Articoli di Dharma

 

IL RICHIAMO DELL’INFINITO
(Call of the Infinite)
Di John Paraskevopoulos

(traduzione dall’Inglese di Michela Del Re )
(per conto del Centro Chan Nirvana)
 

 

 
    home page      traduzioni di Dharma      articoli di Aliberth      testimonianze      maestro Zenmar      eventi      photogallery      news      link         
 

 

(Questo libro è dedicato a mia madre, Nicoleta, per il suo coraggio stimolante

di fronte ad un’apparente disperazione e per la inaspettata gentilezza così tanto manifestata

visto che la vita le ha concesso così poco…- John Paraskevopoulos)

 

 

 

CENTRO CHAN NIRVANA - ROMA

 

 

 

IL RICHIAMO dell’INFINITO

(CALL OF THE INFINITE - The Way of Shin Buddhism)

di John Paraskevopoulos - (Per gentile concessione dell’Autore)

Trad. di Michela Del Re – Revisione di Alberto Mengoni (Aliberth) per il Centro Nirvana

First published in USA by SOPHIA PERENNIS San Rafae1 CA

© John Paraskevopoulos 2009 All rights reserved

 

PRESENTAZIONE

‘Questo libro tratta delle grandi domande dell'esistenza umana, quali: “Chi sono io? Cosa sto a fare qui? Dove sto andando? Come posso vivere la mia vita al massimo, con la saggezza di sapere come vanno veramente le cose e con compassione per tutti gli esseri?” Ed inoltre, il libro porterà il lettore alla scoperta di risposte dal punto di vista del Sentiero del buddhismo Shin. Questo è un lavoro utile per questi tempi difficili, con una fresca visione e un messaggio per la nostra ‘società globale' del ventunesimo secolo’. [Prof. Ruben LF Habito, Capo degli Insegnanti, Zen Center di Dallas M. Kannon,  autore di Experiencing Buddhism: Wzys of Wisdom and Compassion”].

‘Seguendo il modello di diagnosi e trattati della tradizione buddhista, ‘Call of the Infinite’ dimostra le perplessità della moderna condizione umana ed offre gli insegnamenti del buddhismo Shin come una plausibile, anzi potente, risposta. Le normali presentazioni della pratica buddhista, come impersonale processo di strappar via la nostra natura umana, sono esposte come limitate, e l'autore estrae le ricche, emotive, risorse estetiche e spirituali della tradizione della Terra Pura, dal profondo del cuore del Mahayana, consentendo ad esse di parlare chiaramente ed in modo efficace al contemporaneo ricercatore spirituale. Davvero un bel libro’. [Dr. Wendy Dossett, Direttore del Cenere, “Esperienze religiose di ricerca, Università del Galles, Lampeter.]

'Questa accessibile, elegante e penetrante interpretazione degli insegnamenti essenziali del buddhismo Shin è una significativa aggiunta all’esile corpo degli scritti Occidentali, in un ramo non troppo noto della tradizione buddhista. Lucido e talora provocatorio, questo libro è un invito all’esperienza spiritua-le profonda che può essere trovata attraverso i metodi – testati nel tempo – disponibili per qualsiasi sincero praticante della Via’. [Prof. Harry Oldmeadow, La Trobe University, Bendigo, autore di Journeys East: 20th Century Western Encounters with Eastern Religious 'Tradiriom'].

'Questa presentazione degli insegnamenti buddhisti Shin porta gli interessi spirituali universali, in una via che lascia i lettori rassicurati e vogliosi di saperne di più. Lo scritto di Paraskevopoulos è luminoso e rilassante, come se si stesse leggendo una poesia. Come pioniere del buddhismo Shin in Australia, egli offre nuove intuizioni raramente viste in Giappone. In particolare, è assai ispirante il suo modo di comparare il valore della bellezza alla nostra vita spirituale'. [Prof. Kenneth K. Tanaka, Musashino University, Tokyo, Presidente, lnternational Association of Shin Buddhist Studies, autore di ‘Ocean: An Introduction di Jodo Shinshu Buddhism in America’].

Paraskevopoulos ha ponderato con schiettezza il pensiero di Shinran e ha scritto un’eloquente spunto meditativo su questioni che sorgono in un impegno contemporaneo con il Sentiero della Terra Pura. Attingendo alla vasta e generosa gamma delle fonti tradizionali, egli esplora le implicazioni pratiche della sfida del buddhismo Shin alle moderne concezioni del sé'. [Prof. Oennis Hirota, Ryukoku University, Kyoto, co-autore di ‘Shinran: Introduzione al suo Pensiero’].

'Questo splendido libro risulta esaltante, stimolante, accurato, autentico e positivo. La consapevole autorità dell’opera, ‘Call of the Infinite’ esemplifica la dimensione affermativa del buddhismo, il quale rivela che il Buddha è sempre presente e beneficia sempre il ‘Grande Sé’ - in contrasto con una forma di negativismo senza gioia, che comunemente usurpa il nome di buddhismo. Raccomandato senza riserve e in modo totale'. [Tony Page, Bangkok University, Redattore del Mahaparinirvana Mahayana Sutra.]


 




 

INDICE

 

Ringraziamenti

Prefazione

Capitolo I       –  Sofferenza e desiderio

Capitolo  II     – Luce Infinita

Capitolo III     ­­- Risvegliarsi al reale

Capitolo IV     - Gioia tra le ombre

Epilogo

Riferimenti e Ulteriori letture


 

RINGRAZIAMENTI
L'autore desidera esprimere il suo apprezzamento per l’assistenza ricevuta dalle seguenti persone. Un profondo debito di gratitudine si deve al Reverendo George Gatenby per il suo saggio consiglio e un costante incoraggiamento durante la preparazione di questo lavoro. Molti ringraziamenti si devono anche alla signora Rosemary Moore ed al professor Harry Oldmeadow per il loro prezioso contributo e per i suggerimenti editoriali che hanno considerevolmente contribuito a migliorare questo lavoro, così come il Reverendo Dr. Mark Healsmith e Mr. Graham Ranft per i loro commenti molto utili. Vorrei anche esprimere il mio debito verso l'Associazione Internazionale per la Cultura buddhista in Kyoto per la  sua generosa offerta che ha permesso la pubblicazione.

L'opportunità di scrivere questo libro in Giappone è stato resa possibile dalla Onorificenza della Fondazione Numata tra Settembre e Dicembre 2008.

L'autore desidera ringraziare la Fondazione Numata per il munifico sostegno  

ed il Professore Mitsuya Dake della Ryukoku University per la sua gentile assistenza durante il periodo suddetto.


PREFAZIONE

 

Per coloro che sono pronti, la porta per lo stato senza morte è aperta,

Voi che avete orecchie, abbandonate la condizione che vi acceca ed entrate –

                                                                                                                  (Majjhima Nikaya)

                                                                      

Il seguente lavoro presenta ai lettori alcuni dei principali temi del buddhismo Shin,  che appartiene alla più ampia tradizione del Mahayana  della Terra Pura. E’ la più grande scuola del buddhismo al giorno d’oggi nel Giappone, dove è conosciuta come Jodo Shin. Il suo fondatore fu Shinran (1173-1263), un pensatore innovativo e coraggioso che dette una speranza alle persone ordinarie facendo in modo che gli insegnamenti del Buddha fossero immediatamente  rilevanti per le loro vite.

Questo libro si rivolge al lettore generico  che ha un interesse per le questioni spirituali, come pure per una visione filosofica della vita. Abbiamo comunque evitato per quanto possibile i termini tecnici ed usato un linguaggio semplice e accessibile. Non si ritiene obbligatoria una conoscenza preliminare del buddhismo e alla fine del testo vengono indicate ulteriori letture per chi desidera esplorare questi insegnamenti più in profondità. Sotto questo aspetto, questo libro non è un lavoro di erudizione, ma piuttosto un contemplativo e devozionale studio di ciò che è al cuore di questa importante tradizione buddhista. Esso cerca di fornire un’interpretazione, piuttosto che una mera analisi.

Cercando di comunicare il senso di come lo Shin può essere significativo per le persone che vivono al giorno d’oggi, vogliamo anche presentare una visione del buddhismo che per alcuni lettori può non essere familiare. Vale a dire, non la severa e proibitiva religione che molti potrebbero supporre, ma, piuttosto, un gioioso viaggio pieno di luce – un’avventura dello spirito che rappresenta una sfida, ma che però ci arricchisce.

    Body day,  2008                                                                                    J. P. KYOYO


 

 

Capitolo I

 

SOFFERENZA e DESIDERIO

 

       Il bocciolo che si apre all’alba viene sparpagliato dalla brezza del mattino, e la rugiada, che si è condensata nelle ore di oscurità prima dell’alba, è dissipata dai raggi del sole del mattino. Noncuranti, o deliberatamente ignari di questa sequenza di trasformazioni, noi sogniamo la prosperità per tutta la vita, e, senza comprendere la natura della transitorietà, desideriamo la longevità. Nel frattempo, la faccia della terra è attraversata senza posa dal vento dell’impermanenza, che dissolve tutto ciò che tocca.

                                                                                                       Honen

 

Se consideriamo il problema in profondità, è difficile evitare la conclusione che la nostra vita in questo mondo sia un profondo mistero. In verità, a seconda del tipo di persona che si è, e del tipo di vita che si è condotta, essa può essere meravigliosa, gratificante, oppure piena di ansie, miserabile, o oggetto di indifferenza. Indipendentemente dal nostro atteggiamento nei confronti della vita, resta qualcosa di fondamentalmente inspiegabile nella nostra situazione individuale nel mondo. Non abbiamo nulla da dire nulla su chi siano i nostri genitori o sulle condizioni in cui siamo nati. Neanche possiamo fare molto circa le nostre doti naturali. La varietà dell’indole umana e delle nostre attudini è infinita, così come infinite sono le circostanze che influenzano i nostri incerti destini.

Probabilmente, una persona riflessiva sarà portata a porsi domande indagatorie sulla propria vita, con lo scopo di comprenderne il significato. Perché siamo qui? Le nostre vite hanno uno scopo? Avrebbe importanza se non lo avessero? Quali dovrebbero essere le nostre priorità nel brevissimo tempo che abbiamo su questo pianeta? Naturalmente, molte persone trovano una qualche misura di soddisfazione nel tirar su una famiglia, seguire una particolare carriera o una vocazione creativa, innamorarsi, aiutare gli altri e via di seguito. Questi sono tentativi nobili e significativi che possono arricchire la nostra vita.

Eppure, nonostante i vari tentativi di cercare soddisfazione, spesso ci sentiamo delusi. O ci dobbiamo confrontare con insormontabili ostacoli nel perseguire le nostre mète, oppure sentiamo che il grado di soddisfazione che speravamo non viene mai realizzato. In altre parole, le nostre aspettative iniziali raramente sono soddisfatte, così ci sentiamo abbattuti. Quando la vita non riesce a soddisfare le nostre ambizioni e i nostri desideri, noi soffriamo. Soffriamo quando le cose non vanno come noi vorremmo, o cambiano improvvisamente, come ci succede nelle nostre relazioni, o nelle questioni di salute o sicurezza finanziaria. Soffriamo anche quando dobbiamo sopportare la violenza, la crudeltà, l’avidità, il pregiudizio, la disonesta o l’ignoranza nel mondo.

Noi non abbiamo deliberatamente stabilito di iniziare questo libro con una nota pessimistica, ma si vuole, fin dall’inizio, riconoscere un fondamentale, evidente e inevitabile fatto riguardo alla condizione umana. A questa realizzazione 2500 anni fa arrivò il Buddha storico, (noto anche come Shakyamuni – “il saggio del Clan Shakya”), il quale ritenne questa intuizione così importante da farne il fondamento del suo insegnamento. Perché lo fece? Perché concentrarsi sugli aspetti negativi della vita? Perché capì che venire a patti con la sofferenza, il disappunto e l’angoscia era essenziale per scoprire il suo implicito significato. Aiutandoci a riconoscere le implicazioni nel considerare la vita insoddisfacente (uno stato di malattia) Shakyamuni potè poi spiegare il suo più positivo pensiero circa la saggezza, la compassione, l’illuminazione ed il Nirvana.

Nonostante la natura onnipervasiva dell’impermanenza nel nostro mondo, l’ego umano trova molto difficile accettarlo. Niente sembra essere più naturale dello stato di flusso costante in cui tutte le cose si trovano. Esse, come afferma il Sutra del Diamante, sono “come sogni, illusioni, bolle di sapone, ombre, gocce di rugiada o bagliori di un lampo”. Eppure noi invariabilmente tentiamo di resistere a questa verità cercando di fare in modo che gli oggetti dei nostri desideri durino in un modo che non è possibile: questa è ancora un’altra causa di sofferenza.

E’ anche naturale per noi sviluppare attaccamenti a persone, animali, possedimenti e modi di vita. Noi vogliamo trattenere queste cose che amiamo e che apprezziamo, e vogliamo allontanare le forze che cercano di privarcene. Tuttavia la malattia, la morte e la calamità non sono mai lontane e, anche se finora siamo stati risparmiati dalle loro devastazioni, la paura che esse si avvicinino è in se stessa fonte di acuta ansietà.

Questo ci porta ad un altro fatto che riguarda la condizione umana. Essa è fragile e delicata. Noi, di conseguenza, ci troviamo a cercare modi per sentirci sicuri e per fare scudo alle nostre vulnerabilità. Siamo inoltre assediati da timori e apprensioni, dato che gli spettri della vecchiaia, della morte e dell’oblio incombono sopra di noi, anche se questo non è sempre consapevolmente riconosciuto. Desideriamo ciò che non abbiamo, e inoltre temiamo di perdere le cose una volta che le abbiamo ottenute, solo per scoprire che esse non sono in grado di darci l’appagamento al quale aneliamo così disperatamente.

Una delle scritture fondamentali del buddhismo Shin è il Sutra del Buddha della Vita Infinita [i].  In esso, troviamo un vivido resoconto dello stato incerto dell’umanità:

‘Le persone del mondo, essendo debole in virtù, si impegnano in lotte su questioni che non sono importanti. Nelle nebbie di un’abietta malevolenza ed estrema afflizione, si affannano dolorosamente per la loro vita. Nobili o corrotti, ricchi o poveri, giovani o vecchi, maschi o femmine, tutti si curano e si preoccupano delle proprietà e delle ricchezze. In questo, non c’è differenza tra ricchi e poveri, tutti hanno le loro ansie. Gemendo nello sconforto e nel dolore, accumulano pensieri di angoscia o, spinti da intime pressioni, si aggirano selvaggiamente in ogni direzione, non hanno tempo per la pace e il riposo…….

Un dolore lancinante li affligge e tormenta incessantemente i loro cuori. L’angoscia si impadronisce delle loro menti, li tiene in continua agitazione, stringendo sempre più la sua morsa, indurisce i loro cuori e non li lascia mai …. essi bevono amarezza e si nutrono di avversità....

Quando le loro vite finiscono in questa condizione agonizzante, devono lasciare dietro di sé ogni persona ed ogni cosa. Perfino i nobili e i ricchi hanno queste preoccupazioni. Con tante ansie e paure, sopportano queste tribolazioni. Fra desideri mondani ed attaccamenti, uno va e viene da solo, nasce solo e muore solo…..’

La realtà di nascita e morte è tale che il dolore della separazione è sentito reciprocamente da tutte le generazioni. I genitori piangono la morte dei loro figli, i figli piangono la morte dei loro genitori. Fratelli, sorelle, mariti e mogli lamentano la morte l’uno dell’altro. Secondo la fondamentale legge dell’impermanenza, la morte sia che arrivi a causa della vecchiaia, o all’improvviso, è imprevedibile. Tutte le cose passano, nulla rimane per sempre. Pochi credono in questo, sebbene ci sia qualcuno che dia loro insegnamenti e li ammonisca….

A causa del fatto che sono profondamente affannate e confuse, le persone si abbandonano alle loro passioni. Ognuno è indaffarato senza tregua, non avendo nulla su cui fare affidamento. Virtuosi o corrotti, di alto o basso rango, ricchi o poveri, poveri o umili, tutti sono immersi nei loro interessi. Essi concepiscono pensieri avvelenati, creando una lugubre e diffusa atmosfera di malevolenza…..

Le persone sono deluse dai loro ardenti attaccamenti, inconsapevoli della Via, fuorviati ed intrappolati dalla rabbia e dall’inimicizia, dediti ad accumulare ricchezze ed a soddisfare i loro desideri carnali come lupi. Come è miserabile e penoso tutto ciò!’

La sofferenza è insita anche nelle nostre esperienze di piacere. Shakyamuni osservò che, nonostante il nostro inseguire senza posa di tutte le cose piacevoli e desiderabili, la realtà dell’impermanenza comporta che esse non sempre rimangono tali, e, con il loro svanire, soffriamo per la perdita di quei piaceri che ci hanno reso felici. Noi avvertiamo una sensazione di scontento anche quando riusciamo a ottenere ciò che pensavamo di desiderare. Fu per questa buona ragione che Shakyamuni disse ripetutamente che non c’erano piaceri duraturi nella “casa che brucia”, come egli descrisse il nostro mondo di infinite smanie e frustrazioni. Shakyamuni ci aiuta a capire cosa significhi soffrire, nonché a realizzare quanto precarie e instabili siano in realtà le nostre vite. Così, alla luce di queste delusioni nella ricerca spasmodica della soddisfazione, cosa può insegnarci l’impermanenza? Cosa significa essere appagati e felici?

Esaminiamo ora più da vicino la nostra vera risposta umana alla sofferenza, e la realtà della nostra travagliata esistenza. Abbiamo già accennato a sentimenti come paura, disperazione e vulnerabilità. Queste reazioni sono familiari a tutti noi anche se non ci preoccupiamo di riconoscerle in noi stessi. Se guardiamo un po’ più in profondità, scopriamo anche che, nel nostro più intimo essere, c’è un intenso desiderio per ciò che è stabile, certo, affidabile e libero dalla sofferenza.

Di sicuro, il mondo non ci dà esempi immediati di ciò che potrebbe corrispondere a questi criteri, ma rimane il fatto che noi in ogni modo desideriamo queste qualità. Poiché non appena pensiamo di aver trovato la felicità, essa subito ci viene portata via – talvolta gradualmente ed impercettibilmente, talvolta violentemente. Eppure il nostro desiderio per tutto ciò che non sia fuggevole e caduco resta inalterato. Persistiamo, nonostante l’apparente e schiacciante prova contraria, in questo struggente desiderio per qualcosa che sia immutabile.

Questo provoca una strana e sconcertante situazione, tipica dell’esperienza degli esseri umani. Perché dovremmo aspirare a qualcosa di cui la nostra esperienza del mondo ci dice che non esiste? Ma, almeno, stiamo guardando nel posto giusto?

L’innato desiderio (in realtà, l’insistenza) dei bambini di vedere le favole concludersi con il finale lieto è molto significativo. Perché questa aspettativa, dato che molti bambini già sanno com’è la realtà della vita? Le persone si sentono spesso in imbarazzo nell’ammettere questo tipo di desiderio, poiché temono che ciò le esporrebbe al ridicolo dei loro simili, facendoli apparire semplici o ingenui, ma è importante superare queste inibizioni e seguire le direttive, ovunque esse ci conducano.

Prendiamo il caso dell’amore e del desiderio in generale. Sembra che per essi noi si abbia un’illimitata capacità. Nonostante gli infiniti contrattempi e le delusioni che incontriamo nelle nostre aspirazioni o ambizioni, la nostra fondamentale capacità di amare e desiderare rimane, praticamente, ineguagliata.  Cosa significa questo? Indica forse un aspetto della nostra natura che richiede una risposta del tutto diversa? Oppure, siamo destinati all’eventualità che il nostro innato bisogno d’amore rimanga sempre  insoddisfatto? Può l’insaziabile natura del desiderio essere mai attenuata?

Come la nostra esperienza della fame e della sete, questa viscerale bramosia che è nella profondità del nostro essere suggerisce l’esistenza di qualcosa che sia in grado di soddisfarla, e di rispondere all’esigenza che queste potenti emozioni suscitano. Naturalmente, a differenza di fame e sete, questa basilare necessità del cuore umano non è un bisogno fisico, e quindi i suoi oggetti sembrano essere sfuggenti ed incerti. Tuttavia, proprio come le essenziali esigenze del nostro corpo, questo desiderio che avvertiamo costantemente (sebbene rimanga indefinito) indica un bisogno reale che può essere soddisfatto solamente da ciò che è duraturo e costante, che sia degno della profondità e della natura irresistibile di questo intrinseco desiderio.

A meno che non si sia pronti a credere che questo bisogno vitale che abbiamo sia una qualche specie di illusione, dobbiamo seriamente considerare se il nostro infaticabile inseguimento di piaceri effimeri possa essere fuorviante. Ciò potrebbe, infatti, indicare un tipo di desiderio più profondo, - di natura spirituale, che può essere soddisfatto solo in altri modi.

Ovviamente, cercare i nostri piaceri e le gioie ordinarie nel mondo è una cosa perfettamente normale e, spesso, gratificante. Tuttavia, con il loro superamento, noi rimaniamo con un vago ed inquietante senso di sconforto, come se una primaria promessa non fosse stata mantenuta, o come se qualcosa fosse rimasto in sospeso e noi continuamo ad aspettare. Questa sottile ma intensa sensazione ci fa rodere dentro, e ci rammenta che stiamo trascurando qualcosa di importante, - in realtà, essenziale - per il nostro benessere. Cosa potrebbe essere? Come può una cosa così tanto oscura essere così significativa?

I nostri innumerevoli e svariati atteggiamenti verso le cose del mondo rendono molto difficile notare qualcosa di diverso da ciò che possiamo vedere, toccare, udire, gustare e odorare. Per molti di noi, questo è tutto ciò che è reale e parlare di qualche altra cosa è assurdo. Questo è comprensibile, fino a un certo punto, ma difetta nel riconoscere la dimensione intangibile del nostro essere. La vividezza e l’intensità della nostra vita fisica può spesso renderci ciechi alla coscienza di altre esperienze che potrebbero fornire la chiave per la comprensione di questo profondo desiderio che avvertiamo.          

Si potrebbe essere tentati di porre fine ad ogni discorso sul “desiderio struggente” e “anelito” come la costruzione di un carattere eccessivamente emotivo o iper-sensibile. Rimane comunque il fatto che non riusciamo, se siamo totalmente sinceri con noi stessi – ad eliminare facilmente il senso di vuoto che segue il nostro disperato aggrapparsi a quei falsi sostituti, che talvolta riescono a darci una certa soddisfazione. Questi potrebbero includere, ad esempio, maggiore ricchezza, una prestigiosa carriera, un nuovo amore, una bella casa o una più elevata posizione sociale. Tali obiettivi non devono essere eliminati in quanto sbagliati, noi dobbiamo solo riconoscere chiaramente la loro limitata capacità di  procurare una soddisfazione durevole.

Abbiamo parlato prima della vasta diffusione della sofferenza nel mondo. Il solo assistere a mezz’ora di notizie ogni sera dovrebbe bastare per aver ragione su questo punto, senza bisogno di ulteriori ragionamenti. Anche se le nostre vite sembrano per lo più scevre di vera sofferenza, nondimeno non possiamo riconoscere che le vite di molti altri sono rovinate da miserie ed orrori, e questo stesso destino potrebbe colpire noi stessi in un batter d’occhio.

Noi viviamo in condizioni contrassegnate dall’incertezza e dal costante cambiamento, dove non solo l’ambiente circostante, ma anche i nostri corpi e le menti mutano in continuazione, con conseguenze largamente imprevedibili sulla nostra salute, sui nostri piani e sulle nostre speranze. E questo è fonte di grande trepidazione nella nostra vita, nulla sembra essere così solido, sicuro e affidabile come ci piacerebbe che fosse.

Anche coloro per cui proviamo il più grande amore e il più profondo affetto, o che si sono mostrati essere gli amici più vicini e fedeli, un giorno moriranno. Non possiamo fare nulla per trattenerli o per rimandare l’amara tristezza della loro dipartita. Forse questa affermazione è ovvia, ma spesso noi ci dimentichiamo di queste verità basilari finché esse – in modo improvviso, inaspettato e scioccante – ci colpiscono duramente in faccia, come a risvegliarci da un sogno.

Molti credono che il dolore e la sofferenza non abbiano un particolare significato: che semplicemente siano solo realtà indesiderate, e che si dovrebbe fare del nostro meglio per evitarle. Naturalmente, il nostro dovere è di ridurre la quantità di angoscia e disagio che c’è nel mondo, sebbene questo non sia sempre possibile nonostante i nostri sforzi. Detto ciò, comunque, la visione prevalente è che non vi sia un vero significato così profondo alle difficili prove della vita, che esse siano solo un brutale fatto dell’esistenza che noi dobbiamo accettare, insieme alle occasioni piacevoli e felici della nostra vita.

Forse c’è un altro modo di guardare al problema. Sebbene all’inizio possa sembrare strano, dobbiamo considerare la possibilità che l’avversità, la sfortuna e la tragedie possano essere insegnamenti molto importanti. Ciò che ci insegnano è che il mondo quotidiano, con i suoi limiti, i piaceri fugaci e le false speranze è, in definitiva, insoddisfacente, e non dovrebbe essere l’oggetto delle nostre più profonde aspirazioni. In altre parole, dovremmo invece riporre la nostra fiducia in ciò che si trova oltre il reame rischioso e insicuro del nostro mondo evanescente. Questo non è un qualche pretesto di evasione per sfuggire ai nostri doveri ed alle nostre responsabilità nella vita, semplicemente significa che noi non dovremmo guardare al mondo, - la “casa in fiamme”, come nostro rifugio ultimo.

E’ come se la nostra acuta consapevolezza della sofferenza e dell’infelicità ci costringesse a guardare altrove per la sua soluzione. Il nostro incommensurabile desiderio per la stabilità, la permanenza e la certezza non è, quindi, una malinconica chimera. Suggerisce qualcosa di reale e di essenziale che il mondo non è in grado di fornire. Questa impalpabile sensazione di desiderio che avvertiamo è un forte e potente segnale del nostro se’ più profondo, e si tratta di un bisogno che può, e deve essere soddisfatto se vogliamo vivere le nostre vite alla loro massima potenzialità. Quindi il  completamento di questo desiderio deve trovarsi in una dimensione del tutto diversa dalle situazioni quotidiane della vita ordinaria. Come possiamo comprendere questa misteriosa realtà che è stata indicata come la meta finale della nostra ricerca? Di cosa, esattamente, stiamo parlando?

Quando in noi si fa strada l’idea che le cose finite di questo mondo non sono proprio paragonabili ai nostri più profondi desideri, siamo pronti a considerare il fatto che ciò che in realtà stiamo cercando è qualcosa che non ha limiti, che non reca con sé dolore, carenze o imperfezioni, una realtà che non sia macchiata dai difetti dell’esistenza mondana. In altre parole, ciò che stiamo cercando è l’Infinito, qualcosa che si possa ritrovare nel finito, al cuore di tutte le cose, ma che vada oltre le stesse cose. Se riusciamo a guardare con chiarezza nel nostro essere profondo, possiamo vedere che siamo legati in maniera indistricabile con l’Infinito, e, attraverso il contatto con esso, possiamo raggiungere quel tipo di profonda soddisfazione che nella nostra vita ci sfugge in maniera così dolorosa.

Data la difficoltà di comprendere una tale cosa, in apparenza così strana e remota, è facile essere scettici ed allontanare queste intuizioni come un inganno della mente. Tuttavia, ci sono situazioni in cui sarebbe bene interrogarci su questo nostro scetticismo. La consapevolezza di qualcosa di divino e misterioso che è al cuore dell’esistenza, è un’esperienza suprema di coloro che seguono la grande tradizione spirituale nel mondo e, salvo che non si sia disposti a credere che centinaia di milioni di persone nell’arco della storia che hanno creduto in una realtà superiore siano bugiarde, e illuse senza speranza, allora dobbiamo prendere sul serio tali rivendicazioni e riflettere sulle loro implicazioni. Pure il buddhismo sostiene una simile realtà, ma la affronta in uno suo modo specifico, come potremo scoprire più avanti.

Ovviamente, l’esistenza di una realtà infinità ed eterna è stata a lungo discussa da molti pensatori, i quali affermano che non ne esiste alcuna prova. Invero, non si può dimostrare la sua esistenza, nel modo stesso in cui gli oggetti del mondo ci appaiono come reali. Essa è, in un certo senso, troppo vicina a noi, ed è necessario adottare un diverso modo di vedere, per poter afferrare la sua presenza. Ciò detto, la prova più convincente è di poter avere un’esperienza diretta e immediata di questa realtà, in se stessi.

Le testimonianze di coloro che hanno incontrato l’Infinito rivela che la potenza di questa esperienza è tale che ne costituisce in sé la prova, porta con sé un senso di convincimento totale che è impossibile da mettere in dubbio. Un genitore che alla domanda “Ami tuo figlio?” risponda, “Si, assolutamente”, può a mala pena aggiungere qualcosa a questa risposta, se sfidato a provare che la sua affermazione sia vera. Talora nella vita, la forza di certe intuizioni o sensazioni è così grande che non si ammettono dubbi. In verità, l’autenticità di ciò che si sente è spesso più convincente di tante questioni cosiddette “veritiere”  che riguardano il mondo.

Nondimeno, noi dobbiamo mantenere un saldo controllo sulle nostre capacità critiche e rimanere vigili riguardo ad esperienze che, ad una ulteriore riflessione, potrebbero rivelarsi false e ingannevoli. Dovremmo sempre mantenere una mente aperta e non smettere mai di applicare il più alto livello di rigore ed onestà intellettuale, ove applicabile. Dobbiamo anche assicurarci che le nostre credenze e le nostre azioni non opprimano o causino danno agli altri. Non  mancano esempi - soprattutto nel mondo religioso - di modi di pensare fondamentalisti basati non tanto sulla consapevolezza intuitiva di ciò che è spiritualmente profondo, quanto sulla necessità di sostenere una ideologia estremista o dare credito ad un insieme di pregiudizi altamente dannosi.

Naturalmente, ciascuno deve risolvere la questione da solo, ma nel far questo, è cruciale che non si venga sviati da considerazioni superficiali che ci rendono ciechi dinanzi alla soverchiante evidenza della grande tradizione spirituale dell’umanità ed ai nostri istinti più profondi.

La sofferenza è inevitabile, in un mondo che è imperfetto ed impermanente. Dobbiamo accettare questo fatto e non pretendere che si possano eliminare le miserie della vita attraverso una società utopica o un continuo attivismo sociale, con la speranza di porre fine ai mali del mondo. Dovremmo, con ogni mezzo, adoperarci per eliminare il dolore e l’ingiustizia ogni volta che possiamo, ma non ci è sempre chiaro come si debba agire. Dobbiamo anche ammettere che spesso queste nobili intenzioni hanno aumentato  proprio il  male che stavano cercando di scacciare.

L’inazione o l’indifferenza, davanti alle avversità, non sono però l’opzione. Cerchiamo, comunque, di applicare delle soluzioni sociali, morali o politiche ai nostri problemi con molta umiltà, ammettendo i loro limiti e accettando l’incapacità di affrontare alle radici il fondamentale problema della sofferenza umana. Dopo tutto, non è solo la struttura del mondo che è viziata. Anche noi siamo parte integrante  di questo mondo e siamo allo stesso modo assediati da una serie di debolezze che così spesso ci impediscono di dare vita a comunità ideali di pace, di armonia e di compassione.

Per quanto molti vorrebbero opporsi a ciò, la soluzione reale al problema della sofferenza potrebbe trovarsi in un reame che, pur abbracciando questo mondo ed essendo sostanzialmente uno con esso, sia nondimeno più grande in ogni modo. Dopo tutto, che cos’è che ci rende capaci, in primo luogo, di riconoscere i difetti e le mancanze nella nostra esistenza e di volerle superare, se non la presenza, all’interno di ciascuno, di qualcosa che è senza limiti, senza ostacoli e che porti alla felicità suprema? Come possiamo elaborare un giudizio sulla natura della sofferenza e della sua indesiderabilità se non abbiamo l’idea del suo opposto, che è così profondamente intessuto nelle fibre del nostro essere? Questo fatto dovrebbe farci fermare a riflettere su come sorgono le nostre più importanti convinzioni sulla vita.

Essendo questa, quindi, la natura del mondo in cui viviamo, la sofferenza non si può sfuggire e non si può averne ragione con un qualche rimedio semplicistico. Possiamo certamente fare qualche piccola differenza qui e là, però rimane il fatto che la sofferenza è connaturata alle nostre esistenze. Ma, in certi momenti di riflessione, si può arrivare a vedere che noi non apparteniamo interamente a questo effimero mondo di insoddisfazione. Noi siamo strettamente collegati ad una realtà superiore, che sebbene impercettibile ai nostri sensi ordinari, rivela la sua presenza in modi incomprensibili quando iniziamo a risvegliarci ad essa.

Benché si possa fare poco per avere ragione sulle innumerevoli vicissitudini della vita, possiamo, con l’essere saldamente radicati su ciò che trascende questo mondo fugace, mettere la nostra sofferenza sotto osservazione. Continuiamo, insieme a tutti gli altri, a sopportare le avversità dell’esistenza, ma non ne veniamo totalmente sopraffati e divorati da esse, a patto che si sia aperti all’Eterno: in questo sta l’autentica nostra liberazione dalle catene della nostra condizione terrena.

Stiamo allora dicendo che la vera felicità non è possibile? Quando chiediamo cosa significhi la felicità, le persone danno un’ampia serie di risposte, come possiamo vedere. Nel tempo, molti finiscono pure col rivedere la loro idea di felicità, soprattutto quando la loro esperienza ha dato motivo di rivedere le basi reali del loro benessere. Si può anche arrivare alla conclusione che la felicità non sia un’articolo molto stabile, che sorge e svanisce secondo le circostanze, o lo stato mentale. Quando percepiamo ciò, siamo pronti a correre dietro a qualcos’altro – qualcosa che, si spera, non sia incostante come le altre cose che ci hanno deluso nel passato. Tali speranze, purtroppo, sono sovente vane.

Certamente, alcune occupazioni sembrano essere in se stesse più esemplari o lodevoli di altre. Pochi, forse, metterebbero la vita di un debosciato edonista allo stesso livello di quella di una infermiera  sottopagata e sfruttata che trascorre lunghe ore a prendersi cura di pazienti in un reparto di malati di cancro. Eppure fare qualcosa che è considerato più degno e lodevole di altri, non necessariamente rende una persona più felice. Forse la stessa parola “felicità” è piena di ambiguità, e dovrebbe essere meglio precisata. Alcuni possono condurre una vita soddisfacente pur se subiscono eventi sfortunati. Altri avvertono che le loro vite non hanno alcun significato, nonostante che di tanto in tanto ricevano manciate di piaceri e di gioie che aiutano a portare luce in una esistenza altrimenti incolore.

Ovviamente, ognuno vuole essere felice, ma spesso non siamo affatto sicuri di come e cosa fare per esserlo. Oggigiorno, ci viene continuamente ripetuto (invariabilmente, dalle grosse compagnie e dai loro pubblicitari) quello che ci serve per essere pienamente appagati, ma, prevedibilmente, queste promesse si rivelano false non appena ci rendiamo conto della natura ingannatrice di questi “mantra” consumistici.

In conclusione, è vero che noi non abbiamo le idee chiare sulla felicità, al punto di pensare che sia semplicemente impossibile ottenerla. Potrebbe essere così perché stiamo cercando di afferrarla come un possesso o un’acquisizione permanente. Una madre che straveda per il proprio figlio può perderlo in una tragedia – improvvisamente una vita di gioia può trasformarsi in una indicibile agonia. Una brillante pianista la cui unica gioia è quella di entusiasmare con la sua musica il pubblico potrebbe rovinare per sempre le sue mani in un incidente. E’ importante vedere che le cose che noi amiamo e a cui siamo profondamente attaccati, tutte quelle iniziative che danno uno scopo alla nostra vita, ci possono essere tolte improvvisamente, e con queste, la nostra sensazione di essere felici.

Se riflettiamo più attentamente su questi esempi, scopriamo che perfino le vite più invidiate sono gravati dai loro problemi. Quella che sembra essere l’esistenza privilegiata o fortunata di un'altro può essere rovinata dai suoi malcontenti (sebbene ben nascosti agli occhi degli altri). Forse la madre che trae tanta gioia dal proprio figlio ha un marito violento, il musicista dotato forse conduce una vita di disperata solitudine, la nostra nobile infermiera soffre di depressione, il politico carismatico è divorato da una tormentosa ambizione che non potrà mai essere appagata, una famosa celebrità può essere tormentata da un senso di inadeguatezza e di auto-disprezzo.

Gli esempi che possiamo citare sono innumerevoli, ma il punto è che la vita non è semplicemente felice o infelice. Le nostre esistenze sono intersecate da euforia o disappunto, cosa che rende molto difficile un verdetto finale sulla felicità. In ogni modo, se noi identifichiamo il nostro benessere con una vita che abbia un significato e che ci metta in contatto con qualcosa di più grande di noi stessi, qualcosa che sia inattaccabile dall’incessante e mutevole attacco degli eventi e delle emozioni di cui siamo prigionieri, allora possiamo essere più vicini a trovare ciò che stiamo cercando.

E’ questa connessione a una realtà superiore che è in grado di dare significato e direzione alle nostre vite, anche se le nostre circostanze personali non sono sempre felici. Una vita piena di significato, in contrapposizione ad una dedita al solo piacere e consumo, può essere più vicina ad incarnare il tipo di esistenza che può aiutarci a superare le limitazioni, i fallimenti e le delusioni della vita quotidiana – non negandoli o rifiutandoli, ma mettendoli decisamente in secondo piano, attraverso un superiore livello di consapevolezza.       

Le persone sembrano così strettamente coinvolte nelle cose di questo mondo - i diversi desideri e gli obiettivi che inseguiamo – che essi da soli, alla fine, non potranno mai darci una totale soddisfazione. Anche se riusciamo ad ottenere ciò che desideriamo di più nella vita, continuiamo ad avvertire che ci manca qualcosa. Soprattutto nel caso di coloro che hanno già raggiunto un qualche tipo di successo (p.e. ricchezza o fama), che il resto di noi sta ancora sforzandosi di ottenere.

Una volta che nella vita abbiamo “barrato tutte le caselle” dovremmo, prima o poi, essere colpiti dalla domanda “Cosa significa tutto questo?” Il nostro scopo è solo quello di esistere, accumulare denaro, consumare e condurre una vita agiata, mentre aspettiamo l’inevitabile apparire della morte? E’ così? Siamo qui per nessun’altra ragione se non per sopportare le nostre vite, conducendole verso la fine, mentre inseguiamo senza posa questo e quello? Ed a quale scopo?

Di sicuro, qualcuno potrebbe ribattere che noi esistiamo per sperimentare cose meravigliose come l’amore, la gentilezza e il calore umano. Ed invero, queste sono cose meravigliose, ma non sempre affidabili. L’esperienza comune è ricca di esempi di infelicità causati da amori perduti o traditi. Ovviamente, noi non ci arrendiamo perché l’amore ci ha delusi una volta, però poi scopriamo ancora che le successive relazioni non sono meno scevre di altri problemi e difficoltà.

L’appagamento che crediamo possa essere raggiunto - se continuiamo a cercarlo con perseveranza –continua sovente a sfuggirci. Tuttavia dobbiamo riconoscere che, nonostante le difficoltà, le persone trovano grande conforto nelle relazioni umane e che l’amore, la tenerezza e la fiducia che attraverso di esse sperimentiamo possono spesso portarci ad esplorare dimensioni spirituali più profonde nella nostra vita.

Non metteremo in dubbio l’impegno e la devozione per le nostre famiglie, gli amici e la comunità. In realtà, la vita sarebbe ancor più dura senza tali sentimenti di affetto e lealtà. Tuttavia, l’esistenza di fenomeni fugaci come la bellezza e l’amore – così desiderati in questa vita seppur così effimeri – suggerisce la presenza di un reame da cui essi, insieme alla verità e alla saggezza, traggono la loro vera origine.

Nel momento della sua illuminazione, Shakyamuni si risvegliò al Nirvana, uno stato di inesprimibile felicità, un’assenza di dolore. Era questa, egli dichiarò, la mèta di tutti gli sforzi umani, senza la quale le nostre vite sarebbero incomplete. Se non ci dedichiamo alla ricerca di questo bene supremo, egli disse, vivremo sempre al di sotto delle nostre possibilità, destinati ad un’esistenza insoddisfacente.

 ‘Una vita di dipendenza dal desiderio o una vita di ostentazione o vanagloria non può durare a lungo. Tutto finisce… E’ tempo per tutti di cercare la liberazione dai dolori della nascita, della morte, della vecchiaia e della malattia. Le conseguenze della malvagità e della corruzione sono dappertutto, e non c’è nulla in cui si può trovare la vera gioia

                                                 (Sutra del Buddha della Vita Infinita)  

Sentimenti potenti, potreste pensare, e tali da provocare una tagliente reazione da parte di coloro che ritengono che le loro vite siano perfettamente a posto, anche se non perfette, senza bisogno di cercare un’esperienza così inaccessibile e apparentemente poco plausibile.

Infatti, è naturale, ad un certo livello, sentire che ciò che incontriamo nella nostra vita quotidiana sia tutto ciò che esiste – dopo tutto questo è tangibile, vivido, ed immediato, in un modo che gli elevati stati spirituali di cui uno sente parlare, possono non essere. Però, per coloro (non solo per il Buddha storico) per i quali tali fenomeni sono tangibilmente reali, non esiste una certezza più grande. Questa realtà infinita è sperimentata come verità, gioia e beatitudine – la nostra ‘vera casa’ da cui ci siamo allontanati e alla quale possiamo ritornare.

Nel prossimo capitolo esamineremo la natura di QUESTA REALTA’, in che modo poterla capire e in che modo poterci avvicinare ad essa. Se ciò che su di essa si afferma è vero, allora è di importanza vitale per le nostre vite risvegliarci ad essa.

Nel buddhismo Shin, il Nirvana, o Realtà Ultima (anche noto come “Corpo di Dharma”, “Dharmakaya”, nell’originale Sanscrito) ha assunto una forma più concreta come:

a)           Il Buddha della Luce Infinita (Amitabha) e della Vita Eterna (Amitayus)

b)           La “Terra Pura” o “Terra della Estrema Beatitudine”(Sukhavati), il reame su cui è detto che questo Buddha presieda. Quando il buddhismo raggiunse l’Estremo Oriente, questo Buddha venne ad essere conosciuto semplicemente come Amida (l’espressione Giapponese del termine sanscrito amita, che significa “infinito” o “incommensurabile”). Nonostante il buddhismo Shin faccia una distinzione tra Amida Buddha e la Terra Pura, essi, in effetti, sono aspetti della stessa realtà: l’unico inconcepibile e informale mondo del Nirvana.

Amida è il Buddha Eterno, che si dice abbia assunto forma come Shakyamuni e i suoi insegnamenti, per poter essere conosciuto da noi in modi che potessimo facilmente comprendere. Come vedremo, molte delle descrizioni di Amida Buddha e della Terra Pura possono colpire il lettore perché piuttosto fantasiose o eccessive, ma è importante non prendere troppo alla lettera questi racconti. Essi sono dei potenti simboli che hanno il compito di sollecitare la nostra immaginazione spirituale; ed anche di trasmettere– con un linguaggio figurato, ricco ed evocativo, derivato dal mondo quotidiano dei nostri sensi – qualcosa dell’Infinito alla nostra limitata comprensione.

Esploreremo quindi l mondo del buddhismo Shin, la sua concezione della Realtà Suprema, e ciò che per noi  può significare nel mezzo  delle nostre vite turbolente e piene di dolore.                      


 

 

Capitolo 2      

 

LUCE INFINITA

 

- Supponete che ci sia una stanza che è stata buia per migliaia di anni. Se la luce la raggiunge, anche solo per un istante, la stanza immediatamente diventa luminosa. Come potrebbe l’oscurità dire che, avendo occupato la stanza per migliaia di anni, non vuole andarsene?

                                                                              - T’an- luan

 

  La realtà alla quale Shakyamuni si svegliò sotto l’albero della Bodhi fu da lui descritta come Nirvana. Mentre il suo significato letterale indica una sorta di “Implosione” (blowing out) come la fiamma che si sta spegnendo (cioè, ad esempio, il fuoco della passione o della delusione), la sua connotazione più positiva è quella di uno stato di esistenza più elevato, lo svanire delle illusioni e la conseguente gioia della liberazione spirituale. Una scrittura del primo Buddhismo descrive il Nirvana come:

 … la sponda più lontana, ciò che è sottile, più difficile da vedere, che non invecchia, che è stabile, che non si disintegra, che non sparisce, non è manifesto, pieno di pace; che è senza morte, sublime, propizio, sicuro, che è la distruzione del desiderio, meraviglioso, stupefacente, che è privo di dolore e di afflizioni, imparziale, che è purezza, libertà, l’isola, il riparo, l’asilo, il rifugio…

                                                                                                    - Samyutta Nikaya

E’ chiaro, quando si leggono i racconti dell’illuminazione di Shakyamuni, che non era un qualcosa che egli creò con un mero sforzo personale. Di certo egli lottò e affrontò molte prove e tentazioni durante la sua ricerca spirituale, ma il suo risveglio finale fu qualcosa che esisteva già oltre lui; era un reame più alto nel quale era penetrato, o piuttosto, che era disceso su di lui quando fu pronto a riceverlo. Egli non portò in esistenza qualcosa che non fosse già lì. Avendo egli realizzato l’illuminazione per se stesso, si convinse che questa verità fosse la chiave della realizzazione e della felicità umana, decise così di condividere la sua esperienza con persone di ogni ceto, cosa che fece per i successivi 45 anni.

Dopo qualche riluttanza iniziale, Shakyamuni iniziò ad insegnare ciò che aveva scoperto – il Dharma. All’inizio egli temeva che la trascendente ed ineffabile realtà che gli si era svelata non potesse essere trasmessa a parole, ma poi insisté, incoraggiato dalla prospettiva che qualche anima avanzata fosse capace di penetrare i suoi insegnamenti. Tuttavia, Shakyamuni non riservò il suo insegnamento solo a monaci, monache e discepoli. Egli si sentì pure profondamente preoccupato per la condizione delle persone comuni, e cercò di trovare dei metodi per rendere il meraviglioso mondo dell’illuminazione disponibile anche alle persone comuni, coinvolte nella vita di ogni giorno, cariche di compiti onerosi, di responsabilità e distrazioni. La tradizione Buddhista della Terra Pura appartiene a questa categoria di insegnamenti.

Shakyamuni insegnò la verità del Dharma in molti differenti modi, secondo il temperamento e la capacità di comprensione delle persone. Il Sentiero della Terra Pura fu la sua precisa risposta, diretta ai bisogni pressanti degli uomini e donne ordinari che aspiravano ad una vita spirituale, senza dover rinunciare al mondo, o osservare precetti monastici e pesanti rinunce. Le masse avevano bisogno di un approccio più accessibile, che non presupponesse straordinari poteri meditativi né l’irreprensibile moralità. In altre parole, un sentiero che tenesse conto della debolezza e della fragilità degli esseri umani con i loro pensieri confusi, emozioni disordinate e impulsi pericolosi come la rabbia, l’avidità e la follìa. Fu per queste persone, che Shakyamuni concepì i suoi insegnamenti sul Buddha Amida e la Terra Pura.

Nel Buddhismo Mahayana, viene insegnato che fondamentalmente c’è una sola realtà che, nella sua più alta e pura dimensione, è sperimentata come Nirvana. Essa è nota anche, come abbiamo visto, come Dharmakaya (Corpo di Dharma, considerato come l’ultima forma dell’Essere) o Talità (Tathata, in sanscrito) quando è vista come l’Essenza di tutte le cose. Un altro modo di guardare ad esso, è considerare il Dharmakaya come la Realtà Suprema, ed il Nirvana come la nostra esperienza di esso.

               “Il Dharmakaya è eternità, beatitudine, vero sé e purezza. Esso è per sempre libero da nascita, vecchiaia, malattia e morte”.              – Nirvana Sutra

Il Dharmakaya è la base non-materiale di ogni forma di esistenza: dai più sublimi stati spirituali al più grossolano livello della materia. Ogni cosa nell’universo – tutte le forme e tutta l’energia – è una manifestazione di questa realtà più profonda e nascosta, oltre lo spazio ed il tempo. Come i raggi di luce risplendono partendo dal sole e, al tempo stesso, restano non separati dalla loro fonte, così il mondo fluisce dall’Infinito il quale, essendo illimitato, resta al nucleo di tutte le cose. A differenza del concetto di Dio che c’è in qualche religione teista, il Dharmakaya non è una divinità onnipotente e interventista, lontana dalle sue creazioni; né ha volontà di originare il mondo tramite la sua diivina decisione. L’universo è semplicemente uno spontaneo disvelarsi della sconfinata forza che costituisce l’eterno Dharmakaya. È nella sua stessa natura – in quanto Realtà Infinita – di sgorgare senza posa in questo modo.

             “Il Dharmakaya, essendo senza forma, assume tutte le forme”.

                                                                                     ­­­­ - Seng-chao

Nondimeno, nel suo dispiegarsi da tempi senza inizio come la Totalità dell’Universo e di ogni cosa in esso, assume forme che sono limitate, frammentate e quindi imperfette. In altre parole, il Dharma-kaya si esprime in manifestazioni che, sebbene inseparabili da esso (dal momento che esiste una sola realtà), sono tuttavia ‘finite’ e, come tali, destinate a decadere ed a sparire. Inoltre, poiché queste manifestazioni sono innumerevoli, necessariamente sono costrette ad assumere anche possibilità che sono negative dal nostro punto di vista. Il Dharmakaya non è onnipotente, quindi non può togliere la sofferenza, le imperfezioni ed i difetti che sono insite nell’esistenza condizionata (come il dolore fisico e le malattie, per non parlare delle terribili malvagità di cui sono capaci le persone che si sentono colpite in profondità).

Pensate alla luna piena in una notte limpida e come si riflette la sua immagine. A volte appare serena come sulla superficie di un lago calmo. Altre volte, su uno stagno fangoso, è tenebrosa; o dinamica e cangiante, quando si riflette su un fiume che scorre velocemente. Ognuna di queste immagini diverse e fuggevoli, non deve chiaramente essere confusa con la costante presenza della luna stessa ma, d’altro canto, esse non possono nemmeno essere viste come completamente separate dalla stessa luna. Benché tutte le metafore abbiano i loro limiti, questo potrebbe essere un utile modo per capire la relazione sottile e complessa tra la realtà infinita e il mondo finito che ci circonda.

“Il Dharmakaya, sebbene si manifesti nel mondo, è privo di impurità e desideri. Esso si manifesta qui, lì, ed in ogni luogo, in risposta alla legge del karma. Non è una realtà di tipo individuale, o una falsa esistenza, ma è universale e puro. Non viene da nessuna parte e non va in nessun luogo, non cerca di imporsi, né è soggetto ad annientamento. E’ sempre sereno ed eterno. Esso è l’Uno, privo di ogni distinzione. Questo Corpo di Dharma non ha confini né distinzioni, ma permea tutti i corpi. La sua libertà o spontaneità non si può comprendere, e così è la sua presenza spirituale nelle cose materiali. Assumendo qualunque concreta forma materiale, come richiesto dalla natura e dalle condizioni del Karma, esso illumina tutte le creazioni. Non c’è posto nell’universo in cui questo Corpo-entità non sia predominante. L’universo è in continuo divenire ma questo Corpo-entità resta sempre immobile. Esso è libero da tutti gli opposti e i contrari, eppure funziona in ogni cosa per condurle al Nirvana”.

                                                                                              Sutra della Ghirlanda   

Come esseri umani, noi soffriamo perché il nostro essere più profondo è essenzialmente uno con il Dharmakaya (che, a noi sconosciuto, cerchiamo continuamente) eppure, nella nostra ignoranza, noi lo cerchiamo in quelle cose che non sono altro che apparenze effimere. Ecco perché continuamente noi siamo delusi e frustrati dall’imperfezione di ogni cosa che incontriamo e alla quale aspiriamo. È come se noi riconoscessimo qualcosa di questa realtà superiore brillare nel nostro mondo di forme, ma, quando cerchiamo di afferrarla, svanisce come una ragnatela nel vento. Proprio questo è ciò che costituisce la tragedia della nostra condizione umana. Noi siamo fatti per l’Infinito, ma però siamo totalmente assorbiti dalle cose del mondo e crediamo che ciò che veramente cerchiamo possa essere trovato nella nostra vita quotidiana. Tale vita, tuttavia, non è che un lontano riflesso di questa realtà in cui è nascosto il nostro reale santuario.

“Proprio come non ci sono forme materiali al di fuori dello spazio,

  così non ci sono esseri aldifuori del  Dharmakaya”. - Vasubandhu

Non solo questa è l’unica realtà che esiste veramente, (a dispetto della tendenza della nostra mente a dividere l’esperienza in soggetti ed oggetti irrimediabilmente divisi) ma è anche la fonte di tutto ciò che è  buono, bello e vero nel mondo. Da questo lato della realtà, non c’è separazione tra essa e noi, ma dal punto in cui ci troviamo noi, la distanza appare incolmabile – eppure in quei rari momenti in cui sperimentiamo profonda gioia nella nostra vita, di fatto stiamo stabilendo un contatto, con gli echi o l’impronta del Nirvana nel mondo.

Per quanto possa sembrare difficile da comprendere, l’eterno mondo del Dharmakaya e il transeunte mondo dell’esistenza ordinaria sono, in sostanza, una cosa sola e così il primo non può che rivelarsi attraverso il secondo. Possiamo avere prove di ciò ovunque intorno a noi, nonostante l’oscurità che avvolge le nostre vite. In effetti, l’esistenza del nostro mondo non sarebbe possibile se non avesse le sue fondamenta in una realtà assoluta, senza la quale non dovremmo aspettarci che possa esistere alcunché.

“La Mente in termini di Assoluto è l’unico mondo di Realtà

ed è l’essenza di tutte le fasi dell’esistenza nella loro totalità” –

                                                                   Il Risveglio della Fede nel Mahayana

Secondo gli insegnamenti del Mahayana, la Realtà Ultima è impensabile e priva di forma. E’ quindi impossibile, dal nostro limitato punto di vista, conoscerla per come realmente è, perché va oltre la percezione dei nostri sensi e le nostre ordinarie facoltà di comprensione.

“Il Dharmakaya non ha colore né forma,

perciò la mente non può afferrarlo né le parole descriverlo”.  

                                                                       - Shinran

Sebbene si possa supporre qualcosa della sua esistenza, attraverso la comprensione intuitiva delle sue qualità che si manifestano nel mondo, noi non possiamo conoscere nulla della sua vera natura, a meno che quella stessa realtà in un qualche modo non ci si riveli. Tutti gli insegnamenti a noi rivolti non sono altro che il Dharmakaya rivelatosi attraverso l’attività del Buddha storico. La fondamentale  verità che si scopre attraverso gli insegnamenti di Shakyamuni è che questa realtà consiste nella più alta saggezza e compassione e che essa cerca di condurci nella “Terra Pura” – la illimitata sfera del Nirvana.

“La Terra del Buddha, come il reame dell’incondizionato Nirvana,

è puro e sereno, risplendente e pieno di beatitudine”

 - Sutra del Buddha della Vita Infinita

 

“La Terra della beatitudine è il reame del Nirvana, il non creato……

Non contaminato dalle passioni, non nato, esso è la vera realtà.      -Shan Tao

 

E così arriviamo alla tradizione della Terra Pura. A differenza di altre scuole del buddhismo, che hanno dato più importanza ad astruse filosofie, esigenti meditazioni e rituali complessi, Shakyamuni rivelò anche un sentiero che le persone comuni potessero comprendere e praticare nella loro vita. Quindi, al fine di poter portare le formidabili altezze del Nirvana qui sulla terra, egli ideò un approccio adatto a catturare la nostra  immaginazione attraverso il dispiegamento di immagini sorprendenti, allo scopo di risvegliare le nostre aspirazioni all’illuminazione.

Il famoso pensatore buddhista, D.T. Suzuki, disse una volta: “La Realtà Suprema non è una mera astrazione; è vivida e piena di significato ed intelligenza, e soprattutto, colma di amore depurato da tutte le debolezze e le contaminazioni umane”. E’ a questo aspetto del Dharmakaya che viene data speciale enfasi nella tradizione della “Terra Pura”, che è  rivolta ai bisogni spirituali dell’ “uomo della strada”. Infatti, l’infinita compassione diretta verso di noi da questa realtà è così grande, che l’unica richiesta fatta all’individuo, per mezzo della pratica, si riduce ad arrendersi semplicemente ad essa. Esploreremo questa caratteristica dell’insegnamento più avanti nel prossimo capitolo.

Per trasmettere la natura compassionevole di questa realtà e il suo incondizionato abbracciare tutti gli esseri, Shakyamuni ci dà una storia avvincente. Nel Sutra del Buddha della Vita Infinita, egli narra di un re che, ascoltando gli insegnamenti di un Buddha del suo tempo, “sentì profonda gioia nel suo cuore ed in lui si risvegliò l’aspirazione per la suprema perfetta Illuminazione.” Avendo ardentemente il desiderio di salvare la moltitudine degli esseri sofferenti, “egli rinunciò al trono ed al suo regno, e divenne un monaco di nome Dharmakara. Avendo intelligenza, coraggio e saggezza eccezionali, egli si distinse nel  mondo.”

Dharmakara divenne poi un Bodhisattva (un essere che si è dedicato a raggiungere l’illuminazione per sé e per gli altri) e cercò l’aiuto del Buddha del suo tempo affinché potesse egli stesso diventare un Buddha ed istituire un regno sopra-mondano con il fine di “salvare gli esseri viventi dal ciclo di nascita e morte e condurli all’emancipazione”. Egli prosegue dicendo:

“Quando sarò diventato un Buddha, la mia terra sarà la più squisita, e la sua gente meravigliosa ed insuperata. La mia terra, essendo come il Nirvana stesso, sarà oltre ogni confronto. Io provo pietà per gli esseri viventi e prendo la decisione di salvarli tutti…. Essi troveranno la gioia e la serenità del cuore. Quando raggiungeranno la mia terra, dimoreranno in pace e felicità”.

Così deciso, Dharmakara fece 48 voti specifici per mettere in pratica la sua nobile aspirazione e così andò avanti per molte vite, tra difficoltà e pratiche non-egoiche, al fine di realizzare la sua intenzione di “produrre una terra magnifica e gloriosa”. Nel perseguire il sentiero verso l’illuminazione,

“Egli non albergò nessun pensiero di avidità, odio o crudeltà, né permise che sorgesse in lui alcuna idea di avidità, odio o crudeltà. Non fu attaccato ad alcuna forma, suono, odore, sapore, tatto o idea. In possesso del potere della perseveranza, non evitò di essere sottoposto a varie afflizioni. Avendo ben pochi desideri per sé, conobbe la contentezza. Senza alcun pensiero impuro, sentimento ostile  o stupidità, dimorò tranquillamente in continua meditazione. La sua saggezza era senza ostacoli e la sua mente libera da falsità e inganni. Con un’espressione di tenerezza sul suo volto e di gentilezza nelle sue parole, parlava agli altri in armonia con i loro più reconditi pensieri. Coraggioso e diligente, instancabile e dotato di forte volontà, si dedicò unicamente a seguire il Dharma, beneficiando in questo modo una moltitudine di esseri. Durante innumerevoli eoni, arricchì la sua pratica con grande quantità di meriti e molteplici virtù. Così facendo, rese capaci gli esseri senzienti di esserne partecipi”.

Si racconta che Dharmakara infine divenne un Buddha chiamato “Amida”, e creò un reame, di nome “Pace e Beatitudine”, dove i suoi voti per il bene degli esseri furono esauditi. Il Sutra quindi vuole infondere un senso di beatitudine di questa Terra attraverso il ricorso ad un simbolismo altamente immaginario e fantastico.

“In questa Terra del Buddha, il terreno è formato da sette gioielli  [ii] - e precisamente oro, argento, berillio, corallo, ambra, agata e rubino - che si sono manifestati spontaneamente. Il paese stesso è così vasto che si estende senza limiti fino al confine più estremo, tanto che è impossibile conoscerne la fine. I raggi di luce che promanano da questi gioielli si mescolano e creano multiformi creazioni, producendo un’illuminazione abbagliante. Questi puri, superbi e mirabili ornamenti sono insuperati in tutti i mondi delle  dieci direzioni….

In questa Terra ci sono innumerevoli reti ingioiellate, adornate con matasse di fili d’oro, e poi perle e centinaia di migliaia di rari e meravigliosi tesori. Tutt’attorno a queste reti pendono delle campane  tempestate di gioielli di assoluta bellezza che splendono brillanti.  Quando una brezza naturale di virtù si alza e gentilmente soffia, essa è di temperatura mite, né fredda né calda, fresca e piacevole ai sensi, e si muove né troppo lentamente né troppo velocemente. Quando la brezza si diffonde sulle reti e sui diversi alberi pieni di gioielli, si odono gli innumerevoli eccellenti suoni del Dharma, e si diffondono diecimila specie di delicate fragranze di virtù. Se si percepiscono queste fragranze, le impurità e le passioni smettono di sorgere…..”

Alla moderna mente occidentale, abbagliata dai risultati della scienza e sotto la tirannide del pensiero razionale, tali descrizioni devono sembrare stravaganti nonsense, il prodotto di una immaginazione troppo fervida totalmente presa in un bizzarro mondo di fantasia. Ad ogni modo, un simile giudizio sarebbe prematuro e, forse, anche un po’ povero di immaginazione.

La storia di Dharmakara simboleggia il modo in cui l’antica mente indiana cercava di presentare le verità spirituali – cioè in immagini che catturavano sia dal punto vista mentale che emotivo. Non sono da considerarsi come una descrizione letterale di ciò che è il Nirvana, né descrivono un luogo fisico nell’universo, migliaia di miglia lontano dalla terra. Piuttosto, sono un tentativo di rappresentare un mistero ineffabile, e di suggerire attraverso il riferimento ad esperienze, alle quali diamo valore nel nostro mondo, lo splendore del Nirvana che non può essere adeguatamente espresso a parole.

“Quando considero le caratteristiche di quel mondo,

vedo che… è infinito, come lo spazio, vasto e senza confini.”            

                           -       Vasubhandu

Noi siamo creature obbligate al linguaggio, e quando le parole ordinarie inevitabilmente ci vengono meno, allorché cerchiamo di descrivere ciò che non può essere descritto, dobbiamo far ricorso ad espressioni ed immagini fuori dell’ordinario, che ci costringono a sospendere il pensiero banale ed abituale che domina la nostra vita, in modo da essere proiettati in un modo radicalmente nuovo di vedere le cose.

Allo stesso modo, non possiamo considerare la storia di Dharmakara come un evento che ebbe luogo realmente in quello che consideriamo essere come un tempo storico convenzionale. Tuttavia, ciò non significa che gli eventi spirituali rivelati dal Sutra non siano veri. I voti di Dharmakara rappresentano il desiderio fondamentale della realtà ultima di liberarci dall’ignoranza e dalla sofferenza. Da un’altra prospettiva, Dharmakara è anche, nella sua essenza, la rappresentazione di “noi” sotto l’aspetto del nostro reale o universale sé. Ciò che egli fece voto di ottenere per tutti gli esseri senzienti – la loro liberazione e la felicità ultima – è anche ciò che sarebbe il nostro desiderio principale, se non fosse per il pesante mantello di ignoranza che nasconde la nostra intrinseca “identità” con tutte le cose viventi attraverso l’unità che noi condividiamo nel Dharmakaya.

Parlando della storia di Dharmakara, si è invero riluttanti ad usare la parola “mito”, perché le persone moderne la associano a qualcosa di irreale, quando, in realtà, i miti di tutto il mondo sono imbevuti  di profonda verità sulla condizione umana e la sua relazione con il trascendente. Non devono essere “storicamente reali” per essere veri. In ogni caso, i fatti della storia sono spesso essi stessi sfuggenti e aperti ad interpretazioni contrastanti.

Il potere del mito e del simbolismo sta nella sua capacità di rivolgersi a noi a un livello primario del nostro essere e di parlare a realtà archetipe che sono sempre esistite nel nucleo più intimo della vita umana. Queste intuizioni trascendono la storia, nel senso che non dipendono da eventi particolari per affermare la loro autorità. Esse ci parlano direttamente, e noi siamo in grado di riconoscerne la verità attraverso la nostra stessa capacità di intuizione e consapevolezza spirituale – persino attraverso la nostra immaginazione, che è comunque un mezzo per arrivare alla verità, nonostante il superficiale pregiudizio che esse appartengano al mondo dell’irrealtà. Anche la musica e la poesia hanno il potere  di andare oltre il pensiero razionale e di portare ad una visione olistica della nostra esistenza.

Ritornando alla precedente osservazione che la realtà suprema è pervasa di intelligenza purificata e di amore, noi arriviamo a vedere che essa deve possedere anche personalità – non nel senso di un essere umano ordinario, ma in un modo che è senza limitazioni  o mancanze. Essa è oltre la “sfera” personale, nel senso che è più di quanto si possa pensare che una persona sia, ma non lo è in modo impersonale; essa è la sorgente di ogni personalità, ma senza quegli aspetti inclini alla passione o alla delusione. In altre parole, è pura personalità libera da imperfezioni.

Questo è il modo in cui il buddhismo Shin vede Amida Buddha – la diretta espressione del Dharma-kaya privo di forma che ha preso l’iniziativa in risposta al nostro disagio esistenziale ed ha assunto la forma del Buddha della Luce Infinita e della Vita Eterna.

Qualsiasi discorso su Amida Buddha e la Terra Pura porterà inevitabilmente la replica che questo è solo un altro modo di attaccarsi all’idea di Dio e il Cielo, che il buddhismo presumibilmente dichiara di negare. In ogni modo, è importante capire – come è già stato detto, che queste realtà non sono fondamentalmente differenti, sono solo modi diversi di vedere l’Assoluto. Amida è l’aspetto manifesto di questa realtà, il Buddha della Grande Compassione che fa il voto di alleviare la nostra sofferenza interiore.

La Terra Pura, d’altro canto, è l’aspetto del Nirvana che rappresenta “la Pace e la Beatitudine assolute” come la troviamo descritta nel Sutra. Non è un reame distante dal nostro mondo, ma è una forza attiva che è profondamente connessa con le nostre vite e che cerca continuamente di svegliarci dal nostro torpore spirituale.

“[La Terra Pura ] è vasta e molto estesa, insuperabile e supremamente meravigliosa,

sempre onnipresente  e non soggetta a decadenza o cambiamento”.                                        

- Sutra del Buddha della Vita Infinita

Un’importante caratteristica della nozione buddhista della Realtà Suprema è che essa comprende l’essenza di tutte le cose (inclusi noi stessi), che non è altro che il riflesso della sua unica ma fugace immagine. E’ in questo modo che noi siamo connessi ad ogni cosa, perché abbiamo la stessa fonte nel Dharmakaya, che unisce tutte le esistenze e nel quale ogni essere ha la sua origine. Amida Buddha e la Terra Pura, rappresentano la dimensione purificata ed illuminata di questa stessa realtà, mentre l’impermanenza, l’imperfezione e la sofferenza che noi sperimentiamo, rappresentano i limiti o limitazioni che sorgono quando il Dharmakaya emerge da se stesso per assumere le infinite forme della vita condizionata. Questo è qualcosa che avviene naturalmente, senza alcun disegno o calcolo,  così come un fuoco irradia calore o un fiore emana il suo profumo.

Nonostante la distanza che normalmente si può sentire da questo tipo di realtà, tuttavia è presente in noi sottoforma del nostro sé più profondo. Benché il buddhismo rifiuti l’idea di un sé permanente o “anima”, qui il riferimento è ad un sé temporaneo, cioè al nostro ego umano, ed al corpo destinato a vivere per breve tempo con tutte le sue passioni. In effetti, esso non nega affatto questo tipo di “sé”. Ma lo vede meramente come un’entità fluida, incostante, simile al sogno, senza una realtà durevole. Infatti non ci si può affidare ad esso per procurarsi alcun tipo di soddisfazione durevole, e pertanto, non dovrebbe essere per noi oggetto di attaccamento.

Ad ogni modo, ciò non significa che il buddhismo insegni che qualunque nozione di sé sia sbagliata -  ma solo che noi cerchiamo il nostro vero sé nel posto sbagliato. Diversamente dal nostro individuale ‘ego’, il buddhismo ci indirizza verso il “Grande Sé”, che è la presenza del Dharmakaya in ognuno di noi, conosciuto anche come Natura di Buddha.

“Il Nirvana è chiamato ‘estinzione delle passioni’, l’Increato, felicità piena di pace, eterna beatitudine, la vera Realtà, il Dharmakaya…. La Talità, Unicità e Natura di Buddha… che riempie il cuore e le menti dell’oceano di tutti gli esseri.”   - Shinran

Senza la presenza della Natura-di-Buddha in tutte le cose esistenti, ci sarebbe impossibile riconoscere la saggezza di Buddha quando la incontriamo. Questa saggezza, che è rappresentata come Luce, ci permette di vedere le cose così come realmente sono. La nostra vera Natura di Buddha si cela anche dietro la nostra ricerca spirituale. Essa costituisce la spinta potente che si sente per poter eliminare il buio della nostra mente e per ricercare l’illuminazione.

“Benché anch’io sia nell’abbraccio di Amida,

le cieche passioni ostruiscono i miei occhi e io non posso vedere la Luce;

non di meno, la grande compassione, instancabile e costante, mi illumina.”- (Genshin)

L’impulso che ci fa desiderare di ottenere la saggezza spirituale non ha altra spiegazione se non nella stessa attività del Dharmakaya, che ha continuamente lo scopo di riportarci ad esso. Tuttavia, non si  dovrebbe coltivare alcuna illusione: il fatto che la Natura di Buddha dimori in tutti gli esseri non è una ragione per supporre che noi siamo in qualche modo già illuminati. Niente di tutto ciò. Mentre la sua presenza garantisce che alla fine potremo superare il nostro stato ottenebrato, noi restiamo persone ordinarie gravate dalle nostre carenze fino al momento in cui giungiamo alla completa realizzazione del Nirvana, alla fine delle nostre vite.

“Quando gli uomini stolti posseduti da cieche passioni otterranno la rinascita nella Terra Pura, 

non saranno più soggetti alle catene del Karma….

Vale a dire, pur senza eliminare le cieche passioni, essi realizzeranno il Nirvana”.  - Shinran

Ritornando a quanto si è discusso nel capitolo precedente, si può cominciare lentamente a vedere  come noi si trascorra molta della nostra esistenza quotidiana a rincorrere ombre. Poiché l’Infinito costituisce la nostra vera sostanza, nient’altro che Esso può darci soddisfazione. In verità, perfino il nostro ardente attaccamento alla stessa vita non è che un riflesso del nostro desiderio di Infinito, la cui alienazione spiega il nostro costante stato di insoddisfazione. Tutti i desideri, infatti, anche quelli che possono apparire aberranti o fuori dalla norma, hanno le loro radici nella ricerca del più totale appagamento, e nel bisogno di sentirsi umanamente compiuti. Tuttavia, la totale pienezza dell’essere non potrà esservi finché le nostre vite saranno prive del sostentamento della Luce di Amida Buddha, che è presente nel cuore di tutte le  nostre gioie mondane.

“Se gli esseri senzienti incontrano la Luce del Buddha, le loro contaminazioni sono rimosse.

Essi sperimentano tenerezza, gioia e piacere, e così sorgono retti pensieri. Se gli esseri senzienti… nel reame della sofferenza scorgono questa luce, saranno sollevati e liberi dalle afflizioni.

Alla fine della loro vita, tutti essi raggiungeranno l’emancipazione.”   

                                                                            –Sutra del Buddha della Vita Infinita                         

Senza l’esistenza di ciò che è senza tempo, ed a cui possiamo aspirare per l’autentica liberazione da tutto ciò che è transeunte, ogni sentiero cosiddetto “spirituale” resterebbe privo di significato e per nulla efficace. Nonostante il prevalente modo di vedere delle persone Occidentali, il buddhismo non è una filosofia laica o umanistica, né semplicemente una religione “razionale”. E’ una religione nel vero senso della parola (dal latino “religare”, legare), nel senso che ci lega alla realtà autentica.

“La luce della saggezza eccede ogni misura, ed ogni essere vivente impermanente

riceve questa illuminazione che è come l’aurora;

                    Pertanto prendi rifugio in Amida, la Luce vera e reale”.   -Shinran                

Parlando in questo modo, dobbiamo però fare attenzione ad evitare fuorvianti visioni antropomorfe della Realtà Ultima, che si insiste nell’attruibuirle una qualche caratteristica umana. Le nostre limitate facoltà non possono scandagliare questo mondo senza confini, tuttavia possiamo averne esperienza. ‘Inconcepibile’ non significa totalmente inconoscibile, soprattutto quando questa realtà viene verso di noi assumendo una serie di aspetti compassionevoli, che sono idonei per la nostra comprensione e per i nostri bisogni. Il Dharmakaya, nel rivelarsi come Luce Infinita e Vita Eterna, ha cercato lo scopo di trasmetterci non solo il senso di ciò che è, ma, più tangibilmente, di dichiarare la incondizionata natura dell’abbraccio di Amida Buddha verso tutti gli esseri.

“La luce della compassione ci illumina da lontano,

E quegli esseri che raggiunge, è insegnato, ottengono la gioia del Dharma.

Pertanto prendi rifugio in Amida, la grande consolazione”.     -Shinran

Il mondo moderno ci obbliga a rimanere scettici e increduli a tali richiami, ritenendoli cibo irrazionale per menti deboli. Tuttavia, i critici non riescono a vedere i pericolosi limiti del pensiero razionale, che può essere di aiuto solo se ha un adeguato materiale grezzo con cui lavorare. Se le nostre premesse sono prive di saggezza, allora le basi di qualsiasi ragionamento su cui ci basiamo saranno instabili.

La logica ci aiuta a pensare chiaramente ed a fare giusti collegamenti, ma il suo valore è limitato se le basi delle nostre deduzioni sono ben povere sin dall’inizio. La mera logica ed il pensiero razionale non possono darci il vero significato. L’essenza di tutto ciò a cui diamo valore nella vita va ben oltre la mente che analizza e disseziona; una tale mente non dà ispirazione o nutrimento allo spirito.

Dobbiamo, quindi, rivedere la nostra attitudine spesso acritica verso ciò che ci appare evidente. Le verità spirituali non sono verificabili con analisi scientifiche, dato che non sono distinti elementi del nostro mondo materiale.  Esse non possono essere spazzate via per l’unica ragione che la logica o la scienza non possono afferrarle. Le nostre menti razionali sono certamente libere di trarre conclusioni basate sull’esperienza, ma queste avrebbero maggior valore se non si limitassero unicamente ai dati grezzi forniti dai nostri sensi, che non possono mai dare un resoconto completo della realtà.

Riflettendo su tali questioni con una mente aperta, si addiviene ad una potente intuizione dell’origine immateriale di tutte le cose. La stessa realtà della coscienza ci spinge verso il convincente argomento che “il superiore non può derivare dall’inferiore”. In altre parole, la stupefacente Natura della mente umana e le sue straordinarie capacità (inclusa, specificatamente, la capacità di investigare se stessa ed il significato dell’esistenza) non sono sicuramente qualcosa da poter attribuire alla mera e casuale permutazione delle particelle sub-atomiche, le quali, anche secondo la maggior parte degli scienziati, sono del tutto prive di capacità senzienti.


          

Capitolo  3

 

RISVEGLIARSI AL ‘REALE’

 

Noi che aspiriamo alla terra di Amida,

anche se siamo diversi nell’aspetto esteriore e nei comportamenti,

dovremmo ricevere con sincerità il Nome del Voto Primordiale

                   e non dimenticarlo mai, sia nello stato di veglia che nel sonno    - Shinran

 

       Il buddhismo, per molti Occidentali, è soltanto una tradizione basata sulla rigorosa pratica della meditazione. Questo convincimento è così vero che chiunque si dichiari buddhista, ma non pratica la meditazione, in un senso formale, è sbrigativamente liquidato come un impostore. Questo è un grave malinteso.

La stragrande maggioranza dei laici che vivono nei paesi buddhisti, oggi non medita quasi per nulla e ben pochi potrebbero solo pensare di indagare sul loro essere sinceri. Dobbiamo quindi accettare che lo scopo della pratica buddhista è assai ampio, comprende numerosi e diversi approcci per giungere alla mèta della realizzazione spirituale, e riflette anche la grande varietà che si trova nella inclinazione spirituale e  nell’attitudine delle persone.

Un’altra difficoltà consiste nel fatto che molti di quelli che sono interessati al buddhismo potrebbero non avere idee molto chiare su ciò che intendono per “meditazione”, o su ciò che sperano di ottenere con essa. Il tradizionale scopo della meditazione è di realizzare il più elevato principio dell’esistenza attraverso l’applicazione concentrata sia della mente che del corpo –  non è semplicemente una mera tecnica di rilassamento o di sollievo dallo stress. Quindi, potrebbe sembrare quasi un’eresia insinuare che la meditazione non sia fondamentale (e nemmeno necessaria) per un’autentica pratica buddhista, ma, in effetti, questa è la norma ovunque ci siano comunità buddhiste laiche: dallo Shri Lanka alla Mongolia, dalla Cambogia alla Corea, a dal Laos al Giappone.

La tradizione della meditazione è certamente importante ed è presente in modo considerevole tra quelli che hanno abbracciato la vita monastica per dedicarsi totalmente a tale pratica e, ovviamente, anche tra i laici che l’hanno intrapresa. Si deve, tuttavia, rifiutare fermamente il pregiudizio tutto Occidentale che quelli che non praticano la meditazione metodicamente siano buddhisti di seconda classe, privi di un’esperienza più profonda o della comprensione degli insegnamenti.

Un’altra idea erronea è che solo praticando “buone azioni” si possa essere ‘buoni’ buddhisti, come se questo fosse tutto ciò che c’è da fare. Di certo seguire le indicazioni di Buddha su come comportarsi è necessario per mantenere un equilibrio morale e per rendere armoniose le nostre relazioni con gli altri, ma questo non può essere un fine in se stesso. Il Dharma è risvegliarsi alla realtà dell’esistenza, e nient’altro. Ora, in ogni scuola buddhista, si insegna che l’illuminazione è ottenuta semplicemente osservando le regole della condotta.

Il buddhismo Shin appartiene alla tradizione della Terra Pura, e non propugna la meditazione come la principale o più importante forma di pratica buddhista. Sicuramente, ci sono delle ben consolidate tecniche di meditazione della Terra Pura (come descritte, per esempio, nel Sutra delle Visualizzazioni del Buddha della Vita Infinita), ma, nel tempo, i seguaci ordinari del buddhismo presero a cercare il rifugio in un diverso sentiero. Questo è stato spesso descritto – talvolta in senso dispregiativo – come un tipo di buddhismo “fideistico”, e quindi un po’ denigrato per la sua presunta somiglianza al senso Cristiano di questo termine, con la conseguenza di  indurre taluni a considerarlo non autentico.

Comunque, questo cosiddetto “buddhismo di fede” riporta indietro di molti secoli – esso risale infatti al tempo di Shakyamuni stesso – e non si può sbarazzarsene così facilmente. Inoltre, “fede” in questo contesto non significa una cieca e acritica credenza in cose non provate sulla base di una autorità superiore. E’ una realizzazione basata sulla diretta esperienza della Realtà, unita alle qualità di gioia, serenità, fiducia, sicurezza e saggezza (prasada, in Sanscrito).

“Fiduciosa”, è la mente piena di verità, realtà e sincerità; la mente dell’assoluto, della realizzazione, della fiducia e della venerazione, la mente del discernimento, della discriminazione, della chiarezza e della fedeltà; la mente che tende all’aspirazione… ed all’emulazione; la mente del diletto, della gioia, della letizia e della felicità; quindi, essa è totalmente immacolata e libera dall’ostacolo del dubbio.      

                                                                                                      - Shinran

‘Fede’, in questo senso, è una modalità di conoscenza, e non semplicemente il mantenere un insieme di credenze  che non sono confermate dall’esperienza personale. Lo stesso Shakyamuni ci ha messo in guardia dall’accettare qualsiasi cosa basata sull’autorità sua o di chiunque altro, ma di verificare da noi stessi – per quanto possiamo - la verità di quanto egli stava dicendo.

Quando esaminiamo la radice etimologica del termine “fede”, vediamo che il suo significato deriva dal latino “fidere”, credere: non perché ci sia stato ordinato, quanto piuttosto perché è il risultato naturale della nostra esperienza nell’aver ascoltato e riflettuto sul Dharma. Noi arriviamo a credere  che questo è il sentiero per il Risveglio poiché, gradualmente, troviamo conferma della verità lungo il cammino.

Nondimeno, la parola “fede” ha anche tante connotazioni così peggiorative e fuorvianti, che sarebbe meglio utilizzare il termine buddhista corrispondente allo stato mentale che si cerca di esprimere, al fine di spiegarlo senza la paura di venir fraintesi. Così, le differenze tra essa e la nozione Occidentale tradizionale della fede dovrebbe essere più chiara.

Nel buddhismo Shin, la principale esperienza spirituale è nota come shinjin, il cui significato letterale è “credere” o “avere fiducia” nella mente e nel cuore. Dalla prospettiva del Dharma, il termine ‘fiducia’ (prasanna, in Sanscrito) non ha il significato di mera convinzione o accettazione di una dottrina senza  che vi sia partecipazione. Inoltre, il primo carattere (Shin, Giapponese; Hsin, Cinese) si rifà anche alla  parola Sanscrita shraddha, che è associata, nel pensiero buddhista, al significato di chiarezza. E allora di shinjin, si può dire che sia una “chiarezza di mente”. Ancora, si può anche tradurlo come “mente vera e reale”, alla luce dell’esperienza e dell’intuizione di Shinran.

Che cos’è che la rende vera e reale?  E’ la mente di Amida Buddha che sorge dentro di noi e diventa inseparabile proprio dalle nostre passioni che ci arrecano dolore. Ad un certo livello, ovviamente, le due sono diametralmente opposte; le nostre menti esprimono confusione e insincerità, mentre quella di Buddha rappresenta la verità e la luce. Eppure, dalla prospettiva di Amida – che non vede opposti - esse sono unite in un unico abbraccio. L’esperienza di shinjin è un paradosso. Da un lato, proviamo una gioia profonda nel trovarci immersi nella luce di Amida Buddha ed incontriamo la vera realtà:

 “Luce pura, luce piena di gioia, la Luce della Saggezza,

Luce costante, inconcepibile, luce oltre ogni dire.

Luce che emanando supera il sole e la luna, e che illumina innumerevoli mondi;

Tutta la moltitudine degli esseri riceve questo splendore irradiante    - Shinran

Questa è un’esperienza cruciale, che segna una trasformazione permanente nella nostra vita. D’altro lato, ci viene fatto vedere, attraverso le lunghe ombre proiettate dall’assoluta intensità di questa luce,  che:

“Noi non dovremmo manifestare all’esterno segni di saggezza, bontà, o diligenza, perché nel nostro intimo siamo preda della falsità. Siamo pieni di ogni specie di avidità, rabbia, perversità, inganno, malvagità e malizia, ed è difficile porre fine alla nostra natura malvagia. In questo, noi siamo come velenosi serpenti o scorpioni”.                                       - Shan Tao

Questa intuizione interiore ‘bifronte’ può essere ottenuta soltanto tramite il ‘vedere’ noi stessi, così come siamo veramente, attraverso gli occhi di Amida Buddha. Perfino quelli che in qualche misura possiedono un’innata e genuina auto-consapevolezza, malgrado rinuncino ad aderire ad una qualche religione, riflettono anch’essi  - a modo loro -  la funzione di Amida che cerca di portare tutti gli esseri alla conoscenza del loro falso sé e dei suoi pericoli.

Come può allora essere realizzato ‘Shinjin’? In che modo si può incontrare la Luce che rappresenta la saggezza del Buddha? Cosa ci viene richiesto di fare? Prima di rispondere a queste domande, è necessario esaminare la natura della nostra pratica. Nel buddhismo Shin, la nozione di “pratica” è strettamente legata alla sua visione del sé-mondano. Il problema sorge quando noi cerchiamo di superare i limiti dell’ego concentrato su se stesso, attraverso pratiche che si affidano a questo stesso sé “che fa qualcosa” per sfuggire al suo intrappolamento. Una ben nota metafora è rappresentata dall’idea di tirarci su, con i lacci degli scarponi.

La grande intuizione di Shinran è stata che noi non possiamo conquistare l’ego con l’ego. Ci serve un qualche tipo di agente esterno: a) per aiutarci a fare luce sul nostro ego, così come realmente è in tutte le sue forme meschine e dannose; e b) per metterci in grado di sottomettere il piccolo “sé” con lo scopo di realizzare il ‘Grande Sé’ risvegliandoci alla luce di Amida. Infatti, il nostro ego non riesce a  fare possibilmente questo affidandosi solo alle sue scarse risorse senza giungere ad un punto morto. Inoltre, l’ego è estremamente riluttante a fare ciò; non può e non vuole eseguire la sua condanna a morte.

E’ chiaro che un ego equilibrato ed un sano senso di identità personale è essenziale per svolgere in un modo adeguato le proprie funzioni nel mondo. Comunque, sarebbe giusto dire che, generalmente parlando, il nostro ‘senso-di-sé’ tende ad essere chiuso, separato e distante dagli altri.

Nel pensiero Mahayana, tutte le cose sono interdipendenti in quanto esse costituiscono diversi aspetti dell’unico Dharmakaya. Di conseguenza, l’erronea convinzione che tutto ciò che noi percepiamo come realtà esterna si trovi totalmente al di fuori di noi, può essere dannosa per la nostra psiche. Secondo Shinran, la soluzione fu di lasciare ciò a cui siamo più attaccati -  proprio il nostro ego -,  ad un altro tipo di potere (tariki in Giapponese, che significa “Altro Potere”), che è quello di Amida Buddha.

Quando noi ci arrendiamo in questo modo, cominciamo a sperimentare un intenso sollievo dalla nostra tragica desolazione spirituale e la devastante miseria che ci siamo portati dietro per così tanto tempo. Questo poi ci spinge naturalmente a rinunciare a qualsiasi pratica macchiata dall’inefficace  “potere del sé” (jiriki) – così che si comincia a vederlo come uno sforzo impotente basato sulla tenue realtà dell’ego, che può solo portarci in strade senza uscita.

Tali pratiche includono anche la meditazione, quando è intrapresa con l’intenzione di “ottenere” un qualche tipo di vantaggio, come l’illuminazione, o il praticare buone azioni nella speranza di acquisire “meriti”. Esse sono tutte viziate da un’attitudine assai sottile di vantaggio personale e dal credere che più si pratica in tal modo più si arriva a migliori prospettive per un progresso spirituale. Questa, però, è una trappola senza speranza.

“Lo stabilire saldamente le nostre menti e l’impegnarci in questo tipo di pratiche – anche se noi ci si sforza al massimo con il corpo e la mente durante le dodici ore del giorno e della notte, cercando con urgenza e agendo con urgenza, come se stessimo spegnendo un fuoco dalle nostre teste – devono essere tutte ritenute “buone” azioni avvelenate “          -    Shan Tao

Una intuizione così forte può nascere solo da una visione “oggettiva” del sé che otteniamo quando  la luce di Amida Buddha illumina gli oscuri recessi del nostro cuore. Questo è un aspetto importante per la nostra realizzazione di shinjin ed anche necessario se vogliamo scoprire la verità su noi stessi. E’ il riconoscere che noi siamo esseri umani ordinari afflitti dalle “cieche passioni”. Gli studiosi responsabili della traduzione della “Raccolta delle opere di Shinran” propongono le seguenti osservazioni:

“Le “cieche passioni”(bonno), è un termine completo che descrive tutte le forze, consce ed inconsce, che spingono la persona non illuminata a pensare, sentire, agire e parlare – tanto nella felicità come nel dolore – in modo tale da provocare disagio, frustrazione, tormento e sofferenza (sotto l’aspetto mentale, emotivo, spirituale e perfino fisico), a se stessi e agli altri. Mentre il buddhismo fa un’analisi dettagliata e sottile delle cieche passioni, usando termini come bramosia, ira, delusione, arroganza, dubbio e visioni erronee, fondamentalmente esse sono radicate nel feroce e ostinato aderire al ‘sé’ stolto e malvagio, che costituisce la base della nostra esistenza. Quando noi comprendiamo tutte le implicazioni di questa verità che ci riguarda, ci rendiamo conto che la condizione umana di per sé non è altro che cieca passione. Così, proprio il vivere o il voler vivere come esseri non illuminati, è dare continuamente sfogo alla passione cieca, incuranti di come si possa apparire. Questo si arriva però a saperlo solo attraverso l’illuminazione e la grande compassione. Perciò, risvegliarsi alla propria vera natura, è chiamato “la saggezza di shinjin” e la persona che lo ha realizzato ha già compreso il Voto Originario”.

Gli studiosi dicono anche:

“Si deve notare che mentre il termine “male” ha una connotazione etica e morale nel buddhismo Shin, il suo principale significato è religioso. Il significato essenziale della parola “male” è l’incapacità di una persona a seguire una qualsiasi pratica religiosa – qualsiasi azione che porti al raggiungimento della buddhità – a causa delle cieche passioni nutrite nel profondo, che sono alla base delle loro azioni”.

 

Allora, cos’è esattamente il Voto Originario di Amida Buddha? Nel II° capitolo, abbiamo riportato la storia di Dharmakara, e di come egli si sia sforzato per liberare tutti gli esseri dalla sofferenza. La continuazione della storia ci racconta che i suoi voti furono realizzati e che Dharmakara raggiunse l’illuminazione, diventando Amida Buddha e stabilendo la Terra Pura. Questi voti rappresentano in modo tangibile la grande forza compassionevole presente nel cuore della realtà che cerca di liberarci dalla nostra schiavitù spirituale. Il più importante di questi voti è il diciottesimo, o “Voto Originario”, sul quale si basa l’intera tradizione della Terra Pura. Nel Sutra del Buddha della Vita Infinita, questo voto è espresso come segue:

“Se, quando avrò ottenuto la buddhità, gli esseri senzienti dimoranti nelle terre delle dieci direzioni  che si affidano a me con sincerità e gioia e che desiderino nascere nella mia terra e invocano il mio nome per almeno 10 volte, non dovessero nascere lì, possa io non ottenere la perfetta illuminazione. Esclusi però coloro che si sono macchiati di una delle cinque colpe e hanno offeso il vero Dharma(3) [iii]

L’idea centrale di questo voto è l’affidarsi ad Amida Buddha, che nasce in noi “dall’ascolto profondo” del Dharma. Affidarsi, significa lasciare il nostro destino spirituale all’ “Altro Potere” ed abbandonare l’idea che siamo in grado di ottenere l’illuminazione attraverso il “sé personale” o attraverso pratiche “avvelenate”, cioè impure.

 “Il Potere del Sé …. È il tentativo di rendere degni se stessi ponendo rimedio alla confusione delle nostre azioni, parole e pensieri, confidando nel nostro potere e guidati dal nostro stesso interesse…”                                                                         - Shinran

Sebbene si parli di  potere “di sé” e “l’altro”, in realtà esiste solo il potere del Buddha, di cui il nostro spocchioso orgoglio si appropria, pensando che possa prendersi il merito di ogni merito e di ogni risultato. La Luce di Amida pervade tutte le cose, e se noi ci affidiamo ad essa, le permettiamo di traghettarci verso il Nirvana, come una sicura nave su un oceano in tempesta.

“Noi siamo carenti sia nell’osservanza dei precetti che nella comprensione della saggezza, però quando, lasciandoci trasportare sulla nave del Voto di Amida, abbiamo attraversato quest’oceano di sofferenza che è la nascita-e-morte, e giungiamo alla riva della Terra Pura, le oscure nubi della cieca passione si dissolveranno rapidamente ed apparirà immediatamente la luna dell’illuminazione, cioè la Vera Realtà. Diventando uno con l’inostacolata Luce che riempie le dieci direzioni, porteremo benefici a tutti gli esseri senzienti. In quel momento stesso raggiungeremo l’illuminazione”.

                                                                 A Record in Lament of Divergences

 

La nozione di affidarci semplicemente ad Amida Buddha – che è centrale all’esperienza di shinjin – potrà colpire qualcuno per il fatto di sembrare fin troppo semplice. In qualche modo, essa sembra non sufficiente; sicuramente dovremmo fare di più. Ma non dovremmo lasciarci ingannare da questa apparente semplicità. L’autentico affidarsi è basato sull’opera del Buddha. Esso sorge naturalmente (sebbene non senza considerevoli lotte e resistenze iniziali) quando cominciamo a vedere la verità del nostro ego ingannevole nello specchio immacolato della saggezza di Amida. Arrivare a questo punto  non è tuttavia semplice e richiede grande coraggio ed onestà, come pure la volontà di assumerci il rischio di lasciar andare i nostri ostinati attaccamenti.

 “Abbandonare la mente del ‘potere del sé’ è un ammonimento ad abbandonare la convinzione che si è buoni; smettere di contare sul sé; smettere di riflettere saccentemente sul proprio malvagio cuore e, inoltre, smettere di giudicare le persone come buone o cattive”.   -  Shinran                                                                                             

Confidare in questo, ha le sue basi unicamente nella nostra volontà, e sicuramente lo sforzo fallirà. Secondo Shinran, perfino la nostra capacità di realizzare i requisiti del Voto Originario (cioè, “fiducia sincera e piena di gioia”) ha la sua origine in Amida Buddha. La fonte di ogni autentica virtù risiede nel “non-sé” (dal nostro punto di vista), ovvero nel “vero sé” (dalla prospettiva del Buddha).

La pratica genuina deve avere la sua genesi oltre noi; in ogni caso, dalla prospettiva Mahayana della non-dualità, una cosa come un praticante indipendente o auto-sufficiente non può esistere. Ecco perché, nel buddhismo Shin, pratiche convenzionali sono considerate inefficaci se non sono motivate dalla convinzione che, attraverso di esse, possiamo sradicare le nostre passioni cieche. E ciò è impossibile finché restiamo persone ordinarie con i nostri intrattabili difetti e debolezze.

Shakyamuni ci ha esortato ad analizzarci e ha detto che, se guardiamo abbastanza in profondità, non possiamo trovare nulla di stabile, sicuro o permanente nei nostri costituenti fisici, mentali o emotivi. Che cosa siamo in grado di definire come il nostro ‘sé reale’? Il nostro corpo? Le nostre emozioni? Il nostro intelletto? I nostri ricordi? Tutti questi sono in continuo cambiamento, sempre fluttuanti, e non sono mai gli stessi giorno dopo giorno. I tentativi di trovare un’essenza individuale distinta e durevole  falliscono invariabilmente. Quindi, da Shakyamuni siamo esortati a rinunciare a un tale sé e prendere rifugio nell’unica realtà dell’Infinito, che troviamo personificata nella saggezza e nella compassione di Amida Buddha.

“Sebbene gli esseri senzienti siano impermanenti, 

tuttavia la loro natura di Buddha è eterna e immutevole”.    –  Nirvana Sutra

Shinjin è anche la prajna, o saggezza, impartitaci dal Buddha, ma non quella che consideriamo tale semplicemente in senso mondano. In verità, Shinran afferma esplicitamente che “il grande shinjin” è proprio la “natura di Buddha” stessa che gradualmente si dispiega al nostro interno, nonostante la tenace presenza dell’ego e le sue esigenti richieste. Questa saggezza deve essere percepita in modo diretto - “assaporata” perfino, -  non solo con il proprio pensiero ma anche con il proprio cuore. In più, shinjin è il desiderio di ottenere l’illuminazione sia per se stessi che per gli altri.

“Shinjin è l’aspirazione a portare tutti gli esseri al raggiungimento del supremo nirvana;

è il cuore dell’ amore e della grande compassione…” - Shinran

Quando la saggezza di shinjin permea il nostro essere, non può esservi nessuna più irresistibile forma di conoscenza. Shinjin è anche pieno di vita, dinamico e vibrante. Esso apre nuove e ricche possibilità di osservare il mondo e noi stessi. In questo senso, Shinran, affermò che, per la persona shinjin, “la nascita nella Terra Pura” non è un evento postumo. Esso annuncia anche il sorgere, in questa vita, della mente di Buddha, all’interno della nostra coscienza degradata, che porta ad una consapevolezza più ampia della realtà.

“Quando le persone realizzano il puro shinjin, che è vero e reale, realizzano la mente della grande gioia. Riguardo all’ottenimento della grande gioia, il Sutra afferma: “Colui che con mente sincera aspira a nascere nella terra della felicità, realizzerà la piena illuminazione della saggezza

ed acquisirà virtù insuperate.”                                  - Shinran

Quindi, il sentiero verso questa meta potrà essere diverso per ciascun individuo, ma la destinazione è la stessa: il risveglio qui ed ora di shinjin e la certezza di entrare nell’oceano del Nirvana, quando noi   al momento della morte scindiamo i nostri legami con questo mondo.

“E’ come la natura dell’oceano, che ha un unico sapore; quando i vari corsi dei fiumi vi confluiscono, essi diventano necessariamente di quell’unico sapore, e il sapore dell’oceano non viene alterato”.  

                                                                                -   Tan Huan

Dal punto di vista buddhista, la sofferenza non cessa necessariamente al momento della nostra morte. A seconda del karma generato sia in questa che in altre vite, noi possiamo proseguire in un lugubre percorso attraverso varie modalità e livelli di esistenza post-mortem, finché non ci liberiamo dal ciclo dolente delle trasmigrazioni (il samsara). Questa non è un’allegoria didattica architettata ad arte per farci comportare meglio. Piuttosto sottolinea una verità fondamentale circa la realtà e di come essa è formata da una catena di cause ed effetti che ci riporta indietro ad un indeterminato passato.

 

Il ‘Voto Originario’ cerca di porre fine a questo insensato ciclo di trasmigrazioni cercando di condurre tutti gli esseri verso il Nirvana, tramite l’eliminazione delle condizioni che li tengono intrappolati in questo ciclo. Questo può avvenire soltanto quando noi permettiamo al karma puro di Amida Buddha di “sommergere”, per così dire, il nostro stesso karma. Tuttavia, noi dobbiamo pazientemente lasciar scorrere la nostra vita con i “debiti” che abbiamo accumulato, e che ci siamo portati dietro fino alla vita attuale, come pure dobbiamo raccogliere le conseguenze di ogni karma sfavorevole che abbiamo  creato durante la nostra vita in questo mondo.

“La luce della purezza è senza paragone,

Quando una persona incontra questa luce,

Tutti i legami del karma decadono;

Perciò, prendi rifugio in Amida, l’estremo riparo.

-                                                                                                                                                                      - Shinran

Si consideri un vasaio che faccia girare la ruota che tiene il suo vaso in continuo movimento. Questo, è proprio come l’energia o la forza con cui noi alimentiamo le nostre azioni non illuminate. La Luce di Buddha che irrompe nella nostra vita - nella forma di shinjin – è come il vasaio che all’improvviso toglie il piede dal pedale della ruota che gira. L’impeto che guida il movimento del vaso viene allora a mancare, ma esso dovrà girare ancora per un po’ prima di arrivare ad arrestarsi completamente. In tal modo, Amida fa una breccia nel nostro guscio spirituale per prosciugare gli effetti postumi di ogni karma avverso che possiamo maturare anche dopo il sorgere di shinjin – karma che continuerebbe altrimenti a tenerci indefinitivamente soggetti al giogo della  trasmigrazione.

“Coloro che ottengono il vero e reale shinjin… ottengono il necessariamente Nirvana….

Ottenere il Nirvana è ottenere l’eterna beatitudine. L’eterna beatitudine è la pace ultima”     

                                                                -   Shinran

Comunque, noi dobbiamo sopportare che il resto della nostra vita rimanga gravata sotto il peso delle nostre imperfezioni umane, sebbene si possa portarle con più leggerezza, dato che si è in attesa del nostro stato finale di liberazione nella Terra Pura.

“Gli esseri che rinascono lì, sono dotati di elevata e splendente saggezza.

Posseggono tutti un’unica forma, senza alcuna differenza…

Sono tutti dotati di corpi composti di Naturalezza, di Vacuità e di Infinito              

                                                           - Sutra del Buddha della Vita Infinita

Quindi, mentre tutti noi siamo costretti a lottare con le stesse prove e difficoltà che la vita ci scaglia contro, la differenza è che le persone con shinjin vivono la propria vita consapevoli di essere immerse  nella luce compassionevole di Amida Buddha, mentre le altre possono solamente trasportare da sole i loro pesi esistenziali, senza alcun sollievo spirituale. La vita con shinjin, è nondimeno soffusa di gioia, nonstante le diverse tribolazioni che si dovrà sopportare in questo mondo.

Amida Buddha non giudica né discrimina. Tutti gli esseri sono stretti nel suo abbraccio ed alla fine otterranno l’illuminazione.

“Riflettendo sul grande oceano di shinjin, io realizzo che non c’è alcuna discriminazione tra nobili ed umili, tra monaci vestiti di nero e laici vestiti di bianco, alcuna differenza tra uomo e donna, tra vecchio e giovane. La quantità di male che uno ha commesso non è tenuta in considerazione, la durata degli adempimenti di pratiche spirituali non ha nessuna importanza. Non è un fatto di pratiche né di buone azioni…, non di pratica meditativa né di pratica non meditativa, non di contemplazione giusta, né di contemplazione sbagliata… non di vita quotidiana, e neppure del momento della morte. Si tratta semplicemente di fede serena che è inconcepibile, inspiegabile e indescrivibile. E’ come la medicina che sradica tutti i veleni. La medicina del Voto di Buddha distrugge i veleni della nostra (personale) sapienza e della nostra stoltezza.        – Shinran

Non tutti possono essere immediatamente liberati, perché le persone si trovano a differenti livelli di sviluppo e di maturità spirituale. Alcuni in questa vita non incontreranno mai Amida Buddha, a causa del loro scetticismo o indifferenza, o perfino dell’aperta ostilità e disprezzo per il Sacro. In ogni modo, essi non sono mai abbandonati, - in verità Amida li incalza senza sosta finché essi non soccombono, come alla fine accadrà, grazie al richiamo misericordioso di Buddha, che ci invita a tentare di liberarci dalle catene della nostra schiavitù spirituale.

Quindi, shinjin è una forma di illuminazione, (in realtà la più alta possibile, per le persone ordinarie)  ma non ci trasforma subito in Buddha durante questa vita. La nostra vita dovrà essere immersa nella luce di Amida, - che è una costante fonte di meraviglia - ma non per questo diventiamo individui perfetti. Noi rimaniamo profondamente umani con tutti i rischi e le ansietà che derivano dall’essere mortali, però la nostra fede nell’Infinito ci sosterrà attraverso le contrastanti incertezze della vita. Ed essa ci consentirà di vivere nel grande reame dello spirito, che non è una qualche astrazione distante o irraggiungibile, ma una realtà che dimora proprio nel mezzo della nostro mondo di tutti i giorni.

 “Gli esseri senzienti che sono consapevoli di Amida Buddha sono come persone che, intrise di incenso, portano sui loro corpi la sua fragranza, e quindi,

essi sono chiamati “quelli adornati con la fragranza della luce”

                            -Sutra del Samadhi dell’Avanzamento Eroico (Surangamasutra)

Così, mentre possiamo lamentarci delle nostre condizioni, o dei danni che possiamo infliggere a noi  stessi ed agli altri, come pure del dolore che a nostra volta sopportiamo, le nostre vite sono arricchite da una gioia viva ed irresistibile che scaturisce dalla presenza della mente di Amida Buddha dentro di noi. Questa mente non rimpiazza la nostra, ma piuttosto, entrambe dimorano insieme, con l’una che costantemente illumina l’altra.

Riconoscendo che nella nostra esistenza c’è ben più che la sofferenza e delusione, ci si può svegliare  ad un livello superiore, da cui siamo in grado di integrare gli effetti delle difficili situazioni mondane che ci causano turbamento. Inoltre, una considerazione più profonda dell’impermanenza della vita e della natura illusoria del nostro ego ci può condurre molto avanti nell’attutire l’impatto dei molti colpi che potrebbero altrimenti causarci una profonda costernazione. Noi non stiamo suggerendo che le nostre risposte umane alle prove della vita saranno in qualche modo attenuate; infatti, esse vengono fortificate dalla forza e dal coraggio che riceviamo dall’aver incastonato le nostre vite nella sicurezza, nella certezza e nella serenità che derivano dall’essere stretti nell’abbraccio di Amida Buddha, proprio come noi siamo. “Proprio come noi siamo”- questo è un punto cruciale. Non ci dobbiamo aspettare di doverci guadagnare questo dono da Amida. Neppure ci si chiede di diventare più intelligenti o più virtuosi, per esserne degni.

 “Poiché siamo posseduti dalle cieche passioni, il Buddha ci accoglie,

senza giudicare se i nostri cuori sono buoni o cattivi.       - Shinran     

Il Voto Originario è tale che esso accetta le persone ordinarie per quello che esse sono, sciocchi e litigiosi esseri senza alcuna speranza di salvare se stessi. Non richiede requisiti morali o intellettuali. Questo è il significato della compassione incondizionata. Tutto ciò che chiede, è che noi accogliamo il Voto Originario nelle nostre vite e lasciarlo lavorare per trasformare  la nostra consapevolezza.

“Nella lunga notte dell’ignoranza, Essa è la torcia;

L’Occhio della saggezza è avvolto dall’oscurità, però non si rattrista.

Nel vasto mare della nascita-e-morte, Essa è la zattera:

Gli ostacoli del karma negativo sono un gran peso, però non addolorano.   - Shinran   

Alcuni potranno replicare che tutto questo ultra-mondano parlare di Illuminazione e Nirvana va bene, ma non sarebbe meglio se noi ci dedicassimo ad aiutare gli altri invece di essere così preoccupati per la nostra liberazione? Beh, non c’è conflitto tra le due cose. Ovviamente, in quanto esseri dotati di moralità, noi cerchiamo, sebbene in modo inadeguato, di aiutare i nostri simili e di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere. Non smettiamo di agire come individui sociali solo perché ci accade di avere aspirazioni spirituali. Infatti, coloro le cui vite sono state toccate dalla luce di Amida Buddha possono ben dimostrare un’accresciuta sensibilità verso le sofferenze del mondo ed essere quindi più naturalmente portati a cercare di alleviarla. Nondimeno:

“Per quanto amore e pietà noi si possa provare in questa vita,

è difficile poter salvare gli altri così come si vorrebbe;

quindi, tale compassione rimane incompleta         - Shinran     

Perciò, ancor più importante del sostegno materiale o emotivo verso gli altri (per obbligatorio che sia, seppur soggetto a notevoli limitazioni) è il dividere con essi l’insegnamento del Buddha, in modo tale da mettere un seme per il beneficio spirituale finale, senza il quale le nostre vite resterebbero senza alcuna direzione.

Infine, ci preme di affrontare un aspetto dottrinale molto importante, che può essersi presentato allorché abbiamo parlato del Voto Originario di Amida Buddha, cioè il riferimento al “Nome” di Amida. Questo concetto rappresenta il punto cruciale della comprensione della pratica del buddhismo Shin. La raison d’etre del Nome nella concezione della Terra Pura, lascia perplessi molti Occidentali che si avvicinano ad essa per la prima volta. In verità, può rivelarsi molto difficile navigare nel labirinto degli insegnamenti della dottrina tradizionale su questo tema, perciò cerchiamo di porre la questione nel modo più semplice possibile.

Nel precedente capitolo, abbiamo dibattuto il fatto che la realtà finale del buddhismo – il Dharmakaya, è senza forma, inconcepibile e totalmente oltre la nostra comprensione. Come possiamo, allora, essere in grado di stabilire un qualche contatto con un qualcosa di così inavvicinabile? Dal punto in cui siamo noi, deve sembrarci una specie di vuoto; e, infatti, una delle parole usate nel buddhismo Mahayana per descriverlo è shunyata, che significa “vuoto” o “vacuità”(assenza). Non perché esso sia qualcosa di non esistente, ma nel senso che è “vuoto” di ciò è limitato, finito o condizionato, in altre parole, ciò che è diverso da tutto ciò che ci è familiare nella vita di ogni giorno.

 “La Talità è vuota perché, fin dalle origini, non è stata mai collegata a un qualsiasi stato contaminato di esistenza; è libera da ogni traccia di differenziazione individuale, e non ha nulla a che fare con i pensieri concepiti da una mente vittima dell’illusione.       

            – Il Risveglio della Fede nel Mahayana (Awakening of Faith in the Mahayana)

Quindi, per divenire manifesta, questa realtà deve assumere una forma attraverso la quale possiamo riconoscerla; altrimenti, rimarrebbe per sempre silenziosa e sconosciuta.

 

Nel buddhismo Shin, il Dharmakaya ci si rivela non solo sotto l’aspetto di Amida Buddha e della Terra Pura che noi troviamo nei Sutra, ma anche – in maniera più dinamica – con il Nome Namo Amida Butsu (in Giapponese), che è traslitterazione dall’originale sanscrito “Namo Amitabhaya Buddhaya”. In realtà, Amida fece il voto che questo “Nome” fosse il mezzo attraverso il quale si sarebbe potuti arrivare a conoscere il Buddha e ottenere la liberazione dalle nostre catene spirituali.

E’ da notare che il “Nome” intero non è semplicemente “Amida”, o “Amida Butsu” (butsu è il termine Giapponese per “Buddha”) ma Namo Amida Butsu. Cosa significa Namo? Namo (variante del termine sanscrito namas) è l’atto di adorazione, il rendere omaggio, il prendere rifugio o l’affidarsi a qualcosa. Il Nome, quindi, ha due significati strettamente correlati. Il primo aspetto è che siamo esortati ad affidarci esclusivamente ad Amida Buddha, che ci dice: “Prendi rifugio in me”.

Quando incontriamo il Nome e pian piano cominciamo a svelare i suoi significati (attraverso lo studio, l’auto-riflessione, l’incontro con un buon insegnante e l’ascolto dei suoi insegnamenti) la verità del Voto Originario di Buddha ci diventa per la prima volta reale. Questo è chiamato “l’ascolto del Nome” che è, esso stesso, l’esperienza di shinjin quando ci svegliamo alla realtà autentica.

La stabilizzazione di shinjin implica da parte nostra una ricerca attiva, e non è solo una questione di un “credo” auto-indotto o di mera speranza. C’è un necessario processo di ricerca finché shinjin non si stabilisca saldamente. Ciò è coerente con la pratica di Shakyamuni stesso, per mezzo della quale egli conduce i suoi seguaci, uno ad uno, alla consapevolezza della verità.

Se noi siamo in grado di “ascoltare” in profondità – non solo con le nostre orecchie, ma con tutto il nostro essere -  arriveremo a renderci conto che il Voto Originario è diretto a noi personalmente, nel bel mezzo della nostra agitata vita. In realtà, è spesso in momenti di terribili crisi o di angoscia che si può essere in grado di sentire più chiaramente questo richiamo.

“Poiché il potere del Voto è senza limiti,

Perfino il nostro karma negativo, così cupo e pesante, è non gravoso

Poiché la saggezza di Buddha è senza confini,

Perfino i confusi ed i caparbi non vengono abbandonati. - Shinran   

Allo stesso tempo, facciamo esperienza dell’altro aspetto di questa realizzazione – la consapevolezza che il Voto Originario ci accoglie “nel bene e nel male”, senza tener conto delle nostre trasgressioni e ci conduce alla Terra Pura. Arrivare a questa comprensione, è avere una manifestazione di gioia, di sollievo e di gratitudine, espressa nella nostra invocazione del Nome - Namo Amida Butsu - che, in questo caso, ha il significato di “Prendo rifugio in Amida Buddha”, in risposta all’originario richiamo del Buddha verso di noi.

Namo Amida Butsu’ significa anche la fondamentale unità tra noi (rappresentata da Namo) e Amida (Amida Butsu). Non è proprio una vera “identità” ma, nel pronunciare il Nome, le due parti diventano indissolubilmente ‘unite’. L’invocazione del Nome di Amida, come diretta espressione di shinjin in noi, è conosciuta come il nembutsu. In origine, il termine significava ‘contemplare’, o l’atto di riflettere sul Buddha; ma, gradualmente, è arrivato anche ad includere la recitazione del Nome, quando eseguita in uno stato di consapevolezza piena di fede e di fiducia. Il nembutsu, quindi, è la personificazione – il segno palese e distinguibile - del nostro shinjin. Non è un mantra da dover usare come sistema per procurarsi  benefici spirituali.

Secondo Shinran, poiché la realizzazione di shinjin è il risveglio della mente di Amida Buddha dentro di noi, il nembutsu evocato con questa consapevolezza in realtà è l’azione di Amida che attraversa tutto il nostro essere ed emerge dalle nostre labbra come Namo Amida Butsu. Quindi, il nembutsu è la viva voce del Buddha Eterno che afferma la sua presenza nel nostro mondo di sofferenza. Visto in questo modo, Amida diventa l’impeto che sta sotto ogni autentica enunciazione del suo Nome. Ecco perché Shinran afferma:

                 “Grande pratica è pronunciare il Nome del Buddha della Luce Inostacolata”.

In altre parole, la “grande pratica” non è un qualcosa che facciamo noi, non appartiene a noi, ma ad Amida Buddha. Nel nembutsu, che ha la sua fonte nell’ “Altro Potere”, noi riceviamo le virtù di Amida che permeano il nostro corpo e la nostra mente ad ogni invocazione. In tal modo, Amida Buddha trasmette a noi l’energia spirituale del Nirvana, e con essa, la forza che ci spinge verso la Terra Pura.

“Amida Buddha attira gli esseri con il suo Nome. Così, quando lo ascoltiamo con le nostre orecchie  e lo pronunciamo con le nostre labbra, elevate virtù senza limiti afferrano e pervadono i nostri cuori e le nostre menti. Esso diventa sempre dopo il seme della nostra buddhità.    – Shinran

A tal riguardo, la nostra ricezione del potere di Amida è completamente passiva, perché non c’è nulla che possiamo aggiungere ad esso. Il nembutsu diviene il veicolo attraverso il quale la presenza di Amida riempie il nostro essere con la luce della saggezza e trasfigura la nostra personalità.

La mera recitazione del nembutsu, senza la corrispondente realizzazione di shinjin è infruttuosa, perché essa ha le sue basi nella instabile e oscillante fede dell’individuo che continua ad avere dubbi sull’efficacia del Voto Originario. Tuttavia, anche coloro che praticano con un attitudine di “potere di sé (ego)”, nella speranza di ottenere shinjin, sono accolti nell’abbraccio di Amida. Molte persone si incamminano, timidamente, sul sentiero attraverso la semplice recitazione del nembutsu, o tentando di fare la meditazione, o di compiere buone azioni, senza alcuna profonda convinzione o percezione della presenza di Amida.

Nondimeno, anche questi passi iniziali sono stimolati dal lavoro compassionevole di Amida Buddha e quindi non possono essere semplicemente accantonati come mere azioni dettate dal “potere di sé” (ego). Queste persone possono riuscire a cogliere, seppur attraverso i limiti che incontrano in queste pratiche, l’“Altro Potere” che sostiene l’esperienza di shinjin. Infatti, ogni forma di pratica devozionale tesa all’illuminazione, (sedere in meditazione, praticare il tantra, le visualizzazioni e così via) ha la potenzialità di essere trasformata nella consapevolezza della funzionalità del Buddha che sta agendo attraverso di essa.

Il singolare contributo di Shinran al pensiero spirituale fu la fondamentale intuizione che la pratica autentica è qualcosa che ci viene elargita. Solo la realtà suprema può effettuare la pratica, per così dire, con il necessario grado di purezza e perfezione. Tutto ciò che a noi rimane da fare, quindi, è di riconoscere la nostra inadeguatezza a contribuire in qualche modo alla funzionalità di Amida Buddha  e accettare semplicemente ciò che ci è offerto senza condizioni.

“La fede non sorge dall’interno del proprio ‘sé’:

Il cuore fiducioso ci proviene dall’“Altro Potere”   - Rennyo

Questo può sembrare strano, come fosse una specie di defezione dal buddhismo “standard”, ma è una conclusione perfettamente logica, partendo dalla fondamentale premessa del buddhismo riguardo alla natura intrinsecamente precaria e simile-ad-un-sogno del sé convenzionale. Nel buddhismo Shin, si fa capire che, da questo sé, non può nascere nulla che possa condurre alla genuina illuminazione.

Quindi, nonostante il diffuso errato malinteso, non è affatto vero che il buddhismo Shin non tenga in conto la pratica. Al contrario, esso richiede che la pratica sia totalmente priva di illusioni e debolezze umane per essere veramente efficace. L’unico modo in cui questa condizione può essere realizzata è  che noi si accetti – in totale umiltà - il fatto di essere davvero incapaci di unione con l’Infinito fintanto ché ci basiamo sulle nostre misere capacità, che chiaramente non sono proprio commisurate ad una simile meta.

Dobbiamo completamente arrenderci all’autentica pratica applicata attraverso il nembutsu, mediante il quale la saggezza onnipervasiva e la compassione di Amida Buddha sono impartite su di noi. Una volta che abbiamo accettato con onestà questo stato di cose come nostra unica alternativa - alla luce della desolante realtà della nostra difficile condizione umana -  la nostra risposta potrà essere solo la spontanea e naturale ripetizione del nembutsu nel gioioso riconoscimento del nostro destino finale.

 “Il sacro nome di Amida va oltre ogni misura, descrizione e comprensione concettuale. E’ il Nome del Voto che porta in sé grande amore e grande compassione, che conduce tutti gli esseri senzienti al supremo Nirvana… Il Nome si diffonde universalmente attraverso tutti i mondi delle dieci direzioni e guida tutti alla pratica degli insegnamenti del Buddha. - Shinran

Il nembutsu è la “pratica donata” di Amida Buddha che ci è costantemente indirizzata ed in cui si può prendere rifugio in ogni momento. Spesso, il nembutsu arriva a noi spontaneamente nei momenti di euforia o di disperazione. E’ lo stesso Amida che ci dichiara: “Io sono sempre con voi”. Questo ci dà la fiducia, la forza e la tenacia di sopportare le sventure e le frustrazioni della nostra vita. La luce del Buddha ci offre la base per una vita di libertà: libertà dalle emozioni abitualmente corrosive, libertà dalla debilitante concentrazione su di sé, libertà dall’opprimente senso di colpa, libertà dal trauma  delle nostre vite spezzate, e libertà di vivere, proprio qui e ora, in un reame superiore che è in grado di nutrire e ravvivare la nostra esistenza.

“Non disprezzate voi stessi senza scopo, non fiaccate il vostro cuore e non dubitate della saggezza di Buddha, che va oltre ogni comprensione concettuale…. solo la mente della fede è essenziale. Non è necessario prendere in considerazione nient’altro. - Shinran

L’accusa che il buddhismo Shin ignora la meditazione ed è quindi escluso dall’essere un vero e proprio sentiero buddhista, merita una risposta. Se con la meditazione s’intende un corso formale di pratiche prescritte tese ad eliminare i nostri stati mentali negativi, così da poter ottenere una inappuntabile personalità e superare i nostri difetti umani, allora bisogna dire che coloro che seguono il buddhismo Shin non meditano, dato che essi rifiutano proprio il presupposto che le pratiche basate sulle azioni incentrate sul sé non possano mai negare il “sé”. In realtà, perseguire il tanto desiderato obiettivo dell’illuminazione, in questi termini, è considerato impossibile, se non dannoso.

Se, d’altronde, attribuiamo alla meditazione il senso di coltivare straordinari poteri di concentrazione  che ci rendono capaci di sperimentare (sebbene in modo fugace) sublimi stati trascendenti di assenza di un sé personale, allora diciamo ancora no, i seguaci dello Shin non osservano tali pratiche, o perché queste prodezze sovrumane sono aldilà delle loro capacità, o perché, cosa più importante, essi non le considerano utili per migliorare la loro vita spirituale. Questo tipo di esoterici passatempi possono spesso portare a un certo insalubre livello di competizione tra i praticanti, che non tengono nella giusta considerazione i dettami buddhisti riguardo alle furberie ed ai sotterfugi dell’ego.

Tuttavia, se ci viene chiesto se il buddhismo Shin sia un sentiero contemplativo, nel senso di uno stato di naturale concentrazione di Amida Buddha, in cui noi siamo portati ad una consapevolezza più forte e più ampia, dimorante in una fede piena di gioia che rasenta l’eternità, unita ad un forte desiderio di condividere questa realizzazione con tutti gli altri, allora la risposta è: “Sì, senza dubbio”. Forse essa è una forma particolare di meditazione, ma è gioiosa, libera da preoccupazioni, leggera e fortificante, non è il fine per uno scopo. Essa non è altro che la libera espressione di una vita immersa nello splendore dell’Infinita Luce di Amida.


 

 

CAPITOLO  4°

 

La GIOIA nel mezzo dell’OMBRA

 

La luce della compassione ci illumina sempre e l’oscurità della nostra ignoranza

è già stata interrotta. Eppure le nuvole e le nebbie dell’avidità, del desiderio,

della rabbia e dell’odio oscurano sempre il cielo della vera fede. Ma benché

la luce del sole sia velata da nuvole e nebbie, sotto di esse continua ad esserci la luminosità.   

                                                                                       - Shinran

 

Ora, rivolgiamoci alle dimensioni più pratiche del buddhismo Shin nella vita di tutti i giorni, con cui intendiamo suggerire come alcuni temi trattati nel libro possano avere una più ampia applicazione in aspetti come la moralità, la nostra vita emozionale e l’esperienza della bellezza.

Cominciamo con una considerazione sulla moralità. La prima cosa  che deve essere sottolineata è che lo Shin non è di sicuro indifferente alle preoccupazioni etiche, nonostante le affermazioni riguardanti la sua sfavorevole visione della natura umana. Come tutti i buddhisti, i seguaci dello Shin fanno tesoro degli insegnamenti di Shakyamuni come trasmessi nelle Quattro Nobili Verità, nell’Ottuplice Sentiero e nelle Sei Perfezioni (Paramità)[4]. Essi si sforzano, come tutti i buddhisti sinceri, di vivere secondo questi principi al meglio delle loro capacità, riconoscendo che l’onorarli ed osservarli favorisce un mondo più pacifico e con maggiore senso di amorevolezza.

Neanche a dirlo, noi, cercando di vivere innalzandoci a quei livelli, falliamo spesso miseramente ed è questo il motivo per cui ci troviamo in vite piene di corruzione, depravazione, egoismo ed arroganza. Comunque, anche coloro che sono più dolorosamente consapevoli di come siamo lontani dal vivere una vita veramente virtuosa, per questa sola ragione, non suggerirebbero mai che i principi ai quali si attengono in modo così imperfetto dovrebbero essere disprezzati.

Ovviamente, il fatto di provare rincrescimento per l’incapacità di agire bene come vorremmo, non significa che noi siamo del tutto incapaci di qualsiasi bene, o di ciò che gli altri considerano “bene”. Questa specificazione è necessaria perché azioni che sono apprezzate dagli altri in quanto ammirevoli sotto l’aspetto morale, non sono sempre considerate così da chi le pone in essere. Perciò, azioni che sono talvolta considerate assolutamente lodevoli da chi le osserva, potrebbero essere, nella realtà,  motivate dal più profondo interesse della persona che si sta lodando. Essa, per esempio, potrebbe essere spinta dal desiderio di essere in sommo grado considerata o apprezzata dai suoi simili, o forse per placare un senso di colpa riguardo a qualcosa, o per evitare una censura o una umiliazione per il fatto di non fare ciò che in particolari circostanze ci si aspetta da una “brava persona”.

Ad ogni modo, noi siamo anche consci di istintivi e sinceri atti di gentilezza che non sembrerebbero studiati o dettati dal cinismo. Di solito, questi sono eccezioni, perché vanno spesso contro il proprio vantaggio. Tali comportamenti, allora, sembrano sgorgare da una sorgente più profonda, che non dai nostri bisogni centrati su noi stessi, o dalle esigenze delle convenzioni sociali. In quei casi, quando il nostro “piccolo-sé” è temporaneamente sospeso, o tenuto in disparte, siamo in grado di osservare   sinceri e spontanei esempi di compassione: compassione che ha la sua fonte nella stessa Natura-di-Buddha che risiede profondamente immersa in ciascuno di noi e che – come abbiamo visto – si manifesta attraverso la nostra esperienza di shinjin. Questo, ci dà un’importante indicazione sulla natura dell’etica morale e la sua relazione con la religione.

Il valore morale non si ascrive all’agire in mera virtù della sua approvazione da parte dell’autorità religiosa. Noi apprezziamo certi comportamenti perché, in modo intuitivo, vi riconosciamo la scintilla di qualcosa che è superiore all’individuo e al suo interesse personale; qualcosa di realmente luminoso ed universale.

L’esperienza sembra confermare che i veri atti di purezza morale, rari quanto sorprendenti, non sono mai considerati tali da chi li compie. Queste persone sono così dimentiche delle loro virtù, o forse, esse vedono la loro inadeguatezza in modo così chiaro, da essere convinte che nessuna bontà può essere possibilmente trovata dentro di loro - che, in un certo senso, può essere ben considerato vero, dato che la bontà autentica che gli altri vedono, ha la sua origine altrove. Questo indica che la compassione è l’essenza dell’etica morale e che la vera compassione non può essere sperimentata se non attraverso ciò che la rende possibile in prima istanza – la saggezza nella quale si rivela la nostra profonda connessione  con tutti gli esseri umani come manifestazione di un’unica infinita realtà. 

“Poiché tutti gli esseri senzienti, senza eccezioni, sono stati nostri genitori, fratelli e sorelle nel corso di innumerevoli vite nei molteplici stati dell’esistenza.             - A Record in Lament of Divergences

 

La moralità, in definitiva, deve avere la sua base nella realizzazione spirituale; altrimenti fluttuerà secondo il gusto o i costumi, senza avere una forza vincolante sulle nostre vite o quelle degli altri. Le azioni genuinamente etiche, quindi, sono fini a se stesse. Non dovremmo osservare i principi morali allo scopo di favorire i nostri interessi, o per essere ricompensati - ciò sarebbe perverso. Per quanto possibile, la nostra vita morale deve essere libera, senza calcoli e quasi inconsapevole, anche se nello stesso tempo è compenetrata e sostenuta dalla nostra consapevolezza della compassione che Amida Buddha prova verso di noi.

Il comportamento umano, ovviamente, è intrinsecamente complesso e ambiguo, e condurre una vita spirituale non implica, necessariamente, avere chiarezza di tutti i problemi etici, se non altro perché i fatti stessi non ci sono sempre chiari. Quindi, dovremmo distinguere i casi di gentilezza veramente spontanea  da quelli in cui fare la cosa giusta dipende dal conoscere le vere circostanze in cui siamo, al di là di qualunque guida che possiamo trovare dalla nostra “luce interiore”.

Da una prospettiva buddhista, tuttavia, la suprema considerazione dev’essere data ad ahimsa, che è il principio di astenersi dal causare sofferenza o danno a nessuna creatura vivente. Eppure, noi spesso non riusciamo a rispettare quest’importantissima ingiunzione con le sofferenze che spesso infliggiamo agli altri esseri (inclusi quelli appartenenti ai livelli più bassi) – non necessariamente per malizia, ma semplicemente per abissale ignoranza o per confusione emotiva. La nostra natura umana confusa ci consente raramente un chiaro sentiero in questa sfera della vita (o, in realtà, in qualsiasi questione di cuore).

Tornando alla questione della moralità e della religione, dovrebbe essere chiaro che specifici esempi di ciò che viene considerato come condotta etica non producono alcuna prova che dietro di essi vi sia un impeto religioso. Sovente, noi indossiamo delle maschere per nascondere i motivi più oscuri e non dovremmo mai dare per scontato che qualcuno le cui azioni appaiono irreprensibili sia una persona  di elevata visione morale. Potrebbe facilmente essere che tali persone siano ipocrite o che alberghino desideri orribili, pronti a manifestarsi attraverso i loro atti.

Persino il quintessenziale esempio spesso presentato come il supremo sacrificio di se stessi – quello che sorge dall’amore materno - non è sempre ciò che sembra. La pulsione innata di una madre di proteggere il suo bambino non è estesa di solito agli altri bambini. Dopo tutto, il figlio è una naturale estensione del suo stesso essere e della sua vita e, quindi, una espressione del suo attaccamento (in termini di ciò che il figlio significa per l’identità della madre). Una visione realmente compassionevole  - di cui le persone ordinarie sono semplicemente incapaci  - considererebbe tutti gli esseri viventi con lo stesso tipo di preoccupazione.

“Il riguardo del Buddha per tutti gli esseri viventi, con l’occhio della compassione, è equanime,

come se ciascuno fosse l’unico figlio del Buddha                 --  Genshin

L’esperienza di ShinJin può avere implicazioni vitali per il nostro modo di vivere. Consapevoli della vera natura, alla luce della saggezza di Amida Buddha, del nostro sé non-illuminato, gli eccessi peggiori del nostro ego possono essere visti chiaramente e, in molti casi, attenuati. Benché il nostro attaccamento possa essere ancora presente, il riconoscere la sua natura venefica ci porta ad ottenere una certa misura di sobrietà in relazione ad esso, come pure a mantenere una certa distanza dai suoi trabocchetti, aiutandoci così ad alleviare “il fuoco ardente” delle nostre cieche passioni. Così facendo,  percepiremo un acuto senso delle nostre carenze morali – non importa ciò che gli altri possano pensare di noi -  poiché siamo diventati sensibili alla purezza della luce di Buddha, al cui contrasto i nostri penosi difetti divengono ancora più accentuati.

Questo però non deve essere causa di alcun senso di colpa o auto-disprezzo. Piuttosto, la nostra istintiva risposta dev’essere di rammarico, rimorso, o profonda riflessione sull’impatto delle nostre azioni, spesso sconsiderate e dannose. Preferiamo parlare di “rammarico” e non di “colpa”, a causa delle nostre inevitabili imperfezioni e dell’innata fragilità degli esseri umani. Persone prive di questa visione possono essere inconsapevoli del loro negativo impatto nel mondo, convinte come sono della loro onorevolezza e rettitudine in tutte le cose.

Per questo il buddhismo Shin, con la sua visione cruda, onesta e intransigente della natura umana,  afferma che l’irreprensibilità morale - ammesso che sia mai esistita tra i comuni mortali - non è in alcun modo un prerequisito per condurre una vita spirituale. Cercare di rendere perfetto ciò che è inerentemente viziato è alquanto futile, ed insistere in questo può solo causare grave danno.

Detto ciò, dobbiamo ammettere la possibilità che il comportamento autenticamente benevolo possa manifestarsi in una persona, nonostante lo smarrimento e la perplessità a cui noi tutti siamo soggetti. Questo è paragonabile all’autentico nembutsu, che è esclamato dalle profondità del nostro essere – qualcosa per cui non possiamo vantare alcun merito e che spetta di diritto solo al Buddha.

Tali conclusioni hanno portato i critici a credere che lo Shin abbia un atteggiamento lassista, rispetto alla condotta personale, in virtù della convinzione che – poiché per la nostra evoluzione spirituale è sufficiente “shinjin” –  la condotta immorale non è un ostacolo all’ottenimento del Nirvana. Forse le parole finali su questo argomento dovrebbero spettare a Shinran:

“Resi folli oltre ogni controllo dalle cieche passioni, facciamo cose che non dovremmo fare, diciamo cose che non dovremmo dire, pensiamo cose che non dovremmo pensare. Ma se una persona è falsa  nelle sue relazioni con gli altri, facendo cose che non dovrebbe fare e dicendo cose che non dovrebbe dire perché crede che ciò non sia di ostacolo alla sua rinascita (nella Pura Terra), allora questo non è un esempio di ciò che significa essere resi folli dalle passioni. Dal momento che uno fa di proposito queste cose, esse sono semplicemente azioni sbagliate che non dovrebbero mai essere compiute.

“Prima voi eravate ubriachi dal vino dell’ignoranza, ed attratti solo dai tre veleni dell’avidità, rabbia e ignoranza; ma da quando avete iniziato a sentir parlare del Voto di Buddha, gradualmente vi siete destati dall’ubriacatura dell’ignoranza, pian piano avete rifiutato i tre veleni e, costantemente, avete cominciato a preferire la medicina di Amida Buddha.

“Ed in verità è triste cedere agli impulsi con la scusa che per natura si è preda delle cieche passioni – giustificando atti che non dovrebbero essere commessi, parole che non dovrebbero essere emesse e pensieri che non dovrebbero essere nutriti – e dire che si dovrebbero in qualsiasi modo perseguire i propri desideri. E’ come offrire più vino a chi è diventato sobrio, o spingerlo ad assumere ancor più veleno prima che esso sia stato smaltito. “Eccoti la medicina, così puoi bere tutto il veleno che vuoi” – parole come queste non dovrebbero essere mai dette.

“In persone che hanno da tempo udito il Nome di Buddha e recitato il nembutsu, ci sono sicuramente i segni del rifiuto dei mali di questo mondo e segni del loro desiderio di eliminare il male in se stessi.”

 

Passiamo ora al problema della nostra vita emozionale. Mentre molti sono capaci di minimizzare le loro emozioni o di non dar loro troppa importanza, è ben chiaro che una scarsa attenzione a questo aspetto della nostra vita può avere un effetto negativo sul nostro benessere. Non solo, ma una vita di emozioni che in qualche misura sia all’oscuro della realizzazione spirituale può solamente accrescere i problemi che le emozioni soppresse o non controllate possono causare nelle nostre vite. Benché non sia, forse, immediatamente ovvio, il risveglio di shinjin può vivificare la dimensione emozionale della nostra esistenza. Venire a contatto con la realtà di Amida Buddha ci rende in grado di vedere la vera fonte di tutte quelle cose a cui noi diamo valore nelle nostre relazioni con gli altri, come l’amore, la tenerezza, l’affetto e la fiducia. Di solito, mentre questi sentimenti possono venir meno e provocare sofferenza a causa di offese o debolezze, tuttavia essi rivelano che noi abbiamo un bisogno profondo di calore, accettazione e comprensione. E tali bisogni, normalmente, nella nostra vita restano spesso insoddisfatti.

Talvolta noi percepiamo che la nostra felicità dipende dallo stare con una particolare persona, o dall’ avere certi tipi di amicizie. Quando non riusciamo ad avere tali persone nella nostra vita, o quando esse ci abbandonano, siamo sopraffati dal risentimento o dal dolore. Cerchiamo di rammendare come meglio possiamo i nostri cuori infranti, ma potremmo essere portati ad abbandonare del tutto la ricerca di un soddisfacimento emotivo.

Le nostre emozioni sono notoriamente complicate e sconcertanti, e spesso soggette a contraddizioni che non possono essere facilmente risolte. Sono caotiche, eppure sono parte integrante di ciò che ci rende umani. Cerchiamo di soddisfare i nostri bisogni emotivi in tanti modi, ma spesso ci troviamo a brancolare nel buio. Talvolta sentiamo di aver perso l’orientamento e di aver bisogno di una qualche bussola che ci aiuti a trovare la nostra vera destinazione nella vita. Il non riuscire in questo ci può causare panico ed ansia. E’ triste e profondamente commovente il fatto che molti vadano nella tomba con una vita emotiva mutilata e insoddisfatta: maltrattati, confusi e delusi.

Di certo, tutti siamo in grado di sperimentare momenti di esultanza emotiva, ma sfortunatamente, essi non sono né stabili né duraturi. Lo stesso evento che ci ha dato così tanto piacere o eccitazione una settimana fa, oggi potrebbe farci nausea. A meno che non siano basate su un qualcosa di più profondo, le nostre emozioni possono diventare instabili ed incostanti; ed inoltre possono essere facilmente infiammate da rabbia, paura, invidia o gelosia.

La fondamentale difficoltà dell’essere umani si riflette spesso nel tumultuoso mondo senza regole delle nostra vita emotiva. Può un così potente bisogno di ciò che promette un’appagante vita emotiva essere basato solo su un capriccio del temperamento o condizionamento umano? Questi impulsi sono semplicemente ciechi ed incomprensibili, destinati a non essere mai soddisfatti? Cosa si nasconde veramente sotto il nostro desiderio di ricchezza emotiva?

Queste domande ci riportano alla discussione del primo capitolo, dove abbiamo parlato del significato del nostro desiderio in relazione ad una realtà spirituale. Può, il nostro essere in contatto con questa realtà, avere attinenza anche con la nostra salute emotiva?

“La luminosità della Luce Inostacolata del Buddha

Alimenta le luci della purezza, della gioia e della saggezza,

Il suo virtuoso operare oltrepassa la comprensione concettuale,

Perché beneficia tutti gli esseri delle dieci direzioni.   - Shinran

Shinran poi commenta questo inno nel modo seguente:

- Inostacolata: non impedita da un karma negativo e dalle cieche passioni

- Purezza gioia e saggezza: poiché la Luce ci salva dall’avidità, essa è chiamata “purezza”, poiché ci salva dalla rabbia è chiamata “gioia”, poiché ci salva dalla stolta ignoranza è chiamata “saggezza”.

 

Chi è che può negare che gran parte della nostra energia emotiva sia intrisa di avidità, rabbia e stolta ignoranza. Per quanto si tenti di stabilire delle relazioni significative e gratificanti, noi scopriamo che esse possono essere minate dalle “cieche passioni”. Eppure, andiamo avanti imperterriti,– nei nostri momenti più nobili – protesi a cercare “purezza, gioia e saggezza” nelle nostre relazioni con gli altri.

Nella ricerca di ricompense emotive, noi continuiamo a concentrarci su ciò che possiamo ottenere per noi stessi, mirando a servire i nostri bisogni e interessi più pressanti. Certo, fare così è naturale, ma dobbiamo stare attenti alle sgradevoli limitazioni del vivere in questo modo.

In quanto reale essenza di tutti quei valori che cerchiamo nella nostra ricerca emotiva, Amida Buddha  può fornirci una base stabile e duratura di un benessere interiore durante tutta la vita: qualcosa che noi cerchiamo in tanti modi diversi ma che, spesso, si realizza in modo imperfetto ed in modi che appaiono misti a sofferenza.

Questo non significa che dobbiamo rifiutare le nostre gioie mondane a causa della loro tendenza a venir meno alle nostre aspettative. Al contrario, solo facendo esperienza dell’intera gamma di cui è capace l’amore umano, saremo in grado forse di risvegliarci ad un amore più profondo, che è alla base di tutti gli altri e li unifica, dando ai nostri affetti ordinari una dimensione più ricca, che li rende più vivi e li fa brillare di una radiosità che va ben oltre le nostre meschine infatuazioni, assai spesso auto-assorbite.

La pura luce di Amida Buddha può raffinare le nostre emozioni ordinarie e il tumulto che le alimenta, permettendoci di vedere che i più profondi desideri del nostro cuore possono essere completamente appagati da questa realtà immortale, tramite la quale tutte le speranze e i desideri sono consumati in modo perfetto e tutti i conflitti risolti. Questa non è una fuga dalla realtà. E’ una vera illuminazione, con la saggezza di Buddha, della confusione in cui viviamo le nostre consuete vite ordinarie.

 “Perfino quando facciamo del male, se veneriamo ancor più profondamente il potere del Voto, in noi sicuramente sorgeranno gentilezza di cuore e tollerante pazienza attraverso il suo spontaneo agire.  

                                                                                – A Record in Lament of Divergences

 

In pratica, questo significa che dovremmo cercare di alimentare le tracce della luce di Buddha nel mondo dovunque le troviamo, in tutti gli atti di devozione o nelle bramosie che animano e danno uno scopo alle nostre vite, ma in modo tale da riconoscerne i limiti cui sono sottoposte e la loro tendenza ad andare fuori-strada.

La luce di Amida pervade la nostra vita, anche quando siamo alle prese con le passioni più terribili. Per quanto le nostre gioie e gli affetti umani possano esserci preziosi, – condividendo qualcosa della beatitudine del Nirvana (poiché non hanno altra origine) – non possono soddisfare completamente i nostri più profondi bisogni umani, di essere accolti e accettati incondizionatamente, che esattamente  è ciò che Amida promette di fare per tutti gli esseri.

“Gli esseri senzienti che hanno in mente unicamente Amida Buddha… sono costantemente illuminati dalla luce del cuore di Buddha, abbracciati e protetti, mai abbandonati …..        – Shan-tao

In questo modo, possiamo ricavare profonda consolazione dal fatto che, nei momenti sia di allegria che di tristezza, la benefica presenza di Buddha è costantemente a nostra disposizione. E quando i nostri desideri sono frustrati o ostacolati, possiamo prendere rifugio nella Luce Infinita, che in primo luogo li ha alimentati, che li illumina dall’interno e può anche portarci oltre essi stessi. Perfino quando tutte le cose che il mondo può darci ci vengono irrimediabilmente strappate via, noi avremo sempre questa luce che splende nei nostri cuori. Questa luce non può esserci mai tolta.

Il nostro argomento finale accenna ad un altro aspetto del buddhismo “applicato”, che spesso viene trascurato in un clima spirituale dominato da un interesse esclusivo per l’etica e per la meditazione. Benché possa sembrare un po’ fuori moda, la considerazione del ruolo della bellezza nella nostra vita è essenziale per garantire un’esistenza veramente gratificante.

“Si racconta che Ananda, l’amato discepolo del Buddha, una volta salutò il suo maestro e gli disse.

“Metà di una Santa Vita, Maestro, è l’amicizia per la bellezza, associarsi con la bellezza, essere in comunione con la bellezza!”- “Non dire così, Ananda, non dire così!” replicò il Maestro “Non è la metà di una Vita Santa. E’ tutta la Vita Santa!”                - Samyutta Nikaya

Tra le dure realtà del nostro stressante, esigente e competitivo mondo, noi dobbiamo far spazio alla parte estetica che può apportare freschezza, luce ed armonia nelle nostre vite indurite. Nel dire questo, chiaramente noi non ci riferiamo a mere questioni di gusto, ma a qualcosa che, in definitiva, è imperituro e liberatorio. La bellezza ci dà respiro dalle nostre visioni limitate, dalla mediocrità delle nostre insipide ossessioni, e dal disordine caotico dei nostri cervelli iperattivi nonché delle pulsioni incontrollate. Essa ci fornisce anche un prezioso rifugio dalla raffica di fastidioso rumore e bruttezza che così tanto deturpa la vita moderna.

La presenza della bellezza è la realtà del supremo Dharmakaya che irrompe nel nostro mondo di forme, è la beatitudine del Nirvana che si protende su di noi e ci sussurra qualcosa della sua essenza.

“L’intrinseca natura della bellezza deve essere correlata a Ciò che è eterno…, al mondo del sacro…. Fede e Bellezza sono solo differenti aspetti della Realtà Assoluta…. una manifestazione dell’Ultimo… La Vera bellezza è la forma della “Talità”           - Yanagi

Questo è dimostrato dal fatto che le nostre più forti impressioni della bellezza imprimono un senso di serena felicità che può trasformare e rinnovare la nostra vita. Diventiamo aperti ad un reame più alto dell’esistenza – qualcosa che è percepito come divino – proprio in mezzo a questo mondo.

Come abbiamo già visto, le descrizioni della Terra Pura nei sutra sono piene di riferimenti estetici. Al fine di trasmettere un accenno della beatitudine del Nirvana, al lettore viene offerto un assortimento mirabile di immagini, colori, fragranze, piaceri tattili e suoni. In realtà, Shinran dà ad Amida Buddha il nome di “Musica della Purezza”, nel seguente inno sulla Terra Pura:

“Il delicato, meraviglioso suono degli alberi di gioielli, nella foresta dei gioielli,

produce una musica naturale, serena ed armoniosa,

insuperata in finezza, pathos, grazia ed eleganza.

Perciò, prendete rifugio nella Musica della Purezza”

Non dobbiamo dimenticare che mentre Amida Buddha è rivelato ai nostri cuori attraverso l’esperienza di shinjin, questo non è l’unico modo in cui l’Infinito si rivela. Poiché permea tutta la realtà, la luce di  Amida cerca di raggiungerci in ogni modo immaginabile, perfino attraverso le esperienze più umili e  non particolari: l’incantevole sorriso di un bambino, un commovente adagio di Bach, l’andatura regale di un leone, un tramonto mozzafiato sulle montagne coperte dalla neve, l’evocativo suono degli alberi accarezzati dal vento, il timore indotto da un oceano in tempesta, il canto melanconico di un uccello, o lo sguardo pieno di desiderio dell’amato.

Tali incontri - che noi tutti abbiamo fatto in qualche modo - ci pressano ad entrare nel mondo della bellezza estetica, nel vero senso della parola, che fa appello non solo ai nostri sensi fisici, ma anche ai nostri sentimenti: ciò che noi percepiamo nei nostri cuori e come reagiamo emotivamente. Queste esperienze ad ampio raggio sono invariabilmente descritte come “belle” – ma cosa veramente significa questo? Molti pensatori ignorano semplicemente l’idea come una cosa non avente una realtà oggettiva, un fenomeno che è del tutto personale e che riflette soltanto una fantasia individuale. In ogni modo, chiunque abbia avuto un irresistibile incontro con la bellezza, la pensa in un altro modo.

Quello che sentiamo, infatti, è che noi abbiamo avuto il privilegio di un’esperienza più grande di noi, e che ci mette in contatto con qualcosa di sublime, misterioso e ineffabile: un senso di rapimento che nessun riduzionismo biologico può banalizzare o sminuire. In queste esperienze vi è la prova che, tra le incertezze e le perplessità del mondo, possiamo essere avvolti dalla calma e dalla beatitudine che la bellezza è in grado di elargirci: una grazia che non ci aspettiamo e che non sentiamo di meritare. Eppure questo è un altro modo di vivere nella presenza qui e ora di Amida Buddha.

L’impatto delle nostre più forti esperienze estetiche si imprime su di noi così che questo non è solo un’altra illusione o una creazione della nostra mente. L’irresistibile natura della bellezza non può che ispirare in noi la sensazione che essa è permeata di realtà suprema – Infinita Luce e Vita. L’intensità, la passione e l’amore che  proviamo di fronte alla bellezza sono, come giustamente capì Platone, un riflesso nei nostri cuori del desiderio struggente che noi abbiamo per l’unione con questa realtà.

Tutto ciò suggerisce il fatto che l’aspetto estetico e l’aspetto spirituale sono intimamente connessi; in realtà, ciascuno riflette ed alimenta l’altro. Onorando la bellezza nel mondo, possiamo integrare – nella maniera più immediata – la vita di Amida Buddha direttamente nella nostra vita. La bellezza ci unisce, molto più della moralità, al cuore profondo delle cose, e non è la contemplazione spirituale della bellezza una potente meditazione in se stessa?


 

EPILOGO

 

Dovunque io vedo fiorire in profusione fiori di ciliegio

Aumenta il mio desiderio per l’Altra Sponda…   -  Rennyo

 

E' ora che ci togliamo la stantìa opinione di un Buddhismo come sorta di razionalismo dogmatico ed arido, privo di calore e devozione; l’errata convinzione che il suo obiettivo sia semplicemente quello di promuovere lo 'sviluppo' del singolo individuo per mezzo di pratiche volte a privarci di tutto ciò che ci rende persone reali. Questo è un parodiare i suoi insegnamenti e non rende giustizia alla ricca e sconcertante complessità dell'esperienza umana.

Il Sentiero Buddhista cerca di immergerci in un tremendo mistero caratterizzato da durevole pace e serenità, una serenità che non è di questo mondo. Esso ci porta anche a scoprire la nostra identità reale, che esige che noi si abbandoni tutto ciò che siamo al regno dello spirito, che è oltre la nostra comprensione immediata, oltre i nostri meschini schemi per il guadagno personale, e aldilà del nostro auto-inganno che si imprigiona a vacui sogni.

Non dobbiamo temere di tuffarci in questo ignoto: i tesori si trovano in fondo al mare, non dispersi sulla sua superficie. La vera conquista di sé non può essere ricercata nella sua incessante coltivazione ma nel suo gioioso, abbandono attraverso la infallibile conoscenza di ciò che è senza tempo e che ci illude, ineluttabilmente, a trascendere noi stessi.

Rispondendo alla chiamata di Buddha Amida, noi ci risvegliamo alla ‘vera realtà’ ed al suo insondabile funzionamento. Veniamo spinti ad alzare il nostro faticoso sguardo dall'infinito fastidio che ci opprime e ci consuma in questo mondo, e invitati a vivere una vita che danza giubilante alla risplendente luce dell'Infinito.
 




 

 

E’ duro per noi abbandonare questa antica casa del dolore, in cui siamo in continua trasmigrazione  da innumerevoli eoni fino ad oggi, e non sentire alcun desiderio per la Pura Terra di pace in cui però dovremo risvegliarci. Come sono potenti, in verità, le nostre cieche passioni! Ma, sebbene siamo riluttanti a separarci da questo mondo, allorché i nostri legami karmici con esso si saranno esauriti e  noi, impotenti, moriremo, andremo in quella terra. Amida ha soprattutto pietà per la persona che non ha il pensiero di volervi arrivare rapidamente. Riflettendo su questo, sentiremo che il Voto della Grande Compassione è ancora di più degno di fede e realizzeremo che la nostra nascita

nella Terra Pura è stabilita.                 – Shinran


 


 

 

NOTE:

 

1) L’origine dei Sutra della Terra Pura è avvolto nel mistero, ma è tradizionalmente accettato il fatto che essi affondino le loro radici nell’illuminazone del Buddha storico, anche se non  sono stati tramandati nella stessa forma in cui oggi l’abbiamo ricevuti. In  verità, è abbastanza credibile supporre che le intuizioni fondamentali degli insegnamenti della Terra Pura furono conservate e trasmesse oralmente attraverso molte generazioni dopo il tempo di Shakyamuni, prima della loro codificazione scritta che avvenne molto più tardi. Nel periodo di questa trasmissione, la tradizione stessa si sviluppò e si raffinò ulteriormente alla luce dell’esperienza spirituale dei  suoi  saggi

2) I gioielli rappresentano la permanenza e la stabilità del Nirvana in contrasto con le mutevoli condizioni del nostro mondo

3) L’ultima parte del 18mo voto ha un significato speciale  nell’insegnamento di Shinran. E’ l’unico dei 48 voti di Amida  che possiede una tale clausola di esclusione. In altre parole, il Voto che proclama l’illuminazione universale di tutti gli esseri, comprende anche la limitazione più severa. Shinran  considera questa condizione  come un’espressione della compassione così sconfinata e profonda che si rivolge proprio alle persone  che censura – l’essere che  si è macchiato delle cinque grave colpe e che ha diffamato il Dharma (The collected Works of Shinran  p.181) Nella tradizione Mahayana, le cinque gravi offese sono: 1) danneggiare  stupa,  templi, sutra e immagini di Buddha, diffamare  discepoli del buddhismo o gli insegnamenti Mahayana; 3) molestare la pratica di un monaco o causare la sua morte; 4) uccidere la propria madre o il proprio padre, causare la fuoriuscita di sangue dal corpo  del Buddha  e rovinare l’armonia del Sangha; 5)commettere le dieci trasgressioni con la convinzione che non ci saranno conseguenze karmiche e  senza timore per la prossima vita. Le “dieci trasgressioni” sono: uccidere, rubare, essere  lussurioso, parlare duramente, in modo da  causar discordia e  inutilmente, bramosia, rabbia e coltivare visioni erronee.

4) Le Sei Perfezioni, o Paramita, possono non essere familiari ad alcuni lettori. Esse comprendono: Dana (generosità, donazione di se stessi) Shila (virtù, moralità, disciplina, giusto comportamento) Kshanti (pazienza, tolleranza, indulgenza, accettazione sopportazione), Viryà (energia, diligenza, vigore, sforzo) Dhyana (contemplazione, meditazione) e  Prajna (saggezza, intuito)

  


                                               

 

RIFERIMENTI: Le citazioni in quest’opera sono tratte dalle seguenti fonti e sono, quando è il caso, lievemente modificate per una migliore leggibilità. Sono inoltre rese in un Inglese coerente con lo stile osservato nel resto di questo libro

 

CHAPTER ONE

Page 2: Venerable Master Hsuan Hua, The Wzjra Prajna Paramita Sutra: A Generai Explanation (Burlingame: Buddhist Text Translation Society, 2002), P.74.

Pages 3-4: Hisao Inagaki, The Three Pure Land Sutras [hereatter TPLSj (Kyoto: Nagata Bunshodo, 2000), pp. 282-286 (passim) and P.304.

Page 16: TPLS, p. 288.

 

CHAPTER TWO

Page 21: Bhikkhu Bodhi, trans. The Connected Discourses of the Buddha: A New Translation of the Samyutta Nikaya (Boston: Wisdom Publications, 2000), pp. 1378-1379.

Page 22: The Collected WOrks ofShinran [hereatter CWSj (Kyoto: Jodo Shinsu Hongwanji-ha, 1997), voI. I, p. 188.

Page 23: CWS, voI. I, P.164.

Page 24: D.T. Suzuki, Outlines ofMahayana Buddhism (New York: Schocken, 1963), pp. 223-224.

Page 25: Quoted in Helmuth von Glasenapp's Buddhism: A Non- Theistic Religion (New York: George Braziller, 1966), p.83; The Awakening of Faith: Attributed to Asvaghosha, translated, with commentary, by Yoshito S. Hakeda (New York: Columbia University Press, 1967), p. 32; CWS, voI. I, p. 461.

Page 26: TPLS, p. 263; CWS, voI. I, p. 201; D. T. Suzuki, The Essence ofBuddhism (London: The Buddhist Soeiety, 1957), P·46.

Page 27: TPLS, p. 236; ibid., P.236; ibid., p. 237; ibid., pp. 2388239; ibid., P·251.

Pages 27-28: TPLS, pp. 251-252. Pages 28-29: TPLS, pp. 253-254. Page 29: CWS, voI. I, p. 191. Page 31: TPLS, P.251.

Page 32: CWS, voI. I, pp. 460-461.

Page 33: CWS, voI. I, p. 510; ibid., p. 191. Pages 33-34: TPLS, P·255·

Page 34: CWS, voI. I, p. 325; ibid., p. 327.

CHAPTER THREE

Page 45: CWS, voI. 2, p. 184. Pages 45-46: TPLS, P.243. Page 46: CWS, voI. I, p. 525.

Page 47: CWS, voI. I, pp. 674-675; ibid., p. 459. Page 48: CWS, voI. I, p. 185; ibid., p. 351.

Page 49: CWS, voI. I, p. 463; ibid., p. 299; ibid., p. 192. Page 50: CWS, voI. I, p.326; ibid., p. 341, p. 153.

Page 51: TPLS, P.263; CWS, voI. I, p. 107.

Page 52: CWS, voI. I, p. 497.

Page 53: CWS, voI. I, p. 553; Shozomatsu wasan: Hymns on the Last Age (Kyoto: Ryukoku University Press, 1980), p. 36.

Page 54: CWS, voI. I, p. 661.

Page 55: Hakeda, p. 34·

Page 56: Shozomatsu Wasan: Hymns on the Last Age (Kyoto: Ryukoku University Press, 1980), p. 37.

Page 57: CWS, voI. I, p. 13; ibid., p. 48.

Page 58: Rennyo Shonin Kenkyu ['A Selection from the Poems of Rennyo Shonin'] ed. by Jodoshinshu Kyogaku Kenkyusho (Kyoto: Nagata Bunshodo, 1998). Poem No. IO translated by Hisao Inagaki.

Page 59: CWS, voI. I, p. 452. Page 60: CWS, voI. I, p. 693.

 

CHAPTER FOUR

Page 67: CWS, voI. I, p. 664. Page 68: CWS, voI. I, p. 52.

Page 70: CWS, voI. I, p. 547, p. 553 (passim). Page 72: CWS, voI. I, p. 340; ibid., p. 341. Page 73: CWS, voI. I. p. 676.

Page 74: CWS, voI. I, p. 478.

Pages 74-75: From the Samyuta Nikaya,. quoted in the Introoduetion to The Dhammapada: The Path o[Perfeetion, translated by Juan Mascaro (Harmondsworth: Penguin Books, 1983), pp. 20-21.

Page 75: Soetsu Yanagi, "The Dharma Gate of Beauty" (tr. Berrnard Leaeh) in The Eastern Buddhist I2h (1979), pp. 4. 9; The Unknown Craftsman: Ajapanese Insight into Beauty (Tokyo & New York: Kodansha International, 1989), p. 215.

Page 76: CWS. voI. I, P.334.

 

Altre Letture:  Fonti Primarie

 

BUDDHISMO ANTICO

The Dhammapada, tr. Gil Fronsdal (Boston: Shambala, 2006). The Long Diseourses o[ the Buddha: A Trans/ation o[ the Digha Nikaya. te. Mauriee Walshe (Somerville: Wisdom Publications, 1995)·

The Middle Length Diseourses o[ the Buddha: A Trans/ation o[ the Majjhima Nikaya, tr. Bhikkhu Nanamoli (Somerville: Wisdom Publications. 1995).

The Connected Diseourses o[ the Buddha: A Trans/ation o[ the Samyutta Nikaya. tr. Bikkhu Bodhi (Somerville: Wisdom Pubblieations, 2002).

Abhidharma Kosa Bhasyam tr. Louis de la Vallee Poussin & Leo M. Pruden (4 vols. Fremont: Asian Humanities Press, 1990).

 

BUDDHISMO MAHAYANA

The Awakening o[ Faith in the Mahayana, te. Yoshito S. Hakeda (New York: Columbia University Press, 2005).

The Mahayana Mahaparinirvana Sutra, te. Kosho Yamamoto, ed. & rev. Tony Page (Quebee: F. Lepine Publishing, 2008).

The Tathagatagarbha Sutra, tr. William H. Grosniek in Budddhism in Praetiee ed. Donald S. Lopez (Prineeton: Prineeton University Press, 1995).

The Lion s Roar o[ Queen Srimala: A Buddhist scripture on the Tathagatagarbha theory, tr. Alex Wayman (New York: Colummbia University Press, 1974).

A Study on the Ratnagotravibhaga (Uttaratantra): Being a treaatise on the Tathagatagarbha theory o[ Mahayana Buddhism, tr. Jikido Takasaki (Rome: Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1966).

The Fiower Ornament Scripture: A Translation o[ the Avatammsaka Sutra, tr. Thomas Cleary (Boston: Shambala, 1993).

The Lankavatara Sutra: A Mahayana Text, tr. Daisetz T. Suzuki (New Delhi: Motilal Banarsidass, 1999).

Summary o[ the Great Vehicle, er. John P. Keenan (Berkeley: Numata Center for Buddhist Translation & Research, 1993).

The Lotus Sutra, tr. Burton Watson (New York: Columbia Uniiversity Press, 1993).

The Large Sutra on Perfect Wisdom, er. Edward Conze (Berkeeley: University of California Press, 1975).

Perfect Wisdom: The Short Prajnaparamita Texts, tr. Edward Conze (London: Luzac, 1973).

The Sovereign All-Creating Mind, tr. by E. K. Neumaiergyay (Albany: State University ofNew York Press, 1992).

Inquiry into the Ori gin o[ Humanity: An Annotated Translation o[Tsung-Mi s Yuan jen iun with a Modero Commentary, er. Peter N. Gregory (Honolulu: University ofHawaii Press, 1995).

 

PURE LAND BUDDHISM (buddhismo della Pura Terra)

The Three Pure Land Sutras, tr. Hisao Inagaki (Kyoto: Nagata Bunshodo,2.ooo).

The Three Pure Land Sutras, voI. I: The Sutra on Amida Buddha and The Sutra o[Contemplation on the Buddha o[ Immeasurable Life, tr. Hisao Inagaki, Michio Tokunaga, Nobuo Nomura and Gene H. Sekiya (Kyoto: Jodo Shinshu Hongwanji-ha, 2003).

The Three Pure Land Sutras, voI. II: The Sutra on the Buddha o[ Immeasurable Life, tr. Hisao Inagaki, Michio Tokunaga, Nobuo Nomura, Wayne S. Yokohama, Hidenori Kiyomoto and Gene H. Sekiya (Kyoto: Jodo Shinshu Hongwanji-ha, 2009).

Sutra o[ Contemplation on the Buddha o[ Immeasurable Life, er. Ryukoku Translation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1984).

Nagarjuna's Discourse on the un Stages er. Hisao Inagaki (Kyoto: Nagata Bunshodo, 1998).

T'an-iuan's Commentary on Vasubandhu's Discourse on the Pure Land, tr. Hisao Inagaki (Kyoto: Nagata Bunshodo, 1998).

Shan-tao's Method o[Contemplation onAmida, er. Hisao Inagaki (Kyoto: Nagata Bunshodo, 2005).

Honen's Coilection o[ Passages on the Nembutsu Chosen in the Originai V0~ er. Morris J. Augustine and Tessho Kondo (Berrkeley: Numata Center for Buddhist Translation and Research, 1997)·

Plain WOrdr on the Pure Land ~y: Sayings o[ the ~ndering Monks o[ Medievai fapan, tr. Dennis Hirota (Kyoto: Ryukoku University 1989).

No Abode: The Record o[Ippen, tr. Dennis Hirota (Honolulu: University ofHawaii Press, 1998).

 

SHIN BUDDHISM (buddhismo Shin)

The Collected WOrks ofShinran, tr. Dennis Hirota, Hisao Inaagaki, Michio Tokunaga and Ryushin Uryuzu (2 vols. Kyoto:

Jodo Shinsu Hongwanji-ha, 1997).

Jodo Wasan 'Hymns on the Pure Land: tr. Ryukoku Translation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1965).

Kyo Gyo Shin Sho 'uaching, Practice, Faith and Enlightenment: tr. Ryukoku Translation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1966).

Shoshin Ge 'Gatha ofTrue Faith in the Nembutsu: te. Ryukoku Translation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1966).

Koso Wasan 'Hymns on the Patriarchs: tr. Ryukoku Translation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1974).

Shozomatsu Wasan 'Hymns on the Last Agl, tr. Ryukoku Transslation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1980).

Tànni Sho 'Notes lamenting Dijferences: tr. Ryukoku Translaation Center (Kyoto: Ryukoku University, 1980).

Gobunsho 'letters of Rennyo: tr. Gadjin M. Nagao et al. (Kyoto: Hongwanji International Center, 2000).

Goichidaiki-kikigaki 'Thus I Have Heard From Rennyo Shonin: tr. Hisao Inagaki (Craiova: Dharma Lion Publications, 2008).

Altro: Platone, The Symposium tr. Robin Waterfield (Oxford: Oxford University Press, 1998).

 

Fonti Secondarie

BUDDHISMO GENERALE

Conze, Edward, Buddhism: Its Essence and Development (New York: Harper & Row, 1975).

Coomaraswamy, Ananda K., Buddha and the GospelofBudddhism (New Delhi: Munshiram Manoharlal, 1985).

Harvey, Peter, An Introduction to Buddhism: uachings, History and Practices (Cambridge: Cambridge University Press, 1990).

Schumann, Hans Wolfgang, Buddhism: An Outline ofits uachhings and Schools, tr. Georg Feuerstein (Wheaton: Quest Books, 1987).

Takasaki, Jikido, An Introduction to Buddhism, tr. Rolf W. Gieebel (Tokyo: Toho Gakkai, 1987).

Von Glasenapp, Helmuth, Buddhism: A Non- Theistic Religion, te. Irmgard Schloegl (New York: George Braziller, 1966).

 

BUDDHISMO MAHAYANA

Brown, Brian E., The Buddha Nature: A Study ofthe Tàthagataagarbha and Alayavijnana (Delhi: Motilal Banarsidass, 1991).

McGovern, William Montgomery, An Introduction to Mahayyana Buddhism (New Delhi: Munshiram Manoharlal, 1997).

Pallis, Marco, A Buddhist Spectrum (London: George Allen & Unwin, 1980).

Schuon, Frithjof, Treasures of Buddhism (Bloomington: World Wisdom, 1993).

Sebastien, C. D., Metaphysics and Mysticism in Mahayana Budddhism (Delhi: Sri Satguru Publications, 2005).

Suzuki, Beatrice Lane, Mahayana Buddhism (London: George Allen & Unwin, 1981).

Suzuki, Daisetz T., Outlines of Mahayana Buddhism (New Delhi: Munshirm Manoharlal, 2000).

Takakusu, Junjiro, The Essentials OfBuddhist Philosophy, ed. Wing-tsit Chan and Charles A. Moore (New Delhi: Motilal Banarsidass, 2002).

Williams, Paul, Mahayana Buddhism: The Doctrinal Foundaations (London: Routledge, 2008).

Yamaguchi, Susumu, Mahayana wtly to Buddhahood: Theology of Enlightenment (Los Angeles & Tokyo: Buddhist Books Interrnational, 1982).

 

PURE LAND BUDDHISM

Andrews, Allan, The Téachings Essential [or Rebirth: A Study of Genshin's Ojoyoshu (Tokyo: Sophia University, 1973).

Fitzgerald, Joseph (ed.), Honen the Buddhist Saint (Bloominggton: World Wisdom, 2006).

Fujiwara, Ryosetsu, The wtly to Nirvana: The Concept of the Nembutsu in Shan-tao's Pure Land Buddhism (Tokyo: The Kyoiku Shincho Sha, 1974).

Ingram, Paul O., The Dharma ofFaith: An Introduction to Classsical Pure Land Buddhism (Washington: University Press of America, 1977).

 

SHIN BUDDHISM

Andreasen, Esben, Popular Buddhism in fapan: Shin Buddhist Religion 6- Culture (Honolulu: University of Hawaii Press, 1997)·

Arai, Toshikazu, Grasped by the Buddha's YOw (San Francisco: Buddhist Churches of America, 2008).

Bloom, Alfred, Shinran's GospelofPure Grace (Tuscon: Univerrsity of Arizona, 1965).

Bloom, Alfred, Tànnisho: A Resource [or Modern Living (Ho noolulu: Buddhist Study Center Press, 1981).

Bloom, Alfred, Shoshinge: The Heart ofShin Buddhism (Ho noolulu: Honpa Hongwanji Mission ofHawaii, 1986).

Bloom, Alfred, The Life ofShinran Shonin: The fourney to SelffAcceptance (Berkeley: Institute ofBuddhist Studies, 1994).

Bloom, Alfred, The Promise of Boundless Compassion: Shin Budddhism [or 1òday (Honolulu: Buddhist Study Center Press, 2003).

Bloom, Alfred, The Essential Shinran: A Buddhist Path ofTrue Entrusting (Bloomington: World Wisdom, 2007).

Dobbins, James c., fodo Shinshu: Shin Buddhism in Medieval fapan (Honolulu: University ofHawaii Press, 2002).

Fujii, Ryuchi, The True Meaning of Buddhism (Kyoto: Honpa Hongwanji Press, 1957).

Fujimoto, Ryukyo, An Outline ofthe Triple Sutra ofShin Budddhism (Kyoto: Honpa Hongwanji Press, voI. I, 1955, voI. 2, 1960).

Gatenby, George & Paraskevopoulos, John, A Primer ofShin Buddhism (Sydney: Hongwanji Buddhist Mission of Australia, 1995)·

Hanada, Russell & Kodani, Masao, Traditions ofjodoshinshu Hongwanji-ha (Las Angeles: Senshin Buddhist TempIe, 1984).

Hirota, Dennis & Ueda, Yoshifumi, Shinran: An Introduction to His Thought (Kyoto: Hongwanji International Center, 1989).

Hirota, Dennis, Asuras Harp: Engagement with Language as a Buddhist Path (Heidelberg: Universiditsverlag, 2006).

Inaba, Shuken & Funabashi, Issai, jodo Shinshu: An Introducction to the Authentic Pure Land Tèaching, tr. Ichirai Fukuhara & William Flygare (Kyoto: Otani University 1961).

Inagaki, Hisao (ed.), A Glossary ofShin Buddhist Terms (Kyoto: Nagata Bunshodo, 1995).

Inagaki, Hisao, Amida the Infinite: An Introduction to Shin Budddhism (Adelaide: Horai Association of Australia, 2000).

Inagaki, Hisao, The WIly of Nembutsu-Faith (Kyoto: Nagata Bunshodo, 2000).

Inagaki, Zuiken S., Anjin (Kyoto: Nagata Bunshodo, 1988).

Itsuki, Hiroyuki, Tariki: Embracing Despair, Discovering Peace (New York: Kodansha America, 2001).

Kakehashi, Jitsuen, Bearer of the Light (Los Angeles: Pure Land Buddhism, 1999).

Kanarnatsu, Kenryo, Natura/ness: A Classic ofShin Buddhism (Bloomington: World Wisdom, 2002).

Kobai, Eiken. UnJerstllnJing jodo-Shinhsu (Las Angeles: Nemmbutsu Press, 1998).

Kobai, Eiken, Misunderstandings of Master Rennyo (Los Angeeles: Nembutsu Press, 1998).

Kobai, Eiken, True and Real World ofSalvation: An Introduction to the Life and Tèaching of the Venerable Master Shinran (Craiova: Dharma Lion Publications, 2007).

Lloyd, Arthur, Shinran and his work: Studies in Shinshu Theollogy (Tokyo: Kyobunkwan, 1910).

Matsumoto, Shoji & Tabrah, Ruth, The Natural WIly ofShin Buddhism (Honolulu: Buddhist Study Center Press, 1993).

Nakai, Gendo, Shinran and his Religion of Pure Faith (Kyoto:

Shinshu Research Institute, 1937).

Porcu, Elisabetta, Pure Land Buddhism in Modern japanese Cullture (Leiden & Boston: Brill, 2008).

Rogers, Minor & Ann, Rennyo: The Second Founder ofShin Buddhism (Fremont: Asian Humanities Press, 1991).

Seki, Hozen, The Great Natural WIly (New York: American Buddhist Academy, 1976).

Shigaraki, Takamoro, An Introduction to Shin Buddhism, tr. Toshikazu Arai and Claire Ichiyama (Honolulu: Buddhist Study Center, 1984).

Shigaraki, Takamoro, A Life of Awakening: The Heart of the Shin Buddhist Path, tr. David Matsumoto (Kyoto: Hozokan Publishing, 2005).

Stewart, Harold, By the Old WIllls of Kyoto: A l'éar s Cycle of Landscape Poems with Prose Commentaries (New York: Weathherhill, 1981).

Suzuki, Daisetz 1:, A Misce//any o[ the Shin Tèaching o[ Budddhism (Kyoto: Shinshu Otani Shumusho, 1949).

Takahashi, Takeiehi & Izumida, Junjo, Shinranism in Mahayyana Buddhism and the Modern World (Los Angeles: Higashi Hongwanji, 1932).

Tanaka, Kenneth K., Ocean: An Introduction to Jodo-Shinshu Buddhism in America (Berkeley: Wisdom Ocean Publications, 1997)·

Tatsuguchi, Wasui, A Study oJShin Buddhism (Honolulu: Shinnshu Kyokai Mission ofHawaii, 1961).

Unno, Taitetsu, River oJ Fire, River oJWater: An Introduction to the Pure Land Tradition oJShin Buddhism (New York: Double- day, 1998).

Unno, Taitetsu, Shin Buddhism: Bits oJRubble Turn into Gold (New York: Doubleday, 2002).

Yamamoto, Kosho, An Introduction to Shin Buddhism (Ube: The Karinbunko, 1963).

Yamamoto, Kosho, The Other Power (Ube: The Karinbunko, 1965).

Yamaoka, Haruo, The Téaching and Practice oJJodo Shinshu (San Francisco: Buddhist Churches of America, 1974).


 

L’Autore:

The author is an ordained priest in the Shin tradition of Mahaayana Buddhism and is engaged in a variety ofboth pastoral and academic activities. He holds a first-class honours degree in Philosophy from the University of Melbourne in Australia and is editor of the online Journal oJ Shin Buddhism, which has received plaudits from various international authorities as one of the most comprehensive and scholarIy websites devoted to this tradition.

(L'autore è un prete ordinato nella tradizione Shin del buddhismo Mahayana ed è impegnato in varie attività pastorali e accademiche. Ha una laurea con lode in Filosofia presso l'Università di Melbourne in Australia ed è direttore della rivista online Journal of Shin Buddhism, che ha ricevuto applausi da varie autorità internazionali come uno dei siti più completi ed eruditi dedicati a questa tradizione.)

 

PUBBLICAZIONI:

'Conceptions of the Absolute in Mahayana Buddhism and the Pure Land Way', in Light From The East: Modern W'tostern Enncounters with Eastern Traditions (Bloomington: WorId Wisdom Books 2007).

'Non-Duality in Pure Land Buddhism', TémenosAcademy Review (Issue NO.9, 2006).

Amida's Dharma in the Modern WorId', The Pure Land: JourrnaloJthe InternationalAssociation oJShin Buddhist Studies (New Series, No. 20, December 2003).

'The Nembutsu as Great Practice: Recitation of the Divine Name during the Decadent Age of the Dharma', Sacred W'tob 7 (2001).

'The Awakening of Faith in the Mahayana and its Signincance for Shin Buddhism', The Pure Land:Journal oJthe International Association oJ Shin Buddhist Studies (New Series, Nos. 13-14, December 1997).

A Primer oJ Shin Buddhism (with George Gatenby), (Sydney: Hongwanji Buddhisr Mission of Australia, 1995).

 


 

 

 Torna alla sezione: Articoli di Dharma