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Suzanne Segal (1955-1997) cita Sri Ramana: (Il “SAT” Non-Manifesto) Suzanne Segal era una giovane donna di 27 anni che, un giorno, in attesa di un autobus, sostanzialmente dal nulla si risvegliò all'Assoluto. Essa trascorse il resto della sua vita alla ricerca di altri con esperienza simile nel tentativo di comprendere e mettere la sua esperienza di Illuminazione nel contesto, per se stessa come pure per gli altri. La citazione è tratta dal suo libro "COLLISION WITH THE INFINITE" e riporta le parole di Sri Ramana Maharshi. Dopo la sua citazione, per la vostra emancipazione, ci sono le citazioni originali da Ramana e la loro fonte così che possa essere letta nel suo contesto.“Leggendo continuamente le parole di Ramana, ad un certo punto mi sono imbattuta in un passaggio sorprendente. Quando un discepolo gli chiese se fosse necessario essere associati con un saggio (sat-sanga), al fine di poter realizzare il ‘Sé’, Ramana rispose: "... l’associazione con il Non-manifesto-Sat, ovvero l’esistenza-assoluta (è richiesta).... Il Sastra dice che uno deve servire il (essere associato con) Sat-Non-Manifesto per un periodo di almeno dodici anni, al fine di ottenere l'auto-realizzazione, (realizzazione del ‘Sé’) ma poiché... molto pochi sono in grado di farlo, gli altri dovrebbero prendere il meglio dal secondo, cioè associandosi con il Sat-Manifesto, che è il proprio Guru". | ![]() | ||||||||||
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Ciò che stupì la Segal di questo passaggio è che lei aveva giusto appena trascorso il dodicesimo anno della sua esperienza di ‘Non-sé’, cioè di ‘Sat-Non-Manifesto’. Lei sentì che la "regola dei dodici anni" era qualcosa di importante. Quando altri leggono questo o altri passaggi simili, come quello che c’è ad esempio in ‘ZEN Enlightenment- The Path Unfolds’ di Wanderling, anch’essi si chiedono riguardo all'importanza come o se è da applicarsi a se stessi e quale che sia la ricerca di Illuminazione. Si veda, al riguardo l'originale citazione di Ramana, nel libro "Silent Teachings & Sat-Sanga", che recita come segue: Interrogante: ‘Tu dici che l’Associazione con il Saggio (Sat-Sanga) ed il servizio presso di essi, al discepolo è richiesto…’ Sri Ramana Maharshi: ‘Sì, la prima significa realmente <associazione con il Non-manifesto-Sat, cioè l’assoluta esistenza, ma siccome molto pochi sono in grado di farlo, devono prendere il migliore secondo, cioè l’associazione con il ‘sat-manifesto’, che è il proprio Guru. L’associazione con i saggi dovrebbe essere fatta perché i pensieri sono così insistenti. Il saggio ha già oltrepassato la mente e se ne sta in pace. Stare vicino a lui aiuta a realizzare questa condizione anche agli altri, altrimenti non vi sarebbe alcun senso nel cercare la sua compagnia. Il guru fornisce la forza necessaria per questo scopo, che è invisibile agli altri’. Interrogante: ‘E' necessario servire il Guru fisicamente?’ Sri Ramana Maharshi: Il Sastra (Scritture) dice che uno deve servire un Guru per un periodo di dodici anni, al fine di raggiungere l'auto-realizzazione (realizzazione del ‘Sé’). E che cosa dovrà fare il Guru? Deve consegnarlo al discepolo? Ma il Sé non è già sempre realizzato? Che cosa significa la credenza comune allora? L'uomo è sempre il ‘Sé’ eppure egli non lo sa. Invece egli lo confonde con il non-sé, il corpo, ecc. Tale confusione è dovuta a ignoranza. Se l'ignoranza è spazzata via la confusione cesserà di esistere e la vera conoscenza verrà dispiegata. Rimanendo in contatto con i saggi realizzati l'uomo gradualmente perde la sua ignoranza fino a quando la rimozione sarà stata completata. L'eterno Sé è quindi rivelato’. NOTA: Per quanto riguarda il "servire" il Guru per un periodo di dodici anni o altrimenti, Sri Ramana, nel paragrafo di apertura della stessa fonte riferisce quanto segue: “Questo flusso di potere dal Guru può essere ricevuto da una persona la cui attenzione è focalizzata sul Sé, o sulla forma del Guru; la distanza non è un ostacolo alla sua efficacia. Questa attenzione è spesso chiamata Sat-Sanga, che letteralmente significa 'associazione con l'essere'.’ Questa pratica è pienamente incoraggiata da Sri Ramana, che spesso disse anche che questa pratica è il metodo più efficace per realizzare la diretta esperienza del Sé. Tradizionalmente essa coinvolge l’intero essere nella fisica presenza di colui che ha realizzato il Sé, ma Sri Ramana ne dette una definizione molto più ampia. Egli infatti affermò che l'elemento più importante nel Sat-sang è la connessione mentale con il Guru; Il Sat-sang avviene non solo in sua presenza, ma anche quando e dove uno pensa a lui. (Fonte: Sri Ramana Maharshi, ‘Silent Teachings&Sat-Sanga’). Secondo le citazioni di Ramana, se l'ignoranza è spazzata via, la confusione cesserà di esistere e la vera conoscenza sarà dispiegata. Rimanendo in contatto con i saggi realizzati (cioè, sedendo davanti a Ramana, per esempio) l'uomo perde gradualmente l'ignoranza fino a quando la sua rimozione è completa. L'Eterno Sé è quindi rivelato. Sopra si cita anche che Ramana dice che il Sastra afferma che uno deve servire un Guru per un periodo di dodici anni, al fine di ottenere la realizzazione del ‘Sé’. Ma, che cosa trovò Ramana stesso, e quel giovane che entrò per la prima volta nell'ashram e dopo un’ora sperimentò l'Assoluto sotto la grazia e la luce del Maharshi? Non certo dodici anni, in entrambi i casi, sia Ramana che il giovane. Essi sono allora eccezioni? "... che né la ripetizione delle Scritture, né l’auto-tortura, né il dormire per terra, né la ripetizione di mantra, canti, preghiere, penitenze, inni, incantesimi e invocazioni può portare la vera felicità del Nirvana. Infatti, il Buddha sottolineò l'importanza di fare un grande sforzo individuale, al fine di poter raggiungere gli obiettivi spirituali". (fonte) Così, naturalmente, il risultato finale dell'Illuminazione stessa, come pure la Realizzazione dello Zen, o del ‘"né’, com’è talvolta chiamata nell’Induismo, alla fine ricade ben oltre e al di là dei termini scritti delle Scritture... cioè di qualunque Scrittura, sutra, sastra, o qualunque dottrina, e quindi in un certo senso, ogni perplessità o qualunque altra cosa è muta. Tuttavia, sorge ancora la domanda, da dove proviene l’idea dei "dodici anni"? Ancora, essa è fondamentalmente Induista, più specificamente dell’Induismo Shivaita. Ora, ci saranno quelli che non sono d’accordo quando la sintonia in un punto specifico, ma in un’ampia generale visione d’insieme, l’iniziale "regola dei dodici anni" possa mettere radici lì. L’Induismo Shivaita crede che Siva sia Dio. Nel contesto di tale convinzione c’è ciò che poi sarà chiamato il Santo Ordine dei Sannyasa. Tradizionalmente, il Sannyasa diksha è limitato a uomini non sposati, anche se alcuni moderni ordini hanno accettato le donne qualificate. Come regola, nella maggior parte degli ordini, se un candidato entra nella pratica monastica prima dei venticinque anni e soddisfa altre qualificazioni, egli può, in genere dopo un minimo di dodici anni di preparazione e di formazione, prendere i voti da sannyasin, entrando nel Santo Ordine dei Sannyasa. Solo un sannyasin può portarne un altro nell'antico ordine dei sannyasa. Tuttavia, poiché lo scopo è la realizzazione di Dio, molti candidati cercano l’iniziazione da un avanzato spiritualmente conoscitore di Dio, che li può portare in Parashiva. Il Sannyasa diksha è dato in modi semplici o più formali. I riti formali comprendono la rasatura della testa, trasmissione di certi insegnamenti esoterici, abiura della vita mondana e dei dharma (fenomeni), l’assunzione dei voti monastici, l’applicazione dei riti funebri di noviziato e la donazione della vestizione ‘kavi’. (fonte) --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- IL DHARMASASTRA di Gautama: ‘Aphorisms of the Sacred Law’, capitolo II, versi 45, 46… /45:…Egli deve rimanere uno studente per un periodo di dodici anni, al fine (di studiare) una (recensione dei Veda), /46:…Oppure, se (egli studia) tutti (i Veda) dodici anni per ciascuno, --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Il Karma-yoga Il Sentiero del Karma Yoga, quello delle opere e delle azioni, è la pratica di molti Indù. Varnashrama Dharma descrive il modello del Karma-Yoga. Il Dharma (doveri sociali e religiosi) dipende da Varna, il ceto sociale in cui uno è nato, ed ashrama, la fase della vita (studente, padrone di casa, abitante delle foreste, nomade senza fissa dimora) in cui si è. Il termine Karma generalmente significa azione, ma qui significa 'corretta-azione' mentre Yoga significa l’ottenimento di un corretto stato di mente per eseguire l’'azione corretta'. Quattro classi (varna) formano questo modello di struttura sociale: (1) I Brahmini sono i custodi dei valori spirituali, sacerdoti e insegnanti religiosi. Sono richiesti dodici anni di studio per chi vuole operare con i rituali e la pratica di questa classe. (2) Ksatriya, governanti e guerrieri, che vigilano sul paese o regno. Otto anni di studio sono necessari per i membri. (3) Vaisya, sono i mercanti, il controllori di cassa, della produzione agricola e del bestiame. Il Vaisya richiede quattro anni di studio. (4) Sudra, sono i servi nelle posizioni di servizio e coloro che fanno i lavori più umili, essendo membri della classe più bassa. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- L’ÂPASTAMBA PRASNA, PATALA 1, KHANDA, 2. (Un uomo) deve conservare per dodici anni le norme prescritte per uno studente che studia i tre Veda. In seguito egli può essere iniziato. Poi sarà bagnato (battezzato), mentre recita il Pâvamânis e gli altri testi. Va notato che perfino lo stesso Ramana NON fu formalmente iniziato nel sannyasa, anche se poi egli si risvegliò all'Assoluto a diciassette anni, praticamente dal nulla, con poco o nessun sfondo religioso formale, e di sicuro senza un guru personale, e quindi alla fine, nessuna di quelle cose, come i Dodici anni di servizio, ecc, gli fu veramente necessaria. Almeno non lo fu nel caso di Sri Ramana, anche se seguire tale regola sarebbe obbligatorio per quasi tutti. Come Ramana Maharshi scrisse nel suo libro ‘Filosofia dell’Esistenza’: "Quando egli uscì dal tempio e andò a piedi lungo le strade della città, qualcuno lo chiamò e chiese se voleva tagliarsi i capelli. Egli prontamente acconsentì, e fu condotto nel negozio Ayyankulam, in cui un barbiere gli rase la testa. Poi si sedette sui gradini del negozio e gettò via nell’acqua il resto dei soldi. Scartò anche il sacchetto di caramelle datogli dalla moglie del Bhagavatar. La successiva cosa fu di mettersi al collo il sacro filo. E mentre tornava al tempio, egli stava proprio chiedendosi perché dovesse dare al suo corpo il lusso di un bagno, quando vi fu un diluvio che lo inzuppò tutto". (fonte) Per Ramana ciò fu quasi il massimo. Tuttavia, egli disse che ci sono due forme di Sannyasa: 1) sannyasa-vidvat 2) vividisii-sannyasa Il primo (sannyasa-vidvat) (a volte: Aparka Marg) arriva da solo su di un uomo, che gli piaccia o no, ed egli è colto da una costrizione interiore. La luce ha brillato in modo così vivido che egli è diventato cieco a tutte le 10.000 altre cose del mondo. Sia come sia, probabilmente il caso più noto è quello di Sri Ramana Maharshi, anche se essa non fu un'esperienza così del tutto unica. Che un uomo riceva la formale iniziazione di sannyasa o meno, conta poco. Egli è comunque diventato un avadhata, uno che ha rinunciato a tutto, secondo la primitiva tradizione che esisteva prim’ancora che una qualsiasi regola fosse stata anche solo pensata. Questo è quando si è sannyasa originale senza bisogno del nome, come è stato descritto nel Brihadaranyakopanishad: "Quando un uomo è giunto a conoscere ‘Quello’ (il grande Atman non-nato), egli diventa un Muni. Desiderandolo solo come proprio Loka, il monaco errante comincia ad andare in giro". (4.4.22) Anche se un po 'fuori tema', va aggiunto che la suddetta tradizione di monaci erranti (parivrajaka) ha continuato dalle sue radici originali fino al buddhismo e allo Zen. Il viaggiare a piedi, in Cinese ‘Hsing Chiao’, è un’antica tradizione dei wanderling-Zen e considerato il terzo stadio o fase del training Zen. L'ambivalenza del sannyasa è tale che, in ultima analisi, quando è spogliato da tutte le regole e segni esteriori, non può mai essere differenziato dalla spontanea rinuncia interiore di ogni uomo risvegliato. Niente di esteriore può servire come segno del sannyasin. Egli può vagare per tutto il mondo, può nascondersi in grotte e nella giungla, e ugualmente egli può vivere in mezzo alle moltitudini e perfino condividere il mondo del lavoro senza perdere la sua solitudine. Le persone che non sono percettive non potranno mai notarlo, e soltanto un 'evamvid' (colui che sà) potrà riconoscerlo, poiché anche lui rimane nella profondità del Sé. Tuttavia, chi è già un minimo risvegliato non potrà comunque fare a meno di sperimentare qualcosa della sua radianza – il sapore, il contatto, un barlume di luce - che solo il senso interiore può percepire, e che lascia dietro di sé una vera impressione meravigliosa… (fonte) §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ | |||||||||||