Nascita del fenomeno Il buddhismo si è sviluppato come dottrina universale della salvezza e del riscatto dal dolore. Esso è una delle grandi religioni del mondo, basata sugli insegnamenti del principe indiano Siddharta Gautama, comunemente conosciuto come "Il Buddha", il quale visse nel VI sec a.C.. "Buddha" significa colui il quale è Supremamente Illuminato -o colui il quale è Completamente Desto- e ha ottenuto la Consapevolezza Assoluta della Verità Permanente, la Verità Suprema. Gli insegnamenti di Buddha furono trasmessi solo oralmente da monaci di diverse regioni. Il buddhismo nasce come "eresia" del Bramanesimo (culto degli dèi menzionati nei Veda). Il Buddha accettava l'esistenza degli dèi Vedici ma negava la loro superiorità sull'uomo, contestava l'autorità dei Veda, criticava i brahmini e il sistema delle caste. I bramini da parte loro condannavano il Buddha come il peggior tipo di eretico. Dato che ambedue le religioni esistettero fianco a fianco per molti secoli ed essendo tutte e due molto tolleranti, ebbe quindi luogo una certa influenza reciproca: molti aspetti del buddhismo furono assorbiti dal bramanesimo ed anche i buddhisti adottarono rituali e divinità Indù. Chi era Siddharta? Siddartha era figlio del governatore di uno dei piccoli e bellicosi regni dell'India del nord. Egli trascorre la prima parte della sua esistenza nel lusso e nella mondanità. A 16 anni il padre lo fa sposare e dopo 13 anni ha un figlio, ma proprio all'età di 29 anni decide di abbandonare tutto e tutti. Non avendo mai conosciuto alcun aspetto veramente negativo della vita, in quanto non era mai uscito dai confini del proprio palazzo, rimase un giorno letteralmente sconvolto al vedere, in un villaggio, un vecchio decrepito, un malato grave e un corteo funebre. Improvvisamente capì che esistevano anche le malattie, la vecchiaia e la morte come destino universale degli esseri umani. Il giovane principe, profondamente turbato dallo spettacolo della sofferenza, rinunciò ai fasti della reggia paterna e percorse la via che lo portò al di là di ogni sofferenza e all'acquisizione di ogni virtù. Incontrò un povero asceta che aveva rifiutato volontariamente ogni ricchezza e piacere della vita e che errava felice per la campagna: decise così di seguire il suo esempio. Desideroso di conoscere il cammino che conduce al termine dello stato temporale (lo stato in cui nulla permane) e che assicura il benessere permanente, Egli rinunciò alla vita mondana, divenne un vagabondo ascetico e si mise alla ricerca della Realtà Suprema. Divenne un Bodhisattva (chi è destinato a divenire un Buddha, cioè l'asceta che, per illuminare il prossimo, rinuncia a raggiungere il Nirvana), un individuo immerso profondamente in un periodo di intenso sviluppo e adoperamento al fine di realizzare la Conoscenza Perfetta e la Suprema Illuminazione Totale necessarie ad un Buddha. Il Buddha visse per sette anni nella foresta, sottoponendosi - sotto la guida di vari maestri - a sofferenze, digiuni, e privazioni d'ogni genere, al fine di conseguire la pace interiore e la conoscenza della Verità. Ma non rimase soddisfatto di questa vita. Abbandonò ogni maestro e decise di ricercare da solo la via della Liberazione (mukti). A 35 anni, giunto alla soglia della morte per esaurimento, una notte -secondo la tradizione-, mentre era seduto ai piedi di un albero, sprofondò nei suoi pensieri pervenendo all'"Illuminazione" (Buddha significa "illuminato" o "risvegliato"). Essa consisteva nel rifiutare sia una vita di piaceri, perché troppo effimera, che una vita di sofferenza volontaria, perché fonte di orgoglio. Egli raggiunse la mèta che si era prefisso ed ottenne la realizzazione della Conoscenza Perfetta. Egli trovò il cammino che conduce alla cessazione di tutte le cose temporali e di tutte le angustie: il Nirvana (estinzione di ogni desiderio e passione, di ogni legame con la realtà corporea, forma di beatitudine, di quiete totale, raggiunta solo attraverso stadi successivi fino all'ultimo, che garantisce l'immunità da altre rinascite). Nirvana è il più comune dei vari nomi che il Buddha diede all'obiettivo della sua religione. Alcuni degli altri sono l'Eccellente, la Purezza, l'Isola, la Libertà e il Culmine. La parola Nirvana viene dalla radice del verbo "estinguere" e si riferisce all'estinzione dei fuochi del desiderio, odio e illusione. Quando queste oscurazioni sono stati distrutte dalla Saggezza, la mente diventa libera, radiante e gioiosa e alla morte non si è più soggetti alla rinascita. Grazie all'esperienza della meditazione, il Buddha penetrò l'essenza della mente, ne realizzò la natura profonda, raggiungendo il risveglio o l'illuminazione. Avendo scoperto la realtà di ciò che siamo, prese a insegnare il Dharma (in Sanscrito, o Dhamma, in Pali), il quale ha diversi significati, come insegnamento, natura, Verità, e comunemente indica gli insegnamenti e la dottrina del Buddha, che spiegano e descrivono la natura delle cose, il modo in cui le cose sono, il modo in cui le cose agiscono, nonché la Via di Mezzo (ossia le pratiche per ottenere l'illuminazione evitando gli estremi della autoindulgenza sensoriale da una parte e l'automortificazione dall'altra), proponendo una via per accedere alla stessa esperienza che egli aveva realizzato. Coloro che seguono i suoi insegnamenti considerano il Buddha uno specchio senza tempo delle potenzialità naturali e intrinseche della mente. Il suo insegnamento, che rende liberi dalla paura, gioiosi e pieni d'amore, è la religione principale in molti paesi asiatici. Al momento del "Risveglio" Siddartha credette di riconoscere quattro Verità fondamentali dell'esistenza. Quattro settimane dopo aver raggiunto l'Illuminazione, il Buddha diede il primo insegnamento. Ciò che insegnò fu proprio Le quattro nobili Verità. Il Buddha insegnò continuamente questi metodi dall'età di 35 anni, quando manifestò la sua illuminazione, fino all'età di ottant'anni, quando lasciò il suo corpo. Per circa quarantacinque anni insegnò gli ottantaquattromila insegnamenti che possono portare beneficio a tutti. Cominciando coi suoi discepoli a predicare il Dharma (legge, regola della dottrina buddhista) per tutta l'India, egli si rivolse (diversamente dai brahmani) alla gente comune, usando i loro idiomi locali. Dopo circa 40 anni di pellegrinaggio e di insegnamento, egli morì, avvelenato da cibi guasti, e fu cremato dai suoi discepoli secondo il rito indiano (circa 477 a.C.). Nel III a.C. il re Asoka, capo di una dinastia che lottava per unificare sotto il suo dominio la maggior parte dell'India, si convertì al buddhismo e contribuì alla sua diffusione, dentro e fuori dell'India, facendone una religione di stato. Chi sono i monaci buddhisti? Nei primi tempi della sua predicazione, il Buddha non ebbe in mente d'imporre una particolare disciplina monastica. Dovrà però farlo quando si troverà ad essere il capo di un Ordine. Le maniere di vivere il buddhismo sono, ancora oggi, fondamentalmente due: l'appartenenza all'Ordine composto da monaci (bhiksu) o monache (bhiksuni) e la confraternita dei laici (upasaka). Il monaco deve avere la testa rasata, non deve portare barba e baffi; la sua tunica dev'essere ampia e di colore giallo-arancione; una ciotola appesa alla cintura sta a indicare che la questua è il suo unico mezzo di sostentamento; il suo vitto-base dovrebbe essere costituito da pane e acqua, brodo e riso cotto, e comunque egli non deve ingerire alcun alimento solido tra mezzogiorno e l'alba del mattino successivo. Unici oggetti personali, oltre a quelli detti, un paio di scarpe,un rasoio, un ago (per tunica, saio e mantello) e un filtro per l'acqua. Egli non può esercitare un mestiere remunerato e può ricevere doni solo in natura, non in denaro. Il celibato è d'obbligo. Il monaco pratica, circa una volta al mese, la confessione pubblica delle proprie colpe, guidata dal monaco più anziano. Il monaco non deve essere causa di dolore per alcun essere vivente (animali inclusi). Sul piano rituale, il buddhismo rifiuta le cerimonie raffinate tipiche del brahmanesimo e proibisce i sacrifici di animali. I monaci devono essere continuamente in viaggio per diffondere la Legge del Buddha: non hanno, quindi, fissa dimora; i monasteri sono solo luoghi d'incontro per i giorni di ritiro e per il periodo delle piogge (luglio-ottobre), in cui vige la proibizione di uscire dal monastero, anche per la questua. Possono anche curare l'istruzione religiosa dei giovani. La disciplina delle comunità monastiche (e laicali) andò configurandosi attraverso quattro Concili: 1- Il primo (483 o 477 d.C.) ebbe lo scopo di fissare un primo Canone. 2- Il secondo (383 o 367 a.C.) fu causato da una questione di disciplina monacale, ma porterà al più grande scisma in seno al buddhismo, tra le scuole Hinayana e Mahayana. I punti controversi furono cinque: 1- un monaco, pur con tutta la sua santità, può essere soggetto a necessità fisiologiche incontrollate? 2- la sua illuminazione non esclude di per sé residui di ignoranza nella vita quotidiana? 3- il monaco può essere soggetto a dubbi? 4- la sua conoscenza su fatti contingenti può essere acquisita con l'aiuto di altri (non per immediata intuizione)? 5- il monaco può definire con parole del linguaggio ordinario la Via ineffabile che conduce al Risveglio? Quali sono i testi sacri del buddhismo? I testi sacri riconosciuti come autentici dal buddhismo sono raccolti in due Canoni, denominati, in base alle scritture usate, Pali e Sanscrito. 1- Il Canone Pali (I sec. a.C.) è chiamato anche Tripitaka, perché raggruppa il corpus in tre parti (o "Tre canestri": i libri di ogni raccolta, scritti su fogli di palma, potevano essere contenuti in una cesta). Esso rappresenta una sintesi delle dottrine predicate dal Buddha o a lui attribuite e delle teorie elaborate dalla scuola Hinayana. 2- Il Canone Sanscrito, nato circa sei secoli dopo la morte del Buddha, varia molto, come suddivisione e denominazioni, da Stato a Stato. Sostanzialmente è legato alla scuola Mahayana. Questa tradizione sostiene che Buddha avrebbe riservato la parte più sottile della sua Verità alle generazioni posteriori. Durante i 1500 anni in cui gli insegnamenti restarono vivi in India essi furono chiamati Dharma; nei successivi 1000 anni di fioritura nel Tibet furono chiamati Cho. Quali sono le scuole di pensiero buddhiste? La tradizione tibetana suddivide il sentiero buddhista in tre veicoli: l’Hinayana, il Mahayana ed il Vajrayana. 1- L’Hinayana letteralmente significa veicolo “piccolo” o “minore”, ma sarebbe più accurato chiamarlo “stretto”. Si tratta del buddhismo delle origini, che sussiste ancora allo stato puro in alcuni paesi come la Birmania, lo Sri Lanka, il Laos, la Cambogia e la Tailandia. Questo buddhismo primitivo viene chiamato "piccolo veicolo" o hinayana, riprendendo l’espressione peggiorativa con cui lo ha designato un’altra corrente, che si differenziava da esso attribuendo a se stessa il nome di "grande veicolo". L’ideale dell’Hinayana è la liberazione individuale, nota come Nirvana. La stretta via della salvezza richiede una rigorosa osservanza delle otto vie. Solo i monaci possono raggiungere il Nirvana. Non considerano Buddha un Dio, ma solo un maestro di perfezione morale. Si dedicano alla predicazione, allo studio dei testi canonici, alla venerazione dei luoghi legati alla vita di Buddha, ecc. Questa corrente nega l'esistenza dell'atman (l'io individuale) e ritiene inutili i riti, le devozioni, i simboli e i sentimenti religiosi. Essa si è diffusa in Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e soprattutto Sri Lanka. L’ideale descritto non è vissuto, nella realtà, che da un piccolissimo numero di persone. La prima cosa che colpisce è una straordinaria semplicità: non c’è nessun sistema di "dogmi", nessun "sacramento" di iniziazione. Chi ha compreso l’insegnamento fondamentale delle quattro nobili Verità è buddhista. 2- Il Mahayana o “grande veicolo” va oltre l’ideale Hinayana della sola salvezza individuale. La Via Mahayana offre l’occasione di verificare due fenomeni: l’allargamento delle prospettive e la divinizzazione del fondatore, accompagnata da tutta una fioritura di leggende intorno alla sua vita. Il primo passo è costituito da una certa attenuazione del rigore della vita monastica e da una protesta nei confronti della stretta separazione esistente tra l’ordine dei monaci e il resto della comunità. Ci si sforza di rendere meno netti i confini tra i monaci e il resto della comunità. Queste comunità trasformano a poco a poco il buddhismo in una religione vera e propria, con delle preghiere e un culto rivolto al Buddha stesso, considerato come un Dio, e anche a tutta una proliferazione di Buddha considerati come altrettante divinità. Questo cambiamento di prospettive si verifica nel corso degli ultimi due secoli prima di Cristo. Questo permette ai seguaci del Mahayana di qualificare il buddhismo primitivo con l’espressione peggiorativa di "piccolo veicolo", insinuando che, all’interno di questa corrente, soltanto i monaci si trovano davvero sulla via della salvezza, mentre il "grande veicolo" propone la salvezza a tutti. Accanto al Buddha considerato come un essere divino, il mondo spirituale si popola di molti altri intermediari di natura divina che diventano oggetto di devozione: i bodhisattva. La bontà di questi bodhisattva è meravigliosa. Sono già arrivati all’illuminazione del Nirvana, ma il loro amore è così grande che hanno chiesto di non uscire dal ciclo delle trasmigrazioni per rimanere sulla terra finché ci sarà al mondo anche una sola creatura da amare e da salvare. Siamo davvero ad una vetta spirituale dell’umanità religiosa. Il buddhismo cessa di essere semplicemente una dottrina per trasformarsi in una religione. La larga via della salvezza permette la salvezza anche al laico, in forme meno rigide. La scuola Mahayana -che sostituì la lingua Pali, usata dal Piccolo Veicolo, con il Sanscrito- costituisce lo sviluppo del buddhismo in senso filosofico, mistico e gnostico. Essa riconosce un gran numero di divinità, fra le quali annovera lo stesso Buddha. Anzi, Siddartha Gotama non sarebbe che uno dei Buddha: ne esisterebbero altre centinaia Oltre ai Buddha vi sono i santi, coloro che, pur avendo acquistato il diritto d'immergersi nel Nirvana, hanno deciso di restare ancora un pò di tempo sulla terra per salvare gli uomini. I mahayanisti, a differenza degli hinayanisti, credono anche negli spiriti maligni e in altri esseri soprannaturali, nonché nella differenza tra paradiso e inferno: nel paradiso si trovano le anime dei giusti (anche laici) che devono incarnarsi ancora una volta sulla terra prima di raggiungere il Nirvana. Questa corrente, che praticamente non ha nulla del buddhismo originario, si è diffusa tra il II e il X sec. nell'Asia centrale, nel Tibet, in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, Mongolia e Nepal. 3- Il terzo veicolo é il vajrayana, che letteralmente significa “veicolo adamantino” o indistruttibile. Dal 7° secolo dopo Cristo una nuova tradizione buddhista incominciò a svilupparsi all'interno del Mahayana ed è chiamata Mantrayana (il Veicolo del Mantra) o Vajrayana (il Veicolo del Diamante). Si diffuse dall'India in Tibet dall'8° secolo in avanti. Oggi è diventata forse la tradizione buddhista con più successo in Occidente. La terza corrente del buddhismo è la meno diffusa (circa 20 milioni di seguaci) e quella che più si è allontanata dalle origini, insistendo proprio sui punti che il Buddha aveva maggiormente criticato: il ritualismo, la mistica e la magia. I suoi due rami principali sono il Lamaismo e lo Zen. Queste correnti esoteriche attribuiscono importanza centrale alla ripetizione di formule sacre (mantra) per raggiungere l'Illuminazione. Nel Tibet questa corrente, nata verso il 750, assunse il nome di Lamaismo, diffondendosi anche in Mongolia e Siberia. È L'unica corrente strutturata in maniera gerarchica. Per i suoi seguaci il Tibet rappresenta come una "casa madre" e una "terra promessa". Lhasa, la capitale, è considerata "città sacra". Anche la lingua tibetana è ritenuta "sacra". Il Lamaismo dà notevole importanza agli scongiuri magici, alla conoscenza mistica e alla musica, con l'aiuto dei quali esso è convinto di poter raggiungere il Nirvana in tempi molto brevi. Molto influenti sono stati i monaci, chiamati Lama, che riuscirono a costituire un governo ierocratico: nominalmente il potere civile apparteneva agli imperatori cinesi, di fatto erano i monaci a comandare e i loro dirigenti venivano scelti tra le famiglie feudali più influenti. L'ultimo Dalai Lama, non avendo accettato l'unificazione del Tibet con la Cina comunista (1951), imposta da quest'ultima, ha deciso, dopo una rivolta fallita, di espatriare in India nel 1959, insieme a 100.000 rifugiati. Prima dell'unione con la Cina, un tibetano su quattro apparteneva a un ordine religioso. Quando il Dalai Lama muore, si pensa ch'egli s'incarni immediatamente in qualche parte del paese. Una ricerca minuziosa viene allora operata tra tutti i neonati maschi che rivelino alcuni segni particolari negli occhi o nelle orecchie o nella pelle… I loro nomi vengono introdotti in un'urna d'oro e poi ne viene estratto uno a sorte. Da quel momento il prescelto viene educato dai sacerdoti, conduce un'esistenza privilegiata e deve astenersi da qualunque forma di impurità e di rapporto sessuale. L'attuale Dalai Lama (XIV Incarnazione) è stato insediato nel 1940. Nel 1990 gli è stato conferito il Premio Nobel per la pace. La corrente più mistica del buddhismo, invece, è lo Zen, introdotto in Cina nel VI sec. e arrivato in Giappone nel XII, dove divenne la religione dei samurai. Lo Zen rappresenta un ramo del buddhismo, esso nacque in Cina nel 520, per merito del monaco indiano Bodhidharma. Noto al pubblico occidentale, soprattutto grazie alla pubblicazione in lingua inglese dei Saggi sul buddhismo Zen dello studioso giapponese Deisetz Suzuki, alla fine della seconda guerra mondiale, lo Zen suscitò in Europa e negli Stati Uniti l'interesse di artisti, filosofi e psicologi, affascinati dalla suggestività della sua pittura e della sua scultura, e dalla profondità di un pensiero in cui venivano individuate presunte connessioni con alcune correnti della filosofia contemporanea (Schopenhauer). In questa scuola il monaco può avere famiglia. Come e quanto si è diffuso il buddhismo nel mondo? Il buddhismo oggi è la quarta comunità religiosa mondiale, dopo Cristianesimo, Islam e Induismo, e conta almeno 3-400 milioni di seguaci. A poco a poco, il buddhismo si diffuse dall’India anche in Cina (I sec.), Birmania e Corea (IV sec.), Indocina, Giappone (VI sec.) e Tibet (dal VII sec.), dove diede origine al Lamaismo, ed i missionari buddhisti cominciarono a diffondere la Legge del Buddha oltre i confini dell'India, soprattutto in Asia (Kashmir, Himalaya, Thailandia), in Africa (Egitto), ma anche lungo le sponde del Mediterraneo (Siria, Egitto, Macedonia, Epiro). La decadenza del buddhismo cominciò a verificarsi a partire dal VII sec., dapprima in India, con la rinascita del Brahmanesimo, poi, soprattutto nei secoli IX-XV, in Asia centrale, Afghanistan, Indonesia e di nuovo in India, a causa delle invasioni musulmane. Si calcola che almeno 200 milioni di buddhisti, che si trovavano in Pakistan e Bangladesh, vennero convertiti a forza all'Islam. A tutt'oggi è rimasto religione di stato solo in Thailandia e Buthan. Al di fuori dell'India, il buddhismo riuscì facilmente a soppiantare i vecchi culti, ma a condizione di trasformarsi in una religione emotiva e ritualistica, disposta ad accettare varie divinità celesti e spiriti infernali, facendo altresì largo uso della musica e delle arti figurative, delle danze sacre e di fastose processioni. Il buddhismo nel Tibet ebbe un periodo di incontaminato splendore fino alla tragedia dell'invasione cinese che dette inizio a una sistematica distruzione di ogni forma di espressione religiosa e costrinse migliaia di persone, tra cui il Dalai Lama, a un esodo forzato. È da quei tragici giorni che per il buddhismo della tradizione tibetana iniziò una nuova fase: quella dell'incontro con l'occidente. Alla fine del secondo millennio, un impulso alla diffusione del buddhismo nel mondo occidentale è stato dato dal sorgere di nuovi movimenti religiosi e dall'attività del XIV Dalai-lama a favore della pace e del dialogo interreligioso. Il risveglio del buddhismo risale a poco più di un secolo fa ed è dovuto, paradossalmente, all'interesse che alcuni studiosi occidentale cominciarono a mostrare per i suoi testi sacri e i suoi monumenti. In Europa il buddhismo costituisce motivo di grande interesse da parte del filosofo tedesco A. Schopenhauer. Verso la fine degli anni '40, U Nu, primo ministro birmano, elabora e cerca di propagandare il suo "buddhismo sociale", secondo cui non avrebbe mai potuto esserci il benessere nel suo paese fino a quando non si fosse espropriata la terra ai latifondisti. In particolare, egli sosteneva ch’era impossibile cercare il Nirvana quando si è schiavi delle ricchezze o, al contrario, quando si è angosciati dalla lotta per la sopravvivenza. Nel dicembre 1947 il Congresso pan-singalese invita i buddhisti a organizzare un Congresso Internazionale: cosa che si fa nel 1950, sempre in Sri Lanka. Nasce così la World Federation of Buddhist, con sede a Bangkok, che stabilisce un programma in tre punti: 1- costituzione di un fronte unitario, 2- diffusione degli scritti del Buddha, 3- espansione missionaria anche fuori dell'Asia. Lo sforzo attuale del buddhismo, relativamente all'ultimo punto, è quello di diffondere lo spirito di fratellanza universale e di non-violenza, ovvero collaborare a iniziative umanitarie per combattere il fanatismo e la guerra. Nel 1975 è stata fondata a Parigi l'Unione buddhista Europea, che tiene ogni anno un'assemblea generale, di volta in volta in una diversa sede europea. A Milano si trova il più importante Centro di Studi Tibetani d'Europa, che si adopera per il dialogo tra buddhismo e cristianesimo e dove, nel 1999, è stato organizzato un seminario di studi tenuto dal Dalai-lama regnante, Tenzin Gyatso. In Europa i buddhisti sarebbero 1,5 milioni, di cui 600.000 in Francia. Negli USA si arriva a 5-10 milioni di fedeli. In Italia esistono almeno 60 centri buddhisti, in gran parte nelle regioni settentrionali (solo due al sud). Di questi centri, 28 fanno capo all'Unione buddhista Italiana, nata nel 1985 (dei quali 16 sono di scuola tibetana), riconosciuta dallo Stato come "ente morale avente fini di culto", che attende di poter firmare un'Intesa vera e propria. L'UBI non è interessata a un insegnamento del buddhismo nella scuola statale, ma chiede di partecipare alla ripartizione dell'8 per mille del gettito Irpef. In tutto, i buddhisti italiani sono circa 60.000; la presenza femminile, di ceto medio-alto, con interessi nei campi dell'ecologia e della non-violenza, è preponderante: circa il 70%. I monaci buddhisti sono una decina di stranieri e una quarantina di italiani, prevalentemente seguaci della tradizione Zen. I monasteri sono tre. Escludendo qualsiasi intento di proselitismo, i buddhisti italiani si dedicano prevalentemente al volontariato, ad attività socialmente utili, al dialogo interreligioso e interculturale. Quali sono gli insegnamenti fondamentali del buddhismo? I quattro pensieri fondamentaliConosciuti come Pratiche preliminari ordinarie, I Quattro Pensieri Fondamentali formano il contesto per tutta la pratica buddhista e aiutano la stabilità della nostra motivazione. 1- Il Prezioso Corpo Umano. Ci rendiamo conto della rarità della condizione di aver ottenuto una esistenza umana e riconosciamo la preziosa opportunità di utilizzare i metodi di un Buddha per il beneficio di noi stessi e degli altri. 2- L'Impermanenza. Ogni cosa composta è impermanente. L'unica cosa che è senza fine, è lo spazio chiaro ed illimitato della mente. 3- La Legge del Karma. Karma significa causa ed effetto. In ciascun momento, ogni pensiero, parola e azione viene impressa nella nostra coscienza e si manifesterà in una condizione futura. Noi stessi creiamo il nostro futuro e nessun altro è responsabile della nostra situazione se non noi stessi. 4- La natura insoddisfacente dell'esistenza condizionata. L'infelicità è una caratteristica inseparabile dall'esistenza ciclica e condizionata, dove attaccamento ed avversione - cause di sofferenza - sono prodotte dall'instabilità e dal cambiamento. L'unico modo per trascendere questo stato è sperimentare la vera natura delle nostre menti. Teoria della rinascita (Samara). Tutta la vita è dolore. L'origine del dolore è la "sete" o desiderio (piacere, voler esistere, non voler esistere), e vi sono tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale). L'io che non riesce a sottrarsi a questa schiavitù, è destinato a reincarnarsi (Samsara) in eterno, almeno fino a quando non si sarà purificato interamente. Nella morte gli elementi materiali e spirituali dell'uomo si sciolgono e periscono, ma il flusso della vita cosciente continua al di là della morte e costituisce la base per la formazione di un nuovo essere, che è diverso dal morto ma è insieme la sua continuazione. Quando una persona muore, successivamente rinasce e questo processo di morte e rinascita continuerà fino a che non si ottenga il Nirvana. Ciò fa sorgere la domanda: "Cosa è una persona?". Molte religioni credono che l'essenza di una persona sia l'anima, una entità eterna e immateriale che sopravvive dopo la morte. Il buddhismo dice che la persona è fatta di pensieri, sensazioni e percezioni che interagiscono con il corpo in modo dinamico e costantemente in mutamento. L'io non è un'entità individuale, ma è una combinazione di particelle diverse (dharma, o qualità spirituali), di tipo sensitivo, volitivo, percettivo e di impulsi innati: non esiste l'unitarietà dell'io né la sua personale immortalità. L'uomo deve rispondere sia della vita trascorsa che della vita passata nelle generazioni precedenti. Questa circolazione o flusso dei Dharma è la ruota della vita da cui ci si deve liberare. Alla morte questo flusso di energia mentale è ristabilita in un nuovo corpo. Così il buddhismo è capace di spiegare la continuità dell'individuo senza far ricorso alla fede di un'anima eterna, un'idea che contraddice la Verità universale dell'impermanenza. Le circostanze nelle quali uno rinasce sono condizionate dal Karma creato nella vita precedente. Il primo fatto incontrovertibile dell'esistenza è la legge del continuo mutamento, o della decadenza. Tutto quel che esiste passa attraverso il medesimo ciclo d'esistenza, nasce, cresce, decade, scompare. Solo la vita ha continuità, sempre alla ricerca d'autoespressione in nuove forme. La legge del continuo mutamento si applica parimenti all'uomo. Non v'è principio alcuno, in un individuo, che sia immortale e immutabile. Soltanto il "senza nome", la realtà ultima, è al di là d'ogni mutamento. Ogni forma di vita, incluso l'uomo, è una manifestazione della realtà ultima. Nessuno possiede la vita che scorre in lui, come nessuna lampadina possiede la corrente che le fornisce luce. Legge Karmica della causalità. Secondo la dottrina del Buddha, ciò che accade nel mondo è solo effetto della legge di compenso che si applica automaticamente, punendo ciò che è cattivo e premiando ciò che è buono. Karma significa "causa ed effetto", non destino. Ognuno è responsabile della propria condizione di vita. Viene negata l'essenza a tutte le cose, motivando ciò col fatto che ogni cosa trae la propria realtà da altre cose che ne sono la causa. Solo il Nirvana sfugge a tale destino, in quanto non è uno "stato", bensì una "condizione" di assenza (non c'è morte e vita, gioia e dolore…). Lo stesso "io" non è che una successione di stati di coscienza fondati su un insieme di psichismi, sensazioni e parvenze fisiche. L'io, se lo si intende come "realtà", non è che un'illusione. L'universo è l'espressione di leggi. Ogni effetto ha una causa, e l'anima o indole dell'uomo è il risultato finale dei suoi precedenti pensieri e azioni. Il karma, che significa azione-reazione, governa ogni esistenza e l'uomo è forse l'unico creatore delle proprie circostanze e della propria reazione ad esse, del proprio stato futuro e del proprio destino ultimo. Mediante il retto pensiero e la retta azione egli può gradualmente purificare la propria indole e conseguire, con l'andar del tempo, la liberazione dalla rinascita. Questo processo abbraccia lunghissimi periodi di tempo e varie rinascite, ma ogni forma di vita raggiungerà certamente il risveglio. Quattro nobili Verità. Il buddhismo indica la via della felicità attraverso l'annientamento del dolore. Sintesi della dottrina buddhista sono le quattro nobili Verità: 1- l'esistenza del dolore. Realtà della sofferenza: l'esistenza condizionata è sofferenza. La realtà dell'esistenza personale e del mondo esteriore è dolore, consistente nell'invarianza delle sue condizioni: nascita, malattia, morte, mancanza di ciò che si desidera, unione con ciò che dispiace, separazione da ciò che si ama. I desideri non possono realizzarsi e, anche quando lo sono, non procurano la felicità, poiché ne sorgono altri di grado superiore o di diversa natura. Anche il piacere è dolore, in quanto implica adesione a qualcosa di estraneo. Paragonato alla felicità suprema dell'Illuminazione, ogni cosa è sofferenza. Perfino il più alto momento di gioia ed amore senza paura, l'emozione più appagante: sono tutti meno perfetti di quello stato costante dove l'Illuminazione è stata realizzata. 2- l'origine del dolore. Il dolore ha una causa: l'origine del dolore è il desiderio o brama di esistere, il bisogno del piacere e anche il suo rifiuto. Il disagio è basato sull'ignoranza e si perpetua con le voglie insoddisfatte e con l'intossicazione dei sensi e delle sensazioni, trasformandosi di volta in volta in illusione e ignoranza. Vi sono tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale). La mente di un essere non illuminato funziona come un occhio. Vede ogni cosa che succede ma non può vedere se stesso. Questa incapacità della mente di esperire se stessa è la radice del mondo condizionato, la causa della sofferenza. 3- la distruzione del dolore. Esiste una fine alla sofferenza: l'estinzione del desiderio significa fine del dolore. Questa sete generatrice delle rinascite va estinta nel Nirvana (il desiderio va eliminato). Il Buddha affermò di avere egli stesso raggiunto la meta. Annunciò la fine della sofferenza, lo stato di totale perfezione che egli stesso sperimentava ora ininterrottamente. Per la prima volta nella storia veniva presentato qualcosa di assoluto, un obiettivo desiderabile per tutti, un vero rifugio valido per chiunque. Il buddhismo è la via di scampo per coloro che cercano la fine di tutte le angustie. Angustia è nascere, è la sofferenza, è il dolore, è la tristezza, la malattia, la vecchiaia, la morte, le afflizioni, la disperazione, la povertà, la cattiveria, il risentimento, le calamità, le tribolazioni, gli infortuni, la guerra, la pazzia, la fame, i desideri non compiuti, i bisogni non soddisfatti, l'associazione con gli indesiderati e la separazione dalle persone amate, tutto ciò che è instabile e incontrollabile. Il buddhismo è per coloro che hanno capito che tutto quello che è stato creato è temporaneo; e che tutto ciò che è temporaneo è inerentemente nocivo: non c'è beatitudine permanente o felicità nelle cose temporanee, solo dolore e pericolo. 4- la via che conduce alla cessazione del dolore. Esiste una strada che conduce a questa fine (il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza): la via che conduce all'arresto del dolore è l'Ottuplice Sentiero, che consiste in metodi efficaci per lavorare con corpo, parola e mente. L'estinzione del desiderio si raggiunge esercitando il controllo sul proprio modo d'agire, di pensare e credere. L'illuminazione avviene attraverso il proprio impegno personale nello sviluppo del pensiero e delle azioni rette, attraverso la conoscenza dell'Ottuplice Nobile Cammino che conduce alla cessazione del disagio e guida al raggiungimento della meta: il Nirvana. L'Ottuplice Sentiero Il buddhista, per arrivare all'eliminazione dei desideri, deve seguire le otto vie fondamentali del Dharma: 1- la retta visione, per cui si contempla la realtà com'è, senza inquinarla coi propri complessi inconsci, abitudini inveterate, pregiudizi ecc.. 2- il retto pensiero, possibile solo con un esercizio ininterrotto del controllo della propria rappresentazione concettuale: l’astenersi dai cattivi pensieri, da tutti i desideri e da tutto ciò che è manifesto, costruito, "creato" per essere creduto, per sviluppare l'imparzialità, il distacco totale, la rinuncia assoluta, l'abbandono di se stessi, per causare la cessazione di tutte le realtà "create". 3- la retta parola, la sua perfetta corrispondenza, senza enfasi né sciatteria, con l'oggetto enunciato: l’astenersi dal dire bugie, dall'avere pregiudizi, dal parlare con malizia e dal parlare con frivolezza. 4- la retta azione, l'agire esattamente quando e quanto sia necessario: l’astenersi dall'uccidere qualsiasi creatura, dal rubare in qualsiasi maniera, dalla condotta sensuale o sessuale impropria, dal compiere atti malvagi, da tutte le forme di intossicazione. 5- la retta forma di vita, la giusta misura, il saper mediare fra le necessità della vita fisica sulla terra e i fini spirituali che ognuno si propone di conseguire: l’astenersi da tutti i modelli di vita che hanno a che fare con il male. 6- il retto sforzo, la giusta iniziativa, il saper adeguare ogni iniziativa all'importanza dello scopo da conseguire. 7- la retta presenza mentale, il coltivare la repulsione per il mondo, guardandolo per la creazione in deterioramento quale è, e mantenere freddezza, distacco totale, con calma e tranquillità, tenendo a mente che tutto è senza essenza, che niente è. 8- la retta pratica della meditazione, la giusta concentrazione, senza sostare con la mente in stati d'animo depressi o esaltati, il tenersi lontani dal mondo, dagli stati generati dal male, da tutte le sensazioni generate dai sensi, vivendo in solitudine, in isolamento, con entusiamo, diligenza, con fermezza e determinazione. Il buddhismo è un sentiero di pratica spirituale. Secondo la tradizione buddhista, il sentiero spirituale è il processo del tagliare la confusione che ricopre lo stato sveglio della mente. Il cuore della nostra confusione risiede nel fatto che siamo costantemente preoccupati per noi stessi. Siamo egocentrici e non ci relazioniamo con il mondo che ci circonda con apertura e calore, bensì con passione, aggressività ed ignoranza. Secondo il Buddha nessuno può raggiungere la sanità di base o illuminazione senza praticare la meditazione. La pratica della meditazione è un metodo per lavorare con chi siamo, con la nostra confusione e con la continua corrente di pensieri, in modo da far riemergere l’intelligenza e la sanità originaria che esistono nella nostra mente. La meditazione è una delle fondamentali pratiche del sentiero buddhista, un’attività della mente che prende coscienza dei suoi diversi aspetti, il mezzo fondamentale per percorrere l'Ottuplice sentiero. Il buddhismo mette in risalto la necessità della concentrazione e della meditazione che conduce allo sviluppo delle facoltà spirituali. La vita interiore è altrettanto importante quanto l'attività esteriore quotidiana e periodi di calma per la mente sono essenziali per una vita equilibrata. Il tempo per meditare: Dite che siete troppo occupati per meditare. Avete tempo per respirare? La meditazione è il vostro respiro. Avete tempo per respirare, ma non per meditare? Respirare è qualcosa di essenziale per la vita delle persone. Se capite che la pratica del Dharma è essenziale per la vostra vita, allora vi renderete conto che respirare e praticare il Dharma sono ugualmente importanti. La liberazione e l’illuminazione. Il primo passo, sulla via del pieno sviluppo delle proprie qualità e potenzialità, è chiamato Liberazione; questo passo comincia con la scoperta che il corpo, i pensieri e le sensazioni non sono altro che processi in costante mutamento, un fluire ininterrotto in cui nulla è permanente o uguale a se stesso. Nasce la comprensione che ciò che chiamiamo io non esiste realmente in sé per sé; così si abbandona l'antica abitudine di sentirsi bersaglio delle circostanze, di prendere la sofferenza e i problemi come un fatto personale: quando si riesce a pensare "Esiste la sofferenza", anziché "Io soffro", si diventa completamente liberi e invulnerabili.Il secondo passo definitivo è l’Illuminazione. Qui la mente esprime spontaneamente le proprie qualità innate di libertà dalla paura, gioia e compassione. L’illuminazione è la fine della rinascita: un completo non-attaccamento o non-identificazione con tutti i pensieri, i sentimenti, le percezioni, le sensazioni fisiche e le idee. Nirvana. La salvezza suprema risiede nell'abolizione di tutte le possibilità di una nuova esistenza individuale. Il fedele deve cercare di raggiungere, uccidendo ogni desiderio e attaccamento alla vita, un'imperturbabilità perfetta, una sublime pace dell'anima (Nirvana). Scopo dei discepoli del buddhismo è il raggiungimento del Nirvana, uno stato di liberazione da sensazioni come il dolore, il timore, il bisogno e liberazione da sentimenti come amore e odio; una condizione di eterna pace, riposo e immunità. Il Nirvana non viene da Dio, ma dal di dentro di una persona attraverso il proprio sforzo per produrre opere buone e pensieri retti. L'ultima esortazione del Buddha ai suoi discepoli fu: "Contate su voi stessi e non contate su alcun aiuto esterno; tenetevi stretti alla Verità come a una lampada; ricercate la salvezza solo nella Verità; non cercare rifugio in altri che in te stesso". Il Nirvana è l'obbiettivo, il fine, la realizzazione della Vera Realtà Suprema. L'Ottuplice Nobile Cammino del buddhismo è il mezzo per questo fine: otto attività da effettuare simultaneamente per raggiungere la meta, il Nirvana. Seguendo queste otto strade l'uomo giunge alla perfezione. Il Nirvana: 1- secondo la scuola Mahayana, rappresenta il completo annientamento o non-essere, raggiungibile anche in vita e definibile come stato di pace totale e di gioia assoluta e di Verità ultima. 2- secondo la scuola Hinayana, sfugge a qualsiasi definizione, rappresenta la fine della vita accessibile alla coscienza e il passaggio a un’altra esistenza, inconsapevole, possibile solo dopo la morte. In entrambi i casi Nirvana significa interruzione della catena delle reincarnazioni (Samsara). Nirvana, anche se letteralmente significa "estinzione", spiritualmente significa "beatitudine". Lo Stato Vero e Permanente della Realtà è il Nirvana, ciò che Non Fu Mai Nato, che Non fu Mai Fatto, Disfatto o Manifesto, tutto ciò che Non ha Condizioni, la Verità, tutto quello che Non Fu Mai Creato, né Costruito, l'Impercettibile, ciò che è Stabile, che Non si Deteriora, che Non Invecchia, che Non Muore, ciò che è Immortale e Incontaminato, la Pace, la Beatitudine, la Purezza, L'Eccellenza, la Perfezione e la Grandezza della Conoscenza, lo stato Libero dalle Malattie, l'Esonero e la Liberazione dalle Malattie, Ciò che Non ha Nome, la Serenità e la Purezza della Realtà stessa, Incambiabile e Assoluta, la Norma, la Meraviglia, la Mèta, il Reale. Tutto quello che è creato è temporaneo, è soggetto alla decadenza e alla fine, ed è uno stato nocivo all'essere, quindi Non È, perché la Vera Natura della Stessa Realtà Assoluta non è realmente una parte di queste manifestazioni, di questi "castelli di sabbia". Non hai mai pensato: perché io, che sono soggetto a nascere, alle malattie, alle angustie, alla decadenza, alla vecchiaia e alla morte, sono circondato da cose altrettanto soggette a nascere, alle malattie, alle angustie, alla decadenza, alla vecchiaia e alla morte, altrettanto temporanee? Non dovrei io, per assicurarmi il benestare permanente, cercare di raggiungere il Nirvana, la consapevolezza assoluta della realtà permanente, il rifugio permanente da questo insieme creato e manifestato da dolore, angustia e sofferenza? I Dieci Anelli che "incatenano" gli Esseri a perpetuarsi nelle realtà artificiali, assemblate, fittizie, sono: 1-La nozione di una personalità individuale permanente, anima o essere. 2-L'attaccamento a idee, riti, rituali, dogmi e superstizioni errate. 3-I dubbi e la confusione. 4-I vincoli, gli attaccamenti, le passioni, i desideri dei sentimenti, la lussuria e le ambizioni. 5-L'antipatia, l'avversione, l'odio, la malizia, il cattivi pensieri, la malevolenza e il disprezzo. 6-La lussuria e il desiderio di perpetuare all'infinito modelli di materia. 7-La lussuria e il desiderio di perpetuare all'infinito modelli privi di materia. 8-La presunzione, l'orgoglio, l'arroganza nel sentirsi "colui che decide". 9-L'entusiasmo nel costruire e perpetuare le realtà artificiali; le proprie illusioni e le proprie delusioni. 10-L'addizione all'insidia e lo stato completo di ignoranza. Questo è il meccanismo che alimenta la continuazione e la ripetizione di ogni Punto di Vista dell'Io. La meta è neutralizzare le dipendenze e le smanie che perpetuano le manifestazioni delle realtà costruite. La fine di queste smanie è il Nirvana, il Vero Stato di Realtà Permanente, libero da tutto ciò che lo circonda. Il buddhismo e il Dharma (Dhamma) o dottrina, sono la Via che conduce al termine delle dipendenze e dei desideri smodati, del tornare ad "essere" di volta in volta in uno stato di falsa esistenza. La realtà ultima non si può descrivere e un dio non è la realtà ultima. Ma il Buddha, un essere umano, divenne il Risvegliato: il fine della vita è perciò il conseguimento del Risveglio. Questo stato, il Nirvana, l'estinzione delle limitazioni dell'io, si può raggiungere in questa stessa vita. Tutti gli uomini e tutte le altre forme di vita contengono "in nuce" la facoltà di raggiungere il risveglio. Si tratta di diventare quel che già si è. "Guarda dentro di te: tu sei il Buddha". Tra il risveglio potenziale e la sua attuazione si stende la via di mezzo, il sentiero degli otto elementi. L'unica fede richiesta dal buddhismo è la credenza ragionevole che là dove una guida è già proceduta, vale la pena che procediamo anche noi. Comportamento sociale. Il buddhismo rifiuta il sistema brahminico delle caste e riconosce l'uguaglianza formale di tutti gli uomini. Ogni uomo ha uguali possibilità di salvezza morale, poiché tutto dipende dalla sua volontà. Il buddhista ama non tanto il singolo, quanto il genere umano. Condividere la felicità… Migliaia di candele possono essere accese da una singola candela, e la vita di questa non sarà abbreviata. La felicità non diminuisce mai quando è condivisa. Non si difende dal male ricevuto, non si vendica, non condanna chi commette un omicidio. Il buddhista ha un atteggiamento di indifferenza per il male, rifiutando soltanto di compierlo. Chi compie il male, vedendo la non-reazione da parte di chi lo subisce, ad un certo punto si renderà conto che è inutile continuare a compierlo. Regole etiche di vita. I precetti fondamentali del buddhismo, per le regole etiche di vita (sila), sono divisi in tre gruppi: i cinque divieti, gli otto comandamenti e le dieci condotte morali. a) I cinque divieti sono: 1. non uccidere alcun essere vivente, 2. non prendere l'altrui proprietà, 3. non fare sesso con la donna altrui, 4. non dire menzogne, 5. non bere bevande inebrianti. b) Gli otto comandamenti includono i suddetti cinque divieti, cui se ne aggiungono altri tre: 2. non mangiare cibo nei tempi non dovuti; 3. astieniti dal canto, dalla danza, dalla musica e da ogni spettacolo indecente; non ornare la tua persona con ghirlande, profumi e unguenti; 4. non usare sedili alti e lussuosi. c) Gli ultimi due precetti morali sono: 1. non adoperare letti grandi e confortevoli; 2. non commerciare cose d'oro e d'argento. Naturalmente questi precetti diventano tanto più esigenti quanto più uno cerca di purificarsi spiritualmente: il divieto di uccidere si estende fino a tutti gli animali, nessuno escluso; l'acqua può essere bevuta solo se filtrata; non si può usare l'aratro perché potrebbe ferire i vermi della terra; per i monaci, la castità sessuale deve essere completa; la povertà dev’essere assoluta ecc. È bene però precisare che per raggiungere la Liberazione, più che una vita moralmente ineccepibile, la quale al massimo può dar luogo a un buon karman, il buddhista deve dedicarsi alla Meditazione, che comporta un'energica disciplina ascetica (yoga), la cui esperienza in un certo senso va al di là di ogni morale. L'io deve liberarsi dell'Illusione circa la realtà del mondo e soprattutto circa la sua personalità, per sprofondare nel "non-io", nel "non-essere". Virtù morali. Quanto alle virtù morali che deve seguire il buddhista, esse si riducono a quattro: 1. compassione (percepire dentro di sé la gioia e il dolore dell'altro); 2. amorevolezza verso tutti gli esseri viventi; 3. letizia e considerazione del lato positivo delle cose; 4. imparzialità nel considerare la realtà. La condizione della donna. Il Buddha sostenne sempre una fondamentale misoginia. La donna era vista come una fonte di tentazione del tutto incompatibile con la vita ascetica; essa non veniva condannata come persona, ma piuttosto come potere di seduzione che porta a quell'attaccamento per la vita che, attraverso le generazioni, perpetua la condizione di "essere nel mondo" e vincola, di conseguenza, l'individuo al suo dolore, alla sua cieca ignoranza, alla ruota delle rinascite. Poiché l'amore e l'unione sessuale sono le forme più primordiali in cui si manifesta la sete di vita, il buddhismo classico non poteva che negare alla donna la possibilità di giungere al Nirvana: l'unica condizione, per una donna, era quella di estinguere in sé tutto ciò che è femminile, in sostanza sforzarsi di sviluppare un pensiero maschile al fine di poter rinascere come "uomo". Solo dopo molte discussioni e polemiche, il Buddha consentì ad ammettere le donne fra i suoi discepoli, in comunità separate, soggette a regole analoghe e alla sorveglianza da parte dell'abate della più vicina comunità monastica maschile, con l'obbligo di obbedire ai monaci maschi di qualunque età. A queste condizioni era possibile anche per loro raggiungere il Nirvana. Questa forma di maschilismo è venuta attenuandosi col tempo. Il buddhismo non interviene negli aspetti della quotidianità e neppure nelle vicende fondamentali della vita, come il matrimonio e la nascita dei figli, i cui riti si basano sempre su usanze locali. Il buddhismo è una religione, una filosofia o una scienza? Il buddhismo non è imperniato sul culto di un dio ma su una dottrina morale che propone la salvezza attraverso l'estinzione del dolore nel Nirvana: respinge l'idea di un creatore e di una provvidenza perché non compatibili con l'esistenza d'un mondo immerso nel dolore e moralmente cattivo né col castigo eterno dei peccatori. Buddha non negò esplicitamente l'esistenza degli dèi brahmani, ma questi -secondo la sua filosofia- non possono evitare all'uomo le sofferenze della vita: credere o non credere in loro non cambia le cose. Il cammino che porta alla salvezza l'uomo deve trovarlo da solo. D'altra parte anche le divinità sono, per il buddhismo, soggette al Samsara. Il buddhismo enfatizza la ricerca della Verità: insegna a "vedere e osservare", non a "vedere e credere". E’ razionale, e richiede uno sforzo personale, perché solo così può realizzarsi la Conoscenza Perfetta: ogni individuo è responsabile della propria emancipazione dalle angustie e dalla sofferenza. Il buddhismo permette ad ogni individuo di studiare ed osservare la Verità internamente, senza l'esigenza di una fede cieca per accettarla. Non si avvale di dogmi, di dottrine, di riti o di cerimonie, non vuole sacrifici, né penitenze, non è un sistema di fede e preghiera, ma soltanto una guida al cammino verso la Suprema Illuminazione. Il Buddha diceva che i suoi insegnamenti sono la zattera sulla quale possiamo allontanarci da questa spiaggia di sofferenza e temporaneità, per raggiungere la protezione e la beatitudine dell'altra sponda: la Consapevolezza Assoluta della Realtà Permanente, il Nirvana. Raggiunto il Nirvana, la zattera non sarà più necessaria. Le ultime parole del Buddha furono un'esortazione che ancora oggi distingue nettamente il buddhismo da ciò che viene comunemente chiamato religione: "Ora posso morire felice; non c'è un solo insegnamento che io abbia tenuto per me. Tutto ciò che può esservi di beneficio ve l'ho già dato… Non credete alle mie parole solo perché ve le ha dette un Buddha, ma esaminatele con cura. Siate luce e guida a voi stessi." Queste affermazioni mostrano l'approccio concreto del buddhismo alla vita di tutti i giorni. Quando la gente chiedeva al Buddha perché e cosa insegnasse, egli rispondeva: "Insegno perché voi e tutti gli esseri viventi desiderate la felicità e cercate di evitare la sofferenza. Insegno le cose così come sono". Le domande metafisiche o teologiche sull'essenza del mondo, sull'origine dell'universo ecc. vengono considerate inutili ai fini dell'Illuminazione. Il buddhismo vuole porsi come filosofia di vita e come pratica meditativa. Nel momento dell'Illuminazione il Buddha avrebbe intuito un preciso imperativo etico: "liberarsi dalle opinioni". L'atteggiamento, quindi, vuole essere di tipo anti-dogmatico. "La dottrina è simile a una zattera -disse il Buddha -, serve per attraversare e non per trasportarsela sulle spalle". Il buddhismo è un sistema di pensiero, una religione, una scienza spirituale e un'arte di vivere, ragionevole, pratico, onnicomprensivo. Esercita un fascino per l'Occidente perché non ha dogmi, soddisfa al tempo stesso la ragione e il cuore, insiste sulla necessità di fare affidamento su se stessi e d'essere tolleranti verso le altrui opinioni, abbraccia scienza, religione, filosofia, psicologia, etica ed arte, ritiene che l'uomo sia il creatore della propria vita attuale e l'artefice del proprio destino. Proprio questa particolare forma di "ateismo implicito" per molti intellettuali occidentali ha fatto del buddhismo un oggetto di interesse e di studio: si pensi a Schopenhauer, a Hesse (di quest'ultimo è famoso il libro “Siddharta”), fino a Bertolucci (di cui il film “Piccolo Buddha”). Il buddhismo insegna a non essere legati in modo dogmatico o ossessivo ad alcuna dottrina, teoria o ideologia, nemmeno a quelle buddhiste. Tutti i sistemi di pensiero sono mezzi di orientamento, non sono Verità assolute. Afferma il Dalai Lama: “Il buddhismo non vi dice mai di essere dogmatici. Se sentite il dogma nella pratica buddhista, riconsiderate quel buddhismo. Se diventate dogmatici, riesaminate il vostro buddhismo. Il buddhismo è educazione, non una religione. Non adoriamo il Buddha, lo rispettiamo come Maestro. Il suo insegnamento ci permette di lasciare la sofferenza e realizzare la vera gioia”. Ed ancora, sostiene il Dalai Lama: “Qualunque discorso che ignori il dubbio non è il discorso di un saggio”. L’approccio del Dalai Lama è assai diverso da quello di molte religioni occidentali, perché si basa più sul ragionamento e l’addestramento mentale che sulla fede: sotto certi aspetti è una scienza della mente. Per il Dalai Lama è errato associare la spiritualità alla religione. E’ invece opportuno sapere distinguere: 1- le “convinzioni religiose” in senso proprio, che ognuno può scegliere in base alle proprie disposizioni mentali o non scegliere affatto e il cui scopo è giovare alla gente, alimentare lo spirito umano, tutte utili e rispettabili, concepite per rendere l’individuo più felice e il mondo migliore offrendo ognuna strumenti per cercare la felicità e la pace dell’animo; 2- dalla vera spiritualità o “spiritualità di base”, consistente nelle fondamentali qualità umane come la bontà, la gentilezza, la compassione, la sollecitudine. Che siamo credenti o no, questa spiritualità è essenziale e più importante delle convinzioni religiose, perché qualsiasi religione, per quanto mirabile, sarà comunque accettata da un numero limitato di individui, ma in quanto essere umani tutti abbiamo bisogno di valori spirituali di base, senza di cui nessuno potrà essere felice: la nostra famiglia soffrirà e, in ultima analisi, la Società. Dei cinque miliardi di persone nel pianeta, solo un miliardo all’incirca sarà composto di veri credenti e praticanti: dunque, per la restante maggioranza del pianeta, tale spiritualità di base è lo stimolo a diventare persone buone e morali pur in assenza di religione. A tal fine è essenziale educare la gente che tali valori positivi sono le qualità migliori degli esseri umani e non riguardano solo la dimensione religiosa. La vera spiritualità deve dare come risultato la calma, la felicità e la serenità interiori: tutti gli stati mentali virtuosi sono autentico Dharma perché non possono coesistere con cattivi sentimenti. Il buddhismo considera valide tutte le religioni e non conosce l'intolleranza, perché nessuno ha il diritto di intromettersi nel viaggio del suo prossimo verso la meta. Il Dharma del Buddha è, dunque, una scienza interiore. Quando si studia il buddhismo, studiamo noi stessi: impariamo a conoscere la natura della nostra mente, che può essere paragonata a una mano, temporaneamente legata tanto dalla rappresentazione concettuale di un io (“ego” o sé che dir si voglia) quanto dai concetti e dalle fissazioni derivate da questa idea. A poco a poco, con la pratica, si eliminano fissazioni e concetti egoici e, proprio come una mano, quando viene slegata, può finalmente aprirsi, la mente si apre, acquisendo ogni sorta di possibilità operativa. Scopre allora di avere numerose qualità e destrezze, proprio come accade alla mano una volta liberata da ciò che la legava. Queste qualità sono le “qualità del risveglio”, le qualità della mente pura. Il buddhismo tratta di una conoscenza sperimentale che ci insegna a riconoscere la nostra fondamentale natura, ci libera dall'asservimento alle illusioni, alle passioni e ai pensieri: consente di scoprire la vera felicità durante la vita, nel momento della morte e nelle esistenze future, fino al risveglio spirituale assoluto che è lo stato di Buddha. Ciò che contraddistingue il buddhismo è il fatto che garantisca a tutti la possibilità di conseguire il Nirvana: a tal proposito sono significative le parole del Dalai Lama: “Se la vostra mente è vuota, è sempre pronta per tutto; è aperta a tutto. Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, nella mente esperta ce ne sono poche”. Qual’è il senso della vita? (analisi degli insegnamenti di Tenzyn Gyatso, XIV Dalai Lama, tratti dalle opere “I consigli del Cuore”,“La via della tranquillità” e “L’arte della felicità”) La felicità come scopo della vita: Perseguire la felicità è lo scopo stesso della vita: che crediamo o no in una religione, la direzione dell’esistenza è la felicità. Cercare la felicità è il senso della vita, che la rende degna d’essere vissuta. Presupposti: Il metodo proposto dal Dalai Lama per raggiungere la felicità si basa sul concetto rivoluzionario che: Primo: La natura umana è fondamentalmente buona e compassionevole: l’aggressività non è innata e il comportamento violento è determinato da una serie di fattori biologici, sociali, istituzionali e ambientali. Occorre superare le teorie di Thomas Hobbes (per cui la razza umana è violenta, competitiva, incline al conflitto e interessata solo al proprio tornaconto) o di Freud (per cui l’aggressività è una disposizione originaria, connaturata, istintiva). Tutti gli esseri umani sono dotati del seme della compassione: trovandosi nelle condizioni adatte in famiglia e nella società e impegnandosi con intensi sforzi, tal seme è in grado di dare i suoi frutti. Partendo da tale assunto, il nostro rapporto col mondo cambierà sensibilmente: considerare gli altri persone misericordiose anziché ostili ed egoiste ci aiuta a rilassarci, ad avere fiducia, a vivere bene, rendendoci più felici! Secondo: a) gli stati mentali negativi non sono intrisechi alla mente ma rappresentano ostacoli transitori che impediscono l’espressione dello stato naturale di gioia e felicità alla base del nostro essere; b) gli stati mentali positivi fungono da antidoto agli stati mentali negativi.. Insegnamenti pratici per conseguire la felicità: La felicità costituisce un obiettivo reale, uno stato dell’essere raggiungibile. Il processo mentale che si deve perseguire a tal fine richiede una serie di passaggi: 1- L’apprendimento. E’ essenziale l’educazione: a) ai fattori che conducono alla felicità, ad una vita gioiosa; b) e a quelli che conducono alla sofferenza. Occorre capire che i comportamenti negativi ci danneggiano e le emozioni positive ci giovano, non solo a noi stessi ma anche alla società nel complesso e al futuro del mondo intero. L’educazione e la conoscenza sono cruciali perché maggiore sarà il livello di conoscenza in merito a ciò che produce la felicità e la sofferenza più saremo capaci di raggiungere l’una ed eliminare l’altra: il modo migliore di usare l’intelligenza e la conoscenza è mutare l’interno di noi stessi per maturare la bontà d’animo. Le fonti della felicità sono gli stati mentali come la gentilezza e la compassione, la pazienza, la tolleranza, il calore umano, l’amore, il perdono, molto positivi e utili (anche per la salute): perché la vita abbia valore, dobbiamo sviluppare tali qualità, in particolare la compassione, uno stato mentale non violento basato: a) sul desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza; b) e sul rispetto nei confronti del prossimo. Le fonti dell’infelicità sono l’odio, la gelosia, la rabbia, la frustrazione, la paura, l’agitazione, la collera, la presunzione, l’arroganza, la brama, la libidine, la ristrettezza mentale, sentimenti negativi della mente perché distruggono la nostra felicità mentale (oltre che la salute): quando nutriamo tali sentimenti, gli altri essere umani ci appaiono ostili, abbiamo maggior paura, proviamo un senso di insicurezza, ci sentiamo soli in un mondo percepito come ostile. 2- La convinzione. E’ importante maturale la convinzione di cambiare. 3- La determinazione. E’ necessaria la forte volontà di cambiare. A tal fine è utile maturare il senso di urgenza dato dall’impermanenza, fattore cruciale per infonderci l’energia e l’entusiasmo per cambiare, per spingerci all’azione immediata, per farci superare i comportamenti o stati mentali negativi e distruttivi. La consapevolezza dell’impermanenza e della morte imprime nell’animo un senso di urgenza, l’idea che si debba usare ogni prezioso momento della vita per realizzare cambiamenti positivi. Raggiungere la propria salvezza è per tutti un compito non rinviabile (afferma il Buddha: “se un uomo è stato ferito da un dardo, non procrastinerà l'estrazione dello stesso chiedendo notizie sul feritore o sulla lunghezza e caratteristiche del dardo”). 4- L’addestramento. Occorre l’azione, lo sforzo ed il tempo per eliminare a poco a poco i fattori che conducono alla sofferenza e coltivare quelli che conducono alla felicità, assicurandoci che le cause e condizioni da cui si origina la sofferenza non sorgano più. Alcune pratiche comuni per conseguire tale obiettivo sono: I- cambiare ottica. Per supera le difficoltà occorre analizzare le cose obiettivamente e in maniera olistica, comprendendo che non uno ma molti eventi determinano una situazione, evitando di individuare una sola causa e di dare la colpa di tutti i nostri mali agli altri, esonerandoci da ogni responsabilità. L’onesto tentativo di capire fino a che punto un problema dipende da noi ci permette di vedere le cose da un’altra angolazione. Esempio: a) di chi è la colpa della Guerra del Golfo? Solo di Saddam Hussein, spietato dittatore, o anche di tutte le nazioni che lo hanno appoggiato e gli hanno consentito di creare un ingente apparato militare? b) se qualcuno ci dice una bugia, di chi è la colpa? Solo dell’altro, o magari possiamo scoprire che la persona ci ha mentito non per cattiveria ma perché non si fidava di noi, esempio perché per carattere non riusciamo a mantenere un segreto? Quando insorge un problema la nostra visione spesso è ristretta e, concentrandoci troppo su esso, lo rendiamo più arduo del dovuto: se, invece, lo confrontiamo con un problema più vasto, lo osserviamo da una maggiore distanza, lo vedremo ridimensionarsi e farsi meno opprimente. Esempio: se siamo irati con qualcuno, vediamo in lui solo le caratteristiche negative, quando siamo attratti da qualcuno, vediamo in lui solo le caratteristiche positive, ma tale percezione non corrisponde alla realtà. II- usare le qualità mentali positive (come la pazienza, la tolleranza, la gentilezza…) da antidoto specifico a stati mentali negativi (come la rabbia, l’odio, l’attacamento…). Per superare tutte le tendenze negative occorre utilizzare l’antidoto per l’ignoranza, ossia il “fattore saggezza”, che consiste nel comprendere la vera natura della realtà. Mentre la pazienza e la tolleranza sono gli antidoti specifici della collera e dell’odio, il fattore saggezza è l’antidoto generale che serve a combattere tutti gli stati negativi della mente: di fatto, quando ci si impegna nella pazienza e nella tolleranza, ci si impegna nella lotta all’odio e alla collera. Per il buddhismo le afflizioni mentali ed emozionali si possono neutralizzare coltivando con cura “fattori-antidoto” come l’amore, la compassione, la tolleranza e il perdono, nonché impegnandosi in diverse pratiche, come la meditazione. Anche se tale sforzo è enorme, richiedendo tanto studio e contemplazione, anche la gente comune, che non ha tempo di dedicarsi a pratiche intensive, può più semplicemente cercare di controllare (piuttosto che eliminare) le emozioni afflittive, imparando a convivere con esse e a gestirle: qualunque passo, benché piccolo, si faccia aiuta non poco a condurre una vita più felice. III- eliminare i sentimenti negativi: 1- tollerare la sofferenza e dare un significato al dolore. Il nostro atteggiamento verso la sofferenza può influire sulla capacità di affrontare il dolore quando questo si presenta. Noi abbiamo profonda avversione per le pene e i travagli, però se riusciamo ad adottare un atteggiamento che ci faccia tollerare di più la sofferenza avremo molte più possibilità di neutralizzare sentimenti di infelicità, insoddisfazione e scontento. Esempio: occorre accettare che nessuno vive libero dalla sofferenza e dal lutto, questo è l’insegnamento che il Bubbha volle dare alla donna che si recò da lui supplice, dopo la morte dell’unico figlio, per chiedere la medicina per riportarlo in vita ed a cui, per preparare il miracoloso rimedio, il Buddha chiese di ricevere un pugno si semi di senape prelevati da una famiglia in cui non siano morti né figli, né coniugi, né genitori, né servitori: ebbene, la donna, benché la disponibilità della gente, non trovò alcuna casa dove la morte non avesse fatto visita. Per i buddhisti la pratica più efficace alla sopportazione del dolore consiste nell’intendere che esso è la vera natura del samara, dell’esistenza non illuminata condizionata dall’eterno ciclo della vita, della morte e della rinascita: in quanto parte naturale dell’esistenza, il dolore va accettato e la tolleranza della sofferenza ci renderà meno infelici. Nell’ambito del buddhismo questa non è una visione pessimistica, morbosa e negativa, perché vi è la possibilità di estinguere la sofferenza in uno stato di liberazione, di liberarsi dal dolore rimuovendo le sue cause (l’ignoranza o errata comprensione della natura, la brama e l’odio: o i tre “veleni della mente”). Anche per chi non crede alla rinascita, alcuni semplici metodi aiutano a superare il dolore: a) angustiandosi troppo, lasciandosi sopraffare dal dolore e continuandosi a sentirsi annichiliti, si reca un grave danno a se stessi e alla propria salute. Il dolore è un fatto intrinseco dell’esistenza e, se non ce ne rendiamo conto, finiremo per ritenerci sempre vittime e per accusare gli altri dei nostri problemi, condannandoci all’infelicità; b) può esserci d’aiuto pensare alle altre persone che vivono tragedie analoghe o peggiori. Capito ciò, non avremo più la sensazione di essere le uniche vittime di questo destino; c) il grado di sofferenza dipende da come reagiamo a una determinata situazione, così spesso accresciamo la pena e la sofferenza con l’ipersensibilità, reagendo troppo a fatti di lieve entità o prendendo tutto in maniera troppo personale. Esempio: i. se reagiamo alla scoperta che qualcuno sparla di noi con rabbia e risentimento, distruggiamo la pace dello spirito e il dolore diventa una nostra creazione personale; se, invece, lasciamo che la calunnia ci passi accanto “come un vento silenzioso che ci soffia dietro le orecchie”, ci difendiamo dal risentimento e dall’angoscia: dunque possiamo modificare il grado di sofferenza scegliendo una reazione piuttosto che un’altra; ii. poniamo che un muratore e un pianista riportino la stessa ferita al dito: benché la quantità di dolore fisico sia la stessa, il muratore gioirà per il mese di vacanza pagata di cui da tempo sentiva il bisogno, mentre il pianista soffrirà immensamente considerando i concerti la massima fonte di gioia; iii. non si deve essere come quei vecchi i quali passano il giorno a lamentarsi e compatirsi, sprecando così le loro energie, non piacendo a nessuno e trasformando la vecchiaia in un tormento. Dunque, per ridurre la sofferenza dobbiamo distinguere il male vero da quello che noi stessi generiamo coi nostri pensieri: la paura, la rabbia, il senso di colpa, la solitudine e l’impotenza sono risposte emotive che intensificano al pena. Conferire significato al dolore, inoltre, consente di affrontare le situazioni più dure. Per il buddhismo e l’induismo, la sofferenza è causata dalle azioni negative compiute in passato ed è lo strumento per conseguire la liberazione spirituale: il buddhista supera più facilmente le situazioni difficili, il senso di ingiustizia provocato dalle situazioni, pensando che sono causate dal karma, dall’azione da noi stessi compiuta nel passato, anche in un’altra vita, e che decide il futuro. Un non credente può, comunque, giovarsi di un approccio pratico: a) se c’è un modo di risolvere la questione, risolvila; b) se non c’è soluzione al problema, lascialo perdere. 2- vincere la collera e l’odio comprendendo che si tratta di sentimenti distruttivi. Dei sentimenti negativi, l’odio e la collera sono i più distruttivi, perché sono il maggiore ostacolo allo sviluppo della compassione e dell’altruismo e neutralizzano la facoltà di scegliere tra il bene e il male e di valutare le conseguenze delle nostre azioni: la rabbia e l’odio annullano la nostra capacità di giudizio, tendono a gettarci in uno stato confusionale. Rispondere con pazienza anziché con ira ad una difficoltà ci da due benefici: a) ci risparmia dalla reazione che la collera produce anche a livello fisico, trasformandoci sgradevolmente: il volto diviene stravolto, l’espressione orribile, il corpo è come se trasudasse vapore che allontana pure gli animali, i pensieri ostili accumulandosi all’interno fanno perdere l’appetito e il sonno e accrescono l’ansia e la tensione; b) la rabbia e l’odio non servono a difenderci dalle offese e dal male che ci sono già stati fatti, perché ormai questi sono una realtà, non servono a modificare la situazione ma solo a far permanere l’infelicità. L’odio è paragonabile a un nemico, che non ha altra funzione che farci del male: se prendiamo atto di ciò, non daremo mai a tale nemico l’occasione di nascere dentro di noi. E visto che l’odio e la collera nascono dall’insoddisfazione e scontentezza, lo si combatte con la pazienza e la tolleranza, la letizia interiore e la calma mentale, imponendosi una disciplina e un controllo interiori; e quando la collera esplode, adottare un’ottica diversa o valutare la situazione da nuove angolazioni può essere efficace per combatterla. Se coviamo pensieri di odio e di rabbia ci rovineremo la salute: se siamo frustrati sotto il profilo mentale, la buona salute fisica non sarà di grande aiuto; invece, se conserviamo uno stato mentale calmo e tranquillo, potremmo essere persone molto felici anche nel caso in cui la salute sia cattiva: se lo stato mentale è negativo, i beni materiali non servono a nulla. 3- affrontare l’ansia. L’ansia ostacola il giudizio, aumenta l’irritabilità, pregiudica il rendimento complessivo e si ripercuote sull’organismo. Per combatterla una tecnica è particolarmente efficace: l’”intervento cognitivo”, consistente nel mettere in discussione i pensieri ansiogeni e nel sostituirli con pensieri e atteggiamenti sereni e positivi. E poi è utile ricordare che: a) se il problema è tale da consentire una soluzione, non ha senso preoccuparsene: è più ragionevole concentrare le energie per la soluzione; b) se non esiste via d’uscita, non ha senso preoccuparsi perché in ogni caso non c’è sbocco: prima si accetterà la realtà, prima si riuscirà a non farsene sopraffare. IV nutrire sentimenti positivi: 1- mutare la propria prospettiva per curare la felicità. La felicità è determinata più dallo stato mentale che dagli eventi esterni, è in gran parte determinata dalla nostra visione delle cose: spesso il sentirsi felici o infelici non dipende dalle condizioni assolute dell’esistenza quanto dal modo in cui si percepisce la situazione, da quanto si è soddisfatti di quel che si ha. Il livello di contentezza nella vita si rafforza cambiando prospettiva e pensando a come le cose potrebbero andar peggio. 2- coltivare il valore della compassione. Se si parte dalla premessa razionale che tutti gli esseri umani hanno, al pari nostro, il desiderio innato di essere felici e di sconfiggere la sofferenza e il naturale diritto di soddisfare tale innata aspirazione, se riconosciamo questa uguaglianza e questa caratteristica comune, proveremo un senso di legame col resto dell’umanità, crederemo nell’altruismo, ci sentiremo solidali e intimi col prossimo e coltiveremo la “vera compassione”, definibile il sentimento di chi non può sopportare di vedere le sofferenze altrui. 3- maturare la calma mentale. Maggiore sarà la calma mentale, la tranquillità d’animo, maggiore risulterà la nostra capacità di condurre un’esistenza felice e gioiosa. Essere calmi e tranquilli non vuol dire essere distanti e vuoti: la pace nel cuore e lo stato mentale calmo affondano le radici nella simpatia e nella compassione: se ci manca la disciplina interiore che produce la tranquillità mentale, i mezzi e le condizione esterne, quali esse siano, non ci daranno mai la gioia e felicità desiderata. 4- coltivare il legame sociale con gli altri. Aprire il proprio animo a molte persone (familiari, amici ed estranei), instaurare rapporti autentici e profondi basati su sentimenti condivisi da tutti gli uomini, è un modello di comportamento da seguire se cerchiamo la felicità. E per approfondire il nostro legame con gli altri occorre tenere presenti le cose fondamentali che abbiamo in comune con questi, piuttosto che quelle che ci dividono: se anziché cercare le differenze secondarie partiamo dalle caratteristiche comuni: a) ci rendiamo conto che tutti siamo uguali b) facilitiamo lo scambio e la comunicazione c) e ci accorgiamo che tutti cerchiamo la felicità e rifuggiamo la sofferenza. 5- comprendere che la felicità altrui è indispensabile indispensabile alla nostra. Fattori indispensabili a una vita felice sono la salute, i mezzi materiali, la presenza di amici o compagni di cui fidarci e con cui avere rapporti affettivi, ma affinché l’individuo li utilizzi al meglio e si garantisca una vita appagata lo stato mentale è cruciale. Essi, inoltre, dipendono tutti da altre persone: per la salute facciamo affidamento ai medici e a medicine prodotte da scienziati, tutti i mezzi materiali che ci permettono di godere della vita sono frutto dell’opera di altri uomini, ecc… Il giusto impiego del tempo consiste nel servire gli altri, e, ove non sia possibile, almeno nell’evitare di far loro del male. V- adottare un approccio realistico e pragmatico: 1- coltivare desideri ragionevoli. I desideri sono di due tipi: a) quelli “ragionevoli”, dettati da bisogni primari (come mangiare, vestirsi, ripararsi ma anche essere felici) b) e quelli “irragionevoli”, causa di problemi perché fonti di sempre nuovi e maggiori desideri. Mutare ottica è un mezzo più efficace del cercare gratificazioni materiali per raggiungere la felicità. 2- Nutrire aspettative ragionevoli. L’evoluzione e la maturazione mentale sono comunque lente: occorre porsi “aspettative ragionevoli” e riconoscere che non ci sono scorciatoie ai fattori della determinazione, dello sforzo e del tempo per conseguire la felicità, che richiede anni di addestramento e sano ragionamento: occorre un approccio realistico e considerare l’obiettivo dell’illuminazione come un “ideale” e non un parametro, altrimenti perderemo subito la speranza di raggiungerlo accortisi che non è a portata di mano. La mente ha bisogno di tempo per trasformarsi perché sono tante le caratteristiche mentali negative, che occorre affrontare e neutralizzare una ad una: la pratica del Dharma è apprendimento perché costante battaglia interiore per sostituire precedenti condizionamenti o abitudini negative con nuovi condizionamenti positivi: l’”autodisciplina” è quella che ci imponiamo per superare le nostre qualità negative. ********************************************************************** Concordanze scientifiche ed empiriche al metodo lamaista: I. Negli ultimi anni, studiosi come la sociologa Linda Wilson sono convinti che l’altruismo faccia parte del fondamentale istinto di sopravvivenza: analizzando oltre cento casi di calamità naturale, si è osservato sorgere tra le persone colpite spontaneamente un comportamento altruistico. II. Gli scienziati sostengono che i soggetti più istruiti siano più consapevoli dei fattori di rischio per la salute, più capaci di scegliere uno stile di vita salutare, più dotati di autostima, più capaci di risolvere i problemi, tutti fattori che rendono l’esistenza maggiormente sana e felice. III. Lo psopedagogo Benjamin Bloom analizzò la vita di alcuni dei più famosi artisti, atleti, scienziati d’America e scoprì che il successo nei rispettivi campi non era tanto dovuto al talento naturale quanto all’energia e alla determinazione: è, dunque, lecito che tale principio valga anche per la conquista della felicità. IV. Numerose ricerche testimoniano che sono le persone infelici ad essere più egocentriche, socialmente isolate, antagonistiche, mentre quelle felici sono più socievoli, duttili, creative, capaci di tollerare le frustrazioni quotidiane della vita, più inclini all’amore e al perdono: una vita basata sul perseguimento della felicità personale non è, dunque, improntata all’egocentrismo, bensì la ricerca della felicità giova non solo ai singoli individui ma anche alle loro famiglie e alla società nel suo complesso. V. Le società progredite dal punto di vista materiale sono piene di individui infelici: sotto l’apparente prosperità serpeggia una profonda inquietudine mentale, che induce a sentirsi frustati, a litigare per un nonnulla, a far uso di droghe e alcol, a suicidarsi: la ricchezza, da sola, dunque, non ci da né la gioia né l’appagamento che cerchiamo. VI. Una persona ricca e di successo, circondata da parenti e amici, se trae la sua dignità e il suo valore solo da fonti materiali, allorquando perderà il suo patrimonio, perderà la sua sicurezza e non avrà altro rifugio, mentre la persona ricca ma, a sua volta, calda, affettuosa e dotata di compassione, più difficilmente si deprimerà se vedrà la sua fortuna scomparire: il calore e l’affetto umano sono, dunque, la misura del nostro valore interno. VII. Lo scienziato Larry Scherwitz ha scoperto che chi è più concentrato su se stesso ha più probabilità di contrarre malattie del cuore e le persone prive di forti legami sociali paiono accusare cattiva salute, maggiore grado d’infelicità e una spiccata vulnerabilità allo stress. VIII. I medici ricercatori hanno scoperto che le persone che hanno un maggior numero di relazioni sociali e rapporti intimi hanno più possibilità di sopravvivere a malattie e un tasso inferiore di mortalità e di insorgenza del cancro, una migliore funzione immunitaria e un tasso di colesterolo più basso; da indagini condotte su americani ed europei, risulta che le persone sposate sono più felici e contente della loro esistenza rispetto a single, vedovi e soprattutto divorziati e separati: sposarsi, avere un’amicizia intima, coltivare relazioni sociali, perciò, fa davvero bene alla salute. IX. Studi condotti da Allans Luks su migliaia di persone regolarmente impegnate nel volontariato hanno dimostrato che queste persone mostravano di avere accresciuta la loro autostima, e la calma indotta dalla sollecitudine per gli altri procurava sollievo da diversi disturbi fisici connessi allo stress. La compassione e l’altruismo, quindi, hanno un effetto positivo sulla salute psico-fisica: andare incontro agli altri tende a diminuire la depressione e a produrre una sensazione di calma e felicità. X. Per Victor Frankl, psichiatra ebreo incarcerato dai nazisti durante la seconda guerra modiale, “l’uomo è pronto a caricarsi di qualsiasi sofferenza purché e finché veda in essa un significato”: la sopravvivenza alle atrocità dei lager non dipendeva dalla giovane età o dal vigore fisico bensì dalla forza morale, dalla saldezza interiore, dalla capacità di dare un senso alla propria vita. XI. Paul Brand, chirurgo specializzatosi nella cura della lebbra, dopo una vita passata a occuparsi di malati in preda al dolore e di malati che ne erano del tutto privi (i lebbrosi in India), giunse a considerare il dolore non un nemico universale ma un meccanismo biologico che ci avverte del danno al corpo e ci protegge, e proprio la spiacevolezza del male fisico rende così efficace il meccanismo di messa in guardia costringendo l’organismo ad affrontare il problema. Inoltre il dolore, impresso nella memoria, ci consente di difenderci anche in futuro. XII. Studi scientifici dimostrano che gli stati ansiosi influiscono negativamente sull’organismo, inducono cardiopatie, disturbi gastroenterici, affaticamento, tensione muscolare e dolore. | |