PARTE PRIMA
Il SENTIERO della CONCENTRAZIONE che conduce all’ASSORBIMENTO
A. TRANQUILLITA’ (samatha, o shamatha): la pratica dell’ attenzione mentale su un unico punto. NOTA: Si dice che il sentiero della tranquillità-concentrazione-assorbimento possa portare ad avere poteri supernormal (ad es., la percezione extrasensoriale, la conoscenza delle vite precedenti). Tutte le realizzazoioni di questo sentiero, tuttavia, sono considerate ancora samsariche. Il buddhismo ritiene che l'assorbimento di per sé non possa portare al Nirvana. Invece, è il sentiero di Consapevolezza-Insight che si dice porti al Nirvana. Tuttavia, la padronanza dell’"accesso alla concentrazione", si dice che sia un mezzo efficace per una più stabile Consapevolezza, e la padronanza del più elevato stato di assorbimento si dice che sia un mezzo efficace per l’Insight profondo. Riguardo a ciò, si paragoni quanto sopra con: JORIKI, e SIDDHI. (vedi). B. ACCESSO alla CONCENTRAZIONE (upacara samadhi): attenzione potente e stabilizzata sull’oggetto focalizzato. Tradizionalmente, quando i cinque ostacoli sono superati, è chiamato Upacara Samadhi, noto anche come "area della concentrazione". Cioè, un prossimo Samadhi, in cui ci si trova proprio vicino al Jhana, ma non pienamente in esso. E' come essere all’ingresso di una sala... in cui bisogna passare attraverso, l’area, per entrare nella stanza. E dovrete passarci attraverso anche per uscire. Queste sono le Upacara, le zone, o aree. (Vedi anche: Hua-T'ou nonché Laya).
C. JHANA, o DHYANA CON FORMA(Rupa): assorbimento contenuto con supporto (simile al samadhi samprajnata di Patanjali). Generalmente, si considera che Samprajnata-samadhi includa i seguenti quattro Jhana nel suo campo di applicazione: Primo Jhana: attività mentale, con gioia e senso di benessere. Secondo Jhana: eliminazione di attività mentale, che lascia gioia e senso di benessere. Terzo Jhana: eliminazione della gioia, che lascia l'equanimità e il senso di benessere. Quarto Jhana: eliminazione del senso di benessere, che lascia assorbita l’equanimità. (Vedi anche: Le Cinque Varietà di Zen).
D. JHANA, o DHYANA SENZA FORMA (arupa jhana): assorbimento senza forma, che poi porta ad un aumento del senso di rarefazione o incorporalità (simile all’ asamprajnata samadhi di Patanjali). A volte, Asamprajnata-samadhi è noto nel Vedanta come nirvikalpa-samadhi). Asamprajnata-samadhi è generalmente considerato includere i seguenti quattro Jhana nel suo campo di applicazione: Quinto Jhana: jhana degli spazi sconfinati (anantakasa). Sesto Jhana: jhana della pura coscienza espansiva (vinnana). Settimo Jhana: jhana del puro vuoto (Akinci, letteral."Nulla") (Ken-Chu-Shi). Ottavo Jhana: jhana al di là di percezione e non-percezione (nevasannanasanna) (Saijojo). Vedi anche: Amrita-Nadi. E. NIRODHA (cessazione, estinzione); Completa cessazione di tutte le attività psichiche e mentali; completa soppressione di tutti i condizionamenti samsarici; totale tranquillità "ai margini del mondo", senza, tuttavia, "andare oltre" nel Nirvana. Può durare diversi giorni. Nirodha è raggiunto dopo aver attraversato i quattro assorbimenti senza-forma, ma solo un Arahant può raggiungere Nirodha. NOTA: La Concentrazione che conduce all’Assorbimento si dice che porti all’arresto o soppressione dei condizionamenti samsarici.
Il SENTIERO della CONSAPEVOLEZZA che conduce all’INSIGHT… A. CONSAPEVOLEZZA: Diversamente dalla meditazione concentrativa, che concentra l’attenzione su un oggetto specifico, la consapevolezza è la pratica di un’aperta attenzione che è vigilante, noninterferente, pura e totalmente presente. Il meditante applica un’attenzione vigile da sperimentare senza concettualizzazioni, giudizi, e senza controllare l’esperienza, permettendo così che sensazioni, sentimenti e pensieri sorgano e svaniscano, senza seguirli o che in alcun modo gli si resista. Tale noninterferente attenzione consente al meditatore di essere pienamente presente alla esperienza del momento. Vedi anche ‘Hua-T'ou’, lo stato di mente, prima che la mente sia disturbata dal pensiero. Secondo il Satipatthana Sutra, ci sono quattro principali cose di cui dovremmo essere consapevoli: il corpo, le sensazioni, la mente, e gli oggetti mentali. Questi non sono gli oggetti su cui concentrarsi, ma piuttosto gli stati dell’esperienza di cui essere consapevoli.
B. INSIGHT: La consapevolezza si matura in intuizione (insight), che è il vedere chiaramente che la mente, e l'esperienza in generale, è "insoddisfacente", momentanea, e “vuota” di un ‘sé’ o sostanza. La Meditazione Vipassana dissolve gradualmente il senso di sentirsi un sé permanente e rivela, con una discriminazione sempre più fine, che la coscienza è un aperto campo dinamico di esperienze che sorgono spontaneamente. L’Insight meditato progredisce attraverso varie fasi che alla fine portano all'esperienza di una pura dinamica vacuità, o Nirvana. Vedi anche Sunyata. La Consapevolezza (sati, Smriti) si sviluppa in Intuizione-Profonda (Insight) (Vipassana, vipashyana), e alla fine conduce alla Saggezza (panna, prajna) e all’Illuminazione (Bodhi). Inoltre, si dice che la Consapevolezza-intuizione porti alla Trascendenza di tutti i condizionamenti, e quindi al Nirvana. Vedi anche Sunyata. NOTA: Nel buddhismo, gli stadi meditativi di samatha (o shamatha: cioè, tranquillità), Samadhi (cioè, l'accesso alla concentrazione: upacara samadhi), e jhana [Pali] o dhyana [sanscrito] (assorbimento) corrispondono più o meno rispettivamente a dharana, dhyana, Samadhi del Raja-Yoga di Patanjali. NOTA: Nel buddhismo, 'jhana' di solito è 'dhyana', ma a volte anche 'samadhi', che viene utilizzato per l'assorbimento. Samadhi, inteso come strumento di accesso all’assorbimento, di solito è considerato come una pre-condizione dall’assorbimento (jhana / dhyana).
C. LAYA- Poco prima della soglia della Tranquillità (o Calma Mentale), e talvolta in sovrapposizione agli stadi iniziali, e talvolta indistinguibile, c’è uno stadio preliminare o precoce chiamato 'Laya'. Laya è uno stato mentale di quiete che facilmente scivola in ciò che di solito si verifica nel corso della pratica spirituale. L'esperienza è temporanea, poiché i pensieri che sono arrestati poi ritornano al momento in cui la pressione è rilasciata. Il silenzio va e viene. L'esperienza è piacevole e può essere ricercata con la ‘profonda concentrazione' e/o con il controllo del respiro. Accade, quindi, grazie alla propria volontà. Essa può essere ripetuta da parte del praticante e può anche essere ugualmente eliminata se la si ritiene inutile o ostacolante per ulteriori progressi. 'Entrare in Laya' può essere un chiaro segno del proprio progresso --- il pericolo risiede nel prenderlo per l'obiettivo finale della pratica spirituale ed esserne quindi ingannati.
D. NIRODHA- Ni (senza)+ rodha (prigione, confine, ostacolo, muro, impedimento): Significa essere senza ostacoli, liberi da ogni limite. Il termine Nirodha è stato per così tanto tempo tradotto come "cessazione", che essa è diventata una pratica standard, ed ogni deviazione da essa porta a dispute. Per la maggior parte dei casi, questa traduzione è a scopo di praticità e per evitare di confonderla con altri termini Pali (a parte l’assenza di un termine migliore). In realtà, però, questa resa della parola "Nirodha" come "cessazione", in molti casi, può essere un errore di traduzione del testo. In generale, la parola "cessare" significa far finire qualcosa che è già sorto, o il far finire un qualcosa che è già iniziato. Tuttavia, Nirodha nell'insegnamento dell’Originazione Dipendente (come anche nel dukkhanirodha, la terza delle Quattro Nobili Verità) significa il non-sorgere, o la non-esistenza, di qualcosa, poiché la causa del suo sorgere viene eliminata. Ad esempio, la frase "quando avijja è Nirodha, anche i sankhara sono Nirodha", che di solito significa "con l'arresto dell’ignoranza, cessano gli impulsi volitzionali", in realtà significa "quando non c'è l'ignoranza, o il non-sorgere dell’ignoranza, o quando non c'è più alcun problema con l'ignoranza, non ci sono più impulsi volizionali, non sorgono stimoli volizionali, o non c'è più alcun problema con gli impulsi volizionali". Ciò non significa che la già sorta ignoranza possa essere eliminata prima che possano essere eliminati gli impulsi volizionali che sono già sorti. Però, Nirodha dovrebbe essere resa come cessazione quando viene utilizzata in riferimento al modo naturale delle cose, o alla natura delle cose composte. In questo senso, è un sinonimo per le parole bhanga, distruzione, anicca, transitorietà, Khaya, cessazione o vaya, decadimento. Per esempio, nel Pali si dice: imam Kho bhikkhave tisso vedana anicca sankhata paticcasamuppanna khayadhamma vayadhamma viragadhamma nirodhadhamma: "Monaci, questi tre tipi di sensazione sono natural-mente impermanenti, composti, dipendentemente sorti, transitori, soggetti a decadimento, dissolu-zione, sparizione e cessazione"[S.IV.214]. (Tutti i fattori che si verificano nel ciclo dell’Originazione Dipendente hanno la stessa natura). In questo esempio, il significato è,"tutte le cose condizionate (sankhara), essendo sorte, devono inevitabilmente decadere e dissolversi in accordo ai fattori di base". Non c'è bisogno di provare a fermarli, essi cessano da sé-stessi. Qui l'intenzione è quella di descrivere una condizione naturale che, in termini di pratica, semplicemente significa "Tutto ciò che sorge, può essere eliminato". Per quanto riguarda il Nirodha nella terza Nobile Verità (o il ciclo dell’Originazione Dipendente nella modalità cessazione), benché esso descriva anche un processo naturale, il suo accento è posto su considerazioni di ordine pratico. Esso è tradotto in due modi nel Visuddi Magga. Uno di essi traccia l'etimologia di "ni" (senza) + "rodha" (prigione, confine, ostacolo, muro, impedimento), dando così il significato di "senza ostacoli", "privo di confini". Ciò è spiegato come "libero da impedimenti, cioè dai limiti del Samsara". Un'altra definizione traccia l'origine di anuppada, che significa "non originato", e prosegue dicendo: "Nirodha qui non significa bhanga, distruzione e dissoluzione". Perciò, tradurre Nirodha come "cessazione", anche se non del tutto sbagliato, non è però del tutto esatto. D'altro canto, non c'è altra parola che sia così vicina al significato essenziale di "cessazione". Tuttavia, dovremmo capire cosa esattamente si vuole intendere con questo termine. Nel contesto, il ciclo dell’Originazione Dipendente nella sua modalità della cessazione, potrebbe essere reso meglio con "essendo liberi dall’ignoranza, si è liberi dagli impulsi volizionali..." oppure "quando l'ignoranza è eliminata, gli impulsi volizionali sono svaniti...", o "quando l'ignoranza cessa di produrre frutti, gli impulsi volizionali cessano di dare frutti..." o anche "quando l'ignoranza non è più un problema, anche gli impulsi volizionali non sono più un problema". Inoltre, su NIRODHA, viene presentato ciò che segue: ‘La parola sanscrita Nirodha, che di solito è descritta come cessazione, porta con sé un significato più profondo. Nell’indice del Visuddi Magga, ad esempio, ci sono più di venticinque riferimenti da dover essere letti nel loro contesto per offrire un più ampio e più conciso significato. In breve, proprio come il Samadhi-Profondo, esso è un non-meditativo stato meditativo di grado molto, molto più elevato. Durante Nirodha, non c'è una sequenza temporale, sia se passano un paio di ore o sette giorni, dato che il momento immediatamente precedente e quello immediatamente successivo sembra come se fossero in rapida successione, inizio e fine compressi in strati sottili. Inoltre, il battito cardiaco ed il metabolismo rallentano fino a quasi cessare, a volte continuano al di sotto della soglia di percezione a livello residuo. L’energia in precedenza immagazzinata nel corpo che di solito sarebbe consumata in un paio di ore se non alimentata, può durare giorni, con scarso bisogno di rinnovamento. Il Visuddhi Magga cita diversi casi in cui gli abitanti dei villaggi si imbattevano in un bhikkhu che si trovava in tale stato e costruirono una pira funebre per lui, perfino al punto di bruciarlo vivo. Durante lo stato di basso livello residuo, la temperatura corporea scende ben al di sotto dei 36 gradi. Se viene riportato improvvisamente alla coscienza, il metabolismo corporeo è più lento a ritrovare la sua temperatura normale, e a sua volta, ciò è registrato dal più veloce ritorno alla cognizione sensoriale di "provare un senso di freddo". (fonte) Migliaia di persone hanno potuto osservare il grande santo indiano Swami Trailanga che galleggiava sul Gange per giorni, seduto sull’acqua o che rimaneva per lunghi periodi sotto le onde. Una visione comune al Manikarnika Ghat era il corpo dello Swami immobile su viscide lastre di pietra, totalmente esposto allo spietato sole dell’India. Sia che il grande maestro fosse sopra l'acqua o sotto di essa, e sia che il suo corpo sfidasse o meno i feroci raggi solari, Trailanga cercava di insegnare agli uomini che la vita umana non ha da dipendere dall’ossigeno o da determinate condizioni e precauzioni.
E. NIRVANA- Riguardo al Nirvana, Nagarjuna scrive: “Qualunque cosa possa essere concettualizzata è relativa, e ciò che è relativo è ‘Sunya’, vuoto. Poiché anche l’inconcepibile verità assoluta è Sunya, la Sunyata o ‘Vacuità’, è condivisa sia dal Samsara che dal Nirvana. In ultima analisi, se si comprende correttamente il Samsara, si realizza realmente il Nirvana. Un Bodhisattva pienamente realizzato è un Buddha Illuminato che rinuncia alla forma del Dharmakaya, per rimanere al servizio degli esseri che soffrono, e riconosce questa radicale equivalenza trascendente. L'Arhat ed il PratyekaBuddha, che guardano alla propria personale redenzione e realizzazione, pur essendosi elevati al di là di qualsiasi descrizione convenzionale, tuttavia non realizzano pienamente e liberamente l’incarnazione di questa suprema verità. La definizione di Kensho o Satori, nella mente stessa di alcune persone, non può, entro il perimetro della sua definizione o nella realtà, abbracciare il finale Nirvana ultimo - o viceversa, ma certamente dovrebbero essere in qualche modo perifericamente alleati. Cionostante, il proprio stato personale, compreso in uno qualsiasi di questi tre stati (Kensho, Satori, Nirvana), non garantisce la capacità dello sperimentatore di insegnare agli altri o in alcun modo di essere d’aiuto ai bisogni spirituali degli altri. Dev’essere fatta una chiara distinzione tra una persona che ha un’esperienza di Illuminazione e una Persona Illuminata. Le persone della seconda categoria sono quelle che hanno la saggezza e il carattere morale per influenzare correttamente gli altri, e in più la capacità carismatica di farlo in un modo totalmente non-utilitaristico. Questo consentirebbe di definire un Saggio Illuminato o una santa persona. Questa persona può avere avuto un’esperienza di Illuminazione, improvvisa o graduale, o anche può avere una maturità spirituale naturale, che esclude la necessità di un esperienza di Satori, e benché noi si dipenda dalle registrazioni storiche, un saggio naturale senza l’operativa esperienza di Risveglio è molto vicino al livello di un Saggio Illuminato, molto più raro di uno che ha una analoga o simile naturale maturità spirituale e l'esperienza di Illuminazione. (fonte)
ED ORA QUESTO: Spesso si dice che, quando si ha veramente bisogno di un insegnante, ne verrà trovato uno. Ciò accade grazie a qualche inspiegabile serendipity. Ciò può essere dovuto al fatto che il ricercatore ha profondamente cercato all'interno di se stesso e determinato quale tipo di istruzione sembra essere necessaria. Potrebbe essere per una forma di disperazione spirituale del ricercatore, o per una notorietà di un certo insegnante (sincero o meno). Può essere una combinazione dei suddetti fattori, o per una qualche consapevolezza intuitiva oltre ogni espressione. Qualunque sia la ragione, il detto spesso si applica e i risultati alla fine arrivano.
I CINQUE OSTACOLI: I Cinque Ostacoli, sono cinque contaminazioni chiamate medi Kilesa (o Klesha). Essi sono: (1), il desiderio di piaceri sensuali, (2) rabbia, (3) indolenza (pigrizia), (4) preoccupazioni, e (5) dubbio. Il Canone Pali illustra l'effetto di questi ostacoli, con l'aiuto di cinque eloquenti esempi: 1. La mente sopraffatta dal desiderio per i piaceri sensoriali è paragonata all’acqua colorata che non permette un vero riflesso delle cose nell’acqua. Così un uomo ossessionato dal desiderio di piaceri sensuali non è in grado di ottenere una vera visione di se stesso o di altre persone, né dell’ambiente. 2. La mente oppressa dalla rabbia è paragonata all'acqua in ebollizione che non può rimandare un corretto riflesso. Un uomo sopraffatto dalla rabbia non è in grado di discernere correttamente un problema. 3. Quando la mente è nella morsa dell’indolenza, è come il muschio che copre l'acqua: la luce non può mai raggiungere l'acqua e un riflesso è impossibile. Il pigro infatti non fa mai uno sforzo per comprendere in modo corretto. 4. Quando è preoccupata, la mente è come l'acqua che è smossa dal turbolento vento, e quindi non riesce a dare un vero riflesso. L'uomo preoccupato è sempre inquieto e non è in grado di effettuare una corretta valutazione di un problema. 5. Quando la mente è in dubbio essa è paragonata all’acqua fangosa e oscura, che non può riflettere bene l'immagine. Perciò, tutti i Cinque Ostacoli privano la mente della comprensione e della felicità e causano molto stress e molta sofferenza.(Vedi anche: DEFILEMENTS: Coarse, Medium, and Subtle Kilesa (klesha) La descrizione di cui sopra di NIRODHA è un gentile servizio di P.A. Payutto. (http://www.geocities.com/Athens/Academy/9280/coarise.htm#Contents)
PARTE SECONDA GLI STATI di JHANA (Dhyana) nella MEDITAZIONE buddhiSTA THERAVADA presentato da il Wanderling (gentile concessione di LEIGH BRASINGTON) http://www.angelfire.com/electronic/awakening101/janas.html Trad. Italiana di Aliberth M. (N.B. Ch’an è la traduzione Cinese del termine Dhyana - N.d.T.)
Tutti noi seguaci del Buddha abbiamo familiarità con l’Ottuplice Sentiero – l’ingiunzione data dal Buddha per ottenere l'Illuminazione. Sappiamo abbastanza bene che cosa si intende con ‘Retto Parlare’, ‘Retta Azione’, ‘Retto Comportamento’, e così via. E sappiamo anche che questi sono molto importanti. Tuttavia, un passo del Sentiero che spesso è frainteso è proprio l'ottavo passo: "Retta Concentrazione". Questo articolo cercherà di spiegare cos’è la Retta Concentrazione, come praticarla, e il ruolo che essa svolge nella Via verso l'Illuminazione. Retta Concentrazione, (Samma Samadhi) è infatti espressamente definita nel Mahasatipatthana Sutta (Digha Nikaya#22) e in altri sutta (ad esempio, Saccavibhanga Sutta - Majjhima Nikaya#141), come ‘Meditazione Jhanica’: E cos’è la Retta Concentrazione? Qui, c’è un monaco - distaccato dai desideri di senso, distaccato dai negativi stati di mente - entra e rimane nel Primo Jhana, che è pieno di estasi e gioia, sorte dal distacco unito all’iniziale e sostenuta attenzione. Con la stabilizzazione dell’iniziale e sostenuta attenzione, ottenendo tranquillità interiore e unicità di mente, egli quindi entra e rimane nel Secondo Jhana che è senza la iniziale e sostenuta attenzione; sorge così la concentrazione, e lui si riempie di estasi e gioia. Con la rarefazione dell’estasi, rimanendo imperturbabile, consapevole, e chiaramente attento, egli entra e rimane nel Terzo Jhana, e allora i Nobili dicono di lui, "Equanime e consapevole, egli dimora piacevolmente". Con l'abbandono del piacere e del dolore - come pure con la precedente scomparsa di esaltazione e dolore - entra e rimane nel Quarto Jhana: che è al di là di piacere e dolore, e purificato da equanimità e consapevolezza. Questo è ciò che è chiamato “Retta Concentrazione”. Quindi, i Jhana sono il cuore stesso della dottrina del Buddha, come illustrato in questo importante sutta. Prima di diventare il Buddha, all'inizio della sua ricerca spirituale, Siddharta Gautama studiò sotto due insegnanti. Il primo maestro gli insegnò i primi Sette Jhana, l'altro gli insegnò l’Ottavo Jhana. Tutti e due gli dissero che gli avevano insegnato tutto ciò che c’era di imparare. Ma Siddharta ancora non capiva perché c’era la sofferenza, così egli lasciò entrambi questi insegnanti e si ritirò a fare sei anni di pratiche austere. Anche questi non avevano fornito la risposta alla sua domanda ed egli li lasciò per quella che poi venne ad essere conosciuta come la Via di Mezzo. I sutra dicono che nella notte della sua Illuminazione, egli si sedette sotto l’Albero-Bodhi e cominciò la sua meditazione, praticando le Jhana (vedere ad esempio il Mahasaccaka Sutta - Majjhima Nikaya#36). Allorché la sua mente fu "concentrata, purificata, luminosa, immacolata, priva di imperfezioni, malleabile, costante, ed ebbe poi raggiunto l’imperturbabilità", egli la diresse verso la "vera conoscenza", che dette origine alla sua incredibile penetrazione nella coscienza, nota nei sutra col nome Anuttara Samyak Sambodhi. Quindi vediamo che i Jhana non solo sono al centro del suo insegnamento, ma anche sono stati al centro della sua stessa pratica.
CHE COSA SONO I JHANA? La parola Pali Jhana è meglio tradotta come "stato meditativo di assorbimento". E’ la stessa cosa del Sanscrito dhyana, che deriva da Dhayati, che significa ‘riflettere’ o ‘meditare’. Voi sapete che cosa è uno "stato di assorbimento"? - è quando si è così coinvolti in un programma TV, o in un video gioco, o nel mistero di un romanzo, che quando squilla il telefono si resta sorpresi e di soprassalto si ritorna alla realtà. I Jhana sono otto ‘stati alterati di coscienza’ che possono presentarsi durante i periodi di forte concentrazione. I Jhana sono stati di mente che avvengono naturalmente, ma per imparare ad entrarvi a proprio piacimento e come rimanere in essi occorre molta pratica. Ci sono poche effettive istruzioni su come "fare" pratica di Jhana nei sutra. Probabilmente un motivo per questo è che i Jhana erano una ben-nota pratica tra i ricercatori spirituali più seri di 2500 anni fa. Proprio come oggi, se a qualcuno date le indicazioni per come raggiungere la vostra casa, non darete le informazioni su come avviare l'auto, usare il cambio, ecc, così allora non fu ritenuto necessario spiegare come fare i Jhana. Un altro probabile motivo è che i Jhana sono meglio appresi in un faccia a faccia con un insegnante – dato che essi non si prestano a ciò che oggi noi chiamiamo "manuale di utilizzo". Cerchiamo ora di esaminare ciascun Jhana e come "fare" pratica con essi. Accesso alla Concentrazione - È necessario disporre di una certa quantità di concentrazione perché sorga il Primo Jhana. Questo è chiamato Accesso-alla-Concentrazione. L’accesso-alla-concentrazione ha Sila (moralità) come prerequisito. La descrizione del Primo Jhana inizia, "Distaccato dai desideri di senso, distaccato dagli stati mentali negativi...". Se non state conducendo una retta vita morale, non sarà possibile aspettarsi di sedersi su un piccolo cuscino e trovare il vero ‘se stesso’ "distaccato dal desiderio dei sensi, distaccato da stati mentali negativi". Se nella vostra vita non avete abbastanza Sila, ci sarà troppo desiderio, troppo odio o paura, troppe preoccupazioni, ecc. Si può inoltre dedurre che l'accesso-alla-concentrazione richiede che si sia in una postura fisica che sia insieme confortevole e in stato di all’erta, altrimenti vi troverete in una postura dolorosa che vi porterà avversione oppure avrete troppo sonno per meditare. La Concentrazione di Accesso può essere indotta in molti modi diversi. Nei sutra è detto che vi sono quaranta diversi metodi di meditazione e trenta di questi sono adatti per ottenere l'ingresso al Primo Jhana (come esempi, si veda sotto, Laya e Khanika Samadhi). Il Primo Jhana ha cinque fattori ed i primi due sono Vittaka e Vichara. Queste due parole spesso sono tradotte come qualcosa di simile a "pensare e riflettere". Esse hanno questi significati, in alcuni contesti, ma non nel contesto del Jhana. Qui sono meglio tradotte come "l’iniziale e sostenuta attenzione al soggetto della meditazione". Se mettete la vostra attenzione sul soggetto della meditazione e la lasciate lì fino a quando l'accesso alla concentrazione è stabilito. Ad esempio, se si è scelto Anapanasati (consapevolezza del respiro) come metodo di meditazione, si metterà la vostra attenzione sul respiro e si manterrà la vostra attenzione sul respiro fino a quando si è stabilito l'accesso-alla-concentrazione. Come fate a sapere se l’accesso-alla-concentrazione è stato stabilito? Essa varia per ciascun metodo. Nella consapevolezza sul respiro, esso diventa molto sottile, quasi impercettibile, quando si è stabilito l'accesso alla concentrazione. Laya - Poco prima della soglia di tranquillità, e talvolta in sovrapposizione agli stadi iniziali, e talvolta come indistinguibile preliminare, vi è uno stadio precoce chiamato Laya. Laya è uno stato mentale di quiete, che scivola facilmente in quello che normalmente si verifica nel corso della pratica spirituale. L'esperienza è temporanea, come l'arresto dei pensieri che ritornano al momento in cui la pressione è rilasciata. Il silenzio va e viene. L'esperienza è piacevole, e può essere provata nella ‘concentrazione profonda’ e/o nel controllo del respiro. Essa quindi avviene tramite la propria volontà, e da parte del praticante può essere ripetuta ed anche similmente eliminata se si ritiene inutile o ostacolante verso ulteriori progressi. 'Entrare in Laya' può essere un chiaro segno del proprio progresso --- il pericolo risiede nel fraintendere l'obiettivo finale della pratica spirituale e di essere quindi ingannati. Si veda anche ‘La Meditazione buddhista’. Khanika Samadhi - Un altro approccio, pur se all'altro lato della scala di meditazione, che non Laya, e quindi considerato un po’ più difficile per i novizi, è Khanika Samadhi, o concentrazione momentanea, (sequenziale momentanea concentrazione profonda). Essa si verifica solo al momento di verificare, e nel caso della Vipassana, non su un oggetto fisso come la meditazione Samatha-Jhana, ma invece su oggetti che cambiano o su fenomeni che si verificano nella mente e corpo. Ma quando il meditatore Vipassana nella presa d’atto sviluppa forza e abilità, la sua concentrazione Khanika ininterrottamente avviene in una serie senza pausa. Questa concentrazione, quando si verifica momento per momento senza un attimo di pausa, diventa così potente da superare i Cinque Ostacoli, in modo da realizzare la purificazione della mente (citta visuddhi) che può consentire al meditatore di raggiungere tutte le conoscenze-insight fino al livello di Arahat. I Jhana sono anche difficili da insegnare. Non tutti hanno un temperamento adatto alla vera pratica di concentrazione. Anche per coloro a cui sembra facile trovare la concentrazione, i Jhana richiedono un lungo e silenzioso ritiro per poterli apprendere. Lungi dall'essere "senza veri e propri stati mentali negativi", le persone che desiderano imparare i Jhana sono immediatamente sospinti all'interno dello stato mentale del desiderio. Infine, come accennato in precedenza, i Jhana non si prestano ad essere appresi tramite un "manuale di uso", ma si ha realmente bisogno di un immediato feedback faccia-a-faccia con un abile insegnante, al fine di indirizzare la vostra mente nella corretta direzione. I Jhana sono stati naturali nella mente, ma la vita che conduciamo qui alla conclusione del 20° secolo è così intensa che è difficile trovare la mente quieta e naturale. I Jhana sono stati di concentrazione. Come riuscire a praticarli, era una conoscenza comune al tempo del Buddha. Egli li praticava, e dai sutra si capisce come egli comprendesse la giusta concentrazione. A noi è lasciato il compito di applicare i Jhana nella nostra effettiva pratica spirituale. Forse, tra i due estremi di ignorarli completamente o praticandoli in eccesso, c’è la giusta Via di Mezzo di servirsi di essi come strumento per affinare la mente alla Pratica del Profondo Insight. Si ricordi che, come affermato in precedenza e sopra: ‘Prima di diventare il Buddha, all'inizio della sua ricerca spirituale, Siddhattha Gotama studiò con due insegnanti. Il primo insegnante, Alara Kalama, gli insegnò i primi Sette Jhana; l’altro insegnante, Uddaka Ramaputta, gli insegnò l'Ottavo Jhana. Entrambi i maestri, gli dissero di avergli insegnato tutto ciò che c’era da imparare. Ma Siddhattha ancora non capiva perché esisteva la sofferenza, così lasciò entrambi questi insegnanti e decise di fare sei anni di pratiche di austerità. Ma anche queste non fornirono la risposta alla sua domanda ed egli le abbandonò per ciò che poi venne ad essere conosciuta come la Via di Mezzo (Madhyamika). I sutra indicano che la notte della sua Illuminazione, egli si sedette sotto l'albero-Bodhi e iniziò la sua meditazione, praticando i Jhana (vedi, ad es. il Mahasaccaka Sutta - Majjhima Nikaya #36). Quando poi la sua mente divenne "concentrata, purificata, luminosa, senza macchia, libera da imperfezioni, malleabile, costante ed ebbe raggiunto l’imperturbabilità", egli la diresse alla "vera conoscenza", che quindi dette origine alla sua incredibile penetrazione nella coscienza, nota nei sutra come Anuttara Samyak Sambodhi, ben al di là dell’Ottavo Jhana. Perciò, vediamo che i Jhana non solo sono al cuore del suo insegnamento, ma anche furono al centro della sua stessa pratica. Purtuttavia, perfino gli OTTO JHANA non furono abbastanza. L’"andar-oltre" del Buddha avvenne SOLO dopo aver "superato" l’OTTAVO JHANA finale! Il suo RISVEGLIO non si ebbe "nell’OTTAVO JHANA", ma "OLTRE" ESSO. Ed è in questo reame dell’"OLTRE", cioè OLTRE L’OLTRE, in cui il GIOIELLO degli antichi può essere realizzato da tutti.
JHANA O DHYANA CON FORMA (Rupa jhana): Assorbimento con supporto di contenuti (simile al samprajnata-samadhi di Patanjali):
Le APAYA: Le Nove Dimore degli esseri viventi: Il reame degli esseri celesti, il regno umano e i reami della miseria (apaya) sono classificati come il reame dei sensi, la dimora degli esseri viventi che indulgono nella sensualità. Nel loro insieme, essi valgono per uno. I Reami della Forma, cioè la dimora degli esseri viventi che hanno raggiunto Rupa-jhana, sono quattro. Anche i Reami del Senza-Forma, cioè la dimora degli esseri viventi che hanno raggiunto arupa-jhana, sono quattro. Quindi, in tutto ci sono nove dimore per gli esseri viventi. Gli Arahats - che sono i saggi delle Nove Dimore – le abbandonano e non devono più vivere in nessuna di esse.
Primo Jhana Una volta che la Concentrazione di Accesso è stata stabilita, è ora di indurre il successivo elemento del Primo Jhana. Questo terzo fattore è chiamato ‘Piti’ ed è variamente tradotto come gioia, euforia, rapimento ed estasi. Spostando l'attenzione dal soggetto della meditazione alla sensazione piacevole, in particolare ad una piacevole sensazione fisica, e non facendo nulla di più che non essere distratti da questa piacevole sensazione, si sarà "automaticamente" entrati nel Primo Jhana. L'esperienza è la piacevole sensazione che cresce di intensità fino ad esplodere in uno stato inconfondibile di estasi. Questo è Piti, che è principalmente un’esperienza fisica. Questo intenso piacere fisico è unito ad un piacere emotivo, e questo piacere è Sukha (gioia), che è il quarto fattore del Primo Jhana. L'ultimo fattore del Primo Jhana è Ekaggata (uni-direzionalità della mente). Come Sukha, questo fattore sorge senza che voi dobbiate far niente, e per quanto tempo riuscirete a rimanere totalmente incentrati sul piacere fisico ed emotivo, voi sarete immersi nel Primo Jhana. Per quanto io sia stato in grado di determinare, in base alla mia esperienza, l'entrata nel Primo Jhana da una prospettiva fisiologica procede in questo modo: 1. Tranquillizzate la vostra mente con l'iniziale e sostenuta attenzione al soggetto della meditazione. Temo però che l'attività delle onde cerebrali evidenzi una notevole diminuzione durante la fase della concentrazione di accesso. 2. Spostando l'attenzione alla sensazione piacevole, voi stabilite un retroattivo rafforzamento positivo all'interno della vostra mente tranquillizzata. Ad es., una delle sensazioni piacevoli più utili su cui concentrarsi è il sorriso. L'atto di sorridere genera endorfine, che vi fanno sentire bene e che vi fanno di più sorridere, il che genera ancor più endorfine, e così via… 3. L'ultima e più difficile parte di entrare nel Primo Jhana è di non fare nulla, ma soltanto di osservare il piacere. Qualsiasi tentativo di aumentare il piacere, perfino ogni pensiero di voler incrementare il piacere, interrompe il circuito retroattivo e vi riporta in uno stato mentale meno tranquillo. Senza far nulla, ma concentrandosi intensamente sul piacere, verrete proiettati all’interno di un inconfondibile stato alterato di coscienza. (Vedi anche: Mara).
Secondo Jhana Il Secondo Jhana ha tre fattori che sono gli stessi degli ultimi tre fattori del Primo Jhana. L’iniziale e sostenuta attenzione al soggetto della meditazione non è più parte del processo. Passerete dal primo al secondo Jhana spostando l'attenzione dal piacere fisico al piacere emotivo - dal ‘Piti’ al ‘Sukha’. Questo ha l'effetto di spingere il piacere fisico in secondo piano ed anche di calmare molto la mente. Il Primo Jhana è uno stato molto intenso, agitato, mentre il Secondo Jhana è molto più rilassante. L'ultimo fattore del Secondo Jhana è ancora una volta l’uni-direzionalità di mente, come è per tutti gli stati di Jhana.
Terzo Jhana Questo terzo Jhana ha due fattori. Il passaggio dal Secondo al Terzo Jhana avviene abbandonando il piacere fisico e modificando il piacere emotivo dalla gioia all’appagamento, quasi come un volontario abbassamento del volume del vostro piacere emotivo. Il Secondo Jhana ha una insorgente qualità in "né, come gioia che sembra fluire attraverso voi; il Terzo Jhana è molto più di un immobile, silenzioso appagamento. L'altro fattore è lo stesso permanere dell’uni-direzionalità della mente.
Quarto Jhana La transizione dal Terzo al Quarto Jhana richiede un po’ più di sforzo e un pò più di lasciar-andare di qualsiasi altra delle precedenti transizioni. L’appagamento che si ottiene nel Terzo Jhana è ancora un positivo stato di mente. Questo accontentarsi viene raffinato in un vero equanime e quieto silenzio. Non vi è più alcuna sensazione - positiva o negativa - né nella mente né nel corpo. C'è soltanto una onnipervadente, profonda e pacifica tranquillità, con ovviamente l’uni-direzionalità di mente. I primi quattro Jhana sono chiamati ‘Jhana Materiali Raffinati’. Intenso piacere, gioia, appagamento e quiete sono tutti stati con cui abbiamo familiarità nella nostra normale vita quotidiana. Ma la qualità e l'intensità di questi fattori, come sperimentati nei Jhana, sono più sublimi di quelli che normalmente sperimentiamo, perciò sono chiamati ‘Jhana Materiali Raffinati’. Gli altri quattro Jhana sono chiamati ‘Jhana Immateriali’ perché non sono come qualcosa che noi normalmente sperimentiamo. Ciascuno di questi Jhana ha due fattori - il primo fattore ha il nome del Jhana, il secondo fattore è ancora la sua uni-direzionalità.
JHANA O DHYANA SENZA FORMA (arupa jhana): Assorbimento senza forma, che porta ad incrementare la rarefazione o incorporealità (simile al asamprajnata-samadhi di Patanjali):
Quinto Jhana Il Quinto Jhana è chiamato "La Base dello Spazio Infinito". Si ricordi che questi sono solo nomi per esperienze tali di cui noi non abbiamo conoscenza. Si può sentire solo come spazio infinito – ciò non significa necessariamente che siamo in grado di sperimentare tutto lo spazio dell'universo. Secondo i sutra, si entra nel Quinto Jhana "non dando attenzione alle diversità". Ciò non è molto dettagliato, ma poi, c’è davvero poco "come" dare dettagli su uno qualsiasi dei Jhana. Molte persone entrano nel Quinto Jhana spostando la loro attenzione dal primo fattore del precedente Jhana fino ai confini del loro essere. Poi iniziano a spingere mentalmente questi confini all’esterno. Se potete continuare a concentrarvi, immaginando i vostri confini sempre più larghi così da riempire la stanza, l'edificio, il quartiere, la città, ecc, alla fine sperimenterete un improvviso cambiamento e troverete che il vostro ‘sé’ è in un’enorme espansione di spazio vuoto. La prima volta che entrerete nella "Base dell’Infinito Spazio" è spesso assai drammatica. Vi sembrerà di stare osservando una incredibilmente grande e vuota espansione di spazio vuoto. Vi potrete sentire come se camminaste ai bordi del Grand Canyon e steste guardando oltre, ma non vi è nessun altro luogo né sopra né sotto.
Sesto Jhana Il Sesto Jhana è chiamato "La Base dell’Infinita Coscienza". Molti credono erroneamente di poter raggiungere l’unità con tutta la coscienza. In essa vi si può entrare dal Quinto Jhana realizzando che, per dare uno "sguardo" alla spaziosità infinita, bisogna ‘far sorgere’ un’infinita coscienza, e spostare poi la vostra attenzione a quella coscienza. Questo è un passaggio abbastanza sottile, ma, come il passaggio da ciascuno degli Jhana al successivo Jhana superiore, deve esservi un incremento della concentrazione.
Settimo Jhana Il Settimo Jhana è chiamato "La Base del Nulla". Esso è stato scambiato per la Vacuità (Sunyata). Vi si può entrare dal Sesto Jhana, spostando l'attenzione dallo stato di infinita coscienza al contenuto di tale coscienza. Non ci si sorprenda che il contenuto della coscienza infinita sia vuota, poiché in quella infinita coscienza ci siamo entrati dall’infinito spazio in cui non si ha la percezione della diversità. Vedi anche Ken-Chu-Shi e Dharma-Megha-Samadhi.
Ottavo Jhana L'Ottavo Jhana è chiamato "La Base né della Percezione né della Non-percezione". Esso è abbastanza difficile da discutere perché c'è poco da discutere. ‘Percezione’ è la traduzione della parola Sanna, che si riferisce alla funzione classificante e denominativa della mente. Quindi, in questo stato c’è ben poco riconoscimento di ciò che sta accadendo, tuttavia però non si è totalmente inconsapevoli di ciò che sta succedendo. E’ uno stato assai tranquillo, riposante, ed ha la capacità di ricaricare una mente stanca. Vi si è entrati dal Settimo Jhana, con l’abbandono di tutte le infinite espansioni apertesi e con il restarsene in santa pace, in quello che sembra essere un vero e naturale stato di tranquilla quiete. La mente sembra conoscere molto di più su come trovare questo spazio, che può essere verbalizzato. Vedi anche: Saijojo e Kaivalya.
Prego confrontare gli ultimi cinque Jhana sopra elencati coi ‘Cinque Livelli di Realizzazione’ attribuiti a Tung-shan in ‘The Five Degrees of Tozan’, come pure i cinque "tipi" di Zen, in ‘The Five Varieties of Zen’. Ancora, tutti questi Jhana ovviamente sono stati che avvengono nella mente. E’ soltanto necessario stabilire le appropriate condizioni perché i Jhana possano sorgere, poi non c’è più nulla da fare e così la mente troverà la propria strada all’interno del cuore del Jhana. Per entrare in ciascuno di questi Jhana, è richiesta più concentrazione rispetto a quella occorrente nel precedente. Ciascuno di questi Jhana produce una mente più concentrata rispetto al suo predecessore. Questa concentrazione è la ragione principale per l'importanza degli stati di Jhana. Con una mente superbamente concentrata, si può vedere molto più in profondità nella natura delle cose, così come esse sono. Dato che l'ego deve diventare molto calmo per "fare" i Jhana, dopo averli "fatti", vedrete le cose da una prospettiva molto meno egocentrica. Ecco perché la pratica di Jhana è chiamata a volte "Affilare la spada di Manjushri"; una volta che la spada è affilata, una volta che la mente è concentrata, è molto più facile tagliare i legami dell’ignoranza (Manjushri è il Bodhisattva Tibetano della Saggezza. Egli è di solito raffigurato con una spada nella mano destra che gli serve per tagliare i legami di ignoranza). Da quanto sopra esposto, possiamo più pienamente comprendere l'insegnamento del Buddha di ‘Sila, Panna, e Samadhi’, - moralità, saggezza, e concentrazione. Potremo allora purificare il nostro agire, così che quando ci si siede a meditare, potremo concentrarci completamente. Quindi i Jhana possono essere usati per concentrare la mente più fortemente di quanto noi saremmo capaci. Dopo, si potrà maneggiare la spada di Manjushri facendo una pratica interiore (insight) che consente di acquisire la saggezza per poter vedere le cose così come realmente sono, piuttosto che per vedere le cose dalla nostra consueta prospettiva egocentrica.
CONTROVERSIE INTORNO ALLA PRATICA DEI JHANA A partire dal tempo del Buddha, le attitudini verso i Jhana si sono notevolmente modificate. Vi sono sicure evidenze nei Sutta che in precedenza vi fossero almeno due scuole di pensiero. Un approccio metteva quasi esclusivamente l’enfasi sulla pratica dell’‘insight’, avendo la sensazione che, poiché l’insight fa sorgere la saggezza necessaria per l'illuminazione, questo era ciò che era più importante. Un eccellente esempio in un sutra che rispecchia questo approccio è il Sammaditthi Sutra (Majjhima Nikaya#9). Qui Sariputta tiene un bel discorso sulla Retta Visione. Egli discute 16 importanti temi e conclude ciascun punto dicendo: "Quando il nobile discepolo ha così compreso [il punto], egli sradica la sottostante tendenza dell’avidità, l’odio, la presunzione di 'Io-sono' e l'ignoranza, e facendo sorgere la vera conoscenza, fa cessare ‘qui e ora’ la sofferenza". Qui l'illuminazione è ottenuta esclusivamente attraverso l’intuizione (insight); i Jhana non sono neppure menzionati. L'altra scuola di pensiero dette una notevole importanza ai Jhana. Tutti coloro che utilizzarono questo approccio praticavano i Jhana così profondamente che svilupparono ciò che in Sanscrito si chiamano ‘SIDDHI’, cioè poteri soprannaturali. Questi Siddhi, come l’orecchio divino (telepatia), l’essere in due posti nello stesso tempo (bi-locazione), il ricordare le vite passate, ecc, possono essere visti come fenomeni in cui la persona è toccata dall’"inconscio collettivo". Tale approccio all’Illuminazione si può trovare nel Kevatta Sutra. Il Buddha prima insegna la moralità e poi i Jhana. Dalla concentrazione derivante dai Jhana, "uno applica e dirige la mente" verso il conseguimento di tali Siddhi. L’Illuminazione è realizzata esattamente nello stesso modo in cui si ottiene il divino orecchio; non vi è nessuna discussione di ‘insight’ se non il "conoscere e vedere". Questa "formula" appare in ciascuno di questi undici sutta, quasi esattamente allo stesso modo - cosa che ci si aspetterebbe solo in una tradizione orale - ma ciò significa che non possiamo essere sicuri di ciò che c’era originariamente nel sutra prima che fosse stata inserita la formula. L’Insight è appena menzionato in questo metodo. Qui l’Illuminazione viene raggiunta attraverso lo sviluppo di poteri paranormali. Possiamo supporre che l’Illuminazione sorga in un individuo che ha sviluppato un sufficiente contatto interiore con l'inconscio collettivo, in cui egli non può più concepire se stesso come una entità separata. Il Chulasaropama Sutra (Majjhima Nikaya # 30), oltre ad essere un ottimo insegnamento sui pericoli del materialismo spirituale, fa riferimento anche ai Jhana. Tuttavia, esso mostra segni indicanti che il testo è stato alterato. La bella armonia matematica del sutra improvvisamente si rompe al punto 12 con una discussione dei Jhana. I Jhana sono una pratica di concentrazione e la concentrazione è già stata dichiarata nella sezione 10 di essere uno stato inferiore alla conoscenza ed alla visione (insight). Ma quando nella sezione 12 sono presentati i Jhana, si dice che essi sono "più alti e più sublimi sia della conoscenza che della visione". Qui l'inclusione dei Jhana, rende il sutra effettivamente auto-contraddittorio. Ed è anche in contrasto con altri sutra pro-Jhana. La formulazione degli otto Jhana è quella di tipo "breve", (simile a quella che si trova nel Mahasatipatthana Sutta), ma con l'aggiunta di un’ultima frase in ciascuno dei paragrafi: "Questo [anche] è uno stato più alto e più sublime della conoscenza e della visione". Questa frase contraddice direttamente l'ultima frase del punto 84 della Samannaphala Sutta (Digha Nikaya#2). Nel precedente paragrafo del Samannaphala Sutta, l’asceta dirige la mente concentrata, pura e brillante, risultante dal quarto Jhana, verso la conoscenza e la visione. La compensione ottenuta "è un visibile frutto dell’ascetismo, più eccellente e sublime di quelli precedenti". Molti altri sutra mostrano segni di questo tipo di manomissione, ed oggi non ci resta che il compito di interpretare l'originale insegnamento.
CONCLUSIONE Gli effetti di questo antico dibattito ultra-millenario ci toccano ancor oggi, non solo nel non sapere ciò che mostravano i sutra originali, ma anche per poter capire il vero ruolo dei Jhana. I Jhana sono talvolta considerati una pratica pericolosa perché essi non sono una ‘Pratica di Insight’. Il principale fattore del Primo Jhana è Piti, e Piti viene citato come una corruzione dell’Insight nei vari commentari (si veda, ad esempio, il Visuddhimagga). Qui, il significato di Piti è stato preso come una forma negativa, soprattutto quando ciò che si intende è che Piti non deve essere scambiato per uno stato non-mondano. In Occidente, il buddhismo Theravada è principalmente derivato dalla tradizione Birmana di Mahasi Sayadaw e questa tradizione è una tradizione di "insight-asciutto" (non Jhanica). Perciò, i Jhana raramente sono menzionati, e tanto meno insegnati, nell’insegnamento buddhista del Theravada Occidentale.
Siti WEB Pro Jhana: ATI: Jhana, ATI: Right Concentration, Samadhanga Sutta (Anguttara Nikaya V.28) · PRACTICAL ADVICE FOR MEDITATORS by Bhikkhu Khantipalo
Siti WEB Anti Jhana: VIPASSANA & JHANA: What the masters say - BuddhaNet: Ethnic Buddhism
Tradotto nel mese di Aprile 2009 – per conto del Centro Nirvana di Roma – senza scopo di lucro
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