moltiplicano quando i miei occhi si accendono

lungo le righe nere delle tabelline pitagoriche.

Non potevo interessarmi alle ombre sonore dell’alfabeto,

da quando la tua oscurità, la tua bell’ombra non è fra loro.

Ma Madre, io posso leggere tutto ciò che scrivi

sulle foglie della foresta, sull’acqua del mare,

e sulle traverse del cielo. Lasciali chiamarmi analfabeta.”

(ShyaMa, è la forma femminile di Shyam. Nella mitologia Indù si tratta di uno dei tanti nomi della moglie di Shiva). Kazi Nazrul Islam è considerato il più gran poeta della letteratura Bengalese dopo il famosissimo scrittore Rabindranath Tagore (1861- 1941). I poemi di Nazrul Islam denunciavano il bigottismo religioso e tutte le forme d’oppressione sociale. Pubblicò in pieno regime coloniale britannico il volumetto Vidrohi (Il ribelle), in cui dileggiava ferocemente gli inglesi. Ciò gli valse lunghi periodi di detenzione politica. Infaticabile sostenitore dell'indipendenza, non poté vedere il progresso dell'India libera perché ormai internato in un istituto psichiatrico.

Ayeshah Haleem scrisse uno studio sullo “Stotra” (Inno di lode) intitolato “Lalita Sahasra Namam” (I Mille Nomi della Dea Lalita). Questo Stotra contenuto nel “Brahmanda Purana” è rivolto in onore della Dea Lalita. La meditazione sul significato dei Suoi nomi esaudirebbe tutti i desideri dei devoti. Quest’inno è stato pubblicato nell’antologia edita da Joseph Campbell e Charles Mu"nés, I nomi della Dea: il femminile nella divinità, Roma, Ubaldini, 1992. Un estratto del suo studio è riportato qui di seguito:

    Srîmâtâ!—Madre Gloriosa! Srîmahârâjnî!—Regina Gloriosa!

    Srimatsimhâsaneswarî!—Sovrana Gloriosa sul Trono della Leonessa!

In questo modo inizia, con i primi tre nomi, il sublime inno sanscrito Lalitasahasranamam (I Mille Nomi della Dea) in onore della Dea del nostro Universo, e si rivolge a lei con epiteti che descrivono la sua originaria triplicità come Contenitore, Misuratore e Materia dell’Universo (tutti impliciti nella parola Mata; perciò, Regina dell’Universo, Regolatrice del Tempo, Leonessa Divoratrice), e quindi di tutti i cicli che alla fine tornano al punto di partenza, formando un tutto unico. Benché la sua triplice qualità sia onnicomprensiva, essa è Manifestazione in sé (Maya)—il Velo dell’Esistenza—in tutta la sua varietà e in tutti i particolari, e quindi è possibile trovarla percorrendo infiniti sentieri. È un barlume della sua molteplicità che i Mille Nomi di Lalita cercano di comunicare, anche se il "mille", sta a sua volta per le migliaia di migliaia di epiteti esistenti nella realtà. Il testo che oggi abbiamo, benché sia una raccolta di recente data, è senza dubbio derivato da originali che risalgono a molti millenni prima di Cristo e forse al Paleolitico. (Ayeshah Haleem, pag. 152-153)

Shahrukh Husain è psicoterapeuta, studiosa Musulmana di tradizioni popolari. Nel libro intitolato “La Dea”, che è un’avvincente indagine sul culto della Dea in diverse culture, riserva una particolare attenzione alla manifestazione della Shakti nella spiritualità Indiana. Le civiltà che, come quella degli antichi Sumeri, hanno considerato quella sessuale come un’attività complessa e piacevole, oltre che spiritualmente e fisicamente benefica (in modo per certi versi affine alla disciplina Indiana dello Yoga), adoravano di solito una Divinità principale Femminile. Nei riti di questo tipo di Divinità l'accoppiamento è un atto la cui importanza va ben oltre la gratificazione fisica o lo stimolo a preservare la specie; un simile atteggiamento ha ispirato numerosi testi erotici, che non miravano semplicemente ad eccitare, ma erano parte di un pensiero religioso che sopravvive ancora oggi.

Questa letteratura erotico-religiosa comprende gli inni sumerici per la Dea Innana, che usava la sessualità ed il fuoco interno ovverosia il sistema energetico della kundalini per rigenerarsi. Asherah presso i Fenici, Dea della vegetazione, il cui simbolo era costituito da un albero o palo sacro, legata al culto di Baal, veniva adorata anche in Israele e a Gerusalemme, e fu particolarmente onorata nella letteratura ugaritica. I testi sacri giapponesi  il “Nihongi” e il “Kojiki” parlano diffusamente della coppia divina di Izanagi e Izanami, creatori delle isole giapponesi e progenitori della dinastia imperiale, ma uno degli aspetti particolari dello Shintoismo è la tendenza al sincretismo che si manifesta per esempio mediante l’adozione nel pantheon delle varie figure celesti provenienti da diverse tradizioni religiose: induista, buddhista, taoista, popolare. Esistono anche dei trattati filosofici, erotici e medici Cinesi, ma il più famoso di tutti i testi erotici antichi è forse il Kama Sutra di Vatsyayana scritto in India tra il 3 e il 5 secolo dopo Cristo.

Come nella maggior parte degli antichi scritti erotici, l’idea che il sesso sia peccaminoso è assente dal Kama Sutra, che contiene esplicite e dettagliate disamine della bellezza della forma Femminile, dalle ciglia degli occhi alle dita dei piedi e, naturalmente della Yoni (in Arabo Farj), paragonata al dischiudersi del bocciolo del loto e, profumata come il giglio appena sbocciato. Il Kamasutra di Vatsyayana (Aforismi sull'amore di Vatsyayana) ispirò gli autori di molti Tantra, testi sacri della filosofia mistica complessivamente chiamata Tantrismo, che risale al sesto secolo dopo Cristo. Il Tantrismo concepisce l’universo come un insieme di vibrazioni energetiche, che emanano dai giochi d’amore del dio Shiva – passivo e inconoscibile -  e del suo principio femminile attivo, Shakti. Una delle cinque pratiche del Tantrismo è detta Kamakala dhyana, meditazioni sull’arte dell’amore, in cui il devoto contempla il desiderio ponendo al centro del culto la Yoni della Dea.

Una parte delle tradizioni Tantriche pratica l’unione fisica, come allegoria dell’unione mistica tra la Dea e l’accolito. Oltre ad assicurare la pace nella vita ultraterrena, l’unione conduce alla liberazione (Jivanmukti), mentre il devoto è ancora in questo mondo — una condizione reputata desiderabile solo nelle religioni in cui predomina la figura della Divinità Femminile potente (questa è anche una caratteristica del Sufismo). Si crede che il rapporto sessuale annulli le barriere sociali, sbloccando il flusso di energie indispensabili alla funzione creativa divina, che deve essere emulata dai devoti della Dea nei loro riti. Il Tantra e il Kama Sutra esaltano la donna, attribuendole una natura analoga a quella della Dea… Il Profeta Muhammad non sostenne mai il celibato, e nel Corano vi sono ben poche tracce di avversione alla sessualità. La Bibbia stessa comprende il Cantico dei cantici o Cantico di Salomone, un testo sensuale ed erotico. È uno dei testi più lirici e inusuali delle Sacre scritture. Racconta in versi l'amore tra due innamorati, con tenerezza, ma anche con un ardire di toni ricco di sfumature sensuali e immagini erotiche. (Shahrukh Husain, p. 94-95.)

La Yoni – Al-Farj

Pare che il triangolo invertito, rappresentazione della vulva della Dea, sia stato venerato fin dalla preistoria. Vi sono prove che fosse usato durante il Paleolitico, come pendente, simbolo di fertilità o amuleto per allontanare il pericolo. Era accentuato sulle statuette delle Veneri e stilizzato in diverse forme d’arte e nei caratteri cuneiformi, una delle prime forme di scrittura. Il triangolo genitale della Dea, per definire il quale oggi si usa spesso il nome sanscrito Yoni, simboleggiato da un fiore di loto, è la via di entrata e di uscita dall'utero-mondo. La paura che la vulva possa divorare è invece assente nelle immagini Indiane del culto della Yoni. La Dea, generalmente personificata da Devi o Kali, è mostrata supina con le gambe divaricate, oppure in piedi con le gambe aperte, mentre lascia fluire il proprio liquido vaginale, Yoni-Tattva, un elisir divino che i devoti accolgono in bocca.

Lo Yoni Tantra è un testo religioso Bengalese del secolo undicesimo che descrive principalmente lo Yoni Puja, o “rituale tantrico dell’adorazione della vulva”, in cui è consumato oralmente il fluido vaginale denominato Yoni-Tattva. Lo Yoni Tantra narra che quando Shiva vide il cadavere della Dea Sati, sua moglie, iniziò una terribile danza di distruzione. Per evitargli quella vista straziante, gli Dei minori per ordine di Brahma smembrarono il cadavere dell'amata spargendone i pezzi ovunque. La vulva cadde a Kamakhya Mandir, nell’Assam, e un tempio fu eretto in suo onore. La Dea Kamakhya è una delle 108 manifestazioni della Shakti. Il tempio fu distrutto nel 1553 e successivamente ricostruito nel 1665. Nel tempio, la Yoni è rappresentata da una fenditura nella pietra, mantenuta umida da una sorgente d’acqua sotterranea. Ad una cerimonia celebrata annualmente all’inizio della stagione dei monsoni, si aggiunge dell’ossido di ferro per colorare la fonte di rosso. Questa mestruazione simbolica è interpretata dai suoi adoratori come una conferma, da parte della Natura, per la venerazione della vulva e dei processi ai quali è soggetta, oltre che come prova della presenza della Dea sulla terra. 

Formazioni rocciose, grotte e dolmen simili a Yoni (in Arabo al plurale si dice Furuj) vengono venerati in tutta l’India e spesso, se l’apertura è sufficientemente ampia, i pellegrini vi passano attraverso per poi tornare indietro, simulando così la rinascita divina, l’entrata e il ritorno dall'utero celeste. Se le formazioni non sono presenti in natura, vengono costruite vasche triangolari all’esterno dei templi. Accanto agli altari dei templi Indù, a simboleggiare la Yoni si trovano spesso triangoli macchiati o dipinti di rosso. Talvolta la Yoni (Farj) ha al centro un fallo nero eretto, e prende allora il nome di Yoni-Lingam, simbolo dell’unione del Signore Shiva con il principio Femminile, Shakti. Altre volte, il simbolo della Yoni è posto verticalmente, in particolare quando è situato proprio di fronte ad un altare.

Nei testi mistici dell'Induismo Tantrico, il fluido della Yoni è spesso confuso con il sangue mestruale quando è chiamato “cibo-sangue”. È oggetto di grande venerazione e si dice che possieda un particolare potere magico e curativo. Il fluido dello Yoni è detto anche pushpa, fiore, perché come la fioritura dell’albero ne annuncia la capacità di dare frutti. (Shahrukh Husain, p. 96-97.)

L’essenza femminile

Nell’India del settimo secolo dopo Cristo, i testi mistici chiamati Tantra iniziarono a divulgare la nozione di Shakti, l’energia Femminile primigenia, il potere primordiale senza il quale gli Dei (in particolare Shiva) non potrebbero operare. Secondo un Tantra, “le donne sono il divino; le donne sono il soffio (in arabo Nafs) vitale”. Per la prima volta dall'affermazione dei sistemi religiosi Indoeuropei, incentrati sul maschile, veniva riaffermata la supremazia della Divinità Femminile. Tuttavia, dagli albori dell’invasione Indoeuropea, l'India fu interessata dalla sovrapposizione fra i tratti culturali della tradizione indigena e i caratteri importati dagli invasori Indoeuropei: se i contenuti fondamentali della religione dei Veda, fondata sull'adorazione di un pantheon di Divinità maschili sono di chiara matrice Indoeuropea, al sostrato etnico indigeno sarebbero da attribuire, la riaffermazione del culto della Dea Madre, la quale andrà a costituire la tradizione ascetica dell'Induismo classico e dello Yoga in particolare.

Secondo la visione Tantrica, la Shakti scaturisce dalla forza universale principale o Grande Potere, chiamata Mahakali, la Grande Kali. Essa comprende in sé il cosmo, incluse le Divinità. Una comune raffigurazione mostra Shiva seduto sul suo teschio, Vishnu al seno e Brahma all’altezza della vulva. Oltre a sostenere che la Dea è l’energia universale dell’essere, che attiva e protegge le Divinità maschili con la sua forza prodigiosa, molti Tantra la chiamano anche Mahavidya, la Grande Saggezza.

Sempre più le donne si sono rivolte a Shakti come forza Femminile positiva e potente, da emulare e acquisire. Tra le rappresentazioni di Shakti, personificata soprattutto da Kali, le più note sono forse quelle relative alla supremazia sessuale: vorticando nella sua danza di distruzione, la Dea tiene un piede sul petto di Shiva, suo marito, oppure porta il corpo di questi all’estasi sessuale. Il testo sacro del Kalika Purana è costellato di racconti fantastici sui combattimenti sessuali col il suo sposo; questo mette in evidenza quanto la dea apprezzi i giochi erotici e come sia determinata nell’affermare la propria volontà in tale ambito. La sua vulva, o Yoni, o Farj, è venerata dagli Shakta (i devoti della Shakti) come il Grande Utero.. . .  

Sebbene sia raffigurata spesso come assetata di sangue, nella personalità e nell’aspetto esteriore, Kali non compie mai azioni gratuitamente distruttive: al contrario, il fine delle sue manifestazioni più spaventose è l’annientamento delle forze demoniache prima che queste compromettano l'ordine cosmico. Come simbolo dell’assunzione del potere da parte delle donne, Kali costituisce perciò il perfetto esempio dell’equilibrio Femminile: potente, attiva e decisa piuttosto che vanamente aggressiva. Restituisce così alle donne le tre qualità storicamente negate loro nella maggior parte delle culture: forza (sia morale sia fisica), intelligenza, sapere e predominio sessuale. (Shahrukh Husain, p. 156-157)

L’artista Musulmano Maqbul Fida Husain (nacque nel 1915), noto come M F Husain, è il più conosciuto artista contemporaneo dell’India. Dipinse molti ritratti di Sarasvati, Durga e Lakshmi come tributo a sua madre che morì quando lui era ancora adolescente. Ha recentemente diretto il film Gaja Gamini per celebrare la bellezza della Femminilità Indiana, l’Eterno Femminile Shakti ed il suo potere penetrante in tutta l’esistenza umana. Un’artista donna Pakistana-Americana, Shahzia Sikander, ha sintetizzato l’immagine Femminile dell’Asia Meridionale, in un simbolo unico costituito sia dalla donna Musulmana velata, sia dalle Dee Kali o Durga. Soffermandosi sui suoi dipinti della Dea Shakti dichiarò: “Sono interessata all’identità Femminile multidimensionale. La Dea potrebbe essere una figura di potere. I miei ritratti alludono all’acquisizione del potere Femminile definitivo e al lato oscuro del suo ottenimento…”

Più di un Musulmano ha contributo allo Shaktismo: l’Algerino DJ Cheb i Sabbah produsse un album di canti sacri Indiani intitolato Shri Durga, un’invocazione all'Utero Cosmico, il “Jagad Yoni”. Gli spettacoli condotti dai cantanti e dai musicisti Musulmani di cultura Indiana quali Ustad Salamat Ali Khan, Ustad Sultan Khan, Ustad Sharafat Ali Khan, Shafqat Ali Khan, Sukhawat Ali Khan, Ustad Habib Khan, Aziz Herawi e Ustad Tari Khan sono creazioni artistiche di amore in onore alla Madre Divina. Non è senza significato la somiglianza tra il nome Kali-Ma (Madre Nera) e la Kalima, cioè l'attestazione di fede Islamica nell'Unico Dio, Allah Wahid.

                                                   Matematica della Shakti

Quando scriviamo Shakti con le lettere dell’alfabeto arabo, otteniamo un valore numerico pari a 730. (Shîn=300, kâf=20, ’=400, ’=10.) È illuminante confrontare il termine shakti con le altre parale arabe che totalizzano 730:

dhakî 'intelligente — questa parola proviene da una radice il cui significato è ardere sul fuoco; Shakti è il Potere che infonde energia all’Intelletto.

dhalla 'essere modesto, umile' — la natura Femminile è relegata ad uno status di modestia e umiltà nei sistemi patriarcali.

kathîr 'abbondante' — il Supremo Femminile è Infinito, il Divino Omnipossibile, la Grande Madre che produce tutte le cose copiosamente.

khalaqa 'creare'Shakti è il Potere che genera tutta la creazione.

khalîs 'puro' — similmente al Potere Divino, Shakti è ugualmente pura e santa.

ladhdha 'essere dolce, piacevole, deliziosa'Shakti infonde delizia trascendentale e godimento ai Suoi innamorati.

nafakha 'respirare' — dalla respirazione yogica è attinto il prâna Kundalinî, una forma di kundalini -Shakti. (Vedere Kundalini: The Energy of the Depths di Lilian Silburn, p. 64)


Bibliografia

http://old.fatima.org/it/itdesecpic.htm (Immagini televisive della dissacrazione Indù a Fatima, Portogallo)

http://old.fatima.org/it/itdesecrep.htm (Scene di una Dissacrazione a Fatima, Portogallo)

http://old.fatima.org/it/itpr112703.htm (Il Santuario di Fatima diventerà un centro "interconfessionale?)

Joseph Campbell e Charles Mu"nés, I nomi della Dea: il femminile nella divinità, Roma, Ubaldini, 1992.

Omraam Aivanhov, La Nuova Terra, Edizioni Prosveta.

Elmore Wilber Theodore, Dravidian gods in modern Hinduism, New Delhi: Asian educational services, 1984.

Bayly Susan, Saints, goddesses and kings : Muslims and Christians in South Indian society: 1700-1900, Cambridge University press, 1989.

Omraam Aivanhov, le rivelazioni del fuoco e dell’acqua, Edizioni Prosveta.

Mookerjee Ajit, Kali: la Dea della forza femminile, Como, Red, 1990.

Shahrukh Husain, La Dea, Creazione, fertilità e abbondanza, la sovranità della donna, miti e archetipi, EDT, Torino, 1999.

Roy Asim, The Islamic Syncretistic Tradition of Bengal. Princeton, 1983.

http://www.vishvarupa.com/shakti.html

Penkalai Katalikkiren, Muslim Responses to Shakti Goddess.  


 

Cortesia del sito:

http://www.tradizionesacra.it/religione_comparata_islam_e_induismo.htm