Articoli di Dharma

 

Mahavira, il Buddha del Jainismo,

e la sua Filosofia

 www.exoticindia.com - Tradotto da Aliberth)

 
 

"Tu che hai grandi occhi e piedi rossi e teneri, come un fiore di loto, che possiedi la conoscenza ultima come visione intuitiva, che redimi tutti dai vincoli dell’attaccamento, odio e tentazioni, con le tue parole distaccate eppure allettanti, O Signore Mahavira, io mi inchino davanti a te in riverenza e adorazione, per essere in grado di realizzare il bene e la virtù", disse il monaco Kundakundacharya, uno dei più antichi e noti insegnanti della dottrina Jainista del primo secolo. L'asserzione rivela tre aspetti di Lord Mahavira: la sua forma; l’ampiezza della visione intuitiva; ed il potere di redimere dal ciclo di vita e morte. 

 

Il Reciproco Obbligo di Proteggere la Vita (Parasparopagraha Jeevanam) 

Nato in un'era di disparità sociali, uccisioni e violenze inflitti in nome di rituali e sacrifici, e per vendetta ed odio, il Signore Mahavira emerse come riformatore, pensatore, legislatore e guida. Egli cercò di realizzare una multiforme missione tendente specialmente ad un cambiamento del sistema di pensiero, struttura economica, ordinamento sociale, e valori etici che prevalevano, cercando di pareggiare tutti gli esseri viventi e rispettare similmente la vita tanto in una foglia di erba, un insetto, o un essere umano, e ridefinendo la santità e le potenzialità del ‘sé’ individuale – il 'jiva', come Mahavira lo chiamò, nel raggiungere la salvezza - 'nirvana', proprio con il suo stesso fare. Da qui il detto: 'vivi e lascia vivere' - attribuito comunemente a Mahavira, e lo scopo ultimo che lui stabilì per tutti i 'jiva' fu: 'parasparopagraha jeevanam' - tutti gli esseri viventi, in virtù del loro avere la vita, hanno l’obbligo di mutualmente proteggere ed aiutare la vita in qualsiasi forma sia contenuta. Anziché solamente 'lasciar vivere', la vita è reciprocamente e positivamente obbligata a promuovere la vita a prescindere da chi o cosa la possieda. 

Prima, o anche dopo Mahavira, la sopravvivenza dell’umanità, o tutt’al più della vita animale, era la principale preoccupazione del pensiero e dello sforzo dell’uomo. L'ombrello protettivo di Mahavira si estese all’intera vita, a prescindere dalla forma - l'erba, la formica, l’elefante, l'uomo o qualunque cosa che la contenga. Gli ambientalisti, anzi tutte le menti razionali, sono ora alquanto preoccupati per gli irrazionali e pericolosi danni alla natura – vegetali, minerali e tutte le sue risorse, che essi pensano essere principalmente responsabili dell’equilibrio ecologico – la condizione essenziale per la sopravvivenza dell’uomo. Più intensamente e razionalmente, questa preoccupazione affiorò circa 2600 anni fa nel pensiero di Mahavira, quando ordinò che la vita sostenesse la vita, mutuamente ed obbligatoriamente - non isolando o distruggendo gli altri, e Mahavira disse, ‘la vita come mezzo ed obbligo alla vita’. Le attuali menti contemporanee - gli ambientalisti ed altri, cercano di proteggere la natura ma soprattutto per la sopravvivenza dell’ uomo; Mahavira cercò di proteggerla – anzi, ogni forma della vita, per la sua stessa natura. 

 

Nascite precedenti di Mahavira 

Nell'ordine gerarchico Jainista, Mahavira fu l'ultimo dei ventiquattro 'Thirthankara' del corrente eone. Come i testi del Jainismo riferiscono, prima della sua nascita come Vardhamana - il nome dato a Mahavira alla sua nascita, il suo 'jiva' trasmigrò attraverso un ciclo di centinaio di nascite e morti. Nella nascita immediatamente precedente, il suo 'jiva' era nato come un coraggioso leone - cercatore di nuovi percorsi. Quando nacque come Vardhamana, egli aveva sul suo piede destro la figura di un leone - il marchio della nascita precedente portato avanti alla successiva, che fu l’ultima. Nell'iconografia di Mahavira la figura del leone è quindi usata per denotare le sue immagini. 

 

Lord Mahavira sul Trono del Leone

Centinaia di nascite prima di nascere come Vardhamana, il suo 'jiva' era Marichi, il figlio del Maharaja Bharata, da cui il subcontinente è stato chiamato Bharata o Bharatavarsha. Rishabha Deva, il padre di Maharaja Bharata fu il primo 'Tirthankara' fondatore del 'Shramana-dharma'. Rishabha Deva, dopo aver raggiunto lo stato di 'tirthankara' un giorno quando predicava ad un’assemblea di seguaci, predisse che dopo di lui solo ventitrè 'jiva' avrebbero raggiunto il 'keval jnana', o ‘Illuminazione, e  quindi lo stato di 'tirthankara'. L'assemblea, un pò incuriosita, lo pregò di dire se qualcuno di questi ventitrè 'jiva' era presente nell'assembea. Rishabha Deva indicò Marichi come uno dei cosiddetti 'tirthankara'. Sentendo ciò, Marichi cominciò a considerarsi un 'Tirthankara'. Preso da vanità, cominciò a comportarsi in maniera orgogliosa, arrogante ed addirittura violenta. Egli fu preso così nelle spire del 'karma' negativo – con azioni che lo ostacolarono dal raggiungere la condizione di 'tirthankara' e lo gettarono in interminabili trasmigrazioni, nascita dopo nascita. Alla fine, dopo esser rinato in questa presente nascita come Vardhamana, egli fu in grado di distruggere il suo 'karma' che gli aveva impedito di raggiungere lo stato di 'keval jnan' e 'tirthankara'. 

 

La Vita personale di Mahavira 

Benché sia una figura storica, poco è conosciuto della vita personale di Mahavira. Se non che nel 6° giorno della seconda metà del mese di Ashad nel 600 a. C., dopo che sua madre Trishala aveva visto in sogno sedici segni di lieto auspicio, Mahavira scese nel suo utero, ed in seguito la sua infanzia fu priva di eventi importanti. Così furono i primi anni della sua giovinezza, anzi tutto il resto della sua vita fu così; forse perché qualsiasi cosa mondana un 'jiva' fosse costretto ad attraversare, Mahavira l’aveva già realizzata nelle sue nascite precedenti. Quando fuoriuscì alla luce - come principe o dèva, egli aveva già raggiunto lo stato di essere, in cui si richiede il solo conoscere – e non un fare qualcosa. Egli non odiava né amava, né reagiva alle offese ricevute o ai servizi resi. Non era incline ad eliminare il male né promuovere il bene, perché non si sentiva né amico di uno né nemico dell'altro. Né la sua comparsa come 'jiva' – cioè, la nascita, lo deliziò e né la sua scomparsa - la morte, lo addolorò, perché egli sapeva che qualunque cosa nasceva doveva anche morire. Stabilizzato in se stesso, Mahavira era oltre la nascita e morte, anzi oltre tutte le cose mondane, le sensazioni della carne e le angoscie paurose della mente. 

 

La Nascita ed i Primi Giorni 

Cronologicamente, Mahavira nacque nel 599 a. C., a mezzanotte del 30 marzo - Chaitra Shukla Trayodashi, a Kundalpur o Kshatriya Kundapur, nei sobborghi di Vaishali - nel moderno Bihar. Dopo esser entrato nell'utero di Trishala, Vaishali - lo stato di suo padre Raja Siddhartha, ebbe a registrare un’imponente crescita. Quindi, nel dodicesimo giorno, durante una cerimonia, Raja Siddhartha chiamò suo figlio Vardhamana – colui che cresce. Lui era il secondo figlio di suo padre, e sua madre Trishaladevi era la figlia di Raja Chetak, un influente governante di quei tempi. Raja Chetak - tema di numerose leggende nella tradizione Jainista, influenzò in maniera forte l'espansione dell'Ordine di Mahavira. 

Re Siddhartha – che era un grande astrologo, interpretando il sogno di Trishala seppe che suo figlio non era destinato ai conforti di palazzo ma a riscattare il mondo dai suoi tormenti e disagi. Nonostante ciò, egli gli procurò un insegnante che lo istruisse negli 'shashtra', ed un maestro d’armi. In breve l'insegnante scoprì che il suo alunno sapeva assai più di quanto lui potesse insegnargli; e presto per i suoi atti di valore e prodezza lui superò anche il suo maestro d’armi entusiasmando tutti. Anche gli Dèi misero alla prova il coraggio di Mahavira. Un giorno, un deva di nome Sangama, trasformato come un serpente feroce, arrivò per spaventarlo. Ma, Mahavira con un moto compassionevole lo prese nelle sue mani per proteggerlo dagli altri e poi lo lasciò andar via. La sua faccia non rivelò neanche un segno di paura. 

 

L’Incontro con il Serpente Velenoso 

Alcuni credono che questo incidente gli diede l'epiteto 'Mahavira'. Tuttavia, tali credenze sono errate. I suoi devoti lo chiamarono ‘il Mahavira’ per ragioni più superiori. Essi scoprirono che migliaia di loro si sottomettevano ad un potere estraneo - dio o qualunque altra cosa, che li redimesse dal ciclo di nascite e morti. Mahavira era uno che aveva trasceso questo ciclo da solo, conquistando se stesso - una cosa molto difficile. Vi sono differenti opinioni sul fatto se Mahavira si sposasse o no. Il nome di Yashoda - figlia del re Kalinga Jitashatru, che era piaciuta a Siddhartha ed a Trishala, talvolta appare come sua moglie e talvolta solamente come una promessa-sposa. Seguaci della "nétta 'Digambara' sostengono che Mahavira declinò la proposta, ma quelli della "nétta 'Svetambara' sostengono che lui si sposò con lei e che ebbero anche una figlia femmina. 

 

La Rinuncia e il Conseguimento dello stato di Tirthankara

Mahavira, sempre immerso in se stesso, fu una persona alquanto introversa e di poche parole. All’età di circa 30 anni, nel 10° giorno della seconda metà del mese di 'Magha', nel 569 a. C., lui abbandonò il mondo dopo aver debitamente richiesto il permesso dei suoi genitori. Egli era un principe in Kundapur. Perciò, lui lasciò la città in un baldacchino appositamente preparato. Ma, dopo esser giunto a Jnatakhanda - un parco fuori Kundapur, egli scese e disse addio a tutti. Nel parco c’era una roccia che sembrava una 'svastica' - un diagramma di lieto auspicio che consiste di due linee che al centro si incrociano l'un l'altra ed alla fine tutte e quattro poi girano in senso orario. Lui sedette sulla roccia, si tolse gli indumenti, ornamenti e perfino i capelli. Ora il mondo cessò di appartenere a lui. 

Per più di dodici anni - dodici anni, cinque mesi e quindici giorni, egli andò da un luogo all’altro, muovendosi, conoscendo e meditando - tutto simultaneamente. Egli rimaneva in uno stesso luogo solamente per il 'Chaturmasa' – il periodo di quattro mesi dei monsoni. La maggior parte della sua meditazione era compiuta in una posa eretta – ‘kayotsarga-mudra', benché quando egli raggiunse il 'keval jnan’, nel 10° giorno dell’ultima metà di Vaisakha, egli era in 'Godohana-mudra' - un postura che si ha quando si munge una mucca. Sulla riva del fiume Rjukula, quando raggiunse 'keval jnan' – la onnisciente visione intuitiva, egli era immerso in meditazione pura, 'shukla dhyan' -. Per questi dodici anni, egli fu nel processo di acquisizione, quindi non aveva detto una parola. Ora gli dèi desideravano che lui rivelasse ciò che aveva acquisito. 

Kuber, il tesoriere degli dèi preparò una vasta sede,'Samavasarana' come è nota nella tradizione Jainista, con un enorme ed alto palco cosicché Mahavira potesse fare il suo primo sermone. Molti giorni passarono, ma lui non diceva una parola. Indra comprese che Mahavira era stato silenzioso per dodici anni. Così, solo il dialetto popolare era il suo modo di parlar loro. Tutto questo mentre gli parlò in una linguaggio astratto. Inoltre, anche lo stato di 'keval jnan' che egli aveva raggiunto, gli si rivelò in un vocabolario differente. Quindi, egli sentì che Mahavira avrebbe parlato solamente quando qualcuno fosse stato capace di interpretarlo e capirlo. Indra capì che solo Gautama - il Brahmino più dotto di quel periodo, poteva interpretare le parole di Mahavira. Indra in qualche modo persuase il Brahmino riluttante (che era il futuro Buddha) a fare l’opera buona. Non appena Gautama apparve nel 'Samavasarana', le parole cominciarono a uscire dalla gola di Mahavira. E Gautama interpretò ciò che Mahavira rilasciava. 

 

Il Sermone di Mahavira 

Gautama coi suoi dieci discepoli Brahmini fu il primo a convertirsi al Sentiero di Mahavira. Con loro ed altri, Mahavira fondò l'istituzione dei 'Jina' (i Vittoriosi). Poi, per 30 anni, Lord Mahavira viaggiò in tutto il paese predicando alle persone e condividendo con loro quello che lui aveva raggiunto con la sua penitenza e meditazione. Un giorno, mentre era assorbito in meditazione profonda a Pavapuri - circa 27-28 km. da Patna, nelle prime ore del Kartika Amavasya,  e tutti nel paese celebravano quel giorno come la festa della Luce - Diwali, lui raggiunse il 'Nirvana’ - la estinzione finale oltre il ciclo di nascita e morte. 

 

La Filosofia di Mahavira 

Come una dizione comprende otto parti di discorso, anche la filosofia di Mahavira ha otto principali punti - tre di carattere metafisico, e gli altri cinque di carattere etico, benché l'obiettivo di tutti quanti sia la ricerca evolutiva per poter elevare la qualità della vita. Quindi, questi principi indipendenti rivelano un’insolita unità di scopo, che punta a realizzare l’eccellenza spirituale, con un comportamento di valore etico e collaterale pensiero metafisico. Le metafisiche di Mahavira consistono di tre principi - Anekantavada, Syadvada, e Karma; e la sua etica morale, cinque codici di condotta (Panchavrata) - Ahimsa, Satya, Asteya, Brahmacharya, ed Aparigraha. Egli parla anche di Tri-ratna – la triplice gemma, che sono i mezzi superiori, come pure la loro mèta. 

 

La Multiforme Visione della Realtà (Anekantavada) 

La dottrina cardinale della filosofia di Mahavira - 'Anekantavada', è basata su tre parole che lui ha dichiarato subito dopo aver raggiunto 'keval jnan'. Queste parole furono: 'uppanneyi va', 'vigameyi va', e 'dhruveyi va' – “tutto è creato, tutto dura un certo tempo, e tutto è distrutto”; ovvero, tutto ha inerente in sé i caratteri della creazione, della durata e della dissoluzione. Quando un vasaio foggia la creta facendola divenire una pentola, lo stato che la creta aveva in precedenza è distrutto; invece, un nuovo stato è creato; tuttavia, la creta - stato permanente della sostanza, è inerente in entrambi gli stati. La creazione, la durata e la distruzione, sono simultanei, come quando un nuovo stato della materia è creato, simultaneamente il vecchio è distrutto, e durante questa trasformazione, la sostanza che subisce tale trasformazione è inerentemente sempre presente. La percezione umana è soggettiva; quindi, per alcuni, c’è una cosa, mentre per altri, è diverso. Quindi, nello stesso momento, una cosa è una e anche i molti. Similmente, essa possiede un attributo ed anche molti altri. 'Anekanta' asserisce che non ci può essere 'utpada' - creazione, se non c'è 'vyaya' o‘vinasha' – consunzione o distruzione; e, se non vi è 'dhrauvya' - sostanza, non può esservi né 'vinasha''utpada'. Nemmeno uno di essi può accadere, o esistere, senza gli altri due. Quindi, l'asserzione che una cosa è solo una, non definisce esattamente l’esistenza delle cose. 'Anekantavada' asserisce la molteplicità degli stati e degli attributi di una cosa e definisce realmente il carattere della materia, il suo formarsi e trasformarsi – perciò, la totale esistenza. 

 

La Multi-dimensionalità della Verità (Syadvada) 

'Anekanta' si riferisce alla verità di una cosa e 'syadvada', al metodo di arrivare a questa verità. 'Syadvada' è il modo di ricercare, conoscere, ed esprimere le molteplici verità o attributi, che si è in grado di percepire in una cosa, esprimendo allo stesso tempo la probabilità di un certo numero di verità o attributi, che tale cosa potrebbe inerentemente avere. Conoscere una cosa con tutti i suoi contraddittori attributi, per Mahavira, non era così difficile come esprimere tutti questi attributi contraddittori, simultaneamente. Quindi, solo un ignorante riterrebbe che, solo ciò che egli percepì, fosse lo stato finale e totale di una cosa. Il saggio, dopo aver percepito una cosa, direbbe solamente: 'può essere', 'non può essere', o 'può o non può essere'… 

'Syadvada' si basa sulla credenza che forme o attributi, che una sostanza è in grado di adottare, siano infiniti. Quale che sia la magnificenza della propria conoscenza, uno non può conoscere la verità totale di una sostanza. Il saggio asserisce solo quello che lui percepisce senza confutare ciò che fanno gli altri. Al contrario, l’ignorante rifiuta le percezioni di tutti eccetto le sue proprie. Il'Syadvada' di Mahavira non rifiuta né sottovaluta un pensiero altrui, che sia prevalente ora o anche se non prevarrà mai. 'Syadvada' non è negativo, come alcuni pensano. Diverso da 'forse', che denota il dubbio, 'syat' denota la probabilità di molti più attributi di una cosa oltre ciò di cui si è già parlato. È l'approccio più positivo di vedere le cose oltre il loro aspetto concomitante. 'Syat' è, così, lo strumento per arrivare alla conoscenza più vasta e più profonda di una cosa. 

 

 

 

 

Il Karma 

Nella teoria di Mahavira, il 'karma' –gli atti, le azioni, contrariamente a ciò che il termine denota comunemente, è concepito come un ostruzione od ostacolo al conseguimento di 'keval jnan'. Poiché nessun 'karma' accade senza una ragione che vi sia dietro, Mahavira contempla il 'karma' come un mero prodotto o manifestazione materiale della mente o dei sensi. Ogni attaccamento, inganno, odio, paura, fame, malevolenza, rabbia, tentazione, amore – tutto si manifesta come 'karma' – azioni del corpo. La loro eliminazione renderebbe liberati i sensi e la mente razionale e condurrebbe alla onnisciente visione intuitiva. Mahavira ha individuato otto classi di tale 'karma':

'jnan-avarniya', ciò che occulta la conoscenza; 'darsha-avarniya', ciò che occulta la percezione della visione reale; 'antaraya', ciò che ostruisce; 'mohaniya', ciò che inganna; 'vedaniya' ciò per cui il 'jiva' sperimenta piacere e dolore; 'ayu' - l'avanzare dell’età; 'nam' – l’obbligo di dare nomi; e 'gotra' – la suddivisione esogamica di casta.  I 'karma' dannosi – i primi quattro, sono i veri nemici dei 'jiva'. Una volta che sono distrutti, il 'jiva' raggiunge e conosce quello che quel tale 'karma' gli aveva celato. Il quinto - 'vedaniya', è il nostro proprio agire e potrebbe essere superato più facilmente. 'Ayu-karma' è l’attributo che opera in ambo i modi; e, 'nam' e 'gotra' isolano il 'jiva'. La Via di penitenza che adottò Mahavira, l’aiutò a sconfiggere i 'karma'. Per lui la penitenza era un laboratorio in cui il 'jiva' distruggeva il suo 'karma' dannoso e raggiungeva quegli attributi di uno spirito liberato che lo rendeva infinito 'Paramatma'. Mahavira, perciò, invece di favorire il concetto di Totale-Divinità, enfatizzò che il 'jiva', distruggendo il suo dannoso 'karma', operava la sua propria salvezza. Egli così disse: 'purisha, tumemeva tumam mittam' – “Uomo, solo tu sei il tuo amico!”. Mahavira non approvò la teoria che questo universo sia stato creato da un qualche agente esterno. Egli sostenne che l'universo, insieme a tutte le cose che esistono, è il risultato di una sostanziale evoluzione. La creazione, distruzione, e permanenza della sostanza sono nomi di un processo cosmico. 

 

I Cinque Voti (Pancha-Vrata): Non-violenza (Ahimsa) 

Mahavira considerò 'Ahimsa' la religione suprema dell’uomo. 'Dhammamahinsa samam natthi' - non c'è religione migliore di 'ahimsa'. Mahavira ordinò: 'uccidere è sgradevole per tutti, la vita è piacevole. Tutti gli esseri viventi desiderano vivere. Ovunque, la vita è cara a tutti. Quindi, non si uccida alcun essere vivente'. Il suo concetto di 'ahimsa' non è limitato solo alla proibizione di uccidere. 'Ahimsa', come percepito da Mahavira, è la forma più elevata della sensibilità umana. Qualunque cosa addolori gli altri - un comportamento duro, negligenza, o insulto, sono 'himsa',- violenza, nel concetto di Mahavira. L'inflizione di danni a corpo, mente o spirito con atti, parole, azioni o anche in pensiero, è 'himsa' e dovrebbe essere impedita. Una volta che nei pensieri di qualcuno emerge 'himsa', c’è 'violenza' – che si infligge a qualcun’altro. 

 

Verità (Satya) 

Come l''ahimsa' è la religione o codice etico supremo per la vita, 'satya' è la più alta di tutte le virtù conseguibili, o piuttosto è inclusiva di tutte loro - penitenza, distacco, tolleranza. Mahavira sostenne che come l’oceano nutre pesci di ogni tipo, così la verità all'interno di sé nutre il bene e le virtù. Il saggio usa delle parole che sono veritiere nella pratica e nella determinazione, che impegnano chi le usa ma non gli altri, e tuttavia sono gradevoli, benevole e libere dall'amarezza e dal sospetto. 

 

Non-furto (Asteya), Celibato (Brahmacharya) e Non-accumulazione (Aparigraha) 

Mahavira ingiunse poi che ciascuno dovrebbe astenersi dal commettere furti di qualsiasi tipo, adulterazioni, falsificazioni ed il loro favoreggiamento. Il desiderio di ottenere anche solo un filo d’erba che appartenga a qualcun’altro senza il suo beneplacito è peccaminoso ed uno dovrebbe astenersi da ciò. Astenersi da tali atti è 'asteya'. 

'Brahmacharya' è diverso e più elevato dal celibato, nel senso che non impedisce una relazione solamente fisica o matrimoniale, ma l'indulgenza nel 'kama' (piacere sensuale) in tutti i possibili modi. Non c'è niente di più illusorio del 'kama', e così si dovrebbe praticare il 'brahmacharya'. 

L’insegnamento di Mahavira sulla 'aparigraha' conduce alla parità economica e ad un certo tipo di socialismo che impone a tutti di possedere solo ciò che è sufficiente per il loro fabbisogno. Possedere oltre le proprie necessità è 'parigraha'. Mahavira avvertì i suoi seguaci di guardarsi dalla ricchezza, poiché uno può proteggersi contro qualunque cosa ma non contro la ricchezza. Egli disse che un saggio non accumula mai oltre ciò di cui ha il minimo bisogno. Tutti coloro che ammassano soldi o ricchezza oltre le proprie necessità sono intrappolati nella malevolenza e nel male, mentre quelli che sono liberi da essi, sono liberi in se stessi e da ogni paura. 

 

I "Tre Gioielli" (Triratna)-

Mahavira parlò maggiormente di tre dogmi essenziali : 'samyaka-darshana' - assoluta percezione visiva distaccata; 'samyaka-jnana' - assoluta distaccata conoscenza; e 'samyaka-charitra' - assoluto carattere distaccato. Questi sono gli strumenti per i suddetti otto, come pure la loro conseguenza. Se il 'jiva' ottenesse il 'tri-ratna', ma fosse ancora ingannato dal 'karma', non sovrastimerebbe la sua percezione come finale, ma non potrebbe mai far del male a qualunque altro 'jiva' con i suoi atti, parole o pensieri. E, se il 'jiva' è capace di distruggere il suo 'karma' dannoso, ed osserva il 'Pancha-vrata', egli sarà umile nell’accettare la percezione degli altri come un'altra forma di verità di una cosa, e non fallirà nel conseguimento del 'Tri-ratna'

 

Mahavira nelle Arti Visive. Base di un’Immagine con Devoti e Simboli, Uttar Pradesh, Mathura. 

Immagini di Mahavira vennero ad essere scolpite più di seicento anni dopo il suo 'nirvana'. Le sue immagini, o piuttosto tutte le immagini del Tirthankara, erano una necessità votiva dei devoti Jainisti. Perciò, invece di mettere in evidenza la loro reale somiglianza, la prima spinta di tali immagini fu la loro caratteristica spirituale ed estetica sotto prescritte norme. Queste immagini erano per lo più immagini mentali trasformate in pietra, metallo o colori. Con le capigliature intrecciate che erano raccolte sulle spalle e una testa di serpente dietro la testa, le immagini di Rishabhadeva e Parshvanatha avevano rispettivamente una iconografia distinta, ma tale distinzione, eccetto alcune variazioni locali ed altre minori e remote caratteristiche, non si vedono nelle altre immagini di Tirthankara. Inoltre il suo emblema di leone ed una modellistica lievemente diversa del capo, le immagini di Mahavira sono estesamente identiche a quelle di qualsiasi altro Tirthankara. In molte immagini - almeno quelle più antiche che, esse sole, sono migliaia, i piedistalli che contenevano emblemi di differenti Tirthankara, non sono intatti. Quindi, l'identità di un'immagine di Tirthankara è difficile da discernere. 

Le immagini di Mahavira sono soprattutto in 'kayotsarga-mudra' o in 'padmasana'. Le altre pose non sono state le preferite - neanche il 'godohana-mudra', che Mahavira aveva quando ottenne 'keval jnan'. Le sue immagini fatte per i devoti della setta Digambara non solo sono senza vestiti ma anche senza alcun tipo di ornamenti. Le immagini per i devoti della setta Svetambara sono rappresentate con indumenti, gioielli e spesso anche con una corona. Esse sono rappresentate con Mahavira seduto su un trono come un monarca. Episodi della sua vita sono poco o nulla raffigurati nelle arti visive. Scultori e pittori hanno mostrato interesse nel rendere la sua nascita, talvolta rappresentandone la madre Trishala che giace su un letto con numerose ancelle che si curano di lei, e talvolta quando essa sogna i sedici segni di lieto auspicio.

Anche una rappresentazione simbolica del 'tri-ratna' di Mahavira è stata trovata nei vari pannelli eseguiti da scultori. Similmente, il tema di numerose miniature e dipinti murali, è stato il diagramma del suo 'samavasarana'.


 

Articolo del Prof. P.C. Jain e del Dr Daljeet. Il Prof. Jain si è specializzato sull'estetica della antica letteratura Indiana. Il Dr Daljeet è l'amministratore principale della Galleria di Arti Visive al Museo Nazionale dell'India, Nuova Delhi. Entrambi hanno collaborato a numerosi libri sull’arte e la cultura Indiana.(Diritti d'autore ©2006, ExoticIndiaArt –)